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SOMMARIO
QUESTIONI D'OGGI
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI
ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
Antonino Di Geronimo Pag. 1117
LE NUOVE NORME DI CONTRASTO
ALLE FRODI IVA
Rossella Di Lullo " 1137
BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO
IN TEMA DI IRAP
Renato Loiero
Luciana Marino " 1145
DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE
E FATTURAZIONE ELETTRONICA
Simone La Rocca " 1161
LA SPECIALE CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
"UMANITARIA": QUALE AMBITO DI APPLICAZIONE
Angela Baraldi " 1185
ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA
DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE
Valeria Zito " 1191
DOTTRINA
I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI
NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO
Umberto Di Nuzzo Pag. 1213
LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO:
BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO
Antonina Giordano " 1239
TECNICA PROFESSIONALE
TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE
EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI
ALL'ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI
Giangaspare Donato Toma " 1261
L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO
E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA
DELLA L. 488/1992
Elia Carmelo Pallaria
Giuseppe Furciniti " 1273
L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO
DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA.
RIFLESSI OPERATIVI
Renzo Nisi " 1293
L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE
NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO
Gianluca Filippi
Mario Landi " 1311
LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA
DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE
FINANZIARIA 2005
Antonio Mancazzo Pag. 1329
MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO:
LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANO
TRA TEORIA E PRATICA
Federico Toffoli " 1347
STORIA
I TRIBUNALI AD HOC DELLE NAZIONI UNITE:
UN CASO SCUOLA, IL TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE
PER IL RUANDA
Isidoro Palumbo " 1361
RASSEGNE
DOCUMENTI
a cura di Gaetano Nanula " 1381
NOTE A SENTENZE
a cura di Salvatore Gallo " 1415
NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA
a cura di Francesco Sciarretta " 1421
CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITÀ EUROPEA
a cura di Lorenzo Salazar " 1429
GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE
a cura di Giuseppe Scandurra
Donatella Scandurra " 1433
DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA
a cura di Bruno Assumma Pag. 1439
RASSEGNA MILITARE
a cura di Osvaldo Cucuzza " 1443
MASSIMARIO
a cura di Salvatore D'Amato " 1447
LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA
a cura di Marco Di Pierdomenico
Cosimo Lamanuzzi " 1455
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
a cura di Redazione " 1461
RECENSIONI
a cura di Redazione " 1467
ANGELA BARALDI
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crema.
ANTONINO DI GERONIMO
Dirigente della Direzione Regionale Agenzia delle Entrate Emilia Romagna.
ROSSELLA DI LULLO
Funzionario dell'Agenzia delle Entrate di Ravenna.
UMBERTO DI NUZZO
Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante del Nucleo Regionale pt
Toscana. Titolato Corso Superiore di Polizia Tributaria.
GIUSEPPE FURCINITI
Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Nucleo
Regionale pt Calabria.
GIANLUCA FILIPPI
Maggiore della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Generale.
ANTONINA GIORDANO
Direttore Tributario presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze.
MARIO LANDI
Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Generale.
Gli autori
SIMONE LA ROCCA
Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Nucleo
Regionale pt Lazio.
RENATO LOIERO
Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica.
ANTONIO MANCAZZO
Maggiore della Guardia di Finanza, Comandante del Nucleo Provinciale pt
Ravenna.
LUCIANA MARINO
Funzionario tributario presso il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria.
RENZO NISI
Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Verifiche
Speciali del Nucleo Regionale pt Lombardia. Titolato Corso Superiore di Polizia
Tributaria.
ELIA CARMELO PALLARIA
Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Investigativo
Criminalità Organizzata del Nucleo Regionale pt Calabria.
ISIDORO PALUMBO
Avvocato. Consigliere Giuridico Militare, docente di Diritto Internazionale dei
Conflitti Armati presso l'Università Cattolica "Sacro Cuore".
FEDERICO TOFFOLI
Dottore Commercialista.
GIANGASPARE DONATO TOMA
Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Repressione
Frodi del Nucleo Regionale pt Friuli-Venezia Giulia.
VALERIA ZITO
Avvocato.
11174/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Il regime fiscale delle partecipazioni
alla luce del nuovo Tuir (*)
di Antonino Di Geronimo
1. Premessa - 2. Cessioni di partecipazioni immobilizzate. La participation
exemption (Pex) - 2.1 Chi può fruire dell'esenzione? - 2.2 Requisiti delle
partecipazioni per fruire della Pex - 3. Rapporti tra regime Pex e operazioni
straordinarie nell'ambito del reddito d'impresa
1. Premessa
La riforma del sistema fiscale statale avviata con la legge delega 7
aprile2003,n.80,ècaratterizzata-daunpuntodivistateoricoestrutturale-
da un nuovo assetto dei rapporti tra la fiscalità delle società e quella dei
soci che si basa sul criterio di tassazione del reddito al momento della
produzione anziché all'atto della sua distribuzione.
A tal fine è prevista l'irrilevanza reddituale dei dividendi distribuiti
e l'esenzione delle plusvalenze realizzate in occasione della cessione
delle partecipazioni che rispondono a determinati requisiti. Tali istituti
consentono di cristallizzare l'imposizione a titolo definitivo in capo alla
società partecipata - che ha prodotto la base imponibile - in quanto:
- sono parzialmente esclusi (in linea generale per il 95 o per il 60% del
loro ammontare, a seconda del soggetto percettore) da tassazione i
dividendi distribuiti ai soci (1);
(*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto
concerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria
2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo
2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna
e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna.
(1) È appena il caso di osservare, in linea con diversi commentatori della riforma, che tale
ANTONINO DI GERONIMO
1118 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
- vengono considerate esenti (parzialmente o totalmente a seconda dei
casi) le plusvalenze da cessione delle partecipazioni con simmetrica
indeducibilità delle minusvalenze e dei relativi costi.
L'assunto sistematico da cui muove l'istituto dell'esclusione da
imposizione dei dividendi e la corrispondente esenzione delle plusvalenze
si riconnette ai criteri economici di formazione delle plusvalenze e, in
particolare, alla circostanza che il plusvalore realizzato in occasione
della cessione di una partecipazione è costituito da utili già conseguiti
(o conseguibili in futuro) dalla partecipata, i quali hanno già scontato (o
sconteranno) in via definitiva le imposte presso il soggetto che li produce.
La stretta correlazione tra i due istituti è evidenziata dal fatto che:
- per i soggetti Ires è prevista a fronte dell'imponibilità del dividendo per
il 5%, un'esenzione totale della plusvalenza;
- per i soggetti Irpef (futura Ire) è prevista, in entrambi i casi, con
totale simmetria, un'imponibilità parziale nei limiti del 40% del loro
ammontare (2).
Contestualmente all'introduzione della Participation Exemption nel
nostro ordinamento tributario è stata prevista l'indeducibilità:
- delle svalutazioni di partecipazioni comunque classificate, sia che
attengano a partecipazioni che si qualificano per il regime Pex, sia che
non si qualifichino a questi fini;
- delle minusvalenze realizzate nel caso di cessione della partecipazione
in società, con o senza personalità giuridica, rientrante in regime Pex
aspetto, che comporta il superamento integrale del previgente sistema del credito d'imposta fruibile
dal socio, potrebbe dare luogo a fenomeni di doppia imposizione economica che, evidentemente,
sono stati ritenuti tollerabili dal legislatore negli equilibri teorici del nuovo sistema fiscale. Sarà
evidentemente la prima applicazione delle regole in commento a dare lumi circa l'insorgenza (certa)
di tali fenomeni e della loro sostenibilità da parte dei soggetti passivi dell'imposizione diretta.
(2) Si rammenti al riguardo il trattamento transitoriamente riservato agli enti non commerciali,
secondo cui, pur essendo tali enti tenuti alla determinazione del proprio reddito complessivo alla
stregua di un soggetto passivo dell'Irpef, essi vedranno attrarre a tassazione i dividendi percepiti
nella misura del 5% - art. 4, comma 1, lett. q) della L. 80/2003.
(segue nota)
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11194/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
(art. 101 Tuir); saranno invece deducibili le minusvalenze attinenti alla
cessione di partecipazioni non Pex;
- dei costi direttamente connessi con la cessione delle citate
partecipazioni (anche attraverso un'apposita variazione in aumento in
sede di dichiarazione dei redditi) (3).
Dal punto di vista operativo occorre tener conto di una sorta di regime
transitorio che mette in collegamento le svalutazioni di partecipazioni
operate ante riforma con il regime in argomento.
In tal senso il D.L.vo 344/2003 dispone che:
- vanno assoggettate a tassazione le plusvalenze relative alle azioni o quote
realizzate entro il secondo periodo d'imposta successivo a quello in corso
al 31 dicembre 2003 fino a concorrenza delle svalutazioni dedotte nello
stesso periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente;
di conseguenza il regime Pex, operante dal 1° gennaio 2004, sarà
applicabile per la quota parte di plusvalenza che eccede l'ammontare
delle svalutazioni dedotte. Scopo della norma, come è evidente, è quello
di sterilizzare l'effetto potenzialmente elusivo collegabile alla svalutazione
operata, su partecipazioni che si prevedeva di cedere in regime di
participation exemption al fine di godere di un doppio beneficio (4),
consistente nella svalutazione fiscalmente rilevante nel precedente regime
e nell'esenzione della plusvalenza nel nuovo sistema;
- simmetricamente, le svalutazioni delle stesse azioni o quote sopra
richiamate, riprese a tassazione nel periodo d'imposta in corso al 31
dicembre 2003 e nel precedente, sono deducibili se realizzate entro il
secondo periodo d'imposta a quello in corso al 31 dicembre 2003;
- per le svalutazioni delle azioni o quote operate fino al periodo
d'imposta antecedente a quello in cui si applicano le nuove
(3) I termini "esente" ed "escluso" da tassazione non sono fungibili, almeno ai fini che qui
interessano. Infatti alle plusvalenze che si qualificano per l'esenzione, corrispondono costi correlati
indeducibili, mentre ai dividendi, che si caratterizzano come proventi esclusi da tassazione, si
connettono dei costi deducibili, ai sensi dell'art. 109 del nuovo Tuir.
(4) Che avrebbe finito con il concretizzare un irrimediabile salto d'imposta, implicitamente ma
sicuramente disapprovato dall'ordinamento.
ANTONINO DI GERONIMO
1120 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
disposizioni in materia di partecipazioni, continuano ad applicarsi
anche successivamente i criteri di deduzione pro quota stabiliti
dall'art. 1, comma 1, lett. b) del D.L. 209/2002. La ratio della norma
emerge chiaramente dalla relazione governativa secondo la quale essa
risulta finalizzata a garantire che le quote di svalutazione operate ai
sensi del predetto decreto, configurano diritti acquisiti che la riforma
non influenza. Del resto è da escludere, ad avviso - condivisibile -
dell'Agenzia delle Entrate, la possibilità di anticipare la deduzione delle
residue quote anche se a seguito della cessione della partecipazione
dovesse realizzarsi una minusvalenza.
Ulteriore, strategico, obiettivo della riforma è quello di incentivare
i trasferimenti di complessi aziendali per mezzo della cessione delle
partecipazioni societarie che li rappresentano in alternativa alla cessione
diretta, che viene scoraggiata attraverso la soppressione dell'imposta
sostitutiva del 19% prevista dall'art. 1 del D.L.vo 8 ottobre 1997, n. 358.
2. Cessioni di partecipazioni immobilizzate. La participation
exemption (Pex)
L'art. 87 del nuovo Tuir, attuando i criteri direttivi di cui all'art. 4,
comma 1, lett. c) ed e) della legge delega per la riforma del sistema fiscale
interno (legge 7 aprile 2003, n. 80), ha dunque introdotto nell'ordinamento
tributario una novità assoluta: l'istituto della c.d. participation exemption
(d'ora in avanti sinteticamente denominata Pex) (5). È stata infatti stabilita,
per i soggetti passivi dell'Ires (6), l'esenzione da imposizione per le
plusvalenze darealizzodipartecipazioniinsocietà,conosenzapersonalità
(5) Scopo dichiarato di tale innovazione è quello di adeguare - eliminandone svantaggi
competitivi - il sistema fiscale nazionale a quello vigente in altri Paesi europei (come l'Austria, l'Olanda,
il Belgio, la Danimarca, la Spagna, il Lussemburgo e, più recentemente, anche la Germania); Paesi
nei quali avevano finito - o avrebbero finito - per localizzarsi numerosissime holding per sfruttare,
appunto, le esenzioni ivi accordate in occasione della cessione delle partecipazioni.
