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Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
Facoltà di ingegneria “Enzo Ferrari”
Corso di laurea in ingegneria meccanica
Analisi di stabilità termoelastica in un freno multidisco
Relatore:
Prof. Francesco Pellicano
Correlatori:
Dott. Ing. Marco Barbieri
Dott. Ing. Antonio Zippo
Anno Accademico 2013/2014
Candidato:
Giuseppe Montalbano
INDICE
Introduzione
1.Teoria Termoelastica
1.1 Origini della teoria
1.2 Condizione di stabilità termoelastica
1.3 Influenza della rigidezza
1.4 Distribuzione del carico termoelastico in una fri-
zione ed influenza della rigidezza del materiale
d’attrito
2. Hotspotter v5.0
2.1 Hotspotter “Classic”
2.2 Scelta delle impostazioni
2.3 Hotspotter “Full3D”
3. Analisi sperimentale
3.1 Sensibilità della stabilità del sistema alla lubrificazio-
ne e all’anisotropia del materiale d’attrito
3.2 Influenza del coefficiente di contrazione trasver-
sale o di Poisson del materiale d’attrito
3.3 Influenza della rigidezza del materiale d’attrito
3.4 Variazione parametri geometrici
3.5 Influenza calore specifico
3.6 Convergenza della soluzione e problematiche
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione
Sono qui raggruppati e messi in chiaro dati ed esperienze raccolti
durante il periodo di tirocinio, svolto presso il centro Intermech MO.RE
del Dipartimento di Ingegneria Meccanica di Modena e Reggio Emilia,
nell’ambito del progetto “Hotspot”. Lo scopo di questa tesi è stato quello
di determinare i principali parametri che influenzano la stabilità ter-
moelastica di un freno multidisco a bagno d’olio utilizzato nelle macchi-
ne agricole di New Holland e di individuare metodologie valide per l’uso
del programma di simulazione di stabilità termoelastica agli elementi
finti Hotspotter v5.0, quale strumento integrato nella progettazione.
Durante la prima fase sono stato introdotto ai concetti base della
teoria termoelastica, concentrandomi dunque su un’attenta analisi delle
esperienze pubblicate dai maggiori studiosi in materia quali J.R. Barber,
P. Zagrodzki e Yun-Bo Yi. In questo modo sono stato in grado di enuclea-
re i parametri sensibili del problema, che possiamo individuare nel mo-
dulo di elasticità, nel coefficiente di diffusività e di espansione termica
del materiale di attrito ed anche nelle geometrie dei vari componenti.
Successivamente ho iniziato le simulazioni con il programma par-
tendo dalle medesime esperienze provate da J.R. Barber su modelli im-
plementati in Hotspotter v5.0 e sviluppati sulla base degli studi raccolti
in materia. Effettuando ulteriori simulazioni sui modelli sopracitati si è
verificata la rilevanza dell’anisotropia e della variazione dei parametri
fisici a bagno d’olio del materiale d’attrito N611 usato da New Holland.
A questo punto è stato possibile iniziare le simulazioni sul model-
lo agli elementi finiti realizzato sulla base del freno multidisco New Hol-
land, così da determinare le condizioni di lavoro entro cui tale freno rag-
giunge l’instabilità termoelastica.
Ho proseguito con altre simulazioni sul modello New Holland al
fine di ridurre le possibilità di indurre l’instabilità del componente al va-
riare dei parametri sensibili individuati durante la prima parte dello
studio.
Finite le simulazioni effettuate avevo a disposizione abbastanza
dati da poter affermare con certezza le migliorie da apportare al freno
New Holland ed avevo determinato le procedure con le quali individuare
agevolmente le problematiche che inducono l’instabilità termoelastica
attraverso l’utilizzo di Hotspotter v5.0.
Al termine del periodo di tesi, da esperienze e dati raccolti, ho
tratto le delle conclusioni esposte ai responsabili di CNH.
1. Teoria Termoelastica
La teoria termoelastica (TEI) ha lo scopo di determinare con preci-
sione le condizioni che inducono le instabilità termomeccaniche di com-
ponenti in rotazione sulla superficie dei quali si genera calore per attrito.
Nonostante tale fenomeno fu notato già alla fine degli anni ‘40, solo di
recente ha acquisito valore tecnologico, poiché le necessità di trasmettere
o dissipare potenze sempre maggiori diventa sempre più pressante. I si-
stemi che maggiormente subiscono le instabilità termoelastiche sono in
quelli che sfruttano l’attrito tra superfici a tale scopo.
La sollecitazione termoelastica può essere sinteticamente concepita
come un evento fisico in cui lo stimolo termico e quello meccanico sono in
strettissima relazione. Per meglio comprendere tale sollecitazione possia-
mo immaginare un dualismo tra questa e la sollecitazione meccanica. In-
fatti la sollecitazione termomeccanica è caratterizzata da modi termoela-
stici, esattamente come la sollecitazione meccanica viene caratterizzata
dai modi di vibrare. La differenza fondamentale è che i singoli modi di vi-
brare seguono una legge oscillatoria manifestandosi solo per data fre-
quenza di oscillazione, mentre le instabilità termoelastiche seguono una
legge esponenziale nel tempo che possiede fattore di crescita positivo per
velocità di slittamento superiori alle velocità di innesco dei singoli modi.
Sostanzialmente i modi termoelastici, a differenza dei modi di vibrare,
possono coesistere nello stesso momento.
L’innesco di instabilità termoelastiche causa, quindi, concentrazioni di
carico e forti distorsioni termiche, che possono portare facilmente il com-
ponente a rottura. Si tratta di un sistema in retroazione per il quale l’in-
nesco dell’instabilità causa una variazione sulla distribuzione uniforme di
pressione, generando concentrazioni di carico che danno vita a picchi di
temperatura sulle superfici d’attrito detti hot spots; tali picchi inducono
distorsioni che favoriscono ulteriormente l’insorgenza di instabilità.
Sia chiaro che anche solo con una piccola perturbazione alla di-
stribuzione uniforme della pressione sulla superficie di contatto nomi-
nale (bastano perturbazioni nell’ordine dell’1%) è possibile indurre l’in-
tero componente all’instabilità termoelastica.
La maggior parte dei casi di rottura imputabili all’instabilità ter-
moelastica riguardano freni a disco, frizioni automobilistiche e partico-
lari tipi di freni multidisco, dove avviene una grandissima dissipazione
di energia. Ad esempio i fenomeni di bruciatura nella frizioni si manife-
stano quando la frizione chiusa viene fatta slittare mediante l’applica-
zione di una coppia. Sperimentalmente, è possibile verificare che la bru-
ciatura avviene al di sopra di una determinata velocità critica di slitta-
mento, che dipende dal carico di chiusura della frizione.
Le immagini in Fig. 1 e Fig. 2 sono riportate dall’articolo di Yi,
Barber e Zagrodzky [7] e raffigurano due piatti di due dischi di frizione a
cui è stato asportato il materiale d’attrito in modo da rendere visibili gli
effetti delle instabilità termoelastiche.
Le aree scure sparse su tutta la superficie del piatto in Fig. 1 corrispon-
dono alle zone in cui si ha localizzazione della sollecitazione termoelasti-
ca e dove si presentano i picchi di temperatura detti anche hot spots.
Fig. 2: piatto di un disco di frizione
dopo un singolo ingaggio
Fig. 1: piatto di un disco frizione
dopo un normale periodo di lavoro
In rare occasioni e particolari condizioni di funzionamento tali picchi di
temperatura riescono a portare l’acciaio del piatto a fusione. Le tracce
sparse del componente in Fig. 1 sono la conseguenza di una serie di
contatti tra le superfici durante una normale condizione operativa, in cui
possono coesistere diversi modi .
La casistica rappresentata in Fig. 2 risulta particolarmente inte-
ressante da un punto di vista accademico poiché ci consente di indivi-
duare meglio il quadro del fenomeno. Gli autori, ponendo il disco in ro-
tazione ad una determinata velocità critica, hanno fatto in modo che sul-
lo stesso si innescasse quella particolare instabilità che causa 12 hot
spots. Dalla Fig. 2 è possibile osservare il tipico pattern del modo a 12
hot spots ugualmente distanziati tra loro e, come riportano gli autori, di-
sposti antisimmetricamente rispetto agli hot spots sul lato opposto del
piatto. Sostanzialmente i 12 hot spots sul lato opposto sono posizionati
in corrispondenza degli spazi tra le aree oscure visibili in Fig. 2.
Dopo questa breve introduzione alla teoria termoelastica risulta
chiaro che molteplici sono i parametri che influenzano la stabilità ter-
moelastica di un componente e complesse sono le relazioni che li legano,
essendo questa una strada ancora poco battuta.
1.1 ORIGINI DELLA TEORIA
Le prime esperienze sono collocate tra la fine degli anni ‘40 e l’ini-
zio degli anni ‘50. Per primi Parker e Marshall nel 1948 studiarono l’inte-
razione delle superfici d’attrito dei binari con le ruote dei treni e notaro-
no che sulle superfici d’attrito si generano zone a temperatura molto ele-
vata rispetto alle zone adiacenti; teorizzarono anche che anche la pres-
sione fosse localizzata su bande disposte parallelamente lungo la direzio-
ne di rotazione, nonostante la complanarità delle stesse. B.B. Hundy nel
1957 durante l’analisi di alcune ruote di treni cedute scoprì che ad una
certa profondità dalla superficie di contatto delle stesse con i binari era
presente martensite, che è una particolare forma allotropica dell’acciaio
metastabile a temperature superiori ai 700°C. Ipotizzando che il calore
fosse stato distribuito uniformemente sulla superficie nominale di con-
tatto, la temperatura raggiunta non sarebbe stata sufficientemente ele-
vata da giustificare la presenza di martensite.
L’unica spiegazione plausibile sarebbe stata ritenere veritiera la
scoperta del ‘48 di Parker e Marshall che avevano teorizzato per primi la
presenza di punti di concentrazione della pressione dove anche la tem-
peratura raggiunge un picco.
Un grandissimo contributo fu dato nel 1973 da R. A. Burton, V.
Nerlikar e S. R. Kilaparti [2] che svilupparono il primo modello perturba-
tivo per lo studio della stabilità di un contatto tra due semi-piani che
strisciano l’uno contro l’altro. Il sistema fu linearizzato intorno alla con-
dizione di pressione uniforme nel quale la perturbazione cresce espo-
nenzialmente nel tempo. La soluzione analitica sviluppata da Burton
possedeva un grandissimo limite: il metodo risolutivo non comprendeva
una lunghezza di scala geometrica. Vent’anni dopo Burton, W. Lee e J.
R. Barber [4] riuscirono a definire una soluzione analitica che tenesse in
considerazione la dimensione del componente; con il loro studio scopri-
rono una proporzionalità tra il numero di onda del modo termoelastico e
lo spessore del componente interessato da instabilità.
1.2 Condizione di stabilità termoelastica
Lo studio effettuato da J.R. Barber nel 1968 sulla stabilità del
contatto a strisciamento tra superfici fu intrapreso con lo scopo di rea-
lizzare un modello fisico semplificato per spiegare le dinamiche che
stanno alla base delle instabilità termoelastiche. I dati ed il modello qui
esposti furono usati come strumento base per lo studio intrapreso dallo
stesso J.R. Barber assieme a W. Lee sui sistemi di frenatura con disco
utilizzati in campo automobilistico [2]; tale lavoro rappresenta ancora
oggi un importante punto di riferimento nelle analisi di stabilità termoe-
lastica di freni automobilistici.
Il modello semplificato di Barber consisteva in un disco rotante di
acciaio dolce contro la superficie del quale fece strisciare tre pin in ghi-
sa di diametro da 843 mm, fissati su un blocchetto dello stesso materia-
le, a sua volta accoppiato ad un braccio rigido in grado di forzare i tre
pin a strisciare sulla superficie con un carico normale fino a 1,5 kN.
Il disco venne posto ad una velocità di rotazione variabile in modo con-
tinuo da 5 a 35 m/s. In quattro differenti punti furono poste delle ter-
mocoppie a profondità diverse. Tre vennero poste all’interno dei pin,
mentre la quarta fu posta al centro del blocchetto. La termocoppia più
vicina alla superficie si trovava ad una profondità di gran lunga più
elevata della dimensione tipica della rugosità superficiale. Barber poté
affermare con certezza che le temperature registrate non mostravano
irregolarità riconducibile alle micro asperità superficiali. Queste si man-
tenevano costanti per un certo periodo in un dato punto, per poi cresce-
re considerevolmente per un brevissimo periodo di tempo. Considerando
i dati raccolti sulle fluttuazioni di temperatura e la rugosità superficiale
del pin Barber affermò che affinché potesse essere possibile raggiungere
dati picchi di temperatura, sarebbe stato necessario che una grossa fet-
ta del carico normale totale (più della metà) dovesse essere concentrata
su un pin.
Tale osservazione risultò molto simile alle conclusioni a cui erano giunti
anche Parker e Marshall circa venti anni prima. Poté anche osservare
che i picchi di temperatura sono sempre simili, che ogni volta che il pic-
co di temperatura in una zona comincia a decadere si viene a creare
un’altra zona calda subito a valle della prima; inoltre si osservò che tali
picchi di temperatura si spostavano sulla superficie d’attrito, tornado al
punto di partenza con una certa regolarità e con una frequenza di gran
lunga superiore a quella del disco rotante.
Fig. 1.2.1: andamento della temperatura rilevato da una del-
le termocoppie per differenti velocità di scorrimento relativo e
con carico costante pari a 50 kg.
Dai grafici estrapolati dallo studio di Barber e riportati in Fig. 1.2.1 è
possibile notare sia il picco di temperatura di breve durata, sia la pro-
porzionalità tra la velocità relativa delle superfici e l’entità di tale picco
di temperatura.
Per cui è stato possibile dedurre anche la pressione media in un punto,
al termine di un intero ciclo di concentrazione del carico, risulta pari al-
la pressione nominale in ogni punto.
Una volta assodato che la pressione nominale non fosse uniforme-
mente distribuita lungo la superficie di contatto nominale, ma fossero
presenti piccole zone in cui si concentra la pressione e che cambiano in
brevi archi di tempo, e che anche la distribuzione della temperatura non
fosse uniforme, Barber studiò l’effetto dell’inevitabile differenziale termi-
co sulla deformazione della superficie.
Le zone a temperatura superiore tendevano a subire un’espansio-
ne termica maggiore delle zone circostanti a temperatura più bassa;
questa espansione termica differenziale fu assimilata come una delle
principali cause di instabilità. Non appena il punto di contatto si spo-
stava da un pin all’altro, quello precedentemente carico cominciava a
contrarsi a causa del raffreddamento. Dopo la fluttuazione di tempera-
tura, la superficie del primo pin caricato raggiungeva la sua posizione di
partenza, lasciando una depressione sulla superficie e rendendo ulte-
riormente discontinuo il trasferimento di calore in prossimità di una
delle termocoppie. Barber osservò che la profondità di tale depressione
sulla superficie non dipende dalla velocità di strisciamento: furono os-
servate depressioni indotte con frequenze di rotazione di 7 m/s e
35 m/s che in entrambi i casi producevano inflessione delle superfici
molto simili (0,01 mm e 0,015 mm). La larghezza della depressione inve-
ce è molto complessa da determinare, anche se sembra crescere all’au-
mentare della velocità di strisciamento, rimanendo comunque compresa
tra 5 mm e 10 mm.
Dato che a causa dell’usura viene continuamente asportato materiale
dalla superficie superiore del pin favorendo la crescita di depressioni
superficiali, risultò alquanto rilevante conoscere il tasso di usura ( o
rapporto di recessione della superficie) al fine di determinare l’entità
dello spostamento dell’estremo del pin. Si prese in considerazione una
superficie liscia che sfrega contro un solido rugoso (condizione tipica dei
freni automobilistici); si considerò in prima approssimazione che il ca-
lore generato e il rapporto di usura siano proporzionali alla pressione
locale. Barber si accorse che l’espansione termica aveva un effetto posi-
tivo sulla stabilità del sistema, poiché tendeva a far diminuire la rugosi-
tà superficiale, mentre l’usura contribuiva negativamente; stava per in-
dividuare uno dei parametri più rilevanti per la stabilità di un sistema.
Fu possibile affermare che la stabilità del sistema dipendeva da una re-
lazione tra tasso di usura ed espansione termica.
In particolare, se l’espansione termica è superiore all’usura ogni irrego-
larità iniziale viene accentuata e la concentrazione di pressione, e quin-
di l’instabilità termoelastica, sono agevolate.
Durante la prima fase del contatto l’approssimazione lineare
dell’andamento dell’espansione termica è accettabile; successivamente
assume un andamento meno che lineare, fino a stabilizzarsi su un valo-
re costante se il calore disperso viene bilanciato da quello generato.
Fig. 1.2.3: Depressione della superficie del pin in prossimità della termocoppia
Se l’usura continuasse a crescere linearmente nel tempo, allora
questa avrebbe un effetto positivo, attivando un meccanismo in grado di
aumentare i punti di contatto tra le superfici. Purtroppo, l’usura non
possiede un andamento lineare, ma si scoprì che aumentava all’aumen-
tare della temperatura media del ciclo all’interfaccia di questo particola-
re sistema preso in considerazione. Sono riportati in Fig. 1.2.4 i grafici
dei dati raccolti da Barber durante l’analisi dell’andamento dell’usura e
dell’espansione termica al variare della velocità di strisciamento e del
carico applicato; questi dati sono stati raccolti con esperimenti realizzati
con blocchetti con un solo pin e il tasso di usura è stato calcolato misu-
rando la perdita di peso dopo un lungo periodo di strisciamento stazio-
nario.
Il coefficiente di usura cresce con il carico (L) e la velocità (V), co-
me si può notare dall’andamento dei dati raccolti, è stato scoperto che è
funzione della sola temperatura media della superficie. Il coefficiente di
attrito (µ) al contrario, crolla al crescere di carico e velocità, motivo per
cui la curva riportata in figura tende ad appiattirsi per carichi e velocità
elevati. In condizioni di carico e velocità particolarmente estreme l’an-
damento decrescente del coefficiente d’attrito non è continuo, probabil-
mente a causa delle temperature prossime alla fusione raggiunte sulla
superficie.
