2. Nell’attività letteraria di Kant si possono distinguere
tre periodi:
• nel primo, che va fino al 1760, prevale l’interesse
per le scienze naturali;
• nel secondo, che va fino al 1781 prevale l’interesse
filosofico e si determina l’orientamento verso
l’empirismo inglese e il criticismo;
• nel terzo, che va dal 1781 in poi, si delinea la
filosofia trascendentale
Gli scritti del primo e del secondo periodo sono poi
comunemente raggruppati come “scritti del periodo
precritico”.
3. Nei dieci anni che seguiriono la pubblicazione della
Dissertazione (1770), Kant andò elaborando la sua
filosofia critica. Il pensiero di Kant infatti è detto
criticismo perché contrapponendosi
all’atteggiamento mentale del “dogmatismo”, che
consiste nell’accettare opinioni o dottrine senza
interrogarsi preliminarmente sulla loro effettiva
consistenza, fa della critica lo strumento per
eccellenza della filosofia.
“Criticare”, nel linguaggio tecnico di Kant,
significa infatti, conformemente all’etimologia
greca, “giudicare”, “distinguere”, “valutare”
ecc., ossia interrogarsi programmaticamente circa il
fondamento di determinate esperienze umane.
4. Tuttavia l’interrogarsi programmaticamente circa il
fondamento di determinate esperienze umane, ne
chiarisce diversi aspetti:
• le possibilità (le condizioni che ne permettono
l’esistenza);
• la validità (i titoli di legittimità o non-legittimità che
le caratterizzano);
• i limiti (i confini di validità)
Nell’istanza critica risulta dunque centrale e
qualificante l’aspetto del limite. La critica, in senso
kantiano, non nascerebbe affatto se non ci fossero,
in ogni campo, dei termini di validità da fissare.
5. Pertanto, il criticismo si configura come una filosofia
del limite e può venir definito un’ermeneutica della
finitudine, ossia un’interpretazione dell’esistenza
volta a stabilire, nei vari settori esperienziali, le
“colonne d’Ercole dell’umano.
Questa filosofia del finito non equivale tuttavia, nelle
intenzioni esplicite di Kant, a una forma di
scetticismo, poiché tracciare il limite di un’esperienza
significa nel contempo garantirne, entro il limite
stesso, la validità, ma equivale al riconoscimento e
all’accettazione del limite che divengono la
norma che dà legittimità e fondamento alle varie
facoltà umane.
6. Ovviamente, la costruzione che va sotto il nome di
“criticismo” non è solo una scoperta geniale di Kant,
ma anche l’esito di determinate condizioni e istanze
intellettuali che affondano le loro radici nell’epoca del
filosofo e in tutto il corso del pensiero precedente. Il
kantismo si inserisce infatti nello specifico orizzonte
storico del pensiero moderno e risulta definito da
quelle due coordinate di base che sono la rivoluzione
scientifica da un lato e la crisi progressiva delle
metafisiche tradizionali dall’altro. Tutto ciò spiega
come a un certo momento dello sviluppo della filosofia
moderna sia potuto sorgere il criticismo, che
s’interroga in profondità sui fondamenti del sapere,
della morale e dell’esperienza estetica e sentimentale,
concretizzandosi nei tre rispettivi capolavori di Kant.
7. I tre capolavori di Kant sono:
• Critica della ragion pura
• Critica della ragion pratica
• Critica del giudizio
Tuttavia prima descrivere queste opere è giusto
precisare che il kantismo si distingue dall’empirismo
non solo perché rifiuta gli esiti scettici di quest’ultimo,
ma anche perché spinge più a fondo l’analisi critica,
seguendo, cioè, un metodo di filosofare che, più
che soffermarsi sulla descrizione dei
meccanicismi conoscitivi, etici, ecc. si sforza di
fissarne le condizioni possibilitanti e i limiti di
validità.
8. LA CRITICA DELLA RAGION PURA
La critica della ragion pura è
sostanzialmente un’analisi critica dei
fondamenti del sapere. E poiché a quei
tempi di Kant l’universo del sapere si
articolava in scienza e metafisica, il suo
capolavoro prende la forma di un’indagine
valutativa circa queste due attività
conoscitive e circa lo statuto di scientificità
di questi due campi del sapere.