(6) Le modifiche normative, peraltro, interessano anche le persone fisiche (futuri soggetti
passivi Ire) non esercenti attività d'impresa, limitatamente alle partecipazioni c.d. qualificate, le cui
plusvalenze da cessione concorreranno - a titolo di reddito diverso ai sensi dell'art. 68 del nuovo Tuir -
alla formazione del reddito complessivo imponibile in misura pari al 40% del loro ammontare, al netto
di eventuali minusvalenze realizzate su altre cessioni di partecipazioni, anch'esse assunte in misura
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11214/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
giuridica, sia residenti che non residenti, purché siano soddisfatte alcune
condizioni di seguito evidenziate. L'esenzione assicurata dal regime in
esame, avuto riguardo all'art. 9, comma 5 del Tuir, si realizza oltre che
in conseguenza delle cessioni propriamente dette, anche con riguardo
alle plusvalenze derivanti da operazioni effettuate a titolo oneroso che
producono i medesimi effetti giuridici, quali:
- il conferimento;
- la permuta;
- lo scambio di azioni;
- il trasferimento della sede o della residenza della società partecipante,
in base all'art. 166 del nuovo Tuir (ex art. 20-bis: c.d. exit tax) su
cui peraltro pende potenzialmente un giudizio critico degli organi
comunitari (Commissione o Corte di Giustizia Ue) che hanno già
censurato l'analoga norma di diritto interno francese, per contrasto
con il principio di libertà di stabilimento.
Per espressa previsione della norma rimangono escluse
dall'esenzione le plusvalenze realizzate con riferimento alla partecipazione
in società semplici e agli enti ad esse assimilati.
Sotto il profilo oggettivo - e ciò costituisce elemento di raccordo
con la riforma del diritto societario recata dal D.L.vo 6/2003 - l'esenzione
si applica anche:
- agli strumenti finanziari simili alle azioni, la cui remunerazione è
totalmente indeducibile poiché dipendente dai risultati della società
emittente o dell'affare riguardo al quale sono emessi;
- ai contratti di associazione in partecipazione e a quelli di
cointeressenza, di cui all'art. 2554 del c.c., allorché sia previsto un
apporto diverso da quello esclusivo di opere e servizi (7).
pari al 40% del relativo ammontare; per le partecipazioni non qualificate, vale a dire inferiori alle
soglie previste dall'art. 67, comma 1, lett. c) del "nuovo" Tuir, permane l'assoggettamento all'imposta
sostitutiva del 12,5%, di cui al D.L.vo 461/1997.
(7) Su altri diritti a contenuto patrimoniale si veda nello specifico l'analitica illustrazione
contenuta al p. 2.2 della Circolare n. 36 del 2004.
(segue nota)
ANTONINO DI GERONIMO
1122 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
Infine l'art. 87, comma 6, del nuovo Tuir prevede l'applicabilità
del regime Pex anche nelle ipotesi di somme o beni ricevuti dai soci
delle società soggette ad Ires a titolo di ripartizione di determinate
riserve o fondi, qualora le somme medesime o il valore normale
dei beni ricevuti eccedano il valore fiscalmente riconosciuto della
partecipazione. Sussistendo tutti i requisiti, su cui si andrà a dare
dettagliata rappresentazione, la differenza si configurerà come
plusvalenza esente. Tale disposizione si applica anche ai soggetti
passivi Irpef che detengono le partecipazioni in regime d'impresa (8),
per effetto del richiamo operato dall'art. 58 Tuir all'art. 87. In tal caso,
in ossequio al principio generale, la plusvalenza godrà di un'esenzione
pari al 60% (possibile che tale interpretazione trovi riscontro ufficiale nel
decreto correttivo Ires).
2.1 Chi può fruire dell'esenzione?
Possono avvalersi dei meccanismi Pex, com'è intuibile a seguito
della premessa:
- i soggetti passivi dell'Ires come individuati dall'art. 73 del nuovo Tuir,
e cioè le società di capitali, anche cooperative, enti pubblici o privati
a carattere commerciale, tutti residenti nel territorio dello Stato, stabili
organizzazioni di società o enti non residenti;
- società di persone o persone fisiche esercenti attività d'impresa
(combinato disposto dagli artt. 58 e 87 nuovo Tuir).
Considerato che, come si vedrà più specificamente infra, una
delle condizioni necessarie per fruire della Pex, risiede nell'iscrizione
delle partecipazioni cedute tra le immobilizzazioni finanziarie, è
opinione dell'Agenzia delle Entrate (conforme a Circolare n. 320 del 19
dicembre 1997 del cessato Dipartimento delle Entrate del Ministero
delle Finanze, in tema di cessione delle partecipazioni di controllo o di
(8) Per i soggetti Irpef che detengono la partecipazione non in regime d'impresa, invece, la
restituzione di fondi o riserve in entità maggiore rispetto al valore della partecipazione integrerà una
particolare fattispecie di redditi di capitale, quali utili di partecipazione.
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11234/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
collegamento e conseguente fruizione dell'imposizione sostitutiva, di
cui al decreto n. 358 del 1997) che il regime in argomento non possa
essere fruito dai contribuenti c.d. minori, che determinano il reddito
ai sensi dell'art. 66 del nuovo Tuir, che rimanda a sua volta alla tenuta
della c.d. contabilità semplificata. In sostanza, a questo livello, è la
tenuta di una contabilità ordinaria che sfoci nella stesura di un bilancio
di esercizio a essere determinante ai fini dell'applicabilità del regime
di esenzione di cui all'art. 87 cit. (9). Conseguentemente le cessioni di
partecipazione operate da un soggetto in contabilità semplificata daranno
sempre luogo a plusvalenze interamente tassabili e a minusvalenze
interamente deducibili. Nell'ambito della manifestazione "Telefisco 2005"
è stato tuttavia precisato dall'Agenzia delle Entrate che se un'impresa,
precedentemente in contabilità semplificata e che in quel regime aveva
acquisito una partecipazione avente i requisiti Pex, opta per la contabilità
ordinaria, iscrivendo la partecipazione in questione tra le immobilizzazioni
finanziarie nel primo bilancio chiuso dopo l'esercizio dell'opzione, potrà
conteggiare il periodo di possesso previsto come requisito soggettivo,
dal periodo in cui è stata esercitata l'opzione per la contabilità ordinaria.
Ciò in quanto l'art. 87 prevede la classificazione tra le immobilizzazioni
finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso, senza
fare riferimento al primo periodo di possesso.
2.2 Requisiti delle partecipazioni per fruire della Pex
Le partecipazioni in questione (10):
1) devono essere possedute ininterrottamente dal primo giorno del
dodicesimo mese precedente a quello della cessione, considerando
come prime cedute le quote o le azioni acquistate più di recente (criterio
Lifo).
(9) Sembra peraltro del tutto pacifico che se un soggetto, che è naturalmente in semplificata,
istituisce la contabilità ordinaria potrà ugualmente fruire del regime Pex.
(10) Oltre che gli strumenti finanziari similari alle azioni e i contratti di associazione in
partecipazione e di cointeressenza agli utili non riferibili esclusivamente alla prestazione di opere e
servizi. Analogamente si argomenta in relazione alle azioni proprie cedute in forza dall'art. 2357 e ss.
del codice civile e a norma dell'art. 121 del D.L.vo 58/1998.
ANTONINO DI GERONIMO
1124 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
Pertanto, ad esempio, si qualificherà per l'esenzione la plusvalenza
derivante dalla cessione di una partecipazione effettuata nel mese
di aprile dell'anno X se la stessa era posseduta almeno dal 1° aprile
dell'anno precedente.
Non si qualificherà per l'esenzione la plusvalenza derivante dalla
cessione di una partecipazione effettuata nel mese di aprile dell'anno X,
se la stessa era posseduta "solo" dal 2 aprile dell'anno precedente.
Nel caso di cessione di una partecipazione acquisita in più tranche,
occorre verificare se la correlata plusvalenza si qualifichi in tutto o in
parte per l'esenzione, e al riguardo soccorrono gli esempi di cui al
p. 2.3.1 della Circolare n. 36, coerenti con il criterio delineato;
2) devono essere classificate tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo
bilancio chiuso durante il periodo di possesso.
La scelta originariamente operata dall'impresa (11) risulta, dunque,
vincolante rispetto al regime di esonero. L'eventuale successiva
iscrizione nell'attivo circolante dello Stato patrimoniale non fa venire
meno l'esenzione, mentre, al contrario, è esclusa tale possibilità se
nel primo bilancio chiuso del periodo di possesso la partecipazione è
stata iscritta nel circolante dell'attivo patrimoniale, anche se in seguito
viene iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie.
(11) La collocazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, in quanto
presupposto per la fruizione del regime di esenzione di cui all'art. 87 del nuovo Tuir, può dare adito
a perplessità in ordine alla correttezza della classificazione. Al riguardo proprio tale operazione (di
classificazione) è stata annoverata tra le fattispecie potenzialmente elusive, contrastabili a mezzo
dell'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in base all'esplicita previsione dell'art. 2, comma 2, lett. e)
del D.L.vo 344/2003, intitolato "Norme di coordinamento". L'Amministrazione finanziaria, sembra
certamente di capire, potrà ingerirsi nella classificazione delle partecipazioni - operazione di chiara
matrice civilistica - per farne derivare conseguenze sotto il profilo fiscale, valutandone la possibile
elusività. Si tratta di aspetto assai interessante e innovativo, in quanto nel caso in questione, la
strumentalizzazione delle norme tributarie (l'art. 87 del Tuir) avrebbe come presupposto una
(volutamente) errata valutazione civilistica. Non sempre la dottrina è stata concorde nel consentire
tali percorsi argomentativi al Fisco, ritenendo l'area delle valutazioni civilistiche sostanzialmente
intangibile. L'Amministrazione finanziaria, dunque, potrà disconoscere i vantaggi fiscali indebiti
derivanti da inappropriate classificazioni di bilancio delle partecipazioni preordinate strumentalmente
alla fruizione della Pex, ovvero alla sua altrettanto strumentale disapplicazione, al fine di fruire della
deducibilità delle minusvalenze da cessione di partecipazioni.
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11254/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Per le partecipazioni già possedute prima del periodo d'imposta di
entrata in vigore della riforma (1° gennaio 2004) la prima classificazione
tra le immobilizzazioni finanziarie deve risultare:
a. dal bilancio relativo al secondo periodo d'imposta (2002, nel caso di
esercizio solare) anteriore a quello di entrata in vigore della riforma
(2004);
b. dal bilancio relativo al primo periodo d'imposta (2003) per le
partecipazioni acquistate nello stesso periodo;
3) la residenza fiscale della società partecipata non deve essere situata
in Stati o territori a fiscalità privilegiata (12), salva la possibilità di
proporre una preventiva istanza di interpello all'Agenzia delle Entrate,
tesa a dimostrare che alla localizzazione in quegli Stati o territori non
corrispondono vantaggi fiscali distorsivi;
4) le società partecipate devono esercitare un'impresa commerciale
secondo la previsione dell'art. 55 del nuovo Tuir. In tal senso dalla norma
si desume che non si considera in ogni caso commerciale l'attività delle
partecipate i cui valori patrimoniali (assets) sono prevalentemente (13)
costituiti da immobili diversi da quelli che costituiscono effettivi beni-
merce e da impianti e/o fabbricati utilizzati direttamente come strumentali
nell'esercizio dell'impresa (beni strumentali per destinazione). Tra questi
ultimi sono compresi gli immobili concessi in leasing e i terreni utilizzati
per attività agricole, rimanendo esclusi gli immobili concessi in locazione
(12) Art . 167 del "nuovo" Tuir e D.M. 21 novembre 2001, n. 429.
(13) Per valore del patrimonio costituito da immobili di cui al p. 4, non va inteso il dato
contabile di iscrizione ma il "valore corrente"; pertanto la verifica di "prevalenza" va effettuata
comparando il valore corrente dei beni immobili non merce e non funzionalmente strumentali, con
il valore corrente degli assets posseduti dalla società partecipata, comprensivi di quelli immateriali
(intangibles), come l'avviamento. Si tratta di un terreno assai insidioso, sia per le imprese, ai fini
della corretta fruizione del meccanismo di esenzione, sia per l'Amministrazione finanziaria in sede di
controllo. La disposizione riecheggia la prossima introduzione nell'ordinamento interno dei princìpi
contabili internazionali (IASC), e tra questi, in particolare, del criterio del c.d. fair value, quale strumento
principe di valutazione del patrimonio aziendale. La questione non è al momento chiarissima. Dal
punto di vista dell'accertamento è ipotizzabile un (non facile) riscontro del valore degli immobili non
merce e non direttamente strumentali, con metodologie analoghe a quelle che attualmente vengono
utilizzate ai fini dei controlli in materia di Imposta di Registro.
ANTONINO DI GERONIMO
1126 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
ordinaria o in comodato, anche attraverso contratti d'affitto d'azienda
(v. Circolare 36/E) (14).
