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BOZZA DEL RAPPORTO SUL
SISTEMA LOCALE DEL LAVORO 73 (LUINO)
In base al regolamento dell’Unione Europea “Riforma dei Fondi
Strutturali: Programmazione 2000-2006 - Stato del Negoziato - ”
Castellanza, 29 Aprile 1999
2
In questo rapporto è considerata come area del luinese l’insieme dei comuni che
compongono il Sistema Locale del Lavoro numero 73 denominato “Luino”, individuato
dopo il censimento ISTAT del 1991 e composto da trenta comuni:
Agra
Bedero Valcuvia
Brezzo Di Bedero
Brissago-Valtravaglia
Brusimpiano
Cadegliano-Viconago
Cassano Valcuvia
Castelveccana
Cremenaga
Cugliate-Fabiasco
Cunardo
Curiglia Con Monteviasco
Dumenza
Ferrera Di Varese
Germignaga
Grantola
Lavena Ponte Tresa
Luino
Maccagno
Marchirolo
Marzio
Masciago Primo
Mesenzana
Montegrino Valtravaglia
Pino Sulla Sponda Del Lago Maggiore
Porto Valtravaglia
Rancio Valcuvia
Tronzano Lago Maggiore
Valganna
Veddasca
L’obiettivo sarà di dimostrare come la provincia di Varese sia estremamente
disomogenea al proprio interno. In particolare, come l’area del luinese sia caratterizzata,
rispetto al resto della provincia, da una situazione estremamente difficile e soprattutto
pericolosa a causa della presenza di due fenomeni: declino industriale di lungo periodo e
invecchiamento e svuotamento dell’area.
Vantaggi e svantaggi del confine
Un elemento di partenza per l’analisi dell’area luinese è senza dubbio la sua posizione
di frontiera con il Canton Ticino della Confederazione Elvetica. Storicamente questa
posizione è stata un punto d’appoggio fondamentale sia per l’economia sia per il tessuto
sociale grazie a quel fenomeno conosciuto come “frontalierato”.
Alcuni ex-amministratori locali sono arrivati a definire quest’area come “parassitaria”
della Svizzera. Questa definizione, sicuramente estrema e negativa quanto non
condivisibile, trova le sue radici nell’importanza che il frontalierato ha avuto per i
luinesi. Essi vivevano in Italia pagati con stipendi svizzeri, nettamente più alti rispetto a
quelli italiani e questo forniva delle entrate sostanziose per l’intera economia dell’area.
3
Quando però il Canton Ticino ha cominciato a vivere una seria crisi industriale, si è
avuta un’immediata ripercussione nel luinese.
Tutto quello che sarà scritto di seguito deve essere letto in rapporto a questa posizione
geografica e a quella che inizialmente poteva essere interpretata come opportunità ma
che invece si è rivelata essere una vera dipendenza.
Il frontalierato
La manodopera straniera attiva in Svizzera a fine agosto 1991 ammontava a 989.477
unità, ossia il 3,3% in più rispetto all'agosto dell'anno precedente. Questo incremento
nasconde però tendenze contrastanti: infatti, ad un aumento dei domiciliati, si
contrappone una riduzione dei dimoranti, degli stagionali e dei frontalieri.
In particolare nel corso del 1991, nel Canton Ticino, ovvero la zona maggiormente
caratterizzata da questo fenomeno, si è passati da una situazione di penuria di
manodopera, ad una di eccedenza. Con l'aumento della disoccupazione si registra una
riduzione del numero di frontalieri, che per l'anno 1994 è stata pari a 3,8%.
Responsabile di questa flessione è essenzialmente il settore secondario con il 34,1% di
calo nel periodo 1990-96.
Var. %92-93 Var. % 93-94 Var. % 95-96 Var. %90-94 Var. % 90-96
Settore primario -6,4 -4,3 +3,9 -13,1 -19,9
Settore
secondario
-9,6 -3,7 -11,8 -23,6 -34,1
Settore terziario -6,1 -2,6 +9,5 +0,6 +7,7
La provincia di Varese è quella che in Lombardia dà il maggior apporto alla
manodopera frontaliera: nel 1994 sono ben 15.562 le persone interessate da tale
fenomeno, rispetto alle 18.676 del 1991. Ciò che negli anni è rimasto invariato sono i
distretti intorno cui gravitano i frontalieri, ovvero Lugano e Mendrisio.
La USSL che subisce più di altre l'influenza del mercato del lavoro ticinese è quella di
Luino.
4
Nello specifico, per quanto riguarda la realtà luinese, il fenomeno del frontalierato
assume un'importanza molto più determinante, arrivando ad interessare quasi il 40 %
della popolazione residente (dati 1996), nonostante il fenomeno stesso abbia subito una
flessione nel corso degli anni. E' da notare come il settore maggiormente interessato dal
frontalierato, in tutta la provincia di Varese, e in particolar modo nel Luinese, sia quello
secondario, e soprattutto legato alle aziende meccaniche e metallurgiche (29,37%, dati
1991).
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
Luino
Laveno-
Mombello
Varese
Sesto
Calende
Gallarate
Tradate
Busto
Arsizio
Saronno
Frontalieri occupati per USSL
1990
1994
1996
5
1994 1996
Provincia e
USSL
Sett.
primario
Sett.
secondario
Sett.
terziario
Sett.
primario
Sett.
secondario
Sett.
terziario
Varese 128 12081 3353 114 10479 3775
Luino 68 4435 1678 61 3695 1928
Laveno-momb. 6 492 134 4 429 143
Varese 7 2069 441 8 1824 485
Induno Olona 42 4156 956 38 3676 1057
Sesto Calende - 28 7 - 23 7
Gallarate - 92 25 - 94 26
Tradate 5 759 98 3 699 112
Busto Arsizio - 22 8 - 18 6
Saronno - 28 6 - 21 11
Figura 1. Frontalieri secondo il settore economico, per Provincia e USSL di
provenienza. 1994-1996
Le categorie più rappresentate sono "Operai addetti ai servizi, poco o non qualificati"
(67,1%), e "Artigiani e operai qualificati" (27,47%).
Valutando i dati relativi ai frontalieri occupati disaggregati per classi di età, ci si rende
conto di come la tendenza sia all'invecchiamento della forza lavoro frontaliera. Infatti, i
giovani frontalieri, in particolare quelli che non superano i 20 anni, sono un'esigua parte,
rappresentando solo il 3% della totalità (dati 1994); questa tendenza si accentua nel
1996, anno in cui i giovani rappresentano poco più dell'1,7% della forza lavoro
frontaliera.
Inoltre, nella fascia di età compresa tra i 15-25 anni si rileva una percentuale maggiore
di donne (67,7%) rispetto agli uomini; situazione che invece non si verifica per tutte le
altre classi di età, dove la predominanza maschile è schiacciante. L'età media per gli
uomini è 40 anni, mentre per le donne 34.
Concludendo oggi il fenomeno del frontalierato è in una fase di diminuzione strutturale
in seguito all'aggravarsi della crisi economica e quindi occupazionale nei Paesi
interessati, Italia e Canton Ticino in modo particolare. Si è arrivati cioè ad un punto di
svolta in cui per l’Italia è divenuto impossibile continuare a sfruttare i vantaggi derivanti
da questa situazione, come al contrario era avvenuto per decenni. In modo specifico per
6
gli Italiani tali vantaggi erano legati alla presenza di un mercato del lavoro più ampio e
al percepimento di salari più elevati.
Non meno importante è l'aspetto occupazionale del frontalierato. Infatti, se prima, in una
situazione di crescita economica, i lavoratori frontalieri non avevano alcuna difficoltà ad
impiegarsi nelle aziende ticinesi, oggi, in seguito alla crisi congiunturale sfavorevole che
il Cantone sta attraversando, gli stessi lavoratori si ritrovano senza occupazione,
incrementando così il tasso di disoccupazione italiano. I Comuni vicini alla frontiera si
trovano così a dover affrontare il problema occupazionale a due livelli: quello
'domestico' e quello esterno causato dalla crisi economica che investe il mercato del
lavoro svizzero.
Un altro aspetto di particolare rilievo, fortemente connesso a quello precedente, è legato
all'evoluzione che il frontalierato ha subito: all'origine il fenomeno riguardava quasi
esclusivamente una categoria di lavoratori, quella operaia che aveva la caratteristica di
avere una bassa qualifica e quindi una scarsa formazione. Oggi la struttura
occupazionale si è modificata nel senso che il mercato del lavoro ticinese, in seguito ai
mutamenti strutturali ed organizzativi delle imprese sempre più coinvolte da processi di
automazione e informatizzazione, richiede categorie più professionali, cioè con un titolo
di studio più specializzato, e viceversa respinge i lavoratori frontalieri 'tradizionali', cioè
operai non qualificati, andando così ad incrementare il tasso di disoccupazione di questi
ultimi.
Le imprese italiane che formano i propri dipendenti con corsi di specializzazione
vedono sottrarsi capitale umano dalle imprese svizzere che sono in grado di offrire salari
decisamente superiori. Il frontalierato quindi, per come si è sviluppato negli anni, ha
assunto i caratteri di un processo patologico, a sua volta generato dalla mancata
ristrutturazione del sistema produttivo esistente, e ha creato una situazione di crescita
artificiale, non in grado cioè di realizzare alcun sviluppo endogeno.
