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Università degli Studi Firenze
CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE
Pedagogical approach to the safeguarding and valorization
of cultural heritage
Anno Accademico 2015/2016
Patrimonio identitario delle donne vittime di
discriminazione e educazione alla non violenza.
Proposta di ricerca teorica e applicata in chiave pedagogica
con interventi educativi in ambito di cooperazione
internazionale
Direttore corso
Prof.ssa Giovanna del Gobbo
Corsista Tutor
Dott.ssa Stella Rita Emmanuele Dott.ssa Glenda Galeotti
1
Indice 1
Il Corso e la Cattedra 2
Introduzione 4
Capitolo 1 4
Contesto della Ricerca
1.1 Donne, violenza e povertà 5
1.2 Discriminazione multipla 6
1.3 La situazione cilena: il Popolo Mapuche 7
Capitolo 2 8
Obiettivo e Metodologia della Ricerca
Capitolo 3 9
Fasi di ricerca e risultati attesi
Riflessioni e approfondimenti personali 11
Bibliografia 16
Sitografia 18
2
Il Corso e la Cattedra
Il corso di aggiornamento professionale Pedagogical approach to the safeguarding and valorization
of Cultural Heritage (L’educazione per la salvaguardia e valorizzazione del Patrimonio
Culturale) ha coinvolto me ed altri corsisti, alcuni di loro già impegnati nel settore culturale pubblico
e privato, nei mesi compresi tra Gennaio e Luglio 2016. Il corso intende rispondere ad una domanda
di aggiornamento e adeguamento di conoscenze, competenze e strumenti per la salvaguardia dinamica
del patrimonio culturale immateriale e materiale dei territori e per nuove forme di valorizzazione
educativa finalizzate alla consapevolezza e alla corresponsabilizzazione delle comunità,
all’attivazione di processi di governance e cittadinanza attiva, ma anche all’innovazione del settore
in direzione imprenditoriale/Social Innovation, il tutto grazie ad un approccio integrato e
interdisciplinare.
La necessità del riconoscimento e della piena valorizzazione dei patrimoni delle comunità locali,
quale elemento imprescindibile per lo sviluppo umano endogeno, equo e sostenibile, è già sostenuta
da alcuni anni nei documenti strategici internazionali. Un ovvio riferimento è la Dichiarazione sul
Patrimonio Culturale Mondiale del 1972, ma è soprattutto nella Dichiarazione per la Salvaguardia del
Patrimonio Culturale Immateriale, approvata a Parigi il 17 ottobre 2003 che la dimensione educativa
è ulteriormente sottolineata in termini di azione di sostegno per lo sviluppo delle capacità necessarie,
a tutti i livelli, per una corretta gestione del patrimonio culturale che tenga conto anche della
dimensione dell’inclusione e del lavoro.
Il Corso si articola in quattro moduli principali che si incastrano tra loro, in teoria tramite lezioni
frontali, lezioni interattive, dibattiti e confronti, testimonianze; in pratica grazie ai lavori di gruppo
3
tra noi corsisti con il sostegno ed i feedback dello Staff ma soprattutto frequentando le 50 ore di Stage
presso strutture apposite.
Nel mio caso ho avuto l’opportunità di svolgere lo stage presso la Cattedra Transdisciplinare
UNESCO “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” ove collaboro alla ricerca. Essa è diretta dall’Emerito
Prof. P. Orefice (mio tutor esterno al corso) e dal Prof. P. Federighi; sita presso il Dipartimento di
Scienze della Formazione e Psicologia/SCIFOPSI dell’Università degli Studi di Firenze. I valori
promossi dalla stessa sono coerenti con i principi UNESCO al fine di promuovere un approccio
transdisciplinare verso l’Ecoumanesimo planetario; l’importanza della diversità come ricchezza; la
salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e materiale come identità costituiva di ciascun
popolo; il “cittadino terrestre” di Edgar Morin che comporta una riforma del pensiero in coerenza al
flusso del nuovo modo di stare nel mondo che inevitabilmente ci travolge.
I temi trattati dalla Cattedra sono attualmente incentrati su nove focus suddivisi in tre livelli:
1° livello generale “Scienza complessa dell’educazione” comprende i focus:
 Epistemologia - Scienza complessa dell’educazione
 Teoria – Ecoumanesimo planetario e locale
 Metodologia – I professionisti dell’educazione dei saperi
2° livello centrale “Pedagogico” comprende i focus:
 Epistemologia – Teoria pedagogica dei saperi
 Teoria – Costruzione dei saperi individuali e collettivi
 Metodologia – R.A.P. ricerca azione partecipativa e professionale
3° livello buone pratiche/metodologico “Sviluppo educativo e buone pratiche innovative e di società”
comprende i focus:
 Epistemologia – Sviluppo delle persone, delle culture e delle società
 Teoria – Comunità locali
 Metodologia – Buone pratiche di sviluppo educativo delle persone, delle culture e delle
società
In particolare, il tema della mia attività di stage rientra nel 3° livello e riguarda la valorizzazione del
patrimonio identitario della donna indigena vittima, purtroppo di duplice discriminazione ossia, la
violenza di genere di cui è succube in quanto donna; la violenza subita perché appartenente ad
un’etnia. L’obiettivo progettuale e pedagogico che mi sono posta è il seguente: come “educare alla
non violenza” giovani e giovanissimi? Grazie e attraverso la Civitas Educationis.
I concetti chiave della Cattedra che promuove il progetto e i relativi settori di intervento, sono già
contenuti nella denominazione della stessa, “Sviluppo Umano e Cultura di Pace”. Sviluppo non solo
4
razionale in quanto (soprattutto in America Latina) emerge una forte dimensione emozionale,
entrambi gli elementi/aspetti viaggiano insieme.
Cultura di Pace richiama l’educazione alla comprensione umana, anzi ne costituisce la base. La
comprensione empatica è essenziale al fine di comprendere l’altro, ma per fare ciò è necessario, in
primis, capire noi stessi tramite un processo di autoanalisi monitorato costantemente.
Introduzione
In epoca di globalizzazione, su quale base è possibile ipotizzare e praticare una formazione che,
rispettando le innumerevoli diversità di vita contro ogni tentativo di omologazione planetaria, esalti
le peculiarità comuni a tutti gli esseri umani e contribuisca alla costruzione dell'identità e
dell'appartenenza di specie?
Si tratta di valorizzare il "potenziale di conoscenza", che presiede ai processi di antropizzazione sin
dalle origini e si è venuto costruendo in oltre tre miliardi e mezzo di evoluzione dei viventi e dei loro
domini conoscitivi sino alla nostra specie, che grazie ad esso continua a generare le società e le culture
della storia. Oggi, l’umanesimo planetario, utopia emergente negli attuali processi di globalizzazione,
impone la piena valorizzazione delle possibilità conoscitive di ciascuno e di tutti gli esseri umani, in
particolare di quanti, ne sono stati maggiormente impediti, tra questi le minoranze etniche, religiose
razziali e di genere ossia, le donne. Nella Società globale della Conoscenza la formazione è chiamata
a coprire una posizione centrale. Per partecipare allo sviluppo dell’umanesimo planetario verso la
comprensione e l’accettazione della diversità come ricchezza personale e comunitaria, “i percorsi
della formazione" lavorano in maniera integrata su ambedue i versanti conoscitivi del sentire e del
pensare, liberando le potenzialità di conoscenza e di comunicazione degli uomini e delle donne, a
qualunque società e cultura appartengano (Orefice 2003.)
1 Contesto della Ricerca
Il progetto di ricerca si contestualizza a favore della valorizzazione del patrimonio identitario della
donna indigena vittima, ad oggi, di duplice discriminazione ossia, la violenza di genere di cui è
succube in quanto donna; la violenza subita dalla cultura esterna perché appartenente ad un’etnia.
Imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri rispettando le innumerevoli diversità è
principio fondante che la scuola tramite l’istruzione, ben integrata alla cultura del luogo ma al
contempo in un’ottica planetaria, deve insegnare alle giovani generazioni sin dalla prima infanzia.
Con la frequenza delle scuole i bambini vengono sottratti agli orrori della quotidianità. L’istruzione
dà loro la possibilità di poter analizzare in modo critico e consapevole la realtà che li circonda, dà
loro gli strumenti per poter discutere e dialogare in modo fruttuoso. Infatti, è proprio sui banchi di
scuola che si impara a socializzare e a rispettare gli altri, le minoranze, le diversità. La scuola
dovrebbe insegnare diritti e doveri dell’individuo, rafforzandone l’identità, ma all’insegna della
tolleranza (Lyotard 1979.) Anzi aggiungo di più, non solo tutto ciò deve avvenire all’interno di un
contesto di educazione formale, ma a cascata è necessario il passaggio attraverso un’educazione non
formale per giungere sino a quella informale ove si apprende in maniera naturale e spontanea; ed è
qui che interviene l’educatore sociale.
Educare alla consapevolezza della violenza, condividendo ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri
e trarne beneficio, queste sono le armi vincenti per un futuro all’insegna della pace.
5
Oggi è giunto il tempo, data la drammaticità degli eventi, di intervenire al fine di placare per poi
eliminare definitivamente il problema della discriminazione/violenza di genere ed etnica che le donne
subiscono. È necessario salvaguardare il patrimonio identitario della donna, anzi di più, valorizzarlo!
affinché tali violenze non si ripresentino; ciò costituisce il risultato atteso.
1.1 Donne, violenza e povertà
Più del 70% delle persone che nel mondo vivono nell’indigenza, secondo le stime dell’Onu, sono
donne; è la discriminazione uno dei temi chiave della povertà. In alcuni paesi la discriminazione
contro le donne è parte integrante delle leggi nazionali, in altri persiste nonostante leggi per la parità.
Le donne non hanno lo stesso accesso alle risorse e ai mezzi di produzione come la terra, il credito e
i diritti di eredità. Non ricevono gli stessi stipendi degli uomini e la maggior parte del loro lavoro non
è retribuito. Le donne spesso hanno occupazioni informali senza alcuno standard di sicurezza o
protezione sociale. Allo stesso tempo sono ancora le principali responsabili della cura della famiglia
e della casa.
La povertà, per le donne, è sia causa che conseguenza della violenza. Le donne che subiscono
aggressioni fisiche, sessuali o psicologiche perdono il loro reddito e la loro capacità produttiva viene
danneggiata. Inoltre, la povertà rende più difficile per le donne trovare una via di fuga dai
maltrattamenti. Se è vero che l’indipendenza economica non le protegge dalla violenza, l’accesso alle
risorse economiche può migliorare la loro capacità di compiere scelte significative.
La discriminazione e la violenza contro le donne spesso vanno per mano, contribuendo alla negazione
del diritto alla salute, all’istruzione, ad una casa e al cibo. La povertà in più mette le donne e le ragazze
a rischio di ulteriori abusi e violenze, chiudendo il circolo vizioso.
