L’evento culturale e artistico è la sintesi massima della ”rappresentazione” di quello che noi siamo, di come leggiamo il mondo, del comune sentire e della lettura della realtà, in un determinato momento, della civiltà a cui apparteniamo.
Sociologia degli eventi culturali,master ppeac (2)
1. SOCIOLOGIA DEGLI EVENTI CULTURALI E
DIGITAL COMMUNICATION – 1°MODULO
Ilaria Rega: Master PPEAC, Facoltà di conservazione dei
Beni culturali, Ravenna.
2. SUMMARY
Evento: rito e simbolo (Da Durkheim a Goffman)
Agire Dotato di senso e contesto: la semantica dell’Evento
culturale (l’importanza di comprendere tali meccanismi per
la progettazione Dell’Evento culturale). (Weber,Wittgestain)
Evento ed Intelligenza Emotiva (Goleman)
Principali strategie di comunicazione al tempo dei social
media
Principali strumenti social
Strutturazione del piano comunicazione e della proposta
commerciale per gli sponsor
3. EVENTO E CREATIVITÀ ITALIANA
… un punto di forza del nostro paese (é) la cultura della
creatività, che deve far considerare grande il potenziale
delle nostre imprese e del nostro lavoro. E in questo nuovo
esprimersi della creatività italiana, rivive la forza di una
tradizione, di un patrimonio e di una sensibilità cui dobbiamo
dedicare ben maggiore attenzione.
Giorgio Napolitano
Presidente della Repubblica
Palazzo del Quirinale
31 dicembre 2007
4. INTRODUZIONE
L’evento culturale e artistico è la sintesi massima
della ”rappresentazione” di quello che noi siamo, di
come leggiamo il mondo, del comune sentire e
della lettura della realtà, in un determinato
momento, della civiltà a cui apparteniamo.
5. DEFINIZIONE
Evento, etimologicamente deriva dal latino e-ventum,
ovvero da e-venire, che possiamo tradurre con
divenire.
Evento è quindi il risultato di un divenire.
È implicito il senso del movimento, del venire alla
luce, della trasformazione.
L’evento è quindi una manifestazione di qualcosa. È
presente la comunicazione e la relazione fin
dall’etimologia del termine.
fare eventi è creare relazioni, è comunicare, è
mettere in rapporto cose, idee e persone e possiamo
quindi ancor meglio comprendere la rilevanza
sociologica intrinseca nella sua stessa natura.
6. TIPOLOGIE DELL’EVENTO
Per semplificare potremmo classificare le tipologie di evento, seppur
infinite, nelle seguenti categorie
Mostre
Concerti
Eventi religiosi
Sport: gare e competizioni, gare amichevoli
Moda: sfilate e anteprime
Marketing territoriale e turistico: sagre, feste popolari, carnevali;
festival e feste contemporanee, grandi mostre, grandi eventi sportivi
campagne di fund raising, avvenimenti di sensibilizzazione, feste ed
incontri
Formazione e didattica: seminari, incontri, workshop
Marketing e comunicazione: promozione di prodotti, incentive, viaggi
premio, fiere, eventi speciali
Le riflessioni sull’etimologia dell’evento e l’elenco degli eventi sono ispirati dalla lettura di L.Argano,
A.Bollo, P.Dalla Sega, C.Vivalda, Gli eventi culturali. Ideazione, progettazione, marketing,
comunicazione, Franco Angeli, 2005
7. CARATTERISTICHE DELL’EVENTO
L’evento si distingue perché:
ha un impatto sulla domanda e sull’offerta
ha caratteristiche di forte unicità e di forte
focalizzazione su una determinata area (cultura,
sport, commercio, politica, etc.)
può essere ricorrente o episodico
Richiede una fase di preparazione e
pianificazione piuttosto lunga
8. EVENTI ARTISTICI E CULTURALI
Dall’analisi dei prodotti culturali e ARTISTICI
emerge come l’evento risponda alle esigenze
dei consumatori contemporanei proponendo
stimolazioni originali e suscitando, attraverso
momenti di aggregazione, senso di
appartenenza ad un gruppo sociale.
9. EVENTI ARTISTICI E CULTURALI
i consueti valori di un evento culturale sono
favorire la crescita di conoscenze di un
determinato periodo artistico, di un autore, di un
genere artistico (teatro, cinema , danza, etc)
“In una società dove il consumo rappresenta il
principale strumento di investimento
esistenziale, la partecipazione ad una
performing art, ad una mostra, ad un festival
della filosofia diventa un pretesto per
condividere dei “rituali collettivi” e per sentirsi
parte di una “tribù sociale”, e per fare
un’esperienza alternativa e di arricchimento”
10. TERRITORIO COME LUOGO SIMBOLICO DELL’EVENTO
“I nuovi operatori culturali creano artefatti
simbolici sempre diversi in grado di
soddisfare le esigenze dei city user o del
nuovo esploratore di emozioni”
L’esigenza di trasferire queste sensazioni ai
visitatori si realizza attraverso il contatto
diretto con il pubblico
Le citazioni sono tratte da “La comunicazione di un festival: il
MilanoFilmFestival” , di Arianna Guarino, dicembre 2003,
www.fizz.it
11. MUSEI COME ATTRATTIVA DEL TERRITORIO
I musei da tempo sono diventati protagonisti
dei flussi turistici: esempio Guggenheim di
Bilbao, Mart di Trento
Gli itinerari legati al patrinomio culturale: le
Ville e i Castelli di Lombardia, per es.
I festival del gusto: Alba e il tartufo, il
Piemonte, le strade dei vini e dei sapori
(Toscana, Emilia, ma molti casi in Italia)
Le fiere d’arte: Artissima a Torino, Miart a
Milano, per fare solo due esempi
12. FESTIVAL E MOSTRE
I festival di cinema, quelli di musica classica,
quelli di jazz, quelli rock o blues (Umbria
jazz, Pistoia blues, Arezzo wave, Ravenna
Festival)
Le grandi mostre nel territorio: il Perugino e il
Parmigianino
Le grandi mostre a Brescia
13. PROGETTARE LA CULTURA CON ATTENZIONE ALLE
CARATTERISTICHE SOCIOLOGICHE E ANTROPOLOGICHE
Due interessanti filoni di studio sul tema
portano ad osservare il concetto di “armatura
culturale” e di “cultural planning”
Perché sempre più si diffonde l’idea e la
necessità della sostenibilità dello sviluppo
territoriale, che comprende insieme al dato
ambientale anche quello culturale (dalla
identità locale fino al patrimonio culturale).
