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News 27/SSL/2016
Lunedì, 03 Luglio 2016
Spazi confinati: i rischi delle strutture isolate del sottosuolo
Un intervento si sofferma sulle strutture isolate del sottosuolo con riferimenti ai rischi
per i lavoratori e alle possibili misure di prevenzione. I sistemi aperti, le strutture
isolate, la ventilazione e me misure da adottare.
Modena, 28 Giu – In alcuni luoghi di lavoro gli infortuni, anche mortali, avvengono
con eccessiva frequenza e soprattutto a causa di incidenti dovuti alla qualità
dell’aria presente all’interno dell’ambiente.
Stiamo parlando degli spazi confinati e dei molti incidenti che in Italia continuano
ad avvenire malgrado l’entrata in vigore del Decreto del Presidente della
Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 che prevede un sistema di qualificazione delle
imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito degli ambienti
confinati e sospetti di inquinamento.
Affrontiamo il tema degli spazi confinati, con particolare riferimento alle strutture
isolate del sottosuolo, presentando alcuni documenti correlati alla lezione, dal titolo
“Atmospheric Hazards and Isolated Subsurface Structures in the Subsurface
Infrastructure - A Deadly Combination”, di uno dei massimi esperti in materia di spazi
confinati, Neil McManus (CIH, ROH, CSP North West Occupational Health & Safety
North Vancouver, British Columbia Canada). Lezione in webconference che
McManus ha tenuto al quinto convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati,
dal titolo “ Confined Spaces: new perspective in Confined Spaces Safety”, un
evento organizzato nell’ambito del progetto “ A Modena la sicurezza sul lavoro in
pratica” dal Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla Sicurezza e Prevenzione dei
Rischi C.R.I.S. in collaborazione con l'Associazione organismo di ricerca European
Interdisciplinary Applied Research Center for Safety di Parma.
Nel documento “Strutture isolate del sottosuolo: un infortunio che sta aspettando di
verificarsi?”, McManus, ricorda che i problemi degli spazi confinati nascono anche
perché certi tipi di spazio di lavoro:
non sono luoghi dove le persone normalmente lavorano, ovvero non sono
progettati o destinati all’occupazione permanente di un lavoratore;
presentano vie di accesso e uscita limitate;
hanno conformazione geometrica in grado di intrappolare le persone e/o inquinanti
aerodispersi e/o un’energia pericolosa.
E non sono disponibili molte informazioni pubblicate circa il tipo e l’entità delle
condizioni di pericolo e di come queste si sviluppano.
I pericoli che, sulla base dei dati storici, rappresentano la principale causa
d’incidente sono:
carenza di ossigeno;
atmosfere contaminate;
incendi ed esplosioni;
arricchimento di ossigeno.
Inoltre, prosegue la presentazione, l’atmosfera pericolosa “può svilupparsi prima di
entrare in uno spazio confinato e/o nel corso dello svolgimento di un’attività
lavorativa”.
Riguardo alle infrastrutture presenti nel sottosuolo queste sono spesso situate sotto:
“zone pedonali, carreggiate, parchi”, ... si indica che sono solitamente costituite da
strutture in calcestruzzo gettato in opera o prefabbricate, alcune di nuova
costruzione quale aggiunta/modifica a reti già esistenti, o già in servizio. Queste
possono costituire sistemi aperti, ovvero un sistema di ambienti interconnessi tra loro
per mezzo di tubature o condotti, in grado di consentire la diffusione all’interno
dell’intero sistema di eventuali inquinanti oppure strutture isolate.
Prescindendo dalla modalità con cui sono interconnesse, bisogna ricordare che
queste strutture sono soggette agli effetti dello stress meccanico, chimico e del
tempo che, progressivamente, ne riducono le caratteristiche prestazionali, specie
rispetto alla tenuta. Da notare che, in particolare, le reti fognarie e di trasporto del
gas metano, sono le condotte sotterranee che più patiscono l’usura da parte del
tempo e dall’ambiente di posa tenuto anche conto che, nel caso delle fognature,
queste sono state spesso costruite in materiali poveri (cemento, cemento-amianto,
muratura, ecc.) con modalità di posa per lo più finalizzate al massimo risparmio dei
costi. Questo insieme di fattori, quindi, determina potenziali situazioni di mancanza di
tenuta di tratti delle reti interrate che potrebbero essere origine (reti fognarie,
distribuzione di gas metano) o recettori (reti fognarie, di distribuzione di energia
elettrica, telefonia/dati) di agenti chimici pericolosi (inclusi in specifici ambiti
geologici i gas endogeni) che potrebbero penetrare al loro interno.
La lezione propone alcuni esempi di sistemi aperti:
- “fognature sanitarie/acque piovane e strutture a loro connesse;
- pozzetti interrati della rete distribuzione elettricità;
- pozzetti delle reti di comunicazione (telefono, cavo TV, cavo fibra ottica);
- tunnel servizi (vapore, acqua calda e fredda, gas di processo)”.
Nel caso delle strutture isolate del sottosuolo, queste possono essere “strutture
deliberatamente isolate in sistemi aperti” e “strutture intrinsecamente isolate”.
Tra le strutture intrinsecamente isolate possiamo avere:
- “distribuzione acqua potabile (pozzetto delle valvole, pozzetto apparecchi di
misura);
- pozzi di emungimento acqua;
- camerette sulle reti di distribuzione;
- alcune camerette delle reti di comunicazione”;
- ambienti caratterizzati dall’assenza di canalizzazioni di collegamento con altre
strutture interrate che possono consentire l’aerodispersione di inquinanti gassosi (ad
esempio le tubazioni di trasporto dell’acqua in uscita da un pozzetto idrico con
valvole sono direttamente interrate nel terreno).
A causa della loro conformazione strutturale e del contesto di installazione, le
strutture isolate del sottosuolo possono contenere:
- “acque reflue raccolte in fogna, acqua di falda, acqua di marea;
- sabbia, piccole pietre;
- foglie, altri detriti organici;
- residui di sale sparso sulle strade;
- insetti, ragni;
- piccoli animali;
- siringhe ipodermiche, aghi, altri oggetti appuntiti;
- rifiuti di origine umana e animale;
- reflui liquidi per lo smaltimento e vapori;
- gas e vapori endogeni;
- vapori di liquidi infiammabili causati da perdite di serbatoi (benzina, GPL, ecc.);
- gas di scarico di veicoli, di apparecchiature fisse e portatili (es. generatore di
corrente mobile)”.
E non bisogna dimenticare che questi ambiti possono anche essere allagati
dall’acqua che, tra l’altro, favorisce la formazione di ruggine e consente la crescita
di microrganismi sui detriti organici”.
Il documento agli atti, ricco d’immagini esplicative, riporta alcune strategie per
impedire l’ingresso delle acque superficiali: “impedire l’entrata di acqua usando un
portello di accesso a tenuta stagna deviando le perdite su un canale di scolo”
oppure “prevedere una pompa immersa, predisporre un drenaggio in fogna
prevedendo un sifone per evitare che i gas di fogna possano permeare l’atmosfera
interna”.
Riguardo alla ventilazione:
- alcune strutture contengono sistemi di ventilazione fissi (“solo ventilazione: alcune
stazioni di sollevamento/pompaggio; solo aspirazione: alcune camerette elettriche
sotterranee, alcune stazioni di sollevamento/pompaggio”);
- la maggior parte delle strutture isolate del sottosuolo “dipendono dalla ventilazione
naturale (aperture di ventilazione nella superficie di accesso; aperture di
ventilazione nella superficie di accesso + aperture supplementari). Alcune strutture
contengono un condotto che ha un’apertura sulla superficie”.
Ci sono peraltro diverse strutture interrate che non sono ventilate.
Il documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi su altri aspetti
(autoventilazione, bilanciamento della pressione, ...) e altri ambienti che fanno parte
delle reti interrate (pozzi di respirazione, falde freatiche, strutture di respirazione,
stazioni di pompaggio nei cimiteri, ...). E sono riportate alcune prospettive di
regolamentazione e varie indicazioni tratte da ricerche e studi.
Infatti noi “non sappiamo quasi niente di:
- condizioni ambientali nelle strutture isolate del sottosuolo;
- sviluppo della contaminazione atmosferica e come ripristinare le condizioni
ambientali”.
Ed è dunque necessario “compiere uno sforzo considerevole per indagare su questi
temi”.
In conclusione McManus riporta alcuni “suggerimenti di misure da adottare nel
luogo di lavoro:
- esaminare tutte le strutture del sottosuolo indipendentemente dall’età e dall’uso
prima dell’accesso al loro interno e durante lo svolgimento della prestazione
lavorativa;
- prima dell’accesso al loro interno e durante lo svolgimento della prestazione
lavorativa ventilare tutte le strutture del sottosuolo;
- esaminare l’autoventilazione delle strutture del sottosuolo per determinarne le
caratteristiche del comportamento”.
“Strutture isolate del sottosuolo: un infortunio che sta aspettando di verificarsi?”, prima parte (formato
PDF, 5,41 MB) e seconda parte (formato PDF, 4,31 MB), documenti relativo alla lezione “Atmospheric
Hazards and Isolated Subsurface Structures in the Subsurface Infrastructure — A Deadly Combination”
di Neil McManus (CIH, ROH, CSP North West Occupational Health & Safety North Vancouver, British
Columbia Canada), V convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati “Confined Spaces: new
perspective in Confined Spaces Safety”
Fonte: puntosicuro.it
Valutazione dei rischi e risk based thinking.
Il risk based thinking e la valutazione dei rischi dei processi secondo ISO 9001:2015:
sono strumenti settoriali o hanno valore generale?
Con la pubblicazione della nuova edizione della ISO 9001, lo scorso anno, per la
prima volta una norma di sistema di gestione, che non tratta di salute e sicurezza, ha
introdotto al suo interno il concetto di valutazione dei rischi. Anzi, lo ha sistematizzato
tanto da scegliere di parlare di risk based thinking; è una novità rilevante, e
paradossalmente interessa anche chi, da tanti anni, ragiona in termini di valutazione
dei rischi. Insomma, è una novità interessante.