La discriminazione mette a repentaglio i diritti umani di diversi gruppi sociali, tra cui le popolazioni
native, i gruppi etnici, razziali, religiosi o le minoranze linguistiche e migranti. In questi contesti, le
donne subiscono una doppia discriminazione, sia come membri di tali gruppi che come donne/genere.
La povertà è più che una semplice mancanza di reddito è anche mancanza di sicurezza, di voce, di
scelte. Le donne subiscono gli effetti della povertà in maniera particolare a causa del loro ruolo nella
società, nella comunità e nella famiglia. Tuttavia, loro non sono vittime passive, possono essere
cittadine partecipi e attiviste per i diritti umani, agenti del cambiamento che reclamano i loro stessi
diritti, possono organizzarsi chiedendo giustizia e riconoscimento delle responsabilità e lavorare per
migliorare le loro vite e la situazione delle loro famiglie, comunità (Woodman 2004.)
Per muoversi su questa strada l’istruzione è necessaria ma è un diritto che viene a loro spesso negato!
Lo dimostra la combinazione di stereotipi di genere e costi scolastici (spesso viene data la priorità
all’educazione dei ragazzi perché sono visti come coloro che in futuro si faranno carico del
sostentamento della famiglia) che porta al fatto che circa una ragazza su cinque abbandona la scuola
tra i 13 e i 14 anni. Molte si ritrovano con un’istruzione minima se non nulla e pochissime prospettive
di indipendenza economica e di conseguenza senza possibilità di decidere della loro vita (Ulivieri
1995.)
6
1.2 Discriminazione multipla
Le donne spesso si trovano ad affrontare una multipla discriminazione: sono discriminate e vengono
loro negati diritti in quanto donne e in quanto facenti parte di un gruppo emarginato o minoritario,
così come le donne che vivono in povertà subiscono la discriminazione semplicemente per il fatto di
essere povere.
La discriminazione è intimamente collegata alla violenza contro le donne. Essa influenza le forme di
violenza che le donne subiscono e rende alcune di loro più soggette a certe forme di sopruso perché
hanno un più basso status sociale rispetto ad altre e perché i responsabili di questi abusi sono
consapevoli che è meno probabile che queste li denuncino o chiedano assistenza.
La discriminazione che le donne si trovano ad affrontare preclude loro l’accesso alla giustizia, alla
protezione o ai servizi; questa esclusione nasce dalla povertà e la radica ulteriormente. Molte delle
donne che vivono nell’indigenza non hanno accesso alle cure sanitarie perché non possono sostenerne
i costi o perché non possono affrontare le spese per raggiungere le strutture sanitarie. Altre trovano
ostacoli perché non sono istruite, non parlano la lingua ufficiale o perché non vengono loro date le
informazioni di cui hanno bisogno in quanto vittime di pregiudizi profondamente radicati.
Quando le donne e le ragazze però comprendono grazie all’istruzione che hanno dei diritti, li
rivendicano con forza nonostante tutte le difficoltà che incontrano. Quando le donne denunciano e
fanno valere i loro diritti o i diritti di altri gruppi emarginati, corrono dei seri pericoli perché sfidano
i pregiudizi culturali e sociali e rappresentano una minaccia per i poteri forti, in quanto motore del
progresso sociale e dell’implementazione dei diritti umani. Infatti, uno dei fattori chiave per il rispetto
dei diritti umani è l’uguaglianza tra uomini e donne e questo principio si riflette in tutti gli standard
per l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione dunque violenza (Ulivieri 1997.)
Una cosa è certa: uguaglianza e diritti potranno essere raggiunti quando le donne parteciperanno
attivamente al processo politico e di conseguenza la loro voce sarà ascoltata; questa è la via d’uscita!
Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nel comprendere che i diritti delle donne sono
diritti umani. Nonostante i progressi nella comprensione e gli sviluppi nel diritto internazionale, le
vite di molte donne sono migliorate di poco: gli stati e le organizzazioni internazionali devono
7
lavorare più duramente per difendere i diritti delle donne nella pratica, con una forte volontà politica
e in tutto il mondo, attraverso e grazie una cooperazione internazionale.
1.3 La situazione cilena: il Popolo Mapuche
Padre e figlia; etnia Mapuche; Cile
Oggi i Mapuche costituiscono circa il 13% della popolazione cilena, vivono nelle zone rurali del sud
del Cile, in una piccola parte del territorio argentino e nei grandi centri urbani, concentrati in quartieri
molto poveri. Il diritto alla autodeterminazione è stato loro negato dall’avvento del colonialismo,
mentre il loro territorio, cultura, lingua, religiosità e ambiente sono costantemente minacciati.
Il colonialismo ha portato, inoltre, un'ondata di forte maschilismo (machismo) e oggi le donne
preferiscono non lasciare il proprio clan, come accadeva un tempo nell’antica cultura mapuche, ove
dopo il matrimonio le donne andavano a vivere nel territorio del marito. La violenza sulle donne è
contro natura, ma con l’avvento della “conquista spagnola” essa è giunta anche nelle loro
famiglie/comunità.
Nell'avvicinarsi al popolo Mapuche, alla sua storia e alla sua recente lotta per la conquista dei diritti
fondamentali, un elemento in particolare assume rilevanza per leggere e capire un universo così
affascinante e differente dalle modalità con cui siamo abituati a pensare noi stessi, l'altro e il mondo
che ci circonda. La chiave di lettura è il nome stesso di questo popolo del sud del mondo, Mapuche
significa infatti "popolo della terra" (mapu=terra, che=uomo) ed è proprio il rapporto con la terra il
fondamento da cui muovono e in base al quale prendono forma la cultura, l'organizzazione politica e
sociale, l'economia e la vita quotidiana di questa etnia. La natura è Madre Terra e il popolo mapuche
si sente parte della natura. La Natura è la Grande Madre alla quale la donna è particolarmente vicina
perché è la sua figura maestra, colei che le insegna come agire in questo mondo.
Attualmente la condizione della donna in Cile risulta relativamente complessa. In seguito ai
cambiamenti dati dalla modernità e dai modelli occidentali, la situazione si presenta molto differente
se si analizzano un contesto rurale od uno urbano, io mi riferisco al primo. Storicamente subordinata
è la donna, anche quando incinta, che all’interno della famiglia si deve assumere la responsabilità di
fare i lavori di casa, di accudire i figli ed il resto della famiglia, compiti che una qualsiasi donna per
8
sua natura deve portare a termine in quanto “donna”.
Il lavoro domestico oltre a non essere ricompensato a livello economico ha sempre permesso agli
uomini di dedicarsi ad altre attività remunerative per sé stessi o la famiglia, o di partecipare alla vita
sociale, politica, artistica, spesso negata alle donne. Quei rari casi in cui la donna intraprende un
lavoro remunerativo o una carriera fuori dall’ambiente domestico, tuttora non è trattata allo stesso
livello di un uomo e non si produce una giusta distribuzione dei compiti all’interno della coppia o del
nucleo familiare.
In Cile (e altri simili contesti) la maggior parte delle donne deve supplire a questa mancanza facendo
un doppio lavoro: mantenere una casa ed avere un’occupazione per guadagnare. Tutto questo causa,
nella maggior parte dei casi, un sovraccarico emotivo e fisico che le espone maggiormente al rischio
di contrarre patologie.
Il machismo in Cile è un problema sociale tuttora presente, dato dalla impari relazione tra i sessi. La
definizione classica di “machismo” è: “un atteggiamento/un’attitudine sociale di ostentazione di
caratteri virili e mascolini”. Il marito spesso si comporta in modo violento con la moglie, è autoritario,
abusa di alcool e droghe, ha relazioni sessuali non protette con altre donne; tutte condotte che possono
solo aumentare il rischio di violenza sessuale verso la moglie o la compagna, di trasmissione del virus
dell’HIV e di gravidanze non desiderate, oltre ovviamente alla generazione di un circolo vizioso di
sofferenza per la donna all’interno del proprio nucleo familiare.
Inoltre, crescere sin da piccoli in un ambiente violento o presenziare fisicamente ad aggressioni e
maltrattamenti porta a far sì che facilmente si ricada negli stessi comportamenti; quella che viene
chiamata “trasmissione culturale intergenerazionale”.
In Cile la così diffusa violenza intra-familiare è un grave problema educativo e di salute pubblica!
Quello che adesso ci si aspetta dal sistema educativo e sanitario cileno è che si cerchi di realizzare
una maggiore educazione alla non violenza rivolta soprattutto a giovani e giovanissimi per renderli
consapevoli del fatto che è anche loro responsabilità generare ben-essere nelle loro future compagne
e alle donne in generale. Il governo cileno da molti anni sta attuando a livello nazionale campagne di
sensibilizzazione e miglioramento del servizio sanitario al cittadino, specificatamente nel settore delle
politiche sessuali e riproduttive e della prevenzione della violenza di genere.
Le azioni educative sono dirette principalmente in due direzioni: la prima si preoccupa di mettere in
pratica e sottolineare l’importanza del concetto di “diritti umani e parità degli stessi”; la seconda
propaganda e sostiene il “pensiero progressista in merito al sesso femminile”. Negli ultimi tempi, in
seguito a pressioni perché questo aspetto machista della cultura cilena cambiasse verso la parità, molti
giovani padri partecipano attivamente alla gestazione, al parto ed al puerperio.
La tesi principale è che, perché un paese si possa considerare moderno in tutti i suoi settori è
essenziale che al suo interno esista la parità di trattamento in tutti gli ambiti - sociale, economico,
lavorativo e familiare - tra l’uomo e la donna (Cuomo, Bombelli 2003.)
2 Obiettivo e Metodologia della Ricerca
Il tema del Progetto di ricerca riguarda la valorizzazione del patrimonio identitario della donna
indigena vittima di duplice discriminazione ossia, la violenza di genere di cui è succube in quanto
donna; la violenza subita dalla cultura esterna perché appartenente ad un’etnia. Il focus progettuale e
pedagogico che ho attenzionato è il seguente: come educare alla non violenza giovani e giovanissimi?
Grazie e attraverso la Civitas Educationis: Cittadini della Terra (Orefice 2015.)
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Imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri questo significa essere Cittadini della Terra.
Cultura, educazione, istruzione sono fondamentali per insegnare alle giovani generazioni i principi
della non violenza già dalla prima infanzia. L’obiettivo e dunque lo scopo conoscitivo del progetto di
ricerca è comprendere quali sono i fattori che concorrono alla condizione di discriminazione della
donna mapuche e quale educazione può contribuire a diminuire questi fattori.
La metodologia della ricerca impiegata per raggiungere l’obiettivo è la R.A.P. (Ricerca Azione
Partecipativa) adatta a progetti di cooperazione allo sviluppo e all’ empowerment (Orefice 2006.)