14. MA ANCHE SOTENIBILITÀ DELLLO SVILUPPO
CULTURALE
Sviluppo sostenibile è quindi: popolazione
locale, cultura locale, ambiente, risorse
locali, patrimonio culturale, prodotti a km 0
Creare eventi e le relative soluzioni e servizi
coinvolge di necessità un insieme di forze e
attori nel territorio (e il non farlo, d’altro canto
sarebbe controproducente). Un nuovo
paradigma: doing good (helping people help
themselves) and doing good business (creating
companies that purchase, process and distribute
directly from the people at a profit). Berry Groenewald
15. ENDUTAINMENT
Educazione e intrattenimento
I laboratori didattici nei musei la forma
“tradizionale”
Le letture dantesche di Progetto Italia di
Telecom la versione più allargata
Mette in gioco il rapporto tra eventi/enti
culturali/contenuti culturali e la ricezione,
apprendimento/divertimento del pubblico
16. TURISMO CULTURALE
Il turismo culturale rappresenta la forma più completa di
esperienza per un viaggiatore. È la manifestazione del
bisogno e della curiosità di esplorare culture e tradizioni
diverse, di conoscere stili di vita e identità lontane dalla
propria
P. Glidewell, B. Marcucci, Turismo culturale: analisi e prospettive, in La Rivista del
Turismo, 1, 2004, Touring Club Italiano, Milano
17. CHI È IL TURISTA CULTURALE?
Non è sempre “solo” un turista
Talvolta è uno studioso
Cerca l’avvenimento
Vuole capire il territorio nel quale si trova
A volte segue le mode
Spesso abbina alla cultura qualcos’altro
(ambiente, enogastronomia, etc)
18. EVENTO E RITO
Sotto l’influenza della visione weberiana del
disincanto del mondo, dell’allontanamento dal
pensiero magico e del predominio dell’agire
razionale rispetto allo scopo (Weber, 1995), in
sociologia lo studio dei rituali e dei simboli nelle
società ‘moderne’ è stato per lungo tempo ignorato.
19. SIGNIFICATO E SIMBOLO
“il significato e il simbolo non dipendono dal
contesto come fossero cose; sono relazioni, non
oggetti. Ignorare ciò, e quindi vedere i significati
e i simboli come cose, ha permesso agli studiosi
delle cultura di innalzare una distinzione tra
strutture simboliche e strutture concrete; di
differenziare la religione, il mito e l’arte – viste
come “essenzialmente” forme simboliche,
dall’economia, dalla politica, dalla struttura
parentale o dalla vita quotidiana.” (Dolgin et al
1977: 22. Cit. in Gusfiled e Michalowicz,
1984:418)
20. L’IDEA DI SACRO ILLUSTRATA DA DURKHEIM
“un survalore, una carica aggiuntiva atta a
modificare la natura e la struttura dell’individuo
solatamente inteso o dell’individuo non ancora
inserito in un contesto sociale. […] Un sacro
così concepito si risolveva però in una forma di
trascendenza non metafisico-ontologica, ma
sociale e collettiva nel senso che l’individuo, per
esprimere e per essere, doveva integrarsi
necessariamente in un sistema sociale e
avvertiva la socialità, la forza costituita nel
gruppo, come una realtà a lui superiore.”
(Enciclopedia Einaudi, 1981: 341)2
21. SACRO E PROFANO
Questa definizione di sacro sociale viene raccolta,
ampliata e sviluppata teoricamente da Durkheim nel
suo studio sul totemismo nel quale afferma che il
fatto religioso ‘elementare’ può essere interpretato
come una dialettica tra sacro e profano. Secondo
Durkheim la realtà è pensabile entro questa dicotomia e
tutte le credenze religiose “presuppongono una
classificazione delle cose reali o ideali che si
rappresentano gli uomini, in due classi o in due generi
opposti, definibili generalmente con due termini distinti –
tradotti abbastanza bene dalle designazioni di profano e
sacro. La divisione del mondo in due domini che
comprendono l’uno tutto ciò che è sacro, e l’altro
tutto ciò che è profano, è il carattere istintivo del
pensiero religioso.” (Durkheim, 1963: 39)
22. SACRO E PROFANO
“il significato e il simbolo non dipendono dal contesto come
fossero cose; sono relazioni, non oggetti. Ignorare ciò, e
quindi vedere i significati e i simboli come cose, ha
permesso agli studiosi delle cultura di innalzare una
distinzione tra strutture simboliche e strutture concrete;di
differenziare la religione, il mito e l’arte – viste come
“essenzialmente” forme simboliche dall’economia, politica,
dalla struttura parentale o dalla vita quotidiana.” (Dolgin et
al1977: 22. Cit. in Gusfiled e Michalowicz, 1984:418)1.
23. L’idea di sacro illustrata da Durkheim ne “Le forme
elementari della vita religiosa” è l’evoluzione del concetto
già espresso da Hubert e Mauss nel 1906 che
individuavano nel sacro“un survalore, una carica
aggiuntiva atta a modificare la natura e la struttura
dell’individuo isolatamente inteso o dell’individuo non
ancora inserito in un contesto sociale. […] Un sacro
così concepito si risolveva però in una forma di
trascendenza non metafisico-ontologica, ma sociale e
collettiva nel senso che l’individuo, per esprimere e per
essere, doveva integrarsi necessariamente in un
sistema sociale e avvertiva la socialità, la forza
costituita nel gruppo,come una realtà a lui superiore.”
(Enciclopedia Einaudi, 1981: 341)2
24. RITUALE: VENERAZIONE DELLA SOCIETÀ
Durkheim vede nel rituale religioso una forma di
venerazione del sacro, inteso - alla stregua di
Hubert e Mauss- come sacro sociale. Ciò che si
venera non è altro che la società stessa, la
comunità, l’ordine morale che permette
coesione sociale all’interno del gruppo; il
simbolo in questa visione funge da mediatore
tra le due dimensioni del reale (vedi Fig. 1): per
gli individui sarebbe impossibile venerare i
principi astratti in cui essi credono se non
attraverso la loro manipolazione simbolica.
25. PENSIERO DURKHEMIANO IN SINTESI
Durkheim vede nel rituale religioso una forma di venerazione
del sacro, inteso - alla stregua di Hubert e Mauss- come
sacro sociale. Secondo Durkheim la realtà è pensabile
entro questa dicotomia e tutte le credenze
religiose“presuppongono una classificazione delle cose reali
o ideali che si rappresentano gli uomini, indue classi o in
due generi opposti, definibili generalmente con due termini
distinti – tradottiabbastanza bene dalle designazioni di
profano e sacro. La divisione del mondo in due dominiche
comprendono l’uno tutto ciò che è sacro, e l’altro tutto ciò
che è profano, è il carattere distintivo del pensiero religioso.”
26. MODELLO DRKHEIMIANO DEL SISTEMA
SIMBOLICO
Ciò che si venera non è altro che la società stessa, la
comunità, l’ordine morale che permette coesione sociale
all’interno del gruppo; il simbolo in questa visione funge da
mediatore tra le due dimensioni del reale (vedi Fig. 1): per
gli individui sarebbe impossibile venerare i principi
astratti in cui essi credono se non attraverso la loro
manipolazione simbolica.
In “Le forme elementari della vita religiosa” Durkheim decide
di concentrare il suo studio sulle religioni totemiche
australiane attraverso i materiali etnologici ed etnografici
allora noti. Il suo proposito è quello si selezionare le più
primitive e semplici religioni come modello per
interpretare la natura delle religioni a partire dalla loro
manifestazionepiù “essenziale” (Birrell, 1981).
27. MODELLO DRKHEIMIANO DEL SISTEMA SIMBOLICO
X X X
Individuo simbolo ordine morale :
il sacro
Figura. 1 - Il modello durkheimiano del sistema simbolico
(Birrell, 1981: 358).