Ripercussioni sulle imprese
Fino a quando le imprese Svizzere riuscivano a crescere, buona parte della manodopera
italiana si spostava verso queste aziende, dando tra l’altro non pochi problemi a quelle
aziende italiane, presenti nell’area del luinese, che vedevano partire i loro migliori
operai. Quest’aspetto ha rappresentato una vera spina nel fianco per gli imprenditori
luinesi perché erano costretti a cercare di pagare stipendi più alti, senza i quali i migliori
dipendenti, spesso formatisi proprio nelle loro aziende, preferivano lavorare presso la
concorrenza Svizzera. È evidente che le imprese luinesi erano schiacciate come “un
vaso di coccio tra due vasi di ferro”: da una parte la Svizzera che poteva permettersi di
7
pagare meglio i propri dipendenti e dall’altra le aziende del sud della provincia che
invece non vivevano questo problema della fuga della manodopera.
In questo quadro il tessuto industriale luinese ha chiaramente dovuto affrontare momenti
difficili fino ad arrivare ad una crisi avvenuta durante gli anni ottanta che ha
praticamente segnato la fine del tessile in quest’area.
In realtà è proprio questa sua posizione geografica a fragilizzare l’area Nord della
provincia di Varese, per quanto possa sembrare paradossale.
Il lento ma inarrestabile declino del settore tessile, da tempi lunghissimi presente tra le
valli del luinese, si è scontrato con un altro fenomeno negativo importante, quello della
crisi del Canton Ticino.
Se da un lato avevamo un settore industriale, il principale, che era ormai entrato in una
situazione di crisi irreversibile, dall’altro lato la crisi del Canton Ticino ha avuto
l’effetto del “buttare benzina sul fuoco”.
I primi dipendenti ad essere licenziati in seguito alla crisi ticinese sono stati proprio
quegli operai specializzati italiani che hanno permesso alle aziende svizzere di crescere
in modo forte e competitivo. Questi luinesi sono rientrati sul territorio italiano senza un
lavoro, speranzosi di potersi a questo punto reinserire nel tessuto italiano, seppur con
stipendi inferiori. Ma questo flusso si è scontrato con la realtà del tessile del luinese in
profonda crisi. Le stesse aziende nelle quali questi dipendenti si erano specializzati
prima di andare a lavorare in Svizzera erano chiuse o stavano per chiudere. Ciò
provocava un effetto chiamato “sovrapposizione delle maree”. L’alta marea dopo alcune
ore generalmente si ritira, ma nei casi peggiori il vento Scirocco soffia contro la marea
impedendole un totale ritiro. Nelle ore successive, quando si manifesta la seconda
marea, essa non è un normale ritorno d’acqua dopo il precedente ritiro, ma va a
sommarsi alla marea precedente che, di fatto, non si è mai ritirata. È in questi casi che si
registrano le “acque alte” catastrofiche.
Nel luinese il ritorno della crisi ticinese si è scontrato con la crisi del tessile che ha
provocato una crisi generale su tutta l’area, con conseguenze catastrofiche innescatesi a
catena.
Piano Copernico e delocalizzazioni verso la Svizzera
Preso atto di questa situazione, è interessante osservare come la Svizzera si è
comportata in una tale situazione.
La sua risposta è stata molto seria e organizzata, individuata nel progetto Copernico,
8
voluto dal Dipartimento Ticinese delle Finanze e dell’Economia. Questo progetto
consiste nell’incentivare la delocalizzazione d’imprese estere verso il Canton Ticino e,
paradossalmente, le prime imprese ad essere corteggiate sono proprio quelle italiane che
rispondono a queste proposte con sincero interesse prima e con i fatti in seguito.
Fino a febbraio del 1999 il progetto Copernico ha stipulato ben 250 contatti, di cui il
50% con consulenti e il 50% con aziende di tipo industriale. Da questa percentuale si
sono avuti ben 30 contratti di cui 20 con aziende italiane!
Questo programma mira ad abbattere il problema del costo della manodopera riducendo
parte del peso previdenziale, ma soprattutto offre una struttura tecnica e organizzativa
d’enorme efficacia e amministrazione di pronta efficienza. I risultati finora raggiunti dal
piano Copernico sono assolutamente ottimiti: per gli svizzeri. Infatti, se i primi
esperimenti del progetto Copernico si sono avuti a Bellinzona, in un secondo momento,
vista la risposta positiva, il progetto Copernico si è direttamente recato dagli
imprenditori. Si sono avuti incontri a Padova e Milano con i risultati sopra citati.
A questo proposito è bene ricordare come la provincia di Varese veda tra i proprii
partner internazionali l’Unione Europea al primo posto per le proprie esportazioni. A
differenza però delle altre provincie Lombarde, il Paese al secondo posto è la Svizzera.
Questo va a riprova del legame unico che questa parte della Regione ha con questo
Stato. Ma vediamo come questa situazione può evolvere in paradosso.
La spinta alla delocalizzazione in Svizzera sembrerebbe quasi inverosimile,
particolarmente dal punto di vista della viabilità. L’autostrada che collega il Nord della
Lombardia al Ticino passa per Como, arriva a Lugano e a quel punto si divide andando
a Est verso Bellinzona grazie all’autostrada 2 e alla nazionale 2, e a Ovest verso
Locarno, con ben due strade: una a Nord e una a Sud del fiume Ticino. Risultato finale
e, come dicevamo sopra, assolutamente paradossale, la zona più prossima al Canton
Ticino, il Luinese, ne sarebbe praticamente baipassata a vantaggio di aree che invece
sono più lontane. Al contrario, invece, bisognerebbe cercare di riprendere le redini in
mano e fare in modo da spingere gli altri a delocalizzare in quest’area con costi
sicuramente inferiori rispetto al Canton Ticino.
Quest’esempio è importante perché ci mostra come la Svizzera oggi rappresenti un
concorrente insidioso e già organizzato nell’attirare risorse utili per lo sviluppo locale.
Non è superfluo ricordare come la rappresentazione della Svizzera per il luinese fosse,
fino ad oggi, d’opportunità, di ricchezza da acquisire e da utilizzare in territorio italiano.
Questa rappresentazione è certamente superata e fuorviante. Una delle cause delle
9
difficoltà del luinese oggi e ostacolo per eventuali rilanci futuri è proprio il rapporto di
frontiera con la Confederazione Elvetica, paese non membro dell’Unione Europea e
concorrente strutturato per l’erosione di quote di mercato dell’area interessata.
Il rapporto frontaliero con la Svizzera, passato da elemento positivo di forza ad
elemento negativo d’impoverimento e ostacolo alla crescita, non è che una parte dei
problemi del luinese.
Direttamente collegato a quest’aspetto è il problema dell’invecchiamento e svuotamento
dell’area.
Invecchiamento e svuotamento: verso la “desertificazione”?
La popolazione residente nei trenta comuni del Sistema Locale del Lavoro 73 è di
54.517 abitanti al 31 dicembre 1998, con una densità dell’area di 215 abitanti contro una
media provinciale di 678 abitanti per Km
2
. Se escludiamo l’area della SLL 73 dal
calcolo della densità degli abitanti per Km2
allora il resto della provincia ha una densità
di ben 801 abitanti per Km2
: quatto volte quella dell’area del luinese.
Abbiamo analizzato nel dettaglio per comune la presenza della popolazione in tutta
l’area, dal 1991 al 1998 e il risultati non sono confortanti. I comuni più importanti
dell’area, come Luino, hanno una densità quasi normale, che tocca la media provinciale
ma che comunque non raggiunge la media del Sud della Provincia. Verificando però
l’andamento della densità si riscontra un fenomeno preoccupante: quello dello
svuotamento. Luino nel 1991 aveva una densità di 710 abitanti per Km
2
, nel 1998 è di
683. Gli altri comuni vanno nella stessa direzione, ma in più partivano da una densità
estremamente bassa. Maccagno era a 135 nel 1991 per passare a 130 nel 1998, Valganna
è rimasto invece invariato a 119, per poi toccare punte come Pino sulla Sponda del Lago
Maggiore che da 41 abitanti nel 1991 è ora passato a 37. Per fare un esempio basti
sapere che Varese ha una densità di 1.532 abitanti per Km
2
e Busto Arsizio di 2.564
abitanti.
Si tratta di variazioni estremamente inquietanti, anche perché il movimento della densità
è in genere estremamente limitato, soprattutto in area abbastanza ridotte e con una rete
comunale estremamente fitta, come in questo caso. Il verificare addirittura un calo, che
teniamo a precisare è ben superiore al saldo naturale nascite/morti, suscita sicuramente
preoccupazione.
In questa stessa direzione conduce l’analisi delle fasce d’età. Tutta l’area di Luino
10
rappresenta il serbatoio provinciale degli abitanti con più di 65 e 75 anni.
Per gli abitanti con più di 65 anni l’area del Luinese supera il 15 % di questa tranche di
popolazione, mentre nel Sud della provincia sono tutti valori al di sotto del dieci per
cento, tranne qualche eccezione.
Se si osserva la cartina, si noterà come la situazione diventa più netta, nella sua frattura,
se si analizza la popolazione con più di settantacinque anni. Praticamente l’area si
espande, superando i limiti della SLL 73 e coinvolgendo tutta la metà Nord della
provincia.