Presupposto dell’intervento di ricerca è che il problema, che reclama comunque un’azione
conoscitiva, ha origine nella stessa comunità che necessita dell’intervento e il fine ultimo della ricerca
è la trasformazione di quelle condizioni che hanno determinato l’insorgere del problema, o meglio è
offrire la possibilità ai destinatari dell’intervento di “costruire” le conoscenze necessarie per cambiare
la situazione. Il ricercatore agendo sul campo osserva e comprende al meglio i fattori discriminatori
verso la donna mapuche che soffre di questa duplice condizione della quale è succube.
Infatti, la R.A.P. implica anche la partecipazione attiva e totale di quanti sono interessati al processo
(donne, giovani e tutta la comunità), poiché non si tratta di trasmettere saperi o imporre relazioni, ma
di sostenere il procedere naturale della conoscenza che di fronte ad un problema (violenza etnica e di
genere) è chiamata a trovare risposte più adeguate grazie al rapporto, costruzione o ricostruzione di
relazioni. Essa è un’operazione ricca di emozioni, sensazioni, vissuti, perché basata su un approccio
educativo “con e per” le persone e non “su” le persone (Del Gobbo 2007.)
3 Fasi di ricerca e risultati attesi
Occorre, innanzitutto fare indagini di sfondo e di contesto e cominciare a testare metodologie e
tecniche con gruppi etnici grazie ai quali poter lavorare empiricamente. Il lavoro di campo all’estero
richiede prima studi e approfondimenti teorici e metodologici, pedagogici e di scienze
dell’educazione, anche di carattere internazionale. Successivamente si può procedere con le fasi di
lavoro articolate in primis su due domande: 1) come si fa a conoscere quali sono i fattori di
discriminazione della donna cilena mapuche?; 2) come faccio a sapere quale educazione è più adatta
alla situazione e al contesto? Le due istanze, di fatto, si coniugano grazie alla dinamica di ricerca
interna assunta tra le due sin dal principio del lavoro.
Schematizzando al massimo l'intera sequenza delle fasi della ricerca, sotto il profilo del processo
scientifico e del supporto allo sviluppo educativo e culturale delle comunità mapuche del Cile, può
essere ricondotta a questi passaggi.
1. Identificazione del problema. Questa prima operazione, si esprime attorno ai seguenti
interrogativi, che indicano nello stesso tempo le motivazioni e le finalità di un possibile progetto di
educazione permanente in ambito territoriale: come realizzare un progetto di ricerca che sia allo
stesso tempo un intervento di educazione permanente per la promozione all’interno della comunità
mapuche di comprensione e sostegno alla donna vittima di violenza? e dunque come sensibilizzare e
educare giovani e giovanissimi su questa tematica della duplice discriminazione (etnica e di genere)
della quale la donna mapuche è tutt’oggi vittima?
2. Ideazione. Questi interrogativi sono l'alimento del progetto di ricerca presentato. Esso ha utilizzato
da una parte, lo studio della letteratura su questi argomenti (riportati in bibliografia e sitografia) e
dall'altra, la riflessione sugli interventi dei casi studio che ho potuto constatare e approfondire durante
la formazione in Cattedra Transdisciplinare UNESCO “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” e la
10
frequenza al corso di aggiornamento professionale “Pedagogical approach to the safeguarding and
valorization of Cultural Heritage” presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia;
Università di Firenze.
3. Adozione dell'idea e progettazione generale. Questa potrebbe avvenire da parte di un gruppo di
ricerca costituitosi intorno ad una Cattedra di Pedagogia generale e sociale, Cattedra UNESCO o altre
equipollenti con un nucleo centrale di studiosi coinvolti e stabile nel tempo, per quanto ciò sia
possibile, composto da personale universitario, ricercatori, educatori, pedagogisti e giovani laureati.
4. Sviluppo e implementazione. L'intervento di ricerca generale può, anzi deve, prevedere diversi stadi
ciascuno con la sua specifica progettazione, realizzazione e valutazione. In tal modo alla fine di
ciascuno di essi il modello verrà rivisto con i relativi riorientamenti e ristrutturazioni per lo stadio
seguente. Il monitoraggio continuo è essenziale per capire i bisogni e le esigenze che provengono
dalla comunità stessa, al fine di relazionarci al meglio ed intervenire educativamente.
Questo in breve il percorso da seguire:
4.1 Primo stadio. In un primo tempo, il gruppo di ricerca può sperimentare il modello della R.A.P.
attraverso un'esperienza di auto-educazione dalla comunità locale mapuche del Cile, in cui il nucleo
operativo in loco e la popolazione etnica potranno lavorare, anzi cooperare e collaborare, utilizzando
il metodo della ricerca attorno ai problemi della duplice discriminazione di cui la donna è vittima
proprio nel loro territorio, al fine di capire le motivazioni; eliminare il machismo; educare le giovani
generazioni al rispetto e alla parità dei sessi.
4.2 Secondo stadio. Per queste ragioni, in un secondo tempo potrà essere utile sperimentare un
modello che corrisponderà ad un nuovo stadio: quello della formazione degli operatori locali. Si
potrebbe optare per una sua doppia utilizzazione: (I) nella scuola, attraverso un accurato lavoro di
formazione in servizio, centrata sulla didattica partecipativa degli insegnanti della Scuola in comunità
(villaggio) oppure della Scuola dell'obbligo in Santiago del Cile (zona metropolitana); (II) nel campo
dell'educazione degli adulti, attraverso un lavoro di osservazione, confronto, interazione con le donne
del luogo.
Questo permetterà di trasferire il modello dagli operatori esterni agli operatori interni alle comunità,
con l'imperativo categorico di individuare le figure professionali corrispondenti e più consone a
svolgere efficacemente queste funzioni riguardo ai temi dell’educazione alla non violenza e al rispetto
dei diritti umani.
4.3 Terzo stadio. In un terzo tempo, il lavoro si concentrerà su tre obiettivi: individuare e formare gli
operatori locali per l'educazione della comunità; prevedere la frequenza agli incontri formativi e la
ricchezza argomentativa consona alla comunità (target); e assistere gli operatori in un primo periodo
dall’avvio del progetto.
5. Valutazione e disseminazione (nel corso del progetto di ricerca e negli anni successivi).
Impossibile al momento trarre delle valutazioni in quanto il progetto di ricerca è solo una mera
proposta. Di certo la valutazione così come intesa nell’aspetto pedagogico-didattico non deve essere
11
solo conclusiva o sommativa, bensì va monitorata costantemente nel corso della messa in atto del
progetto tra i vari stadi, così come ho già accennato.
Per giungere gradualmente ai risultati attesi, l’educazione dovrebbe intraprendere due vie
convergenti: ad un primo livello, la scoperta graduale degli altri. Il compito dell’educazione è
insegnare, nello stesso tempo, la diversità della razza umana e una consapevolezza delle somiglianze
e dell’interdipendenza fra tutti gli esseri umani; ad un secondo livello, tendere verso obiettivi comuni.
Quando si lavora insieme su progetti gratificanti che fanno uscire dall’abituale routine, le differenze
e perfino i conflitti tra individui tendono a passare in secondo piano e talvolta a scomparire in quanto
ne deriva una nuova identità che rende possibile superare gli aspetti ordinari degli individui e
sottolineare ciò che si ha in comune, piuttosto che le differenze, un modo efficace di evitare o risolvere
conflitti latenti (Striano 1999.)
Per concludere riprendo la domanda posta nell’introduzione del progetto di ricerca: “In epoca di
globalizzazione, su quale base è possibile ipotizzare e praticare una formazione che, rispettando le
innumerevoli diversità di vita contro ogni tentativo di omologazione planetaria, esalti le peculiarità
comuni a tutti gli esseri umani e contribuisca alla costruzione dell'identità e dell'appartenenza di
specie?”
Per preparare le generazioni future ad accogliere nel migliore dei modi i cambiamenti che
la società di oggi impone, è necessario insegnare loro fin dalla tenera età a convivere con
delle realtà differenti dalla nostra e perseguire moralmente ed eticamente il rispetto della donna, dei
diritti umani e del saper vivere civile in un mondo in continua trasformazione.
Riflessioni e approfondimenti personali
Durante questo Anno Accademico 2015/2016 in cui mi è stata concessa l’opportunità di collaborare
alla Cattedra Transdisciplinare UNESCO “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” e prender parte al
corso di aggiornamento professionale “Pedagogical approach to the safeguarding and valorization
of Cultural Heritage” ho imparato molto, ma non mi sono fermata qui e ho voluto rafforzare i muscoli
su questo ambito di studio, di ricerca e di vita: ho seguito su piattaforma europea EMMA/Europeran
Multiple MOOC Aggregator, il corso “L'innovazione sociale nella gestione del patrimonio culturale”
tenuto dal Prof. Stefano Consiglio, ordinario di Sociologia presso l’Università Federico II di Napoli
e responsabile F.A.I. (Fondo Ambiente Italiano) per la regione Campania. Ho conosciuto così da
vicino il nostro patrimonio materiale, strettamente legato a quello immateriale, e la salvaguardia dello
stesso tramite nuove iniziative/Social Innovation.
Ciò che mi sta più a cuore qui raccontare è la persona di Andrea Caschetto (link dal Corriere della
Sera http://www.corriere.it/cronache/16_giugno_14/andrea-caschetto-l-ambasciatore-sorriso-gira-
orfanotrofi-mondo-onu-bambini-africa-d7db3016-3219-11e6-9479-1c0658e56669.shtml) mio
coetaneo e conterraneo siculo.
12
Andrea Caschetto e i bambini di un orfanotrofio; Africa
È solito presentarsi così: “Andrea, hai un tumore nel cervello.
Quando sentii quella frase, non ebbi paura. Forse perché avevo solo 15 anni, forse perché avevo la
testa altrove. Scappai di notte dal mio reparto con il camice bianco per andare in una sala a guardare
una partita di calcio in televisione. Quella notte fu la mia ultima notte piena di ricordi.