28. RITUALI D’INTERAZIONE GOFFMAN
Goffman ipotizza che l’ordine morale consista
sostanzialmente nei ruoli idealizzati a cui gli individui
sentono di adeguarsi; durante i rituali d’interazione
quotidiana gli individui accettano di ricoprire ed agire
determinati ruoli – attraverso loro stessi (contegno) e i
comportamenti verso gli altri (deferenza) – diventando essi
stessi simbolo dell’ordine morale a cui aderiscono. Gli
individui, quindi, sono sacri perché simboleggiano la
società, le sue regole e i suoi valori (Birrell, 1981: 360).
29. MODELLO DRKHEIMIANO APPLICATO ALL’INTERZIONE RITUALE DI GOFFMAN
X X X
Individuo simbolo ordine morale :
il sé(contegno) ruoli idealizzati
altro(defernza)
Figura. 1 - Il modello durkheimiano del sistema simbolico
(Birrell, 1981: 358).
30. COLLINS E DURKHEIM
Collins (1996) afferma che da “Le forme elementari della vita
religiosa” emergono due importanti implicazioni teoriche che
ci aiutano a percepire il cambiamento e le continuità nel
pensiero di Durkheim: la sociologia della conoscenza e la
microsociologia. Durkheim sosteneva che la sociologia
potesse fornire interpretazioni e spiegazioni del reale
molto più soddisfacenti della filosofia o di altre scienze
umane, considerando lo studio dei rituali come spazio
privilegiato per la comprensione del mondo. In questo
senso Durkheim riconosce ai rituali il ruolo di produttori
d’idee cariche di significato sociale il cui contenuto è
specchio della struttura della società.
31. COLLINS E DURKHEIM
“le idee vengono prodotte e caricate di significato
sociale nei tempi e nei luoghi in cui i rituali
sociali si realizzano(una mostra d’arte un
concerto, una messa, una conferenza); […] Il
modello di Durkheim ci presenta così un mondo
articolato in due livelli. Il pensiero si sviluppa
all’interno delle nostre idee sociali e queste idee
formano i contenuti della nostra coscienza”
(Collins, 1996: 138).
32. COLLINS E DURKHEIM
Le idee, quindi, sono da un lato le fondamenta della
società e dall’altro traggono la loro forza dal fatto di
essere create nel mondo sociale, ricordando agli individui
la collettività di cui fanno parte. Approfondiremo in seguito le
implicazioni teoriche dell’interpretazione del rapporto idee-
mondo sociale quando esamineremo il concetto
durkheimiano di rappresentazioni collettive. Secondo Collins
l’altro importante elemento della teoria durkheimiana
riconoscibile in “Le forme elementari della vita religiosa” è
l’approccio microsociologico.
33. RELIGIONE SECONDO DURKHEIM
Oltre agli aspetti coercitivi della società, Durkheim aveva
riconosciuto l’importanza rituale della punizione (come
riconoscimento delle leggi e monito per il resto della
comunità); questa intuizione sarà approfondita nell’ultima
fase del suo lavoro, con l’esame della forza rituale positiva
del mondo sociale e dei meccanismi rituali attraverso i quali
una comunità si stringe attorno alle proprie credenze
producendo densità morale.
34. RELIGIONE SECONDO DURKHEIM
Secondo Durkheim l’atteggiamento dei contemporanei nei
confronti degli studi sui fenomeni religiosi ‘primitivi’,
affermando che in tutti i fenomeni religiosi esiste sempre
una ‘coerenza interna’: “per colui che vi crede non sono più
inintelligibili di quanto la gravità o l’elettricità lo sono per il
fisico” (Durkheim,1963:28). La religione” è un tutto formato
da parti, cioè un sistema più o meno complesso di miti, di
dogmi, di riti, di cerimonie.” (Durkheim, 1963:38). Inoltre egli
definisce la differenza tra riti e credenze affermando:” Le
prime sono stati d’opinione e consistono di
rappresentazioni; i secondi costituiscono tipi determinati
d’azione. Tra questi due fatti c’è tutta la differenza che
separa il pensiero dalmovimento” (Durkheim, 1963:39)
35. LA DUPLICE NATURA DELL’UOMO
Le credenze esprimono la natura sacra delle cose, la loro storia, i poteri e
le virtù che gli esseri umani attribuiscono loro. Tale ‘essenza’ può essere
riscontrata non solo in entità soprannaturali (dei o spiriti) ma anche in
oggetti artificiali o naturali ai quali viene attribuito un significato simbolico
particolare; le credenze sono rappresentazioni collettive definibili come“il
prodotto di un immensa cooperazione che si estende non solo nello
spazio, ma anche neltempo; nella loro costruzione molteplici spiriti
diversi hanno associato, mescolato, combinatole loro idee e i loro
sentimenti; una lunga serie di generazioni vi hanno accumulato la loro
esperienza e il loro sapere.[…] l’uomo è duplice. In lui vi sono due
esseri: un essere individuale che ha la sua base nell’organismo, e il
cui ambito d’azione risulta quindi strettamente limitato, e un essere
sociale che rappresenta in noi, nell’ordine intellettuale e morale, la
realtà più alta che possiamo conoscere mediante l’osservazione,
cioè la società”.(Durkheim, 1963:18)
36. RELIGIONE SECONDO DURKHEIM
Per Durkheim il sacro è la manifestazione
simbolica della società e i rituali sono
particolari forme dell’agire umano che
servono a far rivivere e a rammentare
periodicamente ai membri di una comunità le
tradizioni e i valori morali collettivi.
37. LE REALTA’ COLLETTIVE
Le credenze riguardanti il sacro,quindi, sono rappresentazioni
collettive il cui oggetto è la società, vista come la fonte delle
obbligazioni morali e dei sentimenti di rispetto rappresentati
nelle entità sacre; la divinità, quindi,simboleggia la società, e
i riti sacri sono modi di affermarla in azioni collettive.
“La conclusione generale è che la religione è una cosa
eminentemente sociale. Le rappresentazioni collettive
esprimono realtà collettive; i riti costituiscono modi di
agire che sorgono in mezzo a gruppi costituiti e sono
destinati a suscitare, a mantenere o a riprodurre certi stati
mentali di questi gruppi” (Durkheim, 1963:11)
38. RITUALE COME MOMENTO DI VITA SOCIALE
Già nei suoi lavori precedenti Durkheim aveva sottolineato
come la struttura sociale locale eserciti sui suoi membri un
effetto morale ed emotivo: le società stanno insieme
attraverso la forza coesiva che l’ordine morale è in grado di
esercitare sui singoli. Il rituale è un momento della vita
sociale contraddistinta da una forte densità fisica (presenza
di molte persone) e da una densità sociale estremamente
alta. “Non appena gli individui sono raccolti, dal loro
accastamento (sic) scaturisce una specie di elettricità
che li trasporta con rapidità a un grado straordinario di
esaltazione. Ogni sentimento espresso risuona senza
resistenza in tutte queste coscienze aperte alle
impressioni esterne:ognuna fa da eco alle altre e
viceversa” (Durkheim, 1963:238).