Per capire meglio la questione probabilmente non basta la mera lettura della
norma, per l’approccio estremamente sintetico adottato dalla stessa. È necessario
uno sforzo immaginazione per capire come si potrà “interpretare” la questione nei
prossimi anni, confidando in un approccio graduale dei nuovi contenuti della
norma. Questo sforzo di immaginazione è proprio il contenuto di questo articolo.
La gestione di una azienda ( organizzazione) cosa deve considerare?
Noi tutti riteniamo che una azienda coincida con un business specifico, ovvero con
una o più tipologie di prodotti che l’azienda vuole immettere sul mercato.
Potremmo dire quindi che una azienda nasce e vive per cogliere, cogliendo delle
opportunità offertele dal mercato. Quindi la missione primaria della azienda è fare
business (produrre utile) sfruttando le opportunità che le si presentano.
Questa è la base della visione capitalistica delle imprese. Ma è una visione che
andava benissimo in altri tempi. Se non ci hanno pensato le aziende, ha provveduto
la crisi iniziata nel 2007, a dimostrare che le aziende non possono basarsi solo sulla
ricerca di opportunità, ma devono anche considerare i rischi a cui le azioni
intraprese o progettate le espongono. La chiusura di tante aziende e la perdita di
tanti posti di lavoro dimostrano chiaramente, alla fine (si spera) di questa disastrosa
crisi, che i rischi a cui le aziende erano esposte non erano effettivamente noti. E
stiamo vedendo che correre ai ripari dopo il disastro continua ancora oggi ad
accumulare sofferenze sociali (in termini di perdita di posti di lavoro ritenuti “sicuri”)
ed economiche (in termini di stagnazione della crescita del PIL).
Quindi se vogliamo parlare di lezioni che dovremmo avere imparato da quasi dieci
anni di sofferenze, ci sono almeno due aspetti significativi:
- Ogni azienda deve conoscere e gestire i rischi a cui è esposta
- Ogni azienda deve identificare le relazioni reciproche di rischi che ha con
l’esterno (contesto e parti interessate).
-
La prima affermazione è più ovvia, specialmente per chi ha l’abitudine a valutare i
rischi nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro. Si tratta di effettuare una
valutazione dei rischi più ampia, ovvero multidisciplinare, che consideri i possibili
danni che l’azienda può subire qualora si verificassero eventi indesiderati e possibili
(cioè che possono effettivamente accadere con una probabilità che naturalmente
non è ancora nota, ma lo sarà a seguito della analisi).
In un contesto generale solido (quindi escludendo eventuali crisi generalizzate)
immaginiamo una azienda che per il 70% fattura ad un solo cliente. È evidente che
un cambio di strategia del cliente, o il ridimensionamento del cliente, o qualunque
accidente spinga il cliente a comprare da altri, potrebbe essere fatale alla azienda.
Che probabilità associamo all’evento indesiderato? E quali contromisure si devono,
eventualmente, adottare se il rischio è elevato?
Stiamo proprio parlando di gravità (del danno alla azienda) e di probabilità che
l’evento indesiderato si verifichi. Quindi dei concetti comunemente utilizzati nelle
valutazioni dei rischi in materia di salute e sicurezza.
Veniamo alla seconda affermazione: il rischio per l’azienda non è solo legato al
business, come nel caso sopra, o ad altri fattori ovvi come la tutela degli asset, la
tutela del know how, la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (un infortunio
rappresenta anche un rischio di danno per l’azienda, e non solo in virtù del D.lgs.
231/2001); esistono altri elementi che sono legati al contesto in cui l’azienda è
inserita, contesto con il quale sono in essere rapporti che generano reciproche
influenze (e rischi).
Faccio un esempio basato su fatti veri: un cantiere navale posizionato lungo la foce
di un fiume è notoriamente esposto ad eventuali esondazioni. Fra l’altro la cosa è
talmente conosciuta ed evidente che il piano di emergenza ne tiene debitamente
conto. Anche sotto altri profili la questione sembra gestita, infatti esiste una
assicurazione specifica per i danni materiali in caso di esondazione; inoltre nei
contratti con i clienti sono esplicitamente escluse penali nel caso di ritardi di
consegna o altri disservizi dovuti a calamità naturali, incluse le esondazioni. Cosa
manca? Non sembra che sia stato tutto valutato? La risposta è negativa; mancano
due cose fondamentali (ovvero non sono state valutate due conseguenze negative
fra loro correlate): la insoddisfazione del cliente in caso di gravi ritardi derivanti da
una esondazione (la prossima volta il cliente sceglierà un altro fornitore, e la
questione sarà nota a tutto l’ambiente), e l’alterazione dei flussi di cassa per il
corrispondente ritardo della fatturazione. Non sono cose da poco. E non basta la
vaga percezione del rischio, deve essere quantificato (monetizzato) nei casi
peggiori.
Quindi la distinzione fra un mero riconoscimento intuitivo dei possibili pericoli / rischi,
e invece un risk assesment sistematico e completo, può comportare una
differenziazione delle strategia di difesa della azienda e del business.
Attenzione: in certi settori questa non è una novità! Nel settore petrolifero
(esplorazione e produzione), già da oltre dieci anni le principali compagnie tutelano
le tempistiche di avviamento dei nuovi impianti chiedendo ai fornitori chiave
garanzie sia su aspetti di salute, sicurezza e ambiente (a cui associano il rischio di
sospensione della attività dei fornitori per il sequestro degli impianti), sia su aspetti
legati al “disaster recovery”, ovvero alla capacità del fornitore di mantenere la
produzione anche in caso di gravi disastri (dagli incendi ai terremoti, e per paesi
diversi dal nostro, agli atti ostili da parte di soggetti terzi).
Concludendo queste poche considerazioni: il risbased thinking non solo è una
necessità interna alla azienda, ma diventerà sempre di più una richiesta (e un
requisito) del mercato.
Risk based thinking: siamo pronti?
Come si accennava, chi scrive si è trovato a lavorare su questi temi già dalla fine del
secolo scorso, con fatica e con un approccio più qualitativo che semi oggettivo
(come sottintende la norma); è sempre una questione di fortuna, si potrebbe dire.
Quindi un po’ di esperienza maturata dovrebbe rendere facile la applicazione della
ISO 9001:2015 così potrebbe sembrare. Invece anche chi ha avuto già esperienze
sul tema della gestione aziendale basata (anche) sul rischio, e altrettanto chi viene
da forti esperienze di valutazione dei rischi (tipicamente chi si è occupato di salute e
sicurezza sul lavoro), trova difficoltà. In una parola sembra che nessuno sia
veramente pronto a collegare tutti gli aspetti a cui fa riferimento la norma. Il rischio è
quello di essere “più realisti del re”, cioè di esagerare presi da una ansia di
completezza e dettaglio più formale che sostanziale.
In questo momento molti stanno lavorando sui metodi, e le proposte che possiamo
conoscere sono molto varie, ma ancora piuttosto embrionali. Chi scrive a sua volta
sta cercando di costruire un metodo, che vorrebbe presentare anche su queste
pagine per proseguire la discussione che spera di avviare con questo articolino.
(Articolo di Alessandro Mazzeranghi)
Fonte: puntosicuro.it
Caldo nei luoghi di lavoro: condizioni di benessere e prestazioni tecniche.
Alcune informazioni sulle situazioni di comfort e discomfort nei luoghi di lavoro. La
definizione di microclima, il benessere termo igrometrico, il discomfort locale, le
condizioni di benessere termico con riferimento alla stagione estiva.
Brescia, 01 Lug – Quando arriva la stagione estiva e salgono le temperature, esterne
e interne, nei vari luoghi di lavoro, aumentano anche le sensazioni di disagio e
discomfort ambientale. Disagio che può avere nel tempo anche varie conseguenze
sullo stato psicofisico di un lavoratore.
Per questo motivo PuntoSicuro ritorna ad affrontare il tema del caldo nei luoghi di
lavoro, con riferimento a linee guida, studi, normativa e materiali prodotti in questi
anni che ci possono fornire informazioni e rispondere alle domande sul microclima,
sugli aspetti tecnologici, sulla valutazione del rischio e sulle conseguenze del caldo
eccessivo sulla nostra salute.
E per farlo non possiamo che partire da un documento che, per quanto datato (è
del 2006, precedente all’emanazione del D.Lgs. 81/2008), è ancora un ottimo punto
di riferimento per chi si occupa di microclima nei luoghi di lavoro. Stiamo parlando
del documento del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro
delle Regioni e delle Province autonome, realizzato in collaborazione con l’ex Ispesl
(ora Inail), dal titolo “Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro.
Requisiti e standard. Indicazioni operative e progettuali. Linee Guida”.
Un documento che già nelle premesse sottolinea che per “ottenere situazioni
di benessere in un ambiente di lavoro, occorre garantire condizioni accettabili dal
punto di vista sia del microclima (ovvero relativamente alle grandezze termo-igro-
anemometriche), sia della qualità dell’aria, sia del livello di illuminazione”. Benessere
che può essere ottenuto “attraverso scambi naturali con l’ambiente esterno o,
quando si renda necessario, mediante l’utilizzo di appositi dispositivi meccanici”.
Partendo da questo documento cerchiamo oggi di approfondire i termini di
benessere termoigrometrico.
Le linee guida definiscono il “microclima” come il “complesso dei parametri fisici
ambientali che caratterizzano l’ambiente locale (ma non necessariamente
confinato) e che, assieme a parametri individuali quali l’attività metabolica e
l’abbigliamento, determinano gli scambi termici fra l’ambiente stesso e gli individui
che vi operano”.
E premesso che nei luoghi di lavoro l’attività metabolica è spesso “così strettamente
associata al compito lavorativo da non potersi considerare una variabile”, sono
definiti moderati “tutti i luoghi di lavoro nei quali non esistono specifiche esigenze
produttive che, vincolando uno o più degli altri principali parametri microclimatici
(principalmente temperatura dell’aria, ma anche umidità relativa, velocità dell’aria,
temperatura radiante e resistenza termica del vestiario), impediscano il
raggiungimento del confort”.