Questi due fenomeni, d’invecchiamento e svuotamento, sono un evidente problema, che
d’altronde la stessa Unione Europea prende in considerazione nella definizione della sua
cartografia degli obbiettivi d’intervento.
Bisogna ricordare come nel resto dell’Unione Europea il far fronte allo svuotamento di
parte del territorio nazionale è una delle priorità principali dei vari Governi nazionali. La
Francia da anni attua politiche di pianificazione territoriali molto forti che mirano ad
invertire questo fenomeno che i francesi definiscono di “desertificazione”.
Il governo transalpino è anch’esso confinante con la Svizzera e anche nel suo caso esiste
un forte fenomeno di frontalierato. L’elemento di differenziazione rispetto all’Italia è
dovuto al fatto che il dipartimento di Doubs, quello che confina con l’area di Losanna,
non è certo dipendente dal Cantone svizzero con il quale confina. Certo un’eventuale
crisi dell’area di Losanna, tra l’altro già avvenuta, implicherebbe delle difficoltà per i
Francesi, ma di certo non colpirebbe la base di vita del dipartimento in questione.
Un altro esempio interessante lo troviamo in un paese non membro UE: la Norvegia.
Questo paese si è attirato non pochi nemici per il suo sostegno alla caccia alla Balena. In
realtà bisogna sapere che questo tipo d’attività non è, per la Norvegia, assolutamente
redditizio. Se questo tipo di pesca dovesse vivere solo della vendita dei prodotti sul
mercato praticamente non esisterebbe più. Il governo centrale di Oslo finanzia
pesantemente i pescatori che praticano questo tipo di pesca. L’obiettivo è quello di
tenere vive delle comunità che altrimenti si disintegrerebbero e abbandonerebbe le zone
in cui abitano per riconvertirsi in altre attività considerate redditizie.
Proprio per evitare l’abbandono di queste aree costiere nel Nord la Norvegia continua a
spendere soldi e a opporsi al resto del mondo.
In Europa tutti i Paesi pianificano i loro interventi sul territorio opponendosi allo
11
svuotamento, o desertificazione, di alcune aree. Lasciare che un territorio si svuoti è un
rischio estremamente grave. Significa perderne il controllo. Nel caso del luinese la cosa
è ancora più grave perché si consegna la dipendenza economica, e quindi sociale,
dell’area a un paese straniero, tra l’altro neanche membro della UE, come la
Confederazione Elvetica.
Quest’area può forse non toccare i limiti necessari per la deruralizzazione, cioè meno di
100 abitanti per Km
2
, ma vive un fenomeno estremamente grave di invecchiamento e
svuotamento che diventa pericolosissimo se unito a un altro fenomeno negativo per
l’area del luinese: il declino industriale.
Declino industriale e crisi dell’occupazione
Le analisi effettuate su tutta la provincia di Varese ci mettono di fronte a un fatto
estremamente chiaro e netto: la divaricazione crescente tra area luinese e resto della
Provincia.
Questa diversità riguarda particolarmente il settore dell’industria.
Se è vero che la parte Nord della Provincia di Varese è sempre stata meno ricca della
parte Sud, e le proiezioni LIUC sul valore aggiunto per comune e pressione tributaria
per comune confermano questa ipotesi, è anche vero che il luinese ha conosciuto una
radicata presenza di industrie del settore tessile.
Questa tradizione risale praticamente all’inizio del secolo con la prima
industrializzazione, è evoluta in seguito con le “fornaci” e quindi è approdata al settore
meccanico, particolarmente per la produzione di macchine tessili.
Questo know-how ha saputo evolvere e spostarsi da un settore che era ormai in crisi per
passare a quello della meccanica per la produzione riuscendo a conquistare importanti
parti di mercato. È bene sottolineare questa evoluzione da un settore a un altro per
comprendere come la fine del tessile non abbia automaticamente significato la fine
dell’economia industriale dell’area che ci interessa. Il luinese non è entrato in crisi
semplicemente perché il tessile non cresceva più e addirittura finiva. Le aziende nate in
seguito a quell’esperienza e strutturatesi intorno al meccanico ne sono la prova.
La crisi si radicalizza in seguito, durante gli anni ottanta. Le nostre rappresentazioni
cartografiche ne sono la prova. Le cartine riguardanti le Unità Locali nel confronto
1981-1992-1994 mostrano un andamento estremamente chiaro: calo netto nell’area
nord, stagnazione o crescita sensibile nella parte Sud e si disegna un forte crescita in
quella che potremmo definire la “diagonale” centrale. Questa diagonale va da Ispra e
12
Arolo, sul Lago Maggiore, si infila tra Varese da una parte e i Laghi di Monate e
Comabbio dall’altra, attraversando Inarzo, Galliate, Azzate e finisce sulla zona di
Vedano e Castiglione Olona. Si tratta di un’area di recente industrializzazione legata
alla produzione di bilance, affettatrici e antifurti, composta da piccole imprese
polarizzate intorno a imprese di maggiori dimensioni che fungono da riferimento per
l’area.
Otteniamo così una ripartizione della provincia in tre parti, come da cartina: l’area sud
di vecchia industrializzazione e che ha vissuto una profonda fase di ristrutturazione
industriale, l’area della “diagonale” centrale che invece è di nuova industrializzazione e
l’area nord che invece ha vissuto tra gli anni ottanta e novanta una profonda crisi del suo
tessuto produttivo, con un vero crollo delle unità locali senza alcun tipo di
ristrutturazione.
Queste tre diverse situazioni sono importanti non solo per identificare delle realtà
diverse sulle quali definire gli interventi necessari, ma soprattutto per capire come lo
stesso fenomeno può avere origini e ripercussioni diverse.
Nel nostro caso il calo degli addetti che si è potuto registrare tra il 1991 e il 1998 nella
provincia di Varese ha un significato diverso secondo l’area in questione. Affermiamo
subito che il calo degli addetti maggiore si è avuto nell’area Nord, ma anche le altre aree
hanno registrato dei fenomeni della stessa natura. La differenza fondamentale da mettere
in luce è legata alla natura di questi cali. Nel Sud della provincia il calo degli addetti era
dovuto a ristrutturazioni, questo significa che la diminuzione non è legata a un calo delle
imprese. Una tale situazione implica prima di tutto un minor impoverimento dell’area e
soprattutto delle possibilità di ricollocazione importanti secondo le necessità delle varie
aziende. Nell’area Nord invece il calo degli addetti è dovuto a una vera e proprio
“morte” delle aziende. Questo fenomeno impedisce qualunque tipo di ricollocazione o
evoluzione verso altri settori, ma soprattutto implica un impoverimento generale
dell’intera area.
Industria e settore meccanico
Il settore di riferimento per quest’area, come abbiamo già avuto modo di affermare, è il
meccanico legato alla produzione di macchine per l’industria. Le poche aziende presenti
trovano origine dal tessile e quindi dalla produzione di macchine per l’industria tessile.
Questo rapporto include un’analisi eseguita sempre dal laboratorio Ce.P.A. del LIUC
riguardante i vari settori. Il risultato è abbastanza chiaro.
Il settore secondario è l’unico, oltre eventuali interventi per lo sviluppo del turismo, a
13
lasciare spazi di manovra. Questa possibilità, se raccolta, provocherebbe due effetti
fondamentali: da una parte permetterebbe lo sviluppo delle imprese esistenti facendole
uscire da una delicata situazione di stallo, dall’altra permetterebbe la nascita di un certo
numero di piccole imprese che troverebbero spazio grazie alle commesse per delle sub-
forniture da parte delle imprese già esistenti.
L’area del luinese ha vissuto una profondissima crisi industriale, come abbiamo avuto
modo di affermare. Esiste un “nocciolo” di industrie operanti nel settore meccanico che
negli anni novanta sono riuscite a conquistare delle importanti fette di mercato in tutto il
mondo. Queste stesse imprese attualmente hanno dei seri problemi di reperimento del
personale specializzato, ma anche dei seri problemi di consegna. Oggi tutti questi
imprenditori consegnano a dodici mesi, quando normalmente i tempi di consegna
richiesti sarebbero a tre mesi. È evidente che questo implica delle perdite gravi e dei
rischi per il futuro di queste aziende.
Esse non richiedono un supporto di tipo assistenziale, ma hanno bisogno di trovare nel
tessuto circostante un sostegno alla produzione.
Nell’analisi fatta sono due gli elementi interessanti: la possibilità offerta di creazione di
nuove piccole imprese, coinvolgendo i privati già esistenti, e gli output di lungo periodo
dovuti a eventuali investimenti strutturali, come dal lavoro di analisi fatto dagli
econometrici del LIUC, nella valutazione degli impatti di lungo periodo degli
investimenti tramite il modello VAR.
Nel primo caso si tratta di valutare quanta parte della produzione delle imprese esistenti
potrebbe essere distribuita a altri attori. Le imprese prese in considerazione
rappresentano un fatturato totale che oscilla tra i duecentocinquanta e i trecento miliardi
di lire. Sempre secondo l’analisi di settore e secondo gli incontri che i ricercatori della
LIUC hanno avuto con queste imprese, almeno il 10% di questo fatturato verrebbe a
essere dato in subfornitura per delle chiare necessità di consegna e di snellimento della
struttura aziendale. Questi imprenditori sono chiaramente disposti a seguire direttamente
degli eventuali nuovi imprenditori che vorrebbero lanciarsi in questo tipo di attività,
costruendo così delle sinergie tra attori privati nella evoluzione del tessuto
imprenditoriale.