Fig. 1.2.4: coefficiente volumetrico di usura W e potenza dissipata per
attrito µLV al variare della velocità di slittamento. ○, 2 kg; x, 4 kg; □,
10 kg; ■, 15 kg; ∆, 25 kg.
In conclusione Barber determinò che se il tasso di usura si man-
tiene maggiore dell’espansine termica, allora il sistema sarebbe stato
stabile e la pressione si sarebbe meglio distribuita sull’intera superficie.
Per piccoli valori di t l’espansione termica produce uno spostamento
dell’estremo del pin a contatto con il disco rotante pari a:
dove A è l’area della sezione trasversale del pin, α è il coefficiente di
espansione termica lineare, σ coefficiente di proporzionalità del calore
generato assorbito dal pin, c è la capacità termica, ρ densità e ν il coeffi-
ciente di Poisson del materiale d’attrito. L’usura lineare è data da:
dove W è il coefficiente di usura.
Come osservato in precedenza, al fine di ottenere un sistema stabile l’u-
sura deve mantenersi maggiore dell’espansione termica; per cui ottenia-
mo la seguente relazione che esprime la condizione di stabilità del siste-
ma:
Si noti come paradossalmente un valore estremamente basso del
tasso di usura W minimizzi i rischi di instabilità aumentando la durata
del ciclo di concentrazione del carico. Qualora l’usura fosse trascurabile
nell’arco di tempo preso in considerazione, le instabilità termoelastiche
altereranno comunque la distribuzione di pressione.
1.3 Distribuzione del carico termoelastico in una
frizione ed influenza della rigidezza del materiale
d’attrito
Nel 1990 P. Zagrodzki intraprese uno studio, riportato in [3], con
lo scopo di determinare un modello che riuscisse ad approssimare, in
modo accettabile, il fenomeno termoelastico in un pacco di dischi d’at-
trito di una frizione o un freno multidisco.
Il lavoro di Zagrodzki cominciò dagli studi di Kennedy e Ling, che
per primi nel 1974 le instabilità termoelastiche di un pacco dischi d’at-
trito, assumendo che i fenomeni termoelastici inducibili in ognuno dei
dischi del pacco siano tutti simmetrici rispetto al piano medio del disco
[10]. Questa assunzione comporta un’importante conseguenza: i feno-
meni che occorrono sulle due superfici dello stesso disco vengono stu-
diati separatamente, co-
me se fossero fenomeni
locali. Tale assunzione
risulta accettabile per
tutti i dischi del pacco
eccetto che per il pistone
ed il disco di reazione,
per i quali si ha genera-
zione di calore solo su
una delle superfici;
tale asimmetria è do-
vuta alle caratteristi-
che costruttive per le quali il primo e l’ultimo disco slittano solamente
rispetto ai dischi del pacco e non rispetto al telaio.
Fig. 1.3.1: Schema della sezione
trasversale della frizione multidisco
usata nello studio di Zagrodzki
Le temperature e le deformazioni sono state assunte assialsimetri-
che e vengono trascurate le transizioni termoeleastiche (variazione della
distribuzione di pressione omogenea causata da distorsioni termiche).
Venne assunto che le condizioni di attrito a secco (o bounduary lubrica-
tion).
Il modello della frizione in questione possiede una serie di dischi
di due differenti tipologie disposti alternativamente. Si distinguono di-
schi di metallo omogeneo e dischi che possiedono un’anima metallica
rivestita da uno strato di materiale d’attrito su ognuna delle due superfi-
ci d’attrito.
Per lo studio del fenomeno di conduzione termica non stazionaria
è stato utilizzato il metodo alle differenze finite. Poiché con il metodo alle
differenze finite risulta complesso otte-
nere buone approssimazioni di profili
curvilinei, i componenti sono stati sche-
matizzati con una forma rettangolare
lungo la loro sezione trasversale. Si noti
che nello schema dei nodi sono presenti
sia nodi • in comune per la mesh alle
differenze ed agli elementi finiti, sia nodi
○ appartenenti solamente alla griglia
della mesh alle differenze finite. Per ri-
solvere il problema termico alle dif-
ferenze finite è stato usato il meto-
do iterativo Gauss-Seidel.
Il modello usato per la risoluzione del problema meccanico è costi-
tuito agli elementi finiti e si distingue per la distribuzione non uniforme
di temperatura e per la simultanea presenza del fenomeno su più super-
fici.
Fig. 1.3.2: Griglia dei no-
di della discretizzazione
alle differenze finite dei
dischi d’attrito
Dallo studio dei risultati determinarono una serie di nozioni che si
rivelarono fondamentali nelle analisi di stabilità termoelastica.
Innanzitutto hanno potuto affermare che all’istante iniziale
dell’ingaggio della frizione i picchi massimi di pressione si registrano in
prossimità del raggio interno del disco e che la distribuzione di pressio-
ne risulta molto più uniforme sulle superfici in prossimità del pistone.
In Fig. 1.3.3 si possono osservare le distribuzioni di pressione sulla su-
perficie d’attrito 1
(prossima al pistone) e 10
(distante dal pistone) lun-
go la direzione radiale du-
rante l’istante iniziale di
ingaggio.
Successivamente
presero in considerazione
i dati relativi alla distribu-
zione di pressione lungo il raggio di due superfici d’attrito consecutive
fino ad un t=0,08s dopo l’ingaggio, mostrate in Fig. 1.3.4 e Fig. 1.3.5,
che lo portarono all’importante conclusione che le instabilità termoela-
stiche inducono deformazioni simmetriche rispetto al piano medio del
disco.
Fig. 1.3.3: Andamento della
pressione lungo la direzione ra-
diale delle superfici d’attrito 1 e
10 del modello 1.3.1
Fig. 1.3.4: Andamento della
pressione lungo la direzione ra-
diale della superficie d’attrito 9
Fig. 1.3.5: Andamento della
pressione lungo la direzione ra-
diale della superficie d’attrito 8
Arrivò a tale conclusione osservando che sulla superficie 8 si formavano
tre picchi di pressione rilevati in corrispondenza delle valli formate dai
due picchi che contemporaneamente si formavano sulla superficie d’at-
trito 9. Inoltre poterono affermare che la crescita delle non uniformità
della distribuzione di pressione parte dall’ultimo disco del pacco, quello
prossimo al disco di reazione. In Fig. 1.3.6 sono riportati le distribuzio-
ni di pressione sui vari dischi del pacco, dalle quali si può notare che la
superficie d’attrito più distante dal pistone possiede due aree distinte su
cui si distribuisce la pressione. Analizzando anche i dati relativi all’an-
damento della temperatura lungo l’asse z del pacco Zagrodzki ebbe un
ulteriore conferma che i disturbi sulla distribuzione uniforme di pressio-
ne partono dal disco più prossimo al disco di reazione. In Fig. 1.3.7 so-
no state riportate le temperature lungo z per due istanti di ingaggio dif-
ferenti, dalle quali si nota che i picchi più elevati di temperatura sono
sugli ultimi dischi del pacco.
Fig. 1.3.6: Distribuzioni
di pressione per i vari di-
schi del pacco
Fig. 1.3.7: Andamento delle tempe-
rature lungo la direzione z per rag-
gio τ=81,7mm
Osservarono anche la distribuzione di temperatura oltre che quel-
la di pressione lungo la direzione radiale e fino a t=0,24s confermando
che i picchi di temperatura si formano in corrispondenza dei picchi di
pressione.
I dati raccolti da Zagrodzki fino a quel momento in merito alla di-
stribuzione di pressione sulle superfici d’attrito erano relativi a prove
fatte con un materiale d’attrito con modulo di elasticità di 1 GPa. In con-
clusione confrontò i dati relativi alle superfici 8 e 9 con ulteriori dati rac-
colti con prove fatte su un pacco con materiale d’attrito con modulo di
elasticità 400 MPa.
Fig. 1.3.10: Andamento della pres-
sione lungo la direzione radiale sulla
superficie d’attrito 9 (EMA=1 GPa)
Fig. 1.3.11: Andamento della
temperatura lungo la direzione
radiale sulla superficie d’attrito
9 (EMA=1 GPa)
Fig. 1.3.9: Andamento della
temperatura lungo la direzione
radiale sulla superficie d’attrito
8 (EMA=1 GPa)
Fig. 1.3.8: Andamento della pres-
sione lungo la direzione radiale sul-
la superficie d’attrito 8 (EMA=1 GPa)
Da tale analisi evinse che la rigidezza del materiale d’attrito è uno
dei parametri che più influenzano la stabilità termoelastica. Gli anda-
menti della pressione lungo la direzione radiale di superfici d’attrito con
rigidezza di 400 MPa, riportati in Fig. 1.3.12 e Fig. 1.3.13, rivelano che
esiste una proporzionalità diretta tra la rigidezza del materiale d’attrito e
l’entità dei picchi di pressione. Componenti interessati da picchi di pres-
sione e temperatura particolarmente elevati risultarono più inclini all’in-
stabilità termoelastica.
Le conclusioni di Zagrodzki lo portarono a determinare che la sta-
bilità termoelastica di una frizione dipende da: lo sviluppo lungo l’asse z
dei dischi del pacco (condotti e conduttori), dal sistema con cui il disco
di reazione viene fissato al telaio e dalla geometria del pistone .
Fig. 1.3.12: Andamento della
pressione lungo la direzione ra-
diale sulla superficie d’attrito 8
(EMA=400 MPa)
Fig. 1.3.13: Andamento della
pressione lungo la direzione ra-
diale sulla superficie d’attrito 9
(EMA=400 MPa)
2. Hotspotter v5.0
Hotspotter v5.0 è un software di analisi numerica agli elementi fi-
niti in grado di valutare la sensibilità di sistemi assialsimmetrici quali
freni e frizioni multidisco alle instabilità termoelastiche, basato su ap-
procci agli autovalori che saranno illustrati nel seguito. Questo pro-
gramma consente di prevedere con precisione la velocità di strisciamen-
to critica alla quale si innescano delle distribuzioni non uniformi di
pressione e temperatura in sistemi assialsimmetrici sottoposti a solleci-
tazioni esterne, inducendo nel tempo l’insorgenza di bruciature localiz-
zate. Oltre al valore critico della velocità di strisciamento, Hotspotter
permette di determinare la forma delle distribuzioni non uniformi di
temperatura lungo le superfici tra loro a contatto, il numero e la posizio-
ne angolare degli hot spots generati.
Il programma usa un metodo agli autovalori per determinare il
fattore di crescita esponenziale dei singoli modi del sistema per una da-
ta velocità critica. La velocità critica di un modo termoelastico può esse-
re definita come la più bassa velocità a cui il dato modo ha un tasso di
crescita positivo.
Esistono due diverse versioni del codice: “Classic” e “Full 3D”. La
versione “Classic” è utilizzabile per sistemi assialsimmetrici analizzati
attraverso la serie di Fourier in senso circonferenziale e gli elementi fini-
ti lungo le altra due direzioni. Il codice “Full 3D” è usato per sistemi non
assialsimmetrici, come nel caso di un classico freno a disco automobili-
stico dove le superfici d’attrito si sviluppano su un arco limitato dell’in-
tero disco. I modelli utilizzabili in quest’ultima versione richiedono l’uso
di elementi 3D e particolari competenze nella discretizzazione (o FE).
I dati di ingresso del programma includono le caratteristiche dei
materiali utilizzati, la forma dei vari componenti, il coefficiente d’attrito
e la velocità di strisciamento da imporre.
I dati in uscita comprendono il tasso di crescita e la velocità di mi-
grazione dei modi termoelastici per data velocità di strisciamento; in al-
ternativa al tasso di crescita, posso fare un modo che il programma mi
fornisca la velocità critica in funzione del numero d’onda (numero di hot
spots attorno la circonferenza) e la distribuzione spaziale dei modi sulle
sezioni trasversali dei vari dischi del sistema.
2.1 Hotspotter “Classic”
Il modello per la soluzione del problema di stabilità agli autovalori
implementato in Hotspotter v5.0 “classic” fu proposto per la prima volta
da Barber e Yeo (1996) [7], sviluppato implementando numericamente
la soluzione analitica di Burton; successivamente fu ulteriormente svi-
luppato da Yi, Barber e Zagrodzki (2000) [5] ed implementato in Hotspot-
ter v.5.0 “Classic”.
Per prima cosa assumiamo che le distribuzioni di pressione e di
temperatura possono essere definite come prodotto di funzioni dipen-
denti dalle coordinate spaziali (x, y, z) e una funzione esponenziale nel
tempo; ad esempio la distribuzione di temperatura sarà:
Quando questa espressione viene inserita nelle equazioni di equilibrio e
le condizioni al contorno sono definite, il fattore esponenziale si elide ed
il sistema di equazioni viene modificato in modo che il tasso di crescita
b appaia come un parametro lineare.
Per scongiurare le problematiche dovute alla pesante rilevanza
del termine convettivo nella risoluzione del problema agli elementi finiti
della conduzione, vengono usate le riduzioni di Fourier lungo la direzio-
ne circonferenziale.
L’uso dell’equazione di Fourier è limitato da due ipotesi di base: nessun
punto materiale dell’intero componente deve avere contatto intermitten-
te e devono essere applicate condizioni al contorno periodiche lungo la
direzione circonferenziale. Tali condizioni sono soddisfatte da freni e fri-
zioni multidisco che possiedono geometrie assialsimmetriche, ma che
spesso vengono interessati da instabilità non assialsimmetriche. Per cui
la forma in cui esprimere la distribuzione di temperatura diventa
Dove ( r, ф, z, t ) sono le coordinate polari cilindriche, n è il numero d’on-
da. Come per la forma precedente il termine esponenziale viene cancel-
lato riducendo il problema al piano ( r, z ) ed attraverso l’implementa-
zione agli elementi finiti è possibile individuare il fattore di crescita b
per dati valori di n e della velocità di slittamento V.
A questo punto possiamo risolvere il problema lineare agli autova-
lori per geometrie assialsimmetriche
dove K è la matrice di rigidezza, C è la matrice d’inerzia e H è la matrice
di conduttività che vengono definiti come integrali doppi in ogni punto
del componente:
Le tre matrici sono facilmente valutabili con il metodo…
Il vettore del calore generato nei sistemi assialsimmetrici è definito come
In cui f è il coefficiente d’attrito, V nei sistemi con geometria assialsim-
metrica è la matrice diagonale delle velocità con diagonale definita:
dove ri è la coordinata radiale dell’i-esimo punto di contatto, ji è il coef-
ficiente di Kronecker ed ω è la velocità angolare relativa.
A è una non quadrata Nc x N che costituisce la soluzione generale del
problema termoelastico che dipende dal carico, ma non dalla velocità di
slittamento ne dal tasso di crescita. Θ è il vettore delle temperature
mentre Ф è una matrice N x Nc definito attraverso la matrice di identità
I di dimensioni Nc x Nc :
Nel nostro caso specifico di geometria assialsimmetrica ci aspettiamo di
ottenere solamente modi con numero d’onda intero n lungo la circonfe-
renza ed il caso particolare n=0 che corrisponde al modo assialsimme-
trico o modo “banding”
Fig. 2.1: Frequenze angolari critiche in una frizione a tre dischi
per modi fino a 24 onde (○, soluzione tridimensionale agli elemen-
ti finiti; —, modello bidimensionale Hartsock e Flash ())
Si noti che la previsione fatta attraverso il modello bidimensionale di
Hartsock e Flash (il tratto continuo nel grafico) non risulta precisa per
modi con basso numero d’onda. In particolare si noti che la velocità cri-
tica del modo “banding” risulta di molto più piccola di quella prevista
con il modello bidimensionale.
Bisogna fare dunque particolare attenzione nella scelta delle con-
dizioni al contorno e al numero ed alla distribuzione degli elementi di-
scretizzanti nell’intera geometria.
2.2 Scelta delle impostazioni
Avviando Hotspotter v5.0 in versione “Classic” ci appare una
schermata in Fig. 2.2.1 dalla quale è possibile scegliere il modello agli
elementi finiti da caricare, scegliendo dal menu “file” l’opzione “Load mo-
del”.
Dopo aver caricato il modello fem con una mesh preimpostata, è
possibile aprire il menu “Edit model” in Fig. 2.2.2 nel quale si trovano
tre principali gruppi di comandi.
Fig. 2.2.1: Schermata di avvio Hotspotter “Classic”
Fig. 2.2.2: Schermata del menu “Edit model”
Sulla colonna a sinistra in Fig. 2.2.3 si trovano i comandi genera-
li del programma tra i quali: le due condizioni al contorno, la dimensio-
ne della mesh, il numero d’onda dei modi da analizzare, la velocità di
slittamento tra le superfici, l’arco statorico, il coefficiente d’attrito e l’op-
zione tra la ricerca della velocità critica, con relativa tolleranza della so-
luzione, o del fattore di crescita dei modi per una data velocità di slitta-
mento.
La scelta delle condizioni al
contorno risulta particolar-
mente importante ai fini
dell’analisi termoelastica. Nel
nostro caso specifico sono
state utilizzate come top B.C.:
floating (il componente ha su-
perficie bloccata sulla direzio-
ne radiale, ma libera di muo-
versi lungo l’asse z; termica-
mente isolata) mentre bottom
B.C.: symmetric (il compo-
nente ha superficie bloccata
sia sulla direzione radiale
che quella assiale; termicamente isolata). Esistono una vasta gamma di
condizioni al contorno da poter scegliere a seconda delle proprie esigen-
ze, per maggiori chiarimenti si rimanda al manuale del programma().
Dall’opzione “mesh size” posso scegliere tra sette livelli di infitti-
mento della mesh da “super coarse” a “super fine”. L’indicazione “super
coarse” specifica una mesh molto poco fitta e che non può garantire ac-
curatezza nei risultati. Il sistema imposta automaticamente il numero di
elementi ed il rapporto di infittimento lungo l’asse z.