Dieci anni fa circa, mi stavano operando al Besta di Milano. L'operazione era difficile, rischiavo di
perdere la parola o qualcosa in più, ma il medico è stato un fenomeno. Ebbi un solo fastidio nel tempo
di attesa dovuto a questa operazione, la data. Il 2 Novembre? Mi chiedevo scherzando perché mi
avessero messo in questa data che puzzava di morte, fra gli amici e i parenti ero l'unico che ci ridevo
su. Dopo l’operazione il risveglio è stato più difficile del previsto, avevo difficoltà nell'esprimermi,
nel mandare segnali di comprensione. Mi ritrovai smemorato e con una concentrazione pessima, non
memorizzavo più niente…Andai ogni giorno a fare lezioni private di tutte le materie, i dati che mi
spiegavano morivano la sera con il mio sonno. Persi quell'anno scolastico, perché i professori
pensarono che me ne volessi approfittare, che la mia memoria era una scusa perché mi stufava
studiare, chiamarono la mia operazione all'emisfero sinistro, un piccolo interventuccio. Fu
straordinario come in quell'estate, vari professori del liceo di altri corsi, mi contattarono, invitandomi
a ripartire con loro che avremmo trovato insieme un metodo per non farmi percepire lo studio,
impossibile. Così feci, cambiai corso e iniziai a svolgere le interrogazioni a piccole dosi e i compiti
con facilitatori… Quattro anni dopo andai in Africa per la prima volta. Al mio ritorno in Sicilia ero
sorpreso, mi ricordavo tutti i volti dei bambini, le attività che avevamo fatto, le emozioni provate. Ho
13
iniziato a chiedermi il perché di questi ricordi e ho scoperto, grazie ai medici, che tutto ciò che
colpisce i nostri sentimenti rimane per sempre nella memoria a lungo termine. Con questo metodo
della memorizzazione per emozioni e immagini, ho preso una laurea e un master e ho recuperato una
buona parte della memoria…Anche per questo motivo ho deciso di fare questo viaggio, il giro del
mondo per gli orfanotrofi, per ricordarmelo per sempre. Ancora oggi ci sono città del mio viaggio
che non ricordo come si chiamano, ma pazienza, l'importante è ricordarsi come fare ridere e divertire
i bambini…”
Andrea coltiva tutt’oggi il suo progetto e siamo migliaia a sostenerlo in tutto il mondo.
L’ambasciatore del sorriso è stato invitato presso la sede centrale dell’Onu per il riconoscimento alle
sue attività (https://www.youtube.com/watch?v=ZKid25WVRbQ). Ho avuto la possibilità di
scrivergli e raccontargli di questa mia nuova esperienza formativa e alla domanda: “come mi consigli
di educare alla non violenza giovani e bambini al fine di coinvolgerli, così come tu ci hai insegnato,
per far capire loro l’importanza del rispetto alla donna, etnie, religioni, minoranze e di trarre dalla
diversità, ricchezza?” Andrea mi ha risposto di narrare loro storie di fantasia. I bambini di tutto il
mondo sono uguali, rimangono affascinati dai racconti e viaggiando con la fantasia i messaggi
diverranno ricordi, poi attitudini.
Un recente articolo di “La scuola in soffitta et al.” riporta dieci titoli di libri illustrati per bambini
dedicati al tema della diversità. Quale migliore occasione per presentarli?
Concludo questi approfondimenti elencandone alcuni:
-"Nadeem, andata e ritorno", di Sofia Gallo e Anna Castagnoli – (Sinnos Editrice)
© -
Non tutti i bambini possono crescere giocando. In molte parti del mondo si inizia a lavorare da
piccolissimi, come Nadeem che a undici anni sale su una nave che lo porterà lontano dalla famiglia a
14
confezionare datteri. Inizialmente uscito solo per prendere acqua al pozzo, torna a casa dopo anni. La
storia di Nadeem ci parla di povertà, di infanzia tradita e di scelte che possiamo fare anche noi
acquistando prodotti provenienti dal commercio equo e solidale che non impiega bambini.
-"Xu, il grillo birichino", Carolina D’Angelo e Federico Appel – (Sinnos Editrice)
© -
Chan Chen è un bambino cinese che vive in Italia, ma si sente solo. Per fortuna ha la simpatica
compagnia del suo piccolo grillo, che secondo la tradizione cinese è un animale da compagnia porta
fortuna. Un giorno Xu, il grillo, scappa e per il bambino inizia una difficile ricerca tra le persone della
città che non capiscono perché lui tenga tanto a un animale che loro invece schiaccerebbero volentieri.
Sarà un altro bambino ad aiutarlo e a capirlo: il futuro della comprensione tra culture ha speranza
nell’amicizia.
-"La scuola segreta di Nasreen", di Jeanette Winter – (Giannino Stoppani Edizioni)
© -
Nasreen è una bambina. Siamo in Afghanistan. Lei vive con la nonna perché il padre è stato portato
via dai soldati Talebani e la mamma è andata a cercarlo, ma nessuno dei due è mai tornato. Nasreen
15
sta tutto il giorno in casa, perché è proibito alle bambine andare a scuola, almeno finché la nonna non
trova una scuola segreta che la accoglie. Dovrà nascondersi per studiare, ma lo farà con piacere perché
sa che ciò che impara la accompagnerà per tutta la vita. Questa è una storia vera scritta per raccontare
il coraggio di un gruppo di persone che il Global Fund for Children ha aiutato nel loro progetto di
scolarizzazione.
-"Un nuovo amico per Elmer", di David McKnee – (Mondadori)
© -
L’elefantino Elmer è diventato un classico tra i libri per bambini che introduce il tema della diversità.
Elmer non è uguale agli altri elefantini: ha dei colori strani; metafora del confronto tra culture diverse.
Elmer insegna a riconoscere l’unicità di ogni persona e aiuterà i bambini a capire che ognuno di noi
è in qualche modo diverso dagli altri e unico allo stesso tempo.
I temi raccontati in questi libri sono le tradizioni, i costumi, i sogni e le difficoltà dei bambini di tutto
il mondo trasposti in storie simpatiche e toccanti adatti per i piccoli e anche per i più giovani.
16
Bibliografia
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Regional de Educacion de Adultos de Murcia, Direccion Provincial del M.E.C., Murcia, 1987.
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CIREA: Centro Italiano di Ricerca ed Educazione Ambientale
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Cirse: Centro di ricerche storicoeducative
http://www.cirse.it/
COREP: Consorzio per la Ricerca e l’Educazione Permanente
19
http://www.formazione.corep.it/
CREIFOS: Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e sulla Formazione allo Sviluppo
http://host.uniroma3.it/laboratori/creifos/
Erasmus+
http://www.erasmusplus.it/
FAI: Fondo Ambiente Italiano
http://www.fondoambiente.it/
INDIRE: Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa
http://www.indire.it/
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
http://www.istruzione.it/
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
http://www.beniculturali.it/
SIPED: Società Italiana di Pedagogia
http://www.siped.it/
UNLA: Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo
http://www.unla.it/
-Siti Internazionali
Assessment & Evaluation on the Internet
http://pareonline.net/
Beginners Guide to Lifelong Learning
http://www.niace.org.uk/information/Lifelong_Learning/Beginners_guides/
CIDSE : Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité
http://www.cidse.org/
Education International
http://www.ei-ie.org/
Learning For Sustainable Environment
http://www.ens.gv.edu.au/ciree/LSE/main.html
OCSE: Banca dati dell'educazione
http://www.oecd.org
UNESCO: UIE-Institute for Education
http://www.unesco.org
http://www.uie/
http://www.unesco.org/education/efa/ed_for_all/
Data 8/10/2016 In Fede
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Relazione corso aggiornamento/UNESCO-Heritage 2016

  • 1. Università degli Studi Firenze CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Pedagogical approach to the safeguarding and valorization of cultural heritage Anno Accademico 2015/2016 Patrimonio identitario delle donne vittime di discriminazione e educazione alla non violenza. Proposta di ricerca teorica e applicata in chiave pedagogica con interventi educativi in ambito di cooperazione internazionale Direttore corso Prof.ssa Giovanna del Gobbo Corsista Tutor Dott.ssa Stella Rita Emmanuele Dott.ssa Glenda Galeotti
  • 2. 1 Indice 1 Il Corso e la Cattedra 2 Introduzione 4 Capitolo 1 4 Contesto della Ricerca 1.1 Donne, violenza e povertà 5 1.2 Discriminazione multipla 6 1.3 La situazione cilena: il Popolo Mapuche 7 Capitolo 2 8 Obiettivo e Metodologia della Ricerca Capitolo 3 9 Fasi di ricerca e risultati attesi Riflessioni e approfondimenti personali 11 Bibliografia 16 Sitografia 18
  • 3. 2 Il Corso e la Cattedra Il corso di aggiornamento professionale Pedagogical approach to the safeguarding and valorization of Cultural Heritage (L’educazione per la salvaguardia e valorizzazione del Patrimonio Culturale) ha coinvolto me ed altri corsisti, alcuni di loro già impegnati nel settore culturale pubblico e privato, nei mesi compresi tra Gennaio e Luglio 2016. Il corso intende rispondere ad una domanda di aggiornamento e adeguamento di conoscenze, competenze e strumenti per la salvaguardia dinamica del patrimonio culturale immateriale e materiale dei territori e per nuove forme di valorizzazione educativa finalizzate alla consapevolezza e alla corresponsabilizzazione delle comunità, all’attivazione di processi di governance e cittadinanza attiva, ma anche all’innovazione del settore in direzione imprenditoriale/Social Innovation, il tutto grazie ad un approccio integrato e interdisciplinare. La necessità del riconoscimento e della piena valorizzazione dei patrimoni delle comunità locali, quale elemento imprescindibile per lo sviluppo umano endogeno, equo e sostenibile, è già sostenuta da alcuni anni nei documenti strategici internazionali. Un ovvio riferimento è la Dichiarazione sul Patrimonio Culturale Mondiale del 1972, ma è soprattutto nella Dichiarazione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, approvata a Parigi il 17 ottobre 2003 che la dimensione educativa è ulteriormente sottolineata in termini di azione di sostegno per lo sviluppo delle capacità necessarie, a tutti i livelli, per una corretta gestione del patrimonio culturale che tenga conto anche della dimensione dell’inclusione e del lavoro. Il Corso si articola in quattro moduli principali che si incastrano tra loro, in teoria tramite lezioni frontali, lezioni interattive, dibattiti e confronti, testimonianze; in pratica grazie ai lavori di gruppo