9. La ricerca di Kant prende la forma concreta di uno
studio teso a stabilire, da un lato,
come siano possibili la matematica e la
fisica in quanto scienze,
e dall’altro come sia possibile la metafisica in
quanto disposizione naturale e in quanto scienza.
Da ciò le quattro domande di base:
• com’è possibile la matematica pura?
• com’è possibile la fisica pura?
• com’è possibile la metafisica in quanto
disposizione naturale?
• com’è possibile la metafisica come scienza?
10. LA TEORIA KANTIANA DEI GIUDIZI
• I giudizi sintetici a priori sono fecondi (sintetici) in
quanto in essi il predicato dice qualcosa di nuovo
rispetto al soggetto e universali e necessari (a
priori) in quanto non derivano dall’esperienza.
Questo tipo di giudizi simboleggia la concezione
criticistica della scienza.
• I giudizi analitici a priori sono infecondi (analitici)
in quanto in essi il predicato non dice niente di nuovo
rispetto al soggetto e universali e necessari (a
priori) in quanto non hanno bisogno di convalide
empiriche. Questo tipo di giudizi simboleggia la
concezione razionalistica della scienza.
11. • I giudizi sintetici a posteriori sono fecondi
(sintetici) in quanto in essi il predicato dice qualcosa
di nuovo rispetto al soggetto e particolari e non
necessari (a posteriori) in quanto derivano
dall’esperienza.
• Questo tipo di giudizi simboleggia la concezione
empiristica della scienza.
12. LA RIVOLUZIONE COPERNICANA
Dopo aver messo in luce che il sapere poggia su
giudizi sintetici a priori, Kant si trova di fronte al
complesso problema di spiegare la provenienza di
questi ultimi. Infatti, se non derivano dall’esperienza,
da dove deriveranno i giudizi sintetici a priori? Per
rispondere a questo interrogativo egli, articolando la
sua ipotesi gnoseologica di fondo, elabora una nuova
teoria della conoscenza, intesa come sintesi di
materia e forma. Per materia della conoscenza si
intende la molteplicità caotica e mutevole delle
impressioni sensibili che provengono dall’esperienza.
Per forma si intende l’insieme delle modalità fisse
attraverso cui la mente umana ordina secondo
determinati rapporti tali impressioni (elemento
razionale o a priori).
13. Questa nuova impostazione del problema della conoscenza
implica immediatamente alcuni importanti conseguenze.
In primo luogo, essa comporta quella rivoluzione copernicana
che Kant si vantò di aver operato in filosofia Infatti, per spiegare
la scienza, ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto,
affermando che non è la mente che si modella passivamente
sulla realtà bensì la realtà che si modella sulle forme a priori
attraverso cui la percepiamo.
In secondo luogo, la nuova ipotesi gnoseologica comporta la
distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé.
Il fenomeno è la realtà quale ci appare tramite la forma a
priori che sono proprie della nostra struttura conoscitiva ed
è reale solo nel rapporto con il soggetto.
La cosa in sé è la realtà considerata indipendentemente da noi
e dalle forme mediante le quali la conosciamo.
14. LA PARTIZIONE DELLA CRITICA DELLA
RAGION PURA
La critica della ragion pura si divide in due tronconi principali:
• Dottrina degli elementi che si propone di mettere in luce le
forme a priori e si divide in
• estetica trascendentale che studia la sensibilità e le sue
forme a priori (spazio e tempo)
• e in logica trascendentale che studia il pensiero discorsivo
e si divide
•in analitica = studia l’intelletto e le sue forme a priori (le
categorie)
• e in dialettica = studia la ragione e le sue forme a priori (le
idee)
15. • Dottrina del metodo che si propone di chiarire
l’uso degli elementi, ovvero il metodo della
conoscenza.
La matematica si fonda sulle forme a priori della
sensibilità, la fisica sulle forme a priori dell’intelletto,
la metafisica sulle idee della ragione.
16. L’ESTETICA TRASCENDENTALE
Kant considera la sensibilità “recettiva” perché essa
non genera i propri contenuti ma li accoglie per
intuizione, dalla realtà esterna o dall’esperienza
interna.
Tuttavia la sensibilità non è soltanto recettiva, ma
anche attiva, in quanto organizza il materiale delle
sensazioni (le intuizioni empiriche) tramite lo
spazio e il tempo, che costruiscono le forme a priori
(le intuizioni pure) della sensibilità.
• Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè
quella rappresentazione a priori, necessaria, che sta
a fondamento di tutte le intuizioni esterne.
17. • Il tempo è la forma del senso esterno, cioè quella
rappresentazione a priori che sta a fondamento dei
nostri stati interni e del loro disporsi l’uno dopo l’altro,
ovvero secondo un ordine di successione.
Tuttavia, poiché è unicamente attraverso il senso
interno che ci giungono i dati del senso esterno, il
tempo si configura anche, indirettamente,
come la forma del senso esterno, cioè come la
maniera universale attraverso la quale percepiamo tutti
gli oggetti.
Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo sia con
argomenti teorici generali (nella cosiddetta “esposizione
metafisica”), sia con argomenti tratti dalla considerazione delle
scienze matematiche (nella cosiddetta “esposizione
trascendentale”.
18. LA FONDAZIONE KANTIANA DELLA
MATEMATICA
Nell’ “esposizione trascendentale” Kant giustifica
ulteriormente l’apriorità dello spazio e del tempo
mediante considerazioni epistemologiche sulla
matematica, volte a una fondazione filosofica della
medesima.
Kant vede nella geometria e nell’aritmetica delle
scienze sintetiche a priori per eccellenza.
Sintetiche in quanto ampliano le nostre conoscenze
mediante costruzioni mentali che vanno oltre già il
noto e a priori in quanto i teoremi geometrici e
aritmetici valgono indipendentemente
dall’esperienza.
19. L’ANALITICA TRASCENDENTALE
• Le intuizioni sono delle affezioni (ossia qualcosa di
passivo)
• I concetti sono delle funzioni, ovvero delle operazioni
attive, che consistono nell’ordinare o nell’unificare
diverse rappresentazioni “sotto una rappresentazione
comune”
Ora i concetti possono essere empirici, cioè costruiti
con materiali ricavati dall’esperienza, o puri, cioè
contenuti a priori dall’intelletto. I concetti puri si
identificano con le categorie, cioè con quei concetti
basilari della mente che rappresentano le supreme
funzioni unificatrici dell’intelletto.
20. Le categorie kantiane hanno una portata
esclusivamente gnoseologico -trascendentale,
in quanto rappresentano dei modi di
funzionamento dell’intelletto, che non valgono
per la cosa in sé, ma solo per il fenomeno.
Stabilita la nozione di categorie, si tratta di
redigerne una tavola completa, dove ci saranno
tante categorie quante sono le modalità di
giudizio.
21. LA DEDUZIONE TRASCENDENTALE
Dopo aver enumerato le categorie, Kant ne
giustifica il valore ricorrendo al principio della
deduzione trascendentale.
Semplificando, possiamo affermare che le cose,
per essere conosciute sensibilmente, debbono
sottostare alle leggi della sensibilità.
Per essere pensate, debbono sottostare alle
leggi dell’intelletto.
Le categorie sono le condizioni grazie alle quali
qualcosa può venire pensato come oggetto
d’esperienza.
.
22. IO PENSO O APPERCEZIONE
TRASCENDENTALE
L’Io penso è, dunque, il fondamento di ogni
nostra conoscenza,
non è l’Io individuale di ciascun soggetto
empirico,
ma rappresenta la struttura del pensare
comune ad ogni soggetto.
23. GLI SCHEMI TRASCENDENTI E IL
CONCETTO DI NOUMENO
Kant chiama "schema trascendentale" quella
particolare funzione che funge da cerniera tra le
intuizioni pure o empiriche e i concetti puri
dell’intelletto.
Lo schema, pur avendo una certa affinità con
l’immagine, va distinto da essa.
Invece Il "noumeno“ è inconoscibile e si può
intendere in due modi:
• in senso negativo
• in senso positivo
24. • Nel primo senso (negativo) il noumeno è
la cosa in sé la quale può essere pensata
senza alcuna relazione con i nostri modi di
intuire.
• Nel secondo senso (positivo), esso è
l’oggetto di un’intuizione intellettiva.
•Il concetto di noumeno è un concetto-
limite in quanto serve all’uomo per
circoscrivere le pretese della sensibilità,
affinché la conoscenza sensibile non venga
estesa alle cose in sé, che restano
inconoscibili.
