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Introduzionep

Introduzione
Oggigiorno, a causa del numero sempre maggiore di operazioni svolto da
ciascun transistor e dell’aumento della densit{ di questi ultimi nei circuiti
integrati, è necessario, al fine di ottenere un buon funzionamento delle
apparecchiature elettroniche, dissipare una quantità sempre maggiore di
calore. Infatti, il surriscaldamento delle componenti elettroniche è una delle
principali cause di rottura dei dispositivi moderni. Tutto questo sottolinea la
necessità di ideare sistemi di raffreddamento e gestione della temperatura
adeguati. L’ideazione di questi ultimi costituisce, molto probabilmente, la fase
più importante nella progettazione di un sistema elettronico. Inoltre, sistemi
di raffreddamento efficienti devono soddisfare anche altri requisiti, come, ad
esempio, andare incontro ai limiti di spazio e geometrici delle
apparecchiature in cui debbono operare.
Alette di raffreddamento e array di ventole sono stati tradizionalmente
utilizzati per raffreddare sistemi elettronici. Tuttavia, questi tradizionali
mezzi di raffreddamento stanno affrontando una sfida quanto mai ardua nel
tentativo di raffreddare le più moderneapparecchiature, visti i crescenti limiti
di spazio e requisiti di raffreddamento. In gran parte della strumentazione
elettronica attuale si sfrutta il semplice fenomeno di convezione naturale per
il raffreddamento dei circuiti. Tuttavia, sfortunatamente, il potenziale di
raffreddamento della convezione naturale ha raggiunto il suo limite fisico nei
prodotti odierni. Occorre, però, registrare una certa riluttanza nel passaggio
dai metodi convenzionali di raffreddamento all’utilizzo delle ventole, poiché
sono numerosi gli svantaggi associati all’utilizzo dei fan. Un metodo di
raffreddamento che aumenti in maniera significativa lo scambio termico
dovuto alla convezione naturale e che, allo stesso tempo, non presenti molti
dei difetti e svantaggi associati alle ventole, sarebbe una interessante opzione
per svariati prodotti elettronici.
Una delle possibilità più promettenti è costituita dall’utilizzo di getti per il
raffreddamento, in particolare getti sintetici. Fondamentalmente, tale

1
Introduzionep

tecnologia può arrivare a richiedere semplicemente un piccolo altoparlante e
un po’ di elettronica.
I benefici offerti dai getti sintetici dipendono, in un certo qual modo, dal tipo
di applicazione, ma, in generale, sono attesi i seguenti vantaggi quando si
confronta il raffreddamento tramite getti sintetici con quello ottenuto tramite
una ventola, per fissate performance di scambio termico:
rumorosità (nettamente) inferiore
migliore efficienza termodinamica, metà della potenza richiesta
una più alta affidabilità
un più basso rischio di ostruzione, dal momento che la componente
vibrante può essere protetta dall’ambiente circostante
processo di miniaturizzazione più semplice
annullamento della rumorosità relativamente semplice da realizzare
L’obbiettivo del presente lavoro di tesi è determinare il coefficiente di
scambio termico convettivo tra una lastra, riscaldata per effetto Joule, e un
dispositivo per getti sintetici presenti in letteratura, si è scelta quella a getto
doppio. Il getto fluisce da due ugelli a sezione costante, collegati all’apparato
al cui interno è presente il generatore di getti sintetici (nel nostro caso, un
semplice altoparlante). Le misure sono state effettuate mediante un
termografo a scansione all’infrarosso, applicato alla tecnica stazionaria
denominata “heatedthinfoil”, mentre i risultati sono stati espressi in forma
adimensionale in termini del numero di Nusselt.

2
Sommario
Capitolo 1.Analisi Teorica……………………………………………………………………………………….5
1.1Acoustic Streaming e Getti Sintetici……………………………………………………………….5
1.2Strato Limite Termico…………………….………………………………………………………………9
1.3 Temperatura di Ristagno……………………………………………………………………………..12
1.4 Scambio Termico per Convezione……………………………………………………………….13
1.5 Determinazione del Numero di Nusselt:
Analogia di Reynolds…………………………………………………………………………………..17
1.6 Risuonatori di Helmots………………………………………………………………………………..21
Capitolo 2.Studi Precedenti………………………………………………………………………………...26
2.1 Introduzione………………………………………………………………………………………………...26
2.2 Scambio di Calore per Getti Convenzionali…………………………………………………..26
2.3 Scambio Termico per Getti Sintetici……………………………………………………………..30
Capitolo 3. Sensori di Flusso termico…………………………………………………………………….47
3.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………47
3.2 Sensori di Flusso Termico Non Stazionario…………………………………………………..49
3.3 Modello HeatheThinFoil……………………………………………………………………………..51
3.3.1 Elaborazione Numerica delle Immagini ed Estensione al caso
Bidimensionale…………………………………………………………………………………….53
Capitolo 4. Termografia all’ Infrarosso………………………………………………………………….55
4.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………55
4.2 Termografia all’Infrarosso…………………………………………………………………………….56
4.2.1 Radiazioni Infrarosse………………………………………………………………………….56
4.2.2 Leggi Fondamentali……………………………………………………………………………57
4.2.3 Sensori Termografici e loro Caratterstiche………………………………………..61

3
4.2.4 Sistemi per la Termografia all’Infrarosso………………………………………….65
Capitolo 5. Apparato Sperimentale…………………………………………………………………….68
5.1 Apparato Sperimentale………………………………………………………………………………68
5.2 Caratteristiche del Dipole Cooler……………………………………………………………….70
Capitolo 6. Indagine Sperimentale…………………………………………………………………….75
6.1 Riduzione dei Dati Sperimentali…………………………………………………………………75
6.2 Analisi dei Risultati……………………………………………………………………………………..77
6.2.1 Prove con due tubi…………………………………………………………………………..77
6.2.1.1 Gruppo prove 1: Passo tubi 3D……………………………………………..77
6.2.1.2 Gruppo prove 2: Passo tubi 5D……………………………………………..82
6.2.1.3 Gruppo prove 3: Passo tubi 1D……………………………………………..87
6.2.1 Prove con 1 solo tubo………………………………………………………………………91

4
5
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Capitolo 1: Analisi Teorica
1.1Acoustic Streaming e Getti Sintetici
È ben risaputo che un getto genera un suono, mentre non è ben altrettanto
noto che un suono può generare getti. Tale fenomeno è conosciuto come
acoustic streaming (flusso acustico). Un flusso acustico è, essenzialmente, un
flusso generato da un campo sonoro. Fondamentalmente, l’onda acustica
viene attenuata dalla viscosit{ e dall’inerzia del mezzo, dando come risultato
un gradiente di pressione lungo la direzione di propagazione dell’onda,
gradiente di pressione che, a sua volta, esercita una forza sul mezzo, che
conduce ad un flusso d’aria indotto. Faraday, nel 1831, fu il primo a
descrivere empiricamente il flusso che si origina in prossimità di una
superficie vibrante (ad esempio una membrana). Circa 100 anni dopo,
Rayleigh per primo fornì una descrizione teorica del fenomeno che è ancora
assai valida oggigiorno per un’analisi approssimata. Da un punto di vista
teorico, uno dei maggiori problemi consiste nel fatto che l’acoustic streaming
è governato da effetti di tipo non-lineare, motivo per cui non può essere
analizzato utilizzando le equazioni

dell’acustica lineare. Esistono in

letteratura svariate classificazioni del fenomeno, ognuna delle quali
caratterizzata da una propria particolare semplificazione delle Navier-Stokes.
Due panoramiche sulla fisica del fenomeno sono state pubblicate da Lighthill
nel 1978, e da Boluriaan e Morris nel 2003.
La formazione di getti, associata all’oscillazione di membrane o quant’altro, è
stata spesso oggetto di analisi. Già nel 1950, Ingard e Labate [1] riprodussero
onde stazionarie all’interno di un tubo circolare per indurre un campo di
velocità oscillante in prossimità del foro di uscita del tubo stesso; si osservò
come, in prossimit{ dell’orifizio, si formassero getti a partire da treni di anelli
vorticosi. Nel 1975, Mednikov e Novitskii[2] riportarono la formazione di getti
a flusso netto di massa nullo e velocità media pari a 17 m/s inducendo un
campo di velocit{ instazionario a bassa frequenza tramite l’utilizzo di un
6
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

pistone azionato meccanicamente. Nel 1980, Lebedeva[3] creò un getto
circolare dotato di valori della velocit{ fino a 10 m/s tramite l’utilizzo di onde
sonore di grande ampiezza indotte all’interno di un tubo dotato di un orifizio
ad una delle estremità. Un grande contributo alla teoria e alle possibili
applicazioni dei getti sintetici è stato dato dal gruppo guidato dal Prof. Glezer
del Georgia Tech, con sede ad Atlanta. Glezer, insieme a Smith[4], ha
presentato nel 1998 una interessante panoramica relativa alla formazione e
alla evoluzione dei getti sintetici, focalizzando in particolare l’attenzione sui
getti piani bidimensionali, indotti dal movimento di un diaframma portato in
risonanza (1140 Hz) all’interno di una cavit{ sigillata dotata di un foro
rettangolare di dimensioni 0.5x75 mm. L’interazione tra getti sintetici
adiacenti è stata studiata dagli stessi Smith e Glezer.
Un getto sintetico è il prodotto dell’interazione di un treno di vortici generato
dalla eiezione e suzione di fluido attraverso un orifizio, cosicché il flusso
netto di massa attraverso lo stesso è praticamente nullo. Mentre il flusso
durante la fase di suzione può essere pensato simile a quello indotto da un
pozzetto coincidente con il foro, il flusso durante la fase di eiezione è
principalmente confinato in un dominio finito abbastanza limitato che si
sviluppa in prossimit{ dell’asse del getto. Durante la fase di eiezione del
fluido, il flusso si separa in corrispondenza degli spigoli dell’orifizio, così da
formare uno strato vorticoso che tende ad arrotolarsi su se stesso, fino a
formare un vortice (anelli vorticosi o coppie di vortici, a seconda se il foro, da
cui entra e fuoriesce il fluido, è circolare o rettangolare, rispettivamente) che
si allontana dall’orifizio con velocit{ auto-indotta. Il grado d’interazione tra i
vortici e il reversed flow, indotto in prossimit{ dell’orifizio dalla suzione,
dipende dalla forza dei vortici e dalla loro distanza dall’orifizio.
I getti sintetici sono solitamente realizzati imponendo una caduta temporale
periodica di pressione attraverso l’orifizio (caduta che può essere ottenuta
per mezzo del moto di un pistone o di un diaframma, come può essere ad
esempio la membrana di un altoparlante). In studi recenti è stata utilizzata
un’ampia variet{ di attuatori, compresi diaframmi di tipo piezoelettrico
(vedansi gli esperimenti condotti da Smith e Glezernel 1998[4]; da
7
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Mallinsonnel 1999[8]; da Crook sempre nel 1999[9]; da Chen nel 2000[10]),
pistoni mossi elettromagneticamente (come negli esperimenti condotti da
Rediniotis nel 1999[11], e Crook e Wood nel 2001[12]), e cavità guidate
acusticamente (Erk nel 1997[13], McCormick nel 2000[14], Kang sempre nel
2000[15]). Crook[9] ha ideato un generatore di getti sintetici con struttura
accoppiata, che faceva utilizzo di un diaframma piezoelettrico. Modellò il
flusso attraverso l’orifizio utilizzando le equazioni di Bernoulliinstazionarie, e
valutò gli effetti che avevano le variazioni di diametro del foro e di profondità
della cavità sul flusso esterno. Nonostante i risultati ottenuti sulla dipendenza
della velocit{ nel centro del getto nei confronti del diametro dell’orifizio e
della profondità della cavità fossero abbastanza distanti da quelli previsti, i
trend erano abbastanza simili. Più recentemente, Chen[10] ha concentrato i
suoi studi sull’utilizzo di attuatori piezoelettrici per getti sintetici, studiando
il comportamento di una grande varietà di dischi piezoceramici aventi
differenti proprietà meccaniche e spessore e diametro variabili.
Il complesso campo di moto all’interno della cavit{ dell’attuatore è stato
trattato principalmente dal punto di vista numerico. Per esempio, Rizzetta [16]
(1998) utilizzò le equazioni di Navier-Stokesinstazionarie compressibili per
simulazioni numeriche relative sia al fluido interno alla cavità che a quello in
prossimit{ dell’orifizio.In queste simulazioni, che vennero condotte sia per
un fissato numero di Reynolds che per una fissata profondità della cavità ,il
moto era suggerito da una parete mobile posta sul lato opposto all’orifizio.
Durante la fase di suzione, una coppia di vortici contro-rotanti si formava in
prossimit{ degli spigoli interni dell’orifizio, urtava contro la parete opposta, e
si dissolveva in prossimità del centro della cavità (apparentemente a causa
dell’iniezione di vorticità di senso opposto a partire dallo strato limite sulla
parete), prima che il successivo ciclo di eiezione avesse inizio. Per un dato
numero di Reynolds, la forza delle coppie di vortici che si originavano su
entrambi i vertici dell’orifizio tendeva ad aumentare al diminuire della
profondità della cavità (come è stato anche confermato da studi successivi
condotti da Lee e Goldstein[17] nel 2000).

8
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Nell’analisi svolta da Smith e Glezer[4] (1998), si è sviluppato un getto
sintetico bidimensionale mediante un orifizio rettangolare (ampio 0.5
mm),posizionato su una delle pareti di una cavità sigillata poco profonda,
utilizzando un diaframma piezoelettrico, montato su uno dei lati della cavità
(quello opposto all’orifizio), portato in risonanza (1140 Hz). Un’immagine
Schlieren nel piano x-y del getto mostra una coppia di vortici formatasi in
prossimit{ dell’orifizio così come il profilo di un getto turbolento più a valle
(fig.1).

Figura 1 – (a) Diagramma schematico per un attuatore di getti
sintetici; (b) Immagine Schlieren di un getto sintetico rettangolare.

Nonostante la coppia di vortici e il rimanente fluido espulso appaiano
laminari dopo che il roll-up è completato, i centri delle coppie di vortici
diventano instabili e cominciano a scomporsi in moti di piccola scala
approssimativamente a t/T = 0.5 (ossia all’inizio della fase di suzione, a met{
periodo). Similmente a quanto accade per un anello vorticoso isolato, l’inizio
della transizione sembra avvenire in prossimità del punto di ristagno della
coppia vorticosa, dove gli stress sono più elevati.
Un anello vorticoso assialsimmetrico può essere definito mediante due
parametri adimensionali (Didden[18] e Glezer[4]). Il primo parametro è la
lunghezza adimensionale di “stroke” L0/d, dove L0 è dato da:

9
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

in cuiu0(t) è la velocità nella direzione di propagazione del getto (valore
medio sull’area dell’orifizio), è il tempo di scarico e d è la lunghezza di scala
caratteristica dell’orifizio. Il secondo parametro è il numero di Reynolds,
basato sull’impulso (la quantit{ di moto associata al flusso “scaricato”
dall’orifizio), ed è dato da:

dove

, in cui e

sono la densità e la viscosità del

fluido, rispettivamente. Un numero di Reynolds alternativo può essere
definito mediante la circolazione del getto libero espulso, oppure tramite la
velocit{ media nel tempo a livello dell’orifizio. Per fori non circolari, l’AR
dell’orifizio può influenzare la distorsione fuori dal piano dei vortici, e quindi
l’evoluzione di questi ultimi (Dhanak&Bernardinis[19], 1981).
Quando i vortici vengono generati periodicamente nel tempo per dar vita ad
un getto, un importante parametro è costituito dalla frequenza di formazione
f, mentre la frequenza adimensionale

è una misura dell’impulso totale per unit{ di tempo, pertanto può essere
utilizzato come parametro per caratterizzare getti differenti in base alla loro
forza.
Alcuni dettagli sulla formazione dei vortici del getto sono stati oggetto di
studio di Rediniotis[11] (1999), il quale ha utilizzato un getto circolare (D =
2mm)realizzato mediante uno shaker. Per un fissato numero di Reynolds
(ReD= 200), si osservava la formazione del getto per L0/D = 1.6 e St = 0.2
(calcolato utilizzando la velocità massima in uscita); mentre per L0/D = 0.16 e
per St = 2, il fluido espulso era ricacciato all’interno della cavit{ durante la
fase di suzione, e quindi non si assisteva alla formazione di alcun getto.

10
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Crook e Wood[12] (2001) hanno condotto degli esperimenti sull’interazione
tra vortici all’interno di un getto sintetico circolare operante a 50 Hz. Per
quattro numeri di Reynolds (con valori compresi tra 660 e 2300) e altrettanti
valori corrispondenti del rapporto L0/D (valori compresi tra 2.56 e 8.9), i
vortici crescevano nelle dimensioni, e non veniva visualizzata alcuna
interazione tra vortici successivi. Tuttavia, per bassi numeri di Reynolds (ReD
= 330, L0/D = 1.28), la velocità dei vortici era bassa al punto che il moto
risultasse chiaramente affetto dalle forze ascensionali dovute alle particelle
traccianti di fumo.

1.2 Strato Limite Termico
Lo strato limite è la zona in cui si verificano gli scambi di quantità di moto e
di energia tra la lastra ed il fluido. Studi sullo strato limite sono stati condotti
da Prandtl, che, tra l'altro, valutò l'influenza della viscosità, nel caso di campi
di moto ad elevato numero di Reynolds, in una ristretta zona adiacente alla
lastra dove si sviluppavano elevati gradienti di velocità, tali da generare
considerevoli sforzi dissipativi τ. Nello strato limite la velocità passa con
continuità dal valore nullo a quello del flusso indisturbato. In questa zona,
assunto un sistema di riferimento solidale alla lastra con l'asse X parallelo
alla direzione del flusso indisturbato e l'asse Y normale a quest'ultima, il
gradiente di velocità nella direzione normale alla superficie della lastra

v
y

è molto forte, e, sebbene la viscosità assuma valori bassi (caso dell'aria), lo
sforzo dissipativo

v

è molto grande. Se si indica con L la lunghezza

y

caratteristica entro la quale avviene lo scambio di quantità di moto tra fluido
e superficie solida, l'esatta soluzione delle equazioni di Navier-Stokes trovata
da Prandtl (che non sarà qui riportata) fornisce lo spessore dello strato limite
dinamico "

s

", inversamente proporzionale alla radice quadrata del numero

di Reynolds:
11
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

1

S

Re

L

VL

dove Re

rappresenta l'importanza relativa tra il flusso convettivo di

quantità di moto
V
L

VV e il flusso diffusivo di quantità di moto irreversibile

. Analogamente, occorre determinare lo spessore dello strato limite

termico (esiste scambio termico fra il fluido e la lastra solo nell'intorno del
corpo). Dall'equazione dell'energia, scritta per un fluido omogeneo e
isotropo, in termini di temperatura:

Cp

DT

2

Dp

Dt

k

Dt

2

T

x

2

T

2

T

2

z

2

y

Nel caso di moto stazionario si può scrivere:

Cp u

T

v

x

T

w

2

T

y

k

z

T

x

2

2

2

y

2

T

z

T

2

u

p

v

x

p

w

y

p
z

L'equazione differenziale su scritta può essere semplificata effettuando
l'analisi dimensionale che, tramite i numeri (o gruppi) adimensionali,
permette di valutare in maniera quantitativa l'importanza relativa dei
membri dell'equazione. In prima istanza sono stabiliti i valori di riferimento
delle variabili presenti nell'equazione,
adimensionalizzate:

la

temperatura

rispetto ai quali esse sono

sarà

riferita

all'incremento

di

temperatura adiabatico (ΔT), la pressione alla pressione dinamica della
corrente indisturbata

U

2

, la densità alla densità

della corrente

indisturbata. Stabilito ciò, l'equazione si trasforma in :

u

v
x

1

w
y

z

Re Pr

2

x

2
2

y

2
2

dove:
T
T

= Temperatura adimensionale;

12

z

2

Ec

v
x

Ec

w
y

z

Re
Capitolo 1________ ______________________________________

p
u

Re

Pr

= Pressione adimensionale;

2

LU

CP
k

Ec

u

Analisi Teorica

= Numero di Reynolds;

= Numero di Prandtl;

2

Cp T

= Numero di Eckert;

Poichè per i gas il numero di Prandtl è di ordine di grandezza unitario, si può
considerare che i termini conduttivi siano dello stesso ordine di grandezza di
quelli convettivi. I flussi conduttivi esistono dove vi sono gradienti di
temperatura. Indicando con

t

lo spessore dello strato limite termico e sotto
2

l'ipotesi di moto bidimensionale, trascurando il termine

x

2

rispetto al

2

termine

y

2

, i termini conduttivi sono dello stesso ordine di grandezza di

quelli convettivi se

t

1

Re Pr

. Per tener conto della dissipazione di

s

energia cinetica nel getto a causa dell'attrito e del riscaldamento per
compressione si può esprimere

t

f (Re, Pr, Ec ) , in cui il riscaldamento per

s

attrito acquista un certo peso nello scambio termico globale solo se Ec è di
ordine unitario.

1.3Temperatura di Ristagno

13
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Il getto, incidendo sulla lastra, può dar luogo (nel caso comprimibile) a
riscaldamento legato all'attrito ed alla compressione. Il riscaldamento per
compressione può essere valutato dall'equazione dell'energia con l'ipotesi di
moto stazionario di un fluido ideale e cattivo conduttore. L'equazione:
Cpw

T

p

w

t

t

fornisce la relazione esistente tra temperatura e pressione lungo la linea di
flusso. Dividendo per ρw ed integrando lungo tutta la linea di corrente, si
ottiene:
s

C p T0

1 dp

p

s

ds

p

T

dp

per l'ipotesi di moto non dissipativo è valido il trinomio di Bernoulli nella
forma:
w

2

dp

cos t

2

da cui:
T0

T

1

w

2

w

2

2C p

ed imponendo la condizione di ristagno (w = 0), l'incremento di temperatura
causato dalla compressione adiabatica vale:

T0

T

T

w
ad

2

2C p

dove w è la velocità della corrente libera, T 0 è la temperatura di ristagno e
T

ad

è l'incremento di temperatura adiabatico.

1.4 Scambio Termico per Convezione

14
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

In alcune applicazioni può risultare utile la valutazione dei coefficienti di
scambio termico convettivo h, definito come la quantità media scambiata
sulla superficie del corpo considerato: il coefficiente di scambio termico è
riferito alla differenza di temperatura esistente tra la superficie del corpo e il
fluido. La potenza termica scambiata per convezione tra il contorno di un
solido e un fluido, per unità di area e per unità di tempo, è esprimibile
mediante la legge di Newton:

q

dove

h (T

Tw )

è la temperatura di parete. L'espressione del flusso termico sopra

riportata riflette una impostazione prettamente ingegneristica al problema,
nel momento in cui ci si propone di determinare il coefficiente h mediante
l’impiego di correlazioni tra parametri adimensionali di validit{ abbastanza
generali, determinate, cioè, sotto certe condizioni, una volta per tutte. Da un
punto di vista fisico, osservando che sulla superficie del corpo la velocità
relativa della corrente è nulla, si può considerare che lo scambio termico sia
di tipo puramente diffusivo (conduzione). Allora il flusso di calore in
direzione y sulla parete è dato dalla legge di Fourier :

Naturalmente la relazione sopra riportata consente di valutare il flusso
termico una volta risolto il campo di moto e, quindi, in particolare,
determinata la distribuzione delle temperature. Uguagliando le espressioni
nei due diversi approcci, si può scrivere

che è la relazione dalla quale si può ricavare h. Essa può essere
adimensionalizzata, dunque si può definire un parametro caratteristico
adimensionale, funzione di pochi altri parametri adimensionali, detto numero
di Nusselt. Ponendo infatti

15
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

si ottiene

E, definendo il numero di Nusselt come

risulta infine

da cui si deduce che il numero di Nusselt dipende dalla particolare soluzione
del campo di moto. Il primo passo da compiere per risolvere un problema di
scambio termico per convezione è la risoluzione del campo di moto tramite le
equazioni di continuità, bilancio di quantità di moto e di energia interna, con
le opportune condizioni al contorno. Le incognite, in generale, sono ρ, u, v, p e
T. Per impostare il sistema di equazioni necessarie alla soluzione del campo
di moto, di cui il numero di Nusselt è funzione, si formulano le seguenti
ipotesi :
Moto stazionario
Moto bidimensionale piano
Moto incomprimibile
Trascurabilità degli effetti gravitazionali
In forma scalare il sistema è composto da quattro equazioni, una per la
conservazione della massa, due per il bilancio di quantità di moto (moto 2D)
e una per il bilancio di energia interna.