  • 4. 3 tra noi corsisti con il sostegno ed i feedback dello Staff ma soprattutto frequentando le 50 ore di Stage presso strutture apposite. Nel mio caso ho avuto l’opportunità di svolgere lo stage presso la Cattedra Transdisciplinare UNESCO “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” ove collaboro alla ricerca. Essa è diretta dall’Emerito Prof. P. Orefice (mio tutor esterno al corso) e dal Prof. P. Federighi; sita presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia/SCIFOPSI dell’Università degli Studi di Firenze. I valori promossi dalla stessa sono coerenti con i principi UNESCO al fine di promuovere un approccio transdisciplinare verso l’Ecoumanesimo planetario; l’importanza della diversità come ricchezza; la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e materiale come identità costituiva di ciascun popolo; il “cittadino terrestre” di Edgar Morin che comporta una riforma del pensiero in coerenza al flusso del nuovo modo di stare nel mondo che inevitabilmente ci travolge. I temi trattati dalla Cattedra sono attualmente incentrati su nove focus suddivisi in tre livelli: 1° livello generale “Scienza complessa dell’educazione” comprende i focus:  Epistemologia - Scienza complessa dell’educazione  Teoria – Ecoumanesimo planetario e locale  Metodologia – I professionisti dell’educazione dei saperi 2° livello centrale “Pedagogico” comprende i focus:  Epistemologia – Teoria pedagogica dei saperi  Teoria – Costruzione dei saperi individuali e collettivi  Metodologia – R.A.P. ricerca azione partecipativa e professionale 3° livello buone pratiche/metodologico “Sviluppo educativo e buone pratiche innovative e di società” comprende i focus:  Epistemologia – Sviluppo delle persone, delle culture e delle società  Teoria – Comunità locali  Metodologia – Buone pratiche di sviluppo educativo delle persone, delle culture e delle società In particolare, il tema della mia attività di stage rientra nel 3° livello e riguarda la valorizzazione del patrimonio identitario della donna indigena vittima, purtroppo di duplice discriminazione ossia, la violenza di genere di cui è succube in quanto donna; la violenza subita perché appartenente ad un’etnia. L’obiettivo progettuale e pedagogico che mi sono posta è il seguente: come “educare alla non violenza” giovani e giovanissimi? Grazie e attraverso la Civitas Educationis. I concetti chiave della Cattedra che promuove il progetto e i relativi settori di intervento, sono già contenuti nella denominazione della stessa, “Sviluppo Umano e Cultura di Pace”. Sviluppo non solo
  • 5. 4 razionale in quanto (soprattutto in America Latina) emerge una forte dimensione emozionale, entrambi gli elementi/aspetti viaggiano insieme. Cultura di Pace richiama l’educazione alla comprensione umana, anzi ne costituisce la base. La comprensione empatica è essenziale al fine di comprendere l’altro, ma per fare ciò è necessario, in primis, capire noi stessi tramite un processo di autoanalisi monitorato costantemente. Introduzione In epoca di globalizzazione, su quale base è possibile ipotizzare e praticare una formazione che, rispettando le innumerevoli diversità di vita contro ogni tentativo di omologazione planetaria, esalti le peculiarità comuni a tutti gli esseri umani e contribuisca alla costruzione dell'identità e dell'appartenenza di specie? Si tratta di valorizzare il "potenziale di conoscenza", che presiede ai processi di antropizzazione sin dalle origini e si è venuto costruendo in oltre tre miliardi e mezzo di evoluzione dei viventi e dei loro domini conoscitivi sino alla nostra specie, che grazie ad esso continua a generare le società e le culture della storia. Oggi, l’umanesimo planetario, utopia emergente negli attuali processi di globalizzazione, impone la piena valorizzazione delle possibilità conoscitive di ciascuno e di tutti gli esseri umani, in particolare di quanti, ne sono stati maggiormente impediti, tra questi le minoranze etniche, religiose razziali e di genere ossia, le donne. Nella Società globale della Conoscenza la formazione è chiamata a coprire una posizione centrale. Per partecipare allo sviluppo dell’umanesimo planetario verso la comprensione e l’accettazione della diversità come ricchezza personale e comunitaria, “i percorsi della formazione" lavorano in maniera integrata su ambedue i versanti conoscitivi del sentire e del pensare, liberando le potenzialità di conoscenza e di comunicazione degli uomini e delle donne, a qualunque società e cultura appartengano (Orefice 2003.) 1 Contesto della Ricerca Il progetto di ricerca si contestualizza a favore della valorizzazione del patrimonio identitario della donna indigena vittima, ad oggi, di duplice discriminazione ossia, la violenza di genere di cui è succube in quanto donna; la violenza subita dalla cultura esterna perché appartenente ad un’etnia. Imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri rispettando le innumerevoli diversità è principio fondante che la scuola tramite l’istruzione, ben integrata alla cultura del luogo ma al contempo in un’ottica planetaria, deve insegnare alle giovani generazioni sin dalla prima infanzia. Con la frequenza delle scuole i bambini vengono sottratti agli orrori della quotidianità. L’istruzione dà loro la possibilità di poter analizzare in modo critico e consapevole la realtà che li circonda, dà loro gli strumenti per poter discutere e dialogare in modo fruttuoso. Infatti, è proprio sui banchi di scuola che si impara a socializzare e a rispettare gli altri, le minoranze, le diversità. La scuola dovrebbe insegnare diritti e doveri dell’individuo, rafforzandone l’identità, ma all’insegna della tolleranza (Lyotard 1979.) Anzi aggiungo di più, non solo tutto ciò deve avvenire all’interno di un contesto di educazione formale, ma a cascata è necessario il passaggio attraverso un’educazione non formale per giungere sino a quella informale ove si apprende in maniera naturale e spontanea; ed è qui che interviene l’educatore sociale. Educare alla consapevolezza della violenza, condividendo ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri e trarne beneficio, queste sono le armi vincenti per un futuro all’insegna della pace.
  • 6. 5 Oggi è giunto il tempo, data la drammaticità degli eventi, di intervenire al fine di placare per poi eliminare definitivamente il problema della discriminazione/violenza di genere ed etnica che le donne subiscono. È necessario salvaguardare il patrimonio identitario della donna, anzi di più, valorizzarlo! affinché tali violenze non si ripresentino; ciò costituisce il risultato atteso. 1.1 Donne, violenza e povertà Più del 70% delle persone che nel mondo vivono nell’indigenza, secondo le stime dell’Onu, sono donne; è la discriminazione uno dei temi chiave della povertà. In alcuni paesi la discriminazione contro le donne è parte integrante delle leggi nazionali, in altri persiste nonostante leggi per la parità. Le donne non hanno lo stesso accesso alle risorse e ai mezzi di produzione come la terra, il credito e i diritti di eredità. Non ricevono gli stessi stipendi degli uomini e la maggior parte del loro lavoro non è retribuito. Le donne spesso hanno occupazioni informali senza alcuno standard di sicurezza o protezione sociale. Allo stesso tempo sono ancora le principali responsabili della cura della famiglia e della casa. La povertà, per le donne, è sia causa che conseguenza della violenza. Le donne che subiscono aggressioni fisiche, sessuali o psicologiche perdono il loro reddito e la loro capacità produttiva viene danneggiata. Inoltre, la povertà rende più difficile per le donne trovare una via di fuga dai maltrattamenti. Se è vero che l’indipendenza economica non le protegge dalla violenza, l’accesso alle risorse economiche può migliorare la loro capacità di compiere scelte significative. La discriminazione e la violenza contro le donne spesso vanno per mano, contribuendo alla negazione del diritto alla salute, all’istruzione, ad una casa e al cibo. La povertà in più mette le donne e le ragazze a rischio di ulteriori abusi e violenze, chiudendo il circolo vizioso. La discriminazione mette a repentaglio i diritti umani di diversi gruppi sociali, tra cui le popolazioni native, i gruppi etnici, razziali, religiosi o le minoranze linguistiche e migranti. In questi contesti, le donne subiscono una doppia discriminazione, sia come membri di tali gruppi che come donne/genere. La povertà è più che una semplice mancanza di reddito è anche mancanza di sicurezza, di voce, di scelte. Le donne subiscono gli effetti della povertà in maniera particolare a causa del loro ruolo nella società, nella comunità e nella famiglia. Tuttavia, loro non sono vittime passive, possono essere cittadine partecipi e attiviste per i diritti umani, agenti del cambiamento che reclamano i loro stessi diritti, possono organizzarsi chiedendo giustizia e riconoscimento delle responsabilità e lavorare per migliorare le loro vite e la situazione delle loro famiglie, comunità (Woodman 2004.) Per muoversi su questa strada l’istruzione è necessaria ma è un diritto che viene a loro spesso negato! Lo dimostra la combinazione di stereotipi di genere e costi scolastici (spesso viene data la priorità all’educazione dei ragazzi perché sono visti come coloro che in futuro si faranno carico del sostentamento della famiglia) che porta al fatto che circa una ragazza su cinque abbandona la scuola tra i 13 e i 14 anni. Molte si ritrovano con un’istruzione minima se non nulla e pochissime prospettive di indipendenza economica e di conseguenza senza possibilità di decidere della loro vita (Ulivieri 1995.)