A ciò si aggiunge il pubblico con il sostegno a tali tipi di iniziative con diverse
possibilità. Una di queste, oltre il sostegno alla formazione, è sicuramente quello degli
investimenti strutturali che potrebbero fornire quella base sulla quale far appoggiare
14
nuove iniziative e stimolo di aspettative positive per il futuro.
Ma l’investimento pubblico deve essere valutato nel suo output anche nel lungo periodo.
Non sempre, infatti, determinate spese infrastrutturali, pur producendo output positivi
nel breve periodo, riescono a far evolvere la situazione verso una positività di lungo
periodo.
La valutazione dell’impatto di eventuali investimenti fatti nella direzione sopra indicata,
avrebbero degli effetti di lungo periodo sicuramente positivi.
Come risulta dalla relazione del dott. Serati, un investimento immaginato di 10 miliardi
di lire nell’area della SLL 73 avrebbe degli effetti chiaramente positivi nel breve
periodo, cioè nell’anno in cui sarebbe effettuato, come aumento dell’occupazione del
6,5 – 7%. Sui cinque anni l’incremento occupazionale è di 1,2% e una crescita del
Valore aggiunto di 0,4% fino ad arrivare a una stabilizzazione della crescita
occupazionale dello 0,7% oltre i cinque anni, per restare costante.
Questi dati ci danno una chiara risposta sull’impatto positivo che questi investimenti
avrebbero sulla SLL 73.
A ciò bisogna aggiungere la parte legata alle imprese.
L’analisi eseguita dal CePA mostra come le imprese esistenti nell’area siano
estremamente competitive e come negli anni passati siano riuscite a conquistare
importanti parti di mercato. In particolare l’andamento tra il 1993 e il 1995 è stato
positivo a riprova del fatto che si tratta di aziende sane e capaci di competere sul
mercato. I problemi dell’area, però, cominciano a ripercuotersi e ormai negli ultimi
quattro anni queste aziende danno evidenti segni di difficoltà.
Esse rappresentano l’ultimo bastione produttivo di un’area che rischia seriamente di
essere schiacciata. Sostenerle, e sia l’analisi dell’impatto degli investimenti sia quella
delle aziende danno prova di positività in questo senso, significa supportare
un’evoluzione positiva del tessuto sia sociale che economico.
Eleggibilità della SLL 73
Il Regolamento Generale sui Fondi strutturali (SN 1056/99) all’articolo 4 espone quelle
che dovrebbero essere le caratteristiche delle aree eleggibili a obbiettivo 2. Esse
dovrebbero essere “[…] le zone in fase di mutazione socioeconomica nei settori
dell’industria e dei servizi”.
Questo aspetto tocca direttamente la SLL 73 di Luino, come abbiamo potuto constatare.
15
La mutazione socioeconomica è collegabile a:
1. Declino industriale per quanto riguarda la fase di calo delle industrie meccaniche
presenti nell’area negli ultimi quattro anni. A questo proposito si può osservare la
relazione riguardante l’analisi settoriale che sottolinea quest’andamento,
sensibilmente positivo per un periodo, ma ormai in pericolosa fase calante. A ciò si
aggiunge il declino di lungo periodo del tessile che, anche se quasi estinto come
settore, conduce a una mutazione sociale ancora del tutto in corso.
2. L’evoluzione del frontalierato che ormai non può più rappresentare un punto di
appoggio per l’economia locale. Questo significa una riconversione per tutti quei
dipendenti di aziende svizzere che ora dovranno trovare un inserimento in Italia.
Oltre al venire meno di un tradizionale sbocco per le generazioni a venire.
3. Riconversione dell’economia locale verso un tessuto di servizi legato sia alle
imprese che al turismo. Questo aspetto è da sempre considerato come
potenzialmente presente nell’area, ma non è mai stato seriamente preso in
considerazione, particolarmente per quanto riguarda investimenti infrastrutturali per
la nascita di strutture adatta a questo tipo di attività.
L’area in questione, come abbiamo detto è la SLL 73 e in quanto tale corrisponde
all’indicazione dell’articolo 5 del SN 1056/99, secondo il quale le aree eleggibili devono
“[…] corrispondere o appartenere ad un’unità territoriale di livello NUTS III”. A
seguito, nel paragrafo “a” si richiede il criterio di un “tasso medio di disoccupazione
superiore alla media comunitaria registrato negli ultimi tre anni”.
Su questo punto la SLL 73, purtroppo, non pone dubbi, visto l’elevatissimo tasso di
disoccupazione che l’affligge ormai da anni.
Se si considera tutta la popolazione senza distinzione di sesso, dai 14 ai 65 anni, quindi
pensionati e studenti esclusi, tale percentuale supera il 10 %. Il dato ufficiale
dell’ISTAT per il periodo 1994, 1995 e 1996, come da regolamento, denuncia un tasso
medio di 10,2%.
Se però andiamo a valutare il numero dei disoccupati sulla popolazione attiva, cioè
considerando gli occupati, disoccupati e in cerca di prima occupazione, la percentuale
dei disoccupati è: 16%, 17% e 21% rispettivamente nel 1996, 1997 e 1998, per una
media dei tre anni del 18%.
Anche inserendo le casalinghe all’interno della base della popolazione attiva, il tasso di
disoccupazione non scende comunque al di sotto del 12% in media per i tre anni presi in
considerazione dal Regolamento.
16
L’occupazione nel settore industriale resta di gran lunga l’attività produttiva principale,
ma come è verificabile dai dati ISTAT del censimento intermedio per l’industria del
1996, si riscontra un calo sostanzioso rispetto al 1991, anno dell’ultimo censimento con
dati comparabili con il 1996.
Il SLL 73 mostra un calo degli addetti del 7,5 % rispetto al 1991.
La verifica di questo dato non è stata facile perché tra il 1996 e il 1991 esiste una
differenza di rilevamento. Dopo consultazione con l’ISTAT nella persona del dott.
Abate che ha seguito la raccolta dei dati del censimento 1996, si è arrivati alla decisione
di comparare gli addetti di tutti i settori escludendo il settore artigiano. Solo questo
rende comparabile il dato in questione. Nel rilevamento 1996 moltissimi artigiani che
producono i loro prodotti, come panettieri, gelatai, pasticcieri, ecc., sono stati inseriti
nelle attività industriali, mentre nel 1991 essi erano inseriti nel settore commerciale. Si è
deciso di escludere quindi tutte le attività artigiane in modo da ridurre questo fattore di
errore.
Ma anche con questo limite si rientra nelle richieste del Regolamento (SN 1056/99)
come indicato all’articolo 5 lettera “c” dove si richiede una “[…] flessione constatata
dell’occupazione nel settore industriale”.
Questo dato indica chiaramente l’eleggibilità per la SLL 73 a far parte delle aree
Obiettivo 2 della prossima Agenda 2000.
È però necessario contestualizzare questo calo dell’occupazione nell’andamento delle
imprese locali. In effetti esiste una radicale discordanza nella presenza di imprese
nell’area interessata rispetto al resto della provincia di appartenenza.
Tra il 1991 e il 1996 nella SLL 73 le imprese sono diminuite del 2,4% e ciò rappresenta
in se un dato estremamente inquietante. La preoccupazione aumenta quando si constata
nel resto della provincia un aumento delle imprese del 13,6%. Questo andamento in
direzioni opposte indica due cose:
a) il calo degli addetti, come affermato in precedenza, continua a prodursi in un
contesto di chiusura di aziende, il che rende sempre più difficile per gli abitanti
dell’area la ricollocazione o la riconversione in altri sistemi di produzione;
b) persiste una pericolosa divaricazione tra la parte Nord e la parte Sud della provincia.
Il persistere di questo andamento aggrava ulteriormente la frattura già esistente e
soprattutto restringe le possibilità di intervento da parte di qualsiasi livello
istituzionale nell’area per invertire questa dinamica.
17
La caratteristica indispensabile per poter rientrare tra le aree considerate in declino
industriale è l’avere un “ […] tasso di occupazione nel settore industriale rispetto
all’occupazione complessiva, pari o superiorie alla media comunitaria per qualsiasi anno
di riferimento a decorrere dal 1985”, come recita la lettera “b” dell’articolo 5 del già
citato Regolamento Generale SN 1056/99. La verifica fatta sul 1996 mostra come la
media dell’occupazione industriale europea sia del 31,46%, secondo i dati ufficiali del
Bollettino Eurostat. Per lo stesso anno la media della popolazione occupate nel settore
industraile, nella SLL 73, è del 46,78%, percentuale che lascia pochi dubbi sulla
caratterizzazione economica dell’intera area.
L’eliggibilità del Sistema Locale del Lavoro 73 come obiettivo 2 in Agenda 2000 non
lascia spazio a dubbi, in quanto a rientrare nei parametri richiesti. Detto ciò vi è
un’aggravante che rende più importante l’ottenimento di questo risultato:
• l’essere area di confine con un paese non UE e che quindi può fare uso di ogni tipo
di intervento per rendere più incisiva la propria competitività e concorrenza nel
mondo imprenditoriale.