25. DIALETTICA TRASCENDENTALE
Kant intende il termine "dialettica" come
logica dell’apparenza.
La dialettica trascendentale studia la
"ragione" e le sue strutture, e, rifacendosi
alla terminologia platonica, chiama idee
trascendentali i concetti puri della ragione.
Se l’intelletto è la facoltà di giudicare, per
Kant la ragione è la facoltà di "sillogizzare".
26. Kant deduce i concetti puri della ragione dalla tavola
dei sillogismi e poiché la logica indica tre tipi di
sillogismo (categorico, ipotetico e disgiuntivo),
tre saranno le Idee:
1)Idea psicologica (anima),
2)Idea cosmologica (Idea del mondo come unità
metafisica),
3)Idea teologica (Dio).
• Idea dell’anima: i paralogismi della ragione
• Idea del cosmo: le antinomie della ragione
• Idea di Dio: l’errore della prova ontologica.
27. LA CRTICA ALLE PROVE DELL’ESISTENZA
DI DIO
Dio, secondo Kant, rappresenta l’ideale della ragion
pura, cioè quel supremo modello personificato di ogni
realtà o perfezione che i filosofi hanno deisgnato con il
nome di Ens realissimimum, concependolo come
l’Essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri.
Ora poiché tale ideale, che scaturisce dalla semplice
ragione, ci lascia nella totale ignoranza circa la sua
realtà effettiva, la tradizione ha elaborato tutta una
serie di prove dell’esistenza di Dio, che Kant raggruppa
in tre classi: prova ontologica, prova cosmologica e
prova fisico – teologica.
28. • La prova ontologica, che risale a sant’Anselmo, ma
che Kant assume nella forma cartesiana, pretende di
ricavare l’esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio
come essere perfettissimo, affermando che in quanto
tale, Egli non può mancare dell’attributo dell’esistenza.
Distinguendo criticamente tra piano mentale e piano
reale, Kant obietta che non risulta possibile “saltare”
dal piano della possibilità logica a quello della realtà
ontologica, in quanto l’esistenza è qualcosa che
possiamo constatare solo per via empirica, e non già
dedurre per via puramente intellettiva. Di
conseguenza, la prova ontologica o è impossibile o è
contraddittoria: impossibile se vuol derivare da un’idea
una realtà; contraddittoria se nell’idea del perfettissimo
assume già “sottobanco” quell’esistenza che vorrebbe
dimostrare.
29. • La prova cosmologica, gioca sulla distinzione tra
contingente e necessario, affermando che se
qualcosa esiste, deve anche esistere un essere
assolutamente necessario; poiché io stesso, almeno,
esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente
necessario. Secondo Kant questo argomento consiste
in due limiti:
1. un uso illegittimo del principio di causa, in quanto
esso partendo dall’esperienza della catena degli enti
eterocausati (i contingenti) pretende di innalzarsi, oltre
l’esperienza ad un primo anello incausato (il
necessario)
2. una serie di forzature logiche e nel suo inevitabile
ricadere nella prova ontologica.
30. • La prova fisico – teologica fa leva sull’ordine, sulla
finalità e sulla bellezza del mondo per innalzarsi a
una Mente ordinatrice, identificata con un Dio
creatore, perfetto e infinito.
• Anche questa prova, secondo Kant, risulta
internamente minata da una serie di forzature
logiche e dall’utilizzazione mascherata
dell’argomento ontologico.
31. L’USO "REGOLATIVO" DELLE IDEE DELLA
RAGIONE
Sicuramente le idee non possono avere un uso
costitutivo (come le categorie); infatti la ragione,
quando applica tali Idee, erra clamorosamente.
Le Idee hanno un uso "regolativo", valgono cioè come
gli schemi della sensibilità.
L’idea non è dunque solo un concetto limite per
circoscrivere le pretese della sensibilità, ma è anche
un principio soggettivo per cercare la connessione
degli oggetti dell’esperienza in generale.
32. IL NUOVO CONCETTO DI METAFISICA IN
KANT
Alla vecchia metafisica “dogmatica”, o “iperfisica”,
Kant contrappone quindi una nuova metafisica
“scientifica” o “critica”, concepita come scienza dei
concetti puri, ovvero come una scienza che abbraccia
le conoscenze che possono essere ottenute
indipendentemente dall’esperienza, sul fondamento
delle strutture razionali della mente umana.