Peraltro, con una risoluzione collegata alla risposta ad un'istanza di
interpello (prot. n. 954/185059 del 2 novembre 2004), l'Agenzia delle
Entrate, ritornando sull'argomento, ha ulteriormente precisato che:
a) la ratio della chiusura antielusiva sulle "immobiliari" risiede
nell'intento di evitare che la cessione esente delle partecipazioni
in società aventi le cennate caratteristiche, produca un arbitraggio,
non consentito dall'ordinamento, rispetto alle cessioni dei beni
(immobili) che il titolo rappresenta;
b) che tale ratio, peraltro, agisce con riferimento solo quando venga
cedutalapartecipazioneinunentechenonsiarivoltoallacostruzione
e/o alla vendita degli immobili, ma alla loro mera utilizzazione passiva
(godimento) anche attraverso la locazione o l'affitto d'azienda;
c) che tale riscontro, in ogni caso, va operato in concreto, cioè in
relazione all'attività effettivamente svolta, superando anche il dato
formale emergente dagli atti societari (oggetto sociale) e dalle stesse
risultanze contabili (ad esempio la contabilizzazione degli immobili
tra le rimanenze);
d) che l'attività di compravendita non può configurarsi per effetto
delle sole manifestazioni di intento a cedere gli immobili (o l'unico
posseduto);
e) che la durata pluriennale e continuativa dei contratti di locazione e la
contestuale assenza di qualunque atto di vendita, avente per oggetto
anche una parte dell'immobile (i) non consentono di considerare la
locazione come attività sussidiaria, rendendola, invece, tipica.
(14) In proposito è da segnalare una recente posizione Assonime, secondo la quale la restrittiva
interpretazione dell'Agenzia delle Entrate deve essere riferita alle imprese immobiliari di gestione,
mentre per le imprese di costruzione e vendita di immobili, ovvero per le immobiliari che intermediano
la vendita di immobili la locazione degli immobili merce costituisce una componente della tipica
attività d'impresa, anche in relazione a quei periodi in cui l'impresa, che pure mira esplicitamente alla
vendita dell'immobile, lo pone in locazione al fine di mantenere un soddisfacente livello di redditività.
Vd. BONO M. e PIAZZA M., Immobiliari, sconto in bilico, su Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2004.
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11274/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Pur negando il requisito dell'esenzione, nello specifico dell'interpello
proposto, l'Agenzia ha mitigato l'assolutezza dell'affermazione contenuta
nella Circolare n. 36, arrivando a ritenere in astratto passibile di esenzione
la cessione della partecipazione in una società che, pur locando
transitoriamente i propri immobili, li destini effettivamente alla vendita.
In ciò la posizione espressa sembra in qualche modo venire incontro alle
argomentazioni di Assonime, di cui alla nota n. 13.
Ancora più interessante è la recente presa di posizione dell'Agenzia
delle Entrate cui fa riferimento una risposta ad una interrogazione
parlamentare da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze (15): in
sostanza è stato affermato che nel caso in cui la locazione degli immobili
risulti affiancata anche da una serie di servizi accessori di significativa
entità, per cui il contratto, di fatto, non assume la connotazione di un
mero contratto di locazione commerciale o di affitto di ramo d'azienda,
bensì di prestazione di servizi integrati, gli immobili possono essere
considerati come utilizzati direttamente nell'esercizio dell'impresa. Con la
conseguenza che, seppure si sia, da un punto di vista formale, in presenza
di contratti di affitto d'azienda, gli immobili - in quanto riconducibili ad una
gestione attiva e non di mero godimento - sono da considerare esclusi, ai
fini Pex, dalla verifica di prevalenza.
Daultimovaricordatoche,nell'ambitodellamanifestazione"Telefisco
2005" era stato posto il quesito se, facendo la norma riferimento all'utilizzo
diretto (e non esclusivo) nell'esercizio dell'impresa degli immobili, fosse
possibile ricomprendervi anche quelli utilizzati promiscuamente (cioè
anche per esigenze personali o familiari di soci o associati). In proposito
l'Agenzia delle Entrate ha risposto affermativamente, chiarendo che il 50%
del valore dell'immobile promiscuo è da considerare estraneo all'attività
d'impresa e costituisce parte del patrimonio non destinato all'attività
commerciale.
Si considera in ogni caso commerciale l'attività delle società con
titoli negoziati in mercati regolamentati. Non rileva la condizione di
(15) Risposta alla interrogazione n. 5 - 03920 posta in Commissione Finanze dall'On. Maurizio
Leo.
ANTONINO DI GERONIMO
1128 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
commercialità nel caso di plusvalenze derivanti da offerte pubbliche di
vendita (OPV).
Le condizioni di cui sub 3) e 4) devono sussistere almeno dal terzo
periodo d'imposta antecedente al momento della partecipazione (che si
vuole) esente.
Si tratta di una disposizione a carattere marcatamente antielusivo
che rende irrilevanti i trasferimenti della residenza fiscale - o l'inizio di
un'attività di tipo commerciale - in prossimità della cessione delle
partecipazioni, al fine di conseguire plusvalenze esenti su cessioni di
partecipazioni altrimenti prive dei requisiti previsti.
Per evitare comportamenti elusivi di altra natura, poi, in presenza
di plusvalenze realizzate su strumenti finanziari emessi da una società
la cui remunerazione sia collegata ai risultati economici di altra società
del gruppo, la verifica della sussistenza dei requisiti rilevanti ai fini
dell'esenzione di tipo "oggettivo" (residenza fiscale e svolgimento di
attività commerciale), deve essere effettuata sia in capo all'emittente
che alla società ai cui risultati è collegato il rendimento dello strumento
finanziario.
Il comma 5 dell'art. 87 prevede che per le partecipazioni in società,
la cui attività consiste in via elusiva o prevalente nell'assunzione di
partecipazioni (holding), i predetti requisiti oggettivi vanno riferiti alle
società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti
sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior
parte del valore del patrimonio sociale della partecipante. Dovendo
verificare la prevalenza del valore delle partecipazioni possedute da una
holding in una sub holding, è necessario che sia eliminato lo schermo
costituito dalla sub holding, in modo che le società indirettamente
partecipate possano riflettere pro quota i propri requisiti di commercialità
e di residenza direttamente in capo alla holding di primo livello.
Alle partecipazioni che non denotano tutti e contestualmente
i descritti requisiti, continua ad applicarsi la tassazione ordinaria
nell'esercizio di realizzo, fatta salva l'imputazione della plusvalenza in
quote costanti nell'esercizio di competenza e nei 4 successivi (art. 86,
comma 4, "nuovo" Tuir).
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11294/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Specificamente per il settore bancario è possibile (per gli istituti
di credito) avanzare una vera e propria istanza di disapplicazione (16)
delle regole Pex. In particolare, in base all'art. 113 del nuovo Tuir, le
banche possono chiedere alle direzioni regionali dell'Agenzia delle
Entrate che l'irrilevanza fiscale prevista dall'art. 87 non operi per le
partecipazioni acquisite nell'ambito di interventi volti al recupero di
crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei
crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria. L'impossibilità
di svalutare con effetto fiscale le partecipazioni e l'irrilevanza tributaria
delle plus/minusvalenze sulle cessioni delle partecipazioni avrebbero
infatti interferito con le frequenti operazioni - spesso alternative in
melius alle procedure concorsuali - di conversione dei crediti bancari in
partecipazioni delle società in crisi.
3. Rapporti tra regime Pex e operazioni straordinarie nell'ambito del
reddito d'impresa
Di tale argomento l'Agenzia delle Entrate si occupa al p. 2.3.6 della
Circolare n. 36/E.
In sostanza, rimandando alla citata circolare per una più articolata
disamina della fattispecie, si può dire che:
- a fronte di operazioni di riorganizzazione aziendale occorrerà esaminare
i riflessi delle stesse sul possesso dei requisiti rilevanti ai fini Pex, sia
sotto il profilo soggettivo (durata del possesso della partecipazione;
allocazione di questa tra le immobilizzazioni finanziarie) che sotto
quello oggettivo (residenza fiscale in territori non black list, svolgimento
di attività d'impresa);
- in linea di massima può parlarsi di una sostanziale continuità per
quanto attiene alla ricorrenza dei cennati requisiti, in relazione ad
operazioni che non producono effetti fiscalmente rilevanti, e cioè
conferimenti "neutrali", disciplinati dall'art. 176, fusioni e scissioni;
(16) Secondo lo schema del diritto d'interpello previsto dall'art. 11 della L. 212/2000. Vd.
CACCIAPAGLIA L., Banche, parte la corsa al ruling, Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2004.
ANTONINO DI GERONIMO
1130 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
- la circolare non fa cenno alle operazioni di trasformazione che, per
definizione dovrebbero assicurare una sostanziale neutralità (17).
Tuttavia la questione non è di poco conto: la trasformazione da una
S.r.l. ad una S.n.c. in contabilità ordinaria, ad esempio, dovrebbe
garantire la continuità dei requisiti soggettivi Pex, con, però, un
aggravio di tassazione (nel senso che l'esenzione passerebbe da totale
a parziale). Il caso inverso si avrebbe nell'ipotesi di trasformazione da
S.n.c. in S.r.l., sempre in contabilità ordinaria (l'esenzione da parziale,
diverrebbe totale). Nel caso di trasformazione da un soggetto in
contabilità semplificata ad uno in contabilità ordinaria valgono le
considerazioni critiche e le aperture dell'Agenzia delle Entrate, di cui ai
paragrafi precedenti.
Requisiti soggettivi
Quanto al conferimento neutro, il principio della continuità nel
possesso del complesso aziendale conferito, esteso ai beni oggetto
del conferimento (comprese le partecipazioni), porta a ritenere che il
soggetto conferitario verificherà la sussistenza del requisito temporale
(possesso della partecipazione) tenendo conto del periodo di detenzione
già maturato in capo al conferente. Inoltre, secondo il condivisibile
parere espresso nella Circolare n. 36, sempre al fine di salvaguardare
il cennato principio di continuità, il conferitario non potrà modificare la
classificazione della partecipazione così come risultante nel bilancio
della conferente, ante operazione.
Di contro, se il conferimento avverrà in base all'art. 175 del nuovo
Tuir, con emersione di plusvalori fiscalmente rilevanti per entrambi
i soggetti coinvolti, il periodo di ininterrotto possesso decorre dalla
data del conferimento e il soggetto conferitario potrà riclassificare la
partecipazione in bilancio in maniera difforme da quella a suo tempo
impostata dalla conferente.
(17) A parte la nota ipotesi di trasformazione da società commerciale in società semplice,
che comporta la realizzazione di tutte le plusvalenze latenti della società del primo tipo, essendo la
società semplice assimilabile ad un privato non imprenditore, con conseguente fuoriuscita dei beni
della società commerciale dal ciclo d'impresa.
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11314/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Per fusioni e scissioni, trattandosi di operazioni strutturalmente
neutre, varranno le considerazioni già fatte, in termini di continuità,
per i conferimenti ex art. 176, nuovo Tuir. La neutralità che
connota fusioni e scissioni - negozi giuridici cui è estranea una
connotazione traslativa in senso stretto, essendo prevalente quella
di concentrazione o di separazione di patrimoni preesistenti -
rende possibile, anche secondo avvertita dottrina (18), ritenere il
trasferimento di una partecipazione in capo ad un altro soggetto,
avvenuto per effetto delle richiamate operazioni, inidoneo a dare
luogo ad una nuova prima iscrizione in bilancio rilevante ai fini
della qualifica fiscale della partecipazione. Per quanto riguarda,
infine, la posizione dei soci della società incorporata o scissa,
le cui partecipazioni vengono annullate e sostituite da quelle
dell'incorporante o della beneficiaria, l'Agenzia delle Entrate rileva
come le qualità fiscali delle partecipazioni annullate vengono ereditate
dalle partecipazioni assegnate in cambio, in perfetta sintonia con
quanto accade nei conferimenti neutri di aziende o di partecipazioni.
Requisiti oggettivi
Le nuove entità legali che originano dai soggetti precedentemente
esistenti, ereditano da questi anche le caratteristiche rilevanti ai fini della
valutazione dei requisiti di commercialità e residenza. Quando la nascita
di un nuovo soggetto consegue ad una operazione di riorganizzazione
societaria occorrerà quindi tener conto delle caratteristiche del dante
causa, per verificare, su proiezione triennale, come prevede l'art. 87,
comma 2, del nuovo Tuir, i requisiti della commercialità e della residenza
in un paese privo di un sistema fiscale privilegiato. In sostanza occorre
valutare retroattivamente ed in capo ai soggetti preesistenti i predetti
requisiti, con riguardo ai patrimoni netti effettivi delle entità che originano
dalle operazioni straordinarie o vi partecipano.