16
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Nelle due equazioni di quantità di moto il primo membro rappresenta la forza
d’inerzia, data dal solo termine convettivo per l’ipotesi di stazionariet{, e il
secondo membro le forze applicate, di pressione e di tipo viscoso. Si noti che
le equazioni sono state scritte nell’ipotesi di

e quindi di

trascurabilit{ degli effetti gravitazionali. L’ultima equazione, il bilancio di
energia interna, è stata scritta in termini di entalpia specifica
.
Per gas piuccheperfetti una variazione di h è proporzionale ad una variazione
di temperatura per mezzo del calore specifico a pressione costante
. Il primo membro del bilancio dell’energia è il termine convettivo,
il primo termine al secondo membro è quello diffusivo, regolato dalla legge di
Fourier, e gli altri due sono i termini di generazione: uno è dovuto alla
pressione e l’altro è proporzionale a

, detta funzione di dissipazione,

definita dal doppio prodotto scalare del gradiente del vettore velocità, parte
simmetrica a traccia nulla, per se stesso. A velocità relativamente basse, in
genere, questo termine, come si vedrà, viene trascurato. Formulando, infine,
anche l’ipotesi che le propriet{ del fluido, quali coefficiente di viscosit{,
coefficiente di conducibilità termica, calore specifico, siano costanti,
l’equazione dell’energia risulter{ disaccoppiata da quelle della quantit{ di
moto, ossia, una volta risolto il campo delle velocità, il campo delle
temperature potr{ poi essere determinato dalla sola equazione dell’energia.
Il sistema di quattro equazioni scalari deve essere risolto con opportune
condizioni al contorno al fine di trovare il campo di velocità e di temperatura

17
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

e risalire così al numero di Nusselt e quindi ad h. Una volta
adimensionalizzato, il sistema di equazioni si presenta come segue:

Le grandezze adimensionali sono

ed entrambi i membri dell’ultima equazione sono stati divisi per
.
I tre numeri adimensionali che compaiono sono
Numero di Peclet
Numero di Reynolds
Numero di Eckert
con

, diffusività termica,e

, coefficiente di viscosità cinematica.Il

numero di Eckert somiglia in qualche modo al numero di Mach al quadrato e,
come quest’ultimo, è indicativo della velocit{ del flusso ed è trascurabile per
campi di moto caratterizzati da velocit{ relativamente basse. Dall’espressione
dell’equazione dell’energia adimensionalizzata si nota che l’ultimo termine, in
cui compare il rapporto

, è trascurabile a basse velocità, come già

anticipato ed ora verificato dall’analisi degli ordini di grandezza nelle
equazioni adimensionalizzate. Integrando le quattro equazioni con le
condizioni al contorno
Velocità nulla sulla parete:

18
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Campo di velocità indisturbato a distanza infinita dal corpo:

Temperatura adimensionale di parete nulla:
Temperatura adimensionale unitaria a distanza infinita dal corpo:

Si otterrà la funzione

. Si noti che i tre numeri

adimensionali di cui è funzione la temperatura sono dati del problema, noti i
quali, una volta risolto il sistema di equazioni, è possibile conoscere il campo
di temperatura ovunque nel campo di moto bidimensionale. Si avrà dunque:

Infatti, essendo il numero di Nusselt, a meno del segno, la derivata della
temperatura adimensionale rispetto alla coordinata
è eliminata la dipendenza di Nu da

valutata sulla parete,

.

1.5 Determinazione del Numero di Nusselt:
Analogia di Reynolds
L’espressione del numero di Nusselt può essere trovata vantaggiosamente
senza risolvere caso per caso il sistema di equazioni. Alla base di questo
risultato sono essenziali i concetti della similitudine fluidodinamica e
dell’analogia dei meccanismi di scambio della quantit{ di moto e dell’energia.
A tal fine si formuli una ulteriore ipotesi, che Ec<<1, corrispondente alla
situazione di velocità relativamente bassa. Al fine di semplificare le equazioni
di bilancio di quantità di moto e di energia si supponga che il numero di
Reynolds della corrente sia abbastanza elevato da poter considerare gli effetti
viscosi confinati all’interno dello strato limite. Si esporranno ora i concetti ed
i risultati fondamentali della teoria dello strato limite, in base ai quali le
variazioni delle grandezze termofluidodinamiche nella direzione

(intesa

come perpendicolare al corpo) sono preponderanti rispetto alle stesse in
19
Capitolo 1________ ______________________________________

direzione

Analisi Teorica

(nella direzione del moto). Gli ordini di grandezza sono stimati

in termini di potenze dello spessore adimensionalizzato dello strato limite. La
velocità verticale è ipotizzata di un ordine di grandezza inferiore rispetto a
quella orizzontale. Secondo la teoria classica formulata da Prandtl, inoltre,
all’interno dello strato limite l’intero termine convettivo è dello stesso ordine
di quello viscoso. Scrivendo l’equazione del bilancio della quantit{ di moto
lungo

nello strato limite si ottiene, nelle ipotesi fatte, che

cioè che, a meno di termini di ordine superiore, la pressione si trasmette
inalterata nella direzione verticale. Ciò

vuol dire, fisicamente, che la

pressione sul corpo è uguale a quella sul bordo dello strato limite e che,
quindi, la pressione nello strato limite coincide con quella che si può
determinare attraverso la soluzione non viscosa nel campo esterno. Allo
stesso tempo, nelle ipotesi di comportamento aerodinamico simile a quello
della lastra piana, dalla soluzione non viscosa si ha

Il campo di pressione sarà quindi uniforme e pari al suo valore

a distanza

infinita dal corpo. L’equazione della quantit{ di moto nella direzione del
corpo si semplifica come

in cui, per quanto detto prima, il gradiente di pressione, in situazioni in cui
non è nullo, è da ritenere un termine noto. Il corpo, oltre a rappresentare un
disturbo per il campo di velocità, rappresenta un disturbo anche per quello
termico. Quanto detto per le variazioni di velocità nello strato limite
dinamico vale anche per le variazioni di temperatura, concentrate anch’esse
in una piccola regione nelle immediate vicinanze del corpo, detta strato limite
termico. L’ipotesi che si fa all’interno dello strato limite termico è la

20
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

trascurabilità delle variazioni seconde di temperatura in direzione x rispetto
a quelle in direzione y

Alla luce di tutte queste semplificazioni (strato limite, lastra piana a incidenza
nulla e Ec<<1) le equazioni di bilancio di massa, quantità di moto e energia si
scrivono

Le incognite sono diventate

; esse devono rispettare le condizioni al

contorno:
sul corpo

sul bordo dello strato limite

L'espressione del numero di Peclet è

e poiché per l'aria

, si può ulteriormente porre

.Sostituendo

nell'equazione del bilancio dell'energia si ottiene il nuovo sistema

Le ultime due equazioni sono formalmente identiche e, per quanto già detto,
vanno risolte con identiche condizioni al contorno. Ne consegue che, dopo
avere calcolato il campo delle velocità, il campo termico deve soddisfare una

21
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

equazione che è formalmente la stessa della quantità di moto. Da ciò discende
che

Questo risultato è detto analogia di Reynolds: i fenomeni termici sono dello
stesso ordine di grandezza degli scambi di quantità di moto di tipo diffusivo.
Da ciò si deduce che per ottenere il numero di Nusselt si può prescindere,
nelle ipotesi fatte, dal risolvere l’equazione dell’energia. Infatti, a meno del
segno,

che in termini dimensionali diventa

Moltiplicando e dividendo per il coefficiente di viscosità dinamica
ricordando l'espressione dello sforzo alla parete

Moltiplicando e dividendo per la pressione dinamica
coefficiente d'attrito

, si ottiene

e cioè

In pratica si ottiene

22

e

, si ha

e introducendo il
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Se l'ipotesi nelle quali si ricavano questi risultati non sono soddisfatte
valgono comunque relazioni del tipo

dove il coefficiente A dipende essenzialmente dalla geometria del sistema in
esame mentre B è approssimativamente uguale a 0,5 in moto laminare. In
moto turbolento si ha

quindi

con c,c' coefficienti costanti.

1.6 Risuonatori di Helmholtz
I risuonatori di Helmholtz sono delle particolari cavità risonanti acustiche,
create da Hermann von Helmholtz nel 1860 per lo studio del suono e della
sua percezione. Possono essere semplicemente costruiti come dei recipienti
di metallo (in genere sferici o cilindrici) di varie dimensioni, con una stretta
apertura preceduta da un breve e stretto collo (fig.2).

Figura 2 – Risuonatore sferico in ottone (1890 – 1900 circa)

23
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

Mettendo in oscillazione l’aria contenuta in un risuonatore (per esempio
soffiando di taglio nell’imboccatura, o, semplicemente, esponendo il
risuonatore ad una fonte di onde sonore), si generano al suo interno onde
stazionarie in risonanza con la frequenza propria della cavità, che, quindi, si
comporta come un amplificatore selettivo del suono in un ristretto intervallo
di frequenze.Un banco di risuonatori di dimensioni differenti, quindi, può
essere utilizzato come uno strumento analogico di analisi del suono. In
presenza di un suono complesso il banco di risuonatori lo scompone nelle sue
componenti pure. La risposta di ciascun risuonatore sarà proporzionale
all’intensit{ con cui la frequenza corrispondente contribuisce a formare il
suono da analizzare. Si tratta, in pratica, di un rudimentale sistema meccanico
in grado di effettuare un’analisi di Fourier in tempo reale. Grazie
all’elettronica, naturalmente, queste operazioni sono svolte da un opportuno
banco di filtri che operano su un segnale elettrico, ottenuto dall’originale
sonoro grazie ad un microfono. Una delle possibili applicazioni della
risonanza di Helmholtz consiste nel subwoofer presente nei moderni
impianti Hi-Fi. La risonanza di Helmholtz di una cassa di legno di dimensioni
adeguate può infatti facilitare l’irraggiamento di un altoparlante alle basse
frequenze. Al di sotto di circa 80 Hz l’efficienza di irraggiamento degli
altoparlanti classici diminuisce drasticamente, e, senza l’aiuto della
risonanza, sarebbe impossibile emettere onde sonore con alti livelli di
intensità.
Solo due parametri descrivono completamente un risuonatore: la sua
frequenza di risonanza e l’efficienza con cui esso risuona (ovvero l’intervallo
di frequenze alle quali si ottiene una risposta). Affinché il risuonatore sia
ideale supponiamo che, durante l’oscillazione della massa d’aria, l’aria stessa
non esca dal recipiente, e che si muova senza attrito. In queste ipotesi l’aria
contenuta nel recipiente si comporta come una molla ideale. E’ quindi
semplice concepirne un modello meccanico “a costanti concentrate”, cioè
considerando l’aria nel corpo della cavit{ come un’entit{ priva d’inerzia, ma
dotata di elasticit{, mentre l’aria nel collo come un’entit{ dotata di inerzia, ma
avente elasticità trascurabile. Queste approssimazioni sono giustificate dal
24
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

fatto che nel corpo rigido e chiuso del recipiente, l’aria è sostanzialmente
immobile, mentre mantiene la sua comprimibilità elastica, mentre nel collo
aperto l’aria è libera di muoversi con una velocit{ finita come un unico
blocco, quindi, sostanzialmente senza modificare il proprio volume.
I parametri che descrivono il risuonatore ideale sono:
la sezione del collo A (m2)
il volume del corpo della bottiglia V (m3)
la densit{ dell’aria a riposo

0

(kg/m2)

la velocit{ del suono nell’aria c (m/s)
Il risuonatore di Helmholtz è una bottiglia con un collo molto piccolo rispetto
al corpo, cioè deve valere la relazione V>>Al , dove l è la lunghezza del collo
della bottiglia. Il sistema è del tutto equivalente al sistema meccanico massamolla (fig.3).

Figura 3 – Analogia tra sistema massa – molla e risuonatore di Helmholtz

L’aria all’interno del corpo cavo corrisponde alla molla, in virtù del fatto che è
comprimibile. Maggiore è il volume V del recipiente minore è la sua costante
elastica equivalente (cioè meno rigido è il sistema). La costante elastica
equivalente:

25
Capitolo 1________ ______________________________________

Analisi Teorica

L’aria presente nel collo corrisponde alla massa oscillante. La sua
caratteristica principale è l’inerzia che essa possiede una volta messa in
oscillazione. Essendo in piccola quantità la sua comprimibilità è trascurabile.
Un’imboccatura stretta tende ad immobilizzare l’aria (grande inerzia),
mentre con un’imboccatura larga è molto facile spostare l’aria dentro e fuori
dalla bottiglia. La massa d’aria all’interno del collo del risuonatore è data da:

La frequenza di risonanza del sistema si può ricavare in completa analogia
con la frequenza di oscillazione di un sistema massa-molla

Sostituendo i valori calcolati in precedenza troviamo:

Il fatto che un po’ d’aria possa fuoriuscire dal recipiente durante ogni
oscillazione ne aumenta di fatto la componente inerziale, e quindi comporta
una correzione sensibile alla frequenza. Poiché l’effetto netto della fuoriuscita
di aria è equivalente ad avere un collo leggermente più lungo, la correzione si
può tradurre in una “lunghezza efficace” da usare nella formula della
frequenza al posto della “lunghezza reale” del collo. La lunghezza efficace è
data dalla seguente formula empirica:

26
Capitolo 1________ ______________________________________

27

Analisi Teorica
Capitolo 2Studi Precedenti

Capitolo 2: Studi Precedenti
2.1 Introduzione
Mentre da una parte abbiamo una vastissima letteratura sullo scambio
termico innescato da getti impingenti, dall’altra il numero di studi sul
raffreddamento per mezzo di getti sintetici è assai limitato e, per la maggior
parte, si tratta di lavori risalenti solo agli ultimi dieci anni. Prima di passare
alla trattazione dello scambio termico dovuto a getti sintetici, è necessaria
una disamina sui getti in generale, e sullo scambio termico da essi innescato.

2.2 Scambio di Calore per Getti Convenzionali
Una panoramica sulle caratteristiche in termini di scambio termico e
trasferimento di massa sui getti raffreddanti superfici solide è stata
presentata da Martin[20]. Lo scritto in questione è una raccolta dei dati
sperimentali e delle formule empiriche ottenute in anni di ricerca. Nel testo
sono trattati diversi tipi di getti; la nostra attenzione si è concentrata
soprattutto sull’azione di raffreddamento svolta da getti generati da ugelli
singoli (nel testo indicati come Single Round Nozzles).
Il flusso di un getto impingente, originato da un singolo ugello circolare, può
essere suddiviso in tre regioni caratteristiche ben distinte: la regione di getto
libero, la regione di flusso di ristagno, e la regione di flusso radiale, anche
definita come regione del getto di parete. Il campo di velocità di un getto
impingente è mostrato schematicamente in fig.4.

26
Capitolo 2Studi Precedenti

Fig. 4 – Regioni di moto per un getto singolo su lastra piana

Le variabili che influenzano i trasferimenti di massa e di calore per un getto
impingente sono, da una parte, la portata di massa, il tipo e lo stato del gas;
dall’altro, la forma, le dimensioni e la posizione dell’ugello rispetto alla
superficie solida. Inoltre, occorre considerare le condizioni al contorno
idrodinamiche, termiche e materiali. Le condizioni idrodinamiche a contorno
sono fornite dalla distribuzione di velocit{ all’uscita dell’ugello e sulla
superficie solida su cui il getto impinge. Si è soliti assumere che tutte le
componenti di velocità si annullino sulla superficie (superficie a riposo ed
impermeabile), e che la velocit{ del gas all’uscita dall’ugello sia equamente
distribuita lungo la sezione del getto.
Il coefficiente di scambio termico può essere scritto come il rapporto tra il
flusso di calore e la differenza di forza motrice tra uscita dall’ugello e
superficie:
.
Una volta fissate le condizioni al contorno (precedentemente elencate), il
coefficiente di scambio termico può essere scritto in forma adimensionale:
.

27
Capitolo 2Studi Precedenti

La lunghezza caratteristica scelta per il numero di Nusselt e il numero di
Reynolds è il diametro idraulico dell’ugello. Per il numero di Reynolds si
utilizza la velocit{ media all’uscita dall’ugello, calcolata a partire dalla portata
di massa totale.
Per calcoli pratici di tipo ingegneristico è possibile utilizzare il seguente
formula:

dove

è il coefficiente di trasferimento di calore medio integrale. La formula

precedente è valida per qualsiasi tipo di ugello. Nel caso di ugello singolo
circolare con diametro pari a d (D in fig.2), la formula precedente può essere
scritta come:

Anche questo coefficiente può essere espresso in forma adimensionale:

dove z è la lunghezza indicata in fig.2 come H, e r è la distanza radiale dal
punto di ristagno del getto.
Sempre per ugelli circolari singoli, vale la seguente relazione:

dove Sc è il numero di Schlunder, Sh è il coefficiente di scambio di massa
adimensionalizzato e Pr è il numero di Prandtl. Tale equazione ha il merito di

28
Capitolo 2Studi Precedenti

legare lo scambio di massa allo scambio termico, ma è applicabile solamente
per distanze radiali, a partire dal punto di ristagno, di 2.5 diametri di ugello.
Per determinare F(Re) si è soliti utilizzare la seguente equazione:

Il range di validità delle ultime due equazioni è il seguente:

In fig.5 è riportato l’andamento del flusso di calore (e del flusso di massa) in
funzione del numero di Reynolds, nel caso di lastra circolare riscaldata
investita da un getto proveniente da un ugello circolare. La curva è il risultato
di studi condotti da Schundler e Gnielinski, Petzold, Gardon e Cobonpue,
Brdlick e Savin, e Smirnov.

Figura 5 – Scambio di massa e calore tra una lastra circolare e un getto impingente (ugello
circolare singolo).

29
Capitolo 2Studi Precedenti

2.3 Scambio Termico per Getti Sintetici
Mentre

esiste

una

letteratura

abbastanza

estesa

e

completa

sul

raffreddamento ad aria tramite l’utilizzo di getti convenzionali di pareti
riscaldate, l’idea di utilizzare i getti sintetici per incrementare lo scambio
termico di una superficie calda è relativamente recente. E, come conseguenza,
non abbiamo in letteratura una relazione per lo scambio termico in funzione
delle caratteristiche del getto sintetico così come avviene per i getti semplici.
Ciononostante, la relazione (eq.1) è stata utilizzata da Garg[21] anche per i
getti sintetici, al fine di prevedere i valori del coefficiente di scambio termico
che sarebbero poi stati ricavati sperimentalmente. I risultati hanno mostrato
come un confronto con i valori di picco portava ad una netta differenza tra i
dati sperimentali ricavati e i valori previsti mediante l’uso della precedente
equazione. Mentre utilizzando i valori medi nel tempo della velocità era
possibile ottenere una certa coerenza tra dati sperimentali e valori calcolati.
Tutto questo porta ad una interessante conclusione: la velocità media nel
tempo del getto sintetico è il parametro più importante per definirne
l’efficacia in termini di scambio termico dello stesso[22].
Gli studi più importanti sull’utilizzo dei getti sintetici come coolingdevices
sono stati condotti solamente nell’ ultima decade.
Nell’articolo pubblicato da Valiorgue[23] si indagava il meccanismo di scambio
termico per un getto sintetico circolare, impingente su di una lastra
riscaldata, per una distanza adimensionalizzata getto superficie z/d
(nell’articolo indicata come H/D, dove D è il diametro del foro di uscita del
getto) molto piccola, in particolare pari a 2. La performance di scambio
termico veniva caratterizzata come una funzione della strokelengthL0/d e del
numero di Reynolds. Negli esperimenti condotti, il getto sintetico veniva
prodotto mediante l’ausilio di una cavit{ chiusa da un lato da un altoparlante,
e dall’altro da un lastra forata. Il diaframma oscillante dello speaker muoveva
l’aria presente all’interno della cavit{, facendola passare attraverso l’orifizio
(del diametro di 5mm e profondo 10mm), generando così un getto pulsante

30
Capitolo 2Studi Precedenti

diretto verso una superficie riscaldata, costituita da un substrato di
poliestere spesso 170µm su cui era stato depositato a vuoto uno strato di
argento di spessore 3.5nm. Il flusso locale convettivo

era stato determinato

a partire dalla potenza elettrica, e corretto tenendo conto delle perdite di
calore dovute a radiazione e convezione nella parte inferiore della lastra, e
dalle perdite di calore dovute a radiazione nella parte superiore della stessa.
Gli effetti sullo scambio termico locale (media nel tempo dei valori osservati)
sono mostrati in fig.6, mentre in fig.7 è mostrato il percorso dei vortici (con
gli otto cerchi indicanti la posizione degli stessi negli 8 differenti stadi in cui è
stata suddivisa la fase di espulsione ).

Figura 6 – Influenza dei vortici impingenti sul coefficiente di scambio termico medio.

Figura 7 – Percorso dei vortici impingenti.

Il raggio del cerchio e lo spessore della linea con cui è tracciato indicano,
rispettivamente, il raggio equivalente del vortice e la forza dello stesso. Fig.8
mostra l’effetto dei vortici sul profilo radiale del coefficiente di scambio
termico locale. In particolare, il grafico mostra l’andamento, in funzione della
distanza radiale, del numero di Nusselt normalizzato con il suo valore di
31
Capitolo 2Studi Precedenti

ristagno, plottato in fig.9 in funzione della strokelengthL0/z. Il coefficiente di
scambio termico ha un picco in corrispondenza del punto di ristagno (r/d =
0), e rimane su valori alti fino a r/d = 0.75, prima di diminuire in maniera
drastica. L’estensione della regione ad alto coefficiente di scambio termico
può essere spiegata tenendo conto dei risultati, ottenuti dagli stessi
ricercatori, relativamente al campo di moto durante l’impingimento del getto
sulla lastra (fig.8). Infatti, come mostrato in figura, il centro del vortice è
approssimativamente a r/d = 0.89 nel momento in cui il vortice impinge sulla
lastra. Il coefficiente di scambio termico decresce poi in maniera monotona al
crescere del raggio. Per valori di r/d compresi tra 2.5 e 3 è possibile
individuare un piccolo picco secondario, dovuto anch’esso all’azione di un
vortice, seppur piccolo e non molto forte, come è possibile evincere da fig.6.
Come mostrato in fig.9, il vortice si allontana dalla superficie a r/d = 3 e,
successivamente, si dissolve. Si evince quindi che l’estensione del vortice
coerente corrisponde al raggio di influenza in termini di scambio di calore.