Fig. 2.2.3: Colonna sinistra
della schermata “Edit modfel”
Sulla colonna centrale in Fig. 2.2.4 possiamo trovare le imposta-
zioni delle dimensioni delle varie superfici che andranno a comporre il
nostro componente. Risulta possibile scegliere il materiale da associare
alla superficie, la tipologia di superficie (rotorica o statorica), il tipo di
contatto sulla superficie (con o senza attrito), il raggio interno ed esterno
della superficie e lo sviluppo lungo
l’asse z. Sono presenti due ulteriori
comandi che ci danno la possibilità
di impostare il numero di elementi
con cui comporre la mesh lungo l’as-
se z ed il rapporto di infittimento
lungo la medesima direzione della
superficie. La possibilità di variare la
mesh durante le simulazioni si è rile-
vata essere di fondamentale impor-
tanza per determinare le imposta-
zioni che permettono alle soluzioni
di andare a convergenza.
La terza ed ultima colonna del menu contiene tutte le informazioni
sulle caratteristiche fisiche dei materiali usati per le varie superfici. Ogni
materiale viene caratterizzato da: modulo di rigidezza, coefficiente di
espansione termica e di conduttività,
densità, calore specifico e coefficien-
te di Poisson. In alto a destra trovia-
mo un pulsante che ci da la possibi-
lità di passare da materiale isotropo
a materiale anisotropo. Scegliendo di
usare un materiale anisotropo, si
apre una finestra in cui è possibile
inserire la matrice di rigidezza ed il
vettore di conduttività termica per
dato materiale.
Fig. 2.2.4: Colonna
centrale della schermata
“Edit model”
Fig 2.2.5: Colonna
destra della schermata
“Edit model”
Dopo aver impostato il modello secondo le nostre necessità pos-
siamo avviare le simulazioni. Una volta completati tutti i calcoli il pro-
gramma ci da la possibilità sia di disporre dei dati in formato .txt, sia di
visualizzare i risultati a video aprendo il menu “Results>>“. Da questo
menu posso visualizzare la mesh usata per le simulazioni oltre a tutti i
dati relativi alla stabilità.
Posso visualizzare ad esempio l’andamento delle temperature lun-
go la superficie di contatto e lungo l’asse z.
Tali distribuzioni possono essere visualizzate per tutte le superfici
e con tutti i modi. Si noti che per il modo assiale o “banding” le distribu-
zioni sono particolarmente differenti.
Nel caso in cui mi interessa conoscere le velocità di innesco dei
vari modi di instabilità, nel menu dei risultati posso trovare i grafici del-
le velocità critiche, premendo sul pulsante “Crt speed”, e di migrazione,
premendo su “Mig speed”, dei vari modi termoelastici.
Se invece mi interessa conoscere il fattore di crescita dei modi per
una data velocità di slittamento, imposto nel menu “Edit model” il crite-
rio per la ricerca del fattore di crescita e i risultati mi forniscono di nuo-
vo le velocità di migrazione, ma al posto delle velocità critiche ottengo il
grafico dei fattori di crescita dei vari modi per la velocità impostata.
2.3 Hotspotter “full3D”
Hotspotter nella versione Full3D utilizza un codice molto simile al
codice ABAQUS standard, basato sugli elementi finiti. Per tale ragione i
modelli agli elementi finiti vengono modificati usando file di testo nei
quali sono inseriti comandi simili a quelli usati in ABAQUS.
Come per la versione Classic, anche Hotspotter Full3D possiede finestre
di dialogo molto intuitive lasciando libertà di scelta delle impostazioni
su ogni fronte, dal tipo di elemento da utilizzare per la mesh fino alla
possibilità di scegliere condizioni al contorno completamente determina-
bili dall’utente. In aggiunta è possibile sfruttare Hotspotter Classic come
interfaccia di post-processo.
Il file di testo in cui sono contenuti i comandi relativi alle imposta-
zioni desiderate per il modello sono caricabili attraverso il pulsante “Edit
model”.
Fig. 2.3.1: Finestra di dialogo di Hotspotter Full3D dopo
aver caricato il modello agli elementi finiti
Dopo aver avviato la simulazione premendo il pulsante “Run” ed aver
aspettato che il programma finisse i calcoli è possibile visualizzare a
schermo i pattern dei differenziali termici sulle varie superfici, usando il
pulsante “Modeplot” nella barra dei menu. Viene così visualizzato il pat-
tern del modo dominante; per osservare i modi successivi basta premere
il pulsante “next mode”. Visto che due modi successivi possiedono auto-
valori, corrispondenti ad una coppia di autovettori, con la medesima
parte reale, il modo immediatamente successivo viene saltato. Per poter
visualizzare i pattern di tutti i modi desiderati usando il sotto-menu
“mode#input” indicando il numero d’onda del modo di interesse.
Per determinare la velocità critica con modelli 3-D è necessario effettua-
re due simulazioni con due differenti velocità di slittamento. Supponen-
do di avere due velocità di slittamento V1 e V2 per le quali si hanno due
tassi di crescita rispettivamente b1 e b2, si avrà che la velocità critica
(tasso di crescita nullo) VCR sarà:
In questo modo ottengo la velo-
cità di slittamento a cui effetti-
vamente il tasso di crescita è
nullo.
Fig. 2.3.2: Schermata di visua-
lizzazione del pattern del modo a
5 HS
Fig. 2.3.3: Schermata di visua-
lizzazione del pattern del modo
assiale
3. Analisi sperimentale
Saranno qui esposti tutti i dati raccolti in merito alle migliorie da
apportare al freno multidisco New Holland di cui sono state considerati
caratteristiche e materiali. Si è inizialmente focalizzata l’attenzione sulla
variazione dei parametri fisici del materiale d’attrito che, come visto nel
capitolo della teoria termoelastica, hanno un’importanza alquanto rile-
vante sulla stabilità.
Non sono state effettuate simulazioni al variare del coefficiente di
diffusione e di dilatazione termica del materiale d’attrito poiché è stato
assodato che la presenza di lubrificazione minimizza sempre i rischi di
instabilità favorendo la trasmissione di calore dalle superfici di attrito,
diminuendo anche la quantità di calore generato e quindi riducendo le
distorsioni termiche delle superfici. Non è stato ritenuto necessario in-
traprendere calcolazioni in merito perché ritenute superflue, infatti è
possibile affermare che una riduzione del coefficiente di dilatazione ter-
mica ed un aumento di quello di diffusività migliorano sempre le condi-
zioni operative. Si noti anche che l’influenza di tali parametri è propor-
zionale all’entità dei picchi di pressione e quindi alla rigidezza del mate-
riale.
Dopo aver verificato la reale influenza della lubrificazione sulle
velocità critiche si è analizzato nel dettaglio come la stabilità del freno
viene influenzata dal variare del modulo di elasticità, del coefficiente di
Poisson e del calore specifico per passare successivamente alle simula-
zioni al variare delle geometrie. Al fine di individuare le migliorie geome-
triche si sono intraprese prove al variare degli spessori dei singoli di-
schi, senza fare attenzione a mantenere invariato l’ingombro assiale
del freno originale. Dopo aver determinato gli spessori dei dischi del pac-
co che maggiormente influenzano la stabilità, si sono intraprese ulteriori
simulazioni, ma questa volta tenendo presente di non andare oltre le di-
mensioni assiali originali.
3.1 Sensibilità della stabilità alla lubrificazio-
ne e all’anisotropia del materiale d’attrito
Il materiale d’attrito usato da New Holland, identificato come
N611, è un materiale anisotropo composto da fibra organica a base di
carta. Di tale materiale erano sconosciute le caratteristiche a bagno d’o-
lio. Conoscendo però la quantità di lubrificante presente nel freno New
Holland, la porosità del materiale, che si aggira attorno al 55%, ed i valo-
ri a secco assunti dalla densità, dal calore specifico e dalla conducibilità
termica è stato semplice calcolare il modulo assunto da tali coefficienti
considerando il materiale impregnato d’olio al 55%.
Valutare il modulo di elasticità non è stato altrettanto semplice,
date le difficoltà riscontrate nel reperire studi scientifici in merito. Uno
degli studi più interessanti trovati è “A fractal model of normal dynamic
parameters for fixed oily porous media joint interface in machine
tools” (2013) [8] in cui è stata studiata sia la rigidezza che la capacità di
smorzamento di un giunto saldato in acciaio poroso. Anche se tale anali-
si è effettuata su un giunto in acciaio è possibile evincere un’importante
informazione; possiamo immaginare che come per l’acciaio poroso anche
la rigidezza di un materiale a base di carta venga incrementata dalla pre-
senza del lubrificante all’interno dello stesso. Nello studio viene descritto
il meccanismo con il quale una parte di carico viene assorbito
dall’acciaio del giunto ed un’altra parte dal lubrificante presente nelle
porosità, che nel caso dell’acciaio porta incrementi di rigidezza fino al
30%. Allo stesso modo potrebbe essere plausibile supporre che tale
meccanismo sia compatibile con quello che potrebbe accadere all’inter-
no del materiale d’attrito in considerazione. In conclusione è possibile
affermare che, da un lato la lubrificazione favorisce lo scambio termico
sfavorendo gradienti termici elevati, d’altro canto se la rigidezza dovesse
aumentare molto tale effetto di stabilizzazione potrebbe essere perso.
Infatti è stato osservato che un incremento della rigidezza del 30% cau-
sa un abbassamento delle velocità critiche per ogni modo, seppur mini-
ma, accentuando l’effetto sui modi con alto numero d’onda. In Fig.
4.1.1 è possibile osservare come le velocità critiche dei vari modi vengo-
no influenzate dalla variazione di rigidezza percentuale (riferita alla rigi-
dezza originale del materiale d’attrito).
Fig. 3.1.1: Andamento delle velocità critiche di modi fino a 12 HS
al variare dell’incremento di rigidezza percentuale
L’influenza dell’anisotropia del materiale d’attrito è poco rilevante
in merito ai valori assunti dalla parte reale (velocità critica) e del tutto
assente sulla parte immaginaria (velocità di migrazione) del numero
complesso che costituisce la soluzione agli autovalori del problema.
Questo vuol dire che considerare isotropo un materiale che nella realtà
è anisotropo non comporta errori che possano compromettere le simula-
zioni di stabilità termoelastica. In Fig. 4.1.2 e Fig. 4.1.4 sono riportati i
grafici delle velocità critiche, mentre in Fig. 4.1.3 e Fig. 4.1.5 i valori
assunti dalle velocità di migrazione dei modi di instabilità per il materia-
le d’attrito considerato isotropo ed anisotropo.
Dai grafici si nota l’entità ridotta della variazione delle velocità critiche e
di migrazione passando da materiale isotropo ad anisotropo.
Fig. 3.1.4: andamento delle velo-
cità critiche di modi da 0 a 12 HS
per materiale anisotropo.
Fig. 3.1.5: andamento delle veloci-
tà di migrazione di modi da 0 a 12
HS per materiale anisotropo.
Fig. 3.1.2: andamento delle velo-
cità critiche di modi da 0 a 12 HS
per materiale isotropico.
Fig. 3.1.3: andamento delle velo-
cità di migrazione di modi da 0 a
12 HS per materiale isotropico.
Al termine delle valutazioni sopraesposte si è presa la decisione di con-
siderare il materiale d’attrito isotropo e con rigidezza pari al valore as-
sunto a secco. Non si sono fatte ulteriori supposizioni sull’incremento
del modulo di Young data la presenza del lubrificante che in ogni caso
migliora le condizioni operative. La scelta di non incrementare il valore
di rigidezza del materiale d’attrito è stata fatta anche alla luce delle os-
servazioni sulla convergenza della soluzione fornita da Hotspotter per
valori elevati di rigidezza.
Inoltre a sostegno delle assunzioni appena fatte si considera che secon-
do la curva di Stribeck in Fig. 3.1.6, la quale mostra che nel caso preso
in esame, per cui si mantengono bassi rapporti tra velocità di striscia-
mento e carico applicato, il sistema si trova in condizioni di attrito a
secco ( o boundary lubrication).
Fig. 3.1.6: Curva di Stribeck
3.2 Influenza del coefficiente di contrazione tra-
sversale o di Poisson del materiale d’attrito
L’utilizzo di materiali d’attrito con coefficiente di contrazione trasversale
eccessivamente elevato potrebbe indurre il componente all’instabilità a
causa dell’eccessiva deformazione trasversale al caricamento che può
essere indotta in tali materiali. Il valore tipico assunto dal coefficiente di
Poisson nei materiali d’attrito a base di carta in commercio si aggira so-
litamente tra 0,2 e 0,3. L’analisi in questo paragrafo è esposta con l’uni-
co intento di chiarificare le condizioni che posso portare, al variare del
coefficiente di Poisson , un sistema all’instabilità. In Fig. 3.2.1 sono sta-
ti riportati i dati raccolti in merito.
Fig. 3.2.1: Andamento delle velocità critiche al variare del
coefficiente di Poisson
In generale l’andamento sembra essere decrescente, anche se l’effetto è
più marcato per coefficienti di Poisson elevati. Di fatto, si hanno riduzio-
ni rilevanti delle velocità critiche per valori superiori a 0,1. Le oscilla-
zioni delle curve rappresentanti le velocità critiche di modi a basso nu-
mero di onda sono dovute alla risoluzione ridotta della mesh usata nelle
simulazioni. Visto che il materiale d’attrito in esame possiede un coeffi-
ciente di Poisson dell’ordine di 10-2, si è ritenuto superfluo effettuare ul-
teriori simulazioni con l’utilizzo di una mesh con più alta risoluzione,
data la poca influenza della variazione del coefficiente per ordini di
grandezza inferiori a 10-1 .
Al fine di ridurre le possibilità di indurre instabilità termoelastica
nel freno New Holland e considerando le osservazioni qui esposte risul-
terebbe poco conveniente provare a migliorare le condizioni operative
scegliendo un materiale con un differente coefficiente di Poisson.
3.3 Influenza della rigidezza sulla stabilità
L’analisi di stabilità svolta da P. Zagrodzki su freni e frizioni multidisco
ha fornito l’importante proporzionalità tra i picchi di pressione e la rigi-
dezza del materiale d’attrito. Infatti, più il materiale è rigido più è sem-
plice indurlo in instabilità termomeccanica il componente. L’andamento
della pressione su due dischi frizione sottoposti al medesimo sforzo nei
medesimi tempi ma con rigidezza differente implica picchi di temperatu-
ra, e quindi distorsioni termiche differenti. Dalle sperimentazioni in let-
teratura si è scoperto che difficilmente i materiali d’attrito hanno rigi-
dezza superiore a 1 GPa, proprio per evitare il più possibile di fomentare
concentrazioni di pressione.
Con le simulazioni realizzate al variare di tale parametro si è estrapolato
il grafico dell’andamento delle velocità critiche riportato in Fig. 3.3.1.
Osservando questa curva è possibile notare quanto sia marcato l’effetto
negativo dovuto ad un elevato valore di rigidezza e si capisce anche la
ragione per cui solitamente non si usano materiali d’attrito con modulo
di Young superiore ad 1 GPa. Si è deciso di disegnare la curva in Fig
3.3.2 imponendo una scala doppio logaritmica, in modo da rendere più
semplice l’analisi dell’andamento delle velocità critiche.
Fig. 3.3.1: Andamento delle velocità critiche al variare della rigi-
dezza del materiale d’attrito
Fig. 3.3.2: Andamento delle velocità critiche al variare della rigidezza
del materiale d’attrito su scala doppio logaritmica
Si noti che le curve in Fig. 4.3.2 hanno un andamento prossimo a
quello lineare; tale andamento su scala doppio logaritmica rappresenta
una decrescita delle velocità critiche poco meno che esponenziale. Tale
caratteristica palesa l’importanza della rigidezza nel fenomeno.
Dalle sperimentazioni reperite in merito alle analisi di stabilità si
è notata la tendenza degli autori a scegliere materiali d’attrito con rigi-
dezze comprese tra 10 MPa e 102 MPa. La variazione delle velocità criti-
che in questo intervallo di rigidezza è osservabile in Fig. 3.3.3.
Possiamo notare che, in tale intervallo di rigidezze, incrementare il mo-
dulo di Young di un ordine di grandezza comporta una riduzione delle
velocità dello stesso ordine.
Fig. 3.3.3: Andamento delle velocità critiche al variare del mo-
dulo di Young da 10 MPa a 102 MPa in scala doppio logaritmica
Il materiale d’attrito N611 usato da New Holland possiede una rigidezza
nell’ordine di 103 MPa, ragion per cui in Fig. 3.3.4 è rappresentato l’an-
damento delle velocità critiche al variare della rigidezza da 102 MPa a
103 MPa.
Da tale grafico è possibile notare che, per dato intervallo di variabilità
del modulo di Young , un incremento della rigidezza di un ordine di
grandezza comporta una riduzione delle velocità critiche superiore ad
un ordine di grandezza. Si può dunque evincere che per rigidezze del
materiale d’attrito particolarmente elevate gli effetti sulla stabilità del
sistema si accentuano.
E’ importante scegliere un materiale d’attrito con un basso valore
del modulo di Young in maniera da scongiurare l’innesco di fenomeni di
instabilità termomeccanica.
Fig. 3.3.4: Andamento delle velocità critiche al variare della
rigidezza da 102 MPa a 103 MPa in scala doppio logaritmica
3.4 Variazioni geometriche
Il sistema frenante multidisco analizzato in questo studio è com-
posto da due dischi d’attrito, un disco intermedio, un pistone e un disco
di reazione. Il modello agli elementi finiti in Fig. 3.4.1 utilizzato nelle
simulazioni con Hotspotter v5.0 si possono osservare i cinque compo-
nenti fondamentali del freno.
Il modello è composto da 9 superfici: 1 per il pistone, 1 per il disco
di reazione, 1 per il disco intermedio, 2 per le anime di acciaio dei dischi
d’attrito e 4 per gli strati di materiale d’attrito.