(18) Vedi STEVANATO D., Participation, nodo continuità, Il Sole 24 Ore, 10 agosto 2004.
ANTONINO DI GERONIMO
1132 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
Alcune considerazioni su fattispecie che possono (o potevano) dar luogo
a giudizi di elusività
Il decreto 358 del 1997 (art. 3, comma 3) promuoveva - con
l'azzeramento di qualunque forma di tassazione - il conferimento dell'unica
azienda individuale posseduta in una società commerciale, non importa
se di persone o di capitali. Per evitare abusi di tale opportunità, nella
norma venne introdotta una rigida clausola antielusiva, secondo la quale,
per le cessioni dei titoli nel primo triennio dal conferimento, si applicava
il regime tipico delle cessioni di beni d'impresa, in luogo dell'imposta
sostitutiva sui capital gains. Si voleva in definitiva scongiurare che il
contribuente ponesse in essere un arbitraggio tra tassazione ordinaria
sulla circolazione dei beni, e il più mite regime previsto per i guadagni di
capitale.
L'art. 175, comma 4, del "nuovo" Tuir, nel riproporre la disciplina
del conferimento dell'unica azienda e della successiva cessione
della partecipazione ricevuta a seguito del conferimento ne prevede,
comunque, la tassazione secondo il regime dei capital gains anche se
la cessione avviene nel triennio (19). È evidente, dunque, la discontinuità
con gli assetti disegnati dal Decreto 358/1997.
Analogadisposizioneèrintracciabilenell'ambitodell'art.176,comma
6, del "nuovo" Tuir, concernente il regime fiscale dei conferimenti in doppia
sospensione d'imposta. È stabilito, infatti, che "quando il conferimento
abbia ad oggetto l'unica azienda dell'imprenditore individuale, si applica
l'ultimo comma dell'art. 175".
Per meglio comprendere, però, la portata innovativa del decreto
Ires in materia di conferimenti in doppia sospensione, occorre valutare il
comma 3 dell'art. 176. Tale norma prevede esplicitamente la legittimità
dell'operazione costituita dal conferimento dell'azienda in neutralità
e dalla successiva cessione della partecipazione ricevuta, secondo il
regime Pex, escludendo l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 37-bis del
(19) Sempre con il trattamento riservato alle partecipazioni "qualificate", in base agli artt. 67,
comma 1, lett. c) e 68 del nuovo Tuir.
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11334/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
D.P.R. 600/1973 (20). Ad una prima lettura, la norma permette un'agevole
tax planning senza porre neanche limiti temporali al possesso della
partecipazione ricevuta, prima della sua cessione effettuata in esenzione
d'imposta. Si tratta, all'evidenza, di una norma che permette di "congelare"
definitivamente le plusvalenze latenti riferibili alla sfera economica del
soggetto conferente, anche nel caso della subitanea cessione della
partecipazione ricevuta in contropartita dell'azienda conferita.
Chi vende, dunque, beneficia dell'esenzione totale o parziale della
plusvalenza realizzata, ma chi acquista paga un importo riconosciuto
fiscalmente come costo della partecipazione. Se dovesse a sua volta
cedere egli godrà a sua volta dell'esenzione, ove ne ricorrano i presupposti,
oppure realizzerà una minore plusvalenza o una maggiore minusvalenza.
Di certo il costo sostenuto non potrà essere imputato all'azienda presente
nella società che è stata comperata. Infatti una successiva operazione
di fusione non permetterebbe il riconoscimento fiscale dell'eventuale
disavanzo, come si vedrà al successivo p. 2.6. In considerazione di ciò
il senso della norma sta nel fatto che il cedente risparmia le imposte
perché le plusvalenze latenti passano sul cessionario, e su questo
potranno, eventualmente, scontare l'imposizione. Tale impostazione,
peraltro, potrebbe prestarsi a qualche critica, proprio per la sua volontà
di escludere tout court l'applicazione dell'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973.
Infatti, se è vero che il sistema sembra logico e "blindato" nella prospettiva
della fusione e della scissione come operazioni in sé considerate, dove
mancherà il riconoscimento fiscale del disavanzo da annullamento, una
lacuna potrebbe aprirsi facendo un'altra considerazione: il soggetto
che conferisce e cede successivamente la partecipazione, potrebbe
in realtà aver effettuato un arbitraggio con le norme che disciplinano
la cessione d'azienda (imponibile pienamente). Questa sua volontà
potrebbe emergere in base alla serrata concatenazione di atti e negozi
ora descritta, che segnalerebbe la strumentalizzazione delle norme sul
conferimento in sospensione d'imposta e sulla participation exemption.
(20) Escludendo, cioè, "per legge" che una tale operazione possa essere considerata elusiva
dall'Amministrazione finanziaria in sede di controllo.
ANTONINO DI GERONIMO
1134 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
Se così fosse, tanto varrebbe esentare (con le formule più opportune)
anche le plusvalenze derivanti dalle cessioni d'azienda. Inoltre - come
già segnalato da autorevole dottrina (Ceppellini e Lugano, Il Sole 24 Ore
del 1° giugno 2004) - "l'ombrello protettivo" dall'art. 37-bis potrebbe
essere invocato analogicamente anche su altre fattispecie come la
scissione. In particolare ciò viene sostenuto nel caso in cui anziché
cedere un immobile direttamente, vengono cedute le quote della società
che lo possiede (società beneficiaria di una precedente scissione). Chi
cede gode dei benefici Pex, ma chi compera non potrà, incorporando la
società, imputare il disavanzo sull'immobile ottenendo il riconoscimento
fiscale dell'operazione. Anche tale ricostruzione, però, non tiene conto
dell'arbitraggio praticabile tra regime di tassazione della cessione dei
beni e regime Pex. La strumentalizzazione delle norme utilizzate, in tal
caso, potrebbe essere valutata come elusiva.
Tale problematica manifesta un ulteriore versante, riguardante
il quesito se sussista l'opportunità (o il rischio) di applicare l'art.
37-bis del D.P.R. 600/1973, nel caso in cui, a seguito di un conferimento
vi sia la cessione della correlata partecipazione in regime di esenzione.
Si supponga (21) che l'acquirente della partecipazione, in assenza
dei requisiti per l'esenzione, la rivenda a sua volta realizzando una
minusvalenza deducibile.
Tale problematica manifesta un ulteriore versante, riguardante il
quesito se sussista l'opportunità (o il rischio) di applicare l'art. 37-bis
del D.P.R. 600/1973, nel caso in cui, a seguito di un conferimento vi
sia la cessione della correlata partecipazione in regime di esenzione. Si
supponga(22)chel'acquirentedellapartecipazione,inassenzadeirequisiti
per l'esenzione, la rivenda a sua volta realizzando una minusvalenza
deducibile, sfruttando le "differenze di ritmo" nella circolazione delle
partecipazioni ricadenti in regime Pex, da quelle estranee ad esso.
(21) Cfr. MIELE L., Sulle cessioni di partecipazioni rasoio antielusivo a due lame, Il Sole 24
Ore, 20 luglio 2004.
(22) Cfr. MIELE L., op. cit.
IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR
11354/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Infine, ancora a proposito di arbitraggi censurabili con specifiche
norme antielusive nel quadro dell'emanando decreto correttivo Ires (23),
va ricordata la potenziale pericolosità di una fattispecie così riassumibile:
A cede in esenzione a B una partecipazione comprensiva di utili da
distribuire. B percepisce gli utili, tassati al 5% e rivende la partecipazione
a terzi, priva dei requisiti Pex, registrando una minusvalenza deducibile.
In sostanza tutta l'operazione vede la circolazione della partecipazione,
prima pregna degli utili, poi svuotata, senza che venga scontato alcun
carico fiscale ed utilizzando le asimmetrie applicative insite nel regime di
doppia circolazione dei titoli.
In tali casi è però ragionevole ritenere però che la qualificazione
elusiva o meno dell'operazione dipenda, oltre che dalla ricorrenza
delle valide ragioni economiche (24), dall'indipendenza del soggetto
acquirente (e dei successivi cessionari) rispetto al primo cedente. A
fronte della sostanziale autonomia delle parti, l'operazione (25) sarebbe
difficilmente censurabile, mentre potrebbe essere riguardata con
occhi più severi dall'Amministrazione finanziaria, ove fossero palesi
gli elementi che portano a ritenere l'operazione medesima nel suo
complesso come architettata ad arte all'interno di un gruppo societario,
con un'unica cabina di regia, diretta a sfruttare possibili corridoi liberi
nell'ordinamento, e ad ottenere ingiustificati vantaggi tributari.
(23) Ma si concorda con STEVANATO D., Norme antielusive a rischio eccessi, Il Sole 24 Ore,
26 ottobre 2004, nel ritenere più che sufficiente il ricorso all'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, per
contrastare simili abusi.
(24) La cui ricorrenza renderebbe pacificamente impraticabile l'applicazione della citata
norma antiabuso.
(25) In quanto espressione di un effettivo contemperamento di interessi contrapposti.
11374/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Le nuove norme di contrasto
alle frodi Iva (*)
di Rossella Di Lullo
La legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria per l'anno
2005, ha introdotto alcune importanti novità in tema di contrasto
all'evasione, specificatamente rivolte al fenomeno delle frodi in materia
di imposta sul valore aggiunto, novità contenute ai commi dal 377 al 386
dell'art. 1 del provvedimento.
La prima novità si rinviene nel comma 377, con la modifica
dell'art. 3, secondo comma, primo periodo, del Regolamento di cui al
D.P.R. 322/1998 - Modalità di presentazione ed obblighi di conservazione
delle dichiarazioni - che stabilisce gli obblighi relativi all'invio telematico
delle dichiarazioni tributarie, riducendo da € 25.822,84 a € 10.000 il limite
massimo di volume d'affari, entro il quale le persone fisiche, se non tenute
a presentare la dichiarazione dei sostituti di imposta né il modello per
la comunicazione dei dati relativi all'applicazione degli studi di settore,
possono presentare la dichiarazione mediante modello cartaceo. Di
contro aumenta il numero dei soggetti che sono tenuti alla presentazione
telematica della dichiarazione.
I benefici, in termini informativi, che gli organi di controllo
deriveranno da tale disposizione, consistono nella possibilità di effettuare
un più rapido controllo delle dichiarazioni trasmesse, di evidenziare
(*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto con-
cerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria
2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo
2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna
e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna.
ROSSELLA DI LULLO
1138 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
eventuali anomalie ed intervenire con maggiore tempestività al verificarsi
delle stesse.
I successivi commi, dal 378 in poi, introducono alcune misure
di contrasto che in maniera più diretta intervengono nei confronti
di fenomeni di frode in materia di Iva riscontrati in specifici settori
economici.
Ogni qualvolta la legge consente l'effettuazione di acquisti di
merce senza l'addebito dell'Iva in capo all'acquirente (operazioni
intracomunitarie, acquisti con lettere di intento, ecc.) l'operazione si
presta ad essere sfruttata con una frode.
Un esempio classico di frode consiste nell'effettuazione di un
acquisto intracomunitario (non imponibile Iva in Italia) da parte di un
soggetto (cd. interposto), il quale acquista beni (autovetture, cellulari,
personal computer, ecc.) che vengono successivamente rivenduti ad altro
soggetto (cd. interponente) con una cessione imponibile Iva - in quanto
effettuata sul mercato interno nei confronti di un soggetto residente - ad
un prezzo pari al prezzo di acquisto (ovvero scorporando l'Iva piuttosto
che sommarla al prezzo di acquisto, maggiorato di un margine di ricarico)
o di poco superiore (per l'applicazione di una piccola provvigione).
L'interposto non versa l'Iva relativa alla cessione effettuata nei
confronti del soggetto interponente, lucra il compenso per l'attività di
intermediazione svolta tra il fornitore Ue e l'interponente e sparisce in
breve tempo.
Il soggetto interponente ha pertanto la possibilità di beneficiare
del credito Iva per l'acquisto dei beni dall'interposto (Iva che il più
delle volte non è stata effettivamente pagata e sicuramente non è stata
versata all'Erario), può vendere a sua volta la merce acquistata ad un
prezzo competitivo sul mercato risultando, formalmente, in regola con
l'adempimento dell'imposta.
A ciò si aggiunga che frequentemente, la merce transita
direttamente dal fornitore comunitario al soggetto interponente,
così come anche i pagamenti vengono effettuati direttamente
LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA
11394/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
dall'interponente al fornitore comunitario. Il soggetto residente
interposto, che acquista cartolarmente la merce senza averne mai la
materiale disponibilità, si limita alla funzione di prestanome (cartiera),
allo scopo di fornire un filtro all'operazione, che si conclude col mancato
versamento Iva da parte dell'interposto e con la detrazione da parte
dell'interponente.