Di questa metafisica di nuovo tipo fanno parte,
secondo Kant, sia una metafisica della natura (che
studia i principi a priori della conoscenza della
natura), sia una metafisica dei costumi (che studia i
principi a priori dell’azione morale).
33. LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA
La ragione serve a dirigere non solo la
conoscenza, ma anche l’azione. Accanto alla
ragione teoretica abbiamo quindi una ragione
pratica.
Kant distingue tuttavia tra una ragion pura pratica (cioè che
opera indipendentemente dall’esperienza e dalla sensibilità)
e una ragione empirica pratica (cioè che opera sulla base
dell’esperienza e della sensibilità). E poiché la dimensione
della moralità si identifica con la dimensione della ragion
pura pratica, il filosofo dovrà distinguere in quali casi la
ragione è pratica e, nello stesso tempo, pura (ovvero morale)
e in quali casi essa è pratica senza essere pura (ovvero
senza essere morale). A questo serve appunto la critica della
ragion pratica.
34. La situazione della critica della ragion pratica si presenta
esattamente come capovolta rispetto alla critica della ragion
pura: nella “ragion pratica” le pretese di andare oltre i propri
limiti legittimi sono quelle della ragion pratica empirica
(legata all’esperienza), che vorrebbe essa sola determinare
la volontà; invece nella “ragione teoretica” le pretese della
ragione, al contrario, erano di far a meno dell’esperienza, e
di raggiungere da sola (senza l’esperienza) l’oggetto.
. Ricapitolando perciò, Kant, nella critica della
ragion pura, ha criticato le pretese della ragione
teoretica (che rappresentano un eccesso) di
trascendere l’esperienza, mentre nella critica
della ragion pratica ha criticato le pretese
opposte della ragion pratica di restar legata
sempre e solo all’esperienza
35. LA REALTA’ E L’ASSOLUTEZZA DELLA
LEGGE MORALE
Il motivo che sta alla base della critica della ragion
pratica è la persuasione che esista, scolpita
nell’uomo, una legge morale a priori valida
per tutti e per sempre. In altri termini nella critica
della ragion pratica Kant muove dal convincimento
dell’esistenza di una legge etica assoluta.
Legge che il filosofo non ha il compito di dedurre, e
tanto meno di inventare, ma unicamente di
constatare, a titolo di “un fatto della ragion pura, di cui
abbiamo consapevolezza a priori e di cui siamo
apoditticamente certi”.
36. Di conseguenza, la tesi dell’assolutezza o
incondizionatezza della morale implica, per Kant, due
concetti di fondo strettamente legati tra loro:
la libertà dell’agire e
la validità universale e necessaria della legge.
L’equazione “moralità = incondizionatezza = libertà =
universalità e necessità” rappresenta quindi il fulcro
dell’analisi etica di Kant e la chiave di volta, come
vedremo, per cogliere in modo logicamente
concatenato gli attributi essenziali che il filosofo
riferisce alla legge morale:
• categoricità
• formalità
37. PARTIZIONE DELLA CRITICA DELLA
RAGION PRATICA
Analogamente alla critica della ragion pura, anche la
critica della ragion pratica si divide in due parti
fondamentali:
• Dottrina degli elementi che tratta degli elementi della
morale e si divide in analitica espone la regola della
verità (etica) e in dialettica che affronta la parvenza
morale, ovvero l’antinomia connessa all’idea di sommo
bene
• Dottrina del metodo che tratta del modo in cui la
legge morale può accedere all’animo umano
(l’educazione, gli esempi ecc.)
38. LA CATEGORICITA’ DELL’IMPERATIVO
MORALE
Kant distingue i “principi pratici” che regolano la
nostra volontà in
“massime” e “imperativi”.
La massima è una prescrizione di valore puramente
soggettivo, cioè valida esclusivamente per l’individuo
che la fa propria (ad esempio può essere una
massima quella di vendicarsi di ogni offesa subita o
di alzarsi presto al mattino per fare ginnastica).
L’imperativo è una prescrizione di valore oggettivo,
ossia che vale per chiunque.
39. Gli imperativi a loro volta si dividono in:
• imperativi ipotetici
• imperativo categorico
Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in
vista di determinati fini e hanno la forma del
“se…devi”.
