2. DataMediaHub, e KPI6, hanno analizzato le conversazioni su Twitter dal 25 Aprile al
17 Giugno per cercare di comprendere la diffusione del fenomeno che normalmente
viene raccolto nella definizione di “hate speech”.
Obiettivo della desk research condotta è quello di dare una dimensione, sia
quantitativa che qualitativa, all’hate speech, così da poter analizzare il fenomeno su
una base il più razionale possibile anziché, come è avvenuto sin ora, lasciando spazio
a discorsi generali basati su opinioni e sentimenti personali.
Abbiamo deciso di sviluppare questo importante lavoro per fornire il nostro
contributo ad un tema che se basato su ideologie e presupposti errati potrebbe
causare danni notevoli all’ecosistema dell’informazione, nella sua accezione più
ampia.
Infatti, anche se, fortunatamente, pare essere caduta nel dimenticatoio, avvertiamo
comunque il rischio di proposte come quella formulata non più tardi di qualche mese
fa dall'onorevole Luigi Marattin.
Anche se il nostro studio si focalizza sulle conversazioni in Italia, e in italiano, il nostro
lavoro si inserisce anche in un quadro più ampio, come nel caso della proposta di legge
francese, fortunatamente respinta dal tribunale d’oltralpe proprio in questi giorni.
Così come avviene anche dall’altro lato dell’Oceano con i tentativi di Trump, dopo gli
aspri scontri con Twitter, di modificare una sezione di una legge del 1996 che
sostanzialmente dice che “i gestori” non sono responsabili dei contenuti postati dagli
utenti. Norma per 24 anni ha fatto sì che chiunque oggi possa postare quello che vuole
sui social, senza un controllo preventivo.
Se cadesse questa norma, cadrebbe Internet come lo conosciamo, e la libertà di
espressione in Rete sarebbe seriamente minacciata, come avviene già oggi nei Paesi
con regimi totalitari.
Per questo sono state esaminate sette categorie di discorsi d’odio:
3. - Generici. Comprendenti almeno uno di questi termini: Bastardo, bastardi,
stronzo, stronzi, stronza, stronze, stupido, imbecille, imbecilli, "testa di cazzo",
coglione, coglioni, "rotto in culo", pappone, "faccia da cazzo", "testa di
minchia", rincoglionito, rincoglioniti, "faccia da culo", "mezza sega", pipparolo,
"figlio di puttana", "figli di puttana", deficiente, leccaculo, sciacallo, "scarto
umano", "ciccione di merda", "obeso di merda", Kitemmuort, fottiti,
ciccionazzo;
- Sessismo. Comprendente almeno uno di questi termini: Battona, mignotta,
puttana, troia, battone, mignotte, puttane, troie, pompinara, pompinare,
bagascia, bagasce, baldracca, baldracche, zoccola, zoccole;
- Omofobia. Comprendente almeno uno di questi termini: Frocio, finocchio,
checca, ricchione, recchione, culattone, froci, checche, culattoni, ricchioni,
recchioni, busone, busoni, succhiacazzi, ciuccacazzi, "altra sponda",
altrasponda, sodomizzato, pompinaro, bocchinaro, "succhia cazzi";
- Razzismo. Comprendente almeno uno di questi termini: Negro, negri, "occhi a
mandorla", cinesi, neri, nero, marocchini, marocchino, islamici, islamico,
albanese, albanesi, talebano, talebani, zingaro, extracomunitario, zingari,
extracomunitari, africano, africani, asiatico, mulatto, tedesco, tedeschi,
francesi, francese. In associazione con i seguenti termini: merda, bastardo,
bastardi, “infame di minchia", infami, muori, uccidersi, uccidere, stronzo,
stronzi, bastardo, bastardi, stronzo, stronzi, stronza, stronze, stupido, imbecille,
imbecilli, "testa di cazzo", coglione, coglioni, "rotto in culo", pappone, "faccia
da cazzo", rincoglionito, rincoglioniti, pipparolo, "figlio di puttana", "figli di