Figura 8 – Numero di Nusselt di ristagno in
funzione della strokelengthL0/H per un getto
sintetico circolare impingente a H/D=2.

32
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 9 – Profili di velocità media di fase dei vortici impingenti.

Esperimenti sul raffreddamento di una lastra piana tramite l’utilizzo di getti
sintetici prodotti tramite un ugello circolare sono stati condotti anche da
Chaudhari[24], dell’IndianInstitute of Technology di Mumbai. In particolare, si
è analizzata la dipendenza del coefficiente di scambio termico nei confronti
della distanza assiale tra superficie riscaldata e foro di uscita del getto, in
funzione di alcuni parametri.

33
Capitolo 2Studi Precedenti

L’apparato sperimentale utilizzato è riportato in fig.10

Figura 10 – Schema dell’apparato sperimentale e parametri dimensionali rilevanti.

Un primo set di risultati è stato sviluppato in termini di dipendenza del
coefficiente di scambio termico da parametri dimensionali: frequenza di
oscillazione del diaframma mobile, diametro dell’orifizio, profondit{ della
cavit{ e lunghezza dell’orifizio. I risultati ricavati sono riportati nelle figure
da 10 a 13. Si evince, quindi, come, per una fissata ampiezza dell’oscillazione
(voltaggio in input allo speaker pari a 4Vrms), la frequenza di oscillazione
della membrana, il diametro dell’orifizio e la lunghezza dell’orifizio abbiano
un’influenza molto forte sullo scambio termico, mentre la profondit{ della
cavità ha un effetto abbastanza limitato. L’effetto della frequenza di
oscillazione e del diametro dell’orifizio sul coefficiente di scambio termico è
di tipo non monotono, mentre quello della lunghezza dell’orifizio è
monotono. Inoltre, dai grafici si evince come scegliere la giusta frequenza di
eccitazione e il giusto diametro dell’orifizio sia cruciale ai fini di un utilizzo
pratico di tale tecnologia.

34
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 11– Variazione del coefficiente di scambio
termico medio in funzione della distanza assiale
per diversi valori della frequenza di eccitazione,
e per uguale diametro dell’orifizio, profondità
dell’orifizio e profondità della

Figura 12 - Variazione del coefficiente di
scambio termico medio in funzione della
distanza assiale per diversi valori del diametro
dell’orifizio, e per la stessa frequenza di
eccitazione,
profondità
dell’orifizio
e
profondità della cavità.

Figura 13 - Variazione del coefficiente di
scambio termico medio in funzione della
distanza assiale per diversi valori di profondità
della cavità, e per lo stesso diametro
dell’orifizio, profondità dell’orifizio e frequenza
di eccitazione

.

35
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 14 - Variazione del coefficiente di
scambio termico medio in funzione della
distanza assiale per diversi valori di profondità
della cavità, e per la stessa frequenza di
eccitazione, diametro eprofonditàdell’orifizio

Un secondo set di risultati è stato invece sviluppato in termini di parametri
adimensionali. In particolare, si è studiata la dipendenza del numero di
Nusselt medio (Nuavg) da parametri come il numero di Reynolds, il rapporto
adimensionale L/d (parametro caratteristico dell’alloggiamento in cui è
stipato l’altoparlante) e il parametro caratteristico del blocchetto di rame
riscaldato R/d (in cui R è la semi-lunghezza caratteristica del blocchetto). La
variazione del numero di Nusselt medio con la distanza assiale normalizzata,
per diversi valori del numero di Reynolds, è mostrata in fig.15. Questi
risultati sono stati ottenuti per L/d = 13.75, R/d = 2.5 e Pr = 0.7. Si osserva
come il numero di Nusselt medio aumenti rapidamente fino a z/d = 6, per poi
scendere gradualmente all’aumentare del rapporto z/d. Inoltre, è possibile
osservare come il numero di Nusselt medio aumenti all’aumentare del
numero di Reynolds per un qualsiasi valore del rapporto z/d. Il massimo
valore del numero di Nusselt si ha per lo stesso valore del rapporto z/d per
tutti i valori del numero di Reynolds. Il massimo valore del numero di Nusselt
medio è 44 per un valore del numero di Reynolds pari 4180 e per un valore
del rapporto z/d pari a 6. Fig.15 mostra l’effetto di L/d sul numero di Nusselt
medio per differenti valori del rapporto z/d. Tale grafico è stato ottenuto per
un valore del numero di Reynolds pari a 3700 e per R/d = 1.5. Il valore
massimo di Nu si ottiene per z/d =2. È notevole come ci sia un sostanziale
aumento (108%) del valore massimo del numero di Nusselt per una
diminuzione del rapporto L/d da 13.75 a 7.86. Questa differenza suggerisce

36
Capitolo 2Studi Precedenti

che l’effetto che hanno le dimensioni dell’alloggiamento sul coefficiente di
scambio termico per i getti sintetici sia molto importante. La ricircolazione
del fluido tra l’orifizio e il blocchetto di rame provoca una significativa
riduzione del coefficiente di scambio termico. La quantit{ d’aria coinvolta nel
ricircolo cambia al cambiare della dimensione L dell’apparato. Più grande è L
maggiore è la quantit{ d’aria che ricircola. Ciò implica una maggiore
temperatura media dell’aria in prossimit{ della superficie riscaldata e porta
ad una riduzione del coefficiente di scambio termico. Fig.16 mostra invece la
variazione del numero di Nusselt medio in funzione della semi-lunghezza
normalizzata del blocchetto di rame. È evidente come il numero di Nusselt
medio aumenti all’aumentare del rapporto R/d per qualsiasi valore della
distanza assiale normalizzata. L’aumento del numero di Nusselt medio
all’aumentare del rapporto R/d è da imputare all’effettivo utilizzo del getto
impingente per rimuovere il calore. Il valore del rapporto z/d per cui si ha il
massimo del valore del numero di Nusselt medio aumenta all’aumentare del
rapporto R/d. Il valore massimo del numero di Nusselt medio è 40 per R/d
pari a 2.5, mentre è 23 per R/d pari a 1.5.

Figura 15 – Variazione del numero di Nusselt
medio in funzione della distanza assiale
normalizzata per diversi valori del numero di
Reynolds.

37
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 16 – Variazione del numero di Nusselt
medio in funzione della distanza assiale
normalizzata per diversi valori del rapporto
L/d

Figura 17 – Variazione del numero di Nusselt
medio in funzione della distanza assiale
normalizzata per diversi valori del rapporto
R/d

Inoltre, è stato portato avanti, per lo stesso studio, un confronto diretto tra
getti continui assialsimmetrici e getti sintetici, per lo stesso set di condizioni.
In fig.17 è possibile osservare come i getti continui diano un più alto valore
del numero di Nusselt per piccole distanze foro - lastra (

. Ad ogni

modo, entrambi i getti danno performance confrontabili per una spaziatura
maggiore

. Il massimo valore del numero di Nusselt si ottiene per

z/d = 4 per quanto riguarda i getti continui, mentre lo si ottiene a z/d = 6 per
quanto riguarda i getti sintetici. È possibile notare, inoltre, come il massimo
valore del numero di Nusselt e il 10% maggiore per i getti continui rispetto a
quello ottenuto con i getti sintetici per

. I getti sintetici sono

svantaggiati nel caso di piccole distanze foro-lastra a causa dei processi
intrinseci di espulsione e suzione. Questo porta al ricircolo dello stesso
fluido; di conseguenza, la temperatura dello stesso aumenta e la capacità del

38
Capitolo 2Studi Precedenti

getto nel rimuovere il calore dalla superficie riscaldata diminuisce
notevolmente. Ciò non accade per i getti continui, per i quali c’è un continuo
ricambio di fluido. Mentre un confronto diretto tra getti continui e getti
sintetici è stato portato avanti per un solo valore del numero di Reynolds, le
misurazioni preliminari, effettuate dagli stessi ricercatori, suggeriscono che i
getti continui superino di gran lunga i getti sintetici, in termini di
performance di scambio termico, per valori del numero di Reynolds inferiori
a 4000. Tuttavia, per i getti sintetici il numero di Nusselt aumenta
notevolmente all’aumentare del numero di Reynolds. Motivo per cui ci si
aspetta che la capacità di scambio di calore dei getti sintetici sia migliore di
quella dei getti continui per valori del numero di Reynolds superiori a 4000.
Sostanzialmente quindi, Re = 4000 rappresenta una sorta di crocevia: valori
maggiori conferiscono maggiori vantaggi ai getti sintetici, mentre per valori
inferiori risultano avvantaggiati i getti continui. Dati sperimentali in merito
non sono stati ricavati, per via delle limitazioni delle apparecchiature
utilizzate e quindi questi risultati non possono essere del tutto confermati.

Figura 2 – Variazione del numero di Nusselt
medio in funzione della distanza assiale
normalizzata per getti sintetici e getti continui,
per lo stesso set di condizioni a contorno
(L/d=13.75 e R/d=2.5).

39
Capitolo 2Studi Precedenti

Un altro importante lavoro sullo sfruttamento dei getti sintetici per il
raffreddamento di superfici riscaldate è stato portato avanti da Arik[25], del
Global Research Center di Niskayuna, New York. Nell’articolo pubblicato
viene dapprima effettuata una disamina in termini di coefficienti di scambio
termico locale, per poi offrire una serie di risultati relativi ai coefficienti di
scambio termico globale, in funzione di alcuni parametri. Si è analizzato come
i getti sintetici permettano di ottenere un raffreddamento assai localizzato e
coefficienti di scambio termico parecchio elevati su piccole superfici. Si è
sviluppato, innanzitutto, un confronto, in termini di coefficienti di scambio
termico locale, tra raffreddamento con la sola convezione naturale e
raffreddamento tramite getti sintetici per caloriferi di diverse dimensioni.
L’apparato sperimentale utilizzato è quello rappresentato in fig.18.

Figura 3 – Vista in sezione dell’apparato

Fig.19 presenta le temperature locali ottenute per un calorifero di 12.7 mm. È
possibile osservare come il bordo d’uscita della superficie del calorifero abbia
una distribuzione di temperatura più uniforme rispetto al bordo d’attacco,
questo per via degli effetti della convezione naturale. Lo stesso calorifero,
alimentato alla stessa maniera, è stato poi raffreddato mediante un getto
sintetico. Le temperature locali sulla superficie del calorifero sono
rappresentate in fig.20. Il getto è stato portato alla frequenza di risonanza per
un valore del voltaggio molto basso (30V). Una volta che il getto è stato
avviato, si è assistito ad una drastica diminuzione della temperatura del
calorifero,

provocata

dall’impingimento

40

del

getto

sintetico

sulla
Capitolo 2Studi Precedenti

superficiedello stesso. Fig.21 mostra la distribuzione sulla superficie del
calorifero del coefficiente di scambio termico locale, il cui valore varia tra 63
e 66 W/m2K. L’effetto di un voltaggio di alimentazione più alto (50V) sul
coefficiente di scambio termico locale è mostrato in fig.22. Occorre notare che
il getto è stato, come in precedenza, portato alla frequenza di risonanza
(4500Hz), ma stavolta con un voltaggio maggiore in ingresso all’attuatore. Un
voltaggio maggiore ha come conseguenza diretta un maggior potenziale di
raffreddamento, oltre ad un maggior consumo di potenza. Si è osservato,
infatti, come il coefficiente di scambio termico massimo in questo caso fosse
pari, all’incirca, a 92 W/m2K (fig.22), mentre era circa 63 W/m2K nel caso
precedentemente esaminato (fig.21). Successivamente, si è studiato l’effetto
dei getti sintetici nel raffreddamento di superfici riscaldate di dimensioni
maggiori rispetto a quella utilizzata precedentemente. In particolare, si è
utilizzato un calorifero 4 volte più largo del precedente e avente, quindi, una
superficie 16 volte maggiore. Fig.23 presenta l’andamento della temperatura
sulla superficie del calorifero di dimensioni maggiori nel caso del semplice
raffreddamento per convezione naturale. Mentre in fig.24 vengono presentati
i coefficienti di scambio termico sull’intera superficie del riscaldatore. Come è
possibile evincere dalla figura, i coefficienti variano tra 19 e 23 W/m2K. Il
raffreddamento per convezione naturale è, in questo caso, più debole. Il
motivo è da ricercare nelle maggiori dimensioni della superficie riscaldata,
che comportano una maggiore lunghezza caratteristica e quindi un numero di
Nusselt minore. Una volta avviato il getto sintetico l’effetto della turbolenza e
dei vortici locali è quello di agitare l’aria in prossimit{ della superficie del
calorifero e provocare un netto aumento dello scambio termico. Le
temperature locali vengono fornite, per questo caso, in fig.25. Mentre l’effetto
dei getti sintetici sul coefficiente di scambio termico totale è dato in fig.26. La
massima temperatura del calorifero si aggira attorno ai 61°C, mentre il
coefficiente di scambio di calore totale assume valori che variano tra 32 e
37W/m2K.

41
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 19 – Distribuzione di temperatura
sulla superficie diun calorifero a base
quadrata di lato 12.7 mm raggiunta con la
sola convezione naturale.

Figura 20 – Distribuzione di temperatura
sulla superficie diun calorifero a base
quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con
l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz,
V=30V).

Figura 21 – Distribuzione del coefficiente di
scambio termico totale sulla superficie di un
calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm,
raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico
(f=4500Hz, V=30V).

42
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 22 – Distribuzione del coefficiente di
scambio termico totale sulla superficie di un
calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm,
raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico
(f=4500Hz, V=50V).

Figura 23 – Distribuzione di temperatura
sulla superficie di un calorifero a base
quadrata di lato 50.8mm, raggiunta con
l’ausilio della sola convezione naturale.

Figura 24 – Distribuzione del coefficiente di
scambio termico totale sulla superficie di un
calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm
raggiunta con l’ausilio della sola convezione
naturale.

43
Capitolo 2Studi Precedenti

Figura 25 – Distribuzione di temperatura
sulla superficie di un calorifero a base
quadrata di lato 50.8 mm ottenuta
utilizzando un getto sintetico (f=4500Hz,
V=50V).

Figura 26 – Distribuzione del coefficiente
di scambio termico totale sulla superficie
di un calorifero a base quadrata di lato
50.8 mm raggiunta tramite l’utilizzo di un
getto sintetico (f=4500Hz, V=50V).

Infine, come gi{ preannunciato, si è analizzato l’aumento di scambio termico
globale per un’ampia variet{ di caloriferi, sempre di forma quadrata ma di
diverse dimensioni, in funzione di svariati parametri. L’enhancement
(aumento) in termini di performance di raffreddamento, per quanto riguarda
il confronto getti sintetici e convezione naturale, può essere scritto nella
seguente maniera:

Fig. 27 presenta l’effetto del voltaggio di alimentazione dell’attuatore
sull’aumento di scambio termico, per un certo range di valori del voltaggio.
Mantenendo costante la temperatura massima del calorifero (80°C), per tutti

44
Capitolo 2Studi Precedenti

i caloriferi provati (per i quali a variare sono solo le dimensioni e, quindi, la
superficie da raffreddare), si è osservato, come prevedibile, un diverso valore
dello scambio termico globale per i diversi casi esaminati. Il calorifero più
piccolo mostrava il massimo aumento di scambio termico, dal momento che
quest’ultimo era 9 volte superiore rispetto a quello ottenuto con la semplice
convezione naturale. Il calorifero più grande, invece, di lato 50.8 mm,
mostrava un valore dell’enhancement pari a 4. Quindi, per la superficie più
grande, lo scambio termico ottenuto sfruttando il getto sintetico era
solamente 4 volte maggiore rispetto a quello ottenuto con la semplice
convezione naturale. Questo effetto è dovuto al fatto che l’efficacia del getto
diminuisce all’aumentare della superficie riscaldata, come ci si aspetta
d’altronde. Inoltre, sempre analizzando fig.27, è possibile notare come lo
scambio termico non aumenti ulteriormente una volta superati i 70 V, per
tutte le possibili dimensioni del calorifero. L’effetto della distanza tra uscita
del getto e superficie e riportato in fig.28. È possibile notare come il
comportamento dei caloriferi di dimensioni inferiori dipenda fortemente
dalla distanza suddetta. Quando si allontana il getto dalla superficie
riscaldata le performance di quest’ultimo diminuiscono in maniera drastica,
nonostante il valore dell’enhancement sia, comunque, ancora pari a circa 5.7
per una distanza pari a 50 mm. È interessante come il calorifero da 25.4 mm
mostri una variazione nelle performance di raffreddamento molto piccola
(pari

all’incirca

ad

una

diminuzione

del

10%)

allontanando

progressivamente il getto dal calorifero, portando la distanza foro-superficie
da 5 a 50 mm. È da notare come, avvicinando troppo calorifero e foro
d’uscita, la capacit{ di raffreddamento del getto diminuisca drasticamente. In
particolare, è da evitare portare la suddetta distanza al di sotto dei 10 mm.
Quest’effetto è dovuto in particolare all’ingresso, all’interno della cavit{
soffiante, di aria calda durante la fase di risucchio del getto; ciò ha notevoli
ripercussioni sulle performance di raffreddamento. Fig.29 presenta l’effetto
della frequenza di vibrazione dell’attuatore sullo scambio termico globale.
Per tutte le dimensioni della superficie riscaldata il picco dello scambio di
calore si ha alla frequenza di risonanza della camera dell’attuatore, ossia
45
Capitolo 2Studi Precedenti

4500 Hz. Facendo variare la frequenza per un range del ±20%, lo scambio
termico diminuisce solamente del 10%.

Figura 27 – Effetto del voltaggio di alimentazione
sull’Enhancement Factor.

Figura 28 – Effetto della distanza foro – calorifero
sull’Enhancement Factor.

Figura 29 – Variazione dell’Enhancement
Factor in funzione della frequenza.

46
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

Capitolo 3: Sensori di Flusso Termico
3.1 Introduzione
La misura dei flussi di calore e/o dei coefficienti di scambio termico per
convezione tra una superficie ed una corrente è solitamente più complessa di
quella di altre grandezze fluidodinamiche di interesse. La determinazione di
un flusso di calore in generale richiede la misura di temperature. Infatti, nelle
tecniche di misura ordinarie, i sensori di flusso termico sono di solito
costituiti da corpi a comportamento termico noto, la cui temperatura (o la
differenza di temperatura, o la variazione della temperatura nel tempo) è
misurata in opportuni punti. Lo studio della trasmissione del calore, applicata
al modello di sensore considerato, fornisce la relazione con cui, dalle
temperature misurate, è possibile risalire al flusso termico (e/o ai coefficienti
di scambio) cui è soggetta la superficie. In generale la misura di flussi termici
convettivi comporta una duplice scelta: quella del modello fisico di sensore di
flusso termico che meglio si adatta al problema oggetto di studio e quella
della tecnica per la misura della temperatura più idonea. Si sottolinea che la
scelta di un determinato sensore di flusso termico è spesso legata all’ordine
di grandezza delle variazioni spaziali e temporali del flusso termico stesso.
Quando la temperatura è misurata con tecniche di tipo standard (quali
termocoppie, termoresistenze, pirometri), il sensore fornisce il flusso di
calore locale in un solo punto (o medio su una superficie) e quindi il sensore
stesso è classificabile come zero–dimensionale. Le tecniche convenzionali
appaiono quindi insufficienti quando si studiano problemi in cui sono
presenti gradienti spaziali dei flussi termici e/o nei casi in cui si richiede
anche una completa visualizzazione dell’andamento del flusso termico sulla
superficie di scambio. Un primo passo verso il superamento dei limiti delle
tecniche standard zero–dimensionali è rappresentato dall’uso di "cristalli
liquidi incapsulati" . In linea di principio, i cristalli liquidi potrebbero essere
considerati come sensori di temperatura bidimensionali in quanto
47
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

consentono di visualizzare mappe di temperatura. C’è da osservare però che,
in applicazioni di tipo quantitativo, è necessario usare cristalli il cui colore
cambia in un piccolo intervallo di temperatura. In pratica si visualizza una
sola isoterma per volta, per cui i cristalli liquidi sono da considerarsi, di fatto,
come sensori monodimensionali. Altre limitazioni nella pratica applicazione
dei cristalli liquidi sono poste sia dal loro campo di lavoro relativamente
limitato (tra -40 e 285°C), sia dalla difficoltà di applicare i cristalli su superfici
a doppia curvatura soprattutto quando, come spesso avviene, essi sono
riportati su fogli di mylar. Una ulteriore classificazione delle tecniche di
misura della temperatura è quella che le distingue in invasive e non invasive.
Le prime sono generalmente caratterizzate da una maggiore precisione ma
disturbano, con la loro stessa presenza, il fenomeno in osservazione.
Tecniche di misura della temperatura considerate invasive sono le
termocoppie, i thinfilmse gli RTD. Le tecniche invasive sono affette da errori
riconducibili essenzialmente a due cause. La prima è la variazione delle
condizioni termiche, provocata dalla presenza dell’elemento sensibile, nella
zona circostante il punto nel quale esso è applicato (ad es., la conduzione
attraverso i cavi della termocoppia). La seconda può essere, in alcuni casi,
legata alla dimensione finita dell’elemento sensibile; infatti quando
l’elemento è applicato in zone ad alti gradienti spaziali di temperatura e/o di
flusso termico esso, in generale, è in grado di fornire solo una misura mediata
nello spazio. Le considerazioni precedenti rendono critico l’impiego di
elementi sensibili cosiddetti invasivi per misurare flussi termici convettivi su
modelli investiti da una corrente fluida. Peraltro molto spesso è richiesta una
conoscenza dettagliata della distribuzione superficiale dei flussi termici. In
tali casi, spesso occorrono sia misure di tipo qualitativo che quantitativo: le
prime per mettere in evidenza le zone di picco dello scambio termico ed
avere una visione d’insieme del fenomeno; le seconde per ottenere valori
numerici su cui basare le successive fasi del progetto. Si è già detto che il
limite delle convenzionali tecniche quantitative di misura della temperatura è
costituito dalla zero–dimensionalità della natura della loro misura, in quanto
questa è effettuata in punti discreti della superficie. D’altra parte, le
48
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

qualitative tecniche classiche di visualizzazione spesso sono invasive; ad
esempio la visualizzazione delle linee di corrente ottenuta mediante miscele
d’olio e fuliggine o a mezzo di vernici termosensibili, ancorché tecniche
bidimensionali, possono essere affette dai depositi sulla superficie del
modello. Il radiometro a scansione nell’infrarosso (Infrared Scanning
Radiometer, IRSR), o termografo all’infrarosso, accoppia le caratteristiche
qualitative degli strumenti di visualizzazione del flusso a quelle quantitative
dei misuratori tipicamente invasivi. Esso fornisce una misura non invasiva,
bidimensionale e digitalizzabile per successive elaborazioni del segnale al
computer. In questo capitolo si esamineranno i possibili sensori di flusso
termico e l’applicazione ad essi della termografia all’infrarosso; in quello
successivo si descriverà in dettaglio la tecnica termografica.