Questi imperativi si specificano a loro volta in
regole dell’abilità, che illustrano le norme
tecniche per raggiungere un certo scopo (ad
esempio le varie procedure per divenire un buon
medico), e in consigli della prudenza, che
forniscono i mezzi per ottenere il benessere o la
felicità.
40. L’imperativo categorico, invece, ordina il dovere in modo
incondizionato, ossia a prescindere da qualsiasi scopo,
e non ha la forma del “se…devi” ma del “devi” puro e
semplice.
L’imperativo categorico in quanto in-condizionato ha i
connotati della legge, ovvero di un comando che vale in
modo perentorio per tutte le persone e per tutte le
circostanze.
In conclusione, solo l’imperativo categorico, che ordina
un “devi” assoluto ha in se stesso i contrassegni della
moralità.
Esso inoltre si concretizza nella prescrizione di agire
secondo una massima che può valere per tutti.
41. Tuttavia questa non è l’unica formula poiché nella
Fondazione della metafisica ne troviamo una seconda
e una terza che sono rispettivamente:
• rispetta la dignità umana che è in te e negli altri,
evitando di ridurre il prossimo o te medesimo a
semplice mezzo del tuo egoismo e delle tue
passioni
• agisci in modo tale che la volontà, in base alla
massima, possa considerare contemporaneamente
se stessa come universalmente legislatrice.
42. LA LIBERTA’ E I POSTULATI DELLA
RAGION PRATICA
Con il termine "postulato" Kant designa ciò che la
legge morale esige, "postula".
La libertà, l'immortalità dell'anima e Dio
sono le tre esigenze della moralità.
Sul piano ontologico, la libertà è condizione (ratio essendi)
della moralità;
sul piano gnoseologico, la moralità è condizione (ratio
cognoscendi) della libertà.
All'origine del postulato di Dio sta l'antinomia che sorge dall'analisi del
concetto di "sommo bene". Per Kant invece è la certezza del dovere che
postula Dio come esigenza della ragione.
43. IL DIRITTO, LA POLITICA, LA STORIA
Nettamente distinta dalla sfera della morale è per Kant
quella del diritto:
alla prima l'uomo partecipa come ragione, soggetto
autonomo e libero;
alla seconda come sensibilità, oggetto passivo di una
legge eteronoma.
Garantire queste condizioni è compito dei governi ai
quali alla base della società civile sta un contratto che
Kant concepisce non come un fatto storico, ma come
una "semplice idea della ragione".
44. I principi fondamentali del diritto sono
la libertà di ogni membro della società in quanto
uomo;
l'uguaglianza, in quanto suddito, di fronte alla
legge; l'indipendenza in quanto cittadino.
Col termine "repubblica" Kant designa una
costituzione contrapposta non a quella monarchica,
ma al dispotismo come assenza di legalità.
Di qui il progetto di una federazione di stati liberi. La
storia asseconda questo processo di pace.
Lo scopo che la natura persegue è infatti lo stesso
che la ragione eleva a dovere dell'uomo e pertanto
l'opera della natura favorisce, senza determinarla,
l'intenzione morale dell'uomo.
45. IL PRIMATO DELLA RAGION PRATICA
La teoria dei postulati mette capo a ciò che Kant
definisce “primato della ragion pratica”,
consistente nella prevalenza dell’interesse pratico
su quello teoretico e nel fatto che la ragione
ammette, in quanto è pratica, proposizioni che non
potrebbe ammettere nel suo uso teoretico.
Tuttavia, pur aprendo uno squarcio sul
transfenomenico e sul metafisico, i postulati
kantiani non possono affatto valere come
conoscenze.
46. Di conseguenza se i postulati fossero delle verità
dimostrate o delle certezze comunque intese, la
morale scivolerebbe immediatamente verso
l’eteronomia e sarebbe nuovamente la religione (o la
metafisica) a fondare la morale, con tutti gli
inconvenienti già esaminati.
Rovesciando il modo tradizionale di intendere il
rapporto tra morale e religione, Kant sostiene invece,
a chiare lettere, che non sono le verità religiose a
fondare la morale, ma è la morale, sia pure sotto
forma di “postulati”, a fondare le verità religiose.