• Il calo delgli addetti accompagnato dalla scomparsa delle imprese, insieme
all’invecchiamento della popolazione dell’intera area.
Queste due caratteristiche vanno ben al dilà della normale rispondenza ai tre parametri
necessari e colgono in pieno le ragioni degli interventi infrastrutturali previsti da
Agenda 2000 e cioè la mutazione socioeconomica nei settori dell’industria e dei servizi.

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  • 1. 1 BOZZA DEL RAPPORTO SUL SISTEMA LOCALE DEL LAVORO 73 (LUINO) In base al regolamento dell’Unione Europea “Riforma dei Fondi Strutturali: Programmazione 2000-2006 - Stato del Negoziato - ” Castellanza, 29 Aprile 1999
  • 2. 2 In questo rapporto è considerata come area del luinese l’insieme dei comuni che compongono il Sistema Locale del Lavoro numero 73 denominato “Luino”, individuato dopo il censimento ISTAT del 1991 e composto da trenta comuni: Agra Bedero Valcuvia Brezzo Di Bedero Brissago-Valtravaglia Brusimpiano Cadegliano-Viconago Cassano Valcuvia Castelveccana Cremenaga Cugliate-Fabiasco Cunardo Curiglia Con Monteviasco Dumenza Ferrera Di Varese Germignaga Grantola Lavena Ponte Tresa Luino Maccagno Marchirolo Marzio Masciago Primo Mesenzana Montegrino Valtravaglia Pino Sulla Sponda Del Lago Maggiore Porto Valtravaglia Rancio Valcuvia Tronzano Lago Maggiore Valganna Veddasca L’obiettivo sarà di dimostrare come la provincia di Varese sia estremamente disomogenea al proprio interno. In particolare, come l’area del luinese sia caratterizzata, rispetto al resto della provincia, da una situazione estremamente difficile e soprattutto pericolosa a causa della presenza di due fenomeni: declino industriale di lungo periodo e invecchiamento e svuotamento dell’area. Vantaggi e svantaggi del confine Un elemento di partenza per l’analisi dell’area luinese è senza dubbio la sua posizione di frontiera con il Canton Ticino della Confederazione Elvetica. Storicamente questa posizione è stata un punto d’appoggio fondamentale sia per l’economia sia per il tessuto sociale grazie a quel fenomeno conosciuto come “frontalierato”. Alcuni ex-amministratori locali sono arrivati a definire quest’area come “parassitaria” della Svizzera. Questa definizione, sicuramente estrema e negativa quanto non condivisibile, trova le sue radici nell’importanza che il frontalierato ha avuto per i luinesi. Essi vivevano in Italia pagati con stipendi svizzeri, nettamente più alti rispetto a quelli italiani e questo forniva delle entrate sostanziose per l’intera economia dell’area.
  • 3. 3 Quando però il Canton Ticino ha cominciato a vivere una seria crisi industriale, si è avuta un’immediata ripercussione nel luinese. Tutto quello che sarà scritto di seguito deve essere letto in rapporto a questa posizione geografica e a quella che inizialmente poteva essere interpretata come opportunità ma che invece si è rivelata essere una vera dipendenza. Il frontalierato La manodopera straniera attiva in Svizzera a fine agosto 1991 ammontava a 989.477 unità, ossia il 3,3% in più rispetto all'agosto dell'anno precedente. Questo incremento nasconde però tendenze contrastanti: infatti, ad un aumento dei domiciliati, si contrappone una riduzione dei dimoranti, degli stagionali e dei frontalieri. In particolare nel corso del 1991, nel Canton Ticino, ovvero la zona maggiormente caratterizzata da questo fenomeno, si è passati da una situazione di penuria di manodopera, ad una di eccedenza. Con l'aumento della disoccupazione si registra una riduzione del numero di frontalieri, che per l'anno 1994 è stata pari a 3,8%. Responsabile di questa flessione è essenzialmente il settore secondario con il 34,1% di calo nel periodo 1990-96. Var. %92-93 Var. % 93-94 Var. % 95-96 Var. %90-94 Var. % 90-96 Settore primario -6,4 -4,3 +3,9 -13,1 -19,9 Settore secondario -9,6 -3,7 -11,8 -23,6 -34,1 Settore terziario -6,1 -2,6 +9,5 +0,6 +7,7 La provincia di Varese è quella che in Lombardia dà il maggior apporto alla manodopera frontaliera: nel 1994 sono ben 15.562 le persone interessate da tale fenomeno, rispetto alle 18.676 del 1991. Ciò che negli anni è rimasto invariato sono i distretti intorno cui gravitano i frontalieri, ovvero Lugano e Mendrisio. La USSL che subisce più di altre l'influenza del mercato del lavoro ticinese è quella di Luino.
  • 4. 4 Nello specifico, per quanto riguarda la realtà luinese, il fenomeno del frontalierato assume un'importanza molto più determinante, arrivando ad interessare quasi il 40 % della popolazione residente (dati 1996), nonostante il fenomeno stesso abbia subito una flessione nel corso degli anni. E' da notare come il settore maggiormente interessato dal frontalierato, in tutta la provincia di Varese, e in particolar modo nel Luinese, sia quello secondario, e soprattutto legato alle aziende meccaniche e metallurgiche (29,37%, dati 1991). 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 Luino Laveno- Mombello Varese Sesto Calende Gallarate Tradate Busto Arsizio Saronno Frontalieri occupati per USSL 1990 1994 1996
  • 5. 5 1994 1996 Provincia e USSL Sett. primario Sett. secondario Sett. terziario Sett. primario Sett. secondario Sett. terziario Varese 128 12081 3353 114 10479 3775 Luino 68 4435 1678 61 3695 1928 Laveno-momb. 6 492 134 4 429 143 Varese 7 2069 441 8 1824 485 Induno Olona 42 4156 956 38 3676 1057 Sesto Calende - 28 7 - 23 7 Gallarate - 92 25 - 94 26 Tradate 5 759 98 3 699 112 Busto Arsizio - 22 8 - 18 6 Saronno - 28 6 - 21 11 Figura 1. Frontalieri secondo il settore economico, per Provincia e USSL di provenienza. 1994-1996 Le categorie più rappresentate sono "Operai addetti ai servizi, poco o non qualificati" (67,1%), e "Artigiani e operai qualificati" (27,47%). Valutando i dati relativi ai frontalieri occupati disaggregati per classi di età, ci si rende conto di come la tendenza sia all'invecchiamento della forza lavoro frontaliera. Infatti, i giovani frontalieri, in particolare quelli che non superano i 20 anni, sono un'esigua parte, rappresentando solo il 3% della totalità (dati 1994); questa tendenza si accentua nel 1996, anno in cui i giovani rappresentano poco più dell'1,7% della forza lavoro frontaliera. Inoltre, nella fascia di età compresa tra i 15-25 anni si rileva una percentuale maggiore di donne (67,7%) rispetto agli uomini; situazione che invece non si verifica per tutte le altre classi di età, dove la predominanza maschile è schiacciante. L'età media per gli uomini è 40 anni, mentre per le donne 34. Concludendo oggi il fenomeno del frontalierato è in una fase di diminuzione strutturale in seguito all'aggravarsi della crisi economica e quindi occupazionale nei Paesi interessati, Italia e Canton Ticino in modo particolare. Si è arrivati cioè ad un punto di svolta in cui per l’Italia è divenuto impossibile continuare a sfruttare i vantaggi derivanti da questa situazione, come al contrario era avvenuto per decenni. In modo specifico per
  • 6. 6 gli Italiani tali vantaggi erano legati alla presenza di un mercato del lavoro più ampio e al percepimento di salari più elevati. Non meno importante è l'aspetto occupazionale del frontalierato. Infatti, se prima, in una situazione di crescita economica, i lavoratori frontalieri non avevano alcuna difficoltà ad impiegarsi nelle aziende ticinesi, oggi, in seguito alla crisi congiunturale sfavorevole che il Cantone sta attraversando, gli stessi lavoratori si ritrovano senza occupazione, incrementando così il tasso di disoccupazione italiano. I Comuni vicini alla frontiera si trovano così a dover affrontare il problema occupazionale a due livelli: quello 'domestico' e quello esterno causato dalla crisi economica che investe il mercato del lavoro svizzero. Un altro aspetto di particolare rilievo, fortemente connesso a quello precedente, è legato all'evoluzione che il frontalierato ha subito: all'origine il fenomeno riguardava quasi esclusivamente una categoria di lavoratori, quella operaia che aveva la caratteristica di avere una bassa qualifica e quindi una scarsa formazione. Oggi la struttura occupazionale si è modificata nel senso che il mercato del lavoro ticinese, in seguito ai mutamenti strutturali ed organizzativi delle imprese sempre più coinvolte da processi di automazione e informatizzazione, richiede categorie più professionali, cioè con un titolo di studio più specializzato, e viceversa respinge i lavoratori frontalieri 'tradizionali', cioè operai non qualificati, andando così ad incrementare il tasso di disoccupazione di questi ultimi. Le imprese italiane che formano i propri dipendenti con corsi di specializzazione vedono sottrarsi capitale umano dalle imprese svizzere che sono in grado di offrire salari decisamente superiori. Il frontalierato quindi, per come si è sviluppato negli anni, ha assunto i caratteri di un processo patologico, a sua volta generato dalla mancata ristrutturazione del sistema produttivo esistente, e ha creato una situazione di crescita artificiale, non in grado cioè di realizzare alcun sviluppo endogeno. Ripercussioni sulle imprese Fino a quando le imprese Svizzere riuscivano a crescere, buona parte della manodopera italiana si spostava verso queste aziende, dando tra l’altro non pochi problemi a quelle aziende italiane, presenti nell’area del luinese, che vedevano partire i loro migliori operai. Quest’aspetto ha rappresentato una vera spina nel fianco per gli imprenditori luinesi perché erano costretti a cercare di pagare stipendi più alti, senza i quali i migliori dipendenti, spesso formatisi proprio nelle loro aziende, preferivano lavorare presso la concorrenza Svizzera. È evidente che le imprese luinesi erano schiacciate come “un vaso di coccio tra due vasi di ferro”: da una parte la Svizzera che poteva permettersi di