3.2 Sensori di Flusso Termico non Stazionario
Le metodologie, per la misura del flusso termico, si distinguono in tre
categorie a seconda del regime: instazionario, quasi stazionario e stazionario.
Nel caso instazionario, si supponga che il flusso termico vari con legge
sinusoidale del tipo:
q1=|q1| ∙ sen(ϕ∙t)
dove ϕè la frequenza di variazione del flusso termico. Quest’ultima può
essere confrontata con la frequenza caratteristica del sensore α/s, dove s ed α
sono rispettivamente lo spessore è la diffusività termica del sensore. Tale
frequenza è l’inverso del tempo caratteristico impiegato dal sensore per
adeguarsi alle variazioni di temperatura (tempo di equilibramento). Per
confrontare quantitativamente le due grandezze in esame è necessario
fissare non solo la condizione del flusso entrante, ma anche quella del flusso
uscente dalla parte interna del corpo, come mostrato nella fig.30.

49
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

Figura 30 – Schema di sensore di flusso termico

Se infatti si suppone

=0, si possono discutere i valori che può assumere il

rapporto φ/(α/s). Valori elevati implicano un tempo di adeguamento alle
mutate condizioni di temperatura così alto che si può ritenere che solo la
zona in prossimità della superficie 1, che è investita dal flusso, risenta di tali
variazioni, mentre la restante parte del sensore si può considerare in
condizioni praticamente stazionarie. In tal caso il modello del sensore
assume il nome di thin film e viene studiato mediante la teoria della parete
semi-infinita, che mette in relazione la temperatura
direzione normale al sensore

con il flusso di calore in

. In una fenomenologia del genere, l’uso del

termografo sembrerebbe estremamente facile: il problema risiede però nel
tempo di risposta del termografo che è relativamente elevato (dell’ordine del
decimo di secondo) mentre nelle tecniche ordinarie il thin film è una
termoresistenza dello spessore di pochi micron con tempi di risposta
dell’ordine dei microsecondi. Quando invece il rapporto φ/(α/s) assume
valori molto piccoli, il tempo di equilibramento del sensore è estremamente
breve, il che consente, istante per istante, di considerarlo isotermo attraverso
il suo spessore. In tal caso il modello del sensore assume il nome di thinskin, o
parete sottile, per il quale il sensore è considerato come un calorimetro
ideale, riscaldato su una faccia e termicamente isolato dall’altra, che si può
caratterizzare con le condizioni:

;

. In questo caso l’uso del

termografo si rivela vantaggioso rispetto ad altre tecniche di misura: la
misurazione della temperatura può essere effettuata sia sulla superficie
50
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

riscaldata che su quella adiabatica eliminando così la difficoltà di dover
posizionare un sensore di temperatura che, per quanto di piccole dimensioni,
spesso risulta intrusivo. Per il termografo, la misura dell’una o dell’altra
faccia ha problematiche pressoché equivalenti. Nella seconda metodologia,
quella della misura del regime di flusso termico quasi stazionario, si possono
ancora utilizzare i sensori thin film e thinskinpurché le variazioni di
temperatura nel tempo siano piccole rispetto alla differenza tra la
temperatura di parete e quella di parete adiabatica. Un altro metodo classico
è quello di utilizzare il sensore a gradiente, il cui modello resta sempre quello
di Fig. 3.1, ma con

: in tal modo si cerca di calcolare il flusso

termico in direzione normale alla superficie mediante la misura della
differenza di temperatura

tra le due facce del sensore di cui si

conoscono lo spessore e la conducibilità termica. Il sensore a gradiente è
applicabile quando φ/(α/L2)<<1. La difficoltà principale di questo metodo
(che può prevedere

comunque

l’utilizzo

del

termografo) consiste

nell’impossibilit{ di misurare in modo semplice la distribuzione di
temperatura su entrambe le facce del sensore.

3.3 Modello HeatedThinFoil
La terza metodologia, quella della misura del regime di flusso termico
stazionario può essere realizzata con la tecnica che prende il nome di
heatedthinfoil(Carlomagno e de Luca (1989)). Mediante tale metodo si
riscalda per effetto Joule un sottile strato di materiale metallico (lamina) che
ricopre la superficie del sensore e si determina il coefficiente di scambio
termico h tra il sensore ed il fluido in moto, attraverso la misura della
temperatura della parete del sensore. La superficie opposta a quella su cui
avviene lo scambio termico, tra il corpo ed il flusso d’aria, deve essere resa,
per quanto possibile, adiabatica. La tecnica è valida se vengono realizzate due
condizioni:

51
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

il flusso termico superficiale derivante dal riscaldamento per effetto
Joule

deve essere costante sulla superficie del sensore;

se la temperatura misurata dal termografo è la

, e non la

, il

numero di Biot relativo, deve essere molto minore dell’unit{.

Figura 31 –Schema del sensore HeatedThinFoil

La seconda condizione garantisce la trascurabilità dei gradienti di
temperatura attraverso lo spessore dello strato riscaldato (da qui il nome
heatedthinfoil). In questo caso, la superficie vista dal termografo può essere
opposta a quella su cui avviene lo scambio termico tra il corpo ed il fluido. Se
si opera tale scelta, è necessario curare in modo particolare la realizzazione
della condizione di adiabaticità (salvo che per il flusso radiativo) con
l’ambiente esterno. Se il coefficiente di scambio termico h è costante sulla
superficie del sensore, esso puòessere calcolato mediante la relazione:

dove:

è la potenza termica per unità di superficie dissipata per effetto Joule,

è la potenza termica scambiata per irraggiamento e
potenza termica scambiata per convezione naturale.

52

è l’eventuale
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

3.3.1 Elaborazione

Numerica

delle

Immagini

ed

Estensione al Caso Bidimensionale
Il modello heatedthinfoilconsente, se associato ad un’opportuna tecnica di
misura delle temperature quale la termografia, di essere facilmente esteso al
caso bidimensionale, cioè al caso in cui h (e di conseguenza Tw) vari sulla
superficie. Evidentemente in questo caso, l’equazione deve essere modificata
per tenere conto anche degli effetti dovuti alla potenza termica qkscambiata
mediante conduzione in direzione tangenziale (all’interno del sensore):

Questa metodologia, associata all’utilizzo del termografo all’infrarosso,
permette

di

effettuare

delle

rapide

visualizzazioni

della

mappa

bidimensionale del coefficiente di scambio termico convettivo sulla superficie
in esame. Infatti il termografo permette la visualizzazione dell’intera famiglia
di isoterme sulla superficie del modello e non una sola per volta, ad esempio,
come nel caso dei cristalli liquidi. Poiché il flusso termico qjè costante, se le
perdite sono trascurabili (o sono pressoché uniformemente distribuite sulla
superficie di misura) e se la temperatura di riferimento

della (3.2) è anche

essa costante, le curve a temperatura costante rappresentano anche linee a
coefficiente di scambio termico convettivo costante. Per ottenere delle
misure quantitative è necessario però calcolare le perdite termiche e tenerle
in conto nella riduzione dei dati sperimentali. Il primo contributo può essere
facilmente valutato utilizzando la relazione di Stefan e Boltzmann:
qr(x,y) = σε(Tw4(x,y) − Ta4)
dove σ è la costante di Stefan–Boltzmann, ε è il coefficiente di emissività della
superficie di misura, Taè la temperatura ambiente, supposta costante, ed x e y
sono le coordinate spaziali nel piano di misura. Assumendola indipendente
dalla lunghezza d’onda, l’emissivit{ della superficie, che normalmente è di
difficile valutazione, può essere misurata direttamente con il termografo
stesso e con un accurato termometro di riferimento. La potenza termica

53
Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

scambiata per convezione naturale può essere, nella gran parte dei casi,
linearizzata secondo la:
qn(x,y) = hn(Tw(x,y) − Ta)
dove hnè il coefficiente di scambio termico dovuto alla convezione naturale
verso l’ambiente che può essere misurato con delle prove sperimentali
preliminari coibentando la superficie esposta al fluido in moto. Questi primi
due termini, a rigore, possono essere calcolati anche se si suppone che il
sensore termico sia zero–dimensionale; infatti sono funzione solo di variabili
che possono essere misurate nel punto di misura ed il loro effetto è quello di
ridurre le escursioni di temperatura. Il contributo dovuto alla conduzione
tangenziale è, invece, intrinsecamente bidimensionale e, se si considera un
bilancio di energia stazionario in un materiale isotropo ed a conducibilità
termica indipendente dalla temperatura, si ottiene:
qk(x,y) = − s k ∇2 (x,y)
dove s e k sono lo spessore e la conducibilità termica della lamina. A scapito
della semplicit{ teorica dell’equazione, la determinazione della potenza
termica dissipata per conduzione tangenziale è nella pratica molto
complessa. Il sistema termografico genera inevitabilmente rumore ad alta
frequenza dovuto alla sensibilità dello strumento e ciò impedisce
l’applicazione dell’operatore Laplaciano discreto: come è noto questo ha
carattere locale e tende ad esaltare le frequenze più elevate. Pertanto, per
ottenere una valutazione realistica della potenza termica dissipata per
conduzione tangenziale è necessario effettuare un operazione di filtraggio
delle immagini termografiche al fine di eliminare le alte frequenze di rumore.
Il sensore di flusso termico ed il fluido di lavoro utilizzati nella presente
ricerca hanno consentito di trascurare i contributi associati sia alla potenza
termica scambiata per convezione naturale che alla conduzione tangenziale.
L’analisi fatta sar{ infatti un punto di partenza per successive analisi con
livelli di precisione maggiori.

54
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

Capitolo 4: Termografia all’Infrarosso
4.1 Introduzione
L'astronomo William Herschel scoprì l'infrarosso nel 1800. Avendo costruito
da solo il proprio telescopio, aveva una certa familiarità con lenti e specchi.
Partendo dalla considerazione che la luce del sole è composta da tutti i colori
dello spettro e che, allo stesso tempo, rappresenta una fonte di calore,
Herschel cercò di scoprire quale fossero i colori responsabili del
surriscaldamento degli oggetti. L'astronomo ideò un esperimento, utilizzando
un prisma, del cartone e alcuni termometri con il bulbo dipinto di nero, per
misurare le temperature dei diversi colori. Herschel osservò un aumento
della temperatura mentre spostava il termometro dal viola al rosso,
nell'arcobaleno creato dalla luce del sole che passava attraverso il prisma.
Alla fine, Herschel scoprì che le temperature più elevate corrispondevano al
colore rosso. La radiazione che causava tale surriscaldamento non risultava
visibile; l'astronomo chiamò la radiazione invisibile "raggi calorifici". Oggi,
tale radiazione viene chiamata infrarosso. Ad oggi gli infrarossi sono oggetto
d’esame delle termocamere o telecamere termografiche a infrarossi, le quali
rilevano a distanza e di conseguenza in modo non intrusivo l'energia
infrarossa (o termica) e la converte in un segnale elettronico, che viene in
seguito elaborato al fine di produrre immagini video e realizzare calcoli della
temperatura. Il calore rilevato da una termocamera può essere quantificato
con estrema precisione, permettendo all'utente di monitorare le variazioni
termiche e, allo stesso tempo, di identificare e valutare l'entità di problemi di
natura termica. I termografi possono differire tra loro per :
il tipo ed il numero dei sensori;
la banda dell’infrarosso in cui lavorano;
il metodo di raffreddamento del sensore;
l’intensit{ del segnale;

55
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

i supporti periferici atti all’elaborazione dei dati;

4.2Termografia all’Infrarosso
La termografia è una tecnica di acquisizione di immagini nel campo dell'
infrarosso e rappresenta la visualizzazione bidimensionale della radiazione
emessa, in una banda dell’infrarosso, dalla superficie del corpo in esame.
Quando l’emissivit{ superficiale del corpo in esame è conosciuta è possibile
associare alla mappa di radiazione una mappa di temperatura mediante una
curva di calibrazione.

4.2.1 Radiazioni Infrarosse
La radiazione

infrarossa

(IR)

è

la radiazione

elettromagnetica con

una frequenza inferiore a quella della luce visibile, ma maggiore di quella
delle onde radio. Il nome significa "sotto il rosso" (dal latino infra, "sotto"),
perché il rosso è il colore visibile con la frequenza più bassa. La radiazione
infrarossa ha una lunghezza d'onda (che è uguale alla velocità della luce al
secondo divisa per la frequenza) compresa tra 750 nm e 1 mm. Viene spesso
associata con i concetti di "calore" e "radiazione termica", poiché gli oggetti a
temperatura ambiente o superiore emettono spontaneamente radiazione in
questa banda (aumentando la temperatura, il picco si sposta sempre più
verso il visibile finché l'oggetto non diviene incandescente). Il limite inferiore
dell'infrarosso veniva spesso definito come 1 mm poiché a questa lunghezza
d'onda termina l'ultima delle bande radio classificate (EHF, 30-300 GHz).

56
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

Figura 32 – Bande dell’infrarosso

Data la vastità dello spettro infrarosso e molteplicità di utilizzi delle
radiazioni collocate in vari punti al suo interno, sono state sviluppate diverse
classificazioni in ulteriori sottoregioni:
IR vicino con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 0.75 e 3
μm;
IR intermedio con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 3 e 6
μm;
IR lontano con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 6 e 15
μm;
IR estremo con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 15 e
1000μm.

4.2.2 Leggi Fondamentali
Tutti i corpi, ad una temperatura superiore dello zero assoluto (-273,14 °C),
irradiano energia sotto forma di onde elettromagnetiche e lo spettro di
emissione, cioè l’andamento dell’energia emessa in funzione della lunghezza

57
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

d’onda, dipende dalla temperatura e dalle caratteristiche superficiali dei
corpi. Le leggi che descrivono tale emissione in forma generale ricorrono al
concetto di corpo nero. In fisica un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta
la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riflette alcuna
parte). Il corpo nero, per la conservazione dell'energia, irradia tutta la
quantità di energia assorbita (coefficiente di emissività uguale a quello di
assorbività)

e

deve

il

suo

nome

solo

all'assenza

di

riflessione.

Lo spettro (intensità della radiazione emessa ad ogni lunghezza d'onda) di un
corpo nero è caratteristico, e dipende unicamente dalla sua temperatura. La
luce emessa da un corpo nero viene detta radiazione del corpo nero e la
densità di energia irradiata spettro di corpo nero. La differenza tra lo spettro
di un oggetto e quello di un corpo nero ideale permette di individuare la
composizione chimica di tale oggetto. Un corpo nero è un radiatore ideale,
emettendo il maggior flusso possibile per unità di superficie, ad ogni
lunghezza d'onda per ogni data temperatura. Un corpo nero inoltre, assorbe
tutta l'energia radiante incidente su di esso: ovvero nessuna energia viene
riflessa o trasmessa. Il termine "corpo nero" venne introdotto da Gustav
Kirchhoff nel 1862. Lo spettro di un corpo nero venne correttamente
interpretato per la prima volta da MaxPlanck, il quale dovette assumere che
la radiazione elettromagnetica può propagarsi solo in pacchetti discreti,
o quanti, la cui energia era proporzionale alla frequenza dell'onda
elettromagnetica. L'intensità della radiazione di un corpo nero alla
temperatura T è data dalla legge della radiazione di Planck:
E 0 (T )

C

5

(e

1
C2 / T

1)

dove:
E

0

(T )

= radiazione monocromatica emessa dal corpo nero alla lunghezza

d’onda λ, misurata in W/m2μm;
T = temperatura assoluta del corpo radiante;
= prima costante di radiazione = 2πhc2= 3.74 108Wμm4/m2
58
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

= seconda costante di radiazione = hc/k = 1.44 104μmK

Figura 33 – Rappresentazione grafica della legge di Planck al variare della temperatura

Seguendo una di queste curve l’emissione spettrale risulta nulla per λ =0, per
poi aumentare rapidamente e fino a raggiungere il massimo ad una lunghezza
d’onda λmax per poi successivamente decrescere fino a raggiungere valore
nullo per lunghezze d’onda elevate. Più sono alte le temperature più basse
sono le lunghezza d’onde alle quali si raggiunge il massimo. A partire dalla
legge di Planck è possibile ricavare altre due leggi fondamentali. Integrando
la legge di Planck sull’ intero spettro (0≤λ≤∞) si ottiene la legge di StephanBoltzmann:

59
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

E 0 (T )

E
0

0

(T ) d

T

4

Dove
5 . 67 E

8

2

4

[W / m K ]

è la costante di Stephan-Boltzmann, che identifica la potenza totale emessa
per unità di superficie da un corpo nero. La legge di Stephan-Boltzmann
mostra come la potenza totale emessa da un corpo nero è proporzionale alla
potenza quarta della temperature assoluta. Graficamente Wb rappresenta
l’area sottesa dalla curva di Planck per una temperatura assegnata. Si
dimostra inoltre che l’emissione radiata nell’intervallo 0≤λ≤max equivale al
25% di quello totale. Differenziano poi l’equazione

in funzione della

lunghezza d’onda è possibile poi ricavare la legge di Wien che definisce la
lunghezza d'onda alla quale l'intensità della radiazione emessa dal corpo
nero è massima:
max

T

2898 [ mmK ]

Questa relazione mostra che, a temperatura ambiente, la lunghezza d’onda
massima ha un valore di circa 10mm. I corpi reali emettono in genere, alla
stessa temperatura, solo una frazione dell’energia emessa da un corpo nero,
frazione espressa dal valore dell’emissivit{ελ (parametro a sua volta
dipendente dalla particolare superficie, dalla temperatura, dalla lunghezza
d’onda, etc.). Le due equazioni diventano quindi:

E

C1

E (T )

E

5

(e

E (T ) d
0

60

C2 / T

1)
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

Per una superficie per la quale ελ è indipendente dalla lunghezza d’onda
(corpo grigio che emette a qualsiasi lunghezza d’onda la stessa frazione di
energia emessa dal corpo nero) si ha:
E = ε ·σ ·T4
dove ε è l’emissivit{ emisferica totale (rapporto tra il potere emissivo del
corpo in esame e quello di un corpo nero che si trovi alla stessa temperatura).
Poiché il trasduttore del termografo è sensibile in una banda ristretta
dell’infrarosso, le misure effettuate sfruttano essenzialmente la legge di
Planck.

4.2.2 Sensori Termografici e loro Caratteristiche
La sensibilità alla radiazione infrarossa dipende dal tipo di sensore utilizzato;
due sono i tipi maggiormente utilizzati: i thermal detectors ed i photon
detectors.
I thermal detectors sono quelli più impiegati ed utilizzano la variazione di
resistenza elettrica di una pellicola di semiconduttore colpita da una
radiazione incidente. Caratteristiche salienti di questa categoria di sensori
sono un segnale in uscita piatto, che si può ritenere praticamente costante in
un vasto campo di lunghezze d’onda, ed il tempo di risposta relativamente
lungo rispetto ai photon detectors. Il segnale P emesso da un thermal detector
si può considerare proporzionale alla potenza radiante assorbita, cioè:
P (T )

C

R( )

(T ,

) E (T ) d

C

dove R(λ) è la risposta dello strumento, βè l’angolo formato fra la normale
alla superficie che emette e l’asse di vista Δλè la banda di sensibilità dello
strumento.Nell’ipotesi di corpo grigio, cioè di emissivit{ indipendente da T e
da λ, segue:
P (T )

( )

C

R ( ) E (T ) d

( ) PB (T )

C

61
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

dove

A

è il segnale ottenuto da un corpo nero alla stessa temperatura.

I photon detectorssono invece caratterizzati da materiali semiconduttori che
emettono cariche elettriche in misura proporzionale all’aliquota di energia
radiante incidente; è in questa categoria che devono essere inseriti i sensori
fotoconduttivi e fotovoltaici. Nei primi la radiazione incidente libera un flusso
di cariche elettriche provocando un aumento della conducibilità del sensore,
nei secondi le cariche elettriche sono trascinate via da un campo elettrico
dando luogo ad una differenza di potenziale. Entrambi i tipi di photon
detectors sono realizzati con un materiale semiconduttore in cui il rilascio
(fotoconduttivi) o il trasferimento (fotovoltaici) dei portatori di carica è
direttamente proporzionale all’assorbimento dei fotoni incidenti. L’energia
del fotone è, come si vedrà meglio in seguito, inversamente proporzionale
alla lunghezza d’onda ad esso associata e la scomparsa dell’attivit{
fotoelettrica a lunghezza d’onda più elevata della lunghezza d’onda di “cut
off” ( ) indica che l’energia associata ai fotoni non è sufficiente a rendere
liberi gli elettroni. In altri termini, i fotoni devono superare il cosiddetto
“salto

di

energia

proibito”

(forbiddenenergy

gap,Eg)

nel

materiale

semiconduttore. La lunghezza d’onda di cut off è data da:
hc
C

[m ]

Eg

dove Egè espressa in Joule. In generale il valore di Egcresce a più bassa
temperatura, di conseguenza la lunghezza d’onda di cut off decresce quando
il sensore viene raffreddato. Da questo ragionamento si capisce perché
questo tipo di sensori devono operare ad una temperatura molto bassa.
L’energia associata ad un singolo fotone è data da:
hc

Q

[m ]

dove: h = costante di Planck; c = velocità della luce
Il numero NλBdi fotoni emessi si ottiene dividendo per hc/λ:
E
N

B

0

(T )

Q

2 c
4

[e

( hc / T )

1]

1

62
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

ed integrando su tutto lo spettro si ha:
NB

N
0

B

d

0 . 37

T

3

k

che dimensionalmente è espresso in fotoni cm-2sec-1ed esprime la dipendenza
dell’emissione totale di un corpo nero dal cubo della temperatura. Di fatto i
sensori comunemente utilizzati sono sensibili solo in una banda di lunghezze
d’onda; l’integrale dell’equazione va allora valutato non tra 0 e ∞ ma tra λce
λc+Δλ, con λce Δλrispettivamente estremo inferiore e ampiezza della banda di
sensibilità.