39. EFFERVESCENZA SOCIALE
La densità morale è definibile come la partecipazione
(individuale e collettiva) alla vita in comune: le persone che
prendono parte ad un rituale si trovano ad incanalare la loro
coscienza contemporaneamente sullo stesso oggetto (il
simbolo, il sacro, la società) percependo la coesione del
gruppo e la potenza dell’agire collettivo (canti e danze). La
religione è dunque una potente forza d’integrazione sociale
che fornisce agli individui i valori morali nei quali
identificarsi; l’effervescenza sociale diventa quindi il
veicolo attraverso il quale il sacro riesce a penetrare negli
individui e per essi il mezzo attraverso il quale esperire la
parte sacra della duplicità che li caratterizza.
40. L’effervescenza sociale è dunque quell’entusiasmo
derivante dalla coscienza dei singoli individui di essere tutti
insieme in uno stesso spazio-tempo particolare concentrati
suuno stesso oggetto sacro speciale (simbolo). La
potenzialità euristica del concetto di effervescenza sociale,
comunque, non ha esaurito la sua forza ed è tuttora in
grado di spiegare fenomeni collettivi secolari e
contemporanei (ad es i raves). La religione è, quindi, il
modello che Durkheim ha scelto per spiegare la forza
della coesione sociale e dell’ordine morale che regola la
società (Alexander, 1988)
41. ANIMA INDIVIDUALE E COLLETTIVA
L’anima individuale non è dunque altro che una porzione
dell’anima collettiva del gruppo; è la forza anonima che è
alla base del culto, ma incarnata in un individuo la cui
personalità si; è il mana individuale” (Durkheim, 1963: 289-
290).Il rituale non si colloca nello stesso spazio e nello
stesso tempo della vita quotidiana del gruppo, ma si
configura come uno spazio-tempo ‘altro’ in cui vigono regole
diverse dalla ‘normalità’, in cui i membri della comunità
possono esperire la loro forza come collettivo e la potenza
delle regole che si sono dati.
42. CULTI TOTEMICI
Nella conclusione de “Le forme elementari della vita religiosa”,
Durkheim utilizza i risultati ottenuti nel suo studio sui culti
totemici per costruire un discorso più generale sulla
comprensione dei fenomeni religiosi.“Nella religione c’è
quindi qualcosa di eterno, destinato a sopravvivere a tutti i
simboli particolari di cui il pensiero religioso si è
successivamente circondato. Non può esserci società che
non senta il bisogno di conservare e rinsaldare, a intervalli
regolari, i sentimenti collettivi e le idee collettive che
costituiscono la sua unità e la sua personalità.” (Durkheim,
1963: 467)
43. RELIGIONE E MONDO MODERNO
Nonostante la limitatezza dei dati, le intuizioni di Durkheim
sembrano aver avuto una grande forza esplicativa e
un’enorme autorevolezza sulle successive analisi. A partire
del 1924 vengono pubblicate postume alcune delle lezioni
tenute dall’autore prima della sua morte(1914), nelle quali
egli sviluppa ulteriormente il proprio pensiero sui simboli e
sui rituali religiosi,dichiarando che i principi da lui evidenziati
possono essere applicati anche ad ambiti non religiosi del
mondo sociale, ossia ai fenomeni del mondo moderno
secolarizzato (Alexander, 1988; Birrell,1981).i dei rituali
(Collins, 1996).
44. RELIGIONE E MONDO MODERNO
“In una serie di profonde e fondate discussioni
sull’educazione, la politica, le organizzazioni
professionali, la moralità e la legge,
Durkheim dimostra che queste sfere
moderne devono essere studiate in termini di
classificazioni simboliche” (Alexander, 1988:
3)
45. RITUALI SECOLARIZZATI
Durkheim lasciò quindi un’eredità che alcuni autori hanno
sviluppato spostando il focus delle loro indagini dai rituali
religiosi a quelli secolarizzati.Uno di questi autori è il
sociologo australiano W. Lloyd Warner che, convinto che le
conoscenzesulle società tribali fossero più approfondite che
non quelle che riguardano la nostra società, si trasferì
dall’Australia agli Stati Uniti per occuparsi di studi di
comunitàuelli secolarizzati. Warner rielabora l’approccio
durkheimiano allo studio dei rituali applicandolo allo studio
delle comunità negli Stati Uniti (Collins, 1996): “Warner ha
mostrato che se guardiamo noi stessi attraverso gli occhi
dell’antropologo, troviamo dovunque dei rituali” (Collins,
1996: 158)
46. RITUALI SECOLARIZZATI
“I rituali religiosi riproducono la struttura di classe,
influenzando la coscienza che gli individuihanno delle
differenze morali e culturali e rafforzando la struttura delle
forme di associazione e
di esclusione interpersonali” (Collins, 1996: 158). In “Yankee
City” Warner ha studiato anche rituali secolarizzati,
mettendo in evidenza come i rituali patriottici (ad esempio il
4 luglio) siano strumenti del dominio di una classe sulle
altre.Un altro esempio di studio su rituali secolari sviluppato
a partire da una prospettiva durkheimiana è la ricerca svolta
da Shils e Young “The Meaning of the Coronation” (1953).
47. RITUALI SECOLARIZZATI
“la coronazione era l’occasione cerimoniale per l’affermazione
dei valori morali grazie ai quali la società si riproduce. Era
un atto di comunione nazionale […]. La coronazione
èprecisamente quel tipo di cerimoniale attraverso il quale la
società riafferma i valori morali caratterizza come società e
rinnova la devozione a quei valori attraverso un atto di
comunione” (Birrell, 1981: 359). Warner, Shils e Young,
quindi, hanno rielaborato le teorie durkheimiane
analizzando gli aspetti ritualistici delle cerimonie secolari;
ma è solo con Erving Goffman che si compie un decisivo
passo in avanti, verso l’analisi delle interazioni della vita
quotidiana come rituali aventi significativa portata morale.
48. DEFERENZA CONTEGNO
possiamo rintracciare almeno due nodi teorici sviluppati da
Durkheim e rielaborati creativamente da Goffman: da un
alto l’enfasi posta sul ruolo dell’ordine morale e quindi delle
strutture esterne a - e vincolanti per - l’individuo e dall’altro
l’interesse per le pratiche rituali interpretate come momenti
di conferma del sentire collettivo e della coesione sociale.
Nell’introduzione al saggio su “La natura della deferenza e
del contegno” Goffman esplicita questa eredità:Nell’analisi
delle piccole cerimonie di gentilezza e cordialità, Goffman si
lascia guidare dalla logica interna dei modelli durkheimiani
dei rituali sociali: queste ‘liturgie’ quotidiane si fondano,
infatti, su una solidarietà morale condivisa, seppur
temporanea.
49. GOFFMAN
L’intuizione di Goffman è stata quella di utilizzare la struttura
interpretativa di Durkheim spostando il focus dall’ambito
religioso all’ambito microsociologico delle interazioni
quotidiane, sviluppando un approccio secondo il quale ogni
aspetto degli incontri sociali può essere visto come un
elemento del rituale della vita sociale. Secondo Collins ogni
conversazione è una costruzione rituale di realtà, in quanto
impone che in quel momento tutta l’attenzione (simbolica e
materiale) degli interagenti sia rivolta alle regole formali che
la caratterizzano (Collins,1988) .