In particolare un microclima confortevole è quello che suscita nella maggioranza
degli individui presenti una “sensazione di soddisfazione per l’ambiente, da un punto
di vista termo- igrometrico”. Sensazione che può essere riassunta con i termini
“benessere termoigrometrico”, “benessere termico” o semplicemente “benessere”
o “confort” (o comfort).
E si può avere “confort di tipo globale”, ovvero “relativo al corpo umano nel suo
complesso” e “confort di tipo locale”, relativo a specifiche aree corporee.
Si segnala inoltre che:
- il confort globale è “intimamente legato al mantenimento della neutralità termica
del corpo umano attraverso una fisiologica risposta del sistema di termoregolazione.
Quest’ultimo ha il compito di mantenere la temperatura del nucleo corporeo
costante o comunque di contenerne le oscillazioni entro un intervallo molto ristretto
compatibile con l'espletamento ottimale delle funzioni vitali”;
- il disconfort locale è invece “legato alla limitazione degli scambi termici localizzati
in specifiche aree, ovviamente superficiali, del corpo umano”.
Ed è evidente che la situazione ottimale si raggiunge “annullando ogni possibile
causa che possa indurre nel soggetto sensazioni di disconfort”, ricordando che il
corpo umano è un sistema che “opera in modo ottimale quando la temperatura
del suo nucleo viene mantenuta entro un ristretto intervallo di variabilità”.
Per avere infine alcune indicazioni sulle condizioni di benessere termico possiamo
fare un breve riferimento anche al documento “ Condizioni di benessere e
prestazioni tecniche” presentato dal Prof. Gianfranco Cellai (Laboratorio di Fisica
Ambientale per la Qualità Edilizia - Università di Firenze) in un Corso di Tecniche del
controllo ambientale.
Nel documento sono riportati alcuni fattori che possono provocare disconfort locale:
- “presenza di ampie superfici particolarmente fredde/calde (ad es. pareti vetrate o
pareti non isolate) che possono causare scambi termici radiativi anomali tra alcune
parti del corpo umano e le superfici suddette (si raccomanda di mantenere
l’asimmetria della temperatura radiante < 10°C per le superfici verticali, e < 5°C per i
soffitti);
- contatto con superfici eccessivamente fredde o calde ; ad esempio pavimenti
non isolati su porticati ecc. (si raccomandano temperature superficiali comprese tra
19 e 26°C);
- presenza di correnti d’aria fredda (spifferi) che su alcune zone del corpo, ad
esempio la nuca, possono risultare particolarmente fastidiose (si raccomanda una
velocità relativa dell’aria < 0,25 m/s);
- gradienti di temperatura all’interno dello stesso locale (si raccomanda una
differenza verticale di temperatura < 3°C)”.
Sono poi riportate anche informazioni sulle condizioni di benessere estive con
riferimento ad attività leggere, fondamentalmente sedentarie:
- la “temperatura operativa deve essere compresa tra 23 °C e 26 °C”;
- “la differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m e 0,1 m dal pavimento
(livello testa e caviglia) deve essere minore di 3 °C”;
- “l’umidità relativa deve essere compresa tra il 30% e il 70%”.
In entrambi i casi è necessario anche tener conto della velocità media dell’aria
(secondo quanto riportato nelle tabelle nel documento).
Ricordiamo, in conclusione, che lo stesso Decreto legislativo 81/2008 classifica il
microclima (art. 180) tra gli agenti fisici che devono essere compresi nella
valutazione dei rischi. Valutazione su cui ci soffermeremo nei prossimi articoli.
Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome,
Inail/ex Ispesl “ Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro. Requisiti e standard.
Indicazioni operative e progettuali. Linee Guida”, versione giugno 2006 (formato PDF, 1.46 MB).
“ Condizioni di benessere e prestazioni tecniche”, a cura del Prof. Arch. Gianfranco Cellai
(Laboratorio di Fisica Ambientale per la Qualità Edilizia - Università di Firenze), intervento relativo a un
Corso di Tecniche del controllo ambientale pubblicato sul sito dell’Università degli Studi di Firenze
(formato PDF, 2.53 MB).
Fonte: puntosicuro.it
Regolamento europeo DPI: progettazione e requisiti dei dispositivi.
Indicazioni sui requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei Dispositivi di Protezione
Individuale come riportati nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del 9 marzo 2016.
Focus sui principi di progettazione e sull’innocuità dei DPI.
Strasburgo, 01 Lug – L’articolo 5 è chiaro: i DPI devono soddisfare i requisiti essenziali
di salute e di sicurezza, di cui all'allegato II, ad essi applicabili. E il quarto
“Considerando” sottolinea che tali requisiti essenziali di salute e di sicurezza, come
le procedure di valutazione della conformità dei DPI, devono essere identici in tutti
gli Stati membri dell’Unione Europea.
Stiamo parlando di quanto contenuto nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione
individuale, che abroga la Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989.
Regolamento che è già entrato in vigore, ma che si applicherà – con alcune
eccezioni - dal 21 aprile 2018 (è in questa data che sarà abrogata la Direttiva
89/686/CEE).
Con questo articolo, PuntoSicuro comincia ad affrontare il delicato argomento dei
requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei dispositivi di protezione individuale,
come riportati nell’allegato II del nuovo regolamento.
Vediamo alcune osservazioni preliminari contenute nell’allegato:
- “i requisiti essenziali di salute e di sicurezza elencati nel presente regolamento sono
inderogabili.
- gli obblighi relativi ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza si applicano soltanto
se per il DPI in questione sussiste il rischio corrispondente;
- i requisiti essenziali di salute e di sicurezza sono interpretati e applicati in modo da
tenere conto dello stato della tecnica e della prassi al momento della progettazione
e della fabbricazione, nonché dei fattori tecnici ed economici, che sono conciliati
con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza;
- il fabbricante effettua una valutazione dei rischi al fine di individuare i rischi che
concernono il suo DPI. Deve quindi progettarlo e fabbricarlo tenendo conto di tale
valutazione;
- in sede di progettazione e di fabbricazione del DPI, nonché all'atto della redazione
delle istruzioni, il fabbricante considera non solo l'uso previsto del DPI, ma anche gli
usi ragionevolmente prevedibili. Se del caso, occorre assicurare la salute e la
sicurezza delle persone diverse dall'utilizzatore”.
Vediamo anche alcuni requisiti di carattere generale applicabili a tutti i dispositivi di
protezione individuale, ricordando che i DPI “devono offrire una protezione
adeguata nei confronti dei rischi da cui sono destinati a proteggere”.
Indicazioni sui principi di progettazione:
- ergonomia: “i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo tale che, nelle
condizioni prevedibili di impiego cui sono destinati, l'utilizzatore possa svolgere
normalmente l'attività che lo espone a rischi, disponendo al tempo stesso di una
protezione appropriata del miglior livello possibile;
- livelli e classi di protezione: “il livello di protezione ottimale da prendere in
considerazione all'atto della progettazione è quello al di là del quale le limitazioni
risultanti dal fatto di portare il DPI ostacolerebbero il suo utilizzo effettivo durante
l'esposizione al rischio o il normale svolgimento dell'attività”; “qualora le diverse
condizioni prevedibili di impiego portino a distinguere vari livelli di uno stesso rischio,
all'atto della progettazione del DPI devono essere prese in considerazione classi di
protezione adeguate”.
Altre indicazioni sull’innocuità dei dispositivi di protezione individuale:
- assenza di rischi intrinseci e di altri fattori di disturbo: “i DPI devono essere progettati
e fabbricati in modo da non creare rischi o altri fattori di disturbo nelle condizioni
prevedibili di impiego;
- materiali costitutivi appropriati: i materiali di cui sono fatti i DPI, compresi i loro
eventuali prodotti di decomposizione, non devono avere effetti negativi sulla salute
o sulla sicurezza degli utilizzatori;
- stato della superficie soddisfacente di ogni parte di un DPI a contatto con
l'utilizzatore: ogni parte di un DPI a contatto, o suscettibile di entrare in contatto con
l'utilizzatore durante l'impiego non deve avere asperità, spigoli vivi, punte acuminate
e simili suscettibili di provocare una irritazione eccessiva o delle ferite;
- impedimento massimo ammissibile per l'utilizzatore: gli impedimenti causati dai DPI
alle azioni da svolgere, alle posizioni da assumere e alle percezioni sensoriali devono
essere ridotti al minimo. Inoltre, l'utilizzo dei DPI non deve comportare azioni che
potrebbero mettere in pericolo l'utilizzatore”.
Segnaliamo che l’allegato II si sofferma poi su altri aspetti che presenteremo in altri
futuri articoli del giornale: il comfort ed efficacia dei dispositivi di protezione
individuale, le istruzioni e informazioni del fabbricante, i requisiti supplementari
comuni e i requisiti supplementari specifici per rischi particolari.
Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di
protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio (Testo rilevante ai fini del
SEE).
Consiglio delle Comunità Europee - Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai dispositivi di protezione individuale.
Fonte: puntosicuro.it
Regolamento europeo 2016/425: le nuove categorie di rischio dei DPI.
Indicazioni sul nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale. Focus sulle
categorie di rischio, sulla valutazione della conformità e sulla documentazione
tecnica.
Strasburgo, 24 Giu – Il nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale, che abroga la
Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, è stato pubblicato il 31 marzo sulla
Gazzetta Ufficiale della UE, è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla
pubblicazione, ma si applica – con alcune eccezioni - a decorrere dal 21 aprile
2018. Sarà infatti da questa data che sarà abrogata la Direttiva 89/686/CEE.
Abbiamo dunque il tempo e l’obbligo, come giornale di informazione in materia di
sicurezza, di approfondire alcuni dei punti del nuovo Regolamento per favorire
un’idonea conoscenza e un’adeguata applicazione.