Rimane all'attività investigativa posta in essere dagli organi di
controllo, dimostrare la sussistenza della frode, ovvero l'accordo tra
interposto ed interponente, fraudolentemente posto in essere per
trarre un beneficio dall'operazione, consistente per l'interposto, nella
provvigione lucrata e per l'interponente, oltre al credito Iva, la possibilità
di acquistare beni a prezzi fino al 18-20% inferiori a quelli di mercato e
di collocarli sul mercato finale a condizioni assolutamente concorrenziali,
rispetto agli altri operatori che agiscono correttamente.
La legge finanziaria 2005, ai commi 378 e seguenti, interviene con
misure di contrasto alle frodi Iva riscontrabili nell'ambito delle operazioni
Schematizziamo il fenomeno:
Il fornitore Ue, in accordo con l'imprenditore
italiano, fattura la merce ad un interposto,
anziché all'effettivo acquirente
L'interposto acquista solo
formalmente e fattura
all'impresa, senza versare
Iva. L'imprenditore detrae
l'Iva della fattura
L'imprenditore italiano
acquista dal fornitore Ue
ROSSELLA DI LULLO
1140 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
intracomunitarie, per le quali vale il principio dell'imposizione del Paese
di destinazione, con particolare riguardo al settore degli autoveicoli, che
da più anni ha visto il diffondersi di situazioni fraudolente.
Con il comma 378 si stabilisce l'obbligo a carico del soggetto di
imposta che effettua un acquisto intracomunitario di mezzi di trasporto
nuovi o che si reputano nuovi, secondo la definizione di cui all'art. 38 del
D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993, di trasmettere al Dipartimento
dei Trasporti Terrestri (ex Motorizzazione) entro 15 giorni dall'acquisto
e, comunque, prima dell'immatricolazione, una comunicazione recante
l'indicazione del numero identificativo intracomunitario del fornitore (se la
vettura viene direttamente immatricolata dall'importatore), o, in caso di
passaggi interni precedenti l'immatricolazione, il codice fiscale del fornitore;
la comunicazione deve contenere, inoltre, il numero di telaio del veicolo,
del motoveicolo e dei loro rimorchi. In assenza di tale comunicazione
il DTT non può procedere all'immatricolazione richiesta. Tale obbligo è
posto anche nel caso di cessione intracomunitaria o di esportazione dei
medesimi mezzi di trasporto.
Si ricorda che si definiscono veicoli "nuovi" in base all'art. 38,
quarto comma, del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 - Acquisti
intracomunitari - quei veicoli che hanno una percorrenza inferiore a
6.000 Km e la cui prima immatricolazione sia avvenuta non oltre sei mesi
prima dell'acquisto.
Un decreto del D. dei T.T. e dell'Agenzia delle Entrate stabilirà il
contenuto specifico della comunicazione di cui al comma 378 e le modalità
di trasmissione della stessa. Verranno, infine, regolamentate le modalità
di trasmissione telematica all'Agenzia delle Entrate delle comunicazioni
ricevute dal Dipartimento dei Trasporti Terrestri, inviate dagli operatori in
adempimento degli obblighi previsti ai commi sopra citati.
La finalità perseguita dalla norma si rinviene, evidentemente, nella
necessità di monitorare le transazioni che hanno ad oggetto gli acquisti
intracomunitari di mezzi di trasporto nuovi o reputati tali in base all'art.
38 del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 in tutti i passaggi che
si susseguono, precedenti l'immatricolazione, allo scopo di contrastare i
fenomeni di frode che si sono riscontrati nel settore.
LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA
11414/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Un rapido confronto con il sistema previdente permette di
evidenziare la maggiore tempestività con cui le informazioni relative a
tali transazioni giungeranno all'Amministrazione finanziaria, che potrà
attuare con maggiore efficacia gli opportuni interventi di controllo.
I funzionari del Dipartimento dei Trasporti Terrestri, in base al
disposto dell'art. 53 del D.L. del 331/1993 convertito dalla L. 427/1993
- Disposizioni relative ai mezzi di trasporto nuovi - hanno l'obbligo,
prima di immatricolare il veicolo, di verificare il corretto adempimento
dell'imposta da parte del richiedente l'immatricolazione.
Tuttavia, quando l'immatricolazione non è richiesta direttamente
dal soggetto importatore, ma da altri operatori residenti nel territorio
nazionale che da questi hanno acquistato il veicolo o, addirittura, da
un ulteriore soggetto residente, a sua volta acquirente dell'importatore,
(allungando, in tal modo, sempre più la catena commerciale in capo al
veicolo importato) dei passaggi interni, successivi all'importazione, non
si aveva traccia.
I funzionari del Dipartimento dei Trasporti Terrestri si trovano, in tal
modo, a verificare solo l'ultimo anello della catena (l'ultimo acquirente
interno), che di norma ha regolarmente assolto agli obblighi Iva, e nella
materiale impossibilità di riscontrare e denunciare agli organi di controllo
eventuali "salti" di imposta intermedi.
In definitiva, le informazioni relative alle auto estere importate ed
immatricolate in Italia erano acquisite dall'Amministrazione finanziaria
per il tramite delle comunicazioni degli Stati esteri di provenienza dei
beni, ovvero, solo ad immatricolazione avvenuta, in quanto desumibili
dai dati dichiarati (nella forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio)
dai richiedenti l'immatricolazione stessa. Tali dati, relativi al numero
di telaio, al Paese di provenienza e alla fattura di acquisto del veicolo
(numero e data fattura) venivano trasmessi dal D.T.T. mediante l'invio
periodico, in formato cartaceo, delle dichiarazioni ricevute in esecuzione
degli adempimenti previsti dalle Circolari del D.T.T. nn. B59/2000/MOT e
B64/2000/MOT.
Le novità introdotte dalla legge finanziaria 2005 hanno il pregio di
rendere identificabili, in modo tempestivo anche i passaggi successivi
all'importazione, avvenuti tra l'importatore, il/i rivenditore/i fino
ROSSELLA DI LULLO
1142 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
all'acquirente finale, rendendo più efficace l'azione di contrasto alle frodi
Iva da parte degli organi competenti.
Anche l'adempimento che il Legislatore ha introdotto al comma
381, rubricato Comunicazione telematica dei dati contenuti nella
dichiarazione d'intenti, trova la sua giustificazione nell'obiettivo di
arginare i fenomeni di frode che si possono verificare nel caso di acquisti
in sospensione di imposta, ex art. 8, secondo comma, lett. c), D.P.R.
633/1972 (Cessioni all'esportazione).
Ai cosiddetti esportatori abituali, così come definiti dall'art. 1
del D.L. 746/1983 - Applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 8 del
D.P.R. 633/1972 - ovvero quei soggetti che hanno effettuato nell'anno
precedente o nei 12 mesi precedenti cessioni all'esportazione o
operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del volume
d'affari, è data la possibilità di effettuare acquisti e importazioni di beni
e servizi senza il pagamento dell'imposta, nei limiti dell'ammontare
complessivo delle cessioni all'esportazione o operazioni assimilate
effettuate (plafond), comunicando ai propri fornitori l'intenzione di
avvalersi di tale facoltà mediante l'invio della cosiddetta lettera d'intento.
L'acquisto in sospensione di imposta, in carenza dei requisiti
richiesti per la qualifica di esportatore abituale, permette la successiva
rivendita della merce acquistata con scorporo dell'Iva (che non viene
versata) ottenendo lo stesso risultato già in precedenza descritto nel
caso della frode Iva.
Il comma 381 dell'art. 1 della legge finanziaria modifica l'art. 1,
primo comma, lett. c) del D.L. 746/1983, convertito dalla L. 17/1984,
ponendo l'obbligo, in capo a coloro che ricevono le dichiarazioni
di intento dai propri clienti, di comunicare all'Agenzia delle Entrate,
esclusivamente in via telematica ed entro il 16 del mese successivo a
quello di ricevimento della lettera di intento, i dati in essa contenuti.
Relativamente alle modalità di attuazione della misura stabilita al
comma 381, il comma 385 prevede l'emanazione di un provvedimento
del Direttore dell'Agenzia delle Entrate per la determinazione del
contenuto e delle modalità di invio della comunicazione.
LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA
11434/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Ancora una volta, la tempestività con cui l'Amministrazione
finanziaria è in grado di disporre delle informazioni contenute nelle lettere
di intento, al fine di predisporre gli opportuni controlli, è fondamentale.
Il Legislatore ha, pertanto, previsto, due forti deterrenti
all'omissione di invio della comunicazione o all'invio di dati carenti
o inesatti da parte dei soggetti tenuti al rispetto dell'adempimento,
rispettivamente ai commi 383 e 384:
1) la modifica dell'art. 7 del D.L.vo 471/1997 - Violazioni relative alle
esportazioni - con l'inserimento del comma 4-bis, che prevede
l'applicazione nei confronti del cedente i beni/servizi che non adempie
all'invio dei dati o adempie in modo incompleto ed inesatto della
sanzione prevista al terzo comma dell'art. 7, ovvero dal 100% al
200% dell'imposta calcolata sul valore dei beni/servizi ceduti senza
addebito di imposta;
2) l'introduzione del concetto di responsabilità solidale del cedente con
il soggetto acquirente per il pagamento dell'imposta evasa, correlata
all'infedeltà della dichiarazione ricevuta (in caso di mancato invio della
comunicazione e/o invio di dati carenti e inesatti).
Gli effetti di una norma che prevede la responsabilità solidale tra
cedente ed acquirente, emergono in tutto il loro impatto, se si procede
ad un confronto tra la norma previgente e le novità introdotte dalla
Finanziaria.
L'art. 7 del D.L.vo 471/1997, terzo comma, primo periodo, stabilisce
che il cedente è tenuto al pagamento della sanzione e dell'imposta,
se la cessione avviene senza lettera di intento, viceversa è tenuto al
pagamento della sola sanzione se la cessione avviene senza addebito
di imposta a seguito di presentazione da parte del cessionario di lettera
di intento in assenza dei presupposti richiesti dalla legge. L'art. 7 al terzo
comma, ultimo periodo, prevede, infatti, che del pagamento dell'imposta
non addebitata in fattura rispondono esclusivamente il cessionario, i
committenti e gli importatori che hanno provveduto al rilascio della lettera
di intento in assenza dei presupposti richiesti dalla legge.
ROSSELLA DI LULLO
1144 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
In tal caso ed in caso di "splafonamento" (acquisto di beni e
servizi oltre il limite di cui all'art. 1 del D.L. 746/1983), al cessionario, in
base all'art. 7, quarto comma, viene applicata la sanzione di cui al terzo
comma, oltre all'obbligo al pagamento dell'imposta, in via esclusiva,
come previsto al terzo comma, ultimo periodo.
Con l'introduzione del comma 384 della Finanziaria, il cedente
che omette di comunicare i dati contenuti nella lettera di intento
ricevuta, oltre ad essere assoggettato alla sanzione prevista con
l'introduzione del comma 4-bis, diviene responsabile in solido con
l'acquirente del pagamento dell'imposta non addebitata per effetto
della dichiarazione infedele; la responsabilità solidale opera, pertanto, in
caso del contemporaneo verificarsi dell'omissione o di invio incompleto
o inesatto, da parte del cedente, all'Agenzia delle Entrate dei dati
contenuti nella lettera di intento ricevuta dal cessionario, che poi si riveli
essere stata rilasciata in mancanza dei presupposti di legge.
Con l'entrata in vigore delle norme contenute ai commi 378 e 381
della legge finanziaria 2005 e, quindi, con l'invio delle comunicazioni
in essi previste, relative alle immatricolazioni di veicoli nuovi e ai
dati contenuti nelle lettere di intento, l'Agenzia delle Entrate entra in
possesso di un consistente volume di informazioni, che come stabilito al
comma 382, dovrà essere condiviso, in ottica di collaborazione, con gli
altri organi preposti ai controlli in materia di contrasto all'evasione, ai fini
del necessario coordinamento e programmazione delle attività da porre
in essere.
11454/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
Brevi note sul contenzioso comunitario
in tema di Irap
di Renato Loiero
e Luciana Marino
1. Premessa - 2. Tratti essenziali dell'imposta - 3. Il dibattito sull'incompatibilità
dell'Irap e la posizione comunitaria - 4. La questione dell'ambito temporale degli
effetti della sentenza - 5. Conclusioni e prospettive di riforma
1. Premessa
Fin dalla sua introduzione nel 1998 l'Irap è stata oggetto di un
acceso dibattito in ordine alle sue peculiarità rispetto alle forme più
diffuse di imposizione a livello internazionale ed al suo utilizzo come
tributo regionale (1). Il giudizio in atto sul tributo da parte della Corte di
Giustizia Europea ha riproposto il confronto e ha posto il problema di una
sua eventuale sostituzione con forme di prelievo equivalenti dal punto di
vista del gettito, della neutralità e del riconoscimento dell'autonomia
regionale.