In altri termini, Dio, per Kant, non sta all’inizio e alla
base della vita morale, ma eventualmente alla fine,
come suo possibile completamento.
47. LA CRITICA DEL GIUDIZIO
Nella sua critica del giudizio Kant svolge idee che
escono dai confini entro cui si tiene ordinariamente
la sua filosofia.
I due mondi, il fenomenico (il mondo della natura,
dell’esperienza) da una parte, il noumenico (il
mondo della libertà, del regno dei fini) dall’altra, si
contrappongono come se fossero assolutamente
diversi e reciprocamente estranei.
L’uomo vive ed agisce nella natura, ma deve e può
seguire la legge della libertà e mediante l’evoluzione
umana nel mondo empirico deve venir realizzato il
fine posto dalla legge ideale.
48. I due mondi non possono essere completamente
separati: deve esserci un fondamento unico
comune alla natura e al mondo morale.
Questo fondamento è una facoltà che Kant
individua come intermedia tra l’intelletto e la
ragione: la facoltà del Giudizio.
O l’universale è dato (in forma di regola o di legge
a priori), e allora il giudizio è determinante: tale è
quello delle scienze della natura, già considerato
nella prima Critica.
O ci è dato solo il particolare, e l’universale in cui
bisogna pensarlo è da trovare.
49. In tal caso il giudizio è riflettente.
La terza Critica colma quel vuoto che esisteva tra
le altre due, cioè tra il mondo fenomenico della
ragion pura e il mondo noumenico della ragion
pratica;
la terza Critica ci dà in atto la dimostrazione
di quella dipendenza e della predisposizione
dei fenomeni a seguire la legge più alta, insita
nella loro essenza più riposta.
50. L’ANALISI DEL BELLO E I CARATTERI
SPECIFICI DEL GIUDIZIO ESTETICO
L’Analitica del Bello, è da Kant suddivisa in quattro parti,
corrispondenti ai quattro momenti del giudizio di gusto:
qualità, quantità, relazione, modalità. Dall’esame di tali
momenti sono desunte le definizioni fondamentali del bello.
1) Bello è l’oggetto di un piacere mediante cui si
giudica qualcosa senza interesse.
2) Bello è ciò che piace universalmente senza
concetto.
3) Bello è ciò che viene percepito secondo una
finalità in cui manca la rappresentazione di uno
scopo.
4) Bello, infine, è ciò che, senza concetto, è
riconosciuto come oggetto di un piacere necessario.
51. Dalla estrema vaghezza del concetto di bellezza
Kant deduce l’impossibilità di fornire
"alcuna regola oggettiva del gusto, che
determini per mezzo di concetti che cosa sia
bello: chi imita un modello mostra abilità, in
quanto riesce, ma dà prova di gusto solo in
quanto può giudicare il modello stesso”.
Nel giudizio di gusto l’intelletto deve essere al
servizio delle fantasie dell’immaginazione, cioè
questa deve giocare con naturalezza
prescindendo da ogni costrizione della regola.
52. Per sublime si intende, in generale un valore
estetico che, in tutte le varie sottospecie (tragico,
orrido, terribile, solenne, ecc.) è prodotto da
qualcosa di smisurato o di incommensurabile.
Ora il sublime matematico nasce in presenza di
qualcosa smisuratamente grande ad esempio
alberi, montagne, le nebulose, ecc. Prendendo
coscienza del fatto che il vero sublime non risiede
tanto nella realtà che ci sta di fronte, quanto in noi
medesimi, convertiamo l’iniziale stima per l’oggetto
in una finale stima per il soggetto, ossia per
quell’ente sovrasensibilmente qualificato che noi
stessi siamo.
53. Il sublime dinamico invece nasce in presenza di
strapotenti forze naturali. Anche in questo caso si
avverte un senso della nostra piccolezza materiale
nei confronti della natura. In seguito avvertiamo
invece, pascalianamente, un vivo sentimento della
nostra grandezza ideale, dovuta alla dignità di esseri
umani pensanti, portatori delle idee della ragione e
della legge morale.
Il bello e il sublime però, sono accomunati dal
presupporre, come loro condizione, il soggetto o
la mente, che si configura dunque come il
trascendentale dell’esperienza estetica, cioè
come sua possibilità e il suo fondamento.