Dalle considerazioni di P. Zagrodzki in [3], le condizioni geometri-
che che influiscono particolarmente sulla stabilità termoelastica sono il
numero di dischi condotti e gli spessori dei vari dischi. Avendo reputato
la soluzione di variare il numero di dischi del sistema economicamente
poco favorevole per l’azienda, ci si è focalizzati sull’analisi di influenza
degli spessori dei vari dischi.
Fig. 3.4.1: Modello agli elementi finiti composto da 12 layer che
rappresenta il freno multidisco New Holland
Pisotne
Anime in acciaio
Disco di
reazione
Strati di materiale
d’attrito
Strati di materiale
d’attrito
Disco intermedio
In una prima fase si è considerata l’influenza della variazione degli
spessori dei vari dischi sulle velocità critiche senza tener conto dello svi-
luppo assiale totale del pacco dischi.
Le prime simulazioni sono state effettuate al variare dello spessore
del disco intermedio, mantenendo costanti gli sviluppi assiali degli altri
componenti e le caratteristiche dei materiali che li compongono.
Come è possibile osservare dalla Fig. 3.4.2 scegliere un disco in-
termedio con uno sviluppo assiale eccessivo comporta velocità critiche
particolarmente basse. L’effetto risulta marcato per i modi a basso nu-
mero di onda. In particolare si noti quanto l’effetto sul modo a 4HS
(curva in viola) caratterizzato da una forte pendenza della curva.
Nel caso del freno in esame, quello adottato da New Holland, lo
sviluppo assiale del disco intermedio è di 22 mm. Analizzando i valori
delle velocità critiche assunti per spessore del disco intermedio di 22
mm si osserva che una riduzione di tale sviluppo assiale porta indubbi
miglioramenti.
Fig. 3.4.2: Andamento delle velocità critiche al variare dello
spessore del disco intermedio per modi fino a 24 HS
Le velocità critiche fornite dalle simulazioni effettuate al variare
dello spessore dello strato di materiale d’attrito sono indicate nel grafico
di Fig. 3.4.3. Dall’analisi dei dati raccolti risulta evidente che scegliere
strati di materiale d’attrito a spessore eccessivamente sottile comporta
condizioni operative nelle quali il componente può arrivare all’instabilità
termoelastica.
Si può notare dal grafico come le velocità crescano all’incrementa-
re dello spessore dello strato di materiale d’attrito ed in particolare
quanto sia elevata della pendenza delle curve per tutti i modi ad elevato
numero di onda. Infatti le velocità critiche dei modi con numero d’onda
superiore a 12 hot spots crescono moltissimo con incrementi dello spes-
sore fino a 20 mm, dopodiché le velocità non incrementano in modo ri-
levante. Per i modi a basso numero d’onda, che possedendo velocità di
innesco rilevantemente basse sono le instabilità di maggiore interesse
nelle analisi, si riscontrano incrementi delle velocità critiche di entità
inferiore. Tali incrementi risultano comunque rilevanti a fronte dell’ana-
lisi nel dettaglio del grafico riportata in Fig. 3.4.4.
Fig. 3.4.3: Andamento delle velocità al variare dello spes-
sore dello strato di materiale d’attrito per modi fino a 24
HS
Infatti dal dettaglio in Fig. 3.4.4 è possibile notare che per quanto le
curve dei modi a basso numero d’onda appaiono nettamente meno pen-
denti delle curve dei modi ad alto numero d’onda, l’incremento risulta
comunque rilevante per i nostri scopi. L’effetto positivo dell’incremento
del parametro fin qui analizzato risulta meno rilevante per le velocità cri-
tiche del modo assiale (o “banding”) per la quale comunque si riscontra-
no incrementi delle velocità di innesco fino al doppio del valore, ma per
variazioni di un ordine di grandezza dello spessore.
Alla luce delle considerazioni fin qui fatte e sapendo che lo strato di ma-
teriale d’attrito scelto da New Holland possiede spessore di 1,3 mm; dal
dettaglio in Fig. 3.4.4 è evidente che incrementare lo spessore del mate-
riale d’attrito partendo da un valore così piccolo implica un incremento
rilevante delle velocità critiche.
Fig. 3.4.4: Dettaglio dell’andamento delle velocità cri-
tiche al variare dello spessore di materiale d’attrito da
1 mm a 20 mm
Per completezza dello studio sono state effettuate delle prove di
stabilità al variare dello spessore dell’anima in acciaio del disco d’attrito;
i dati raccolti sono rappresentati in Fig. 3.4.5.
Si riscontrano incrementi poco rilevanti delle velocità per modi ad
elevato numero d’onda, soprattutto se paragonati alle rilevanti riduzioni
delle velocità di modi a basso numero d’onda. Si conviene quindi che
non risulta particolarmente positivo scegliere spessori troppo elevati,
nonostante tale scelta possa essere la più logica da prendere per la teo-
ria elastica.
I dati raccolti in merito alla variabilità delle velocità critiche modificando
gli spessori del disco di reazione e del pistone non sono riportati in que-
sto studio poiché reputati irrilevanti. Il fatto di non aver riscontrato al-
cun miglioramento sulle velocità critiche al variare dello spessore di
questi due componenti è sostenuto dallo studio effettuato da Zagrodzki
[3], nel quale si conclude sostenendo che i fattori maggiormente
Fig. 3.4.5: Andamento delle velocità critiche al variare
dello spessore dell’anima in acciaio del disco d’attrito
per modi fino a 24 HS
influenti sulla stabilità di un sistema sono lo sviluppo assiale dei dischi
condotti e conducenti, dalla geometria del pistone e del sistema di fis-
saggio del disco di reazione; non facendo alcun riferimento agli sviluppi
assiali del disco di reazione e del pistone.
Dopo aver verificato che variare gli spessori dei componenti effetti-
vamente influenza la sensibilità del sistema all’instabilità, si è passati
alla raccolta di dati che ci potessero fornire informazioni importanti sul
criterio da utilizzare per migliorare le condizioni operative.
Come è stato precedentemente notato, utilizzare spessori elevati di
materiale d’attrito comporta sicuramente un miglioramento delle condi-
zioni operative del freno. Tale spessore non può comunque essere ecces-
sivamente elevato per motivazioni legate alla progettazione del disco d’at-
trito e del freno nel suo complesso. Ragion per cui sono state studiate le
velocità critiche al variare dello spessore del disco intermedio e dell’ani-
ma del disco d’attrito, facendo attenzione a mantenere costante lo svi-
luppo assiale dell’intero sistema e dello strato di materiale d’attrito. In
Fig. 3.4.6 sono riportati i dati in merito.
Fig. 3.4.6: Andamento delle velocità critiche al variare del
rapporto tra lo spessore del disco intermedio e lo spessore
dell’anima in acciaio del disco d’attrito
Si può osservare in Fig. 3.4.6 quanto crescano le velocità critiche in
prossimità del rapporto unitario. Tale osservazione ci porta a credere
che sia importante mantenere una certa “omogeneità” nel pacco dischi
per scongiurare l’insorgenza di instabilità. Affermando che il sistema de-
ve possedere una certa “omogeneità” si intende che lo sviluppo assiale
dei singoli dischi del pacco debba essere simile. Per essere più precisi la
stabilità del sistema sembra essere compromessa dalla mancanza di
simmetria nel complesso del pacco dischi.
Viene riportato in Fig. 3.4.7 un ulteriore grafico riportante le velocità
critiche per un modo a 12 hot spots al variare dello spessore dello strato
di materiale d’attrito, per differenti spessori dell’anima in acciaio del di-
sco da 5 mm a 50 mm.
Fig. 3.4.7: Andamento delle velocità critiche al variare dello
spessore dello strato di materiale d’attrito per differenti spessori
dell’anima del disco d’attrito
Notiamo che l’effetto positivo risulta particolarmente meno marcato nel
caso in cui venga scelto uno spessore dell’anima di acciaio del disco
particolarmente elevata.
Ad avvalorare tale affermazione si riporta in Fig. 3.4.8 il grafico delle
velocità critiche al variare dello spessore del disco intermedio, per spes-
sori dell’anima del disco d’attrito da 5 mm a 15 mm.
Fig. 3.4.8: Andamento delle velocità critiche al variare dello
spessore del disco intermedio per differenti sviluppi assiali
dell’anima del disco d’attrito
3.5 Influenza calore specifico del materiale
d’attrito
Per chiudere il quadro delle possibili migliorie da apportare al si-
stema frenante multidisco adottato da New Holland analizziamo cosa
accade alle velocità critiche di innesco delle instabilità al variare del ca-
lore specifico del materiale d’attrito.
In Fig. 3.5.1 è possibile osservare che le velocità tendono ad aumentare
per tutti i modi, ma non in modo rilevante per i modi a basso numero
d’onda ai quali siamo maggiormente interessati.
In generale si consiglia la scelta di un materiale d’attrito con una
capacità termica elevata. Visto che in media i materiali di attrito non
vanno oltre i 2000 J/kg K si consiglia la scelta di un lubrificante con
elevata capacità termica, in modo che assorba una porzione superiore di
calore generato, evitando che il materiale d’attrito debba assorbire una
quantità troppo elevata di calore.
Fig. 3.5.1: Andamento delle velocità critiche al variare del
calore specifico del materiale d’attrito
3.6 Convergenza delle soluzioni e problematiche
Per scongiurare problematiche relative alla convergenza delle so-
luzioni bisogna prendere delle accortezze sulla distribuzione degli ele-
menti finiti.
La prima riguarda le condizioni al contorno. Come si può leggere
dallo studio di Barber, Yi e Zagrodzki [7], le superfici esterne del pacco,
quindi quelle che rappresentano il pistone e il disco di reazione, vanno
considerate termicamente isolate, visto che il calore trasmesso da tali
componenti è talmente basso da non influenzare la stabilità termoelasti-
ca. La superficie corrispondente al disco di reazione va considerata mec-
canicamente simmetrica (spostamento lungo z nullo e tensione circonfe-
renziale pari a quella radiale); mentre quella del pistone flottante
(spostamento radiale nullo e tensione assiale nulla).
La seconda accortezza è relativa all’impostazione di una mesh con
un elevato infittimento degli elementi lungo la direzione assiale per tutte
le superfici sulle quali avviene generazione di calore ed in particolare per
i materiali a bassa conduzione termica cosi da evitare l’insorgere di im-
precisioni numeriche.
Nonostante già dalle prime simulazioni effettuate è stato tenuto
conto delle finezze di cui si è parlato pocanzi, si sono riscontrati diversi
problemi riguardo la convergenza delle soluzioni, in particolare per le
velocità critiche del modo assiale. A tal proposito possiamo osservare in
Fig. 3.6.1 l’andamento delle velocità critiche di modi a basso numero
d’onda al variare dello spessore dell’anima in acciaio del disco di attrito,
per differenti dimensioni degli elementi della mesh. Nel grafico sono pre-
senti due serie di curve, quelle a tratto continuo indicano le velocità de-
terminate con una mesh molto fine, con la quale gli elementi all’interfac-
cia delle superfici sulle quali avviene la generazione di calore hanno di-
mensione dell’ordine di 10-6 mm; le curve indicate con tratto e punto fan-
no riferimento ai dati raccolti dalle simulazioni effettuate con una mesh
con un numero minore di elementi e con gli elementi all’interfaccia delle
superfici in slittamento di spessore dell’ordine di 10-3 mm. Risulta evi-
dente che le soluzioni ottenute con elementi all’interfaccia di ordine 10-6
mm sono valide per tutti i modi eccetto che per il modo assiale. Le velo-
cità del modo banding infatti continuano ad oscillare nonostante il mi-
glioramento della mesh. Per ottenere dati accettabili sono stati aumenta-
ti il numero degli elementi, ma così facendo il calcolo non convergeva
resituendo velocità del tutto incongruenti con i risultati precedenti.
Fig. 3.6.1: Velocità critiche al variare dello spessore dell’a-
nima del disco di attrito per differenti dimensioni della mesh
(──, elemento all’interfaccia 10-6 mm; ─•, elemento
all’interfaccia 10-3 mm; ─ ─, elemento all’interfaccia 10-7
mm solo per il modo banding)
Allora la mesh è stata modificata in modo che gli elementi all’in-
terfaccia avessero dimensioni nell’ordine di 10-7 mm, facendo attenzione
a non incrementare il numero degli elementi rispetto alla mesh con ele-
menti all’interfaccia nell’ordine di 10-6 mm. I dati relativi alle simulazio-
ni effettuate con tale impostazione della mesh sono indicati con tratto
discontinuo e solo per il modo assiale (o “banding”) in Fig. 3.6.1, visto
che le velocità caratterizzanti gli altri modi risultano del tutto identici a
quelli ottenuti con la mesh meno dettagliata. Per ottenere una mesh
omogenea con pochi elementi complessivi ma allo stesso tempo con
spessore molto sottile degli elementi all’interfaccia delle superfici in slit-
tamento, sono stati separati gli strati dei materiali con basso coefficien-
te di conduzione termica. Tale espediente è stato escogitato alla luce
delle osservazioni fatte da Barber, Yi e Zagrodzki [7] in cui consigliano di
separare gli strati in modo da applicare mesh con differente finitura.
Anche se qui sono stati riportati solamente i dati relativi alla con-
vergenza delle soluzioni al variare dello sviluppo assiale dell’anima in
acciaio del disco d’attrito, per tutte le altre simulazioni effettuate in que-
sto studio sono state riscontrate le medesime problematiche in merito
alla convergenza delle soluzioni per il modo assiale.
Tutte le problematiche sulla convergenza delle soluzioni restituite
da Hotspotter v5.0 si amplificano al crescere della rigidezza del materiale
d’attrito. Si riporta in Fig. 3.6.2 il grafico degli andamenti delle velocità
critiche al variare del modulo di Young per una risoluzioni della mesh
non particolarmente accurata. Si può notare quanto siano molto più
frequenti le fluttuazioni dei dati relativi alle simulazioni con elevata rigi-
dezza del materiale d’attrito.
Fig. 3.6.2: Andamento delle velocità critiche al variare del
modulo di Young con risoluzione della mesh bassa
Conclusioni
Lo studio intrapreso aveva lo scopo di individuare ed analizzare le
possibili migliorie da apportare al freno adottato da New Holland, con lo
scopo di eliminare tutte quelle caratteristiche del sistema che favorisco-
no l’innesco di instabilità termoelastiche.
L’espediente più efficace si è dimostrato essere la riduzione della
rigidezza del materiale d’attrito, che permette di ridurre sostanzialmente
l’entità delle discontinuità di pressione e temperatura, con un effetto po-
sitivo sulle velocità di innesco (altresì dette critiche) di ogni modo stu-
diato. Sempre per quanto riguarda le caratteristiche fisiche del materia-
le d’attrito, è stata notata una certa influenza del calore specifico sulla
stabilità del sistema; tale parametro deve mantenersi attorno ad un va-
lore sufficientemente alto in modo da scongiurare l’insorgere di distor-
sioni termiche che, come noto, favoriscono la distribuzione non omoge-
nea di pressione.
Analizzando l’influenza del rapporto tra gli sviluppi assiali dei di-
schi del pacco, si è determinato che tale rapporto deve mantenersi pros-
simo all’unità per ottenere velocità critiche particolarmente elevate. La
così detta “omogeneità” del sistema non è l’unico parametro geometrico
ad influenzare la stabilità. Il migliore layout del sistema multidisco si è
rilevato essere quello per cui lo sviluppo assiale rimane quello dell’impo-
stazione di base del freno, lo strato di materiale d’attrito viene inspessito
ed il disco intermedio reso più sottile; ogni modifica degli spessori va
apportata in modo che il rapporto tra gli spessori sia prossimo all’unità.
Inoltre, si è notato anche che la capacità dell’intero freno di dissi-
pare il calore è molto importante al fine di ridurre l’entità dei picchi di
temperatura e quindi della distorsione termica.
A tale proposito si consiglia l’utilizzo di un lubrificante con una grande
capacità termica, in grado di assorbire una quota rilevante del calore
generato sulle superfici in slittamento.
Infine si noti che tutte le simulazioni sono state fatte per lo studio
di modi fino a 24 HS, poiché si è notato che Hotspotter presenta proble-
matiche relative alla convergenza delle soluzioni qualora si decidesse di
studiare modi termoelastici fino ad un massimo di 12 HS.
Al termine delle ricerche intraprese i dati raccolti e le conclusioni
estrapolate sono state esposte ai responsabili di CNH, che si sono rite-
nuti soddisfatti delle soluzioni proposte per il miglioramento delle condi-
zione operative del loro freno multidisco.
Bibliografia
1. J.R. Barber (1969). Thermoelastic instability in the sliding of
conforming solid. Univesity Engineering Department, Camnbridge, MI.
2. R. A. Burton, V. Nerlikar e S. R. Kilaparti (1972). Thermoelastc
instability in a seal-like configuration. Northwestern University, Evaston
3. P. Zagrodzki (1990). Analysis of thermomechanical phenomena
in multidisc clutches and brakes. Warsaw institute of technology,
Waraw, POL.
4. J.R. Barber e W. Lee (1993). Frictionally excited thermoelastic
instability in automotive disk brake. Department of mechanical enginee-
ring and apllied mechanics, University of Michigan.
5. J. R. Barber, T. Yeo (1996). Stability of a semi-infinite strip in-
thermoelastic contact with a rigid wall. Department of Mechanical Engi-
neering and Applied Mechanics, University of Michigan, MI. Department
of Mechanical Engineering, University of Ulsan, Kyungnam, Korea.
6. J. Y. Jang(1) e M. M. Khonsari(2) (2002). A generalized ther-
moelastic instability analysis. (1) Center for Advanced Friction Studies,
Southern Illinois University, Carbondale. (2) Department of Mechanical
Engineering, Louisiana State University.
7. Yun-Bo Yi(1), J. R. Barber(1) e P. Zagrodzki(2) (2002). Eigenva-
lue solution of thermoelastic instability problems using Fourier reductiony.