Il problema della possibile incompatibilità dell'Irap con l'Iva, ai sensi
dell'art. 33 della direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/
Cee (di seguito: Sesta Direttiva) è sorto in seguito a un ricorso presentato
dalla banca popolare di Cremona avverso un provvedimento di diniego di
rimborso dell'Irap, per gli anni 1998 e 1999, ed emesso dall'Ufficio delle
entrate di Cremona. La Commissione Tributaria Provinciale di Cremona
(1) In particolare, in riferimento all'utilizzo dell'Irap per il finanziamento della sanità, cfr.
CIERIANI V. e GUERRIERI G., Il ruolo dell'Irap nel sistema fiscale, Rassegna tributaria, n. 6-2004,
p. 2005.
RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO
1146 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
adita ha sospeso il relativo procedimento richiedendo alla Corte di
Giustizia Europea di esprimersi in via pregiudiziale sulla questione. Il 17
marzo 2005 sono state depositate le conclusioni dell'Avvocato generale
della Corte, Francis Jacobs, che appaiono confermare la tesi della
incompatibilità dell'Irap con la disciplina di cui alla citata Sesta Direttiva.
In attesa di conoscere l'esito del giudizio definitivo della Corte europea,
appare utile riassumere i termini del dibattito (2).
2. Tratti essenziali dell'imposta
All'atto del suo ingresso nell'ordinamento nazionale, l'Irap ha
rappresentato un tributo nuovo (3), gravante esclusivamente sulla
produzione e che secondo alcuni studiosi ha rappresentato il primo
passo verso la realizzazione del c.d. "federalismo fiscale" (4). Giova qui
rammentare che, in estrema sintesi, le ragioni che spinsero il legislatore
a introdurre l'Irap sostituendo sei tributi e un contributo (quello sanitario)
furono diverse ed essenzialmente, in primis, la necessità di dotare le
regioni di un proprio gettito atto a sostenere le funzioni ad esse delegate
(2) Conclusioni dell'Avvocato generale Jacobs presentate il 17 marzo 2005, causa c-475/03,
banca popolare di Cremona contro l'Agenzia delle entrate ufficio di Cremona. Per una sintesi del
dibattito, si veda: SANTAMARIA T., Il caso dell'Irap. Il problema della sua pretesa illegittimità e l'ampio
dibattito di esperti su possibili soluzioni, Fiamme Gialle, n. 4-2005, pp. 27-29.
(3) L'istituzione di un'imposta locale sull'attività produttiva, in aggiunta e separata da altri
prelievi locali sulle famiglie, ha trovato prevalente giustificazione in un criterio di "collaborazione", o
di "partnership principale", che soprattutto negli anni '80 è stato ampiamente trattato nella dottrina
inglese e tedesca. Si tratta di un principio che era già alla base dell'Iciap e che ha ispirato analoghi
tributi di altri Paesi europei, quali la tedesca Gewerbesteuer, la francese Taxe Professionelle e la
Council tax britannica. Sul tema: GALLO S., L'Irap, una complicata novità nel sistema tributario
italiano, Rivista della Guardia di Finanza, n. 2-1999, p. 611.
(4) Senza addentrarsi in tale tematica, di stretta attualità, ma anche di particolare rilevanza
politica, rimandiamo a: LOIERO R., Il modello di federalismo fiscale nel decreto 56 del 2000:
problemi e prospettive di riforma, in: Atti del convegno su Federalismo fiscale e decentramento
amministrativo: verso un nuovo assetto della finanza locale, a cura dell'ANFI - Associazione
Nazionale Finanzieri d'Italia - Sezione di ROMA - Villa Spada - Roma, 17 dicembre 2004; in www.
anfivillaspada.it. Si veda anche, per la sua particolare rilevanza nell'ambito del dibattito in atto,
l'intesa interistituzionale della Lombardia dell'11 febbraio 2005 dove sono tratteggiate le linee guida
della futura assegnazione dei tributi ai livelli di governo.
BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP
11474/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
dallo Stato e, in secundis, soddisfare l'esigenza di una semplificazione
fiscale. Va qui anche notato che già allora si pose il problema di valutare
la compatibilità comunitaria della nuova imposta (5).
Il presupposto di tale imposta, è secondo l'art. 2 del D.L.vo
446/1997 "(…) l'esercizio abituale di un'attività autonomamente
organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi (…)". Ciò che viene dunque tassato è una
grandezza autonoma e distinta dal soggetto cui essa si riferisce, anche
se ad esso è strettamente correlata, ovvero un'entità reale, diversa dal
consumo, dal patrimonio e dal reddito, e individuata nella potenzialità
economica e produttiva espressa dal coordinamento tra organizzazione
e disponibilità dei fattori della produzione (6).
La base imponibile, quindi, individuata nel valore della produzione
netta, derivante dall'attività svolta in ciascuna regione italiana dal
soggetto passivo, viene calcolata con diversi metodi, applicabili in
funzione della tipologia dell'attività esercitata (7).
(5) È stato infatti segnalato che durante l'udienza del 16 novembre 2004 l'Avvocatura
dello Stato avrebbe citato una lettera del 10 marzo 1997 con la quale la Commissione Europea
allora espressamente affermò che la nuova imposta, allora conosciuta come Irep e destinata ad
entrare in vigore nel gennaio 1998, non era assolutamente in contrasto con la direttiva sull'Iva in
quanto totalmente diversa. Tale nulla osta è intervenuto, peraltro, quando era già stata approvata
la legge di delega nella quale i connotati dell'imposta erano abbastanza compiutamente delineati
(art. 3, comma 162, della L. 662 del 1996). Cfr. SETTEMBRE D., La (presunta) incompatibilità dell'Irap
con l'art. 33 della direttiva n. 77/388/Cee del 17 maggio 1977 e l'attesa sentenza della Corte di
Giustizia, il fisco, n. 48/2004. Più di recente, in uno studio Eurostat del 2004 si fa presente che le
tasse sul reddito o sui profitti delle società sono calcolate in Paesi come Germania, Italia e Austria
includendo le imposte locali e regionali. Nell'allegato B, ove sono indicate le imposte secondo
la loro funzione economica, l'Irap viene inclusa tra le imposte che colpiscono il fattore "capitale"
mentre l'Iva tra quelle che colpiscono il consumo. Anche se non si tratta di una indicazione
normativa se ne potrebbe evincere, al limite, una posizione comunitaria già orientata nel senso di
escludere una duplicazione dell'Iva. Significativo appare il seguente passaggio: "At the same time,
however, a new regional tax on productive activities, commonly abbreviated as Irap, based on the
value of production net of depreciations was introduced (classified in ESA95 as an indirect other tax
on production)". EUROSTAT, Structures of the taxation system in the European Union, p. 48.
(6) In proposito cfr. Prof. GALLO F., Ratio e struttura dell'Irap, Rassegna tributaria, n. 3/1998,
p. 627.
(7) Brevemente, si rammenta che per quanto riguarda le imprese è necessario far riferimento
alle risultanze del conto economico, di cui all'art. 2425 del Codice Civile, con le opportune variazioni
RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO
1148 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
3. Il dibattito sull'incompatibilità dell'Irap e la posizione comunitaria
Sull'Irap si è svolto nel recente passato un ampio dibattito, sia
dottrinale che giurisprudenziale, circa la sua legittimità nonché la sua
compatibilità con i princìpi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 della
Costituzione. A dirimere parzialmente tali contrasti è quindi intervenuta la
Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 156 del 2001, ha dichiarato
la legittimità costituzionale dell'Irap ed ha respinto le censure in merito
affermando, seppure incidentalmente, che l'elemento organizzativo non
è necessariamente connaturato all'attività di lavoro autonomo, la quale,
anche se svolta abitualmente, può risultare sprovvista di autonoma
organizzazione. Ciò, in concreto, può comportare l'insussistenza del
presupposto Irap e, conseguentemente, l'inapplicabilità del tributo in
capo al professionista (8).
Tale pronuncia rileva però anche per l'aspetto qui in rassegna in virtù
del richiamo contenuto in sentenza con riferimento al "valore aggiunto
prodotto" assoggettato all'imposta e definito come "nuova ricchezza
creata dalla singola unità produttiva". Un secondo aspetto affrontato in
quella pronuncia è quello relativo all'ipotesi della traslazione dell'imposta,
ove si sostiene che anche l'Irap come qualsiasi altro costo (anche fiscale)
gravante sulla produzione potrebbe essere traslata sul prezzo dei beni
o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o
parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative.
Tali assunti, ed in particolare il secondo, sebbene espressi al fine
di sostenere la legittimità costituzionale dell'imposta, sono stati utilizzati
da alcuni autori al fine di sostenere l'analogia tra l'Irap e l'Iva. Infatti, se
e rettifiche previste sia in materia di imposte sui redditi dal Tuir sia altre modifiche proprie dell'Irap
e di cui al citato decreto. Nel caso, invece, dei professionisti il valore della produzione netta è
dato dalla differenza tra l'ammontare dei compensi percepiti e l'ammontare dei costi sostenuti ed
inerenti all'attività esercitata, compreso l'ammortamento dei beni materiali ed immateriali. Sono
invece esclusi sia gli interessi passivi sia le spese per il personale dipendente.
(8) Fondazione Luca Pacioli, L'applicazione dell'Irap ai redditi di lavoro autonomo, Circolare
n. 8/2002, Documento n. 12 del 16 maggio 2002. Cfr. anche: GALLO S., Quando l'Irap non è dovuta
dal professionista, Rivista della Guardia di Finanza, n. 6/2004, p. 1913.
(segue nota)
BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP
11494/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
si ammettesse, empiricamente, la possibilità di una traslazione, seppure
economica, dell'Irap sui consumatori allora tale imposta potrebbe essere
assimilata alle imposte sui consumi e quindi all'Iva.
Il problema, però, dell'incompatibilità tra l'Irap e l'Iva, deve essere
visto in ambito soprattutto comunitario, ed in riferimento all'art. 33 della
Sesta Direttiva, avuto riguardo alle motivazioni economico-normative di
tale divieto.
Tale articolo stabilisce infatti che: "(…) fatte salve le altre
disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti
disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la
circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni
della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere
o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e
sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi
imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra
d'affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo,
negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di
una frontiera".
L'obiettivo che si propone la norma, così come si legge nella
sentenza EKW (9) della Corte di Giustizia Europea è dunque: "(...)
(9) Si tratta della Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 marzo 2000. - Evangelischer
Krankenhausverein Wien contro Abgabenberufungskommission Wien et Wein & Co.
HandelsgesmbH contro Oberösterreichische Landesregierung. In proposito, la Corte è stata
investita della risoluzione di tre questioni pregiudiziali in merito all'interpretazione dell'art. 33
della Sesta Direttiva. Al riguardo, il giudice comunitario, premesso che l'art. 33 della Sesta
Direttiva osta al mantenimento o all'introduzione di imposte di registro o di altri tipi di imposte,
diritti o tasse che presentino le caratteristiche dell'Iva, ha risolto negativamente il primo quesito
nella considerazione che l'imposta descritta nella causa principale non costituisce un'imposta
generale, non essendo destinata a gravare su tutte le operazioni economiche nello Stato membro
considerato. Dal tenore delle disposizioni nazionali applicabili risulta, infatti, che la pretesa imposta
si applica esclusivamente ad una categoria limitata di beni, cioè a dire le cessioni a titolo oneroso
di gelati alimentari e di bevande, inclusi i relativi involucri ed accessori venduti con i prodotti. Tra
le altre sentenze conformi si vedano, tra tutte: sentenza Rousseau Wilmot, causa n. 295/84 del 27
novembre 1985; sentenza Bozzi, causa n. 347/90 del 7 maggio 1992; sentenza Solisnor-Estaleiros
Navais, causa n. 130/96 del 17 settembre 1997.
RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO
1150 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
lasciando liberi gli Stati membri di mantenere in vigore o di istituire
determinati tributi, come le imposte indirette, a condizione che non
si tratti di tributi aventi il carattere di imposta sulla cifra d'affari (...),
di impedire che il funzionamento del sistema comune dell'Iva sia
leso da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla
circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in
modo analogo all'Iva". Pertanto, secondo la Corte, la ratio dell'art. 33
della Sesta Direttiva sta nell'evitare interferenze con l'Iva comunitaria in
quanto, se ciò si verificasse, verrebbe violata una delle quattro libertà
del Trattato, ovvero la libera circolazione di merci e servizi, minando il
funzionamento del mercato interno.