RITUALI E SIMBOLI DA DURKHEIM A GOFFMAN, Anita Bacigalupo,Dicembre2006
50. GOFFMAN
Goffman, quindi, è interessato prevalentemente ai micro-
rituali che riescono a dare senso alleattività umane, mentre
vede nei grandi rituali una sempre più profonda povertà di
significato. Nell’introduzione al saggio su “La natura della
deferenza e del contegno” Goffman esplicita questa eredità:
“Sotto l’influsso di Durkheim e Radcliffe-Brown alcuni
studiosi della società moderna hanno imparato a cercare il
significato simbolico di ogni attività sociale e il contributo di
queste attività per l’integrità e la solidarietà del gruppo che
l’adotta. Tuttavia, distogliendo la loro attenzione
dall’individuo per concentrarla
51. GOFFMAN
sul gruppo, questi studiosi sembrano aver trascurato un tema
che è presente nel capitolo di Durkheim sull’anima. In
questo capitolo egli avanzal’ipotesi che la personalità
dell’individuo possa essere considerata come una frazione
del mana collettivo e che, come accenna nei capitoli
successivi, i riti celebrati per le rappresentazioni della
collettività talvolta possono essere celebrati per l’individuo
stesso.(…) all’individuo è concessa una certa sacralità che
viene manifestata e confermata da atti simbolici.” (Goffman,
1988: 51)
52. GOFFMAN
Come Durkheim anche Goffman interpreta la società come
una comunità morale; se per il primo l’ambito d’espressione
simbolica delle società a solidarietà meccanica è la
religione, il secondo si concentra sui rituali presenti nelle
società a solidarietà organica. Come emerge dalle parole
dell’autore, nelle società contemporanee l’oggetto del sacro
non è più una divinità (prodotta attraverso il rituale) ma
l’individuo stesso; al variare della struttura sociale varia il
contenuto del simbolismo (Giglioli, 1984).
53. GOFFMAN
L’intuizione di Goffman è stata quella di utilizzare la struttura
interpretativa di Durkheim spostando il focus dall’ambito
religioso all’ambito microsociologico delle interazioni
quotidiane, sviluppando un approccio secondo il quale ogni
aspetto degli incontri sociali può essere visto come un
elemento del rituale della vita sociale. Nell’interazione
Goffman individua una serie di regole esterne che
disciplinano il comportamento degli attori sociali nelle loro
performances quotidiane e che presuppongono un ordine
morale vincolante per gli individui.
54. GOFFMAN
Secondo Collins ogni conversazione è una costruzione rituale
di realtà, in quanto impone che in quel momento tutta
l’attenzione(simbolica e materiale) degli interagenti sia
rivolta alle regole formali che la caratterizzano
(Collins,1988) . Goffman, quindi, è interessato
prevalentemente ai micro-rituali che riescono a dare senso
alle attività umane, mentre vede nei grandi rituali una
sempre più profonda povertà di significato. La sua analisi si
concentra su quei micro-rituali apparentemente banali, quei
gesti, quegli accorgimenti, quelle abitudini che
caratterizzano la nostra vita quotidiana in comunità e che ci
danno il senso della ritualità viva delle società “urbane e
secolari”.
55. GOFFMAN
in questi contesti rituali che viene affermata la sacralità del
‘self’, il culto dell’individuo oggetto primario delle cerimonie
contemporanee. “Tutta la sociologia di Goffman (…) è un
tentativo minuzioso di individuare i rituali che nella società
contemporanea affermano la sacralità dell’individuo, di
indagare la natura cerimoniale dell’identità, di esaminare i
meccanismi mediante i quali questo equilibrio rituale viene
ristabilito quando è stato turbato” (Giglioli, 1997: XIV)
56. GOFFMAN
in questi contesti rituali che viene affermata la sacralità del
‘self’, il culto dell’individuo oggetto primario delle cerimonie
contemporanee. “Tutta la sociologia di Goffman (…) è un
tentativo minuzioso di individuare i rituali che nella società
contemporanea affermano la sacralità dell’individuo, di
indagare la natura cerimoniale dell’identità, di esaminare i
meccanismi mediante i quali questo equilibrio rituale viene
ristabilito quando è stato turbato” (Giglioli, 1997: XIV)
57. GOFFMAN
Abbiamo visto come in “Le forme elementari della vita
religiosa” Durkheim intuisce l’importanza dell’attenzione
rituale per l’individuo, percepito come frammento del mana
collettivo; il salto interpretativo che il concetto durkheimiano
di anima compie nella prospettiva goffmaniana è un
passaggio ‘storico’ e culturale, perchè risiede nel fatto che
nelle società secolarizzate il concetto di anima si sia
trasformato nell’idea di sé (self) senza perdere la propria
natura rituale (Hannerz,1992).
58. GOFFMAN
L’idea della sacralità dell’individuo è di fondamentale
importanza per capire alcuni concetti chiave dalla teoria di
Goffman; egli, infatti, cerca di dare risposta al perché gli
attori sociali mettano in atto le strategie appropriate affinché
l’interazione possa scorrere senza intoppi.“Le persone si
venerano le une le altre come piccoli dei, in innumerevoli
modi quasi impercettibili, dei quali ci accorgiamo solo
quando sono assenti, quando cioè non si osservano i rituali
appropriati e il trattamento riservato all’altra persona è allora
visto come violenza simbolica” (Hannerz, 1992: 360)
59. GOFFMAN
Secondo Goffman esiste una forma di cooperazione e
solidarietà tra gli interagenti che fa si che gli individui non
siano interessati a rompere il gioco se non in casi particolari.
In “La natura della deferenza e del contegno” Goffman
individua delle regole di condotta (“o guide per l’azione”)
che influenzano ogni ambito dell’attività umana e che sono
seguite per preservare la propria faccia e quella altrui.
Usando le parole di Goffman, “le regole di condotta che
leganoinsieme attore e destinatario costituiscono i vincoli
stessi della società” (Goffman, 1988:99).
60. GOFFMAN
“un idolo è una cosa santissima, e la santità è il valore più
elevato che gli uomini abbiano mai riconosciuto. Eppure un
idolo spesso non è altro che una massa di pietra o un pezzo
di legno in sé assolutamente privo di valore” (Durkheim,
1996: 212). L’automobile non è altro che un oggetto di
metallo, in sé privo si senso; il significato simbolico delle
macchine è insito nella loro funzione di avvicinare gli
individui a livelli di autonomia di spostamento maggiori
rispetto a tutti gli altri veicoli (Dupuy, 1995). Si potrebbe
affermare, quindi,che l’automobile sia un feticcio,
intendendo con questo termine non tanto una caratteristica
intrinseca dell’oggetto ma il valore particolare che gli
individui gli attribuiscono.
61. DEFINIZIONE DI IDOLO
“un idolo è una cosa santissima, e la santità è il valore più
elevato che gli uomini abbiano mai riconosciuto. Eppure un
idolo spesso non è altro che una massa di pietra o un pezzo
di legno in sé assolutamente privo di valore” (Durkheim,
1996: 212). L’automobile non è altro che un oggetto di
metallo, in sé privo si senso; il significato simbolico delle
macchine è insito nella loro funzione di avvicinare gli
individui a livelli di autonomia di spostamento maggiori
rispetto a tutti gli altri veicoli (Dupuy, 1995). Si potrebbe
affermare, quindi,che l’automobile sia un feticcio,
intendendo con questo termine non tanto una caratteristica
intrinseca dell’oggetto ma il valore particolare che gli
individui gli attribuiscono.