Generalmente,

dell’infrarosso

sono

la

le

finestre

più

short-wavewindowe

utilizzate
la

nella

tecnica

long-wavewindowche

corrispondono rispettivamente a bande di lunghezze d’onda relativamente
corte o lunghe. Nel primo caso, il sensore è generalmente di Antimoniuro di
Indio che dà una risposta relativamente alta per lunghezze d’onda comprese
tra 3.5 e 5.6 μmanche se si può far scendere il limite inferiore a circa 2 μm; si
usano di solito lenti e materiali ottici di silicio con un rivestimento
antiriflesso che assicura un massimo di trasmittanza ad una lunghezza
d’onda di circa 5 μm. Nel campo di lunghezze d’onda maggiori, il sensore è di
Cadmio–Mercurio–Tellurio che dà una risposta tra 8 e 14 μm; la parte ottica
dello strumento è costituita di Germanio con un rivestimento antiriflesso
avente un picco di trasmittanza a circa 10 μm. La scelta del campo di
lunghezza d’onda di lavoro dipende da diversi fattori. Alcune superfici hanno
un coefficiente di emissivit{ maggiore a lunghezze d’onda minori rendendo
possibile l’impiego di sensori più economici del tipo SbIn. Quando si lavora
nella banda a bassa lunghezza d’onda non si riesce ad avere elevata
precisione per distanze tra sensore e corpo maggiori di un metro, anche in
condizioni favorevoli di trasmittanza del mezzo. Infatti, la presenza di vapore
d’acqua nell’atmosfera può dar luogo ad apprezzabili errori di misura
peraltro difficilmente correggibili per atmosfere non accuratamente
climatizzate. Poiché l’elemento sensibile è generalmente zero–dimensionale,
per consentirgli di ricevere l’energia emessa da diverse zone del campo di
vista bisogna disporre di un opportuno sistema di scansione. Esso consiste in