(1)Department of Mechanical Engineering and Applied Mechanics, Uni-
versity of Michigan, MI. (2) Raytech Composites Inc., Crawfordsville, IN.
8. C. Qu, L. Wu, J. Ma, Q. Xia e S. Ma. (2013). A fractal model of
normal dynamic parameters for fixed oily porous media joint interface in
machine tools.
9. A. P. Ompusunggu, T. Janssens, F. Al-Bender, P. Sas, H. Van
Brussel. Contact Stiffness Characteristics of a Paper-Based Wet Clutch at
Different Degradation Levels. Katholieke Universiteit Leuven (KUL), De-
partment of Mechanical Engineering, Division of PMA, Leuven, Belgium.
10. F. E. Kennedy e F. F. Ling. (1974). A thermal, thermoelastic,
and wear simulation of high-energy sliding contact problem.

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Analisi di instabilità termoelastica in frizioni multidisco

  • 1. Università degli studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di ingegneria “Enzo Ferrari” Corso di laurea in ingegneria meccanica Analisi di stabilità termoelastica in un freno multidisco Relatore: Prof. Francesco Pellicano Correlatori: Dott. Ing. Marco Barbieri Dott. Ing. Antonio Zippo Anno Accademico 2013/2014 Candidato: Giuseppe Montalbano
  • 2.
  • 3. INDICE Introduzione 1.Teoria Termoelastica 1.1 Origini della teoria 1.2 Condizione di stabilità termoelastica 1.3 Influenza della rigidezza 1.4 Distribuzione del carico termoelastico in una fri- zione ed influenza della rigidezza del materiale d’attrito 2. Hotspotter v5.0 2.1 Hotspotter “Classic” 2.2 Scelta delle impostazioni 2.3 Hotspotter “Full3D” 3. Analisi sperimentale 3.1 Sensibilità della stabilità del sistema alla lubrificazio- ne e all’anisotropia del materiale d’attrito 3.2 Influenza del coefficiente di contrazione trasver- sale o di Poisson del materiale d’attrito 3.3 Influenza della rigidezza del materiale d’attrito 3.4 Variazione parametri geometrici 3.5 Influenza calore specifico 3.6 Convergenza della soluzione e problematiche Conclusioni Bibliografia
  • 4. Introduzione Sono qui raggruppati e messi in chiaro dati ed esperienze raccolti durante il periodo di tirocinio, svolto presso il centro Intermech MO.RE del Dipartimento di Ingegneria Meccanica di Modena e Reggio Emilia, nell’ambito del progetto “Hotspot”. Lo scopo di questa tesi è stato quello di determinare i principali parametri che influenzano la stabilità ter- moelastica di un freno multidisco a bagno d’olio utilizzato nelle macchi- ne agricole di New Holland e di individuare metodologie valide per l’uso del programma di simulazione di stabilità termoelastica agli elementi finti Hotspotter v5.0, quale strumento integrato nella progettazione. Durante la prima fase sono stato introdotto ai concetti base della teoria termoelastica, concentrandomi dunque su un’attenta analisi delle esperienze pubblicate dai maggiori studiosi in materia quali J.R. Barber, P. Zagrodzki e Yun-Bo Yi. In questo modo sono stato in grado di enuclea- re i parametri sensibili del problema, che possiamo individuare nel mo- dulo di elasticità, nel coefficiente di diffusività e di espansione termica del materiale di attrito ed anche nelle geometrie dei vari componenti. Successivamente ho iniziato le simulazioni con il programma par- tendo dalle medesime esperienze provate da J.R. Barber su modelli im- plementati in Hotspotter v5.0 e sviluppati sulla base degli studi raccolti in materia. Effettuando ulteriori simulazioni sui modelli sopracitati si è verificata la rilevanza dell’anisotropia e della variazione dei parametri fisici a bagno d’olio del materiale d’attrito N611 usato da New Holland. A questo punto è stato possibile iniziare le simulazioni sul model- lo agli elementi finiti realizzato sulla base del freno multidisco New Hol- land, così da determinare le condizioni di lavoro entro cui tale freno rag- giunge l’instabilità termoelastica.
  • 5. Ho proseguito con altre simulazioni sul modello New Holland al fine di ridurre le possibilità di indurre l’instabilità del componente al va- riare dei parametri sensibili individuati durante la prima parte dello studio. Finite le simulazioni effettuate avevo a disposizione abbastanza dati da poter affermare con certezza le migliorie da apportare al freno New Holland ed avevo determinato le procedure con le quali individuare agevolmente le problematiche che inducono l’instabilità termoelastica attraverso l’utilizzo di Hotspotter v5.0. Al termine del periodo di tesi, da esperienze e dati raccolti, ho tratto le delle conclusioni esposte ai responsabili di CNH.
  • 6. 1. Teoria Termoelastica La teoria termoelastica (TEI) ha lo scopo di determinare con preci- sione le condizioni che inducono le instabilità termomeccaniche di com- ponenti in rotazione sulla superficie dei quali si genera calore per attrito. Nonostante tale fenomeno fu notato già alla fine degli anni ‘40, solo di recente ha acquisito valore tecnologico, poiché le necessità di trasmettere o dissipare potenze sempre maggiori diventa sempre più pressante. I si- stemi che maggiormente subiscono le instabilità termoelastiche sono in quelli che sfruttano l’attrito tra superfici a tale scopo. La sollecitazione termoelastica può essere sinteticamente concepita come un evento fisico in cui lo stimolo termico e quello meccanico sono in strettissima relazione. Per meglio comprendere tale sollecitazione possia- mo immaginare un dualismo tra questa e la sollecitazione meccanica. In- fatti la sollecitazione termomeccanica è caratterizzata da modi termoela- stici, esattamente come la sollecitazione meccanica viene caratterizzata dai modi di vibrare. La differenza fondamentale è che i singoli modi di vi- brare seguono una legge oscillatoria manifestandosi solo per data fre- quenza di oscillazione, mentre le instabilità termoelastiche seguono una legge esponenziale nel tempo che possiede fattore di crescita positivo per velocità di slittamento superiori alle velocità di innesco dei singoli modi. Sostanzialmente i modi termoelastici, a differenza dei modi di vibrare, possono coesistere nello stesso momento. L’innesco di instabilità termoelastiche causa, quindi, concentrazioni di carico e forti distorsioni termiche, che possono portare facilmente il com- ponente a rottura. Si tratta di un sistema in retroazione per il quale l’in- nesco dell’instabilità causa una variazione sulla distribuzione uniforme di pressione, generando concentrazioni di carico che danno vita a picchi di temperatura sulle superfici d’attrito detti hot spots; tali picchi inducono distorsioni che favoriscono ulteriormente l’insorgenza di instabilità.
  • 7. Sia chiaro che anche solo con una piccola perturbazione alla di- stribuzione uniforme della pressione sulla superficie di contatto nomi- nale (bastano perturbazioni nell’ordine dell’1%) è possibile indurre l’in- tero componente all’instabilità termoelastica. La maggior parte dei casi di rottura imputabili all’instabilità ter- moelastica riguardano freni a disco, frizioni automobilistiche e partico- lari tipi di freni multidisco, dove avviene una grandissima dissipazione di energia. Ad esempio i fenomeni di bruciatura nella frizioni si manife- stano quando la frizione chiusa viene fatta slittare mediante l’applica- zione di una coppia. Sperimentalmente, è possibile verificare che la bru- ciatura avviene al di sopra di una determinata velocità critica di slitta- mento, che dipende dal carico di chiusura della frizione. Le immagini in Fig. 1 e Fig. 2 sono riportate dall’articolo di Yi, Barber e Zagrodzky [7] e raffigurano due piatti di due dischi di frizione a cui è stato asportato il materiale d’attrito in modo da rendere visibili gli effetti delle instabilità termoelastiche. Le aree scure sparse su tutta la superficie del piatto in Fig. 1 corrispon- dono alle zone in cui si ha localizzazione della sollecitazione termoelasti- ca e dove si presentano i picchi di temperatura detti anche hot spots. Fig. 2: piatto di un disco di frizione dopo un singolo ingaggio Fig. 1: piatto di un disco frizione dopo un normale periodo di lavoro
  • 8. In rare occasioni e particolari condizioni di funzionamento tali picchi di temperatura riescono a portare l’acciaio del piatto a fusione. Le tracce sparse del componente in Fig. 1 sono la conseguenza di una serie di contatti tra le superfici durante una normale condizione operativa, in cui possono coesistere diversi modi . La casistica rappresentata in Fig. 2 risulta particolarmente inte- ressante da un punto di vista accademico poiché ci consente di indivi- duare meglio il quadro del fenomeno. Gli autori, ponendo il disco in ro- tazione ad una determinata velocità critica, hanno fatto in modo che sul- lo stesso si innescasse quella particolare instabilità che causa 12 hot spots. Dalla Fig. 2 è possibile osservare il tipico pattern del modo a 12 hot spots ugualmente distanziati tra loro e, come riportano gli autori, di- sposti antisimmetricamente rispetto agli hot spots sul lato opposto del piatto. Sostanzialmente i 12 hot spots sul lato opposto sono posizionati in corrispondenza degli spazi tra le aree oscure visibili in Fig. 2. Dopo questa breve introduzione alla teoria termoelastica risulta chiaro che molteplici sono i parametri che influenzano la stabilità ter- moelastica di un componente e complesse sono le relazioni che li legano, essendo questa una strada ancora poco battuta. 1.1 ORIGINI DELLA TEORIA Le prime esperienze sono collocate tra la fine degli anni ‘40 e l’ini- zio degli anni ‘50. Per primi Parker e Marshall nel 1948 studiarono l’inte- razione delle superfici d’attrito dei binari con le ruote dei treni e notaro- no che sulle superfici d’attrito si generano zone a temperatura molto ele- vata rispetto alle zone adiacenti; teorizzarono anche che anche la pres- sione fosse localizzata su bande disposte parallelamente lungo la direzio- ne di rotazione, nonostante la complanarità delle stesse. B.B. Hundy nel 1957 durante l’analisi di alcune ruote di treni cedute scoprì che ad una
  • 9. certa profondità dalla superficie di contatto delle stesse con i binari era presente martensite, che è una particolare forma allotropica dell’acciaio metastabile a temperature superiori ai 700°C. Ipotizzando che il calore fosse stato distribuito uniformemente sulla superficie nominale di con- tatto, la temperatura raggiunta non sarebbe stata sufficientemente ele- vata da giustificare la presenza di martensite. L’unica spiegazione plausibile sarebbe stata ritenere veritiera la scoperta del ‘48 di Parker e Marshall che avevano teorizzato per primi la presenza di punti di concentrazione della pressione dove anche la tem- peratura raggiunge un picco. Un grandissimo contributo fu dato nel 1973 da R. A. Burton, V. Nerlikar e S. R. Kilaparti [2] che svilupparono il primo modello perturba- tivo per lo studio della stabilità di un contatto tra due semi-piani che strisciano l’uno contro l’altro. Il sistema fu linearizzato intorno alla con- dizione di pressione uniforme nel quale la perturbazione cresce espo- nenzialmente nel tempo. La soluzione analitica sviluppata da Burton possedeva un grandissimo limite: il metodo risolutivo non comprendeva una lunghezza di scala geometrica. Vent’anni dopo Burton, W. Lee e J. R. Barber [4] riuscirono a definire una soluzione analitica che tenesse in considerazione la dimensione del componente; con il loro studio scopri- rono una proporzionalità tra il numero di onda del modo termoelastico e lo spessore del componente interessato da instabilità.
  • 10. 1.2 Condizione di stabilità termoelastica Lo studio effettuato da J.R. Barber nel 1968 sulla stabilità del contatto a strisciamento tra superfici fu intrapreso con lo scopo di rea- lizzare un modello fisico semplificato per spiegare le dinamiche che stanno alla base delle instabilità termoelastiche. I dati ed il modello qui esposti furono usati come strumento base per lo studio intrapreso dallo stesso J.R. Barber assieme a W. Lee sui sistemi di frenatura con disco utilizzati in campo automobilistico [2]; tale lavoro rappresenta ancora oggi un importante punto di riferimento nelle analisi di stabilità termoe- lastica di freni automobilistici. Il modello semplificato di Barber consisteva in un disco rotante di acciaio dolce contro la superficie del quale fece strisciare tre pin in ghi- sa di diametro da 843 mm, fissati su un blocchetto dello stesso materia- le, a sua volta accoppiato ad un braccio rigido in grado di forzare i tre pin a strisciare sulla superficie con un carico normale fino a 1,5 kN. Il disco venne posto ad una velocità di rotazione variabile in modo con- tinuo da 5 a 35 m/s. In quattro differenti punti furono poste delle ter- mocoppie a profondità diverse. Tre vennero poste all’interno dei pin, mentre la quarta fu posta al centro del blocchetto. La termocoppia più vicina alla superficie si trovava ad una profondità di gran lunga più
  • 11. elevata della dimensione tipica della rugosità superficiale. Barber poté affermare con certezza che le temperature registrate non mostravano irregolarità riconducibile alle micro asperità superficiali. Queste si man- tenevano costanti per un certo periodo in un dato punto, per poi cresce- re considerevolmente per un brevissimo periodo di tempo. Considerando i dati raccolti sulle fluttuazioni di temperatura e la rugosità superficiale del pin Barber affermò che affinché potesse essere possibile raggiungere dati picchi di temperatura, sarebbe stato necessario che una grossa fet- ta del carico normale totale (più della metà) dovesse essere concentrata su un pin. Tale osservazione risultò molto simile alle conclusioni a cui erano giunti anche Parker e Marshall circa venti anni prima. Poté anche osservare che i picchi di temperatura sono sempre simili, che ogni volta che il pic- co di temperatura in una zona comincia a decadere si viene a creare un’altra zona calda subito a valle della prima; inoltre si osservò che tali picchi di temperatura si spostavano sulla superficie d’attrito, tornado al punto di partenza con una certa regolarità e con una frequenza di gran lunga superiore a quella del disco rotante. Fig. 1.2.1: andamento della temperatura rilevato da una del- le termocoppie per differenti velocità di scorrimento relativo e con carico costante pari a 50 kg.
  • 12. Dai grafici estrapolati dallo studio di Barber e riportati in Fig. 1.2.1 è possibile notare sia il picco di temperatura di breve durata, sia la pro- porzionalità tra la velocità relativa delle superfici e l’entità di tale picco di temperatura. Per cui è stato possibile dedurre anche la pressione media in un punto, al termine di un intero ciclo di concentrazione del carico, risulta pari al- la pressione nominale in ogni punto. Una volta assodato che la pressione nominale non fosse uniforme- mente distribuita lungo la superficie di contatto nominale, ma fossero presenti piccole zone in cui si concentra la pressione e che cambiano in brevi archi di tempo, e che anche la distribuzione della temperatura non fosse uniforme, Barber studiò l’effetto dell’inevitabile differenziale termi- co sulla deformazione della superficie. Le zone a temperatura superiore tendevano a subire un’espansio- ne termica maggiore delle zone circostanti a temperatura più bassa; questa espansione termica differenziale fu assimilata come una delle principali cause di instabilità. Non appena il punto di contatto si spo- stava da un pin all’altro, quello precedentemente carico cominciava a contrarsi a causa del raffreddamento. Dopo la fluttuazione di tempera- tura, la superficie del primo pin caricato raggiungeva la sua posizione di partenza, lasciando una depressione sulla superficie e rendendo ulte- riormente discontinuo il trasferimento di calore in prossimità di una delle termocoppie. Barber osservò che la profondità di tale depressione sulla superficie non dipende dalla velocità di strisciamento: furono os- servate depressioni indotte con frequenze di rotazione di 7 m/s e 35 m/s che in entrambi i casi producevano inflessione delle superfici molto simili (0,01 mm e 0,015 mm). La larghezza della depressione inve- ce è molto complessa da determinare, anche se sembra crescere all’au- mentare della velocità di strisciamento, rimanendo comunque compresa tra 5 mm e 10 mm.
  • 13. Dato che a causa dell’usura viene continuamente asportato materiale dalla superficie superiore del pin favorendo la crescita di depressioni superficiali, risultò alquanto rilevante conoscere il tasso di usura ( o rapporto di recessione della superficie) al fine di determinare l’entità dello spostamento dell’estremo del pin. Si prese in considerazione una superficie liscia che sfrega contro un solido rugoso (condizione tipica dei freni automobilistici); si considerò in prima approssimazione che il ca- lore generato e il rapporto di usura siano proporzionali alla pressione locale. Barber si accorse che l’espansione termica aveva un effetto posi- tivo sulla stabilità del sistema, poiché tendeva a far diminuire la rugosi- tà superficiale, mentre l’usura contribuiva negativamente; stava per in- dividuare uno dei parametri più rilevanti per la stabilità di un sistema. Fu possibile affermare che la stabilità del sistema dipendeva da una re- lazione tra tasso di usura ed espansione termica. In particolare, se l’espansione termica è superiore all’usura ogni irrego- larità iniziale viene accentuata e la concentrazione di pressione, e quin- di l’instabilità termoelastica, sono agevolate. Durante la prima fase del contatto l’approssimazione lineare dell’andamento dell’espansione termica è accettabile; successivamente assume un andamento meno che lineare, fino a stabilizzarsi su un valo- re costante se il calore disperso viene bilanciato da quello generato. Fig. 1.2.3: Depressione della superficie del pin in prossimità della termocoppia
  • 14. Se l’usura continuasse a crescere linearmente nel tempo, allora questa avrebbe un effetto positivo, attivando un meccanismo in grado di aumentare i punti di contatto tra le superfici. Purtroppo, l’usura non possiede un andamento lineare, ma si scoprì che aumentava all’aumen- tare della temperatura media del ciclo all’interfaccia di questo particola- re sistema preso in considerazione. Sono riportati in Fig. 1.2.4 i grafici dei dati raccolti da Barber durante l’analisi dell’andamento dell’usura e dell’espansione termica al variare della velocità di strisciamento e del carico applicato; questi dati sono stati raccolti con esperimenti realizzati con blocchetti con un solo pin e il tasso di usura è stato calcolato misu- rando la perdita di peso dopo un lungo periodo di strisciamento stazio- nario. Il coefficiente di usura cresce con il carico (L) e la velocità (V), co- me si può notare dall’andamento dei dati raccolti, è stato scoperto che è funzione della sola temperatura media della superficie. Il coefficiente di attrito (µ) al contrario, crolla al crescere di carico e velocità, motivo per cui la curva riportata in figura tende ad appiattirsi per carichi e velocità elevati. In condizioni di carico e velocità particolarmente estreme l’an- damento decrescente del coefficiente d’attrito non è continuo, probabil- mente a causa delle temperature prossime alla fusione raggiunte sulla superficie. Fig. 1.2.4: coefficiente volumetrico di usura W e potenza dissipata per attrito µLV al variare della velocità di slittamento. ○, 2 kg; x, 4 kg; □, 10 kg; ■, 15 kg; ∆, 25 kg.