puttana" deficiente, leccaculo, sciacallo, "scarto umano", "ciccione di merda",
"obeso di merda", Kitemmuort, fottiti, ciccionazzo, schifo, merdaio;
- Antisemitismo. Comprendente almeno uno di questi termini: Ebreaccia,
ebreaccio, ebreo, ebrei, giudeo, giudei, Israele, israeliani, sionista, sionisti. In
associazione con i seguenti termini: merda, bastardo, bastardi, infame,
4. infami, "devi morire" "dovete morire”, muori, sporco, sporca, lurido, lurida,
maledetti, maledetto, frocio, froci, manipolatorie, manipolatori, massone,
massoni, crepa, crepate;
- Discriminazione Territoriale. Comprendente almeno uno di questi termini:
Terrone, polentone, "Senti che puzza scappano anche i cani stanno arrivando i
napoletani”, "lavali col fuoco", "forza Vesuvio", "forza Etna", napoletano,
napoletani, calabresi, calabrese, emiliani, toscano, toscani, pugliesi, milanesi,
veneti, piemontesi, siciliani, siciliano, romani, romagnoli romagnolo. In
associazione con i seguenti termini: mafiosi, camorristi, mafioso, camorrista,
bastardo, bastardi, stronzo, stronzi, stronza, stronze, stupido, imbecille,
imbecilli, "testa di cazzo", coglione, coglioni, "rotto in culo", pappone, "faccia
da cazzo", "testa di minchia", rincoglionito, "figlio di puttana", "figli di puttana",
deficiente, leccaculo, sciacallo, "scarto umano", "ciccione di merda", "obeso di
merda", Kitemmuort, fottiti;
- Ideologie Politiche. Comprendente almeno uno di questi termini: Fascista,
fascisti, comunisti, comunista, nazista, nazisti, "zecca rossa", "zecche rosse",
"fascio bastardo", "mangia bambini".
Complessivamente sono stati identificati 679mila tweet e 263mila condivisioni, da
parte di 148mila utenti unici, contenenti almeno uno dei termini sopra riportati.
Si tratta solamente del 3.7% dei tweet postati nel periodo sulla piattaforma social in
questione. Un elemento che fornisce una prima dimensione di quanto, in realtà, i
discorsi d’odio siano assolutamente marginali rispetto al volume totale delle
conversazioni su Twitter.
5. Altrettanto marginali sono il numero di utenti unici considerando che, stando agli
ultimi dati disponibili, Twitter conta 10.5 milioni di utenti unici in Italia, dei quali
148mila sono solamente l’1.4%.
Di questi la maggior parte sono insulti “generici”, così come sopra definiti, che
rappresentano quasi due terzi del totale. Altro ambito nel quale si concentrano buona
parte dei pochi insulti, è legato all’ideologia politica, che ha un peso di circa un quarto
del totale. Seguono con un’incidenza inferiore sessismo, omofobia, e razzismo,
mentre discriminazione territoriale e antisemitismo restano assolutamente marginali,
come mostra l’infografica sottostante.
Entrando nel dettaglio si vede come gli insulti e i discorsi d’odio abbiano avuto un
picco in concomitanza con i festeggiamenti del 25 Aprile, per le polemiche che sono
seguite alle dichiarazioni di alcuni esponenti di spicco del centro-destra.
Stabili e al top fra tutti gli insulti “generici”, che come abbiamo visto rappresentano la
quota maggiore tra tutte le categorie di discorsi d’odio monitorate. Aspetto che
approfondire nella parte della ricerca relativa specificatamente all’analisi semantica.
6. Al contrario, in crescita quelli legati a fenomeni di sessismo, anche se, come mostra
l’infografica sotto riportata, si tratta di volumi di conversazioni davvero modesti, che
nel periodo preso in esame arrivano massimo a mille citazioni giornaliere. Un
fenomeno non per questo meno deprecabile, ma certamente molto contenuto.