63
Capitolo 4Termografia all’infrarosso

A

una serie di specchi mobili e/o elementi rifrattivi combinati tra loro che
consentono sia una scansione orizzontale che una verticale del campo di
vista. Le prestazioni (in termini quantitativi) di un radiometro a scansione
nell’infrarosso dipendono da alcuni parametri fondamentali che ne
definiscono le caratteristiche:
sensibilità termica,
velocità di scansione,
risoluzione spaziale dell’immagine
risoluzione dell’intensit{ del segnale.
La sensibilità di una telecamera all’infrarosso viene espressa dal NETD
(NoiseEquivalent Temperature Difference) che è la differenza di temperatura
tra due immagini corrispondente ad un segnale uguale a quello del rumore di
fondo. Il valore del NETD viene valutato ad una temperatura nota del
campione in esame. Il NETD oscilla generalmente tra 0.07 e 0.5 °C per
temperature dell’ordine di poche decine di gradi centigradi.
La velocità di scansione è la velocità alla quale le immagini termiche vengono
“riprese” attraverso il meccanismo di scansione. Il campo di vista totale viene
investigato dai sistemi di scansione orizzontale e verticale in un certo
numero di linee e colonne; possono quindi definirsi una velocità di scansione
per linea, una velocità di scansione per campo ed una per immagine. Infatti,
essendo una immagine composta da un certo numero di campi, spesso tra di
loro uniti, si possono definire sia una velocità di scansione di campo, che una
velocità di scansione di immagine. Il loro rapporto è ovviamente uguale al
fattore di unione, che è tipicamente 2 o 4. Nel caso di immagini non unite la
velocità di scansione di campo ed immagine ovviamente coincidono.
La risoluzione spaziale è la capacità del sistema di individuare e misurare
correttamente la temperatura in zone della superficie di dimensioni ridotte;
essa è una caratteristica che dipende dal tipo di sensore, nonché dalle sue
dimensioni e tempo di risposta. Per un data velocità di scansione, la
piccolezza delle dimensioni del sensore determina in generale la risoluzione
64
Tesi definitiva con risultati
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  • 1. Introduzionep Introduzione Oggigiorno, a causa del numero sempre maggiore di operazioni svolto da ciascun transistor e dell’aumento della densit{ di questi ultimi nei circuiti integrati, è necessario, al fine di ottenere un buon funzionamento delle apparecchiature elettroniche, dissipare una quantità sempre maggiore di calore. Infatti, il surriscaldamento delle componenti elettroniche è una delle principali cause di rottura dei dispositivi moderni. Tutto questo sottolinea la necessità di ideare sistemi di raffreddamento e gestione della temperatura adeguati. L’ideazione di questi ultimi costituisce, molto probabilmente, la fase più importante nella progettazione di un sistema elettronico. Inoltre, sistemi di raffreddamento efficienti devono soddisfare anche altri requisiti, come, ad esempio, andare incontro ai limiti di spazio e geometrici delle apparecchiature in cui debbono operare. Alette di raffreddamento e array di ventole sono stati tradizionalmente utilizzati per raffreddare sistemi elettronici. Tuttavia, questi tradizionali mezzi di raffreddamento stanno affrontando una sfida quanto mai ardua nel tentativo di raffreddare le più moderneapparecchiature, visti i crescenti limiti di spazio e requisiti di raffreddamento. In gran parte della strumentazione elettronica attuale si sfrutta il semplice fenomeno di convezione naturale per il raffreddamento dei circuiti. Tuttavia, sfortunatamente, il potenziale di raffreddamento della convezione naturale ha raggiunto il suo limite fisico nei prodotti odierni. Occorre, però, registrare una certa riluttanza nel passaggio dai metodi convenzionali di raffreddamento all’utilizzo delle ventole, poiché sono numerosi gli svantaggi associati all’utilizzo dei fan. Un metodo di raffreddamento che aumenti in maniera significativa lo scambio termico dovuto alla convezione naturale e che, allo stesso tempo, non presenti molti dei difetti e svantaggi associati alle ventole, sarebbe una interessante opzione per svariati prodotti elettronici. Una delle possibilità più promettenti è costituita dall’utilizzo di getti per il raffreddamento, in particolare getti sintetici. Fondamentalmente, tale 1
  • 2. Introduzionep tecnologia può arrivare a richiedere semplicemente un piccolo altoparlante e un po’ di elettronica. I benefici offerti dai getti sintetici dipendono, in un certo qual modo, dal tipo di applicazione, ma, in generale, sono attesi i seguenti vantaggi quando si confronta il raffreddamento tramite getti sintetici con quello ottenuto tramite una ventola, per fissate performance di scambio termico: rumorosità (nettamente) inferiore migliore efficienza termodinamica, metà della potenza richiesta una più alta affidabilità un più basso rischio di ostruzione, dal momento che la componente vibrante può essere protetta dall’ambiente circostante processo di miniaturizzazione più semplice annullamento della rumorosità relativamente semplice da realizzare L’obbiettivo del presente lavoro di tesi è determinare il coefficiente di scambio termico convettivo tra una lastra, riscaldata per effetto Joule, e un dispositivo per getti sintetici presenti in letteratura, si è scelta quella a getto doppio. Il getto fluisce da due ugelli a sezione costante, collegati all’apparato al cui interno è presente il generatore di getti sintetici (nel nostro caso, un semplice altoparlante). Le misure sono state effettuate mediante un termografo a scansione all’infrarosso, applicato alla tecnica stazionaria denominata “heatedthinfoil”, mentre i risultati sono stati espressi in forma adimensionale in termini del numero di Nusselt. 2
  • 3. Sommario Capitolo 1.Analisi Teorica……………………………………………………………………………………….5 1.1Acoustic Streaming e Getti Sintetici……………………………………………………………….5 1.2Strato Limite Termico…………………….………………………………………………………………9 1.3 Temperatura di Ristagno……………………………………………………………………………..12 1.4 Scambio Termico per Convezione……………………………………………………………….13 1.5 Determinazione del Numero di Nusselt: Analogia di Reynolds…………………………………………………………………………………..17 1.6 Risuonatori di Helmots………………………………………………………………………………..21 Capitolo 2.Studi Precedenti………………………………………………………………………………...26 2.1 Introduzione………………………………………………………………………………………………...26 2.2 Scambio di Calore per Getti Convenzionali…………………………………………………..26 2.3 Scambio Termico per Getti Sintetici……………………………………………………………..30 Capitolo 3. Sensori di Flusso termico…………………………………………………………………….47 3.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………47 3.2 Sensori di Flusso Termico Non Stazionario…………………………………………………..49 3.3 Modello HeatheThinFoil……………………………………………………………………………..51 3.3.1 Elaborazione Numerica delle Immagini ed Estensione al caso Bidimensionale…………………………………………………………………………………….53 Capitolo 4. Termografia all’ Infrarosso………………………………………………………………….55 4.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………55 4.2 Termografia all’Infrarosso…………………………………………………………………………….56 4.2.1 Radiazioni Infrarosse………………………………………………………………………….56 4.2.2 Leggi Fondamentali……………………………………………………………………………57 4.2.3 Sensori Termografici e loro Caratterstiche………………………………………..61 3
  • 4. 4.2.4 Sistemi per la Termografia all’Infrarosso………………………………………….65 Capitolo 5. Apparato Sperimentale…………………………………………………………………….68 5.1 Apparato Sperimentale………………………………………………………………………………68 5.2 Caratteristiche del Dipole Cooler……………………………………………………………….70 Capitolo 6. Indagine Sperimentale…………………………………………………………………….75 6.1 Riduzione dei Dati Sperimentali…………………………………………………………………75 6.2 Analisi dei Risultati……………………………………………………………………………………..77 6.2.1 Prove con due tubi…………………………………………………………………………..77 6.2.1.1 Gruppo prove 1: Passo tubi 3D……………………………………………..77 6.2.1.2 Gruppo prove 2: Passo tubi 5D……………………………………………..82 6.2.1.3 Gruppo prove 3: Passo tubi 1D……………………………………………..87 6.2.1 Prove con 1 solo tubo………………………………………………………………………91 4
  • 5. 5
  • 6. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Capitolo 1: Analisi Teorica 1.1Acoustic Streaming e Getti Sintetici È ben risaputo che un getto genera un suono, mentre non è ben altrettanto noto che un suono può generare getti. Tale fenomeno è conosciuto come acoustic streaming (flusso acustico). Un flusso acustico è, essenzialmente, un flusso generato da un campo sonoro. Fondamentalmente, l’onda acustica viene attenuata dalla viscosit{ e dall’inerzia del mezzo, dando come risultato un gradiente di pressione lungo la direzione di propagazione dell’onda, gradiente di pressione che, a sua volta, esercita una forza sul mezzo, che conduce ad un flusso d’aria indotto. Faraday, nel 1831, fu il primo a descrivere empiricamente il flusso che si origina in prossimità di una superficie vibrante (ad esempio una membrana). Circa 100 anni dopo, Rayleigh per primo fornì una descrizione teorica del fenomeno che è ancora assai valida oggigiorno per un’analisi approssimata. Da un punto di vista teorico, uno dei maggiori problemi consiste nel fatto che l’acoustic streaming è governato da effetti di tipo non-lineare, motivo per cui non può essere analizzato utilizzando le equazioni dell’acustica lineare. Esistono in letteratura svariate classificazioni del fenomeno, ognuna delle quali caratterizzata da una propria particolare semplificazione delle Navier-Stokes. Due panoramiche sulla fisica del fenomeno sono state pubblicate da Lighthill nel 1978, e da Boluriaan e Morris nel 2003. La formazione di getti, associata all’oscillazione di membrane o quant’altro, è stata spesso oggetto di analisi. Già nel 1950, Ingard e Labate [1] riprodussero onde stazionarie all’interno di un tubo circolare per indurre un campo di velocità oscillante in prossimità del foro di uscita del tubo stesso; si osservò come, in prossimit{ dell’orifizio, si formassero getti a partire da treni di anelli vorticosi. Nel 1975, Mednikov e Novitskii[2] riportarono la formazione di getti a flusso netto di massa nullo e velocità media pari a 17 m/s inducendo un campo di velocit{ instazionario a bassa frequenza tramite l’utilizzo di un 6
  • 7. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica pistone azionato meccanicamente. Nel 1980, Lebedeva[3] creò un getto circolare dotato di valori della velocit{ fino a 10 m/s tramite l’utilizzo di onde sonore di grande ampiezza indotte all’interno di un tubo dotato di un orifizio ad una delle estremità. Un grande contributo alla teoria e alle possibili applicazioni dei getti sintetici è stato dato dal gruppo guidato dal Prof. Glezer del Georgia Tech, con sede ad Atlanta. Glezer, insieme a Smith[4], ha presentato nel 1998 una interessante panoramica relativa alla formazione e alla evoluzione dei getti sintetici, focalizzando in particolare l’attenzione sui getti piani bidimensionali, indotti dal movimento di un diaframma portato in risonanza (1140 Hz) all’interno di una cavit{ sigillata dotata di un foro rettangolare di dimensioni 0.5x75 mm. L’interazione tra getti sintetici adiacenti è stata studiata dagli stessi Smith e Glezer. Un getto sintetico è il prodotto dell’interazione di un treno di vortici generato dalla eiezione e suzione di fluido attraverso un orifizio, cosicché il flusso netto di massa attraverso lo stesso è praticamente nullo. Mentre il flusso durante la fase di suzione può essere pensato simile a quello indotto da un pozzetto coincidente con il foro, il flusso durante la fase di eiezione è principalmente confinato in un dominio finito abbastanza limitato che si sviluppa in prossimit{ dell’asse del getto. Durante la fase di eiezione del fluido, il flusso si separa in corrispondenza degli spigoli dell’orifizio, così da formare uno strato vorticoso che tende ad arrotolarsi su se stesso, fino a formare un vortice (anelli vorticosi o coppie di vortici, a seconda se il foro, da cui entra e fuoriesce il fluido, è circolare o rettangolare, rispettivamente) che si allontana dall’orifizio con velocit{ auto-indotta. Il grado d’interazione tra i vortici e il reversed flow, indotto in prossimit{ dell’orifizio dalla suzione, dipende dalla forza dei vortici e dalla loro distanza dall’orifizio. I getti sintetici sono solitamente realizzati imponendo una caduta temporale periodica di pressione attraverso l’orifizio (caduta che può essere ottenuta per mezzo del moto di un pistone o di un diaframma, come può essere ad esempio la membrana di un altoparlante). In studi recenti è stata utilizzata un’ampia variet{ di attuatori, compresi diaframmi di tipo piezoelettrico (vedansi gli esperimenti condotti da Smith e Glezernel 1998[4]; da 7
  • 8. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Mallinsonnel 1999[8]; da Crook sempre nel 1999[9]; da Chen nel 2000[10]), pistoni mossi elettromagneticamente (come negli esperimenti condotti da Rediniotis nel 1999[11], e Crook e Wood nel 2001[12]), e cavità guidate acusticamente (Erk nel 1997[13], McCormick nel 2000[14], Kang sempre nel 2000[15]). Crook[9] ha ideato un generatore di getti sintetici con struttura accoppiata, che faceva utilizzo di un diaframma piezoelettrico. Modellò il flusso attraverso l’orifizio utilizzando le equazioni di Bernoulliinstazionarie, e valutò gli effetti che avevano le variazioni di diametro del foro e di profondità della cavità sul flusso esterno. Nonostante i risultati ottenuti sulla dipendenza della velocit{ nel centro del getto nei confronti del diametro dell’orifizio e della profondità della cavità fossero abbastanza distanti da quelli previsti, i trend erano abbastanza simili. Più recentemente, Chen[10] ha concentrato i suoi studi sull’utilizzo di attuatori piezoelettrici per getti sintetici, studiando il comportamento di una grande varietà di dischi piezoceramici aventi differenti proprietà meccaniche e spessore e diametro variabili. Il complesso campo di moto all’interno della cavit{ dell’attuatore è stato trattato principalmente dal punto di vista numerico. Per esempio, Rizzetta [16] (1998) utilizzò le equazioni di Navier-Stokesinstazionarie compressibili per simulazioni numeriche relative sia al fluido interno alla cavità che a quello in prossimit{ dell’orifizio.In queste simulazioni, che vennero condotte sia per un fissato numero di Reynolds che per una fissata profondità della cavità ,il moto era suggerito da una parete mobile posta sul lato opposto all’orifizio. Durante la fase di suzione, una coppia di vortici contro-rotanti si formava in prossimit{ degli spigoli interni dell’orifizio, urtava contro la parete opposta, e si dissolveva in prossimità del centro della cavità (apparentemente a causa dell’iniezione di vorticità di senso opposto a partire dallo strato limite sulla parete), prima che il successivo ciclo di eiezione avesse inizio. Per un dato numero di Reynolds, la forza delle coppie di vortici che si originavano su entrambi i vertici dell’orifizio tendeva ad aumentare al diminuire della profondità della cavità (come è stato anche confermato da studi successivi condotti da Lee e Goldstein[17] nel 2000). 8
  • 9. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Nell’analisi svolta da Smith e Glezer[4] (1998), si è sviluppato un getto sintetico bidimensionale mediante un orifizio rettangolare (ampio 0.5 mm),posizionato su una delle pareti di una cavità sigillata poco profonda, utilizzando un diaframma piezoelettrico, montato su uno dei lati della cavità (quello opposto all’orifizio), portato in risonanza (1140 Hz). Un’immagine Schlieren nel piano x-y del getto mostra una coppia di vortici formatasi in prossimit{ dell’orifizio così come il profilo di un getto turbolento più a valle (fig.1). Figura 1 – (a) Diagramma schematico per un attuatore di getti sintetici; (b) Immagine Schlieren di un getto sintetico rettangolare. Nonostante la coppia di vortici e il rimanente fluido espulso appaiano laminari dopo che il roll-up è completato, i centri delle coppie di vortici diventano instabili e cominciano a scomporsi in moti di piccola scala approssimativamente a t/T = 0.5 (ossia all’inizio della fase di suzione, a met{ periodo). Similmente a quanto accade per un anello vorticoso isolato, l’inizio della transizione sembra avvenire in prossimità del punto di ristagno della coppia vorticosa, dove gli stress sono più elevati. Un anello vorticoso assialsimmetrico può essere definito mediante due parametri adimensionali (Didden[18] e Glezer[4]). Il primo parametro è la lunghezza adimensionale di “stroke” L0/d, dove L0 è dato da: 9
  • 10. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica in cuiu0(t) è la velocità nella direzione di propagazione del getto (valore medio sull’area dell’orifizio), è il tempo di scarico e d è la lunghezza di scala caratteristica dell’orifizio. Il secondo parametro è il numero di Reynolds, basato sull’impulso (la quantit{ di moto associata al flusso “scaricato” dall’orifizio), ed è dato da: dove , in cui e sono la densità e la viscosità del fluido, rispettivamente. Un numero di Reynolds alternativo può essere definito mediante la circolazione del getto libero espulso, oppure tramite la velocit{ media nel tempo a livello dell’orifizio. Per fori non circolari, l’AR dell’orifizio può influenzare la distorsione fuori dal piano dei vortici, e quindi l’evoluzione di questi ultimi (Dhanak&Bernardinis[19], 1981). Quando i vortici vengono generati periodicamente nel tempo per dar vita ad un getto, un importante parametro è costituito dalla frequenza di formazione f, mentre la frequenza adimensionale è una misura dell’impulso totale per unit{ di tempo, pertanto può essere utilizzato come parametro per caratterizzare getti differenti in base alla loro forza. Alcuni dettagli sulla formazione dei vortici del getto sono stati oggetto di studio di Rediniotis[11] (1999), il quale ha utilizzato un getto circolare (D = 2mm)realizzato mediante uno shaker. Per un fissato numero di Reynolds (ReD= 200), si osservava la formazione del getto per L0/D = 1.6 e St = 0.2 (calcolato utilizzando la velocità massima in uscita); mentre per L0/D = 0.16 e per St = 2, il fluido espulso era ricacciato all’interno della cavit{ durante la fase di suzione, e quindi non si assisteva alla formazione di alcun getto. 10
  • 11. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Crook e Wood[12] (2001) hanno condotto degli esperimenti sull’interazione tra vortici all’interno di un getto sintetico circolare operante a 50 Hz. Per quattro numeri di Reynolds (con valori compresi tra 660 e 2300) e altrettanti valori corrispondenti del rapporto L0/D (valori compresi tra 2.56 e 8.9), i vortici crescevano nelle dimensioni, e non veniva visualizzata alcuna interazione tra vortici successivi. Tuttavia, per bassi numeri di Reynolds (ReD = 330, L0/D = 1.28), la velocità dei vortici era bassa al punto che il moto risultasse chiaramente affetto dalle forze ascensionali dovute alle particelle traccianti di fumo. 1.2 Strato Limite Termico Lo strato limite è la zona in cui si verificano gli scambi di quantità di moto e di energia tra la lastra ed il fluido. Studi sullo strato limite sono stati condotti da Prandtl, che, tra l'altro, valutò l'influenza della viscosità, nel caso di campi di moto ad elevato numero di Reynolds, in una ristretta zona adiacente alla lastra dove si sviluppavano elevati gradienti di velocità, tali da generare considerevoli sforzi dissipativi τ. Nello strato limite la velocità passa con continuità dal valore nullo a quello del flusso indisturbato. In questa zona, assunto un sistema di riferimento solidale alla lastra con l'asse X parallelo alla direzione del flusso indisturbato e l'asse Y normale a quest'ultima, il gradiente di velocità nella direzione normale alla superficie della lastra v y è molto forte, e, sebbene la viscosità assuma valori bassi (caso dell'aria), lo sforzo dissipativo v è molto grande. Se si indica con L la lunghezza y caratteristica entro la quale avviene lo scambio di quantità di moto tra fluido e superficie solida, l'esatta soluzione delle equazioni di Navier-Stokes trovata da Prandtl (che non sarà qui riportata) fornisce lo spessore dello strato limite dinamico " s ", inversamente proporzionale alla radice quadrata del numero di Reynolds: 11
  • 12. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica 1 S Re L VL dove Re rappresenta l'importanza relativa tra il flusso convettivo di quantità di moto V L VV e il flusso diffusivo di quantità di moto irreversibile . Analogamente, occorre determinare lo spessore dello strato limite termico (esiste scambio termico fra il fluido e la lastra solo nell'intorno del corpo). Dall'equazione dell'energia, scritta per un fluido omogeneo e isotropo, in termini di temperatura: Cp DT 2 Dp Dt k Dt 2 T x 2 T 2 T 2 z 2 y Nel caso di moto stazionario si può scrivere: Cp u T v x T w 2 T y k z T x 2 2 2 y 2 T z T 2 u p v x p w y p z L'equazione differenziale su scritta può essere semplificata effettuando l'analisi dimensionale che, tramite i numeri (o gruppi) adimensionali, permette di valutare in maniera quantitativa l'importanza relativa dei membri dell'equazione. In prima istanza sono stabiliti i valori di riferimento delle variabili presenti nell'equazione, adimensionalizzate: la temperatura rispetto ai quali esse sono sarà riferita all'incremento di temperatura adiabatico (ΔT), la pressione alla pressione dinamica della corrente indisturbata U 2 , la densità alla densità della corrente indisturbata. Stabilito ciò, l'equazione si trasforma in : u v x 1 w y z Re Pr 2 x 2 2 y 2 2 dove: T T = Temperatura adimensionale; 12 z 2 Ec v x Ec w y z Re
  • 13. Capitolo 1________ ______________________________________ p u Re Pr = Pressione adimensionale; 2 LU CP k Ec u Analisi Teorica = Numero di Reynolds; = Numero di Prandtl; 2 Cp T = Numero di Eckert; Poichè per i gas il numero di Prandtl è di ordine di grandezza unitario, si può considerare che i termini conduttivi siano dello stesso ordine di grandezza di quelli convettivi. I flussi conduttivi esistono dove vi sono gradienti di temperatura. Indicando con t lo spessore dello strato limite termico e sotto 2 l'ipotesi di moto bidimensionale, trascurando il termine x 2 rispetto al 2 termine y 2 , i termini conduttivi sono dello stesso ordine di grandezza di quelli convettivi se t 1 Re Pr . Per tener conto della dissipazione di s energia cinetica nel getto a causa dell'attrito e del riscaldamento per compressione si può esprimere t f (Re, Pr, Ec ) , in cui il riscaldamento per s attrito acquista un certo peso nello scambio termico globale solo se Ec è di ordine unitario. 1.3Temperatura di Ristagno 13
  • 14. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Il getto, incidendo sulla lastra, può dar luogo (nel caso comprimibile) a riscaldamento legato all'attrito ed alla compressione. Il riscaldamento per compressione può essere valutato dall'equazione dell'energia con l'ipotesi di moto stazionario di un fluido ideale e cattivo conduttore. L'equazione: Cpw T p w t t fornisce la relazione esistente tra temperatura e pressione lungo la linea di flusso. Dividendo per ρw ed integrando lungo tutta la linea di corrente, si ottiene: s C p T0 1 dp p s ds p T dp per l'ipotesi di moto non dissipativo è valido il trinomio di Bernoulli nella forma: w 2 dp cos t 2 da cui: T0 T 1 w 2 w 2 2C p ed imponendo la condizione di ristagno (w = 0), l'incremento di temperatura causato dalla compressione adiabatica vale: T0 T T w ad 2 2C p dove w è la velocità della corrente libera, T 0 è la temperatura di ristagno e T ad è l'incremento di temperatura adiabatico. 1.4 Scambio Termico per Convezione 14
  • 15. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica In alcune applicazioni può risultare utile la valutazione dei coefficienti di scambio termico convettivo h, definito come la quantità media scambiata sulla superficie del corpo considerato: il coefficiente di scambio termico è riferito alla differenza di temperatura esistente tra la superficie del corpo e il fluido. La potenza termica scambiata per convezione tra il contorno di un solido e un fluido, per unità di area e per unità di tempo, è esprimibile mediante la legge di Newton:  q dove h (T Tw ) è la temperatura di parete. L'espressione del flusso termico sopra riportata riflette una impostazione prettamente ingegneristica al problema, nel momento in cui ci si propone di determinare il coefficiente h mediante l’impiego di correlazioni tra parametri adimensionali di validit{ abbastanza generali, determinate, cioè, sotto certe condizioni, una volta per tutte. Da un punto di vista fisico, osservando che sulla superficie del corpo la velocità relativa della corrente è nulla, si può considerare che lo scambio termico sia di tipo puramente diffusivo (conduzione). Allora il flusso di calore in direzione y sulla parete è dato dalla legge di Fourier : Naturalmente la relazione sopra riportata consente di valutare il flusso termico una volta risolto il campo di moto e, quindi, in particolare, determinata la distribuzione delle temperature. Uguagliando le espressioni nei due diversi approcci, si può scrivere che è la relazione dalla quale si può ricavare h. Essa può essere adimensionalizzata, dunque si può definire un parametro caratteristico adimensionale, funzione di pochi altri parametri adimensionali, detto numero di Nusselt. Ponendo infatti 15
  • 16. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica si ottiene E, definendo il numero di Nusselt come risulta infine da cui si deduce che il numero di Nusselt dipende dalla particolare soluzione del campo di moto. Il primo passo da compiere per risolvere un problema di scambio termico per convezione è la risoluzione del campo di moto tramite le equazioni di continuità, bilancio di quantità di moto e di energia interna, con le opportune condizioni al contorno. Le incognite, in generale, sono ρ, u, v, p e T. Per impostare il sistema di equazioni necessarie alla soluzione del campo di moto, di cui il numero di Nusselt è funzione, si formulano le seguenti ipotesi : Moto stazionario Moto bidimensionale piano Moto incomprimibile Trascurabilità degli effetti gravitazionali In forma scalare il sistema è composto da quattro equazioni, una per la conservazione della massa, due per il bilancio di quantità di moto (moto 2D) e una per il bilancio di energia interna. 16
  • 17. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Nelle due equazioni di quantità di moto il primo membro rappresenta la forza d’inerzia, data dal solo termine convettivo per l’ipotesi di stazionariet{, e il secondo membro le forze applicate, di pressione e di tipo viscoso. Si noti che le equazioni sono state scritte nell’ipotesi di e quindi di trascurabilit{ degli effetti gravitazionali. L’ultima equazione, il bilancio di energia interna, è stata scritta in termini di entalpia specifica . Per gas piuccheperfetti una variazione di h è proporzionale ad una variazione di temperatura per mezzo del calore specifico a pressione costante . Il primo membro del bilancio dell’energia è il termine convettivo, il primo termine al secondo membro è quello diffusivo, regolato dalla legge di Fourier, e gli altri due sono i termini di generazione: uno è dovuto alla pressione e l’altro è proporzionale a , detta funzione di dissipazione, definita dal doppio prodotto scalare del gradiente del vettore velocità, parte simmetrica a traccia nulla, per se stesso. A velocità relativamente basse, in genere, questo termine, come si vedrà, viene trascurato. Formulando, infine, anche l’ipotesi che le propriet{ del fluido, quali coefficiente di viscosit{, coefficiente di conducibilità termica, calore specifico, siano costanti, l’equazione dell’energia risulter{ disaccoppiata da quelle della quantit{ di moto, ossia, una volta risolto il campo delle velocità, il campo delle temperature potr{ poi essere determinato dalla sola equazione dell’energia. Il sistema di quattro equazioni scalari deve essere risolto con opportune condizioni al contorno al fine di trovare il campo di velocità e di temperatura 17
  • 18. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica e risalire così al numero di Nusselt e quindi ad h. Una volta adimensionalizzato, il sistema di equazioni si presenta come segue: Le grandezze adimensionali sono ed entrambi i membri dell’ultima equazione sono stati divisi per . I tre numeri adimensionali che compaiono sono Numero di Peclet Numero di Reynolds Numero di Eckert con , diffusività termica,e , coefficiente di viscosità cinematica.Il numero di Eckert somiglia in qualche modo al numero di Mach al quadrato e, come quest’ultimo, è indicativo della velocit{ del flusso ed è trascurabile per campi di moto caratterizzati da velocit{ relativamente basse. Dall’espressione dell’equazione dell’energia adimensionalizzata si nota che l’ultimo termine, in cui compare il rapporto , è trascurabile a basse velocità, come già anticipato ed ora verificato dall’analisi degli ordini di grandezza nelle equazioni adimensionalizzate. Integrando le quattro equazioni con le condizioni al contorno Velocità nulla sulla parete: 18
  • 19. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Campo di velocità indisturbato a distanza infinita dal corpo: Temperatura adimensionale di parete nulla: Temperatura adimensionale unitaria a distanza infinita dal corpo: Si otterrà la funzione . Si noti che i tre numeri adimensionali di cui è funzione la temperatura sono dati del problema, noti i quali, una volta risolto il sistema di equazioni, è possibile conoscere il campo di temperatura ovunque nel campo di moto bidimensionale. Si avrà dunque: Infatti, essendo il numero di Nusselt, a meno del segno, la derivata della temperatura adimensionale rispetto alla coordinata è eliminata la dipendenza di Nu da valutata sulla parete, . 1.5 Determinazione del Numero di Nusselt: Analogia di Reynolds L’espressione del numero di Nusselt può essere trovata vantaggiosamente senza risolvere caso per caso il sistema di equazioni. Alla base di questo risultato sono essenziali i concetti della similitudine fluidodinamica e dell’analogia dei meccanismi di scambio della quantit{ di moto e dell’energia. A tal fine si formuli una ulteriore ipotesi, che Ec<<1, corrispondente alla situazione di velocità relativamente bassa. Al fine di semplificare le equazioni di bilancio di quantità di moto e di energia si supponga che il numero di Reynolds della corrente sia abbastanza elevato da poter considerare gli effetti viscosi confinati all’interno dello strato limite. Si esporranno ora i concetti ed i risultati fondamentali della teoria dello strato limite, in base ai quali le variazioni delle grandezze termofluidodinamiche nella direzione (intesa come perpendicolare al corpo) sono preponderanti rispetto alle stesse in 19
  • 20. Capitolo 1________ ______________________________________ direzione Analisi Teorica (nella direzione del moto). Gli ordini di grandezza sono stimati in termini di potenze dello spessore adimensionalizzato dello strato limite. La velocità verticale è ipotizzata di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella orizzontale. Secondo la teoria classica formulata da Prandtl, inoltre, all’interno dello strato limite l’intero termine convettivo è dello stesso ordine di quello viscoso. Scrivendo l’equazione del bilancio della quantit{ di moto lungo nello strato limite si ottiene, nelle ipotesi fatte, che cioè che, a meno di termini di ordine superiore, la pressione si trasmette inalterata nella direzione verticale. Ciò vuol dire, fisicamente, che la pressione sul corpo è uguale a quella sul bordo dello strato limite e che, quindi, la pressione nello strato limite coincide con quella che si può determinare attraverso la soluzione non viscosa nel campo esterno. Allo stesso tempo, nelle ipotesi di comportamento aerodinamico simile a quello della lastra piana, dalla soluzione non viscosa si ha Il campo di pressione sarà quindi uniforme e pari al suo valore a distanza infinita dal corpo. L’equazione della quantit{ di moto nella direzione del corpo si semplifica come in cui, per quanto detto prima, il gradiente di pressione, in situazioni in cui non è nullo, è da ritenere un termine noto. Il corpo, oltre a rappresentare un disturbo per il campo di velocità, rappresenta un disturbo anche per quello termico. Quanto detto per le variazioni di velocità nello strato limite dinamico vale anche per le variazioni di temperatura, concentrate anch’esse in una piccola regione nelle immediate vicinanze del corpo, detta strato limite termico. L’ipotesi che si fa all’interno dello strato limite termico è la 20