  • 15. In conclusione Barber determinò che se il tasso di usura si man- tiene maggiore dell’espansine termica, allora il sistema sarebbe stato stabile e la pressione si sarebbe meglio distribuita sull’intera superficie. Per piccoli valori di t l’espansione termica produce uno spostamento dell’estremo del pin a contatto con il disco rotante pari a: dove A è l’area della sezione trasversale del pin, α è il coefficiente di espansione termica lineare, σ coefficiente di proporzionalità del calore generato assorbito dal pin, c è la capacità termica, ρ densità e ν il coeffi- ciente di Poisson del materiale d’attrito. L’usura lineare è data da: dove W è il coefficiente di usura. Come osservato in precedenza, al fine di ottenere un sistema stabile l’u- sura deve mantenersi maggiore dell’espansione termica; per cui ottenia- mo la seguente relazione che esprime la condizione di stabilità del siste- ma: Si noti come paradossalmente un valore estremamente basso del tasso di usura W minimizzi i rischi di instabilità aumentando la durata del ciclo di concentrazione del carico. Qualora l’usura fosse trascurabile nell’arco di tempo preso in considerazione, le instabilità termoelastiche altereranno comunque la distribuzione di pressione.
  • 16. 1.3 Distribuzione del carico termoelastico in una frizione ed influenza della rigidezza del materiale d’attrito Nel 1990 P. Zagrodzki intraprese uno studio, riportato in [3], con lo scopo di determinare un modello che riuscisse ad approssimare, in modo accettabile, il fenomeno termoelastico in un pacco di dischi d’at- trito di una frizione o un freno multidisco. Il lavoro di Zagrodzki cominciò dagli studi di Kennedy e Ling, che per primi nel 1974 le instabilità termoelastiche di un pacco dischi d’at- trito, assumendo che i fenomeni termoelastici inducibili in ognuno dei dischi del pacco siano tutti simmetrici rispetto al piano medio del disco [10]. Questa assunzione comporta un’importante conseguenza: i feno- meni che occorrono sulle due superfici dello stesso disco vengono stu- diati separatamente, co- me se fossero fenomeni locali. Tale assunzione risulta accettabile per tutti i dischi del pacco eccetto che per il pistone ed il disco di reazione, per i quali si ha genera- zione di calore solo su una delle superfici; tale asimmetria è do- vuta alle caratteristi- che costruttive per le quali il primo e l’ultimo disco slittano solamente rispetto ai dischi del pacco e non rispetto al telaio. Fig. 1.3.1: Schema della sezione trasversale della frizione multidisco usata nello studio di Zagrodzki
  • 17. Le temperature e le deformazioni sono state assunte assialsimetri- che e vengono trascurate le transizioni termoeleastiche (variazione della distribuzione di pressione omogenea causata da distorsioni termiche). Venne assunto che le condizioni di attrito a secco (o bounduary lubrica- tion). Il modello della frizione in questione possiede una serie di dischi di due differenti tipologie disposti alternativamente. Si distinguono di- schi di metallo omogeneo e dischi che possiedono un’anima metallica rivestita da uno strato di materiale d’attrito su ognuna delle due superfi- ci d’attrito. Per lo studio del fenomeno di conduzione termica non stazionaria è stato utilizzato il metodo alle differenze finite. Poiché con il metodo alle differenze finite risulta complesso otte- nere buone approssimazioni di profili curvilinei, i componenti sono stati sche- matizzati con una forma rettangolare lungo la loro sezione trasversale. Si noti che nello schema dei nodi sono presenti sia nodi • in comune per la mesh alle differenze ed agli elementi finiti, sia nodi ○ appartenenti solamente alla griglia della mesh alle differenze finite. Per ri- solvere il problema termico alle dif- ferenze finite è stato usato il meto- do iterativo Gauss-Seidel. Il modello usato per la risoluzione del problema meccanico è costi- tuito agli elementi finiti e si distingue per la distribuzione non uniforme di temperatura e per la simultanea presenza del fenomeno su più super- fici. Fig. 1.3.2: Griglia dei no- di della discretizzazione alle differenze finite dei dischi d’attrito
  • 18. Dallo studio dei risultati determinarono una serie di nozioni che si rivelarono fondamentali nelle analisi di stabilità termoelastica. Innanzitutto hanno potuto affermare che all’istante iniziale dell’ingaggio della frizione i picchi massimi di pressione si registrano in prossimità del raggio interno del disco e che la distribuzione di pressio- ne risulta molto più uniforme sulle superfici in prossimità del pistone. In Fig. 1.3.3 si possono osservare le distribuzioni di pressione sulla su- perficie d’attrito 1 (prossima al pistone) e 10 (distante dal pistone) lun- go la direzione radiale du- rante l’istante iniziale di ingaggio. Successivamente presero in considerazione i dati relativi alla distribu- zione di pressione lungo il raggio di due superfici d’attrito consecutive fino ad un t=0,08s dopo l’ingaggio, mostrate in Fig. 1.3.4 e Fig. 1.3.5, che lo portarono all’importante conclusione che le instabilità termoela- stiche inducono deformazioni simmetriche rispetto al piano medio del disco. Fig. 1.3.3: Andamento della pressione lungo la direzione ra- diale delle superfici d’attrito 1 e 10 del modello 1.3.1 Fig. 1.3.4: Andamento della pressione lungo la direzione ra- diale della superficie d’attrito 9 Fig. 1.3.5: Andamento della pressione lungo la direzione ra- diale della superficie d’attrito 8
  • 19. Arrivò a tale conclusione osservando che sulla superficie 8 si formavano tre picchi di pressione rilevati in corrispondenza delle valli formate dai due picchi che contemporaneamente si formavano sulla superficie d’at- trito 9. Inoltre poterono affermare che la crescita delle non uniformità della distribuzione di pressione parte dall’ultimo disco del pacco, quello prossimo al disco di reazione. In Fig. 1.3.6 sono riportati le distribuzio- ni di pressione sui vari dischi del pacco, dalle quali si può notare che la superficie d’attrito più distante dal pistone possiede due aree distinte su cui si distribuisce la pressione. Analizzando anche i dati relativi all’an- damento della temperatura lungo l’asse z del pacco Zagrodzki ebbe un ulteriore conferma che i disturbi sulla distribuzione uniforme di pressio- ne partono dal disco più prossimo al disco di reazione. In Fig. 1.3.7 so- no state riportate le temperature lungo z per due istanti di ingaggio dif- ferenti, dalle quali si nota che i picchi più elevati di temperatura sono sugli ultimi dischi del pacco. Fig. 1.3.6: Distribuzioni di pressione per i vari di- schi del pacco Fig. 1.3.7: Andamento delle tempe- rature lungo la direzione z per rag- gio τ=81,7mm
  • 20. Osservarono anche la distribuzione di temperatura oltre che quel- la di pressione lungo la direzione radiale e fino a t=0,24s confermando che i picchi di temperatura si formano in corrispondenza dei picchi di pressione. I dati raccolti da Zagrodzki fino a quel momento in merito alla di- stribuzione di pressione sulle superfici d’attrito erano relativi a prove fatte con un materiale d’attrito con modulo di elasticità di 1 GPa. In con- clusione confrontò i dati relativi alle superfici 8 e 9 con ulteriori dati rac- colti con prove fatte su un pacco con materiale d’attrito con modulo di elasticità 400 MPa. Fig. 1.3.10: Andamento della pres- sione lungo la direzione radiale sulla superficie d’attrito 9 (EMA=1 GPa) Fig. 1.3.11: Andamento della temperatura lungo la direzione radiale sulla superficie d’attrito 9 (EMA=1 GPa) Fig. 1.3.9: Andamento della temperatura lungo la direzione radiale sulla superficie d’attrito 8 (EMA=1 GPa) Fig. 1.3.8: Andamento della pres- sione lungo la direzione radiale sul- la superficie d’attrito 8 (EMA=1 GPa)
  • 21. Da tale analisi evinse che la rigidezza del materiale d’attrito è uno dei parametri che più influenzano la stabilità termoelastica. Gli anda- menti della pressione lungo la direzione radiale di superfici d’attrito con rigidezza di 400 MPa, riportati in Fig. 1.3.12 e Fig. 1.3.13, rivelano che esiste una proporzionalità diretta tra la rigidezza del materiale d’attrito e l’entità dei picchi di pressione. Componenti interessati da picchi di pres- sione e temperatura particolarmente elevati risultarono più inclini all’in- stabilità termoelastica. Le conclusioni di Zagrodzki lo portarono a determinare che la sta- bilità termoelastica di una frizione dipende da: lo sviluppo lungo l’asse z dei dischi del pacco (condotti e conduttori), dal sistema con cui il disco di reazione viene fissato al telaio e dalla geometria del pistone . Fig. 1.3.12: Andamento della pressione lungo la direzione ra- diale sulla superficie d’attrito 8 (EMA=400 MPa) Fig. 1.3.13: Andamento della pressione lungo la direzione ra- diale sulla superficie d’attrito 9 (EMA=400 MPa)
  • 22. 2. Hotspotter v5.0 Hotspotter v5.0 è un software di analisi numerica agli elementi fi- niti in grado di valutare la sensibilità di sistemi assialsimmetrici quali freni e frizioni multidisco alle instabilità termoelastiche, basato su ap- procci agli autovalori che saranno illustrati nel seguito. Questo pro- gramma consente di prevedere con precisione la velocità di strisciamen- to critica alla quale si innescano delle distribuzioni non uniformi di pressione e temperatura in sistemi assialsimmetrici sottoposti a solleci- tazioni esterne, inducendo nel tempo l’insorgenza di bruciature localiz- zate. Oltre al valore critico della velocità di strisciamento, Hotspotter permette di determinare la forma delle distribuzioni non uniformi di temperatura lungo le superfici tra loro a contatto, il numero e la posizio- ne angolare degli hot spots generati. Il programma usa un metodo agli autovalori per determinare il fattore di crescita esponenziale dei singoli modi del sistema per una da- ta velocità critica. La velocità critica di un modo termoelastico può esse- re definita come la più bassa velocità a cui il dato modo ha un tasso di crescita positivo. Esistono due diverse versioni del codice: “Classic” e “Full 3D”. La versione “Classic” è utilizzabile per sistemi assialsimmetrici analizzati attraverso la serie di Fourier in senso circonferenziale e gli elementi fini- ti lungo le altra due direzioni. Il codice “Full 3D” è usato per sistemi non assialsimmetrici, come nel caso di un classico freno a disco automobili- stico dove le superfici d’attrito si sviluppano su un arco limitato dell’in- tero disco. I modelli utilizzabili in quest’ultima versione richiedono l’uso di elementi 3D e particolari competenze nella discretizzazione (o FE). I dati di ingresso del programma includono le caratteristiche dei materiali utilizzati, la forma dei vari componenti, il coefficiente d’attrito e la velocità di strisciamento da imporre.
  • 23. I dati in uscita comprendono il tasso di crescita e la velocità di mi- grazione dei modi termoelastici per data velocità di strisciamento; in al- ternativa al tasso di crescita, posso fare un modo che il programma mi fornisca la velocità critica in funzione del numero d’onda (numero di hot spots attorno la circonferenza) e la distribuzione spaziale dei modi sulle sezioni trasversali dei vari dischi del sistema. 2.1 Hotspotter “Classic” Il modello per la soluzione del problema di stabilità agli autovalori implementato in Hotspotter v5.0 “classic” fu proposto per la prima volta da Barber e Yeo (1996) [7], sviluppato implementando numericamente la soluzione analitica di Burton; successivamente fu ulteriormente svi- luppato da Yi, Barber e Zagrodzki (2000) [5] ed implementato in Hotspot- ter v.5.0 “Classic”. Per prima cosa assumiamo che le distribuzioni di pressione e di temperatura possono essere definite come prodotto di funzioni dipen- denti dalle coordinate spaziali (x, y, z) e una funzione esponenziale nel tempo; ad esempio la distribuzione di temperatura sarà: Quando questa espressione viene inserita nelle equazioni di equilibrio e le condizioni al contorno sono definite, il fattore esponenziale si elide ed il sistema di equazioni viene modificato in modo che il tasso di crescita b appaia come un parametro lineare. Per scongiurare le problematiche dovute alla pesante rilevanza del termine convettivo nella risoluzione del problema agli elementi finiti della conduzione, vengono usate le riduzioni di Fourier lungo la direzio- ne circonferenziale.
  • 24. L’uso dell’equazione di Fourier è limitato da due ipotesi di base: nessun punto materiale dell’intero componente deve avere contatto intermitten- te e devono essere applicate condizioni al contorno periodiche lungo la direzione circonferenziale. Tali condizioni sono soddisfatte da freni e fri- zioni multidisco che possiedono geometrie assialsimmetriche, ma che spesso vengono interessati da instabilità non assialsimmetriche. Per cui la forma in cui esprimere la distribuzione di temperatura diventa Dove ( r, ф, z, t ) sono le coordinate polari cilindriche, n è il numero d’on- da. Come per la forma precedente il termine esponenziale viene cancel- lato riducendo il problema al piano ( r, z ) ed attraverso l’implementa- zione agli elementi finiti è possibile individuare il fattore di crescita b per dati valori di n e della velocità di slittamento V. A questo punto possiamo risolvere il problema lineare agli autova- lori per geometrie assialsimmetriche dove K è la matrice di rigidezza, C è la matrice d’inerzia e H è la matrice di conduttività che vengono definiti come integrali doppi in ogni punto del componente: Le tre matrici sono facilmente valutabili con il metodo… Il vettore del calore generato nei sistemi assialsimmetrici è definito come
  • 25. In cui f è il coefficiente d’attrito, V nei sistemi con geometria assialsim- metrica è la matrice diagonale delle velocità con diagonale definita: dove ri è la coordinata radiale dell’i-esimo punto di contatto, ji è il coef- ficiente di Kronecker ed ω è la velocità angolare relativa. A è una non quadrata Nc x N che costituisce la soluzione generale del problema termoelastico che dipende dal carico, ma non dalla velocità di slittamento ne dal tasso di crescita. Θ è il vettore delle temperature mentre Ф è una matrice N x Nc definito attraverso la matrice di identità I di dimensioni Nc x Nc : Nel nostro caso specifico di geometria assialsimmetrica ci aspettiamo di ottenere solamente modi con numero d’onda intero n lungo la circonfe- renza ed il caso particolare n=0 che corrisponde al modo assialsimme- trico o modo “banding” Fig. 2.1: Frequenze angolari critiche in una frizione a tre dischi per modi fino a 24 onde (○, soluzione tridimensionale agli elemen- ti finiti; —, modello bidimensionale Hartsock e Flash ())
  • 26. Si noti che la previsione fatta attraverso il modello bidimensionale di Hartsock e Flash (il tratto continuo nel grafico) non risulta precisa per modi con basso numero d’onda. In particolare si noti che la velocità cri- tica del modo “banding” risulta di molto più piccola di quella prevista con il modello bidimensionale. Bisogna fare dunque particolare attenzione nella scelta delle con- dizioni al contorno e al numero ed alla distribuzione degli elementi di- scretizzanti nell’intera geometria.