62. IN SINTESI
Abbiamo visto che Durkheim ne “Le forme
elementari della vita religiosa” definisce i
caratteri distintivi dei rituali religiosi delle
società totemiche australiane per poi
utilizzarli come modelli esplicativi del
funzionamento e della funzione sociale di
tutti i cerimoniali religiosi.
63. L’intuizione fondamentale per la comprensione delle pratiche
cerimoniali è stata elaborata da Durkheim, secondo il quale
è possibile riconoscere nei rituali dei momenti di
celebrazione del sacro sociale, momenti in cui ciascun
individuo partecipa attivamente alla creazione di una forza
collettiva (densità sociale, effervescenza sociale) in grado di
riconfermare l’ordine morale (cioè la fonte dell’integrazione
e della coesione sociale) e quindi la società stessa.Si pensi
ad esempio all’attraversamento sulle strisce pedonali; se in
Inghilterra è percepita come una regola del vivere civile
fortemente da rispettare in Italia non lo è.
64. È interessante notare come, soprattutto in Italia, la
trasgressione di certe regole formali culturalmente è
considerata legittima. Applicando l’approccio durkheimiano
allo studio dei rituali secolarizzati (feste nazionali,
celebrazioni politiche, ecc.) cioè quei grandi riti collettivi che
riescono a stringere una collettività intorno ai valori morali,
ai simboli e alle rappresentazioni collettive dominanti. Sotto
l’influenza di questi autori Goffman rielabora creativamente
due nodi teorici sviluppati da Durkheim, ossia la questione
dell’ordine morale come fonte d’integrazione sociale e
l’importanza dello studio dei rituali per la comprensione
delle strutture morali che regolano la coesione sociale.
65. Il sociologo statunitense sposta il centro dell’interesse dai
grandi rituali (religiosi o laici) alle piccole pratiche
cerimoniali quotidiane in cui gli individui ricoprono i ruoli che
sentono più adeguati al contesto, ovvero quelle interazioni
faccia a faccia che permettono di celebrare la santità del
proprio e dell’altrui ‘self’.
66. L’AZIONE DOTATA DI SENSO, L’AZIONE SOCIALE E LA RELAZIONE SOCIALE DI WEBER
oggetto della sociologia è “l’agire sociale”, Weber passa a chiarire che
cosa debba intendersi per agire, agire sociale e interazione
sociale.L’agire è tale soltanto se è dotato di senso quando, cioè, l’agire
viene prodotto contestualmente ad un’attribuzione di significato da parte
dell’attore all’azione (= quando l’azione ha un motivazione individuale).
Così, non è agire un’azione di tipo puramente reattivo (quando non c’è
motivazione non si ha azione ma “comportamento” anche se
empiricamente può essere difficile distinguere tra comportamento e
azione orientata tradizionalmente).Si ha senso di fatto, quando il
senso è attribuito da un soggetto agente (che può essere inteso
come individuo o anche come gruppo o media di soggetti agenti);
senso intenzionato soggettivamente quando ad attribuire senso
all’azione è un soggetto assunto come “tipo ideale” (cioè un
modello).
67. TIPO IDEALE DI WEBER
il “tipo ideale”: è uno strumento euristico per l’interpretazione della realtà
che, una volta accettato, conduce chi lo accetta a determinate
conclusioni e quindi garantisce l’oggettività della ricerca scientifica. Il
tipo ideale è dunque l’estrapolazione dalla realtà storico-sociale di un
suo tratto (che concretamente si trova inserito in tale realtà) che viene
appositamente accentuato concettualmente in modo da formare un
modello tramite il quale interpretare la realtà. Esso è un’utopia nel senso
che, nella sua purezza concettuale, non può mai essere rintracciato
empiricamente nella realtà. Esso serve come schema di riferimento
rispetto al quale la realtà deve essere misurate e comparata al fine di
illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico.
Ecco che l’artigianato, il capitalismo, il cristianesimo, la chiesa, la setta,
lo stato, sono tutti esempi di “tipo ideale” portati da Weber. Il tipo ideale
di weber è quello che oggi nel digital marketing viene definito personas
al fine dell’identificazione del “cliente tipo” di una società e che diviene
fondamentale anche per chi progetta eventi. Così come diviene
importante ai nostri fini chi è in grado di esercitare una leadership
carismatica.
68. TIPO IDEALE DI WEBER
Poi, Weber aggiunge che non solo il riferimento a valori è essenziale per
la conoscenza ma anche che esistono tanti modi di conoscere la realtà,
cioè che uno stesso evento può essere considerato da più punti di vista
diversi. Quindi, la realtà può essere conosciuta solo in quanto si
attribuiscono a settori particolari di essa significati e valori particolari ed
essa è sempre mediata culturalmente in quanto è la “cultura” che
permette di selezionare alcune aspetti dalla realtà infinita priva di senso
attraverso l’attribuzione a essi di significati specifici. Inoltre quando
dovremo invitare delle personalità o degli opinion leader alle nostre
iniziative sara’ importante aver presente la suddivisione di tipologie di
potere che fa Weber: secondo Weber esistono tre tipi puri di potere
(autorità) in riferimento alla validità della loro legittimità:
69. d) potere legale – che si basa sul riconoscimento dell’autorità
di ordinamenti statuiti e del diritto di comando di coloro che
sono chiamati ad esercitare tale potere in base ad essi
(potere a carattere razionale). In questo caso si obbedisce
alla “legge” e alle persone “preposte” dall’ordinamento
stesso a farla osservare e non alla persona in quanto tale.
e) potere tradizionale – che si ha quando il diritto di esercitare
il potere è conferito dal carattere sacro della tradizione
valida da sempre e nella legittimità di coloro che in base ad
essa sono chiamati a rivestire tale autorità. In questo caso si
obbedisce al “signore”, al “re”, come persona designata
dalla tradizione, in virtù della reverenza da parte di coloro
che la riconoscono.
70. f) potere carismatico – che si ha quando il diritto di esercitare il potere
è conferito in virtù del riconoscimento di qualità eccezionali, eroiche,
straordinarie proprie di un individuo. In questo caso di obbedisce al
“duce”, in quanto tale, designato carismaticamente in virtù della
devozione che ha saputo conquistarsi grazie alle sue eccezionali
qualità.(Le persone che esercitano questo tipo di potere sono quelli che
oggi definiremmo anche opinion leader
71. L’AZIONE DOTATA DI SENSO, L’AZIONE SOCIALE E LA RELAZIONE SOCIALE DI
WEBER
L’agire, in senso lato, comprende un agire interno ed un agire esterno.
L’agire esterno è quell’agire in cui l’attore ha come riferimento (= è
orientato) il mondo esterno, cioè gli altri; l’agire interno è un agire di tipo
riflessivo (autoreferenziale) in cui l’attore ha come riferimento se
stesso.Si ha agire sociale quando il senso attribuito all’azione è
orientato verso altri soggetti individuali (= quando la motivazione
individuale dell’attore è diretta verso altri soggetti individuali).