  • 7. 7 pagare meglio i propri dipendenti e dall’altra le aziende del sud della provincia che invece non vivevano questo problema della fuga della manodopera. In questo quadro il tessuto industriale luinese ha chiaramente dovuto affrontare momenti difficili fino ad arrivare ad una crisi avvenuta durante gli anni ottanta che ha praticamente segnato la fine del tessile in quest’area. In realtà è proprio questa sua posizione geografica a fragilizzare l’area Nord della provincia di Varese, per quanto possa sembrare paradossale. Il lento ma inarrestabile declino del settore tessile, da tempi lunghissimi presente tra le valli del luinese, si è scontrato con un altro fenomeno negativo importante, quello della crisi del Canton Ticino. Se da un lato avevamo un settore industriale, il principale, che era ormai entrato in una situazione di crisi irreversibile, dall’altro lato la crisi del Canton Ticino ha avuto l’effetto del “buttare benzina sul fuoco”. I primi dipendenti ad essere licenziati in seguito alla crisi ticinese sono stati proprio quegli operai specializzati italiani che hanno permesso alle aziende svizzere di crescere in modo forte e competitivo. Questi luinesi sono rientrati sul territorio italiano senza un lavoro, speranzosi di potersi a questo punto reinserire nel tessuto italiano, seppur con stipendi inferiori. Ma questo flusso si è scontrato con la realtà del tessile del luinese in profonda crisi. Le stesse aziende nelle quali questi dipendenti si erano specializzati prima di andare a lavorare in Svizzera erano chiuse o stavano per chiudere. Ciò provocava un effetto chiamato “sovrapposizione delle maree”. L’alta marea dopo alcune ore generalmente si ritira, ma nei casi peggiori il vento Scirocco soffia contro la marea impedendole un totale ritiro. Nelle ore successive, quando si manifesta la seconda marea, essa non è un normale ritorno d’acqua dopo il precedente ritiro, ma va a sommarsi alla marea precedente che, di fatto, non si è mai ritirata. È in questi casi che si registrano le “acque alte” catastrofiche. Nel luinese il ritorno della crisi ticinese si è scontrato con la crisi del tessile che ha provocato una crisi generale su tutta l’area, con conseguenze catastrofiche innescatesi a catena. Piano Copernico e delocalizzazioni verso la Svizzera Preso atto di questa situazione, è interessante osservare come la Svizzera si è comportata in una tale situazione. La sua risposta è stata molto seria e organizzata, individuata nel progetto Copernico,
  • 8. 8 voluto dal Dipartimento Ticinese delle Finanze e dell’Economia. Questo progetto consiste nell’incentivare la delocalizzazione d’imprese estere verso il Canton Ticino e, paradossalmente, le prime imprese ad essere corteggiate sono proprio quelle italiane che rispondono a queste proposte con sincero interesse prima e con i fatti in seguito. Fino a febbraio del 1999 il progetto Copernico ha stipulato ben 250 contatti, di cui il 50% con consulenti e il 50% con aziende di tipo industriale. Da questa percentuale si sono avuti ben 30 contratti di cui 20 con aziende italiane! Questo programma mira ad abbattere il problema del costo della manodopera riducendo parte del peso previdenziale, ma soprattutto offre una struttura tecnica e organizzativa d’enorme efficacia e amministrazione di pronta efficienza. I risultati finora raggiunti dal piano Copernico sono assolutamente ottimiti: per gli svizzeri. Infatti, se i primi esperimenti del progetto Copernico si sono avuti a Bellinzona, in un secondo momento, vista la risposta positiva, il progetto Copernico si è direttamente recato dagli imprenditori. Si sono avuti incontri a Padova e Milano con i risultati sopra citati. A questo proposito è bene ricordare come la provincia di Varese veda tra i proprii partner internazionali l’Unione Europea al primo posto per le proprie esportazioni. A differenza però delle altre provincie Lombarde, il Paese al secondo posto è la Svizzera. Questo va a riprova del legame unico che questa parte della Regione ha con questo Stato. Ma vediamo come questa situazione può evolvere in paradosso. La spinta alla delocalizzazione in Svizzera sembrerebbe quasi inverosimile, particolarmente dal punto di vista della viabilità. L’autostrada che collega il Nord della Lombardia al Ticino passa per Como, arriva a Lugano e a quel punto si divide andando a Est verso Bellinzona grazie all’autostrada 2 e alla nazionale 2, e a Ovest verso Locarno, con ben due strade: una a Nord e una a Sud del fiume Ticino. Risultato finale e, come dicevamo sopra, assolutamente paradossale, la zona più prossima al Canton Ticino, il Luinese, ne sarebbe praticamente baipassata a vantaggio di aree che invece sono più lontane. Al contrario, invece, bisognerebbe cercare di riprendere le redini in mano e fare in modo da spingere gli altri a delocalizzare in quest’area con costi sicuramente inferiori rispetto al Canton Ticino. Quest’esempio è importante perché ci mostra come la Svizzera oggi rappresenti un concorrente insidioso e già organizzato nell’attirare risorse utili per lo sviluppo locale. Non è superfluo ricordare come la rappresentazione della Svizzera per il luinese fosse, fino ad oggi, d’opportunità, di ricchezza da acquisire e da utilizzare in territorio italiano. Questa rappresentazione è certamente superata e fuorviante. Una delle cause delle
  • 9. 9 difficoltà del luinese oggi e ostacolo per eventuali rilanci futuri è proprio il rapporto di frontiera con la Confederazione Elvetica, paese non membro dell’Unione Europea e concorrente strutturato per l’erosione di quote di mercato dell’area interessata. Il rapporto frontaliero con la Svizzera, passato da elemento positivo di forza ad elemento negativo d’impoverimento e ostacolo alla crescita, non è che una parte dei problemi del luinese. Direttamente collegato a quest’aspetto è il problema dell’invecchiamento e svuotamento dell’area. Invecchiamento e svuotamento: verso la “desertificazione”? La popolazione residente nei trenta comuni del Sistema Locale del Lavoro 73 è di 54.517 abitanti al 31 dicembre 1998, con una densità dell’area di 215 abitanti contro una media provinciale di 678 abitanti per Km 2 . Se escludiamo l’area della SLL 73 dal calcolo della densità degli abitanti per Km2 allora il resto della provincia ha una densità di ben 801 abitanti per Km2 : quatto volte quella dell’area del luinese. Abbiamo analizzato nel dettaglio per comune la presenza della popolazione in tutta l’area, dal 1991 al 1998 e il risultati non sono confortanti. I comuni più importanti dell’area, come Luino, hanno una densità quasi normale, che tocca la media provinciale ma che comunque non raggiunge la media del Sud della Provincia. Verificando però l’andamento della densità si riscontra un fenomeno preoccupante: quello dello svuotamento. Luino nel 1991 aveva una densità di 710 abitanti per Km 2 , nel 1998 è di 683. Gli altri comuni vanno nella stessa direzione, ma in più partivano da una densità estremamente bassa. Maccagno era a 135 nel 1991 per passare a 130 nel 1998, Valganna è rimasto invece invariato a 119, per poi toccare punte come Pino sulla Sponda del Lago Maggiore che da 41 abitanti nel 1991 è ora passato a 37. Per fare un esempio basti sapere che Varese ha una densità di 1.532 abitanti per Km 2 e Busto Arsizio di 2.564 abitanti. Si tratta di variazioni estremamente inquietanti, anche perché il movimento della densità è in genere estremamente limitato, soprattutto in area abbastanza ridotte e con una rete comunale estremamente fitta, come in questo caso. Il verificare addirittura un calo, che teniamo a precisare è ben superiore al saldo naturale nascite/morti, suscita sicuramente preoccupazione. In questa stessa direzione conduce l’analisi delle fasce d’età. Tutta l’area di Luino
  • 10. 10 rappresenta il serbatoio provinciale degli abitanti con più di 65 e 75 anni. Per gli abitanti con più di 65 anni l’area del Luinese supera il 15 % di questa tranche di popolazione, mentre nel Sud della provincia sono tutti valori al di sotto del dieci per cento, tranne qualche eccezione. Se si osserva la cartina, si noterà come la situazione diventa più netta, nella sua frattura, se si analizza la popolazione con più di settantacinque anni. Praticamente l’area si espande, superando i limiti della SLL 73 e coinvolgendo tutta la metà Nord della provincia. Questi due fenomeni, d’invecchiamento e svuotamento, sono un evidente problema, che d’altronde la stessa Unione Europea prende in considerazione nella definizione della sua cartografia degli obbiettivi d’intervento. Bisogna ricordare come nel resto dell’Unione Europea il far fronte allo svuotamento di parte del territorio nazionale è una delle priorità principali dei vari Governi nazionali. La Francia da anni attua politiche di pianificazione territoriali molto forti che mirano ad invertire questo fenomeno che i francesi definiscono di “desertificazione”. Il governo transalpino è anch’esso confinante con la Svizzera e anche nel suo caso esiste un forte fenomeno di frontalierato. L’elemento di differenziazione rispetto all’Italia è dovuto al fatto che il dipartimento di Doubs, quello che confina con l’area di Losanna, non è certo dipendente dal Cantone svizzero con il quale confina. Certo un’eventuale crisi dell’area di Losanna, tra l’altro già avvenuta, implicherebbe delle difficoltà per i Francesi, ma di certo non colpirebbe la base di vita del dipartimento in questione. Un altro esempio interessante lo troviamo in un paese non membro UE: la Norvegia. Questo paese si è attirato non pochi nemici per il suo sostegno alla caccia alla Balena. In realtà bisogna sapere che questo tipo d’attività non è, per la Norvegia, assolutamente redditizio. Se questo tipo di pesca dovesse vivere solo della vendita dei prodotti sul mercato praticamente non esisterebbe più. Il governo centrale di Oslo finanzia pesantemente i pescatori che praticano questo tipo di pesca. L’obiettivo è quello di tenere vive delle comunità che altrimenti si disintegrerebbero e abbandonerebbe le zone in cui abitano per riconvertirsi in altre attività considerate redditizie. Proprio per evitare l’abbandono di queste aree costiere nel Nord la Norvegia continua a spendere soldi e a opporsi al resto del mondo. In Europa tutti i Paesi pianificano i loro interventi sul territorio opponendosi allo