Davvero modesti, come era già emerso dall’infografica di sintesi dei risultati, i volumi
delle altre tematiche esplorate che, al massimo, come nel caso dell’omofobia o del
razzismo, raggiungono i 250 tweet/die.
7. Nel complesso i volumi delle conversazioni relative ad incitamento all’odio generico
e quelli relativi alle ideologie politiche sono circa 681mila, mentre tutti gli altri poco
più di 61mila.
Il tasso di engagement di tutti i contenuti analizzati è del 0.26%. Possiamo dunque
concludere che, non solo i contenuti di hate speech sono assolutamente minoritari
rispetto al volume totale delle conversazioni, ma anche che il livello di coinvolgimento
che generano è davvero ridotto.
Questo non toglie che il sistematico utilizzo di violenza verbale da parte di alcuni
soggetti, che talvolta arrivano addirittura a indicare il bersaglio da colpire, sia un
fenomeno che richieda un’assunzione di responsabilità dalla quale nessuno può
esimersi.
Coloro che si rendono protagonisti di insulti e incitamento all’odio sono, per oltre due
terzi, di sesso maschile e si concentrano prevalentemente nella fascia di età tra 25 e
44 anni, che complessivamente pesa il 64.4%.
A proposito di omofobia e sessismo, un primato che non fa certo onore ai maschi
adulti, e anche se abbiamo scelto, contrariamente ad altri, di non pubblicare i nomi,
per non incorrere nella contraddizione di condannare chi indica il bersaglio per poi
fare altrettanto, notiamo che molto spesso si tratta di utenti con nomi fantasiosi o di
fantasia, diciamo, che fanno un uso molto intenso di Twitter ma che, come
dimostrano i dati di engagement, hanno un seguito molto ridotto e, appunto,
generano un livello di coinvolgimento che definire minimo è un eufemismo.
Naturalmente, come ben sappiamo, nonostante puerili tentativi di dissimulare la
propria identità, è assolutamente possibile risalire a che ci sia dietro un determinato
account Twitter. Non c’è bisogno dunque di nuove leggi, come spesso, erroneamente,
si invoca, ma di dotare la polizia postale di maggiori risorse umane e tecniche che
8. consentano di monitorare meglio, e con maggior tempestività, eventuali fenomeni
che posso essere pericolosi per i cittadini.
Nella bio degli “haters” il termine maggiormente ricorrente è “Italia”, che compare
nel 4.8% dei casi. Tale termine viene con buona frequenza associato a “romano”,
“destra”, “bandiera”, “fiero”, e “tradizioni”, per quanto riguarda la politica.
Dalla combinazione dell’analisi semantica e delle emoji associate a contenuti di hate
speech, abbiamo anche analizzato quali fossero i sentimenti prevalenti.
Come era naturale attendersi prevalgono sentimenti di disapprovazione, che sono
presenti nel 44.1% dei casi, seguiti da quelli di rabbia, che ricorrono il 30% delle volte.
Le quattro aree tematiche nelle quali si concentra la maggior conflittualità sono
relative a legge, governo, e politica, che pesa oltre un quarto del totale [26%].
Intrattenimento, con per oggetto dispute fuori dai limiti della discussione civile, tra gli
altri, David Parenzo, Fabio Fazio, Bruno Vespa, e Fiorella Mannoia, ma anche Enrico
9. Mentana e Beppe Grillo. Quest’area di contrasti decisamente fuori dalle righe
concentra poco più di un quinto [21%] del totale.
Altri ambiti in cui vi è una particolare concentrazione di discorsi d’odio è quella delle
news, che naturalmente danno lo spunto per discussioni tanto accese quanto,
talvolta, fuori luogo. Ed è notizia di questi giorni che un tribunale australiano ha
stabilito che gli editori sono responsabili dei commenti che vengono lasciati a margine
dei loro post sui social.