Esaminando l’agire sociale, Weber elaboro’ i famosissimi quattro
fondamenti determinanti dell’agire sociale:
72. L’AZIONE DOTATA DI SENSO, L’AZIONE SOCIALE E LA RELAZIONE SOCIALE DI
WEBER
a) agire in modo razionale rispetto allo scopo: che si ha quando l’attore
concepisce chiaramente il fine e combina razionalmente i mezzi per il
suo conseguimento (es: l’ingegnere che costruisce un ponte);
b) agire in modo razionale rispetto al valore: che si ha quando l’attore
agisce razionalmente non per conseguire un risultato pratico ma per
rimanere fedele ad un suo principio (es.: il capitano che cola a picco con
la sua nave)
c) agire affettivamente: che si ha quando l’azione riflette uno stato
d’animo;
d) agire tradizionalmente: che si ha quando l’azione riflette abitudini
acquisite dall’attore. Affinché si abbia relazione sociale è necessario che
entrambe le parti che agiscono attribuiscano un minimo di senso
comune al loro agire. Non si tratta necessariamente di solidarietà
(es. nella lotta) ma ciò che è necessario è che il senso attribuito
all’azione dalle parti deve essere comune (= devono dare lo stesso
significato). La sociologia, dunque, ha come ambito problematico
73. L’AZIONE DOTATA DI SENSO, L’AZIONE SOCIALE E LA RELAZIONE SOCIALE DI WEBER
a) agire in modo razionale rispetto allo scopo: che si ha quando l’attore
concepisce chiaramente il fine e combina razionalmente i mezzi per il
suo conseguimento (es: l’ingegnere che costruisce un ponte);
b) agire in modo razionale rispetto al valore: che si ha quando l’attore
agisce razionalmente non per conseguire un risultato pratico ma per
rimanere fedele ad un suo principio (es.: il capitano che cola a picco con
la sua nave)
c) agire affettivamente: che si ha quando l’azione riflette uno stato
d’animo;
d) agire tradizionalmente: che si ha quando l’azione riflette abitudini
acquisite dall’attore. Affinché si abbia relazione sociale è necessario che
entrambe le parti che agiscono attribuiscano un minimo di senso
comune al loro agire. Non si tratta necessariamente di solidarietà
(es. nella lotta) ma ciò che è necessario è che il senso attribuito
all’azione dalle parti deve essere comune (= devono dare lo stesso
significato). La sociologia, dunque, ha come ambito problematico
74. L’AZIONE DOTATA DI SENSO, L’AZIONE SOCIALE E LA RELAZIONE SOCIALE DI WEBER
Il concetto di agire dotato di senso, con particolare riferimento all’agire
sociale, porta alla centralità del verstehen (=comprendere) cioè
dell’elemento della comprensione. Se l’agire è legato ad un significato
interno, occorre comprendere questo significato interno: quindi, primo
compito della sociologia è quello del verstehen, cioè ricostruire gli
estremi del significato interno della condotta attraverso tecniche di tipo
più lato possibile. Per esempio, la scuola storica romantica da cui viene
Weber, che è rappresentata da Rickert e Windelband (che sono stati
maestri di Weber) intende il concetto di verstehen come una specie di
compenetrazione nel senso che dice “il sociologo (l’osservatore) vive
nello stesso mondo culturale in cui vive l’attore e quindi il compito
della sociologia non può che essere questa specie di
compenetrazione simpatetica che l’osservatore deve avere nei
confronti dell’attore in quanto essi appartengono allo stesso
mondo culturali ed in quanto hanno le stesse coordinate culturali.
comunanza culturale che mette insieme l’osservatore con l’attore).
75. Quindi il pensiero romantico (Weber romperà con esso pur rifacendosi ad
esso) intende la comprensione come esaustiva (nel senso che
esaurisce il compito della sociologia: la sociologia deve essere
sostanzialmente una tecnica di identificazione comprendente gli attori
sociali in base alla lorocomunanza culturale che mette insieme
l’osservatore con l’attore).
Weber afferma e ribadisce l’importanza della comprensione ma, secondo
lui, il verstehen non esaurisce il compito della sociologia ma costituisce
solo il primo momento; il secondo momento è costituito dall’analisi
causale del comportamento. Per questo, il grande contributo di Weber
è stato quello di mettere insieme comprensione (cioè l’analisi e
l’intelligibilità del vissuto) e spiegazione (cioè ricostruzione) di
un’imputazione di tipo causale.
76. COMPRENSIONE E SPIEGAZIONE CAUSALE
Pertanto, la grande svolta metodologica di Weber da quanto punto di vista è
stata quella di mettere insieme la comprensione (cioè l’interpretazione che
è costituita da un atteggiamento di tipo intuizionista dell’osservatore nei
confronti dell’attore) e di trasferire questo componente in un secondo
spazio del lavoro sociologico che è quello della spiegazione causale.
Perciò, se diciamo che l’uomo è guidato dai sentimenti (credenze,
pregiudizi, ecc.) occorre riuscire a trasformare questi sentimenti in
variabili che mi mettano nelle condizioni metodologiche di dire che
quando l’uomo ha certi sentimenti da questi sentimenti ne scaturisce un
certo comportamento. Se noi trasformiamo in variabili ciò che è alla base della
soggettività dell’uomo, potremo poi fare un’analisi causale di questo dominio
empirico identica all’analisi causale che si fa nelle scienze esatte
77. COMPRENSIONE E SPIEGAZIONE CAUSALE
Pertanto, la grande svolta metodologica di Weber da quanto punto di vista è
stata quella di mettere insieme la comprensione (cioè l’interpretazione che
è costituita da un atteggiamento di tipo intuizionista dell’osservatore nei
confronti dell’attore) e di trasferire questo componente in un secondo
spazio del lavoro sociologico che è quello della spiegazione causale.
Perciò, se diciamo che l’uomo è guidato dai sentimenti (credenze,
pregiudizi, ecc.) occorre riuscire a trasformare questi sentimenti in
variabili che mi mettano nelle condizioni metodologiche di dire che
quando l’uomo ha certi sentimenti da questi sentimenti ne scaturisce un
certo comportamento. Se noi trasformiamo in variabili ciò che è alla base della
soggettività dell’uomo, potremo poi fare un’analisi causale di questo dominio
empirico identica all’analisi causale che si fa nelle scienze esatte.
78. WITTGESTAIN
Se si vuole comprendere l’uomo è fondamentale partire dal
tipo di linguaggio che egli utilizza in quanto in esso sono
racchiusi i significati che egli pone a fondamento della
propria azione, la quale è il veicolo costruttore della realtà
quotidiana.
Per poter studiare ciò che gli uomini interpersonalmente
costruiscono a livello sociale si deve far riferimento alle
parole e ai gesti che essi scelgono di utilizzare per
esprimersi. Le parole e i gesti devono essere analizzati nei
loro modi e contesti d’utilizzo in relazione al sistema
culturale a cui gli uomini che li scelgono appartengono.
79. WITTGESTAIN
Anche il contesto risulta essere una discriminante
fondamentale, infatti una stessa espressione può acquistare
significati diversi in contesti diversi. Può anche succedere
che uomini appartenenti alla stessa cultura scelgano di
esprimersi in modo diverso in contesti uguali, evidenziando
così l’importanza del “concetto di sé” nella scelta del proprio
modo di agire. Il linguaggio è il “mediatore” della
costruzione della realtà, o in modo più adeguato, del
rapporto che lega l’uomo, la sua azione e il contesto in cui
egli vive. Il rapporto può essere visto come un processo
circolare in cui esiste una molteplicità di possibili
interpretazioni e non come un meccanismo lineare di causa
effetto in cui è possibile un’unica spiegazione “perfetta”.