  • 11. 11 svuotamento, o desertificazione, di alcune aree. Lasciare che un territorio si svuoti è un rischio estremamente grave. Significa perderne il controllo. Nel caso del luinese la cosa è ancora più grave perché si consegna la dipendenza economica, e quindi sociale, dell’area a un paese straniero, tra l’altro neanche membro della UE, come la Confederazione Elvetica. Quest’area può forse non toccare i limiti necessari per la deruralizzazione, cioè meno di 100 abitanti per Km 2 , ma vive un fenomeno estremamente grave di invecchiamento e svuotamento che diventa pericolosissimo se unito a un altro fenomeno negativo per l’area del luinese: il declino industriale. Declino industriale e crisi dell’occupazione Le analisi effettuate su tutta la provincia di Varese ci mettono di fronte a un fatto estremamente chiaro e netto: la divaricazione crescente tra area luinese e resto della Provincia. Questa diversità riguarda particolarmente il settore dell’industria. Se è vero che la parte Nord della Provincia di Varese è sempre stata meno ricca della parte Sud, e le proiezioni LIUC sul valore aggiunto per comune e pressione tributaria per comune confermano questa ipotesi, è anche vero che il luinese ha conosciuto una radicata presenza di industrie del settore tessile. Questa tradizione risale praticamente all’inizio del secolo con la prima industrializzazione, è evoluta in seguito con le “fornaci” e quindi è approdata al settore meccanico, particolarmente per la produzione di macchine tessili. Questo know-how ha saputo evolvere e spostarsi da un settore che era ormai in crisi per passare a quello della meccanica per la produzione riuscendo a conquistare importanti parti di mercato. È bene sottolineare questa evoluzione da un settore a un altro per comprendere come la fine del tessile non abbia automaticamente significato la fine dell’economia industriale dell’area che ci interessa. Il luinese non è entrato in crisi semplicemente perché il tessile non cresceva più e addirittura finiva. Le aziende nate in seguito a quell’esperienza e strutturatesi intorno al meccanico ne sono la prova. La crisi si radicalizza in seguito, durante gli anni ottanta. Le nostre rappresentazioni cartografiche ne sono la prova. Le cartine riguardanti le Unità Locali nel confronto 1981-1992-1994 mostrano un andamento estremamente chiaro: calo netto nell’area nord, stagnazione o crescita sensibile nella parte Sud e si disegna un forte crescita in quella che potremmo definire la “diagonale” centrale. Questa diagonale va da Ispra e
  • 12. 12 Arolo, sul Lago Maggiore, si infila tra Varese da una parte e i Laghi di Monate e Comabbio dall’altra, attraversando Inarzo, Galliate, Azzate e finisce sulla zona di Vedano e Castiglione Olona. Si tratta di un’area di recente industrializzazione legata alla produzione di bilance, affettatrici e antifurti, composta da piccole imprese polarizzate intorno a imprese di maggiori dimensioni che fungono da riferimento per l’area. Otteniamo così una ripartizione della provincia in tre parti, come da cartina: l’area sud di vecchia industrializzazione e che ha vissuto una profonda fase di ristrutturazione industriale, l’area della “diagonale” centrale che invece è di nuova industrializzazione e l’area nord che invece ha vissuto tra gli anni ottanta e novanta una profonda crisi del suo tessuto produttivo, con un vero crollo delle unità locali senza alcun tipo di ristrutturazione. Queste tre diverse situazioni sono importanti non solo per identificare delle realtà diverse sulle quali definire gli interventi necessari, ma soprattutto per capire come lo stesso fenomeno può avere origini e ripercussioni diverse. Nel nostro caso il calo degli addetti che si è potuto registrare tra il 1991 e il 1998 nella provincia di Varese ha un significato diverso secondo l’area in questione. Affermiamo subito che il calo degli addetti maggiore si è avuto nell’area Nord, ma anche le altre aree hanno registrato dei fenomeni della stessa natura. La differenza fondamentale da mettere in luce è legata alla natura di questi cali. Nel Sud della provincia il calo degli addetti era dovuto a ristrutturazioni, questo significa che la diminuzione non è legata a un calo delle imprese. Una tale situazione implica prima di tutto un minor impoverimento dell’area e soprattutto delle possibilità di ricollocazione importanti secondo le necessità delle varie aziende. Nell’area Nord invece il calo degli addetti è dovuto a una vera e proprio “morte” delle aziende. Questo fenomeno impedisce qualunque tipo di ricollocazione o evoluzione verso altri settori, ma soprattutto implica un impoverimento generale dell’intera area. Industria e settore meccanico Il settore di riferimento per quest’area, come abbiamo già avuto modo di affermare, è il meccanico legato alla produzione di macchine per l’industria. Le poche aziende presenti trovano origine dal tessile e quindi dalla produzione di macchine per l’industria tessile. Questo rapporto include un’analisi eseguita sempre dal laboratorio Ce.P.A. del LIUC riguardante i vari settori. Il risultato è abbastanza chiaro. Il settore secondario è l’unico, oltre eventuali interventi per lo sviluppo del turismo, a
  • 13. 13 lasciare spazi di manovra. Questa possibilità, se raccolta, provocherebbe due effetti fondamentali: da una parte permetterebbe lo sviluppo delle imprese esistenti facendole uscire da una delicata situazione di stallo, dall’altra permetterebbe la nascita di un certo numero di piccole imprese che troverebbero spazio grazie alle commesse per delle sub- forniture da parte delle imprese già esistenti. L’area del luinese ha vissuto una profondissima crisi industriale, come abbiamo avuto modo di affermare. Esiste un “nocciolo” di industrie operanti nel settore meccanico che negli anni novanta sono riuscite a conquistare delle importanti fette di mercato in tutto il mondo. Queste stesse imprese attualmente hanno dei seri problemi di reperimento del personale specializzato, ma anche dei seri problemi di consegna. Oggi tutti questi imprenditori consegnano a dodici mesi, quando normalmente i tempi di consegna richiesti sarebbero a tre mesi. È evidente che questo implica delle perdite gravi e dei rischi per il futuro di queste aziende. Esse non richiedono un supporto di tipo assistenziale, ma hanno bisogno di trovare nel tessuto circostante un sostegno alla produzione. Nell’analisi fatta sono due gli elementi interessanti: la possibilità offerta di creazione di nuove piccole imprese, coinvolgendo i privati già esistenti, e gli output di lungo periodo dovuti a eventuali investimenti strutturali, come dal lavoro di analisi fatto dagli econometrici del LIUC, nella valutazione degli impatti di lungo periodo degli investimenti tramite il modello VAR. Nel primo caso si tratta di valutare quanta parte della produzione delle imprese esistenti potrebbe essere distribuita a altri attori. Le imprese prese in considerazione rappresentano un fatturato totale che oscilla tra i duecentocinquanta e i trecento miliardi di lire. Sempre secondo l’analisi di settore e secondo gli incontri che i ricercatori della LIUC hanno avuto con queste imprese, almeno il 10% di questo fatturato verrebbe a essere dato in subfornitura per delle chiare necessità di consegna e di snellimento della struttura aziendale. Questi imprenditori sono chiaramente disposti a seguire direttamente degli eventuali nuovi imprenditori che vorrebbero lanciarsi in questo tipo di attività, costruendo così delle sinergie tra attori privati nella evoluzione del tessuto imprenditoriale. A ciò si aggiunge il pubblico con il sostegno a tali tipi di iniziative con diverse possibilità. Una di queste, oltre il sostegno alla formazione, è sicuramente quello degli investimenti strutturali che potrebbero fornire quella base sulla quale far appoggiare
  • 14. 14 nuove iniziative e stimolo di aspettative positive per il futuro. Ma l’investimento pubblico deve essere valutato nel suo output anche nel lungo periodo. Non sempre, infatti, determinate spese infrastrutturali, pur producendo output positivi nel breve periodo, riescono a far evolvere la situazione verso una positività di lungo periodo. La valutazione dell’impatto di eventuali investimenti fatti nella direzione sopra indicata, avrebbero degli effetti di lungo periodo sicuramente positivi. Come risulta dalla relazione del dott. Serati, un investimento immaginato di 10 miliardi di lire nell’area della SLL 73 avrebbe degli effetti chiaramente positivi nel breve periodo, cioè nell’anno in cui sarebbe effettuato, come aumento dell’occupazione del 6,5 – 7%. Sui cinque anni l’incremento occupazionale è di 1,2% e una crescita del Valore aggiunto di 0,4% fino ad arrivare a una stabilizzazione della crescita occupazionale dello 0,7% oltre i cinque anni, per restare costante. Questi dati ci danno una chiara risposta sull’impatto positivo che questi investimenti avrebbero sulla SLL 73. A ciò bisogna aggiungere la parte legata alle imprese. L’analisi eseguita dal CePA mostra come le imprese esistenti nell’area siano estremamente competitive e come negli anni passati siano riuscite a conquistare importanti parti di mercato. In particolare l’andamento tra il 1993 e il 1995 è stato positivo a riprova del fatto che si tratta di aziende sane e capaci di competere sul mercato. I problemi dell’area, però, cominciano a ripercuotersi e ormai negli ultimi quattro anni queste aziende danno evidenti segni di difficoltà. Esse rappresentano l’ultimo bastione produttivo di un’area che rischia seriamente di essere schiacciata. Sostenerle, e sia l’analisi dell’impatto degli investimenti sia quella delle aziende danno prova di positività in questo senso, significa supportare un’evoluzione positiva del tessuto sia sociale che economico. Eleggibilità della SLL 73 Il Regolamento Generale sui Fondi strutturali (SN 1056/99) all’articolo 4 espone quelle che dovrebbero essere le caratteristiche delle aree eleggibili a obbiettivo 2. Esse dovrebbero essere “[…] le zone in fase di mutazione socioeconomica nei settori dell’industria e dei servizi”. Questo aspetto tocca direttamente la SLL 73 di Luino, come abbiamo potuto constatare.