  • 27. 2.2 Scelta delle impostazioni Avviando Hotspotter v5.0 in versione “Classic” ci appare una schermata in Fig. 2.2.1 dalla quale è possibile scegliere il modello agli elementi finiti da caricare, scegliendo dal menu “file” l’opzione “Load mo- del”. Dopo aver caricato il modello fem con una mesh preimpostata, è possibile aprire il menu “Edit model” in Fig. 2.2.2 nel quale si trovano tre principali gruppi di comandi. Fig. 2.2.1: Schermata di avvio Hotspotter “Classic” Fig. 2.2.2: Schermata del menu “Edit model”
  • 28. Sulla colonna a sinistra in Fig. 2.2.3 si trovano i comandi genera- li del programma tra i quali: le due condizioni al contorno, la dimensio- ne della mesh, il numero d’onda dei modi da analizzare, la velocità di slittamento tra le superfici, l’arco statorico, il coefficiente d’attrito e l’op- zione tra la ricerca della velocità critica, con relativa tolleranza della so- luzione, o del fattore di crescita dei modi per una data velocità di slitta- mento. La scelta delle condizioni al contorno risulta particolar- mente importante ai fini dell’analisi termoelastica. Nel nostro caso specifico sono state utilizzate come top B.C.: floating (il componente ha su- perficie bloccata sulla direzio- ne radiale, ma libera di muo- versi lungo l’asse z; termica- mente isolata) mentre bottom B.C.: symmetric (il compo- nente ha superficie bloccata sia sulla direzione radiale che quella assiale; termicamente isolata). Esistono una vasta gamma di condizioni al contorno da poter scegliere a seconda delle proprie esigen- ze, per maggiori chiarimenti si rimanda al manuale del programma(). Dall’opzione “mesh size” posso scegliere tra sette livelli di infitti- mento della mesh da “super coarse” a “super fine”. L’indicazione “super coarse” specifica una mesh molto poco fitta e che non può garantire ac- curatezza nei risultati. Il sistema imposta automaticamente il numero di elementi ed il rapporto di infittimento lungo l’asse z. Fig. 2.2.3: Colonna sinistra della schermata “Edit modfel”
  • 29. Sulla colonna centrale in Fig. 2.2.4 possiamo trovare le imposta- zioni delle dimensioni delle varie superfici che andranno a comporre il nostro componente. Risulta possibile scegliere il materiale da associare alla superficie, la tipologia di superficie (rotorica o statorica), il tipo di contatto sulla superficie (con o senza attrito), il raggio interno ed esterno della superficie e lo sviluppo lungo l’asse z. Sono presenti due ulteriori comandi che ci danno la possibilità di impostare il numero di elementi con cui comporre la mesh lungo l’as- se z ed il rapporto di infittimento lungo la medesima direzione della superficie. La possibilità di variare la mesh durante le simulazioni si è rile- vata essere di fondamentale impor- tanza per determinare le imposta- zioni che permettono alle soluzioni di andare a convergenza. La terza ed ultima colonna del menu contiene tutte le informazioni sulle caratteristiche fisiche dei materiali usati per le varie superfici. Ogni materiale viene caratterizzato da: modulo di rigidezza, coefficiente di espansione termica e di conduttività, densità, calore specifico e coefficien- te di Poisson. In alto a destra trovia- mo un pulsante che ci da la possibi- lità di passare da materiale isotropo a materiale anisotropo. Scegliendo di usare un materiale anisotropo, si apre una finestra in cui è possibile inserire la matrice di rigidezza ed il vettore di conduttività termica per dato materiale. Fig. 2.2.4: Colonna centrale della schermata “Edit model” Fig 2.2.5: Colonna destra della schermata “Edit model”
  • 30. Dopo aver impostato il modello secondo le nostre necessità pos- siamo avviare le simulazioni. Una volta completati tutti i calcoli il pro- gramma ci da la possibilità sia di disporre dei dati in formato .txt, sia di visualizzare i risultati a video aprendo il menu “Results>>“. Da questo menu posso visualizzare la mesh usata per le simulazioni oltre a tutti i dati relativi alla stabilità. Posso visualizzare ad esempio l’andamento delle temperature lun- go la superficie di contatto e lungo l’asse z. Tali distribuzioni possono essere visualizzate per tutte le superfici e con tutti i modi. Si noti che per il modo assiale o “banding” le distribu- zioni sono particolarmente differenti.
  • 31. Nel caso in cui mi interessa conoscere le velocità di innesco dei vari modi di instabilità, nel menu dei risultati posso trovare i grafici del- le velocità critiche, premendo sul pulsante “Crt speed”, e di migrazione, premendo su “Mig speed”, dei vari modi termoelastici. Se invece mi interessa conoscere il fattore di crescita dei modi per una data velocità di slittamento, imposto nel menu “Edit model” il crite- rio per la ricerca del fattore di crescita e i risultati mi forniscono di nuo- vo le velocità di migrazione, ma al posto delle velocità critiche ottengo il grafico dei fattori di crescita dei vari modi per la velocità impostata.
  • 32. 2.3 Hotspotter “full3D” Hotspotter nella versione Full3D utilizza un codice molto simile al codice ABAQUS standard, basato sugli elementi finiti. Per tale ragione i modelli agli elementi finiti vengono modificati usando file di testo nei quali sono inseriti comandi simili a quelli usati in ABAQUS. Come per la versione Classic, anche Hotspotter Full3D possiede finestre di dialogo molto intuitive lasciando libertà di scelta delle impostazioni su ogni fronte, dal tipo di elemento da utilizzare per la mesh fino alla possibilità di scegliere condizioni al contorno completamente determina- bili dall’utente. In aggiunta è possibile sfruttare Hotspotter Classic come interfaccia di post-processo. Il file di testo in cui sono contenuti i comandi relativi alle imposta- zioni desiderate per il modello sono caricabili attraverso il pulsante “Edit model”. Fig. 2.3.1: Finestra di dialogo di Hotspotter Full3D dopo aver caricato il modello agli elementi finiti
  • 33. Dopo aver avviato la simulazione premendo il pulsante “Run” ed aver aspettato che il programma finisse i calcoli è possibile visualizzare a schermo i pattern dei differenziali termici sulle varie superfici, usando il pulsante “Modeplot” nella barra dei menu. Viene così visualizzato il pat- tern del modo dominante; per osservare i modi successivi basta premere il pulsante “next mode”. Visto che due modi successivi possiedono auto- valori, corrispondenti ad una coppia di autovettori, con la medesima parte reale, il modo immediatamente successivo viene saltato. Per poter visualizzare i pattern di tutti i modi desiderati usando il sotto-menu “mode#input” indicando il numero d’onda del modo di interesse. Per determinare la velocità critica con modelli 3-D è necessario effettua- re due simulazioni con due differenti velocità di slittamento. Supponen- do di avere due velocità di slittamento V1 e V2 per le quali si hanno due tassi di crescita rispettivamente b1 e b2, si avrà che la velocità critica (tasso di crescita nullo) VCR sarà: In questo modo ottengo la velo- cità di slittamento a cui effetti- vamente il tasso di crescita è nullo. Fig. 2.3.2: Schermata di visua- lizzazione del pattern del modo a 5 HS Fig. 2.3.3: Schermata di visua- lizzazione del pattern del modo assiale
  • 34. 3. Analisi sperimentale Saranno qui esposti tutti i dati raccolti in merito alle migliorie da apportare al freno multidisco New Holland di cui sono state considerati caratteristiche e materiali. Si è inizialmente focalizzata l’attenzione sulla variazione dei parametri fisici del materiale d’attrito che, come visto nel capitolo della teoria termoelastica, hanno un’importanza alquanto rile- vante sulla stabilità. Non sono state effettuate simulazioni al variare del coefficiente di diffusione e di dilatazione termica del materiale d’attrito poiché è stato assodato che la presenza di lubrificazione minimizza sempre i rischi di instabilità favorendo la trasmissione di calore dalle superfici di attrito, diminuendo anche la quantità di calore generato e quindi riducendo le distorsioni termiche delle superfici. Non è stato ritenuto necessario in- traprendere calcolazioni in merito perché ritenute superflue, infatti è possibile affermare che una riduzione del coefficiente di dilatazione ter- mica ed un aumento di quello di diffusività migliorano sempre le condi- zioni operative. Si noti anche che l’influenza di tali parametri è propor- zionale all’entità dei picchi di pressione e quindi alla rigidezza del mate- riale. Dopo aver verificato la reale influenza della lubrificazione sulle velocità critiche si è analizzato nel dettaglio come la stabilità del freno viene influenzata dal variare del modulo di elasticità, del coefficiente di Poisson e del calore specifico per passare successivamente alle simula- zioni al variare delle geometrie. Al fine di individuare le migliorie geome- triche si sono intraprese prove al variare degli spessori dei singoli di- schi, senza fare attenzione a mantenere invariato l’ingombro assiale
  • 35. del freno originale. Dopo aver determinato gli spessori dei dischi del pac- co che maggiormente influenzano la stabilità, si sono intraprese ulteriori simulazioni, ma questa volta tenendo presente di non andare oltre le di- mensioni assiali originali. 3.1 Sensibilità della stabilità alla lubrificazio- ne e all’anisotropia del materiale d’attrito Il materiale d’attrito usato da New Holland, identificato come N611, è un materiale anisotropo composto da fibra organica a base di carta. Di tale materiale erano sconosciute le caratteristiche a bagno d’o- lio. Conoscendo però la quantità di lubrificante presente nel freno New Holland, la porosità del materiale, che si aggira attorno al 55%, ed i valo- ri a secco assunti dalla densità, dal calore specifico e dalla conducibilità termica è stato semplice calcolare il modulo assunto da tali coefficienti considerando il materiale impregnato d’olio al 55%. Valutare il modulo di elasticità non è stato altrettanto semplice, date le difficoltà riscontrate nel reperire studi scientifici in merito. Uno degli studi più interessanti trovati è “A fractal model of normal dynamic parameters for fixed oily porous media joint interface in machine tools” (2013) [8] in cui è stata studiata sia la rigidezza che la capacità di smorzamento di un giunto saldato in acciaio poroso. Anche se tale anali- si è effettuata su un giunto in acciaio è possibile evincere un’importante informazione; possiamo immaginare che come per l’acciaio poroso anche la rigidezza di un materiale a base di carta venga incrementata dalla pre- senza del lubrificante all’interno dello stesso. Nello studio viene descritto il meccanismo con il quale una parte di carico viene assorbito
  • 36. dall’acciaio del giunto ed un’altra parte dal lubrificante presente nelle porosità, che nel caso dell’acciaio porta incrementi di rigidezza fino al 30%. Allo stesso modo potrebbe essere plausibile supporre che tale meccanismo sia compatibile con quello che potrebbe accadere all’inter- no del materiale d’attrito in considerazione. In conclusione è possibile affermare che, da un lato la lubrificazione favorisce lo scambio termico sfavorendo gradienti termici elevati, d’altro canto se la rigidezza dovesse aumentare molto tale effetto di stabilizzazione potrebbe essere perso. Infatti è stato osservato che un incremento della rigidezza del 30% cau- sa un abbassamento delle velocità critiche per ogni modo, seppur mini- ma, accentuando l’effetto sui modi con alto numero d’onda. In Fig. 4.1.1 è possibile osservare come le velocità critiche dei vari modi vengo- no influenzate dalla variazione di rigidezza percentuale (riferita alla rigi- dezza originale del materiale d’attrito). Fig. 3.1.1: Andamento delle velocità critiche di modi fino a 12 HS al variare dell’incremento di rigidezza percentuale
  • 37. L’influenza dell’anisotropia del materiale d’attrito è poco rilevante in merito ai valori assunti dalla parte reale (velocità critica) e del tutto assente sulla parte immaginaria (velocità di migrazione) del numero complesso che costituisce la soluzione agli autovalori del problema. Questo vuol dire che considerare isotropo un materiale che nella realtà è anisotropo non comporta errori che possano compromettere le simula- zioni di stabilità termoelastica. In Fig. 4.1.2 e Fig. 4.1.4 sono riportati i grafici delle velocità critiche, mentre in Fig. 4.1.3 e Fig. 4.1.5 i valori assunti dalle velocità di migrazione dei modi di instabilità per il materia- le d’attrito considerato isotropo ed anisotropo. Dai grafici si nota l’entità ridotta della variazione delle velocità critiche e di migrazione passando da materiale isotropo ad anisotropo. Fig. 3.1.4: andamento delle velo- cità critiche di modi da 0 a 12 HS per materiale anisotropo. Fig. 3.1.5: andamento delle veloci- tà di migrazione di modi da 0 a 12 HS per materiale anisotropo. Fig. 3.1.2: andamento delle velo- cità critiche di modi da 0 a 12 HS per materiale isotropico. Fig. 3.1.3: andamento delle velo- cità di migrazione di modi da 0 a 12 HS per materiale isotropico.
  • 38. Al termine delle valutazioni sopraesposte si è presa la decisione di con- siderare il materiale d’attrito isotropo e con rigidezza pari al valore as- sunto a secco. Non si sono fatte ulteriori supposizioni sull’incremento del modulo di Young data la presenza del lubrificante che in ogni caso migliora le condizioni operative. La scelta di non incrementare il valore di rigidezza del materiale d’attrito è stata fatta anche alla luce delle os- servazioni sulla convergenza della soluzione fornita da Hotspotter per valori elevati di rigidezza. Inoltre a sostegno delle assunzioni appena fatte si considera che secon- do la curva di Stribeck in Fig. 3.1.6, la quale mostra che nel caso preso in esame, per cui si mantengono bassi rapporti tra velocità di striscia- mento e carico applicato, il sistema si trova in condizioni di attrito a secco ( o boundary lubrication). Fig. 3.1.6: Curva di Stribeck
  • 39. 3.2 Influenza del coefficiente di contrazione tra- sversale o di Poisson del materiale d’attrito L’utilizzo di materiali d’attrito con coefficiente di contrazione trasversale eccessivamente elevato potrebbe indurre il componente all’instabilità a causa dell’eccessiva deformazione trasversale al caricamento che può essere indotta in tali materiali. Il valore tipico assunto dal coefficiente di Poisson nei materiali d’attrito a base di carta in commercio si aggira so- litamente tra 0,2 e 0,3. L’analisi in questo paragrafo è esposta con l’uni- co intento di chiarificare le condizioni che posso portare, al variare del coefficiente di Poisson , un sistema all’instabilità. In Fig. 3.2.1 sono sta- ti riportati i dati raccolti in merito. Fig. 3.2.1: Andamento delle velocità critiche al variare del coefficiente di Poisson
  • 40. In generale l’andamento sembra essere decrescente, anche se l’effetto è più marcato per coefficienti di Poisson elevati. Di fatto, si hanno riduzio- ni rilevanti delle velocità critiche per valori superiori a 0,1. Le oscilla- zioni delle curve rappresentanti le velocità critiche di modi a basso nu- mero di onda sono dovute alla risoluzione ridotta della mesh usata nelle simulazioni. Visto che il materiale d’attrito in esame possiede un coeffi- ciente di Poisson dell’ordine di 10-2, si è ritenuto superfluo effettuare ul- teriori simulazioni con l’utilizzo di una mesh con più alta risoluzione, data la poca influenza della variazione del coefficiente per ordini di grandezza inferiori a 10-1 . Al fine di ridurre le possibilità di indurre instabilità termoelastica nel freno New Holland e considerando le osservazioni qui esposte risul- terebbe poco conveniente provare a migliorare le condizioni operative scegliendo un materiale con un differente coefficiente di Poisson. 3.3 Influenza della rigidezza sulla stabilità L’analisi di stabilità svolta da P. Zagrodzki su freni e frizioni multidisco ha fornito l’importante proporzionalità tra i picchi di pressione e la rigi- dezza del materiale d’attrito. Infatti, più il materiale è rigido più è sem- plice indurlo in instabilità termomeccanica il componente. L’andamento della pressione su due dischi frizione sottoposti al medesimo sforzo nei medesimi tempi ma con rigidezza differente implica picchi di temperatu- ra, e quindi distorsioni termiche differenti. Dalle sperimentazioni in let- teratura si è scoperto che difficilmente i materiali d’attrito hanno rigi- dezza superiore a 1 GPa, proprio per evitare il più possibile di fomentare concentrazioni di pressione.