54. IL GIUDIZIO TEOLOGICO: IL FINALISMO
COME BISOGNO CONNATURATO
ALLA NOSTRA MENTE
Secondo Kant l’unica visione scientifica del mondo è
quella meccanicistica, basata sulla categoria di
causa – effetto e sui giudizi determinanti.
Egli afferma tuttavia che nella nostra mente vi è una
tendenza irresistibile a pensare finalisticamente,
cioè a scorgere nella natura l’esistenza di cause
finali.
55. Però ben consapevole del fatto che in filosofia non è
lecito trasformare dei bisogni in realtà, Kant ribadisce
che il giudizio teologico, con tutto ciò che esso
implica (Dio) è pur sempre privo di valore teoretico o
dimostrativo, in quanto il suo assunto di partenza,
cioè la finalità, non è un dato verificabile, ma soltanto
un nostro modo di vedere il reale.
In altri termini, pur potendosi integrare proficuamente
con la spiegazione meccanica e pur potendo
svolgere il ruolo di principio euristico per la ricerca di
leggi particolari della natura, nei confronti delle quali
il modello meccanico risulta impotente, il modello
teologico non può affatto sostituire quest’ultimo nella
spiegazione della natura e non può pretendere di
valere teoreticamente o scientificamente.
56. In conclusione, anche per evitare l’antinomia
del giudizio teologico, è opportuno considerare
il finalismo come una sorta di promemoria
critico che ci ricorda da un lato i limiti della
visuale meccanicistica,
fungendo da principio regolativo della ricerca,
e dall’altro l’intrascendibilità dell’orizzonte
fenomenico e scientifico.
57. RELIGIONE, POLITICA E STORIA
La natura dell’uomo deve consistere nella libertà e
in questa libertà deve radicarsi l’inclinazione al
male.
Il male radicale non può essere distrutto, perché la
distruzione dovrebbe essere l’opera delle buone massime, il
che è impossibile se tutte le massime sono corrotte dalla
massimache prevede la loro infrazione.
Il male radicale non consiste dunque nella sensibilità
dell’uomo e nelle inclinazioni naturali che ne derivano.
L’uomo non è responsabile del fatto di avere
sensibilità o inclinazioni sensibili, mentre è
responsabile della sua inclinazione al male.
58. Questa inclinazione è un atto libero che gli deve essere
imputato come un peccato, di cui si è reso colpevole.
Il male radicale non è neppure un pervertimento della ragione,
quasi che la ragione distruggesse in sé l’autorità della legge e
rinnegasse l’obbligazione morale.
Questa volontà diabolica non è dell’uomo, come non è
dell’uomo il semplice istinto animalesco.
E’ proprio dell’uomo invece riservarsi liberamente
la possibilità di sottrarsi alle massime morali: nel
che appunto consiste il suo peccato originale.
Questi sono, secondo Kant, i fondamenti di una
religione naturale, per la quale l’unico culto è la vita
morale.
59. La religione rivelata invece ammette, come culto
divino, un insieme di riti che in sé non hanno valore
morale. Dio non può essere pregato se non con
l’azione morale: ogni altra forma di pregjhiera o di
attività religiosa è superstizione.
Per ciò che riguarda il concetto della storia, Kant
condivide il punto di vista illuministico sulla civiltà
come sforzo verso una società umana universale o
cosmopolitica.
Inoltre poi nel filosofo prussiano prevale l’idea
razionale di una comunità pacifica di tutti i popoli
della terra intesa come unico filo conduttore che può
e deve orientare gli uomini attraverso le vicende loro
storia.
60. Infatti solo in una società politica universale, nella
quale la libertà di ognuno non trovi altro limite che
la libertà degli altri, si realizza la tendenza naturale
dell’uomo, ovvero quella di raggiungere la felicità o
la perfezione (attraverso l’uso della ragione, cioè
attraverso la libertà).
Infine per quanto riguarda i limiti alla ragione che
alcuni romantici accusarono a Kant, egli si difese
affermando che ogni tentativo di evadere dalla
ragione e dai suoi limiti è illusorio, e che in ultima
analisi, anche quando si tratta di decidere ciò che si
deve credere o meno, bisogna ricorrere alla
ragione.
61. tratto da:
wikipedia (per i dettagli)
N. Abbagnano “il nuovo protagonisti e testi della filosofia”,
Paravia (v. 2b) da pag, 608 a 686