  • 15. 15 La mutazione socioeconomica è collegabile a: 1. Declino industriale per quanto riguarda la fase di calo delle industrie meccaniche presenti nell’area negli ultimi quattro anni. A questo proposito si può osservare la relazione riguardante l’analisi settoriale che sottolinea quest’andamento, sensibilmente positivo per un periodo, ma ormai in pericolosa fase calante. A ciò si aggiunge il declino di lungo periodo del tessile che, anche se quasi estinto come settore, conduce a una mutazione sociale ancora del tutto in corso. 2. L’evoluzione del frontalierato che ormai non può più rappresentare un punto di appoggio per l’economia locale. Questo significa una riconversione per tutti quei dipendenti di aziende svizzere che ora dovranno trovare un inserimento in Italia. Oltre al venire meno di un tradizionale sbocco per le generazioni a venire. 3. Riconversione dell’economia locale verso un tessuto di servizi legato sia alle imprese che al turismo. Questo aspetto è da sempre considerato come potenzialmente presente nell’area, ma non è mai stato seriamente preso in considerazione, particolarmente per quanto riguarda investimenti infrastrutturali per la nascita di strutture adatta a questo tipo di attività. L’area in questione, come abbiamo detto è la SLL 73 e in quanto tale corrisponde all’indicazione dell’articolo 5 del SN 1056/99, secondo il quale le aree eleggibili devono “[…] corrispondere o appartenere ad un’unità territoriale di livello NUTS III”. A seguito, nel paragrafo “a” si richiede il criterio di un “tasso medio di disoccupazione superiore alla media comunitaria registrato negli ultimi tre anni”. Su questo punto la SLL 73, purtroppo, non pone dubbi, visto l’elevatissimo tasso di disoccupazione che l’affligge ormai da anni. Se si considera tutta la popolazione senza distinzione di sesso, dai 14 ai 65 anni, quindi pensionati e studenti esclusi, tale percentuale supera il 10 %. Il dato ufficiale dell’ISTAT per il periodo 1994, 1995 e 1996, come da regolamento, denuncia un tasso medio di 10,2%. Se però andiamo a valutare il numero dei disoccupati sulla popolazione attiva, cioè considerando gli occupati, disoccupati e in cerca di prima occupazione, la percentuale dei disoccupati è: 16%, 17% e 21% rispettivamente nel 1996, 1997 e 1998, per una media dei tre anni del 18%. Anche inserendo le casalinghe all’interno della base della popolazione attiva, il tasso di disoccupazione non scende comunque al di sotto del 12% in media per i tre anni presi in considerazione dal Regolamento.
  • 16. 16 L’occupazione nel settore industriale resta di gran lunga l’attività produttiva principale, ma come è verificabile dai dati ISTAT del censimento intermedio per l’industria del 1996, si riscontra un calo sostanzioso rispetto al 1991, anno dell’ultimo censimento con dati comparabili con il 1996. Il SLL 73 mostra un calo degli addetti del 7,5 % rispetto al 1991. La verifica di questo dato non è stata facile perché tra il 1996 e il 1991 esiste una differenza di rilevamento. Dopo consultazione con l’ISTAT nella persona del dott. Abate che ha seguito la raccolta dei dati del censimento 1996, si è arrivati alla decisione di comparare gli addetti di tutti i settori escludendo il settore artigiano. Solo questo rende comparabile il dato in questione. Nel rilevamento 1996 moltissimi artigiani che producono i loro prodotti, come panettieri, gelatai, pasticcieri, ecc., sono stati inseriti nelle attività industriali, mentre nel 1991 essi erano inseriti nel settore commerciale. Si è deciso di escludere quindi tutte le attività artigiane in modo da ridurre questo fattore di errore. Ma anche con questo limite si rientra nelle richieste del Regolamento (SN 1056/99) come indicato all’articolo 5 lettera “c” dove si richiede una “[…] flessione constatata dell’occupazione nel settore industriale”. Questo dato indica chiaramente l’eleggibilità per la SLL 73 a far parte delle aree Obiettivo 2 della prossima Agenda 2000. È però necessario contestualizzare questo calo dell’occupazione nell’andamento delle imprese locali. In effetti esiste una radicale discordanza nella presenza di imprese nell’area interessata rispetto al resto della provincia di appartenenza. Tra il 1991 e il 1996 nella SLL 73 le imprese sono diminuite del 2,4% e ciò rappresenta in se un dato estremamente inquietante. La preoccupazione aumenta quando si constata nel resto della provincia un aumento delle imprese del 13,6%. Questo andamento in direzioni opposte indica due cose: a) il calo degli addetti, come affermato in precedenza, continua a prodursi in un contesto di chiusura di aziende, il che rende sempre più difficile per gli abitanti dell’area la ricollocazione o la riconversione in altri sistemi di produzione; b) persiste una pericolosa divaricazione tra la parte Nord e la parte Sud della provincia. Il persistere di questo andamento aggrava ulteriormente la frattura già esistente e soprattutto restringe le possibilità di intervento da parte di qualsiasi livello istituzionale nell’area per invertire questa dinamica.
  • 17. 17 La caratteristica indispensabile per poter rientrare tra le aree considerate in declino industriale è l’avere un “ […] tasso di occupazione nel settore industriale rispetto all’occupazione complessiva, pari o superiorie alla media comunitaria per qualsiasi anno di riferimento a decorrere dal 1985”, come recita la lettera “b” dell’articolo 5 del già citato Regolamento Generale SN 1056/99. La verifica fatta sul 1996 mostra come la media dell’occupazione industriale europea sia del 31,46%, secondo i dati ufficiali del Bollettino Eurostat. Per lo stesso anno la media della popolazione occupate nel settore industraile, nella SLL 73, è del 46,78%, percentuale che lascia pochi dubbi sulla caratterizzazione economica dell’intera area. L’eliggibilità del Sistema Locale del Lavoro 73 come obiettivo 2 in Agenda 2000 non lascia spazio a dubbi, in quanto a rientrare nei parametri richiesti. Detto ciò vi è un’aggravante che rende più importante l’ottenimento di questo risultato: • l’essere area di confine con un paese non UE e che quindi può fare uso di ogni tipo di intervento per rendere più incisiva la propria competitività e concorrenza nel mondo imprenditoriale. • Il calo delgli addetti accompagnato dalla scomparsa delle imprese, insieme all’invecchiamento della popolazione dell’intera area. Queste due caratteristiche vanno ben al dilà della normale rispondenza ai tre parametri necessari e colgono in pieno le ragioni degli interventi infrastrutturali previsti da Agenda 2000 e cioè la mutazione socioeconomica nei settori dell’industria e dei servizi.