Sentenza che ribalta l’approccio attuale che invece vorrebbe scaricare sulle
piattaforme social la responsabilità, rendendole pericolosamente arbitri di cosa e
come si possa dire e cosa invece no, e che rappresenta la naturale conclusione di una
gestione dei social da parte dei publisher di quotidiani che non è esagerato definire
scellerata, come abbiamo documentato in passato.
Se nell’area delle news si concentra il 19% dei discorsi d’odio, l’altro ambito nel quale
vi è una forte concentrazione di hate speech [13% del totale] è lo sport, e
naturalmente, come non poteva essere altrimenti, in particolare nel calcio, con alcuni
calciatori bersaglio di critiche, a cominciare da Chiellini, recentemente al centro di
polemiche con Balottelli, ma non solo, per i contenuti del suo libro.
Se, come abbiamo visto, l’area che dà origine a maggiori controversie, e relativi
eccessi, è quella relativa a legge, governo, e politica, c’è n’è davvero, quasi, per tutti.
Come mostra la word cloud, si va da Matteo Salvini a Paola Taverna, passando per
Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, per citare quelli che maggiormente appaiono
bersaglio di hate speech.
Se per taluni, come Salvini, questo diventa un’arma, uno strumento di una
comunicazione che fa ampio uso di aggressività, fortunatamente così non è per tutti,
e non stupisce dunque la particolare sensibilità, diciamo, dei nostri politici rispetto
all’hate speech. Sensibilità che ovviamente è naturale ma che altrettanto ovviamente
10. non può e non deve sfociare in richieste di leggi e provvedimenti che per altro, per lo
più, sono già esistenti e vanno solamente applicati con maggior rigore.
Rispetto ai tre soggetti maggiormente menzionati, come si vede dalla word cloud
sopra riportata, Salvini, Meloni, e Conte, emergono risultati d’interesse.
Per quanto riguarda il leader della Lega, seppure a prevalere siano insulti di tipo
generico, quali in particolare “coglione” e “coglioni”, è forte, come era naturale
attendersi, la connotazione politica.
Ben presente infatti tutta l’area di conversazioni rispetto alle accuse di razzismo e
fascismo, nonché di sciacallaggio. Al riguardo è interessante notare come altro
termine che viene associato alla citazione di Salvini sia “Vesuvio lavali”. Si tratta
evidentemente di una parte dei supporter del leader leghista che invocano a gran
voce che questo accada. Che i napoletani vengano sommersi dalla lava del vulcano.
Un altro aspetto di interesse riguarda Giorgia Meloni. Per quanto riguarda la leader di
Fratelli d’Italia vi è una netta prevalenza di discorsi d’odio riferiti alle accuse di
fascismo, e di essere fascista, che pesano circa un quarto del totale delle
conversazioni contenenti elementi che la riguardano.
11. Per contro, sono davvero ridotti invece insulti a lei riferiti che siano caratterizzati da
sessismo, così come lo abbiamo definito nella parte introduttiva del report.
Si torna invece ad una prevalenza di insulti generici per quanto riguarda l’attuale
premier, con ancora una volta i termini utilizzati nei confronti di Salvini, che
costituiscono buona parte degli epiteti lanciati nei suoi confronti. Evidentemente da
appartenenti alla fazione opposta rispetto a chi insulta il leader leghista.
12. Altri politici che vengono particolarmente bersagliati sono Matteo Renzi, presente nel
0.5% del totale delle citazioni analizzate. Stessa incidenza per Luigi Di Maio, mentre
sia Carlo Calenda che Claudio Borghi compaiono entrambi nel 0.4% dei casi. La metà
di Conte al 0.8%, un quarto della Meloni, al 1.6%, e molto al di sotto del 2.6% di Salvini.
Il giornalista maggiormente insultato è Andrea Scanzi, al 0.5%, con una netta
prevalenza di termini generici, in buona parte dello stesso tenore di quelli rivolti a
Salvini, ma naturalmente da parte opposta.