Nel ragionamento seguito dall'avvocato generale della Corte
europea, relativamente al caso di specie, è pacifico che per essere
colpita dal divieto di cui all'art. 33 della Sesta Direttiva, un'imposta
nazionale deve presentare tutte le caratteristiche essenziali dell'Iva che,
secondo la giurisprudenza della Corte, sono nel numero di quattro,
strettamente corrispondenti alla definizione contenuta all'art. 2 della
prima direttiva ovvero:
- si applica in modo generale alle cessioni di beni o di servizi;
- grava sul valore aggiunto ai beni e/o ai servizi di cui trattasi;
- è applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione;
- è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, qualunque sia il numero
di operazioni intervenute.
Qualora si ritenessero sussistenti tali requisiti non si potrebbe più
escludere l'incompatibilità con l'Iva: risulta quindi necessario soffermarsi
partitamente nel dettaglio dell'analisi degli stessi.
Per quanto attiene al primo requisito, ovvero all'applicazione in
modo generalizzato alle cessioni di beni e servizi, l'art. 2, comma 1
del decreto legislativo istitutivo dell'Irap prevede che: "Presupposto
dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività autonomamente
organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi". Nell'interpretare la lettera di tale norma
la Commissione europea, nelle proprie osservazioni alla causa in
BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP
11514/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
discussione, ha fatto notare che il requisito della generalità dell'Irap
appare, per certi versi, ancora più esteso rispetto a quello previsto in
tema di Iva in quanto verrebbe applicata anche a soggetti esclusi o
esentati dall'applicazione dell'Iva come, ad esempio, le amministrazioni
pubbliche (10), ovvero le banche e le società assicurative e finanziarie.
Tuttavia, il Governo italiano ha sostenuto che sebbene l'Irap possa
essere considerata un'imposta applicabile in modo generalizzato, essa
non è applicabile alle cessioni di beni o servizi; essa, infatti, si applica
ad una ricchezza creata e non a cessioni effettuate, di modo che, ad
esempio, un'impresa che in un determinato periodo d'imposta produce
una certa quantità di beni che però non vende sarà soggetta all'Irap ma
non all'Iva in tale periodo d'imposta. Pertanto l'Irap, a differenza dell'Iva,
quantomeno sotto questo aspetto, appare in ogni caso un'imposta
diretta e non indiretta.
In relazione al secondo punto, il requisito dell'applicazione al
valore aggiunto, molti autori, nonché lo stesso Avvocato della Corte, nel
sostenere l'analogia dell'Irap con l'Iva fondano le loro argomentazioni
sul presupposto che entrambe le imposte tassano, in ogni fase del
processo di produzione e di distribuzione, la frazione di valore aggiunto
che si è formata presso ogni singolo produttore che ha preso parte al
processo produttivo e distributivo dei beni e servizi forniti dalle imprese
o dai professionisti. Ciò che, secondo tale orientamento (11), varierebbe
tra le due imposte è il metodo con cui si procede alla determinazione del
valore aggiunto dei beni e servizi prodotti dal soggetto passivo. Nell'Iva
si procede alla tassazione per operazioni, nell'Irap la determinazione del
valore aggiunto avviene in modo complessivo e per anno d'imposta.
Inoltre, la classificazione dell'Irap come imposta diretta, e quindi di
altro genere rispetto all'Iva, viene ritenuta non rilevante in quanto "nella
fattispecie, la questione non è quella di stabilire se l'Irap debba essere
(10) Si tratta della cosiddetta "Irap pubblica" introdotta in sostituzione dei contributi sociali
figurativi del pubblico impiego.
(11) Così la Commissione Europea nella relazione alla causa C-475/2003; si veda anche:
BIANCO R., Sulla presunta incompatibilità tra Irap e Iva ai sensi dell'art. 33 della Direttiva n. 77/388/
Cee, il fisco, n. 14/2005.
RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO
1152 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
qualificata come imposta diretta o indiretta, ma se essa abbia le stesse
caratteristiche dell'Iva".
A tale impostazione occorre però fare delle obiezioni. In primis,
non può negarsi che la nozione di valore colpito dall'Irap è di natura
diversa rispetto a quello colpito dall'Iva. Infatti, l'Iva è calcolata
detraendo in ogni cessione di beni e servizi dall'Iva incassata sulle
vendite quella pagata sugli acquisti. Pertanto, siccome è ammessa in
detrazione anche l'Iva pagata sugli acquisti di beni capitali, l'imposta
grava solo sui beni di consumo: quindi l'Iva è classificabile come
un'imposta sul valore aggiunto tipo consumo, laddove nella tassazione
del consumo è rilevante la rivalsa obbligatoria la cui funzione è appunto
quella di garantire la neutralità dell'imprenditore (12). L'Irap invece si
applica essenzialmente detraendo dai ricavi i costi per materie prime
e beni intermedi. Non vengono dedotti gli investimenti, ma solo gli
ammortamenti. Si tratta quindi di un'imposta sul valore aggiunto tipo
reddito netto, nella quale ciò che viene tassato è il reddito prodotto (al
netto degli ammortamenti) e non il consumo (13). L'oggetto economico
sottoposto all'Irap, in buona sostanza, si avvicina più al concetto di
reddito derivante dalle attività commerciali e professionali che alla
nozione di valore aggiunto tipico dell'Iva, circostanza derivante dal fatto
stesso che il valore aggiunto dell'Irap è appunto quello "tipo reddito" e
non quello "tipo consumo" tipico di una imposta sulla cifra d'affari quale
è l'Iva (14).
Dall'analisi dei rispettivi ambiti di applicazione, inoltre, Iva e
Irap appaiono diametralmente dissimili anche sul piano dei rapporti
internazionali, presupposto sostanziale dal quale si origina, come
dianzi accennato, anche la disciplina dell'intervento comunitario. Le
(12) Cfr. DE MITA E., Eutanasia di una tassa, Il Sole 24Ore, 18 marzo 2005.
(13) Il lettore rammenterà che già ANTONIO DE VITI DE MARCO dimostrò come un'imposta sul
valore della produzione fosse equivalente a una sui redditi.
(14) Talché, nel caso di soggetti Irap senza dipendenti né interessi passivi, la base
imponibile risulta quasi completamente pari al reddito d'impresa.
BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP
11534/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
esportazioni sono, infatti, soggette a Irap, ma non a Iva, mentre le
importazioni sono soggette a Iva, ma non a Irap, in relazione alla quale il
costo delle merci importate è deducibile, sia per le materie prime, sia per
i servizi d'impresa, sia per i beni strumentali, tramite gli ammortamenti;
analogamente, per tutti i rapporti con l'estero (15).
Nella sua argomentazione l'Avvocato della Corte ha riconosciuto,
difatti, la significatività, segnalata dal Governo italiano, del fatto che il
regime Iva permette ad un soggetto passivo di dedurre l'imposta a monte
non appena essa è sopportata, indipendentemente dall'ammontare
dell'imposta a valle dovuta nel corso dello stesso periodo d'imposta,
talché si può verificare il caso in cui il pagamento netto, in un particolare
periodo, sia effettuato in maniera inversa ovvero dall'autorità fiscale al
soggetto passivo. Tale meccanismo non si configura invece nel caso
dell'Irap in quanto, se in un periodo determinato i costi superano i ricavi,
l'imposta è pari a zero. A nostro parere, riveste pertanto valore dirimente
la differenza costituita dal regime di rimborsabilità e di riportabilità
dell'Iva a credito, principio non riconosciuto per l'Irap in quanto,
appunto, la tassazione presuppone la "creazione" di un valore aggiunto,
non rilevando l'ipotesi opposta di "distruzione" di valore.
Esiste poi una serie di differenze minori in ordine alla detraibilità
soggettiva ed oggettiva ed al campo di applicazione delle due imposte:
per fare solo un'esempio va rammentato che gli intermediari finanziari
e le compagnie di assicurazione svolgono essenzialmente operazioni
esenti da Iva ma sono egualmente assoggettate ad Irap. Da ciò
discende che l'Irap è sopportata dai produttori e solo in via mediata,
eventuale e differita dai consumatori finali, secondo il meccanismo della
traslazione economica di cui alla citata sentenza 156/2001 della Corte
Costituzionale. Nella sua determinazione ordinaria, infatti, l'Irap non
consente alcuna rivalsa giuridica in senso tecnico, carattere evidenziato
anche dal fatto che tale imposta non è deducibile dalle imposte sui
redditi. D'altronde, portando alle estreme conseguenze tale linea di
(15) Cfr. LUPI R., Niente sovrapposizioni con l'Iva, Il Sole 24Ore, 16 novembre 2004.
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1154 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
ragionamento, non si coglierebbe nemmeno il discrimine tra l'Iva e le
imposte generali sul reddito d'impresa del tipo dell'Ires (16).
Presupposto dell'Irap non è infatti la cessione di beni o la
prestazione di servizi, ma l'esercizio di un'attività organizzata. Rientrano
infatti nella base imponibile una serie di fenomeni e operazioni che
non sono necessariamente collegati alla cessione o al consumo di
beni e servizi. Il Governo italiano ha pertanto correttamente (a nostro
parere), sostenuto che le componenti positive della base imponibile
non sono costituite dalle sole cessioni e prestazioni, potendosi quindi
determinare un imponibile positivo anche in assenza di vendite, con la
mera valorizzazione delle rimanenze finali.
Sulla base di queste argomentazioni, dunque, almeno ed in
particolare per questo profilo, comunque di sicura rilevanza, non
appaiono condivisibili le argomentazioni dell'Avvocato generale della
Corte di Giustizia: l'Irap può apparire simile sia ad un'imposta diretta sui
redditi, sia ad un'indiretta proprio in virtù dei caratteri suoi propri, che
la differenziano dagli altri tributi e in particolare dall'Iva ordinaria, che
colpisce i consumi (riferiti a beni prodotti sia all'interno, sia all'esterno
del paese).
In merito al terzo aspetto, ovvero all'applicazione dell'Irap in ogni
fase della produzione e distribuzione, molti autori, e lo stesso Avvocato
della Corte, ritengono difficile poter negare l'esistenza di un'analogia
con l'Iva.
Secondo tale orientamento, l'applicazione dell'Irap in ogni
fase del processo di produzione e di distribuzione del bene e del
servizio è dovuta al fatto che essendo ogni operatore economico un
soggetto passivo Irap ed inserendosi ogni operatore in una precisa
(16) L'art. 2 della prima direttiva sancisce infatti il principio del sistema comune dell'Iva
che consiste nell'applicare ai beni e ai servizi una imposta generale sul consumo. Nella relazione
dell'Avvocato generale non è invece chiarito alcun collegamento diretto dell'Irap con il consumo,
che pure dovrebbe costituire elemento essenziale dell'Iva come ricordato dalla stessa Corte di
Giustizia Europea nella sentenza del 20 ottobre 1993, C-10/92. Cfr. LUPI R., Prelievo che colpisce in
direzioni differenti, Il Sole 24Ore, 17 marzo 2005.
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11554/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
fase del ciclo produttivo/distributivo, ne risulta che l'imposta viene
riscossa in ogni fase di detto processo. Sarebbe altresì ininfluente il
verificarsi di distorsioni o esclusioni, quali l'indetraibilità dell'imposta,
nell'applicazione dell'Irap, in quanto ciò accade anche nell'Iva. Inoltre,
per tali autori, il metodo di calcolo, cosiddetto "base da base",
comporterebbe che il numero di fasi intermedie del ciclo di produzione/
distribuzione non venga ad influire sull'ammontare dell'imposta
riscossa all'atto dell'immissione del bene o del servizio al consumo
finale. In realtà, anche su tale aspetto l'argomentazione dell'Avvocato
della Corte può non risultare pienamente convincente, atteso che egli
stesso ricorda che il carattere globale dell'Irap consente indubbiamente
agli operatori economici un grado di flessibilità maggiore rispetto al
caso dell'Iva (17) ma, aggiunge, ricordando la sentenza Careda (18),
(17) Nelle sue conclusioni, l'Avvocato specifica che: "(...) Essi possono adeguare il modo in
cui trasferiscono l'onere dell'imposta ai loro clienti, o possono addirittura scegliere di non trasferire
tale onere per nulla. L'Iva per contro deve essere applicata all'aliquota appropriata a ciascuna
singola cessione. Di conseguenza, mentre il regime Iva richiede che l'ammontare dell'imposta sia
una quota proporzionale specificata del prezzo applicato a ciascuna cessione di beni o servizi,
di modo che almeno a fini contabili esso rimane rigorosamente proporzionale, qualunque sia il
numero di transazioni, ciò può non essere letteralmente vero relativamente all'Irap, il cui ammontare
in proporzione al prezzo di una data cessione può variare notevolmente o può addirittura essere
impossibile da determinare".