Uno dei primi punti su cui ci soffermiamo è un aspetto già affrontato in passato,
generalmente con riferimento a quanto contenuto nel decreto legislativo 4
dicembre 1992, n. 475 (Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21
dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative ai dispositivi di protezione individuale): la divisione in categorie dei DPI.
Riprendiamo parzialmente uno dei “considerando” contenuti nel nuovo
Regolamento: “al fine di tener conto dei progressi e delle conoscenze in ambito
tecnico o dei nuovi dati scientifici, dovrebbe essere delegato alla Commissione il
potere di adottare atti conformemente all'articolo 290 del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea relativamente alla modifica delle categorie di
rischi dai quali il DPI è destinato a proteggere gli utilizzatori”.
La nuova divisione in categorie - di cui si fa riferimento all’articolo 18 del Capo IV del
Regolamento 2016/425 – è contenuta nell’allegato I. Le definizioni delle singole
categorie, formulate in modo semplice, si basano in particolare sull’entità del rischio
da cui il DPI deve proteggere. E la categoria III è estesa a ulteriori rischi, rispetto a
quelli riportati nel D.Lgs. 475/1992.
L’Allegato I contiene infatti le nuove categorie di rischio dei DPI.
Le categorie di rischio da cui i dispositivi di protezione individuale sono destinati a
proteggere gli utilizzatori sono tre.
La categoria I “comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi:
a) lesioni meccaniche superficiali;
b) contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con
l'acqua;
c) contatto con superfici calde che non superino i 50 °C;
d) lesioni oculari dovute all'esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute
all'osservazione del sole);
e) condizioni atmosferiche di natura non estrema”.
La categoria III comprende “esclusivamente i rischi che possono causare
conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con riguardo a
quanto segue:
a) sostanze e miscele pericolose per la salute;
b) atmosfere con carenza di ossigeno;
c) agenti biologici nocivi;
d) radiazioni ionizzanti;
e) ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una
temperatura dell'aria di almeno 100 °C;
f) ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una
temperatura dell'aria di – 50 °C o inferiore;
g) cadute dall'alto;
h) scosse elettriche e lavoro sotto tensione;
i) annegamento;
j) tagli da seghe a catena portatili;
k) getti ad alta pressione;
l) ferite da proiettile o da coltello;
m) rumore nocivo”.
E la categoria II “comprende i rischi diversi da quelli elencati nelle categorie I e III”.
Ricordiamo che la categoria di rischio dei DPI, come ricordato nel Capo IV
(Valutazione della conformità) è importante per le procedure di valutazione della
conformità dei DPI (la dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti
essenziali di salute e di sicurezza).
In particolare le procedure di valutazione della conformità da seguire, per ognuna
delle categorie di rischio di cui all'allegato I, “sono le seguenti:
a) categoria I: controllo interno della produzione (modulo A) di cui all'allegato IV;
b) categoria II: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V seguito dalla
conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione (modulo C) di cui
all'allegato VI;
c) categoria III: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V e una delle
seguenti:
i) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove del
prodotto sotto controllo ufficiale effettuate ad intervalli casuali (modulo C2) di cui
all'allegato VII;
ii) conformità al tipo basata sulla garanzia di qualità del processo di produzione
(modulo D) di cui all'allegato VIII.
A titolo di deroga, per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi ad un singolo
utilizzatore e classificati secondo la categoria III, può essere seguita la procedura di
cui alla lettera b)”.
Riportiamo infine qualche indicazione (Allegato III) sulla documentazione tecnica
per i dispositivi di protezione individuale.
Infatti la documentazione tecnica deve specificare i mezzi utilizzati dal fabbricante
per garantire la conformità dei dispositivi di protezione individuale ai requisiti
essenziali di salute e di sicurezza applicabili cui fa riferimento l'articolo 5 del
Regolamento e stabiliti nell'allegato II dello stesso.
Concludiamo segnalando (Allegato III) che la documentazione tecnica deve
“comprendere almeno gli elementi seguenti:
a) una descrizione completa del DPI e dell'uso cui è destinato;
b) una valutazione dei rischi da cui il DPI è destinato a proteggere;
c) un elenco dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili al DPI;
d) disegni e schemi di progettazione e fabbricazione del DPI e dei suoi componenti,
sottoinsiemi e circuiti;
e) le descrizioni e le spiegazioni necessarie alla comprensione dei disegni e degli
schemi di cui alla lettera d) e del funzionamento del DPI;
f)i riferimenti delle norme armonizzate di cui all'articolo 14 che sono state applicate
per la progettazione e la fabbricazione del DPI. In caso di applicazione parziale
delle norme armonizzate, la documentazione deve specificare le parti che sono
state applicate;
g) se le norme armonizzate non sono state applicate o lo sono state solo
parzialmente, la descrizione delle altre specifiche tecniche che sono state applicate
al fine di soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili;
h) i risultati dei calcoli di progettazione, delle ispezioni e degli esami effettuati per
verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza
applicabili;
i) relazioni sulle prove effettuate per verificare la conformità del DPI ai requisiti
essenziali di salute e di sicurezza applicabili e, se del caso, per stabilire la relativa
classe di protezione;
j) una descrizione dei mezzi usati dal fabbricante durante la produzione del DPI per
garantire la conformità del DPI fabbricato alle specifiche di progettazione;
k) una copia delle istruzioni e delle informazioni del fabbricante che figurano
nell'allegato II, punto 1.4;
l) per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi a un singolo utilizzatore, tutte le
istruzioni necessarie per la fabbricazione di tali DPI sulla base del modello di base
approvato;
m) per i DPI prodotti in serie in cui ciascun articolo è fabbricato per adattarsi a un
singolo utilizzatore, una descrizione delle misure che devono essere prese dal
fabbricante durante il montaggio e il processo di produzione per garantire che
ciascun esemplare di DPI sia conforme al tipo omologato e ai requisiti essenziali di
salute e di sicurezza applicabili”.
Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo
2016 sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del
Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE).
Consiglio delle Comunità Europee - Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai
dispositivi di protezione individuale.
Fonte: puntosicuro.it
Fibre amianto, Regolamento UE modifica restrizioni da Allegato XVII del Reach.
BRUXELLES – Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 23 giugno
2016 il Regolamento 2016/1005 della Commissione europea del 22 giugno 2016 che
modifica l’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo
e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la
restrizione delle sostanze chimiche (REACH), per quanto riguarda le fibre d’amianto
(crisotilo).
Il regolamento, in vigore tra venti giorni, apporta una modifica alla restrizione
esistente nell’allegato XVII voce 6 del Regolamento Reach riguardante le fibre
d’amianto. Restrizione nella quale era stata concessa agli Stati membri la possibilità
di concedere una deroga esclusivamente per “l’immissione sul mercato e l’uso dei
diaframmi contenenti crisotilo e destinati agli impianti di elettrolisi”.
Attualmente, come spiegato nelle considerazioni che introducono il Regolamento
2016/1005 “dei cinque impianti di elettrolisi in relazione ai quali gli Stati membri
hanno dichiarato nel 2011 di aver concesso una deroga, sono rimasti in funzione
solo due, in Svezia e in Germania“.
Per questi impianti quindi e in ogni caso come nuova disposizione generale, visto
il fascicolo preparato da Echa nel 2013, vista la consultazione pubblica, l’esame del
Rac e del Seac, considerata la decisione di esecuzione 2013/732/UE, “Nell’allegato
XVII, voce 6, colonna 2, il paragrafo 1 è sostituito dal seguente:
“La fabbricazione, l’immissione sul mercato e l’uso di queste fibre e degli articoli e
delle miscele contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati.
Tuttavia, se l’uso di diaframmi contenenti crisotilo in impianti di elettrolisi in funzione il
[13 luglio 2016] è stato oggetto di una deroga da parte uno Stato membro in
conformità al presente punto, nella sua versione in vigore fino a tale data, il primo
comma non si applica fino al 1° luglio 2025 all’uso in tali impianti di diaframmi o di
crisotilo utilizzato esclusivamente per la manutenzione di detti diaframmi, purché
tale uso avvenga nel rispetto delle condizioni di autorizzazione stabilite in conformità
alla direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.
Entro il 31 gennaio di ogni anno di calendario gli utilizzatori a valle che beneficiano
di tale deroga trasmettono allo Stato membro in cui è situato il pertinente impianto
di elettrolisi una relazione indicante il quantitativo di crisotilo utilizzato nei diaframmi
a norma della deroga. Lo Stato membro trasmette una copia alla Commissione
europea.
Qualora, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, uno Stato membro
richieda il monitoraggio del tenore di crisotilo nell’aria da parte degli utilizzatori a
valle, i risultati devono essere inclusi nella relazione”.
Info: Regolamento 2016/1005 Gazzetta europea 23 giugno 2016
Fonte: quotidianosicurezza.it
La prima guida del Garante sul nuovo Regolamento UE sulla privacy.
A commento del nuovo Regolamento Ue sulla privacy dei dati entrato in vigore il 24
maggio, è uscita la prima la guida del Garante. Come annunciato dall’Autorità
italiana per la protezione dei dati personali, si tratta della prima di numerose altre
informative, da qui al 25 maggio 2018, data entro la quale gli stati membri UE
dovranno far proprio il nuovo strumento operativo in materia di protezione dei dati
personali.
Il volume rende conto delle principali novità contenute a garanzia dei diritti ma
anche delle responsabilità dei singoli cittadini, delle aziende, degli enti pubblici,
delle associazioni e dei liberi professionisti. Si occupa
di facilitare l’apprendimento del regolamento che:
1) “Introduce regole più chiare in materia di consenso al trattamento dei dati;
2) Definisce i limiti al trattamento autorizzato dei dati personali;
3) Pone le basi per l’esercizio di nuovi diritti;
4) Stabilisce criteri rigorosi per il trasferimento dei dati al di fuori dell’UE per i casi
violazione dei dati personali (data breach)”.