Altro giornalista che raccoglie un forte dissenso è Vittorio Feltri, al 0.4% del totale dei
679mila tweet classificati come hate speech. In questo caso, oltre, ancora una volta,
ad insulti generici dello stesso genere di quelli rivolti a Scanzi, a prevalere sono le
accuse di fascismo, e di essere fascista, associate a quelle di essere, citiamo
testualmente, “rincoglionito”.
Infine, non mancano gli attacchi ad alcuni organi di informazione. Ad essere
bersagliati sono in particolare la Repubblica, il Corriere della Sera, e il Fatto
Quotidiano.
Repubblica guida questa poco gradevole classifica con il 0.9% delle citazioni. Corriere
e Fatto si attestano entrambi al 0.5%. Per tutte le testate l’associazione più comune è
quella ad insulti di carattere generico quali, ancora una volta, in prevalenza
“coglione”, e “coglioni”.
Se tale termine, che abbiamo visto essere il più ricorrente tra gli insulti di carattere
generico, certamente non è espressione di un linguaggio ricercato o educato,
altrettanto viene utilizzato diffusamente a livello colloquiale, tanto che anche
Wikipedia spiega che: «Il termine è anche utilizzato in senso dispregiativo ed è entrato
da tempo nel linguaggio corrente con il significato di persona inetta, poco avveduta,
che non prevede le conseguenze dei propri atti per insufficiente intelligenza».
13. Del resto lo stesso Feltri, che come abbiamo visto è spesso oggetto di tale locuzione,
utilizza a sua volta, spesso e volentieri tali termini su Twitter, come si può facilmente
constatare scorrendo la sua timeline.
Sempre al riguardo ricordiamo che anche Leopardi, tra le altre cose, già alla sua epoca
scriveva «Ridiamo insieme alle spalle di questi coglioni che possiedono l'orbe
terraqueo».
Anche fascista, come pure comunista [che compare altrettanto nei discordi d’odio],
così come razzista, seppure naturalmente vengano utilizzati con un fine che
indubbiamente è di violenza verbale, senza dubbio sono constatazioni relativamente
oggettive di posizioni politiche degli uni e degli altri.
Se dall’analisi avessimo escluso tali termini, il cui peso all’interno delle conversazioni
analizzate è riportato nell’infografica sottostante, il volume totale dei discorsi d’odio,
e il loro peso rispetto al volume totale delle conversazioni, sarebbe stato di gran lunga
inferiore a quel 3.7% che la nostra ricerca indica.
14. In conclusione, possiamo dunque affermare che, seppure vi sia da mantenere alta
l’attenzione sul fenomeno, e senza dubbio vi siano a livello individuale pericolosi
eccessi, il rapporto indica con chiarezza quanto l’hate speech sia un fenomeno ben
più circoscritto e limitato rispetto a quanto la narrazione generale sul tema lasci
apparire.
Si tratta di un fenomeno spesso dovuto ad una scarsa alfabetizzazione digitale, e
altrettanto problematica condizione psicologica, che per alcuni soggetti si traduce in
una scarsa, o nulla, consapevolezza che quanto viene scritto sui social resta
permanentemente, e che la mediazione attraverso lo schermo di uno smartphone
non implica minore attenzione rispetto alla comunicazione de visu.
Dalla nostra prospettiva, in termini di raccomandazione conclusiva, riteniamo che
rispetto al fenomeno sia più proficuo intervenire a livello di educazione e
acculturamento digitale, sul quale il nostro Paese presenta gravi lacune, piuttosto che
ipotizzare ulteriori restrizioni rispetto alle leggi già in vigore, sia perché riteniamo che
sia sempre meglio un approccio [pro]positivo che uno punitivo, che perché, visto che
le leggi già esistono, un loro inasprimento troverebbe le medesime difficoltà di
applicazione di quelle in vigore.
Il Rapporto è il frutto del lavoro di Silvia Ciampa, PR Manager KPI6, Marco Mazza, Data
Analyst KPI6, Gaetano Masi, Chief Product Officer KPI6, Pier Luca Santoro, Project
Manager DataMediaHub. Estensore del rapporto Pier Luca Santoro.
22 Giugno 2020