  • 7. 6 1.2 Discriminazione multipla Le donne spesso si trovano ad affrontare una multipla discriminazione: sono discriminate e vengono loro negati diritti in quanto donne e in quanto facenti parte di un gruppo emarginato o minoritario, così come le donne che vivono in povertà subiscono la discriminazione semplicemente per il fatto di essere povere. La discriminazione è intimamente collegata alla violenza contro le donne. Essa influenza le forme di violenza che le donne subiscono e rende alcune di loro più soggette a certe forme di sopruso perché hanno un più basso status sociale rispetto ad altre e perché i responsabili di questi abusi sono consapevoli che è meno probabile che queste li denuncino o chiedano assistenza. La discriminazione che le donne si trovano ad affrontare preclude loro l’accesso alla giustizia, alla protezione o ai servizi; questa esclusione nasce dalla povertà e la radica ulteriormente. Molte delle donne che vivono nell’indigenza non hanno accesso alle cure sanitarie perché non possono sostenerne i costi o perché non possono affrontare le spese per raggiungere le strutture sanitarie. Altre trovano ostacoli perché non sono istruite, non parlano la lingua ufficiale o perché non vengono loro date le informazioni di cui hanno bisogno in quanto vittime di pregiudizi profondamente radicati. Quando le donne e le ragazze però comprendono grazie all’istruzione che hanno dei diritti, li rivendicano con forza nonostante tutte le difficoltà che incontrano. Quando le donne denunciano e fanno valere i loro diritti o i diritti di altri gruppi emarginati, corrono dei seri pericoli perché sfidano i pregiudizi culturali e sociali e rappresentano una minaccia per i poteri forti, in quanto motore del progresso sociale e dell’implementazione dei diritti umani. Infatti, uno dei fattori chiave per il rispetto dei diritti umani è l’uguaglianza tra uomini e donne e questo principio si riflette in tutti gli standard per l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione dunque violenza (Ulivieri 1997.) Una cosa è certa: uguaglianza e diritti potranno essere raggiunti quando le donne parteciperanno attivamente al processo politico e di conseguenza la loro voce sarà ascoltata; questa è la via d’uscita! Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nel comprendere che i diritti delle donne sono diritti umani. Nonostante i progressi nella comprensione e gli sviluppi nel diritto internazionale, le vite di molte donne sono migliorate di poco: gli stati e le organizzazioni internazionali devono
  • 8. 7 lavorare più duramente per difendere i diritti delle donne nella pratica, con una forte volontà politica e in tutto il mondo, attraverso e grazie una cooperazione internazionale. 1.3 La situazione cilena: il Popolo Mapuche Padre e figlia; etnia Mapuche; Cile Oggi i Mapuche costituiscono circa il 13% della popolazione cilena, vivono nelle zone rurali del sud del Cile, in una piccola parte del territorio argentino e nei grandi centri urbani, concentrati in quartieri molto poveri. Il diritto alla autodeterminazione è stato loro negato dall’avvento del colonialismo, mentre il loro territorio, cultura, lingua, religiosità e ambiente sono costantemente minacciati. Il colonialismo ha portato, inoltre, un'ondata di forte maschilismo (machismo) e oggi le donne preferiscono non lasciare il proprio clan, come accadeva un tempo nell’antica cultura mapuche, ove dopo il matrimonio le donne andavano a vivere nel territorio del marito. La violenza sulle donne è contro natura, ma con l’avvento della “conquista spagnola” essa è giunta anche nelle loro famiglie/comunità. Nell'avvicinarsi al popolo Mapuche, alla sua storia e alla sua recente lotta per la conquista dei diritti fondamentali, un elemento in particolare assume rilevanza per leggere e capire un universo così affascinante e differente dalle modalità con cui siamo abituati a pensare noi stessi, l'altro e il mondo che ci circonda. La chiave di lettura è il nome stesso di questo popolo del sud del mondo, Mapuche significa infatti "popolo della terra" (mapu=terra, che=uomo) ed è proprio il rapporto con la terra il fondamento da cui muovono e in base al quale prendono forma la cultura, l'organizzazione politica e sociale, l'economia e la vita quotidiana di questa etnia. La natura è Madre Terra e il popolo mapuche si sente parte della natura. La Natura è la Grande Madre alla quale la donna è particolarmente vicina perché è la sua figura maestra, colei che le insegna come agire in questo mondo. Attualmente la condizione della donna in Cile risulta relativamente complessa. In seguito ai cambiamenti dati dalla modernità e dai modelli occidentali, la situazione si presenta molto differente se si analizzano un contesto rurale od uno urbano, io mi riferisco al primo. Storicamente subordinata è la donna, anche quando incinta, che all’interno della famiglia si deve assumere la responsabilità di fare i lavori di casa, di accudire i figli ed il resto della famiglia, compiti che una qualsiasi donna per
  • 9. 8 sua natura deve portare a termine in quanto “donna”. Il lavoro domestico oltre a non essere ricompensato a livello economico ha sempre permesso agli uomini di dedicarsi ad altre attività remunerative per sé stessi o la famiglia, o di partecipare alla vita sociale, politica, artistica, spesso negata alle donne. Quei rari casi in cui la donna intraprende un lavoro remunerativo o una carriera fuori dall’ambiente domestico, tuttora non è trattata allo stesso livello di un uomo e non si produce una giusta distribuzione dei compiti all’interno della coppia o del nucleo familiare. In Cile (e altri simili contesti) la maggior parte delle donne deve supplire a questa mancanza facendo un doppio lavoro: mantenere una casa ed avere un’occupazione per guadagnare. Tutto questo causa, nella maggior parte dei casi, un sovraccarico emotivo e fisico che le espone maggiormente al rischio di contrarre patologie. Il machismo in Cile è un problema sociale tuttora presente, dato dalla impari relazione tra i sessi. La definizione classica di “machismo” è: “un atteggiamento/un’attitudine sociale di ostentazione di caratteri virili e mascolini”. Il marito spesso si comporta in modo violento con la moglie, è autoritario, abusa di alcool e droghe, ha relazioni sessuali non protette con altre donne; tutte condotte che possono solo aumentare il rischio di violenza sessuale verso la moglie o la compagna, di trasmissione del virus dell’HIV e di gravidanze non desiderate, oltre ovviamente alla generazione di un circolo vizioso di sofferenza per la donna all’interno del proprio nucleo familiare. Inoltre, crescere sin da piccoli in un ambiente violento o presenziare fisicamente ad aggressioni e maltrattamenti porta a far sì che facilmente si ricada negli stessi comportamenti; quella che viene chiamata “trasmissione culturale intergenerazionale”. In Cile la così diffusa violenza intra-familiare è un grave problema educativo e di salute pubblica! Quello che adesso ci si aspetta dal sistema educativo e sanitario cileno è che si cerchi di realizzare una maggiore educazione alla non violenza rivolta soprattutto a giovani e giovanissimi per renderli consapevoli del fatto che è anche loro responsabilità generare ben-essere nelle loro future compagne e alle donne in generale. Il governo cileno da molti anni sta attuando a livello nazionale campagne di sensibilizzazione e miglioramento del servizio sanitario al cittadino, specificatamente nel settore delle politiche sessuali e riproduttive e della prevenzione della violenza di genere. Le azioni educative sono dirette principalmente in due direzioni: la prima si preoccupa di mettere in pratica e sottolineare l’importanza del concetto di “diritti umani e parità degli stessi”; la seconda propaganda e sostiene il “pensiero progressista in merito al sesso femminile”. Negli ultimi tempi, in seguito a pressioni perché questo aspetto machista della cultura cilena cambiasse verso la parità, molti giovani padri partecipano attivamente alla gestazione, al parto ed al puerperio. La tesi principale è che, perché un paese si possa considerare moderno in tutti i suoi settori è essenziale che al suo interno esista la parità di trattamento in tutti gli ambiti - sociale, economico, lavorativo e familiare - tra l’uomo e la donna (Cuomo, Bombelli 2003.) 2 Obiettivo e Metodologia della Ricerca Il tema del Progetto di ricerca riguarda la valorizzazione del patrimonio identitario della donna indigena vittima di duplice discriminazione ossia, la violenza di genere di cui è succube in quanto donna; la violenza subita dalla cultura esterna perché appartenente ad un’etnia. Il focus progettuale e pedagogico che ho attenzionato è il seguente: come educare alla non violenza giovani e giovanissimi? Grazie e attraverso la Civitas Educationis: Cittadini della Terra (Orefice 2015.)
  • 10. 9 Imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri questo significa essere Cittadini della Terra. Cultura, educazione, istruzione sono fondamentali per insegnare alle giovani generazioni i principi della non violenza già dalla prima infanzia. L’obiettivo e dunque lo scopo conoscitivo del progetto di ricerca è comprendere quali sono i fattori che concorrono alla condizione di discriminazione della donna mapuche e quale educazione può contribuire a diminuire questi fattori. La metodologia della ricerca impiegata per raggiungere l’obiettivo è la R.A.P. (Ricerca Azione Partecipativa) adatta a progetti di cooperazione allo sviluppo e all’ empowerment (Orefice 2006.) Presupposto dell’intervento di ricerca è che il problema, che reclama comunque un’azione conoscitiva, ha origine nella stessa comunità che necessita dell’intervento e il fine ultimo della ricerca è la trasformazione di quelle condizioni che hanno determinato l’insorgere del problema, o meglio è offrire la possibilità ai destinatari dell’intervento di “costruire” le conoscenze necessarie per cambiare la situazione. Il ricercatore agendo sul campo osserva e comprende al meglio i fattori discriminatori verso la donna mapuche che soffre di questa duplice condizione della quale è succube. Infatti, la R.A.P. implica anche la partecipazione attiva e totale di quanti sono interessati al processo (donne, giovani e tutta la comunità), poiché non si tratta di trasmettere saperi o imporre relazioni, ma di sostenere il procedere naturale della conoscenza che di fronte ad un problema (violenza etnica e di genere) è chiamata a trovare risposte più adeguate grazie al rapporto, costruzione o ricostruzione di relazioni. Essa è un’operazione ricca di emozioni, sensazioni, vissuti, perché basata su un approccio educativo “con e per” le persone e non “su” le persone (Del Gobbo 2007.) 3 Fasi di ricerca e risultati attesi Occorre, innanzitutto fare indagini di sfondo e di contesto e cominciare a testare metodologie e tecniche con gruppi etnici grazie ai quali poter lavorare empiricamente. Il lavoro di campo all’estero richiede prima studi e approfondimenti teorici e metodologici, pedagogici e di scienze dell’educazione, anche di carattere internazionale. Successivamente si può procedere con le fasi di lavoro articolate in primis su due domande: 1) come si fa a conoscere quali sono i fattori di discriminazione della donna cilena mapuche?; 2) come faccio a sapere quale educazione è più adatta alla situazione e al contesto? Le due istanze, di fatto, si coniugano grazie alla dinamica di ricerca interna assunta tra le due sin dal principio del lavoro. Schematizzando al massimo l'intera sequenza delle fasi della ricerca, sotto il profilo del processo scientifico e del supporto allo sviluppo educativo e culturale delle comunità mapuche del Cile, può essere ricondotta a questi passaggi. 1. Identificazione del problema. Questa prima operazione, si esprime attorno ai seguenti interrogativi, che indicano nello stesso tempo le motivazioni e le finalità di un possibile progetto di educazione permanente in ambito territoriale: come realizzare un progetto di ricerca che sia allo stesso tempo un intervento di educazione permanente per la promozione all’interno della comunità mapuche di comprensione e sostegno alla donna vittima di violenza? e dunque come sensibilizzare e educare giovani e giovanissimi su questa tematica della duplice discriminazione (etnica e di genere) della quale la donna mapuche è tutt’oggi vittima? 2. Ideazione. Questi interrogativi sono l'alimento del progetto di ricerca presentato. Esso ha utilizzato da una parte, lo studio della letteratura su questi argomenti (riportati in bibliografia e sitografia) e dall'altra, la riflessione sugli interventi dei casi studio che ho potuto constatare e approfondire durante la formazione in Cattedra Transdisciplinare UNESCO “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” e la