80. WITTGESTAIN
Il sistema culturale è una discriminante fondamentale che
evidenzia come una parola o un gesto non esprimono un
unico significato possibile, in quanto uomini di culture
diverse possono esprimersi in modo diverso nello stesso
contesto.
Anche il linguaggio può essere visto come una pluralità di
possibili funzioni e non come un’ unica e “perfetta” funzione,
ossia quella di denominare gli oggetti, che rientra nella
pluralità. Da questo punto di vista linguaggio e realtà si
trovano in un rapporto di reciproca dipendenza.
81. WITTGESTAIN
Nella realtà generata dai “giochi linguistici” non esiste più nulla di certo e
universalmente valido, ma tutto acquista significato in base ai “giochi”
che ogni uomo sceglie di mettere in atto in uno specifico contesto, in
base al riferimento culturale a cui l’uomo appartiene e in base al proprio
Sé.
Il rifiuto della teoria raffigurativa del linguaggio, la conseguente
negazione di una struttura logica del mondo universalmente valida e
l’assunzione di un linguaggio che costruisce il mondo ed esprime il Sé
degli individui risultano essere delle profonde innovazioni nella storia del
pensiero. Gli studiosi non potranno mai studiare una realtà vera in sé in
quanto essa non può esistere, ma possono studiare solamente ciò che
gli uomini considerano reale.
82. GOLEMAN E L’INTELLIGENZA EMOTIVA
La nozione di intelligenza emotiva, già descritta da Howard
Gardner nelle due forme, intrapersonale e interpersonale, è
stata tuttavia sviluppata nei suoi molteplici componenti e
conseguenze pratiche da Daniel Goleman, il quale distingue
due principali sottocategorie:
1. Le competenze personali, riferite alla capacità di cogliere i
diversi aspetti della propria vita emozionale;
2. le competenze sociali, relative alla maniera con cui
comprendiamo gli altri e ci rapportiamo ad essi.
83. GOLEMAN E L’INTELLIGENZA EMOTIVA
L'intelligenza emotiva personale comprende la
consapevolezza di sé, che ci porta a dare un nome e un
senso alle nostre emozioni negative, aiutandoci a
comprendere le circostanze e le cause che le
scatenano; più in generale essa permette una
autovalutazione obiettiva delle proprie capacità e dei
propri limiti, così da riuscire a proporsi mete realistiche,
scegliendo poi le risorse personali più adeguate per
raggiungerle. Anche l'autocontrollo fa parte delle
competenze personali. Esso implica la capacità di dominare
le proprie emozioni, il che non vuol dire negarle o soffocarle,
bensì esprimerle in forme socialmente accettabili.
L'incapacità di gestire le proprie emozioni, può portare infatti
ad agire in maniera inopportuna, e magari a forme di
84. GOLEMAN E L’INTELLIGENZA EMOTIVA
Chi è padrone di sé, riesce di solito a comportarsi in maniera
appropriata alla situazione, tenendo conto delle regole del
vivere sociale, riconoscendo le proprie responsabilità e i
propri errori, rispettando gli impegni presi e portando a
compimento i compiti assegnatigli. Tra le competenze
personali può essere inoltre collocata la capacità di
alimentare la propria motivazione, mantenendola anche di
fronte alle difficoltà o quando le cose non vanno come
avevamo previsto o speravamo. La capacità di motivarsi è
formata da una giusta dose di ottimismo e dallo spirito di
iniziativa, attitudini che spingono a perseguire i propri
obiettivi, reagendo attivamente agli insuccessi e alle
frustrazioni.
85. GOLEMAN E L’INTELLIGENZA EMOTIVA
L'intelligenza emotiva sociale e' costituita da quell'insieme
di caratteristiche che ci permettono di relazionarci
positivamente con gli altri e di interagire in modo
costruttivo con essi. Una delle componenti più importanti
di questo aspetto dell'intelligenza è costituita
dall'empatia, ossia dalla capacità di riconoscere le
emozioni e i sentimenti negli altri, ( capacità essenziale
per chi progetta eventi) ponendoci idealmente nei loro panni
e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di vista, gli
interessi e le difficoltà interiori.
86. GOLEMAN E L’INTELLIGENZA EMOTIVA
Essere empatici significa percepire il mondo interiore dell'altro come se
fosse il nostro, mantenendo tuttavia la consapevolezza della sua alterità
rispetto ai nostri punti di vista. La comunicazione, altra attitudine
"sociale", è invece la capacità di parlare agli altri, facendo coincidere il
contenuto esplicito dei messaggi (trasmesso dalle parole) con le proprie
convinzioni ed emozioni (involontariamente rivelate attraverso il
linguaggio del corpo). Comunicare in maniera efficace è anche saper
ascoltare e fare domande, mantenendo una reale attenzione alle
risposte emotive dei nostri interlocutori. Secondo Goleman, l'intelligenza
emotiva si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento, diretto
soprattutto a cogliere i sentimenti e le emozioni, nostri e altrui,
indirizzandoli in senso costruttivo. Se, infatti, l'intelligenza legata al QI
tende a stabilizzarsi intorno ai 16 anni (per incominciare lentamente a
declinare negli anni della maturità), l'intelligenza emotiva può essere
migliorata nel corso di tutta la vita.
87. L’IMPORTANZA DEGLI ARCHETIPI
NELLA COSTRUZIONE DEL SENSO
Con il concetto di archetipi si amplia l’ inconscio individuale
in inconscio collettivo, il contenitore simbolico che riunisce
in un processo dinamico ogni individualità. Possiamo
immaginare l ‘inconscio collettivo come un
grande fiume che tocca ogni sponda, e che in se’ contiene
tutto ciò che era presente alla sorgente. Gli archetipi che si
muovono in questa dimensione, sono qualcosa di molto più
profondo del simbolo, sono la focalizzazione di un simbolo,
il seme grazie a cui il simbolo evolve. L’ energia archetipica
si esprime in ogni esperienza umana: si evolve da una
matrice innata ed inconscia, si manifesta come simbolo o
come immagine, ed in seguito come sentimento ed
emozione.
88. ARCHETIPI
Le emozioni comprendono dolore, amore, entusiasmo,
passione, estasi ecc. e costituiscono ciò che dell’archetipo
affiora, il livello più cosciente dell’energia archetipica.
Possiamo sperimentare la forza degli archetipi nei
sogni ed in ogni fase della nostra vita: nel momento in cui
lasceremo la casa di origine per avventurarci nel mondo, ci
confronteremo con l’archetipo del viaggio, nel momento in
cui faremo figli, sentiremo il potere
del femminile, della madre, dell’anima o, se siamo uomini,
il maschile, il grande padre..
Editor's Notes
Le riflessioni sull’etimologia dell’evento e l’elenco degli eventi sono ispirati dalla lettura di L.Argano, A.Bollo, P.Dalla Sega, C.Vivalda, Gli eventi culturali. Ideazione, progettazione, marketing, comunicazione, Franco Angeli, 2005