  • 21. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica trascurabilità delle variazioni seconde di temperatura in direzione x rispetto a quelle in direzione y Alla luce di tutte queste semplificazioni (strato limite, lastra piana a incidenza nulla e Ec<<1) le equazioni di bilancio di massa, quantità di moto e energia si scrivono Le incognite sono diventate ; esse devono rispettare le condizioni al contorno: sul corpo sul bordo dello strato limite L'espressione del numero di Peclet è e poiché per l'aria , si può ulteriormente porre .Sostituendo nell'equazione del bilancio dell'energia si ottiene il nuovo sistema Le ultime due equazioni sono formalmente identiche e, per quanto già detto, vanno risolte con identiche condizioni al contorno. Ne consegue che, dopo avere calcolato il campo delle velocità, il campo termico deve soddisfare una 21
  • 22. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica equazione che è formalmente la stessa della quantità di moto. Da ciò discende che Questo risultato è detto analogia di Reynolds: i fenomeni termici sono dello stesso ordine di grandezza degli scambi di quantità di moto di tipo diffusivo. Da ciò si deduce che per ottenere il numero di Nusselt si può prescindere, nelle ipotesi fatte, dal risolvere l’equazione dell’energia. Infatti, a meno del segno, che in termini dimensionali diventa Moltiplicando e dividendo per il coefficiente di viscosità dinamica ricordando l'espressione dello sforzo alla parete Moltiplicando e dividendo per la pressione dinamica coefficiente d'attrito , si ottiene e cioè In pratica si ottiene 22 e , si ha e introducendo il
  • 23. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Se l'ipotesi nelle quali si ricavano questi risultati non sono soddisfatte valgono comunque relazioni del tipo dove il coefficiente A dipende essenzialmente dalla geometria del sistema in esame mentre B è approssimativamente uguale a 0,5 in moto laminare. In moto turbolento si ha quindi con c,c' coefficienti costanti. 1.6 Risuonatori di Helmholtz I risuonatori di Helmholtz sono delle particolari cavità risonanti acustiche, create da Hermann von Helmholtz nel 1860 per lo studio del suono e della sua percezione. Possono essere semplicemente costruiti come dei recipienti di metallo (in genere sferici o cilindrici) di varie dimensioni, con una stretta apertura preceduta da un breve e stretto collo (fig.2). Figura 2 – Risuonatore sferico in ottone (1890 – 1900 circa) 23
  • 24. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica Mettendo in oscillazione l’aria contenuta in un risuonatore (per esempio soffiando di taglio nell’imboccatura, o, semplicemente, esponendo il risuonatore ad una fonte di onde sonore), si generano al suo interno onde stazionarie in risonanza con la frequenza propria della cavità, che, quindi, si comporta come un amplificatore selettivo del suono in un ristretto intervallo di frequenze.Un banco di risuonatori di dimensioni differenti, quindi, può essere utilizzato come uno strumento analogico di analisi del suono. In presenza di un suono complesso il banco di risuonatori lo scompone nelle sue componenti pure. La risposta di ciascun risuonatore sarà proporzionale all’intensit{ con cui la frequenza corrispondente contribuisce a formare il suono da analizzare. Si tratta, in pratica, di un rudimentale sistema meccanico in grado di effettuare un’analisi di Fourier in tempo reale. Grazie all’elettronica, naturalmente, queste operazioni sono svolte da un opportuno banco di filtri che operano su un segnale elettrico, ottenuto dall’originale sonoro grazie ad un microfono. Una delle possibili applicazioni della risonanza di Helmholtz consiste nel subwoofer presente nei moderni impianti Hi-Fi. La risonanza di Helmholtz di una cassa di legno di dimensioni adeguate può infatti facilitare l’irraggiamento di un altoparlante alle basse frequenze. Al di sotto di circa 80 Hz l’efficienza di irraggiamento degli altoparlanti classici diminuisce drasticamente, e, senza l’aiuto della risonanza, sarebbe impossibile emettere onde sonore con alti livelli di intensità. Solo due parametri descrivono completamente un risuonatore: la sua frequenza di risonanza e l’efficienza con cui esso risuona (ovvero l’intervallo di frequenze alle quali si ottiene una risposta). Affinché il risuonatore sia ideale supponiamo che, durante l’oscillazione della massa d’aria, l’aria stessa non esca dal recipiente, e che si muova senza attrito. In queste ipotesi l’aria contenuta nel recipiente si comporta come una molla ideale. E’ quindi semplice concepirne un modello meccanico “a costanti concentrate”, cioè considerando l’aria nel corpo della cavit{ come un’entit{ priva d’inerzia, ma dotata di elasticit{, mentre l’aria nel collo come un’entit{ dotata di inerzia, ma avente elasticità trascurabile. Queste approssimazioni sono giustificate dal 24
  • 25. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica fatto che nel corpo rigido e chiuso del recipiente, l’aria è sostanzialmente immobile, mentre mantiene la sua comprimibilità elastica, mentre nel collo aperto l’aria è libera di muoversi con una velocit{ finita come un unico blocco, quindi, sostanzialmente senza modificare il proprio volume. I parametri che descrivono il risuonatore ideale sono: la sezione del collo A (m2) il volume del corpo della bottiglia V (m3) la densit{ dell’aria a riposo 0 (kg/m2) la velocit{ del suono nell’aria c (m/s) Il risuonatore di Helmholtz è una bottiglia con un collo molto piccolo rispetto al corpo, cioè deve valere la relazione V>>Al , dove l è la lunghezza del collo della bottiglia. Il sistema è del tutto equivalente al sistema meccanico massamolla (fig.3). Figura 3 – Analogia tra sistema massa – molla e risuonatore di Helmholtz L’aria all’interno del corpo cavo corrisponde alla molla, in virtù del fatto che è comprimibile. Maggiore è il volume V del recipiente minore è la sua costante elastica equivalente (cioè meno rigido è il sistema). La costante elastica equivalente: 25
  • 26. Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica L’aria presente nel collo corrisponde alla massa oscillante. La sua caratteristica principale è l’inerzia che essa possiede una volta messa in oscillazione. Essendo in piccola quantità la sua comprimibilità è trascurabile. Un’imboccatura stretta tende ad immobilizzare l’aria (grande inerzia), mentre con un’imboccatura larga è molto facile spostare l’aria dentro e fuori dalla bottiglia. La massa d’aria all’interno del collo del risuonatore è data da: La frequenza di risonanza del sistema si può ricavare in completa analogia con la frequenza di oscillazione di un sistema massa-molla Sostituendo i valori calcolati in precedenza troviamo: Il fatto che un po’ d’aria possa fuoriuscire dal recipiente durante ogni oscillazione ne aumenta di fatto la componente inerziale, e quindi comporta una correzione sensibile alla frequenza. Poiché l’effetto netto della fuoriuscita di aria è equivalente ad avere un collo leggermente più lungo, la correzione si può tradurre in una “lunghezza efficace” da usare nella formula della frequenza al posto della “lunghezza reale” del collo. La lunghezza efficace è data dalla seguente formula empirica: 26
  • 28. Capitolo 2Studi Precedenti Capitolo 2: Studi Precedenti 2.1 Introduzione Mentre da una parte abbiamo una vastissima letteratura sullo scambio termico innescato da getti impingenti, dall’altra il numero di studi sul raffreddamento per mezzo di getti sintetici è assai limitato e, per la maggior parte, si tratta di lavori risalenti solo agli ultimi dieci anni. Prima di passare alla trattazione dello scambio termico dovuto a getti sintetici, è necessaria una disamina sui getti in generale, e sullo scambio termico da essi innescato. 2.2 Scambio di Calore per Getti Convenzionali Una panoramica sulle caratteristiche in termini di scambio termico e trasferimento di massa sui getti raffreddanti superfici solide è stata presentata da Martin[20]. Lo scritto in questione è una raccolta dei dati sperimentali e delle formule empiriche ottenute in anni di ricerca. Nel testo sono trattati diversi tipi di getti; la nostra attenzione si è concentrata soprattutto sull’azione di raffreddamento svolta da getti generati da ugelli singoli (nel testo indicati come Single Round Nozzles). Il flusso di un getto impingente, originato da un singolo ugello circolare, può essere suddiviso in tre regioni caratteristiche ben distinte: la regione di getto libero, la regione di flusso di ristagno, e la regione di flusso radiale, anche definita come regione del getto di parete. Il campo di velocità di un getto impingente è mostrato schematicamente in fig.4. 26
  • 29. Capitolo 2Studi Precedenti Fig. 4 – Regioni di moto per un getto singolo su lastra piana Le variabili che influenzano i trasferimenti di massa e di calore per un getto impingente sono, da una parte, la portata di massa, il tipo e lo stato del gas; dall’altro, la forma, le dimensioni e la posizione dell’ugello rispetto alla superficie solida. Inoltre, occorre considerare le condizioni al contorno idrodinamiche, termiche e materiali. Le condizioni idrodinamiche a contorno sono fornite dalla distribuzione di velocit{ all’uscita dell’ugello e sulla superficie solida su cui il getto impinge. Si è soliti assumere che tutte le componenti di velocità si annullino sulla superficie (superficie a riposo ed impermeabile), e che la velocit{ del gas all’uscita dall’ugello sia equamente distribuita lungo la sezione del getto. Il coefficiente di scambio termico può essere scritto come il rapporto tra il flusso di calore e la differenza di forza motrice tra uscita dall’ugello e superficie: . Una volta fissate le condizioni al contorno (precedentemente elencate), il coefficiente di scambio termico può essere scritto in forma adimensionale: . 27
  • 30. Capitolo 2Studi Precedenti La lunghezza caratteristica scelta per il numero di Nusselt e il numero di Reynolds è il diametro idraulico dell’ugello. Per il numero di Reynolds si utilizza la velocit{ media all’uscita dall’ugello, calcolata a partire dalla portata di massa totale. Per calcoli pratici di tipo ingegneristico è possibile utilizzare il seguente formula: dove è il coefficiente di trasferimento di calore medio integrale. La formula precedente è valida per qualsiasi tipo di ugello. Nel caso di ugello singolo circolare con diametro pari a d (D in fig.2), la formula precedente può essere scritta come: Anche questo coefficiente può essere espresso in forma adimensionale: dove z è la lunghezza indicata in fig.2 come H, e r è la distanza radiale dal punto di ristagno del getto. Sempre per ugelli circolari singoli, vale la seguente relazione: dove Sc è il numero di Schlunder, Sh è il coefficiente di scambio di massa adimensionalizzato e Pr è il numero di Prandtl. Tale equazione ha il merito di 28
  • 31. Capitolo 2Studi Precedenti legare lo scambio di massa allo scambio termico, ma è applicabile solamente per distanze radiali, a partire dal punto di ristagno, di 2.5 diametri di ugello. Per determinare F(Re) si è soliti utilizzare la seguente equazione: Il range di validità delle ultime due equazioni è il seguente: In fig.5 è riportato l’andamento del flusso di calore (e del flusso di massa) in funzione del numero di Reynolds, nel caso di lastra circolare riscaldata investita da un getto proveniente da un ugello circolare. La curva è il risultato di studi condotti da Schundler e Gnielinski, Petzold, Gardon e Cobonpue, Brdlick e Savin, e Smirnov. Figura 5 – Scambio di massa e calore tra una lastra circolare e un getto impingente (ugello circolare singolo). 29
  • 32. Capitolo 2Studi Precedenti 2.3 Scambio Termico per Getti Sintetici Mentre esiste una letteratura abbastanza estesa e completa sul raffreddamento ad aria tramite l’utilizzo di getti convenzionali di pareti riscaldate, l’idea di utilizzare i getti sintetici per incrementare lo scambio termico di una superficie calda è relativamente recente. E, come conseguenza, non abbiamo in letteratura una relazione per lo scambio termico in funzione delle caratteristiche del getto sintetico così come avviene per i getti semplici. Ciononostante, la relazione (eq.1) è stata utilizzata da Garg[21] anche per i getti sintetici, al fine di prevedere i valori del coefficiente di scambio termico che sarebbero poi stati ricavati sperimentalmente. I risultati hanno mostrato come un confronto con i valori di picco portava ad una netta differenza tra i dati sperimentali ricavati e i valori previsti mediante l’uso della precedente equazione. Mentre utilizzando i valori medi nel tempo della velocità era possibile ottenere una certa coerenza tra dati sperimentali e valori calcolati. Tutto questo porta ad una interessante conclusione: la velocità media nel tempo del getto sintetico è il parametro più importante per definirne l’efficacia in termini di scambio termico dello stesso[22]. Gli studi più importanti sull’utilizzo dei getti sintetici come coolingdevices sono stati condotti solamente nell’ ultima decade. Nell’articolo pubblicato da Valiorgue[23] si indagava il meccanismo di scambio termico per un getto sintetico circolare, impingente su di una lastra riscaldata, per una distanza adimensionalizzata getto superficie z/d (nell’articolo indicata come H/D, dove D è il diametro del foro di uscita del getto) molto piccola, in particolare pari a 2. La performance di scambio termico veniva caratterizzata come una funzione della strokelengthL0/d e del numero di Reynolds. Negli esperimenti condotti, il getto sintetico veniva prodotto mediante l’ausilio di una cavit{ chiusa da un lato da un altoparlante, e dall’altro da un lastra forata. Il diaframma oscillante dello speaker muoveva l’aria presente all’interno della cavit{, facendola passare attraverso l’orifizio (del diametro di 5mm e profondo 10mm), generando così un getto pulsante 30
  • 33. Capitolo 2Studi Precedenti diretto verso una superficie riscaldata, costituita da un substrato di poliestere spesso 170µm su cui era stato depositato a vuoto uno strato di argento di spessore 3.5nm. Il flusso locale convettivo era stato determinato a partire dalla potenza elettrica, e corretto tenendo conto delle perdite di calore dovute a radiazione e convezione nella parte inferiore della lastra, e dalle perdite di calore dovute a radiazione nella parte superiore della stessa. Gli effetti sullo scambio termico locale (media nel tempo dei valori osservati) sono mostrati in fig.6, mentre in fig.7 è mostrato il percorso dei vortici (con gli otto cerchi indicanti la posizione degli stessi negli 8 differenti stadi in cui è stata suddivisa la fase di espulsione ). Figura 6 – Influenza dei vortici impingenti sul coefficiente di scambio termico medio. Figura 7 – Percorso dei vortici impingenti. Il raggio del cerchio e lo spessore della linea con cui è tracciato indicano, rispettivamente, il raggio equivalente del vortice e la forza dello stesso. Fig.8 mostra l’effetto dei vortici sul profilo radiale del coefficiente di scambio termico locale. In particolare, il grafico mostra l’andamento, in funzione della distanza radiale, del numero di Nusselt normalizzato con il suo valore di 31
  • 34. Capitolo 2Studi Precedenti ristagno, plottato in fig.9 in funzione della strokelengthL0/z. Il coefficiente di scambio termico ha un picco in corrispondenza del punto di ristagno (r/d = 0), e rimane su valori alti fino a r/d = 0.75, prima di diminuire in maniera drastica. L’estensione della regione ad alto coefficiente di scambio termico può essere spiegata tenendo conto dei risultati, ottenuti dagli stessi ricercatori, relativamente al campo di moto durante l’impingimento del getto sulla lastra (fig.8). Infatti, come mostrato in figura, il centro del vortice è approssimativamente a r/d = 0.89 nel momento in cui il vortice impinge sulla lastra. Il coefficiente di scambio termico decresce poi in maniera monotona al crescere del raggio. Per valori di r/d compresi tra 2.5 e 3 è possibile individuare un piccolo picco secondario, dovuto anch’esso all’azione di un vortice, seppur piccolo e non molto forte, come è possibile evincere da fig.6. Come mostrato in fig.9, il vortice si allontana dalla superficie a r/d = 3 e, successivamente, si dissolve. Si evince quindi che l’estensione del vortice coerente corrisponde al raggio di influenza in termini di scambio di calore. Figura 8 – Numero di Nusselt di ristagno in funzione della strokelengthL0/H per un getto sintetico circolare impingente a H/D=2. 32
  • 35. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 9 – Profili di velocità media di fase dei vortici impingenti. Esperimenti sul raffreddamento di una lastra piana tramite l’utilizzo di getti sintetici prodotti tramite un ugello circolare sono stati condotti anche da Chaudhari[24], dell’IndianInstitute of Technology di Mumbai. In particolare, si è analizzata la dipendenza del coefficiente di scambio termico nei confronti della distanza assiale tra superficie riscaldata e foro di uscita del getto, in funzione di alcuni parametri. 33
  • 36. Capitolo 2Studi Precedenti L’apparato sperimentale utilizzato è riportato in fig.10 Figura 10 – Schema dell’apparato sperimentale e parametri dimensionali rilevanti. Un primo set di risultati è stato sviluppato in termini di dipendenza del coefficiente di scambio termico da parametri dimensionali: frequenza di oscillazione del diaframma mobile, diametro dell’orifizio, profondit{ della cavit{ e lunghezza dell’orifizio. I risultati ricavati sono riportati nelle figure da 10 a 13. Si evince, quindi, come, per una fissata ampiezza dell’oscillazione (voltaggio in input allo speaker pari a 4Vrms), la frequenza di oscillazione della membrana, il diametro dell’orifizio e la lunghezza dell’orifizio abbiano un’influenza molto forte sullo scambio termico, mentre la profondit{ della cavità ha un effetto abbastanza limitato. L’effetto della frequenza di oscillazione e del diametro dell’orifizio sul coefficiente di scambio termico è di tipo non monotono, mentre quello della lunghezza dell’orifizio è monotono. Inoltre, dai grafici si evince come scegliere la giusta frequenza di eccitazione e il giusto diametro dell’orifizio sia cruciale ai fini di un utilizzo pratico di tale tecnologia. 34
  • 37. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 11– Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori della frequenza di eccitazione, e per uguale diametro dell’orifizio, profondità dell’orifizio e profondità della Figura 12 - Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori del diametro dell’orifizio, e per la stessa frequenza di eccitazione, profondità dell’orifizio e profondità della cavità. Figura 13 - Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori di profondità della cavità, e per lo stesso diametro dell’orifizio, profondità dell’orifizio e frequenza di eccitazione . 35
  • 38. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 14 - Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori di profondità della cavità, e per la stessa frequenza di eccitazione, diametro eprofonditàdell’orifizio Un secondo set di risultati è stato invece sviluppato in termini di parametri adimensionali. In particolare, si è studiata la dipendenza del numero di Nusselt medio (Nuavg) da parametri come il numero di Reynolds, il rapporto adimensionale L/d (parametro caratteristico dell’alloggiamento in cui è stipato l’altoparlante) e il parametro caratteristico del blocchetto di rame riscaldato R/d (in cui R è la semi-lunghezza caratteristica del blocchetto). La variazione del numero di Nusselt medio con la distanza assiale normalizzata, per diversi valori del numero di Reynolds, è mostrata in fig.15. Questi risultati sono stati ottenuti per L/d = 13.75, R/d = 2.5 e Pr = 0.7. Si osserva come il numero di Nusselt medio aumenti rapidamente fino a z/d = 6, per poi scendere gradualmente all’aumentare del rapporto z/d. Inoltre, è possibile osservare come il numero di Nusselt medio aumenti all’aumentare del numero di Reynolds per un qualsiasi valore del rapporto z/d. Il massimo valore del numero di Nusselt si ha per lo stesso valore del rapporto z/d per tutti i valori del numero di Reynolds. Il massimo valore del numero di Nusselt medio è 44 per un valore del numero di Reynolds pari 4180 e per un valore del rapporto z/d pari a 6. Fig.15 mostra l’effetto di L/d sul numero di Nusselt medio per differenti valori del rapporto z/d. Tale grafico è stato ottenuto per un valore del numero di Reynolds pari a 3700 e per R/d = 1.5. Il valore massimo di Nu si ottiene per z/d =2. È notevole come ci sia un sostanziale aumento (108%) del valore massimo del numero di Nusselt per una diminuzione del rapporto L/d da 13.75 a 7.86. Questa differenza suggerisce 36
  • 39. Capitolo 2Studi Precedenti che l’effetto che hanno le dimensioni dell’alloggiamento sul coefficiente di scambio termico per i getti sintetici sia molto importante. La ricircolazione del fluido tra l’orifizio e il blocchetto di rame provoca una significativa riduzione del coefficiente di scambio termico. La quantit{ d’aria coinvolta nel ricircolo cambia al cambiare della dimensione L dell’apparato. Più grande è L maggiore è la quantit{ d’aria che ricircola. Ciò implica una maggiore temperatura media dell’aria in prossimit{ della superficie riscaldata e porta ad una riduzione del coefficiente di scambio termico. Fig.16 mostra invece la variazione del numero di Nusselt medio in funzione della semi-lunghezza normalizzata del blocchetto di rame. È evidente come il numero di Nusselt medio aumenti all’aumentare del rapporto R/d per qualsiasi valore della distanza assiale normalizzata. L’aumento del numero di Nusselt medio all’aumentare del rapporto R/d è da imputare all’effettivo utilizzo del getto impingente per rimuovere il calore. Il valore del rapporto z/d per cui si ha il massimo del valore del numero di Nusselt medio aumenta all’aumentare del rapporto R/d. Il valore massimo del numero di Nusselt medio è 40 per R/d pari a 2.5, mentre è 23 per R/d pari a 1.5. Figura 15 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per diversi valori del numero di Reynolds. 37
  • 40. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 16 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per diversi valori del rapporto L/d Figura 17 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per diversi valori del rapporto R/d Inoltre, è stato portato avanti, per lo stesso studio, un confronto diretto tra getti continui assialsimmetrici e getti sintetici, per lo stesso set di condizioni. In fig.17 è possibile osservare come i getti continui diano un più alto valore del numero di Nusselt per piccole distanze foro - lastra ( . Ad ogni modo, entrambi i getti danno performance confrontabili per una spaziatura maggiore . Il massimo valore del numero di Nusselt si ottiene per z/d = 4 per quanto riguarda i getti continui, mentre lo si ottiene a z/d = 6 per quanto riguarda i getti sintetici. È possibile notare, inoltre, come il massimo valore del numero di Nusselt e il 10% maggiore per i getti continui rispetto a quello ottenuto con i getti sintetici per . I getti sintetici sono svantaggiati nel caso di piccole distanze foro-lastra a causa dei processi intrinseci di espulsione e suzione. Questo porta al ricircolo dello stesso fluido; di conseguenza, la temperatura dello stesso aumenta e la capacità del 38
  • 41. Capitolo 2Studi Precedenti getto nel rimuovere il calore dalla superficie riscaldata diminuisce notevolmente. Ciò non accade per i getti continui, per i quali c’è un continuo ricambio di fluido. Mentre un confronto diretto tra getti continui e getti sintetici è stato portato avanti per un solo valore del numero di Reynolds, le misurazioni preliminari, effettuate dagli stessi ricercatori, suggeriscono che i getti continui superino di gran lunga i getti sintetici, in termini di performance di scambio termico, per valori del numero di Reynolds inferiori a 4000. Tuttavia, per i getti sintetici il numero di Nusselt aumenta notevolmente all’aumentare del numero di Reynolds. Motivo per cui ci si aspetta che la capacità di scambio di calore dei getti sintetici sia migliore di quella dei getti continui per valori del numero di Reynolds superiori a 4000. Sostanzialmente quindi, Re = 4000 rappresenta una sorta di crocevia: valori maggiori conferiscono maggiori vantaggi ai getti sintetici, mentre per valori inferiori risultano avvantaggiati i getti continui. Dati sperimentali in merito non sono stati ricavati, per via delle limitazioni delle apparecchiature utilizzate e quindi questi risultati non possono essere del tutto confermati. Figura 2 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per getti sintetici e getti continui, per lo stesso set di condizioni a contorno (L/d=13.75 e R/d=2.5). 39
  • 42. Capitolo 2Studi Precedenti Un altro importante lavoro sullo sfruttamento dei getti sintetici per il raffreddamento di superfici riscaldate è stato portato avanti da Arik[25], del Global Research Center di Niskayuna, New York. Nell’articolo pubblicato viene dapprima effettuata una disamina in termini di coefficienti di scambio termico locale, per poi offrire una serie di risultati relativi ai coefficienti di scambio termico globale, in funzione di alcuni parametri. Si è analizzato come i getti sintetici permettano di ottenere un raffreddamento assai localizzato e coefficienti di scambio termico parecchio elevati su piccole superfici. Si è sviluppato, innanzitutto, un confronto, in termini di coefficienti di scambio termico locale, tra raffreddamento con la sola convezione naturale e raffreddamento tramite getti sintetici per caloriferi di diverse dimensioni. L’apparato sperimentale utilizzato è quello rappresentato in fig.18. Figura 3 – Vista in sezione dell’apparato Fig.19 presenta le temperature locali ottenute per un calorifero di 12.7 mm. È possibile osservare come il bordo d’uscita della superficie del calorifero abbia una distribuzione di temperatura più uniforme rispetto al bordo d’attacco, questo per via degli effetti della convezione naturale. Lo stesso calorifero, alimentato alla stessa maniera, è stato poi raffreddato mediante un getto sintetico. Le temperature locali sulla superficie del calorifero sono rappresentate in fig.20. Il getto è stato portato alla frequenza di risonanza per un valore del voltaggio molto basso (30V). Una volta che il getto è stato avviato, si è assistito ad una drastica diminuzione della temperatura del calorifero, provocata dall’impingimento 40 del getto sintetico sulla
  • 43. Capitolo 2Studi Precedenti superficiedello stesso. Fig.21 mostra la distribuzione sulla superficie del calorifero del coefficiente di scambio termico locale, il cui valore varia tra 63 e 66 W/m2K. L’effetto di un voltaggio di alimentazione più alto (50V) sul coefficiente di scambio termico locale è mostrato in fig.22. Occorre notare che il getto è stato, come in precedenza, portato alla frequenza di risonanza (4500Hz), ma stavolta con un voltaggio maggiore in ingresso all’attuatore. Un voltaggio maggiore ha come conseguenza diretta un maggior potenziale di raffreddamento, oltre ad un maggior consumo di potenza. Si è osservato, infatti, come il coefficiente di scambio termico massimo in questo caso fosse pari, all’incirca, a 92 W/m2K (fig.22), mentre era circa 63 W/m2K nel caso precedentemente esaminato (fig.21). Successivamente, si è studiato l’effetto dei getti sintetici nel raffreddamento di superfici riscaldate di dimensioni maggiori rispetto a quella utilizzata precedentemente. In particolare, si è utilizzato un calorifero 4 volte più largo del precedente e avente, quindi, una superficie 16 volte maggiore. Fig.23 presenta l’andamento della temperatura sulla superficie del calorifero di dimensioni maggiori nel caso del semplice raffreddamento per convezione naturale. Mentre in fig.24 vengono presentati i coefficienti di scambio termico sull’intera superficie del riscaldatore. Come è possibile evincere dalla figura, i coefficienti variano tra 19 e 23 W/m2K. Il raffreddamento per convezione naturale è, in questo caso, più debole. Il motivo è da ricercare nelle maggiori dimensioni della superficie riscaldata, che comportano una maggiore lunghezza caratteristica e quindi un numero di Nusselt minore. Una volta avviato il getto sintetico l’effetto della turbolenza e dei vortici locali è quello di agitare l’aria in prossimit{ della superficie del calorifero e provocare un netto aumento dello scambio termico. Le temperature locali vengono fornite, per questo caso, in fig.25. Mentre l’effetto dei getti sintetici sul coefficiente di scambio termico totale è dato in fig.26. La massima temperatura del calorifero si aggira attorno ai 61°C, mentre il coefficiente di scambio di calore totale assume valori che variano tra 32 e 37W/m2K. 41
  • 44. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 19 – Distribuzione di temperatura sulla superficie diun calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm raggiunta con la sola convezione naturale. Figura 20 – Distribuzione di temperatura sulla superficie diun calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz, V=30V). Figura 21 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz, V=30V). 42
  • 45. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 22 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz, V=50V). Figura 23 – Distribuzione di temperatura sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8mm, raggiunta con l’ausilio della sola convezione naturale. Figura 24 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm raggiunta con l’ausilio della sola convezione naturale. 43
  • 46. Capitolo 2Studi Precedenti Figura 25 – Distribuzione di temperatura sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm ottenuta utilizzando un getto sintetico (f=4500Hz, V=50V). Figura 26 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm raggiunta tramite l’utilizzo di un getto sintetico (f=4500Hz, V=50V). Infine, come gi{ preannunciato, si è analizzato l’aumento di scambio termico globale per un’ampia variet{ di caloriferi, sempre di forma quadrata ma di diverse dimensioni, in funzione di svariati parametri. L’enhancement (aumento) in termini di performance di raffreddamento, per quanto riguarda il confronto getti sintetici e convezione naturale, può essere scritto nella seguente maniera: Fig. 27 presenta l’effetto del voltaggio di alimentazione dell’attuatore sull’aumento di scambio termico, per un certo range di valori del voltaggio. Mantenendo costante la temperatura massima del calorifero (80°C), per tutti 44
  • 47. Capitolo 2Studi Precedenti i caloriferi provati (per i quali a variare sono solo le dimensioni e, quindi, la superficie da raffreddare), si è osservato, come prevedibile, un diverso valore dello scambio termico globale per i diversi casi esaminati. Il calorifero più piccolo mostrava il massimo aumento di scambio termico, dal momento che quest’ultimo era 9 volte superiore rispetto a quello ottenuto con la semplice convezione naturale. Il calorifero più grande, invece, di lato 50.8 mm, mostrava un valore dell’enhancement pari a 4. Quindi, per la superficie più grande, lo scambio termico ottenuto sfruttando il getto sintetico era solamente 4 volte maggiore rispetto a quello ottenuto con la semplice convezione naturale. Questo effetto è dovuto al fatto che l’efficacia del getto diminuisce all’aumentare della superficie riscaldata, come ci si aspetta d’altronde. Inoltre, sempre analizzando fig.27, è possibile notare come lo scambio termico non aumenti ulteriormente una volta superati i 70 V, per tutte le possibili dimensioni del calorifero. L’effetto della distanza tra uscita del getto e superficie e riportato in fig.28. È possibile notare come il comportamento dei caloriferi di dimensioni inferiori dipenda fortemente dalla distanza suddetta. Quando si allontana il getto dalla superficie riscaldata le performance di quest’ultimo diminuiscono in maniera drastica, nonostante il valore dell’enhancement sia, comunque, ancora pari a circa 5.7 per una distanza pari a 50 mm. È interessante come il calorifero da 25.4 mm mostri una variazione nelle performance di raffreddamento molto piccola (pari all’incirca ad una diminuzione del 10%) allontanando progressivamente il getto dal calorifero, portando la distanza foro-superficie da 5 a 50 mm. È da notare come, avvicinando troppo calorifero e foro d’uscita, la capacit{ di raffreddamento del getto diminuisca drasticamente. In particolare, è da evitare portare la suddetta distanza al di sotto dei 10 mm. Quest’effetto è dovuto in particolare all’ingresso, all’interno della cavit{ soffiante, di aria calda durante la fase di risucchio del getto; ciò ha notevoli ripercussioni sulle performance di raffreddamento. Fig.29 presenta l’effetto della frequenza di vibrazione dell’attuatore sullo scambio termico globale. Per tutte le dimensioni della superficie riscaldata il picco dello scambio di calore si ha alla frequenza di risonanza della camera dell’attuatore, ossia 45