  • 11. 10 frequenza al corso di aggiornamento professionale “Pedagogical approach to the safeguarding and valorization of Cultural Heritage” presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia; Università di Firenze. 3. Adozione dell'idea e progettazione generale. Questa potrebbe avvenire da parte di un gruppo di ricerca costituitosi intorno ad una Cattedra di Pedagogia generale e sociale, Cattedra UNESCO o altre equipollenti con un nucleo centrale di studiosi coinvolti e stabile nel tempo, per quanto ciò sia possibile, composto da personale universitario, ricercatori, educatori, pedagogisti e giovani laureati. 4. Sviluppo e implementazione. L'intervento di ricerca generale può, anzi deve, prevedere diversi stadi ciascuno con la sua specifica progettazione, realizzazione e valutazione. In tal modo alla fine di ciascuno di essi il modello verrà rivisto con i relativi riorientamenti e ristrutturazioni per lo stadio seguente. Il monitoraggio continuo è essenziale per capire i bisogni e le esigenze che provengono dalla comunità stessa, al fine di relazionarci al meglio ed intervenire educativamente. Questo in breve il percorso da seguire: 4.1 Primo stadio. In un primo tempo, il gruppo di ricerca può sperimentare il modello della R.A.P. attraverso un'esperienza di auto-educazione dalla comunità locale mapuche del Cile, in cui il nucleo operativo in loco e la popolazione etnica potranno lavorare, anzi cooperare e collaborare, utilizzando il metodo della ricerca attorno ai problemi della duplice discriminazione di cui la donna è vittima proprio nel loro territorio, al fine di capire le motivazioni; eliminare il machismo; educare le giovani generazioni al rispetto e alla parità dei sessi. 4.2 Secondo stadio. Per queste ragioni, in un secondo tempo potrà essere utile sperimentare un modello che corrisponderà ad un nuovo stadio: quello della formazione degli operatori locali. Si potrebbe optare per una sua doppia utilizzazione: (I) nella scuola, attraverso un accurato lavoro di formazione in servizio, centrata sulla didattica partecipativa degli insegnanti della Scuola in comunità (villaggio) oppure della Scuola dell'obbligo in Santiago del Cile (zona metropolitana); (II) nel campo dell'educazione degli adulti, attraverso un lavoro di osservazione, confronto, interazione con le donne del luogo. Questo permetterà di trasferire il modello dagli operatori esterni agli operatori interni alle comunità, con l'imperativo categorico di individuare le figure professionali corrispondenti e più consone a svolgere efficacemente queste funzioni riguardo ai temi dell’educazione alla non violenza e al rispetto dei diritti umani. 4.3 Terzo stadio. In un terzo tempo, il lavoro si concentrerà su tre obiettivi: individuare e formare gli operatori locali per l'educazione della comunità; prevedere la frequenza agli incontri formativi e la ricchezza argomentativa consona alla comunità (target); e assistere gli operatori in un primo periodo dall’avvio del progetto. 5. Valutazione e disseminazione (nel corso del progetto di ricerca e negli anni successivi). Impossibile al momento trarre delle valutazioni in quanto il progetto di ricerca è solo una mera proposta. Di certo la valutazione così come intesa nell’aspetto pedagogico-didattico non deve essere
  • 12. 11 solo conclusiva o sommativa, bensì va monitorata costantemente nel corso della messa in atto del progetto tra i vari stadi, così come ho già accennato. Per giungere gradualmente ai risultati attesi, l’educazione dovrebbe intraprendere due vie convergenti: ad un primo livello, la scoperta graduale degli altri. Il compito dell’educazione è insegnare, nello stesso tempo, la diversità della razza umana e una consapevolezza delle somiglianze e dell’interdipendenza fra tutti gli esseri umani; ad un secondo livello, tendere verso obiettivi comuni. Quando si lavora insieme su progetti gratificanti che fanno uscire dall’abituale routine, le differenze e perfino i conflitti tra individui tendono a passare in secondo piano e talvolta a scomparire in quanto ne deriva una nuova identità che rende possibile superare gli aspetti ordinari degli individui e sottolineare ciò che si ha in comune, piuttosto che le differenze, un modo efficace di evitare o risolvere conflitti latenti (Striano 1999.) Per concludere riprendo la domanda posta nell’introduzione del progetto di ricerca: “In epoca di globalizzazione, su quale base è possibile ipotizzare e praticare una formazione che, rispettando le innumerevoli diversità di vita contro ogni tentativo di omologazione planetaria, esalti le peculiarità comuni a tutti gli esseri umani e contribuisca alla costruzione dell'identità e dell'appartenenza di specie?” Per preparare le generazioni future ad accogliere nel migliore dei modi i cambiamenti che la società di oggi impone, è necessario insegnare loro fin dalla tenera età a convivere con delle realtà differenti dalla nostra e perseguire moralmente ed eticamente il rispetto della donna, dei diritti umani e del saper vivere civile in un mondo in continua trasformazione. Riflessioni e approfondimenti personali Durante questo Anno Accademico 2015/2016 in cui mi è stata concessa l’opportunità di collaborare alla Cattedra Transdisciplinare UNESCO “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” e prender parte al corso di aggiornamento professionale “Pedagogical approach to the safeguarding and valorization of Cultural Heritage” ho imparato molto, ma non mi sono fermata qui e ho voluto rafforzare i muscoli su questo ambito di studio, di ricerca e di vita: ho seguito su piattaforma europea EMMA/Europeran Multiple MOOC Aggregator, il corso “L'innovazione sociale nella gestione del patrimonio culturale” tenuto dal Prof. Stefano Consiglio, ordinario di Sociologia presso l’Università Federico II di Napoli e responsabile F.A.I. (Fondo Ambiente Italiano) per la regione Campania. Ho conosciuto così da vicino il nostro patrimonio materiale, strettamente legato a quello immateriale, e la salvaguardia dello stesso tramite nuove iniziative/Social Innovation. Ciò che mi sta più a cuore qui raccontare è la persona di Andrea Caschetto (link dal Corriere della Sera http://www.corriere.it/cronache/16_giugno_14/andrea-caschetto-l-ambasciatore-sorriso-gira- orfanotrofi-mondo-onu-bambini-africa-d7db3016-3219-11e6-9479-1c0658e56669.shtml) mio coetaneo e conterraneo siculo.
  • 13. 12 Andrea Caschetto e i bambini di un orfanotrofio; Africa È solito presentarsi così: “Andrea, hai un tumore nel cervello. Quando sentii quella frase, non ebbi paura. Forse perché avevo solo 15 anni, forse perché avevo la testa altrove. Scappai di notte dal mio reparto con il camice bianco per andare in una sala a guardare una partita di calcio in televisione. Quella notte fu la mia ultima notte piena di ricordi. Dieci anni fa circa, mi stavano operando al Besta di Milano. L'operazione era difficile, rischiavo di perdere la parola o qualcosa in più, ma il medico è stato un fenomeno. Ebbi un solo fastidio nel tempo di attesa dovuto a questa operazione, la data. Il 2 Novembre? Mi chiedevo scherzando perché mi avessero messo in questa data che puzzava di morte, fra gli amici e i parenti ero l'unico che ci ridevo su. Dopo l’operazione il risveglio è stato più difficile del previsto, avevo difficoltà nell'esprimermi, nel mandare segnali di comprensione. Mi ritrovai smemorato e con una concentrazione pessima, non memorizzavo più niente…Andai ogni giorno a fare lezioni private di tutte le materie, i dati che mi spiegavano morivano la sera con il mio sonno. Persi quell'anno scolastico, perché i professori pensarono che me ne volessi approfittare, che la mia memoria era una scusa perché mi stufava studiare, chiamarono la mia operazione all'emisfero sinistro, un piccolo interventuccio. Fu straordinario come in quell'estate, vari professori del liceo di altri corsi, mi contattarono, invitandomi a ripartire con loro che avremmo trovato insieme un metodo per non farmi percepire lo studio, impossibile. Così feci, cambiai corso e iniziai a svolgere le interrogazioni a piccole dosi e i compiti con facilitatori… Quattro anni dopo andai in Africa per la prima volta. Al mio ritorno in Sicilia ero sorpreso, mi ricordavo tutti i volti dei bambini, le attività che avevamo fatto, le emozioni provate. Ho
  • 14. 13 iniziato a chiedermi il perché di questi ricordi e ho scoperto, grazie ai medici, che tutto ciò che colpisce i nostri sentimenti rimane per sempre nella memoria a lungo termine. Con questo metodo della memorizzazione per emozioni e immagini, ho preso una laurea e un master e ho recuperato una buona parte della memoria…Anche per questo motivo ho deciso di fare questo viaggio, il giro del mondo per gli orfanotrofi, per ricordarmelo per sempre. Ancora oggi ci sono città del mio viaggio che non ricordo come si chiamano, ma pazienza, l'importante è ricordarsi come fare ridere e divertire i bambini…” Andrea coltiva tutt’oggi il suo progetto e siamo migliaia a sostenerlo in tutto il mondo. L’ambasciatore del sorriso è stato invitato presso la sede centrale dell’Onu per il riconoscimento alle sue attività (https://www.youtube.com/watch?v=ZKid25WVRbQ). Ho avuto la possibilità di scrivergli e raccontargli di questa mia nuova esperienza formativa e alla domanda: “come mi consigli di educare alla non violenza giovani e bambini al fine di coinvolgerli, così come tu ci hai insegnato, per far capire loro l’importanza del rispetto alla donna, etnie, religioni, minoranze e di trarre dalla diversità, ricchezza?” Andrea mi ha risposto di narrare loro storie di fantasia. I bambini di tutto il mondo sono uguali, rimangono affascinati dai racconti e viaggiando con la fantasia i messaggi diverranno ricordi, poi attitudini. Un recente articolo di “La scuola in soffitta et al.” riporta dieci titoli di libri illustrati per bambini dedicati al tema della diversità. Quale migliore occasione per presentarli? Concludo questi approfondimenti elencandone alcuni: -"Nadeem, andata e ritorno", di Sofia Gallo e Anna Castagnoli – (Sinnos Editrice) © - Non tutti i bambini possono crescere giocando. In molte parti del mondo si inizia a lavorare da piccolissimi, come Nadeem che a undici anni sale su una nave che lo porterà lontano dalla famiglia a
  • 15. 14 confezionare datteri. Inizialmente uscito solo per prendere acqua al pozzo, torna a casa dopo anni. La storia di Nadeem ci parla di povertà, di infanzia tradita e di scelte che possiamo fare anche noi acquistando prodotti provenienti dal commercio equo e solidale che non impiega bambini. -"Xu, il grillo birichino", Carolina D’Angelo e Federico Appel – (Sinnos Editrice) © - Chan Chen è un bambino cinese che vive in Italia, ma si sente solo. Per fortuna ha la simpatica compagnia del suo piccolo grillo, che secondo la tradizione cinese è un animale da compagnia porta fortuna. Un giorno Xu, il grillo, scappa e per il bambino inizia una difficile ricerca tra le persone della città che non capiscono perché lui tenga tanto a un animale che loro invece schiaccerebbero volentieri. Sarà un altro bambino ad aiutarlo e a capirlo: il futuro della comprensione tra culture ha speranza nell’amicizia. -"La scuola segreta di Nasreen", di Jeanette Winter – (Giannino Stoppani Edizioni) © - Nasreen è una bambina. Siamo in Afghanistan. Lei vive con la nonna perché il padre è stato portato via dai soldati Talebani e la mamma è andata a cercarlo, ma nessuno dei due è mai tornato. Nasreen
  • 16. 15 sta tutto il giorno in casa, perché è proibito alle bambine andare a scuola, almeno finché la nonna non trova una scuola segreta che la accoglie. Dovrà nascondersi per studiare, ma lo farà con piacere perché sa che ciò che impara la accompagnerà per tutta la vita. Questa è una storia vera scritta per raccontare il coraggio di un gruppo di persone che il Global Fund for Children ha aiutato nel loro progetto di scolarizzazione. -"Un nuovo amico per Elmer", di David McKnee – (Mondadori) © - L’elefantino Elmer è diventato un classico tra i libri per bambini che introduce il tema della diversità. Elmer non è uguale agli altri elefantini: ha dei colori strani; metafora del confronto tra culture diverse. Elmer insegna a riconoscere l’unicità di ogni persona e aiuterà i bambini a capire che ognuno di noi è in qualche modo diverso dagli altri e unico allo stesso tempo. I temi raccontati in questi libri sono le tradizioni, i costumi, i sogni e le difficoltà dei bambini di tutto il mondo trasposti in storie simpatiche e toccanti adatti per i piccoli e anche per i più giovani.