Il primo capitolo della Guida è titolato Cittadini più garantiti, informazioni più chiare
e complete sul trattamento. Al centro dell’attenzione, l’informativa – strumento sia di
trasparenza al trattamento dei dati personali che all’esercizio dei diritti. A proposito
di questi ultimi, gli interessati: a) dovranno sapere “se i loro dati sono trasmessi al di
fuori dell’Ue e con quali garanzie”, b) dovranno sapere “che hanno il diritto di
revocare il consenso a determinati trattamenti, come quelli a fini di marketing
diretto”.
Altre novità trattate nella Guida: diritto all’oblio, diritto alla portabilità dei dati, la
nuova figura del Responsabile della protezione dei dati, l’obbligo di comunicare le
violazioni e gli attacchi informatici subiti, i limiti alla profilazione delle persone. Ne
parleremo in un prossimo articolo. (Articolo di Enzo Gonano)
Info: Prima guida informativa sul nuovo Regolamento europeo privacy
Fonte: quotidianosicurezza.it

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  • 1. News 27/SSL/2016 Lunedì, 03 Luglio 2016 Spazi confinati: i rischi delle strutture isolate del sottosuolo Un intervento si sofferma sulle strutture isolate del sottosuolo con riferimenti ai rischi per i lavoratori e alle possibili misure di prevenzione. I sistemi aperti, le strutture isolate, la ventilazione e me misure da adottare. Modena, 28 Giu – In alcuni luoghi di lavoro gli infortuni, anche mortali, avvengono con eccessiva frequenza e soprattutto a causa di incidenti dovuti alla qualità dell’aria presente all’interno dell’ambiente. Stiamo parlando degli spazi confinati e dei molti incidenti che in Italia continuano ad avvenire malgrado l’entrata in vigore del Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 che prevede un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito degli ambienti confinati e sospetti di inquinamento. Affrontiamo il tema degli spazi confinati, con particolare riferimento alle strutture isolate del sottosuolo, presentando alcuni documenti correlati alla lezione, dal titolo “Atmospheric Hazards and Isolated Subsurface Structures in the Subsurface Infrastructure - A Deadly Combination”, di uno dei massimi esperti in materia di spazi confinati, Neil McManus (CIH, ROH, CSP North West Occupational Health & Safety North Vancouver, British Columbia Canada). Lezione in webconference che McManus ha tenuto al quinto convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati, dal titolo “ Confined Spaces: new perspective in Confined Spaces Safety”, un evento organizzato nell’ambito del progetto “ A Modena la sicurezza sul lavoro in pratica” dal Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla Sicurezza e Prevenzione dei Rischi C.R.I.S. in collaborazione con l'Associazione organismo di ricerca European Interdisciplinary Applied Research Center for Safety di Parma. Nel documento “Strutture isolate del sottosuolo: un infortunio che sta aspettando di verificarsi?”, McManus, ricorda che i problemi degli spazi confinati nascono anche perché certi tipi di spazio di lavoro: non sono luoghi dove le persone normalmente lavorano, ovvero non sono progettati o destinati all’occupazione permanente di un lavoratore;
  • 2. presentano vie di accesso e uscita limitate; hanno conformazione geometrica in grado di intrappolare le persone e/o inquinanti aerodispersi e/o un’energia pericolosa. E non sono disponibili molte informazioni pubblicate circa il tipo e l’entità delle condizioni di pericolo e di come queste si sviluppano. I pericoli che, sulla base dei dati storici, rappresentano la principale causa d’incidente sono: carenza di ossigeno; atmosfere contaminate; incendi ed esplosioni; arricchimento di ossigeno. Inoltre, prosegue la presentazione, l’atmosfera pericolosa “può svilupparsi prima di entrare in uno spazio confinato e/o nel corso dello svolgimento di un’attività lavorativa”. Riguardo alle infrastrutture presenti nel sottosuolo queste sono spesso situate sotto: “zone pedonali, carreggiate, parchi”, ... si indica che sono solitamente costituite da strutture in calcestruzzo gettato in opera o prefabbricate, alcune di nuova costruzione quale aggiunta/modifica a reti già esistenti, o già in servizio. Queste possono costituire sistemi aperti, ovvero un sistema di ambienti interconnessi tra loro per mezzo di tubature o condotti, in grado di consentire la diffusione all’interno dell’intero sistema di eventuali inquinanti oppure strutture isolate. Prescindendo dalla modalità con cui sono interconnesse, bisogna ricordare che queste strutture sono soggette agli effetti dello stress meccanico, chimico e del tempo che, progressivamente, ne riducono le caratteristiche prestazionali, specie rispetto alla tenuta. Da notare che, in particolare, le reti fognarie e di trasporto del gas metano, sono le condotte sotterranee che più patiscono l’usura da parte del tempo e dall’ambiente di posa tenuto anche conto che, nel caso delle fognature, queste sono state spesso costruite in materiali poveri (cemento, cemento-amianto, muratura, ecc.) con modalità di posa per lo più finalizzate al massimo risparmio dei costi. Questo insieme di fattori, quindi, determina potenziali situazioni di mancanza di tenuta di tratti delle reti interrate che potrebbero essere origine (reti fognarie, distribuzione di gas metano) o recettori (reti fognarie, di distribuzione di energia elettrica, telefonia/dati) di agenti chimici pericolosi (inclusi in specifici ambiti geologici i gas endogeni) che potrebbero penetrare al loro interno.
  • 3. La lezione propone alcuni esempi di sistemi aperti: - “fognature sanitarie/acque piovane e strutture a loro connesse; - pozzetti interrati della rete distribuzione elettricità; - pozzetti delle reti di comunicazione (telefono, cavo TV, cavo fibra ottica); - tunnel servizi (vapore, acqua calda e fredda, gas di processo)”. Nel caso delle strutture isolate del sottosuolo, queste possono essere “strutture deliberatamente isolate in sistemi aperti” e “strutture intrinsecamente isolate”. Tra le strutture intrinsecamente isolate possiamo avere: - “distribuzione acqua potabile (pozzetto delle valvole, pozzetto apparecchi di misura); - pozzi di emungimento acqua; - camerette sulle reti di distribuzione; - alcune camerette delle reti di comunicazione”; - ambienti caratterizzati dall’assenza di canalizzazioni di collegamento con altre strutture interrate che possono consentire l’aerodispersione di inquinanti gassosi (ad esempio le tubazioni di trasporto dell’acqua in uscita da un pozzetto idrico con valvole sono direttamente interrate nel terreno). A causa della loro conformazione strutturale e del contesto di installazione, le strutture isolate del sottosuolo possono contenere: - “acque reflue raccolte in fogna, acqua di falda, acqua di marea; - sabbia, piccole pietre; - foglie, altri detriti organici; - residui di sale sparso sulle strade; - insetti, ragni; - piccoli animali; - siringhe ipodermiche, aghi, altri oggetti appuntiti; - rifiuti di origine umana e animale; - reflui liquidi per lo smaltimento e vapori; - gas e vapori endogeni; - vapori di liquidi infiammabili causati da perdite di serbatoi (benzina, GPL, ecc.); - gas di scarico di veicoli, di apparecchiature fisse e portatili (es. generatore di corrente mobile)”. E non bisogna dimenticare che questi ambiti possono anche essere allagati dall’acqua che, tra l’altro, favorisce la formazione di ruggine e consente la crescita di microrganismi sui detriti organici”.