  • 48. Capitolo 2Studi Precedenti 4500 Hz. Facendo variare la frequenza per un range del ±20%, lo scambio termico diminuisce solamente del 10%. Figura 27 – Effetto del voltaggio di alimentazione sull’Enhancement Factor. Figura 28 – Effetto della distanza foro – calorifero sull’Enhancement Factor. Figura 29 – Variazione dell’Enhancement Factor in funzione della frequenza. 46
  • 49. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico Capitolo 3: Sensori di Flusso Termico 3.1 Introduzione La misura dei flussi di calore e/o dei coefficienti di scambio termico per convezione tra una superficie ed una corrente è solitamente più complessa di quella di altre grandezze fluidodinamiche di interesse. La determinazione di un flusso di calore in generale richiede la misura di temperature. Infatti, nelle tecniche di misura ordinarie, i sensori di flusso termico sono di solito costituiti da corpi a comportamento termico noto, la cui temperatura (o la differenza di temperatura, o la variazione della temperatura nel tempo) è misurata in opportuni punti. Lo studio della trasmissione del calore, applicata al modello di sensore considerato, fornisce la relazione con cui, dalle temperature misurate, è possibile risalire al flusso termico (e/o ai coefficienti di scambio) cui è soggetta la superficie. In generale la misura di flussi termici convettivi comporta una duplice scelta: quella del modello fisico di sensore di flusso termico che meglio si adatta al problema oggetto di studio e quella della tecnica per la misura della temperatura più idonea. Si sottolinea che la scelta di un determinato sensore di flusso termico è spesso legata all’ordine di grandezza delle variazioni spaziali e temporali del flusso termico stesso. Quando la temperatura è misurata con tecniche di tipo standard (quali termocoppie, termoresistenze, pirometri), il sensore fornisce il flusso di calore locale in un solo punto (o medio su una superficie) e quindi il sensore stesso è classificabile come zero–dimensionale. Le tecniche convenzionali appaiono quindi insufficienti quando si studiano problemi in cui sono presenti gradienti spaziali dei flussi termici e/o nei casi in cui si richiede anche una completa visualizzazione dell’andamento del flusso termico sulla superficie di scambio. Un primo passo verso il superamento dei limiti delle tecniche standard zero–dimensionali è rappresentato dall’uso di "cristalli liquidi incapsulati" . In linea di principio, i cristalli liquidi potrebbero essere considerati come sensori di temperatura bidimensionali in quanto 47
  • 50. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico consentono di visualizzare mappe di temperatura. C’è da osservare però che, in applicazioni di tipo quantitativo, è necessario usare cristalli il cui colore cambia in un piccolo intervallo di temperatura. In pratica si visualizza una sola isoterma per volta, per cui i cristalli liquidi sono da considerarsi, di fatto, come sensori monodimensionali. Altre limitazioni nella pratica applicazione dei cristalli liquidi sono poste sia dal loro campo di lavoro relativamente limitato (tra -40 e 285°C), sia dalla difficoltà di applicare i cristalli su superfici a doppia curvatura soprattutto quando, come spesso avviene, essi sono riportati su fogli di mylar. Una ulteriore classificazione delle tecniche di misura della temperatura è quella che le distingue in invasive e non invasive. Le prime sono generalmente caratterizzate da una maggiore precisione ma disturbano, con la loro stessa presenza, il fenomeno in osservazione. Tecniche di misura della temperatura considerate invasive sono le termocoppie, i thinfilmse gli RTD. Le tecniche invasive sono affette da errori riconducibili essenzialmente a due cause. La prima è la variazione delle condizioni termiche, provocata dalla presenza dell’elemento sensibile, nella zona circostante il punto nel quale esso è applicato (ad es., la conduzione attraverso i cavi della termocoppia). La seconda può essere, in alcuni casi, legata alla dimensione finita dell’elemento sensibile; infatti quando l’elemento è applicato in zone ad alti gradienti spaziali di temperatura e/o di flusso termico esso, in generale, è in grado di fornire solo una misura mediata nello spazio. Le considerazioni precedenti rendono critico l’impiego di elementi sensibili cosiddetti invasivi per misurare flussi termici convettivi su modelli investiti da una corrente fluida. Peraltro molto spesso è richiesta una conoscenza dettagliata della distribuzione superficiale dei flussi termici. In tali casi, spesso occorrono sia misure di tipo qualitativo che quantitativo: le prime per mettere in evidenza le zone di picco dello scambio termico ed avere una visione d’insieme del fenomeno; le seconde per ottenere valori numerici su cui basare le successive fasi del progetto. Si è già detto che il limite delle convenzionali tecniche quantitative di misura della temperatura è costituito dalla zero–dimensionalità della natura della loro misura, in quanto questa è effettuata in punti discreti della superficie. D’altra parte, le 48
  • 51. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico qualitative tecniche classiche di visualizzazione spesso sono invasive; ad esempio la visualizzazione delle linee di corrente ottenuta mediante miscele d’olio e fuliggine o a mezzo di vernici termosensibili, ancorché tecniche bidimensionali, possono essere affette dai depositi sulla superficie del modello. Il radiometro a scansione nell’infrarosso (Infrared Scanning Radiometer, IRSR), o termografo all’infrarosso, accoppia le caratteristiche qualitative degli strumenti di visualizzazione del flusso a quelle quantitative dei misuratori tipicamente invasivi. Esso fornisce una misura non invasiva, bidimensionale e digitalizzabile per successive elaborazioni del segnale al computer. In questo capitolo si esamineranno i possibili sensori di flusso termico e l’applicazione ad essi della termografia all’infrarosso; in quello successivo si descriverà in dettaglio la tecnica termografica. 3.2 Sensori di Flusso Termico non Stazionario Le metodologie, per la misura del flusso termico, si distinguono in tre categorie a seconda del regime: instazionario, quasi stazionario e stazionario. Nel caso instazionario, si supponga che il flusso termico vari con legge sinusoidale del tipo: q1=|q1| ∙ sen(ϕ∙t) dove ϕè la frequenza di variazione del flusso termico. Quest’ultima può essere confrontata con la frequenza caratteristica del sensore α/s, dove s ed α sono rispettivamente lo spessore è la diffusività termica del sensore. Tale frequenza è l’inverso del tempo caratteristico impiegato dal sensore per adeguarsi alle variazioni di temperatura (tempo di equilibramento). Per confrontare quantitativamente le due grandezze in esame è necessario fissare non solo la condizione del flusso entrante, ma anche quella del flusso uscente dalla parte interna del corpo, come mostrato nella fig.30. 49
  • 52. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico Figura 30 – Schema di sensore di flusso termico Se infatti si suppone =0, si possono discutere i valori che può assumere il rapporto φ/(α/s). Valori elevati implicano un tempo di adeguamento alle mutate condizioni di temperatura così alto che si può ritenere che solo la zona in prossimità della superficie 1, che è investita dal flusso, risenta di tali variazioni, mentre la restante parte del sensore si può considerare in condizioni praticamente stazionarie. In tal caso il modello del sensore assume il nome di thin film e viene studiato mediante la teoria della parete semi-infinita, che mette in relazione la temperatura direzione normale al sensore con il flusso di calore in . In una fenomenologia del genere, l’uso del termografo sembrerebbe estremamente facile: il problema risiede però nel tempo di risposta del termografo che è relativamente elevato (dell’ordine del decimo di secondo) mentre nelle tecniche ordinarie il thin film è una termoresistenza dello spessore di pochi micron con tempi di risposta dell’ordine dei microsecondi. Quando invece il rapporto φ/(α/s) assume valori molto piccoli, il tempo di equilibramento del sensore è estremamente breve, il che consente, istante per istante, di considerarlo isotermo attraverso il suo spessore. In tal caso il modello del sensore assume il nome di thinskin, o parete sottile, per il quale il sensore è considerato come un calorimetro ideale, riscaldato su una faccia e termicamente isolato dall’altra, che si può caratterizzare con le condizioni: ; . In questo caso l’uso del termografo si rivela vantaggioso rispetto ad altre tecniche di misura: la misurazione della temperatura può essere effettuata sia sulla superficie 50
  • 53. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico riscaldata che su quella adiabatica eliminando così la difficoltà di dover posizionare un sensore di temperatura che, per quanto di piccole dimensioni, spesso risulta intrusivo. Per il termografo, la misura dell’una o dell’altra faccia ha problematiche pressoché equivalenti. Nella seconda metodologia, quella della misura del regime di flusso termico quasi stazionario, si possono ancora utilizzare i sensori thin film e thinskinpurché le variazioni di temperatura nel tempo siano piccole rispetto alla differenza tra la temperatura di parete e quella di parete adiabatica. Un altro metodo classico è quello di utilizzare il sensore a gradiente, il cui modello resta sempre quello di Fig. 3.1, ma con : in tal modo si cerca di calcolare il flusso termico in direzione normale alla superficie mediante la misura della differenza di temperatura tra le due facce del sensore di cui si conoscono lo spessore e la conducibilità termica. Il sensore a gradiente è applicabile quando φ/(α/L2)<<1. La difficoltà principale di questo metodo (che può prevedere comunque l’utilizzo del termografo) consiste nell’impossibilit{ di misurare in modo semplice la distribuzione di temperatura su entrambe le facce del sensore. 3.3 Modello HeatedThinFoil La terza metodologia, quella della misura del regime di flusso termico stazionario può essere realizzata con la tecnica che prende il nome di heatedthinfoil(Carlomagno e de Luca (1989)). Mediante tale metodo si riscalda per effetto Joule un sottile strato di materiale metallico (lamina) che ricopre la superficie del sensore e si determina il coefficiente di scambio termico h tra il sensore ed il fluido in moto, attraverso la misura della temperatura della parete del sensore. La superficie opposta a quella su cui avviene lo scambio termico, tra il corpo ed il flusso d’aria, deve essere resa, per quanto possibile, adiabatica. La tecnica è valida se vengono realizzate due condizioni: 51
  • 54. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico il flusso termico superficiale derivante dal riscaldamento per effetto Joule deve essere costante sulla superficie del sensore; se la temperatura misurata dal termografo è la , e non la , il numero di Biot relativo, deve essere molto minore dell’unit{. Figura 31 –Schema del sensore HeatedThinFoil La seconda condizione garantisce la trascurabilità dei gradienti di temperatura attraverso lo spessore dello strato riscaldato (da qui il nome heatedthinfoil). In questo caso, la superficie vista dal termografo può essere opposta a quella su cui avviene lo scambio termico tra il corpo ed il fluido. Se si opera tale scelta, è necessario curare in modo particolare la realizzazione della condizione di adiabaticità (salvo che per il flusso radiativo) con l’ambiente esterno. Se il coefficiente di scambio termico h è costante sulla superficie del sensore, esso puòessere calcolato mediante la relazione: dove: è la potenza termica per unità di superficie dissipata per effetto Joule, è la potenza termica scambiata per irraggiamento e potenza termica scambiata per convezione naturale. 52 è l’eventuale
  • 55. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico 3.3.1 Elaborazione Numerica delle Immagini ed Estensione al Caso Bidimensionale Il modello heatedthinfoilconsente, se associato ad un’opportuna tecnica di misura delle temperature quale la termografia, di essere facilmente esteso al caso bidimensionale, cioè al caso in cui h (e di conseguenza Tw) vari sulla superficie. Evidentemente in questo caso, l’equazione deve essere modificata per tenere conto anche degli effetti dovuti alla potenza termica qkscambiata mediante conduzione in direzione tangenziale (all’interno del sensore): Questa metodologia, associata all’utilizzo del termografo all’infrarosso, permette di effettuare delle rapide visualizzazioni della mappa bidimensionale del coefficiente di scambio termico convettivo sulla superficie in esame. Infatti il termografo permette la visualizzazione dell’intera famiglia di isoterme sulla superficie del modello e non una sola per volta, ad esempio, come nel caso dei cristalli liquidi. Poiché il flusso termico qjè costante, se le perdite sono trascurabili (o sono pressoché uniformemente distribuite sulla superficie di misura) e se la temperatura di riferimento della (3.2) è anche essa costante, le curve a temperatura costante rappresentano anche linee a coefficiente di scambio termico convettivo costante. Per ottenere delle misure quantitative è necessario però calcolare le perdite termiche e tenerle in conto nella riduzione dei dati sperimentali. Il primo contributo può essere facilmente valutato utilizzando la relazione di Stefan e Boltzmann: qr(x,y) = σε(Tw4(x,y) − Ta4) dove σ è la costante di Stefan–Boltzmann, ε è il coefficiente di emissività della superficie di misura, Taè la temperatura ambiente, supposta costante, ed x e y sono le coordinate spaziali nel piano di misura. Assumendola indipendente dalla lunghezza d’onda, l’emissivit{ della superficie, che normalmente è di difficile valutazione, può essere misurata direttamente con il termografo stesso e con un accurato termometro di riferimento. La potenza termica 53
  • 56. Capitolo 3Sensori di Flusso Termico scambiata per convezione naturale può essere, nella gran parte dei casi, linearizzata secondo la: qn(x,y) = hn(Tw(x,y) − Ta) dove hnè il coefficiente di scambio termico dovuto alla convezione naturale verso l’ambiente che può essere misurato con delle prove sperimentali preliminari coibentando la superficie esposta al fluido in moto. Questi primi due termini, a rigore, possono essere calcolati anche se si suppone che il sensore termico sia zero–dimensionale; infatti sono funzione solo di variabili che possono essere misurate nel punto di misura ed il loro effetto è quello di ridurre le escursioni di temperatura. Il contributo dovuto alla conduzione tangenziale è, invece, intrinsecamente bidimensionale e, se si considera un bilancio di energia stazionario in un materiale isotropo ed a conducibilità termica indipendente dalla temperatura, si ottiene: qk(x,y) = − s k ∇2 (x,y) dove s e k sono lo spessore e la conducibilità termica della lamina. A scapito della semplicit{ teorica dell’equazione, la determinazione della potenza termica dissipata per conduzione tangenziale è nella pratica molto complessa. Il sistema termografico genera inevitabilmente rumore ad alta frequenza dovuto alla sensibilità dello strumento e ciò impedisce l’applicazione dell’operatore Laplaciano discreto: come è noto questo ha carattere locale e tende ad esaltare le frequenze più elevate. Pertanto, per ottenere una valutazione realistica della potenza termica dissipata per conduzione tangenziale è necessario effettuare un operazione di filtraggio delle immagini termografiche al fine di eliminare le alte frequenze di rumore. Il sensore di flusso termico ed il fluido di lavoro utilizzati nella presente ricerca hanno consentito di trascurare i contributi associati sia alla potenza termica scambiata per convezione naturale che alla conduzione tangenziale. L’analisi fatta sar{ infatti un punto di partenza per successive analisi con livelli di precisione maggiori. 54
  • 57. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A Capitolo 4: Termografia all’Infrarosso 4.1 Introduzione L'astronomo William Herschel scoprì l'infrarosso nel 1800. Avendo costruito da solo il proprio telescopio, aveva una certa familiarità con lenti e specchi. Partendo dalla considerazione che la luce del sole è composta da tutti i colori dello spettro e che, allo stesso tempo, rappresenta una fonte di calore, Herschel cercò di scoprire quale fossero i colori responsabili del surriscaldamento degli oggetti. L'astronomo ideò un esperimento, utilizzando un prisma, del cartone e alcuni termometri con il bulbo dipinto di nero, per misurare le temperature dei diversi colori. Herschel osservò un aumento della temperatura mentre spostava il termometro dal viola al rosso, nell'arcobaleno creato dalla luce del sole che passava attraverso il prisma. Alla fine, Herschel scoprì che le temperature più elevate corrispondevano al colore rosso. La radiazione che causava tale surriscaldamento non risultava visibile; l'astronomo chiamò la radiazione invisibile "raggi calorifici". Oggi, tale radiazione viene chiamata infrarosso. Ad oggi gli infrarossi sono oggetto d’esame delle termocamere o telecamere termografiche a infrarossi, le quali rilevano a distanza e di conseguenza in modo non intrusivo l'energia infrarossa (o termica) e la converte in un segnale elettronico, che viene in seguito elaborato al fine di produrre immagini video e realizzare calcoli della temperatura. Il calore rilevato da una termocamera può essere quantificato con estrema precisione, permettendo all'utente di monitorare le variazioni termiche e, allo stesso tempo, di identificare e valutare l'entità di problemi di natura termica. I termografi possono differire tra loro per : il tipo ed il numero dei sensori; la banda dell’infrarosso in cui lavorano; il metodo di raffreddamento del sensore; l’intensit{ del segnale; 55
  • 58. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A i supporti periferici atti all’elaborazione dei dati; 4.2Termografia all’Infrarosso La termografia è una tecnica di acquisizione di immagini nel campo dell' infrarosso e rappresenta la visualizzazione bidimensionale della radiazione emessa, in una banda dell’infrarosso, dalla superficie del corpo in esame. Quando l’emissivit{ superficiale del corpo in esame è conosciuta è possibile associare alla mappa di radiazione una mappa di temperatura mediante una curva di calibrazione. 4.2.1 Radiazioni Infrarosse La radiazione infrarossa (IR) è la radiazione elettromagnetica con una frequenza inferiore a quella della luce visibile, ma maggiore di quella delle onde radio. Il nome significa "sotto il rosso" (dal latino infra, "sotto"), perché il rosso è il colore visibile con la frequenza più bassa. La radiazione infrarossa ha una lunghezza d'onda (che è uguale alla velocità della luce al secondo divisa per la frequenza) compresa tra 750 nm e 1 mm. Viene spesso associata con i concetti di "calore" e "radiazione termica", poiché gli oggetti a temperatura ambiente o superiore emettono spontaneamente radiazione in questa banda (aumentando la temperatura, il picco si sposta sempre più verso il visibile finché l'oggetto non diviene incandescente). Il limite inferiore dell'infrarosso veniva spesso definito come 1 mm poiché a questa lunghezza d'onda termina l'ultima delle bande radio classificate (EHF, 30-300 GHz). 56
  • 59. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A Figura 32 – Bande dell’infrarosso Data la vastità dello spettro infrarosso e molteplicità di utilizzi delle radiazioni collocate in vari punti al suo interno, sono state sviluppate diverse classificazioni in ulteriori sottoregioni: IR vicino con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 0.75 e 3 μm; IR intermedio con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 3 e 6 μm; IR lontano con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 6 e 15 μm; IR estremo con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 15 e 1000μm. 4.2.2 Leggi Fondamentali Tutti i corpi, ad una temperatura superiore dello zero assoluto (-273,14 °C), irradiano energia sotto forma di onde elettromagnetiche e lo spettro di emissione, cioè l’andamento dell’energia emessa in funzione della lunghezza 57
  • 60. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A d’onda, dipende dalla temperatura e dalle caratteristiche superficiali dei corpi. Le leggi che descrivono tale emissione in forma generale ricorrono al concetto di corpo nero. In fisica un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riflette alcuna parte). Il corpo nero, per la conservazione dell'energia, irradia tutta la quantità di energia assorbita (coefficiente di emissività uguale a quello di assorbività) e deve il suo nome solo all'assenza di riflessione. Lo spettro (intensità della radiazione emessa ad ogni lunghezza d'onda) di un corpo nero è caratteristico, e dipende unicamente dalla sua temperatura. La luce emessa da un corpo nero viene detta radiazione del corpo nero e la densità di energia irradiata spettro di corpo nero. La differenza tra lo spettro di un oggetto e quello di un corpo nero ideale permette di individuare la composizione chimica di tale oggetto. Un corpo nero è un radiatore ideale, emettendo il maggior flusso possibile per unità di superficie, ad ogni lunghezza d'onda per ogni data temperatura. Un corpo nero inoltre, assorbe tutta l'energia radiante incidente su di esso: ovvero nessuna energia viene riflessa o trasmessa. Il termine "corpo nero" venne introdotto da Gustav Kirchhoff nel 1862. Lo spettro di un corpo nero venne correttamente interpretato per la prima volta da MaxPlanck, il quale dovette assumere che la radiazione elettromagnetica può propagarsi solo in pacchetti discreti, o quanti, la cui energia era proporzionale alla frequenza dell'onda elettromagnetica. L'intensità della radiazione di un corpo nero alla temperatura T è data dalla legge della radiazione di Planck: E 0 (T ) C 5 (e 1 C2 / T 1) dove: E 0 (T ) = radiazione monocromatica emessa dal corpo nero alla lunghezza d’onda λ, misurata in W/m2μm; T = temperatura assoluta del corpo radiante; = prima costante di radiazione = 2πhc2= 3.74 108Wμm4/m2 58
  • 61. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A = seconda costante di radiazione = hc/k = 1.44 104μmK Figura 33 – Rappresentazione grafica della legge di Planck al variare della temperatura Seguendo una di queste curve l’emissione spettrale risulta nulla per λ =0, per poi aumentare rapidamente e fino a raggiungere il massimo ad una lunghezza d’onda λmax per poi successivamente decrescere fino a raggiungere valore nullo per lunghezze d’onda elevate. Più sono alte le temperature più basse sono le lunghezza d’onde alle quali si raggiunge il massimo. A partire dalla legge di Planck è possibile ricavare altre due leggi fondamentali. Integrando la legge di Planck sull’ intero spettro (0≤λ≤∞) si ottiene la legge di StephanBoltzmann: 59
  • 62. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A E 0 (T ) E 0 0 (T ) d T 4 Dove 5 . 67 E 8 2 4 [W / m K ] è la costante di Stephan-Boltzmann, che identifica la potenza totale emessa per unità di superficie da un corpo nero. La legge di Stephan-Boltzmann mostra come la potenza totale emessa da un corpo nero è proporzionale alla potenza quarta della temperature assoluta. Graficamente Wb rappresenta l’area sottesa dalla curva di Planck per una temperatura assegnata. Si dimostra inoltre che l’emissione radiata nell’intervallo 0≤λ≤max equivale al 25% di quello totale. Differenziano poi l’equazione in funzione della lunghezza d’onda è possibile poi ricavare la legge di Wien che definisce la lunghezza d'onda alla quale l'intensità della radiazione emessa dal corpo nero è massima: max T 2898 [ mmK ] Questa relazione mostra che, a temperatura ambiente, la lunghezza d’onda massima ha un valore di circa 10mm. I corpi reali emettono in genere, alla stessa temperatura, solo una frazione dell’energia emessa da un corpo nero, frazione espressa dal valore dell’emissivit{ελ (parametro a sua volta dipendente dalla particolare superficie, dalla temperatura, dalla lunghezza d’onda, etc.). Le due equazioni diventano quindi: E C1 E (T ) E 5 (e E (T ) d 0 60 C2 / T 1)
  • 63. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A Per una superficie per la quale ελ è indipendente dalla lunghezza d’onda (corpo grigio che emette a qualsiasi lunghezza d’onda la stessa frazione di energia emessa dal corpo nero) si ha: E = ε ·σ ·T4 dove ε è l’emissivit{ emisferica totale (rapporto tra il potere emissivo del corpo in esame e quello di un corpo nero che si trovi alla stessa temperatura). Poiché il trasduttore del termografo è sensibile in una banda ristretta dell’infrarosso, le misure effettuate sfruttano essenzialmente la legge di Planck. 4.2.2 Sensori Termografici e loro Caratteristiche La sensibilità alla radiazione infrarossa dipende dal tipo di sensore utilizzato; due sono i tipi maggiormente utilizzati: i thermal detectors ed i photon detectors. I thermal detectors sono quelli più impiegati ed utilizzano la variazione di resistenza elettrica di una pellicola di semiconduttore colpita da una radiazione incidente. Caratteristiche salienti di questa categoria di sensori sono un segnale in uscita piatto, che si può ritenere praticamente costante in un vasto campo di lunghezze d’onda, ed il tempo di risposta relativamente lungo rispetto ai photon detectors. Il segnale P emesso da un thermal detector si può considerare proporzionale alla potenza radiante assorbita, cioè: P (T ) C R( ) (T , ) E (T ) d C dove R(λ) è la risposta dello strumento, βè l’angolo formato fra la normale alla superficie che emette e l’asse di vista Δλè la banda di sensibilità dello strumento.Nell’ipotesi di corpo grigio, cioè di emissivit{ indipendente da T e da λ, segue: P (T ) ( ) C R ( ) E (T ) d ( ) PB (T ) C 61
  • 64. Capitolo 4Termografia all’infrarosso dove A è il segnale ottenuto da un corpo nero alla stessa temperatura. I photon detectorssono invece caratterizzati da materiali semiconduttori che emettono cariche elettriche in misura proporzionale all’aliquota di energia radiante incidente; è in questa categoria che devono essere inseriti i sensori fotoconduttivi e fotovoltaici. Nei primi la radiazione incidente libera un flusso di cariche elettriche provocando un aumento della conducibilità del sensore, nei secondi le cariche elettriche sono trascinate via da un campo elettrico dando luogo ad una differenza di potenziale. Entrambi i tipi di photon detectors sono realizzati con un materiale semiconduttore in cui il rilascio (fotoconduttivi) o il trasferimento (fotovoltaici) dei portatori di carica è direttamente proporzionale all’assorbimento dei fotoni incidenti. L’energia del fotone è, come si vedrà meglio in seguito, inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda ad esso associata e la scomparsa dell’attivit{ fotoelettrica a lunghezza d’onda più elevata della lunghezza d’onda di “cut off” ( ) indica che l’energia associata ai fotoni non è sufficiente a rendere liberi gli elettroni. In altri termini, i fotoni devono superare il cosiddetto “salto di energia proibito” (forbiddenenergy gap,Eg) nel materiale semiconduttore. La lunghezza d’onda di cut off è data da: hc C [m ] Eg dove Egè espressa in Joule. In generale il valore di Egcresce a più bassa temperatura, di conseguenza la lunghezza d’onda di cut off decresce quando il sensore viene raffreddato. Da questo ragionamento si capisce perché questo tipo di sensori devono operare ad una temperatura molto bassa. L’energia associata ad un singolo fotone è data da: hc Q [m ] dove: h = costante di Planck; c = velocità della luce Il numero NλBdi fotoni emessi si ottiene dividendo per hc/λ: E N B 0 (T ) Q 2 c 4 [e ( hc / T ) 1] 1 62
  • 65. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A ed integrando su tutto lo spettro si ha: NB N 0 B d 0 . 37 T 3 k che dimensionalmente è espresso in fotoni cm-2sec-1ed esprime la dipendenza dell’emissione totale di un corpo nero dal cubo della temperatura. Di fatto i sensori comunemente utilizzati sono sensibili solo in una banda di lunghezze d’onda; l’integrale dell’equazione va allora valutato non tra 0 e ∞ ma tra λce λc+Δλ, con λce Δλrispettivamente estremo inferiore e ampiezza della banda di sensibilità. Generalmente, dell’infrarosso sono la le finestre più short-wavewindowe utilizzate la nella tecnica long-wavewindowche corrispondono rispettivamente a bande di lunghezze d’onda relativamente corte o lunghe. Nel primo caso, il sensore è generalmente di Antimoniuro di Indio che dà una risposta relativamente alta per lunghezze d’onda comprese tra 3.5 e 5.6 μmanche se si può far scendere il limite inferiore a circa 2 μm; si usano di solito lenti e materiali ottici di silicio con un rivestimento antiriflesso che assicura un massimo di trasmittanza ad una lunghezza d’onda di circa 5 μm. Nel campo di lunghezze d’onda maggiori, il sensore è di Cadmio–Mercurio–Tellurio che dà una risposta tra 8 e 14 μm; la parte ottica dello strumento è costituita di Germanio con un rivestimento antiriflesso avente un picco di trasmittanza a circa 10 μm. La scelta del campo di lunghezza d’onda di lavoro dipende da diversi fattori. Alcune superfici hanno un coefficiente di emissivit{ maggiore a lunghezze d’onda minori rendendo possibile l’impiego di sensori più economici del tipo SbIn. Quando si lavora nella banda a bassa lunghezza d’onda non si riesce ad avere elevata precisione per distanze tra sensore e corpo maggiori di un metro, anche in condizioni favorevoli di trasmittanza del mezzo. Infatti, la presenza di vapore d’acqua nell’atmosfera può dar luogo ad apprezzabili errori di misura peraltro difficilmente correggibili per atmosfere non accuratamente climatizzate. Poiché l’elemento sensibile è generalmente zero–dimensionale, per consentirgli di ricevere l’energia emessa da diverse zone del campo di vista bisogna disporre di un opportuno sistema di scansione. Esso consiste in 63
  • 66. Capitolo 4Termografia all’infrarosso A una serie di specchi mobili e/o elementi rifrattivi combinati tra loro che consentono sia una scansione orizzontale che una verticale del campo di vista. Le prestazioni (in termini quantitativi) di un radiometro a scansione nell’infrarosso dipendono da alcuni parametri fondamentali che ne definiscono le caratteristiche: sensibilità termica, velocità di scansione, risoluzione spaziale dell’immagine risoluzione dell’intensit{ del segnale. La sensibilità di una telecamera all’infrarosso viene espressa dal NETD (NoiseEquivalent Temperature Difference) che è la differenza di temperatura tra due immagini corrispondente ad un segnale uguale a quello del rumore di fondo. Il valore del NETD viene valutato ad una temperatura nota del campione in esame. Il NETD oscilla generalmente tra 0.07 e 0.5 °C per temperature dell’ordine di poche decine di gradi centigradi. La velocità di scansione è la velocità alla quale le immagini termiche vengono “riprese” attraverso il meccanismo di scansione. Il campo di vista totale viene investigato dai sistemi di scansione orizzontale e verticale in un certo numero di linee e colonne; possono quindi definirsi una velocità di scansione per linea, una velocità di scansione per campo ed una per immagine. Infatti, essendo una immagine composta da un certo numero di campi, spesso tra di loro uniti, si possono definire sia una velocità di scansione di campo, che una velocità di scansione di immagine. Il loro rapporto è ovviamente uguale al fattore di unione, che è tipicamente 2 o 4. Nel caso di immagini non unite la velocità di scansione di campo ed immagine ovviamente coincidono. La risoluzione spaziale è la capacità del sistema di individuare e misurare correttamente la temperatura in zone della superficie di dimensioni ridotte; essa è una caratteristica che dipende dal tipo di sensore, nonché dalle sue dimensioni e tempo di risposta. Per un data velocità di scansione, la piccolezza delle dimensioni del sensore determina in generale la risoluzione 64