  • 17. 16 Bibliografia AA. VV., Educacion de Adultos y Desarrollo de la Comunidad. Tres Experiencias en el Plan Regional de Educacion de Adultos de Murcia, Direccion Provincial del M.E.C., Murcia, 1987. AA. VV., Bisogni sociali emergenti e prospettive pedagogiche, Atti del Convegno SIPED, Laterza, Bari, 1997. Alberici A., Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano, 2002. Alessandrini G. (a cura di), Pedagogia e formazione nella società della conoscenza, Franco Angeli, Milano, 2002. Bauman Z., Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari, 2004. Bauman Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2003. Bertolini P., “La città: un oggetto pedagogico?”, in Gennari M. (a cura di), La città educante, SAGEP, Genova, 1989. Betti C., Aprile L., De Marco P., Mari G., Mariani A., Storia della pedagogia in Le scienze della formazione, Apogeo, Milano, 2007. Bogataj N., Rejec P., VreÄer N., Slanisca E., Pinosa E., Gozzo C., Totaro C., Del Gobbo G., Pelikan M., Skok M., SKUPNOSTNO UČENJE V ČEZMEJNEM PROSTORU. Primer študijskih krožkov ob slovensko-italijanski meji, PosoÅ¡ki razvojni center, Tolmin, 2013. Bruner J., La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari, 1988. Callari Galli M., “Analisi culturale della complessità”, in Callari Galli M., Cambi F., Ceruti M., Formare alla complessità. Prospettive dell’educazione nelle società globali, Carocci, Roma, 2003. Callari Galli M., Ceruti M., Pievani T., Pensare la diversità. Per un’educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma, 1998. Calvani A., Rete, comunità, conoscenza, Erickson, Trento, 2005. Cambi F., Campani G., Ulivieri S. (a cura di), Donne migranti. Verso nuovi percorsi formativi, ETS, Pisa, 2003. Cambi F., Orefice P. (a cura di), Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori, Napoli, 1996. Cambi F., Ulivieri S. (a cura di), Infanzia e violenza. Forme, terapie, interpretazioni, La Nuova Italia, Firenze, 1990. Contini M., Il gruppo educativo, Carocci, Roma, 2000. Contini M., Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze, 1977. Cuomo S., Bombelli C. (a cura di), Il tempo al femminile, Etas, Milano, 2003. Del Gobbo G., “Solidarietà e sviluppo endogeno sostenibile: lo sguardo pedagogico per riconoscere il valore dei saperi altri” in Coggi C. e Ricchiardi P. (a cura di), Educare allo sviluppo sostenibile e alla solidarietà internazionale, pp. 27- 46, Pensa Multimedia, Lecce, 2014. Del Gobbo G., Emili B., Galeotti G., Orefice P., Agua entre oportunidad y riesgo. CapacitaciÃn e investigaciÃn en contextos de emergencia, Edizioni Via Laura, Firenze, 2012. Del Gobbo G., Dall’ambiente all’educazione. Materiali di studio tra teoria, metodologia e pratiche, Edizioni Del Cerro, Tirrenia (Pisa), 2007. Del Gobbo G., Il processo formativo tra potenziale di conoscenza e reti di saperi. Un contributo di riflessione sui processi di costruzione di conoscenza, Firenze University Press, Firenze, 2007. Del Gobbo G., La dimensione partecipativa nella formazione. Studio introduttivo al contributo di Antonio Damasio, Edizioni ETS, Pisa, 2007.
  • 18. 17 Del Gobbo G., Guetta S., I saperi dei Circoli di Studio. Proposte teorico-metodologiche per operatori del Lifelong Learning, Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa), 2005. Demetrio D., Giusti M., Iori V., Mapelli B., Piussi A., Ulivieri S., Con voce diversa. Pedagogia e differenza sessuale e di genere, Guerini, Milano, 2001. Dewey. J., Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1992. Federighi P., “Le teorie critiche sui processi formativi in età adulta: tendenze e aspetti problematici nei principali orientamenti contemporanei”, in Orefice P. (a cura di), Formazione e processo formativo. Ipotesi interpretative, Franco Angeli, Milano, 1997. Folgheraiter F., Interventi di rete e comunità locali, Erickson, Trento, 1994. Freire P., La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano, 1971. Gardner H., Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, Milano, 1987. Geertz C., Mondo globale, mondi locali, Il Mulino, Bologna, 1999. Giddens A., Il mondo che cambia: come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna, 2000. Guetta S., Educare ad un mondo futuro. Alleanze interculturali, dialoghi interreligiosi e sviluppo della cultura di pace, Franco Angeli, Milano, 2013. Guetta S., Orefice P. (a cura di), Adolescenti, relazione d’aiuto, integrazione degli interventi, Edizioni ETS, Pisa, 2003. Iavarone M. L., Sarracino V. (a cura di), Le parole chiave della formazione, Tecnodid, Napoli, 2004. Iavarone M. L., Sarracino V., Striano M. (a cura di), Questioni di pedagogia sociale, Franco Angeli, Milano, 2000. Knasel E., Meed J., Rossetti A., Apprendere sempre. L’apprendimento continuo nel corso della vita, Raffaelo Cortina Editore, Milano, 2002. Laporta R., “Pedagogia sociale: un progetto possibile” in Sarracino V., Striano M. (a cura di), La pedagogia sociale. Prospettive di indagine, ETS, Pisa, 2001. Laporta R., L'autoeducazione delle comunità, La Nuova Italia, Firenze, 1979. Lyotard J. F., La Condition postmoderne: rapport sur le savoir, 1979; trad. di Formenti C., “La condizione postmoderna: rapporto sul sapere”, Feltrinelli, Milano, 1981. Morin E., Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015. Morin E., I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001. Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000. Orefice P., “Cittadini, saperi e professionisti della Civitas educationis terrestre. Scenario della formazione e della professionalità degli educatori e dei pedagogisti” in Educators Training. A challenge for the development of the Civitas educationis, Mimesis Edizioni, Milano, 2015. Orefice P., Del Gobbo G., Mancaniello M. R., Guetta S., Orientamenti teorici e azioni strategiche. Cattedra Transdisciplinare UNESCO Sviluppo Umano e Cultura di Pace, Firenze University Press, Firenze, 2010. Orefice P., La ricerca azione partecipativa. Teoria e pratiche. Vol. 1: La creazione dei saperi nell'educazione di comunità per lo sviluppo locale, Liguori, Napoli, 2006.
  • 19. 18 Orefice P., Sarracino V. (a cura di), Nuove questioni di pedagogia sociale, Franco Angeli, Milano, 2004. Orefice P., La formazione di specie. Per una pedagogia della liberazione del potenziale conoscitivo tra il sentire e il pensare, Guerini Editori, Milano, 2003. Orefice P., I domini conoscitivi. Origine, natura e sviluppo dei saperi dell’Homo sapiens sapiens, Carocci, Roma, 2001. Orefice P. (a cura di), L'operatore sociale di strada: professione e formazione, ETS, Pisa, 2000. Orefice P., Sarracino V., Comunità locali e educazione permanente, Liguori, Napoli, 1981. Orefice P., Educazione e territorio, La Nuova Italia, Firenze, 1978. Orefice P., La comunità educativa, Ferraro, Napoli, 1975. Parsons T., La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna, 1987. Romei P., Autonomia e progettualità. La scuola come laboratorio di gestione della complessità sociale, La Nuova Italia, Firenze, 1995. Santerini M., Educare alla cittadinanza, Carocci, Roma, 2001. Sarracino V., Striano M., La Pedagogia Sociale. Prospettive di indagine, ETS, Pisa, 2002. Sarracino V., Processi educativi e realtà locale, Loffredo, Napoli, 1984. Sarsini D., Cambi F., Mariani A., Giosi M., Pedagogia generale. Identità, percorsi, funzione, Carocci, Roma, 2009. Scurati C., Zaniello G., La ricerca-azione. Contributi per lo sviluppo educativo, Tecnodid, Napoli, 1993. Striano M., La razionalità riflessiva nell’agire educativo, Liguori, Napoli, 2001. Striano M., I tempi e i luoghi dell’apprendere. Processi di apprendimento e contesti di formazione, Liguori, Napoli, 1999. Ulivieri S., Tomarchio M., Pedagogia militante. Diritti, culture, territori, ETS, Pisa, 2015. Ulivieri S., La «Pedagogia sociale» come metafora emancipativa, in Sarracino V., Striano M. (a cura di), La pedagogia Sociale, ETS, Pisa, 2002. Ulivieri S. (a cura di), L’educazione e i marginali. Storia, teorie, luoghi e tipologie dell’emarginazione, La Nuova Italia, Firenze, 1997. Ulivieri S., Bambine, giovani donne e violenza sessuale, in “Vita dell’infanzia”, vol. 7, pp. 26- 28, Firenze, 1996. Ulivieri S., Educare al femminile, ETS, Pisa, 1995. Vygotskj L., Pensiero e linguaggio, Giunti, Firenze, 1975. Woodman M., Puoi volare, farfalla, Edizioni Red, Milano, 2004. Young J. E., Klosko J. S., Reiventa la tua vita, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004. Sitografia -Siti Nazionali Centro di Informazione Educazione allo Sviluppo http://www.cies.it/ CIREA: Centro Italiano di Ricerca ed Educazione Ambientale http://www.dsa.unipr.it/cirea/ Cirse: Centro di ricerche storicoeducative http://www.cirse.it/ COREP: Consorzio per la Ricerca e l’Educazione Permanente
  • 20. 19 http://www.formazione.corep.it/ CREIFOS: Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e sulla Formazione allo Sviluppo http://host.uniroma3.it/laboratori/creifos/ Erasmus+ http://www.erasmusplus.it/ FAI: Fondo Ambiente Italiano http://www.fondoambiente.it/ INDIRE: Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa http://www.indire.it/ Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca http://www.istruzione.it/ Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo http://www.beniculturali.it/ SIPED: Società Italiana di Pedagogia http://www.siped.it/ UNLA: Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo http://www.unla.it/ -Siti Internazionali Assessment & Evaluation on the Internet http://pareonline.net/ Beginners Guide to Lifelong Learning http://www.niace.org.uk/information/Lifelong_Learning/Beginners_guides/ CIDSE : Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité http://www.cidse.org/ Education International http://www.ei-ie.org/ Learning For Sustainable Environment http://www.ens.gv.edu.au/ciree/LSE/main.html OCSE: Banca dati dell'educazione http://www.oecd.org UNESCO: UIE-Institute for Education http://www.unesco.org http://www.uie/ http://www.unesco.org/education/efa/ed_for_all/ Data 8/10/2016 In Fede ______________________