  • 4. Il documento agli atti, ricco d’immagini esplicative, riporta alcune strategie per impedire l’ingresso delle acque superficiali: “impedire l’entrata di acqua usando un portello di accesso a tenuta stagna deviando le perdite su un canale di scolo” oppure “prevedere una pompa immersa, predisporre un drenaggio in fogna prevedendo un sifone per evitare che i gas di fogna possano permeare l’atmosfera interna”. Riguardo alla ventilazione: - alcune strutture contengono sistemi di ventilazione fissi (“solo ventilazione: alcune stazioni di sollevamento/pompaggio; solo aspirazione: alcune camerette elettriche sotterranee, alcune stazioni di sollevamento/pompaggio”); - la maggior parte delle strutture isolate del sottosuolo “dipendono dalla ventilazione naturale (aperture di ventilazione nella superficie di accesso; aperture di ventilazione nella superficie di accesso + aperture supplementari). Alcune strutture contengono un condotto che ha un’apertura sulla superficie”. Ci sono peraltro diverse strutture interrate che non sono ventilate. Il documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi su altri aspetti (autoventilazione, bilanciamento della pressione, ...) e altri ambienti che fanno parte delle reti interrate (pozzi di respirazione, falde freatiche, strutture di respirazione, stazioni di pompaggio nei cimiteri, ...). E sono riportate alcune prospettive di regolamentazione e varie indicazioni tratte da ricerche e studi. Infatti noi “non sappiamo quasi niente di: - condizioni ambientali nelle strutture isolate del sottosuolo; - sviluppo della contaminazione atmosferica e come ripristinare le condizioni ambientali”. Ed è dunque necessario “compiere uno sforzo considerevole per indagare su questi temi”. In conclusione McManus riporta alcuni “suggerimenti di misure da adottare nel luogo di lavoro: - esaminare tutte le strutture del sottosuolo indipendentemente dall’età e dall’uso prima dell’accesso al loro interno e durante lo svolgimento della prestazione lavorativa; - prima dell’accesso al loro interno e durante lo svolgimento della prestazione lavorativa ventilare tutte le strutture del sottosuolo;
  • 5. - esaminare l’autoventilazione delle strutture del sottosuolo per determinarne le caratteristiche del comportamento”. “Strutture isolate del sottosuolo: un infortunio che sta aspettando di verificarsi?”, prima parte (formato PDF, 5,41 MB) e seconda parte (formato PDF, 4,31 MB), documenti relativo alla lezione “Atmospheric Hazards and Isolated Subsurface Structures in the Subsurface Infrastructure — A Deadly Combination” di Neil McManus (CIH, ROH, CSP North West Occupational Health & Safety North Vancouver, British Columbia Canada), V convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati “Confined Spaces: new perspective in Confined Spaces Safety” Fonte: puntosicuro.it Valutazione dei rischi e risk based thinking. Il risk based thinking e la valutazione dei rischi dei processi secondo ISO 9001:2015: sono strumenti settoriali o hanno valore generale? Con la pubblicazione della nuova edizione della ISO 9001, lo scorso anno, per la prima volta una norma di sistema di gestione, che non tratta di salute e sicurezza, ha introdotto al suo interno il concetto di valutazione dei rischi. Anzi, lo ha sistematizzato tanto da scegliere di parlare di risk based thinking; è una novità rilevante, e paradossalmente interessa anche chi, da tanti anni, ragiona in termini di valutazione dei rischi. Insomma, è una novità interessante. Per capire meglio la questione probabilmente non basta la mera lettura della norma, per l’approccio estremamente sintetico adottato dalla stessa. È necessario uno sforzo immaginazione per capire come si potrà “interpretare” la questione nei prossimi anni, confidando in un approccio graduale dei nuovi contenuti della norma. Questo sforzo di immaginazione è proprio il contenuto di questo articolo. La gestione di una azienda ( organizzazione) cosa deve considerare? Noi tutti riteniamo che una azienda coincida con un business specifico, ovvero con una o più tipologie di prodotti che l’azienda vuole immettere sul mercato. Potremmo dire quindi che una azienda nasce e vive per cogliere, cogliendo delle opportunità offertele dal mercato. Quindi la missione primaria della azienda è fare business (produrre utile) sfruttando le opportunità che le si presentano. Questa è la base della visione capitalistica delle imprese. Ma è una visione che
  • 6. andava benissimo in altri tempi. Se non ci hanno pensato le aziende, ha provveduto la crisi iniziata nel 2007, a dimostrare che le aziende non possono basarsi solo sulla ricerca di opportunità, ma devono anche considerare i rischi a cui le azioni intraprese o progettate le espongono. La chiusura di tante aziende e la perdita di tanti posti di lavoro dimostrano chiaramente, alla fine (si spera) di questa disastrosa crisi, che i rischi a cui le aziende erano esposte non erano effettivamente noti. E stiamo vedendo che correre ai ripari dopo il disastro continua ancora oggi ad accumulare sofferenze sociali (in termini di perdita di posti di lavoro ritenuti “sicuri”) ed economiche (in termini di stagnazione della crescita del PIL). Quindi se vogliamo parlare di lezioni che dovremmo avere imparato da quasi dieci anni di sofferenze, ci sono almeno due aspetti significativi: - Ogni azienda deve conoscere e gestire i rischi a cui è esposta - Ogni azienda deve identificare le relazioni reciproche di rischi che ha con l’esterno (contesto e parti interessate). - La prima affermazione è più ovvia, specialmente per chi ha l’abitudine a valutare i rischi nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro. Si tratta di effettuare una valutazione dei rischi più ampia, ovvero multidisciplinare, che consideri i possibili danni che l’azienda può subire qualora si verificassero eventi indesiderati e possibili (cioè che possono effettivamente accadere con una probabilità che naturalmente non è ancora nota, ma lo sarà a seguito della analisi). In un contesto generale solido (quindi escludendo eventuali crisi generalizzate) immaginiamo una azienda che per il 70% fattura ad un solo cliente. È evidente che un cambio di strategia del cliente, o il ridimensionamento del cliente, o qualunque accidente spinga il cliente a comprare da altri, potrebbe essere fatale alla azienda. Che probabilità associamo all’evento indesiderato? E quali contromisure si devono, eventualmente, adottare se il rischio è elevato? Stiamo proprio parlando di gravità (del danno alla azienda) e di probabilità che l’evento indesiderato si verifichi. Quindi dei concetti comunemente utilizzati nelle valutazioni dei rischi in materia di salute e sicurezza. Veniamo alla seconda affermazione: il rischio per l’azienda non è solo legato al business, come nel caso sopra, o ad altri fattori ovvi come la tutela degli asset, la tutela del know how, la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (un infortunio rappresenta anche un rischio di danno per l’azienda, e non solo in virtù del D.lgs. 231/2001); esistono altri elementi che sono legati al contesto in cui l’azienda è
  • 7. inserita, contesto con il quale sono in essere rapporti che generano reciproche influenze (e rischi). Faccio un esempio basato su fatti veri: un cantiere navale posizionato lungo la foce di un fiume è notoriamente esposto ad eventuali esondazioni. Fra l’altro la cosa è talmente conosciuta ed evidente che il piano di emergenza ne tiene debitamente conto. Anche sotto altri profili la questione sembra gestita, infatti esiste una assicurazione specifica per i danni materiali in caso di esondazione; inoltre nei contratti con i clienti sono esplicitamente escluse penali nel caso di ritardi di consegna o altri disservizi dovuti a calamità naturali, incluse le esondazioni. Cosa manca? Non sembra che sia stato tutto valutato? La risposta è negativa; mancano due cose fondamentali (ovvero non sono state valutate due conseguenze negative fra loro correlate): la insoddisfazione del cliente in caso di gravi ritardi derivanti da una esondazione (la prossima volta il cliente sceglierà un altro fornitore, e la questione sarà nota a tutto l’ambiente), e l’alterazione dei flussi di cassa per il corrispondente ritardo della fatturazione. Non sono cose da poco. E non basta la vaga percezione del rischio, deve essere quantificato (monetizzato) nei casi peggiori. Quindi la distinzione fra un mero riconoscimento intuitivo dei possibili pericoli / rischi, e invece un risk assesment sistematico e completo, può comportare una differenziazione delle strategia di difesa della azienda e del business. Attenzione: in certi settori questa non è una novità! Nel settore petrolifero (esplorazione e produzione), già da oltre dieci anni le principali compagnie tutelano le tempistiche di avviamento dei nuovi impianti chiedendo ai fornitori chiave garanzie sia su aspetti di salute, sicurezza e ambiente (a cui associano il rischio di sospensione della attività dei fornitori per il sequestro degli impianti), sia su aspetti legati al “disaster recovery”, ovvero alla capacità del fornitore di mantenere la produzione anche in caso di gravi disastri (dagli incendi ai terremoti, e per paesi diversi dal nostro, agli atti ostili da parte di soggetti terzi). Concludendo queste poche considerazioni: il risbased thinking non solo è una necessità interna alla azienda, ma diventerà sempre di più una richiesta (e un requisito) del mercato. Risk based thinking: siamo pronti? Come si accennava, chi scrive si è trovato a lavorare su questi temi già dalla fine del secolo scorso, con fatica e con un approccio più qualitativo che semi oggettivo
  • 8. (come sottintende la norma); è sempre una questione di fortuna, si potrebbe dire. Quindi un po’ di esperienza maturata dovrebbe rendere facile la applicazione della ISO 9001:2015 così potrebbe sembrare. Invece anche chi ha avuto già esperienze sul tema della gestione aziendale basata (anche) sul rischio, e altrettanto chi viene da forti esperienze di valutazione dei rischi (tipicamente chi si è occupato di salute e sicurezza sul lavoro), trova difficoltà. In una parola sembra che nessuno sia veramente pronto a collegare tutti gli aspetti a cui fa riferimento la norma. Il rischio è quello di essere “più realisti del re”, cioè di esagerare presi da una ansia di completezza e dettaglio più formale che sostanziale. In questo momento molti stanno lavorando sui metodi, e le proposte che possiamo conoscere sono molto varie, ma ancora piuttosto embrionali. Chi scrive a sua volta sta cercando di costruire un metodo, che vorrebbe presentare anche su queste pagine per proseguire la discussione che spera di avviare con questo articolino. (Articolo di Alessandro Mazzeranghi) Fonte: puntosicuro.it Caldo nei luoghi di lavoro: condizioni di benessere e prestazioni tecniche. Alcune informazioni sulle situazioni di comfort e discomfort nei luoghi di lavoro. La definizione di microclima, il benessere termo igrometrico, il discomfort locale, le condizioni di benessere termico con riferimento alla stagione estiva. Brescia, 01 Lug – Quando arriva la stagione estiva e salgono le temperature, esterne e interne, nei vari luoghi di lavoro, aumentano anche le sensazioni di disagio e discomfort ambientale. Disagio che può avere nel tempo anche varie conseguenze sullo stato psicofisico di un lavoratore. Per questo motivo PuntoSicuro ritorna ad affrontare il tema del caldo nei luoghi di lavoro, con riferimento a linee guida, studi, normativa e materiali prodotti in questi anni che ci possono fornire informazioni e rispondere alle domande sul microclima, sugli aspetti tecnologici, sulla valutazione del rischio e sulle conseguenze del caldo eccessivo sulla nostra salute. E per farlo non possiamo che partire da un documento che, per quanto datato (è del 2006, precedente all’emanazione del D.Lgs. 81/2008), è ancora un ottimo punto di riferimento per chi si occupa di microclima nei luoghi di lavoro. Stiamo parlando del documento del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome, realizzato in collaborazione con l’ex Ispesl
  • 9. (ora Inail), dal titolo “Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro. Requisiti e standard. Indicazioni operative e progettuali. Linee Guida”. Un documento che già nelle premesse sottolinea che per “ottenere situazioni di benessere in un ambiente di lavoro, occorre garantire condizioni accettabili dal punto di vista sia del microclima (ovvero relativamente alle grandezze termo-igro- anemometriche), sia della qualità dell’aria, sia del livello di illuminazione”. Benessere che può essere ottenuto “attraverso scambi naturali con l’ambiente esterno o, quando si renda necessario, mediante l’utilizzo di appositi dispositivi meccanici”. Partendo da questo documento cerchiamo oggi di approfondire i termini di benessere termoigrometrico. Le linee guida definiscono il “microclima” come il “complesso dei parametri fisici ambientali che caratterizzano l’ambiente locale (ma non necessariamente confinato) e che, assieme a parametri individuali quali l’attività metabolica e l’abbigliamento, determinano gli scambi termici fra l’ambiente stesso e gli individui che vi operano”. E premesso che nei luoghi di lavoro l’attività metabolica è spesso “così strettamente associata al compito lavorativo da non potersi considerare una variabile”, sono definiti moderati “tutti i luoghi di lavoro nei quali non esistono specifiche esigenze produttive che, vincolando uno o più degli altri principali parametri microclimatici (principalmente temperatura dell’aria, ma anche umidità relativa, velocità dell’aria, temperatura radiante e resistenza termica del vestiario), impediscano il raggiungimento del confort”. In particolare un microclima confortevole è quello che suscita nella maggioranza degli individui presenti una “sensazione di soddisfazione per l’ambiente, da un punto di vista termo- igrometrico”. Sensazione che può essere riassunta con i termini “benessere termoigrometrico”, “benessere termico” o semplicemente “benessere” o “confort” (o comfort). E si può avere “confort di tipo globale”, ovvero “relativo al corpo umano nel suo complesso” e “confort di tipo locale”, relativo a specifiche aree corporee. Si segnala inoltre che: - il confort globale è “intimamente legato al mantenimento della neutralità termica del corpo umano attraverso una fisiologica risposta del sistema di termoregolazione.