  • 41. Con le simulazioni realizzate al variare di tale parametro si è estrapolato il grafico dell’andamento delle velocità critiche riportato in Fig. 3.3.1. Osservando questa curva è possibile notare quanto sia marcato l’effetto negativo dovuto ad un elevato valore di rigidezza e si capisce anche la ragione per cui solitamente non si usano materiali d’attrito con modulo di Young superiore ad 1 GPa. Si è deciso di disegnare la curva in Fig 3.3.2 imponendo una scala doppio logaritmica, in modo da rendere più semplice l’analisi dell’andamento delle velocità critiche. Fig. 3.3.1: Andamento delle velocità critiche al variare della rigi- dezza del materiale d’attrito Fig. 3.3.2: Andamento delle velocità critiche al variare della rigidezza del materiale d’attrito su scala doppio logaritmica
  • 42. Si noti che le curve in Fig. 4.3.2 hanno un andamento prossimo a quello lineare; tale andamento su scala doppio logaritmica rappresenta una decrescita delle velocità critiche poco meno che esponenziale. Tale caratteristica palesa l’importanza della rigidezza nel fenomeno. Dalle sperimentazioni reperite in merito alle analisi di stabilità si è notata la tendenza degli autori a scegliere materiali d’attrito con rigi- dezze comprese tra 10 MPa e 102 MPa. La variazione delle velocità criti- che in questo intervallo di rigidezza è osservabile in Fig. 3.3.3. Possiamo notare che, in tale intervallo di rigidezze, incrementare il mo- dulo di Young di un ordine di grandezza comporta una riduzione delle velocità dello stesso ordine. Fig. 3.3.3: Andamento delle velocità critiche al variare del mo- dulo di Young da 10 MPa a 102 MPa in scala doppio logaritmica
  • 43. Il materiale d’attrito N611 usato da New Holland possiede una rigidezza nell’ordine di 103 MPa, ragion per cui in Fig. 3.3.4 è rappresentato l’an- damento delle velocità critiche al variare della rigidezza da 102 MPa a 103 MPa. Da tale grafico è possibile notare che, per dato intervallo di variabilità del modulo di Young , un incremento della rigidezza di un ordine di grandezza comporta una riduzione delle velocità critiche superiore ad un ordine di grandezza. Si può dunque evincere che per rigidezze del materiale d’attrito particolarmente elevate gli effetti sulla stabilità del sistema si accentuano. E’ importante scegliere un materiale d’attrito con un basso valore del modulo di Young in maniera da scongiurare l’innesco di fenomeni di instabilità termomeccanica. Fig. 3.3.4: Andamento delle velocità critiche al variare della rigidezza da 102 MPa a 103 MPa in scala doppio logaritmica
  • 44. 3.4 Variazioni geometriche Il sistema frenante multidisco analizzato in questo studio è com- posto da due dischi d’attrito, un disco intermedio, un pistone e un disco di reazione. Il modello agli elementi finiti in Fig. 3.4.1 utilizzato nelle simulazioni con Hotspotter v5.0 si possono osservare i cinque compo- nenti fondamentali del freno. Il modello è composto da 9 superfici: 1 per il pistone, 1 per il disco di reazione, 1 per il disco intermedio, 2 per le anime di acciaio dei dischi d’attrito e 4 per gli strati di materiale d’attrito. Dalle considerazioni di P. Zagrodzki in [3], le condizioni geometri- che che influiscono particolarmente sulla stabilità termoelastica sono il numero di dischi condotti e gli spessori dei vari dischi. Avendo reputato la soluzione di variare il numero di dischi del sistema economicamente poco favorevole per l’azienda, ci si è focalizzati sull’analisi di influenza degli spessori dei vari dischi. Fig. 3.4.1: Modello agli elementi finiti composto da 12 layer che rappresenta il freno multidisco New Holland Pisotne Anime in acciaio Disco di reazione Strati di materiale d’attrito Strati di materiale d’attrito Disco intermedio
  • 45. In una prima fase si è considerata l’influenza della variazione degli spessori dei vari dischi sulle velocità critiche senza tener conto dello svi- luppo assiale totale del pacco dischi. Le prime simulazioni sono state effettuate al variare dello spessore del disco intermedio, mantenendo costanti gli sviluppi assiali degli altri componenti e le caratteristiche dei materiali che li compongono. Come è possibile osservare dalla Fig. 3.4.2 scegliere un disco in- termedio con uno sviluppo assiale eccessivo comporta velocità critiche particolarmente basse. L’effetto risulta marcato per i modi a basso nu- mero di onda. In particolare si noti quanto l’effetto sul modo a 4HS (curva in viola) caratterizzato da una forte pendenza della curva. Nel caso del freno in esame, quello adottato da New Holland, lo sviluppo assiale del disco intermedio è di 22 mm. Analizzando i valori delle velocità critiche assunti per spessore del disco intermedio di 22 mm si osserva che una riduzione di tale sviluppo assiale porta indubbi miglioramenti. Fig. 3.4.2: Andamento delle velocità critiche al variare dello spessore del disco intermedio per modi fino a 24 HS
  • 46. Le velocità critiche fornite dalle simulazioni effettuate al variare dello spessore dello strato di materiale d’attrito sono indicate nel grafico di Fig. 3.4.3. Dall’analisi dei dati raccolti risulta evidente che scegliere strati di materiale d’attrito a spessore eccessivamente sottile comporta condizioni operative nelle quali il componente può arrivare all’instabilità termoelastica. Si può notare dal grafico come le velocità crescano all’incrementa- re dello spessore dello strato di materiale d’attrito ed in particolare quanto sia elevata della pendenza delle curve per tutti i modi ad elevato numero di onda. Infatti le velocità critiche dei modi con numero d’onda superiore a 12 hot spots crescono moltissimo con incrementi dello spes- sore fino a 20 mm, dopodiché le velocità non incrementano in modo ri- levante. Per i modi a basso numero d’onda, che possedendo velocità di innesco rilevantemente basse sono le instabilità di maggiore interesse nelle analisi, si riscontrano incrementi delle velocità critiche di entità inferiore. Tali incrementi risultano comunque rilevanti a fronte dell’ana- lisi nel dettaglio del grafico riportata in Fig. 3.4.4. Fig. 3.4.3: Andamento delle velocità al variare dello spes- sore dello strato di materiale d’attrito per modi fino a 24 HS
  • 47. Infatti dal dettaglio in Fig. 3.4.4 è possibile notare che per quanto le curve dei modi a basso numero d’onda appaiono nettamente meno pen- denti delle curve dei modi ad alto numero d’onda, l’incremento risulta comunque rilevante per i nostri scopi. L’effetto positivo dell’incremento del parametro fin qui analizzato risulta meno rilevante per le velocità cri- tiche del modo assiale (o “banding”) per la quale comunque si riscontra- no incrementi delle velocità di innesco fino al doppio del valore, ma per variazioni di un ordine di grandezza dello spessore. Alla luce delle considerazioni fin qui fatte e sapendo che lo strato di ma- teriale d’attrito scelto da New Holland possiede spessore di 1,3 mm; dal dettaglio in Fig. 3.4.4 è evidente che incrementare lo spessore del mate- riale d’attrito partendo da un valore così piccolo implica un incremento rilevante delle velocità critiche. Fig. 3.4.4: Dettaglio dell’andamento delle velocità cri- tiche al variare dello spessore di materiale d’attrito da 1 mm a 20 mm
  • 48. Per completezza dello studio sono state effettuate delle prove di stabilità al variare dello spessore dell’anima in acciaio del disco d’attrito; i dati raccolti sono rappresentati in Fig. 3.4.5. Si riscontrano incrementi poco rilevanti delle velocità per modi ad elevato numero d’onda, soprattutto se paragonati alle rilevanti riduzioni delle velocità di modi a basso numero d’onda. Si conviene quindi che non risulta particolarmente positivo scegliere spessori troppo elevati, nonostante tale scelta possa essere la più logica da prendere per la teo- ria elastica. I dati raccolti in merito alla variabilità delle velocità critiche modificando gli spessori del disco di reazione e del pistone non sono riportati in que- sto studio poiché reputati irrilevanti. Il fatto di non aver riscontrato al- cun miglioramento sulle velocità critiche al variare dello spessore di questi due componenti è sostenuto dallo studio effettuato da Zagrodzki [3], nel quale si conclude sostenendo che i fattori maggiormente Fig. 3.4.5: Andamento delle velocità critiche al variare dello spessore dell’anima in acciaio del disco d’attrito per modi fino a 24 HS
  • 49. influenti sulla stabilità di un sistema sono lo sviluppo assiale dei dischi condotti e conducenti, dalla geometria del pistone e del sistema di fis- saggio del disco di reazione; non facendo alcun riferimento agli sviluppi assiali del disco di reazione e del pistone. Dopo aver verificato che variare gli spessori dei componenti effetti- vamente influenza la sensibilità del sistema all’instabilità, si è passati alla raccolta di dati che ci potessero fornire informazioni importanti sul criterio da utilizzare per migliorare le condizioni operative. Come è stato precedentemente notato, utilizzare spessori elevati di materiale d’attrito comporta sicuramente un miglioramento delle condi- zioni operative del freno. Tale spessore non può comunque essere ecces- sivamente elevato per motivazioni legate alla progettazione del disco d’at- trito e del freno nel suo complesso. Ragion per cui sono state studiate le velocità critiche al variare dello spessore del disco intermedio e dell’ani- ma del disco d’attrito, facendo attenzione a mantenere costante lo svi- luppo assiale dell’intero sistema e dello strato di materiale d’attrito. In Fig. 3.4.6 sono riportati i dati in merito. Fig. 3.4.6: Andamento delle velocità critiche al variare del rapporto tra lo spessore del disco intermedio e lo spessore dell’anima in acciaio del disco d’attrito
  • 50. Si può osservare in Fig. 3.4.6 quanto crescano le velocità critiche in prossimità del rapporto unitario. Tale osservazione ci porta a credere che sia importante mantenere una certa “omogeneità” nel pacco dischi per scongiurare l’insorgenza di instabilità. Affermando che il sistema de- ve possedere una certa “omogeneità” si intende che lo sviluppo assiale dei singoli dischi del pacco debba essere simile. Per essere più precisi la stabilità del sistema sembra essere compromessa dalla mancanza di simmetria nel complesso del pacco dischi. Viene riportato in Fig. 3.4.7 un ulteriore grafico riportante le velocità critiche per un modo a 12 hot spots al variare dello spessore dello strato di materiale d’attrito, per differenti spessori dell’anima in acciaio del di- sco da 5 mm a 50 mm. Fig. 3.4.7: Andamento delle velocità critiche al variare dello spessore dello strato di materiale d’attrito per differenti spessori dell’anima del disco d’attrito
  • 51. Notiamo che l’effetto positivo risulta particolarmente meno marcato nel caso in cui venga scelto uno spessore dell’anima di acciaio del disco particolarmente elevata. Ad avvalorare tale affermazione si riporta in Fig. 3.4.8 il grafico delle velocità critiche al variare dello spessore del disco intermedio, per spes- sori dell’anima del disco d’attrito da 5 mm a 15 mm. Fig. 3.4.8: Andamento delle velocità critiche al variare dello spessore del disco intermedio per differenti sviluppi assiali dell’anima del disco d’attrito
  • 52. 3.5 Influenza calore specifico del materiale d’attrito Per chiudere il quadro delle possibili migliorie da apportare al si- stema frenante multidisco adottato da New Holland analizziamo cosa accade alle velocità critiche di innesco delle instabilità al variare del ca- lore specifico del materiale d’attrito. In Fig. 3.5.1 è possibile osservare che le velocità tendono ad aumentare per tutti i modi, ma non in modo rilevante per i modi a basso numero d’onda ai quali siamo maggiormente interessati. In generale si consiglia la scelta di un materiale d’attrito con una capacità termica elevata. Visto che in media i materiali di attrito non vanno oltre i 2000 J/kg K si consiglia la scelta di un lubrificante con elevata capacità termica, in modo che assorba una porzione superiore di calore generato, evitando che il materiale d’attrito debba assorbire una quantità troppo elevata di calore. Fig. 3.5.1: Andamento delle velocità critiche al variare del calore specifico del materiale d’attrito
  • 53. 3.6 Convergenza delle soluzioni e problematiche Per scongiurare problematiche relative alla convergenza delle so- luzioni bisogna prendere delle accortezze sulla distribuzione degli ele- menti finiti. La prima riguarda le condizioni al contorno. Come si può leggere dallo studio di Barber, Yi e Zagrodzki [7], le superfici esterne del pacco, quindi quelle che rappresentano il pistone e il disco di reazione, vanno considerate termicamente isolate, visto che il calore trasmesso da tali componenti è talmente basso da non influenzare la stabilità termoelasti- ca. La superficie corrispondente al disco di reazione va considerata mec- canicamente simmetrica (spostamento lungo z nullo e tensione circonfe- renziale pari a quella radiale); mentre quella del pistone flottante (spostamento radiale nullo e tensione assiale nulla). La seconda accortezza è relativa all’impostazione di una mesh con un elevato infittimento degli elementi lungo la direzione assiale per tutte le superfici sulle quali avviene generazione di calore ed in particolare per i materiali a bassa conduzione termica cosi da evitare l’insorgere di im- precisioni numeriche. Nonostante già dalle prime simulazioni effettuate è stato tenuto conto delle finezze di cui si è parlato pocanzi, si sono riscontrati diversi problemi riguardo la convergenza delle soluzioni, in particolare per le velocità critiche del modo assiale. A tal proposito possiamo osservare in Fig. 3.6.1 l’andamento delle velocità critiche di modi a basso numero d’onda al variare dello spessore dell’anima in acciaio del disco di attrito, per differenti dimensioni degli elementi della mesh. Nel grafico sono pre- senti due serie di curve, quelle a tratto continuo indicano le velocità de- terminate con una mesh molto fine, con la quale gli elementi all’interfac- cia delle superfici sulle quali avviene la generazione di calore hanno di- mensione dell’ordine di 10-6 mm; le curve indicate con tratto e punto fan-
  • 54. no riferimento ai dati raccolti dalle simulazioni effettuate con una mesh con un numero minore di elementi e con gli elementi all’interfaccia delle superfici in slittamento di spessore dell’ordine di 10-3 mm. Risulta evi- dente che le soluzioni ottenute con elementi all’interfaccia di ordine 10-6 mm sono valide per tutti i modi eccetto che per il modo assiale. Le velo- cità del modo banding infatti continuano ad oscillare nonostante il mi- glioramento della mesh. Per ottenere dati accettabili sono stati aumenta- ti il numero degli elementi, ma così facendo il calcolo non convergeva resituendo velocità del tutto incongruenti con i risultati precedenti. Fig. 3.6.1: Velocità critiche al variare dello spessore dell’a- nima del disco di attrito per differenti dimensioni della mesh (──, elemento all’interfaccia 10-6 mm; ─•, elemento all’interfaccia 10-3 mm; ─ ─, elemento all’interfaccia 10-7 mm solo per il modo banding)
  • 55. Allora la mesh è stata modificata in modo che gli elementi all’in- terfaccia avessero dimensioni nell’ordine di 10-7 mm, facendo attenzione a non incrementare il numero degli elementi rispetto alla mesh con ele- menti all’interfaccia nell’ordine di 10-6 mm. I dati relativi alle simulazio- ni effettuate con tale impostazione della mesh sono indicati con tratto discontinuo e solo per il modo assiale (o “banding”) in Fig. 3.6.1, visto che le velocità caratterizzanti gli altri modi risultano del tutto identici a quelli ottenuti con la mesh meno dettagliata. Per ottenere una mesh omogenea con pochi elementi complessivi ma allo stesso tempo con spessore molto sottile degli elementi all’interfaccia delle superfici in slit- tamento, sono stati separati gli strati dei materiali con basso coefficien- te di conduzione termica. Tale espediente è stato escogitato alla luce delle osservazioni fatte da Barber, Yi e Zagrodzki [7] in cui consigliano di separare gli strati in modo da applicare mesh con differente finitura. Anche se qui sono stati riportati solamente i dati relativi alla con- vergenza delle soluzioni al variare dello sviluppo assiale dell’anima in acciaio del disco d’attrito, per tutte le altre simulazioni effettuate in que- sto studio sono state riscontrate le medesime problematiche in merito alla convergenza delle soluzioni per il modo assiale. Tutte le problematiche sulla convergenza delle soluzioni restituite da Hotspotter v5.0 si amplificano al crescere della rigidezza del materiale d’attrito. Si riporta in Fig. 3.6.2 il grafico degli andamenti delle velocità critiche al variare del modulo di Young per una risoluzioni della mesh non particolarmente accurata. Si può notare quanto siano molto più frequenti le fluttuazioni dei dati relativi alle simulazioni con elevata rigi- dezza del materiale d’attrito.
  • 56. Fig. 3.6.2: Andamento delle velocità critiche al variare del modulo di Young con risoluzione della mesh bassa
  • 57. Conclusioni Lo studio intrapreso aveva lo scopo di individuare ed analizzare le possibili migliorie da apportare al freno adottato da New Holland, con lo scopo di eliminare tutte quelle caratteristiche del sistema che favorisco- no l’innesco di instabilità termoelastiche. L’espediente più efficace si è dimostrato essere la riduzione della rigidezza del materiale d’attrito, che permette di ridurre sostanzialmente l’entità delle discontinuità di pressione e temperatura, con un effetto po- sitivo sulle velocità di innesco (altresì dette critiche) di ogni modo stu- diato. Sempre per quanto riguarda le caratteristiche fisiche del materia- le d’attrito, è stata notata una certa influenza del calore specifico sulla stabilità del sistema; tale parametro deve mantenersi attorno ad un va- lore sufficientemente alto in modo da scongiurare l’insorgere di distor- sioni termiche che, come noto, favoriscono la distribuzione non omoge- nea di pressione. Analizzando l’influenza del rapporto tra gli sviluppi assiali dei di- schi del pacco, si è determinato che tale rapporto deve mantenersi pros- simo all’unità per ottenere velocità critiche particolarmente elevate. La così detta “omogeneità” del sistema non è l’unico parametro geometrico ad influenzare la stabilità. Il migliore layout del sistema multidisco si è rilevato essere quello per cui lo sviluppo assiale rimane quello dell’impo- stazione di base del freno, lo strato di materiale d’attrito viene inspessito ed il disco intermedio reso più sottile; ogni modifica degli spessori va apportata in modo che il rapporto tra gli spessori sia prossimo all’unità. Inoltre, si è notato anche che la capacità dell’intero freno di dissi- pare il calore è molto importante al fine di ridurre l’entità dei picchi di temperatura e quindi della distorsione termica.
  • 58. A tale proposito si consiglia l’utilizzo di un lubrificante con una grande capacità termica, in grado di assorbire una quota rilevante del calore generato sulle superfici in slittamento. Infine si noti che tutte le simulazioni sono state fatte per lo studio di modi fino a 24 HS, poiché si è notato che Hotspotter presenta proble- matiche relative alla convergenza delle soluzioni qualora si decidesse di studiare modi termoelastici fino ad un massimo di 12 HS. Al termine delle ricerche intraprese i dati raccolti e le conclusioni estrapolate sono state esposte ai responsabili di CNH, che si sono rite- nuti soddisfatti delle soluzioni proposte per il miglioramento delle condi- zione operative del loro freno multidisco.
  • 59. Bibliografia 1. J.R. Barber (1969). Thermoelastic instability in the sliding of conforming solid. Univesity Engineering Department, Camnbridge, MI. 2. R. A. Burton, V. Nerlikar e S. R. Kilaparti (1972). Thermoelastc instability in a seal-like configuration. Northwestern University, Evaston 3. P. Zagrodzki (1990). Analysis of thermomechanical phenomena in multidisc clutches and brakes. Warsaw institute of technology, Waraw, POL. 4. J.R. Barber e W. Lee (1993). Frictionally excited thermoelastic instability in automotive disk brake. Department of mechanical enginee- ring and apllied mechanics, University of Michigan. 5. J. R. Barber, T. Yeo (1996). Stability of a semi-infinite strip in- thermoelastic contact with a rigid wall. Department of Mechanical Engi- neering and Applied Mechanics, University of Michigan, MI. Department of Mechanical Engineering, University of Ulsan, Kyungnam, Korea. 6. J. Y. Jang(1) e M. M. Khonsari(2) (2002). A generalized ther- moelastic instability analysis. (1) Center for Advanced Friction Studies, Southern Illinois University, Carbondale. (2) Department of Mechanical Engineering, Louisiana State University.
  • 60. 7. Yun-Bo Yi(1), J. R. Barber(1) e P. Zagrodzki(2) (2002). Eigenva- lue solution of thermoelastic instability problems using Fourier reductiony. (1)Department of Mechanical Engineering and Applied Mechanics, Uni- versity of Michigan, MI. (2) Raytech Composites Inc., Crawfordsville, IN. 8. C. Qu, L. Wu, J. Ma, Q. Xia e S. Ma. (2013). A fractal model of normal dynamic parameters for fixed oily porous media joint interface in machine tools. 9. A. P. Ompusunggu, T. Janssens, F. Al-Bender, P. Sas, H. Van Brussel. Contact Stiffness Characteristics of a Paper-Based Wet Clutch at Different Degradation Levels. Katholieke Universiteit Leuven (KUL), De- partment of Mechanical Engineering, Division of PMA, Leuven, Belgium. 10. F. E. Kennedy e F. F. Ling. (1974). A thermal, thermoelastic, and wear simulation of high-energy sliding contact problem.