  • 10. Quest’ultimo ha il compito di mantenere la temperatura del nucleo corporeo costante o comunque di contenerne le oscillazioni entro un intervallo molto ristretto compatibile con l'espletamento ottimale delle funzioni vitali”; - il disconfort locale è invece “legato alla limitazione degli scambi termici localizzati in specifiche aree, ovviamente superficiali, del corpo umano”. Ed è evidente che la situazione ottimale si raggiunge “annullando ogni possibile causa che possa indurre nel soggetto sensazioni di disconfort”, ricordando che il corpo umano è un sistema che “opera in modo ottimale quando la temperatura del suo nucleo viene mantenuta entro un ristretto intervallo di variabilità”. Per avere infine alcune indicazioni sulle condizioni di benessere termico possiamo fare un breve riferimento anche al documento “ Condizioni di benessere e prestazioni tecniche” presentato dal Prof. Gianfranco Cellai (Laboratorio di Fisica Ambientale per la Qualità Edilizia - Università di Firenze) in un Corso di Tecniche del controllo ambientale. Nel documento sono riportati alcuni fattori che possono provocare disconfort locale: - “presenza di ampie superfici particolarmente fredde/calde (ad es. pareti vetrate o pareti non isolate) che possono causare scambi termici radiativi anomali tra alcune parti del corpo umano e le superfici suddette (si raccomanda di mantenere l’asimmetria della temperatura radiante < 10°C per le superfici verticali, e < 5°C per i soffitti); - contatto con superfici eccessivamente fredde o calde ; ad esempio pavimenti non isolati su porticati ecc. (si raccomandano temperature superficiali comprese tra 19 e 26°C); - presenza di correnti d’aria fredda (spifferi) che su alcune zone del corpo, ad esempio la nuca, possono risultare particolarmente fastidiose (si raccomanda una velocità relativa dell’aria < 0,25 m/s); - gradienti di temperatura all’interno dello stesso locale (si raccomanda una differenza verticale di temperatura < 3°C)”. Sono poi riportate anche informazioni sulle condizioni di benessere estive con riferimento ad attività leggere, fondamentalmente sedentarie: - la “temperatura operativa deve essere compresa tra 23 °C e 26 °C”; - “la differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m e 0,1 m dal pavimento (livello testa e caviglia) deve essere minore di 3 °C”;
  • 11. - “l’umidità relativa deve essere compresa tra il 30% e il 70%”. In entrambi i casi è necessario anche tener conto della velocità media dell’aria (secondo quanto riportato nelle tabelle nel documento). Ricordiamo, in conclusione, che lo stesso Decreto legislativo 81/2008 classifica il microclima (art. 180) tra gli agenti fisici che devono essere compresi nella valutazione dei rischi. Valutazione su cui ci soffermeremo nei prossimi articoli. Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome, Inail/ex Ispesl “ Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro. Requisiti e standard. Indicazioni operative e progettuali. Linee Guida”, versione giugno 2006 (formato PDF, 1.46 MB). “ Condizioni di benessere e prestazioni tecniche”, a cura del Prof. Arch. Gianfranco Cellai (Laboratorio di Fisica Ambientale per la Qualità Edilizia - Università di Firenze), intervento relativo a un Corso di Tecniche del controllo ambientale pubblicato sul sito dell’Università degli Studi di Firenze (formato PDF, 2.53 MB). Fonte: puntosicuro.it Regolamento europeo DPI: progettazione e requisiti dei dispositivi. Indicazioni sui requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei Dispositivi di Protezione Individuale come riportati nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del 9 marzo 2016. Focus sui principi di progettazione e sull’innocuità dei DPI. Strasburgo, 01 Lug – L’articolo 5 è chiaro: i DPI devono soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza, di cui all'allegato II, ad essi applicabili. E il quarto “Considerando” sottolinea che tali requisiti essenziali di salute e di sicurezza, come le procedure di valutazione della conformità dei DPI, devono essere identici in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Stiamo parlando di quanto contenuto nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale, che abroga la Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989. Regolamento che è già entrato in vigore, ma che si applicherà – con alcune eccezioni - dal 21 aprile 2018 (è in questa data che sarà abrogata la Direttiva
  • 12. 89/686/CEE). Con questo articolo, PuntoSicuro comincia ad affrontare il delicato argomento dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei dispositivi di protezione individuale, come riportati nell’allegato II del nuovo regolamento. Vediamo alcune osservazioni preliminari contenute nell’allegato: - “i requisiti essenziali di salute e di sicurezza elencati nel presente regolamento sono inderogabili. - gli obblighi relativi ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza si applicano soltanto se per il DPI in questione sussiste il rischio corrispondente; - i requisiti essenziali di salute e di sicurezza sono interpretati e applicati in modo da tenere conto dello stato della tecnica e della prassi al momento della progettazione e della fabbricazione, nonché dei fattori tecnici ed economici, che sono conciliati con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza; - il fabbricante effettua una valutazione dei rischi al fine di individuare i rischi che concernono il suo DPI. Deve quindi progettarlo e fabbricarlo tenendo conto di tale valutazione; - in sede di progettazione e di fabbricazione del DPI, nonché all'atto della redazione delle istruzioni, il fabbricante considera non solo l'uso previsto del DPI, ma anche gli usi ragionevolmente prevedibili. Se del caso, occorre assicurare la salute e la sicurezza delle persone diverse dall'utilizzatore”. Vediamo anche alcuni requisiti di carattere generale applicabili a tutti i dispositivi di protezione individuale, ricordando che i DPI “devono offrire una protezione adeguata nei confronti dei rischi da cui sono destinati a proteggere”. Indicazioni sui principi di progettazione: - ergonomia: “i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo tale che, nelle condizioni prevedibili di impiego cui sono destinati, l'utilizzatore possa svolgere normalmente l'attività che lo espone a rischi, disponendo al tempo stesso di una protezione appropriata del miglior livello possibile; - livelli e classi di protezione: “il livello di protezione ottimale da prendere in considerazione all'atto della progettazione è quello al di là del quale le limitazioni risultanti dal fatto di portare il DPI ostacolerebbero il suo utilizzo effettivo durante l'esposizione al rischio o il normale svolgimento dell'attività”; “qualora le diverse
  • 13. condizioni prevedibili di impiego portino a distinguere vari livelli di uno stesso rischio, all'atto della progettazione del DPI devono essere prese in considerazione classi di protezione adeguate”. Altre indicazioni sull’innocuità dei dispositivi di protezione individuale: - assenza di rischi intrinseci e di altri fattori di disturbo: “i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo da non creare rischi o altri fattori di disturbo nelle condizioni prevedibili di impiego; - materiali costitutivi appropriati: i materiali di cui sono fatti i DPI, compresi i loro eventuali prodotti di decomposizione, non devono avere effetti negativi sulla salute o sulla sicurezza degli utilizzatori; - stato della superficie soddisfacente di ogni parte di un DPI a contatto con l'utilizzatore: ogni parte di un DPI a contatto, o suscettibile di entrare in contatto con l'utilizzatore durante l'impiego non deve avere asperità, spigoli vivi, punte acuminate e simili suscettibili di provocare una irritazione eccessiva o delle ferite; - impedimento massimo ammissibile per l'utilizzatore: gli impedimenti causati dai DPI alle azioni da svolgere, alle posizioni da assumere e alle percezioni sensoriali devono essere ridotti al minimo. Inoltre, l'utilizzo dei DPI non deve comportare azioni che potrebbero mettere in pericolo l'utilizzatore”. Segnaliamo che l’allegato II si sofferma poi su altri aspetti che presenteremo in altri futuri articoli del giornale: il comfort ed efficacia dei dispositivi di protezione individuale, le istruzioni e informazioni del fabbricante, i requisiti supplementari comuni e i requisiti supplementari specifici per rischi particolari. Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE). Consiglio delle Comunità Europee - Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai dispositivi di protezione individuale. Fonte: puntosicuro.it
  • 14. Regolamento europeo 2016/425: le nuove categorie di rischio dei DPI. Indicazioni sul nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale. Focus sulle categorie di rischio, sulla valutazione della conformità e sulla documentazione tecnica. Strasburgo, 24 Giu – Il nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale, che abroga la Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, è stato pubblicato il 31 marzo sulla Gazzetta Ufficiale della UE, è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione, ma si applica – con alcune eccezioni - a decorrere dal 21 aprile 2018. Sarà infatti da questa data che sarà abrogata la Direttiva 89/686/CEE. Abbiamo dunque il tempo e l’obbligo, come giornale di informazione in materia di sicurezza, di approfondire alcuni dei punti del nuovo Regolamento per favorire un’idonea conoscenza e un’adeguata applicazione. Uno dei primi punti su cui ci soffermiamo è un aspetto già affrontato in passato, generalmente con riferimento a quanto contenuto nel decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475 (Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale): la divisione in categorie dei DPI. Riprendiamo parzialmente uno dei “considerando” contenuti nel nuovo Regolamento: “al fine di tener conto dei progressi e delle conoscenze in ambito tecnico o dei nuovi dati scientifici, dovrebbe essere delegato alla Commissione il potere di adottare atti conformemente all'articolo 290 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente alla modifica delle categorie di rischi dai quali il DPI è destinato a proteggere gli utilizzatori”. La nuova divisione in categorie - di cui si fa riferimento all’articolo 18 del Capo IV del Regolamento 2016/425 – è contenuta nell’allegato I. Le definizioni delle singole categorie, formulate in modo semplice, si basano in particolare sull’entità del rischio da cui il DPI deve proteggere. E la categoria III è estesa a ulteriori rischi, rispetto a quelli riportati nel D.Lgs. 475/1992.
  • 15. L’Allegato I contiene infatti le nuove categorie di rischio dei DPI. Le categorie di rischio da cui i dispositivi di protezione individuale sono destinati a proteggere gli utilizzatori sono tre. La categoria I “comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi: a) lesioni meccaniche superficiali; b) contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con l'acqua; c) contatto con superfici calde che non superino i 50 °C; d) lesioni oculari dovute all'esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute all'osservazione del sole); e) condizioni atmosferiche di natura non estrema”. La categoria III comprende “esclusivamente i rischi che possono causare conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con riguardo a quanto segue: a) sostanze e miscele pericolose per la salute; b) atmosfere con carenza di ossigeno; c) agenti biologici nocivi; d) radiazioni ionizzanti; e) ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell'aria di almeno 100 °C; f) ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell'aria di – 50 °C o inferiore; g) cadute dall'alto; h) scosse elettriche e lavoro sotto tensione; i) annegamento; j) tagli da seghe a catena portatili; k) getti ad alta pressione; l) ferite da proiettile o da coltello; m) rumore nocivo”. E la categoria II “comprende i rischi diversi da quelli elencati nelle categorie I e III”. Ricordiamo che la categoria di rischio dei DPI, come ricordato nel Capo IV (Valutazione della conformità) è importante per le procedure di valutazione della
  • 16. conformità dei DPI (la dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza). In particolare le procedure di valutazione della conformità da seguire, per ognuna delle categorie di rischio di cui all'allegato I, “sono le seguenti: a) categoria I: controllo interno della produzione (modulo A) di cui all'allegato IV; b) categoria II: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V seguito dalla conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione (modulo C) di cui all'allegato VI; c) categoria III: esame UE del tipo (modulo B) di cui all'allegato V e una delle seguenti: i) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove del prodotto sotto controllo ufficiale effettuate ad intervalli casuali (modulo C2) di cui all'allegato VII; ii) conformità al tipo basata sulla garanzia di qualità del processo di produzione (modulo D) di cui all'allegato VIII. A titolo di deroga, per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi ad un singolo utilizzatore e classificati secondo la categoria III, può essere seguita la procedura di cui alla lettera b)”. Riportiamo infine qualche indicazione (Allegato III) sulla documentazione tecnica per i dispositivi di protezione individuale. Infatti la documentazione tecnica deve specificare i mezzi utilizzati dal fabbricante per garantire la conformità dei dispositivi di protezione individuale ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili cui fa riferimento l'articolo 5 del Regolamento e stabiliti nell'allegato II dello stesso. Concludiamo segnalando (Allegato III) che la documentazione tecnica deve “comprendere almeno gli elementi seguenti: a) una descrizione completa del DPI e dell'uso cui è destinato; b) una valutazione dei rischi da cui il DPI è destinato a proteggere; c) un elenco dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili al DPI; d) disegni e schemi di progettazione e fabbricazione del DPI e dei suoi componenti, sottoinsiemi e circuiti; e) le descrizioni e le spiegazioni necessarie alla comprensione dei disegni e degli schemi di cui alla lettera d) e del funzionamento del DPI; f)i riferimenti delle norme armonizzate di cui all'articolo 14 che sono state applicate
  • 17. per la progettazione e la fabbricazione del DPI. In caso di applicazione parziale delle norme armonizzate, la documentazione deve specificare le parti che sono state applicate; g) se le norme armonizzate non sono state applicate o lo sono state solo parzialmente, la descrizione delle altre specifiche tecniche che sono state applicate al fine di soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili; h) i risultati dei calcoli di progettazione, delle ispezioni e degli esami effettuati per verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili; i) relazioni sulle prove effettuate per verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili e, se del caso, per stabilire la relativa classe di protezione; j) una descrizione dei mezzi usati dal fabbricante durante la produzione del DPI per garantire la conformità del DPI fabbricato alle specifiche di progettazione; k) una copia delle istruzioni e delle informazioni del fabbricante che figurano nell'allegato II, punto 1.4; l) per i DPI prodotti come unità singole per adattarsi a un singolo utilizzatore, tutte le istruzioni necessarie per la fabbricazione di tali DPI sulla base del modello di base approvato; m) per i DPI prodotti in serie in cui ciascun articolo è fabbricato per adattarsi a un singolo utilizzatore, una descrizione delle misure che devono essere prese dal fabbricante durante il montaggio e il processo di produzione per garantire che ciascun esemplare di DPI sia conforme al tipo omologato e ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili”. Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE). Consiglio delle Comunità Europee - Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai dispositivi di protezione individuale. Fonte: puntosicuro.it
  • 18. Fibre amianto, Regolamento UE modifica restrizioni da Allegato XVII del Reach. BRUXELLES – Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 23 giugno 2016 il Regolamento 2016/1005 della Commissione europea del 22 giugno 2016 che modifica l’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), per quanto riguarda le fibre d’amianto (crisotilo). Il regolamento, in vigore tra venti giorni, apporta una modifica alla restrizione esistente nell’allegato XVII voce 6 del Regolamento Reach riguardante le fibre d’amianto. Restrizione nella quale era stata concessa agli Stati membri la possibilità di concedere una deroga esclusivamente per “l’immissione sul mercato e l’uso dei diaframmi contenenti crisotilo e destinati agli impianti di elettrolisi”. Attualmente, come spiegato nelle considerazioni che introducono il Regolamento 2016/1005 “dei cinque impianti di elettrolisi in relazione ai quali gli Stati membri hanno dichiarato nel 2011 di aver concesso una deroga, sono rimasti in funzione solo due, in Svezia e in Germania“. Per questi impianti quindi e in ogni caso come nuova disposizione generale, visto il fascicolo preparato da Echa nel 2013, vista la consultazione pubblica, l’esame del Rac e del Seac, considerata la decisione di esecuzione 2013/732/UE, “Nell’allegato XVII, voce 6, colonna 2, il paragrafo 1 è sostituito dal seguente: “La fabbricazione, l’immissione sul mercato e l’uso di queste fibre e degli articoli e delle miscele contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati. Tuttavia, se l’uso di diaframmi contenenti crisotilo in impianti di elettrolisi in funzione il [13 luglio 2016] è stato oggetto di una deroga da parte uno Stato membro in conformità al presente punto, nella sua versione in vigore fino a tale data, il primo comma non si applica fino al 1° luglio 2025 all’uso in tali impianti di diaframmi o di crisotilo utilizzato esclusivamente per la manutenzione di detti diaframmi, purché tale uso avvenga nel rispetto delle condizioni di autorizzazione stabilite in conformità alla direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio. Entro il 31 gennaio di ogni anno di calendario gli utilizzatori a valle che beneficiano di tale deroga trasmettono allo Stato membro in cui è situato il pertinente impianto di elettrolisi una relazione indicante il quantitativo di crisotilo utilizzato nei diaframmi a norma della deroga. Lo Stato membro trasmette una copia alla Commissione europea. Qualora, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, uno Stato membro richieda il monitoraggio del tenore di crisotilo nell’aria da parte degli utilizzatori a
  • 19. valle, i risultati devono essere inclusi nella relazione”. Info: Regolamento 2016/1005 Gazzetta europea 23 giugno 2016 Fonte: quotidianosicurezza.it La prima guida del Garante sul nuovo Regolamento UE sulla privacy. A commento del nuovo Regolamento Ue sulla privacy dei dati entrato in vigore il 24 maggio, è uscita la prima la guida del Garante. Come annunciato dall’Autorità italiana per la protezione dei dati personali, si tratta della prima di numerose altre informative, da qui al 25 maggio 2018, data entro la quale gli stati membri UE dovranno far proprio il nuovo strumento operativo in materia di protezione dei dati personali. Il volume rende conto delle principali novità contenute a garanzia dei diritti ma anche delle responsabilità dei singoli cittadini, delle aziende, degli enti pubblici, delle associazioni e dei liberi professionisti. Si occupa di facilitare l’apprendimento del regolamento che: 1) “Introduce regole più chiare in materia di consenso al trattamento dei dati; 2) Definisce i limiti al trattamento autorizzato dei dati personali; 3) Pone le basi per l’esercizio di nuovi diritti; 4) Stabilisce criteri rigorosi per il trasferimento dei dati al di fuori dell’UE per i casi violazione dei dati personali (data breach)”. Il primo capitolo della Guida è titolato Cittadini più garantiti, informazioni più chiare e complete sul trattamento. Al centro dell’attenzione, l’informativa – strumento sia di trasparenza al trattamento dei dati personali che all’esercizio dei diritti. A proposito di questi ultimi, gli interessati: a) dovranno sapere “se i loro dati sono trasmessi al di fuori dell’Ue e con quali garanzie”, b) dovranno sapere “che hanno il diritto di revocare il consenso a determinati trattamenti, come quelli a fini di marketing diretto”. Altre novità trattate nella Guida: diritto all’oblio, diritto alla portabilità dei dati, la nuova figura del Responsabile della protezione dei dati, l’obbligo di comunicare le violazioni e gli attacchi informatici subiti, i limiti alla profilazione delle persone. Ne parleremo in un prossimo articolo. (Articolo di Enzo Gonano) Info: Prima guida informativa sul nuovo Regolamento europeo privacy Fonte: quotidianosicurezza.it