(18) Cause riunite C-370/95, C-371/95 e C-372/95, Careda SA, Federación nacional de
operadores de máquinas recreativas y de azar (Femara) e Asociación española de empresarios de
máquinas recreativas (Facomare)/Administración General del Estado, nella quale si afferma: "15.
Da quanto precede discende che, per avere il carattere d'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art.
33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore (...). L'art. 33
della Sesta Direttiva deve essere interpretato nel senso che, affinché un tributo abbia il carattere
d'imposta sulla cifra d'affari, non è necessario che la normativa nazionale ad esso applicabile
preveda espressamente la possibilità di trasferirlo al consumatore (...). L'art. 33 della Sesta Direttiva
va interpretato nel senso che, affinché un tributo abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari,
non è necessario che il suo trasferimento al consumatore risulti da una fattura o da un documento
equipollente. Ai fini dell'applicazione di tale disposizione, spetta comunque al giudice nazionale
verificare se il tributo controverso sia tale da colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo
analogo a quello che caratterizza l'Iva, accertando se possieda le caratteristiche essenziali della
stessa. Ciò si verifica se esso possiede carattere generale, se è proporzionale al prezzo dei servizi,
se è riscosso in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione e se si applica al valore
aggiunto dei servizi".
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1156 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI
che la Corte ha specificamente stabilito che "per avere il carattere
d'imposta sulla cifra di affari ai sensi dell'art. 33 della direttiva, il
tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore", ma
che non è necessario che la normativa nazionale pertinente preveda
espressamente la possibilità di trasferirlo in tal modo, o che tale
trasferimento risulti da una fattura o da un documento equipollente.
Il quarto ed ultimo profilo è quello inerente la proporzionalità al
prezzo dei beni o servizi. Per alcuni autori (19) il carattere di imposta
proporzionale è confermato dal fatto che l'Irap viene calcolata
applicando la percentuale del 4,25% al valore della produzione
netta che altro non è che la differenza tra i ricavi derivanti dall'attività
ordinaria dell'impresa e i costi imputabili a tale attività. Secondo tale
orientamento, essendo i ricavi ordinari i prezzi applicati dall'impresa per
il numero dei prodotti ceduti mentre i costi inerenti l'attività di produzione
sono i ricavi di altre imprese, concludono che la somma degli ammontari
riscossi a titoli di Irap lungo tutto il ciclo di produzione/distribuzione del
bene/servizio non è altro che l'Irap applicata al prezzo di vendita dei
beni/servizi in sede di immissione di questi al consumo finale.
Anche tale impostazione non appare in realtà esente da
perplessità. Oltre al fatto che l'Iva, per tale aspetto, si differenzia altresì
dall'Irap in quanto la prima non prevede un'aliquota uniforme, nel
confrontare le due imposte, Iva e Irap, non si può altresì trascurare la
circostanza che mentre per la prima è previsto un obbligo di rivalsa da
parte dei produttori (c.d. collettori d'imposta per conto dello Stato) sui
soggetti consumatori finali, nel caso dell'Irap ciò non è previsto.
4. La questione dell'ambito temporale degli effetti della sentenza
Nell'ambito degli effetti finanziari della sentenza, giova dare conto di
una ulteriore questione connessa all'ambito di operatività temporale della
(19 Ibidem, BIANCO R.
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11574/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI
stessa, punto che è stato toccato anche dall'Avvocato generale (20). Giova
rammentare che in caso di effetto retroattivo i contribuenti potrebbero
infatti attivarsi in seguito alla sentenza per il rimborso dell'imposta versata
in precedenza, nei limiti dei 48 mesi previsti dalla normativa italiana per il
rimborso dei tributi diretti.
Sul punto, la stessa Corte di Giustizia nella causa C-209/03 (aiuti
agli studenti) ha affermato alcuni princìpi, a nostro parere, applicabili
anche alla questione in esame. In tale giudizio è stato infatti ricordato
che l'interpretazione di una norma di diritto comunitario fornita dalla
Corte chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa
come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento
della sua entrata in vigore: ne consegue che la norma così interpretata
può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti
e sviluppatisi prima della sentenza interpretativa, sempreché, d'altro
canto, sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente
una lite relativa all'applicazione di detta norma (21).
Solo in via eccezionale la Corte può, applicando il principio
generale della certezza del diritto inerente all'ordinamento giuridico
comunitario, essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati
di far valere la disposizione così interpretata onde rimettere in
questione rapporti giuridici costituiti in buona fede (22) non rilevando
autonomamente, circostanza rilevante in subiecta materia, le
conseguenze finanziarie di una sentenza per lo Stato membro (23).
La Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di
circostanze ben precise, quando, da un lato, vi era un rischio di gravi
ripercussioni economiche dovute, in particolare, all'elevato numero
(20) Testualmente, l'Avvocato generale così si è espresso: "90. Tuttavia, per coloro che
cercano di far valere la pronuncia che la Corte emanerà, gli effetti di essa dovrebbero essere soggetti
ad una limitazione nel tempo, con riferimento ad una data che dovrà essere fissata dalla Corte".
(21) Sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. p. 1205, punto 16, e 2
febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. p. 379, punto 27.
(22) Vedi sentenze Blaizot, cit., punto 28; 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a.,
Racc. pag. I-4625, punto 30, e 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül, Racc. p. I-2685, punto 108.
(23) Vedi, tra l'altro, sentenza Grzelczyk, punto 52.
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  • 2. DOTTRINA I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO Umberto Di Nuzzo Pag. 1213 LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO Antonina Giordano " 1239 TECNICA PROFESSIONALE TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI ALL'ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI Giangaspare Donato Toma " 1261 L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA DELLA L. 488/1992 Elia Carmelo Pallaria Giuseppe Furciniti " 1273 L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI Renzo Nisi " 1293 L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO Gianluca Filippi Mario Landi " 1311
  • 3. LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005 Antonio Mancazzo Pag. 1329 MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO: LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANO TRA TEORIA E PRATICA Federico Toffoli " 1347 STORIA I TRIBUNALI AD HOC DELLE NAZIONI UNITE: UN CASO SCUOLA, IL TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER IL RUANDA Isidoro Palumbo " 1361 RASSEGNE DOCUMENTI a cura di Gaetano Nanula " 1381 NOTE A SENTENZE a cura di Salvatore Gallo " 1415 NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA a cura di Francesco Sciarretta " 1421 CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITÀ EUROPEA a cura di Lorenzo Salazar " 1429 GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE a cura di Giuseppe Scandurra Donatella Scandurra " 1433
  • 4. DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA a cura di Bruno Assumma Pag. 1439 RASSEGNA MILITARE a cura di Osvaldo Cucuzza " 1443 MASSIMARIO a cura di Salvatore D'Amato " 1447 LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA a cura di Marco Di Pierdomenico Cosimo Lamanuzzi " 1455 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA a cura di Redazione " 1461 RECENSIONI a cura di Redazione " 1467
  • 5. ANGELA BARALDI Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crema. ANTONINO DI GERONIMO Dirigente della Direzione Regionale Agenzia delle Entrate Emilia Romagna. ROSSELLA DI LULLO Funzionario dell'Agenzia delle Entrate di Ravenna. UMBERTO DI NUZZO Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante del Nucleo Regionale pt Toscana. Titolato Corso Superiore di Polizia Tributaria. GIUSEPPE FURCINITI Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Nucleo Regionale pt Calabria. GIANLUCA FILIPPI Maggiore della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Generale. ANTONINA GIORDANO Direttore Tributario presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze. MARIO LANDI Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Generale. Gli autori
  • 6. SIMONE LA ROCCA Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Nucleo Regionale pt Lazio. RENATO LOIERO Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica. ANTONIO MANCAZZO Maggiore della Guardia di Finanza, Comandante del Nucleo Provinciale pt Ravenna. LUCIANA MARINO Funzionario tributario presso il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria. RENZO NISI Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Verifiche Speciali del Nucleo Regionale pt Lombardia. Titolato Corso Superiore di Polizia Tributaria. ELIA CARMELO PALLARIA Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata del Nucleo Regionale pt Calabria. ISIDORO PALUMBO Avvocato. Consigliere Giuridico Militare, docente di Diritto Internazionale dei Conflitti Armati presso l'Università Cattolica "Sacro Cuore". FEDERICO TOFFOLI Dottore Commercialista.
  • 7. GIANGASPARE DONATO TOMA Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Repressione Frodi del Nucleo Regionale pt Friuli-Venezia Giulia. VALERIA ZITO Avvocato.
  • 8. 11174/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Il regime fiscale delle partecipazioni alla luce del nuovo Tuir (*) di Antonino Di Geronimo 1. Premessa - 2. Cessioni di partecipazioni immobilizzate. La participation exemption (Pex) - 2.1 Chi può fruire dell'esenzione? - 2.2 Requisiti delle partecipazioni per fruire della Pex - 3. Rapporti tra regime Pex e operazioni straordinarie nell'ambito del reddito d'impresa 1. Premessa La riforma del sistema fiscale statale avviata con la legge delega 7 aprile2003,n.80,ècaratterizzata-daunpuntodivistateoricoestrutturale- da un nuovo assetto dei rapporti tra la fiscalità delle società e quella dei soci che si basa sul criterio di tassazione del reddito al momento della produzione anziché all'atto della sua distribuzione. A tal fine è prevista l'irrilevanza reddituale dei dividendi distribuiti e l'esenzione delle plusvalenze realizzate in occasione della cessione delle partecipazioni che rispondono a determinati requisiti. Tali istituti consentono di cristallizzare l'imposizione a titolo definitivo in capo alla società partecipata - che ha prodotto la base imponibile - in quanto: - sono parzialmente esclusi (in linea generale per il 95 o per il 60% del loro ammontare, a seconda del soggetto percettore) da tassazione i dividendi distribuiti ai soci (1); (*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto concerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria 2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo 2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna. (1) È appena il caso di osservare, in linea con diversi commentatori della riforma, che tale
  • 9. ANTONINO DI GERONIMO 1118 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI - vengono considerate esenti (parzialmente o totalmente a seconda dei casi) le plusvalenze da cessione delle partecipazioni con simmetrica indeducibilità delle minusvalenze e dei relativi costi. L'assunto sistematico da cui muove l'istituto dell'esclusione da imposizione dei dividendi e la corrispondente esenzione delle plusvalenze si riconnette ai criteri economici di formazione delle plusvalenze e, in particolare, alla circostanza che il plusvalore realizzato in occasione della cessione di una partecipazione è costituito da utili già conseguiti (o conseguibili in futuro) dalla partecipata, i quali hanno già scontato (o sconteranno) in via definitiva le imposte presso il soggetto che li produce. La stretta correlazione tra i due istituti è evidenziata dal fatto che: - per i soggetti Ires è prevista a fronte dell'imponibilità del dividendo per il 5%, un'esenzione totale della plusvalenza; - per i soggetti Irpef (futura Ire) è prevista, in entrambi i casi, con totale simmetria, un'imponibilità parziale nei limiti del 40% del loro ammontare (2). Contestualmente all'introduzione della Participation Exemption nel nostro ordinamento tributario è stata prevista l'indeducibilità: - delle svalutazioni di partecipazioni comunque classificate, sia che attengano a partecipazioni che si qualificano per il regime Pex, sia che non si qualifichino a questi fini; - delle minusvalenze realizzate nel caso di cessione della partecipazione in società, con o senza personalità giuridica, rientrante in regime Pex aspetto, che comporta il superamento integrale del previgente sistema del credito d'imposta fruibile dal socio, potrebbe dare luogo a fenomeni di doppia imposizione economica che, evidentemente, sono stati ritenuti tollerabili dal legislatore negli equilibri teorici del nuovo sistema fiscale. Sarà evidentemente la prima applicazione delle regole in commento a dare lumi circa l'insorgenza (certa) di tali fenomeni e della loro sostenibilità da parte dei soggetti passivi dell'imposizione diretta. (2) Si rammenti al riguardo il trattamento transitoriamente riservato agli enti non commerciali, secondo cui, pur essendo tali enti tenuti alla determinazione del proprio reddito complessivo alla stregua di un soggetto passivo dell'Irpef, essi vedranno attrarre a tassazione i dividendi percepiti nella misura del 5% - art. 4, comma 1, lett. q) della L. 80/2003. (segue nota)
  • 10. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11194/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI (art. 101 Tuir); saranno invece deducibili le minusvalenze attinenti alla cessione di partecipazioni non Pex; - dei costi direttamente connessi con la cessione delle citate partecipazioni (anche attraverso un'apposita variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi) (3). Dal punto di vista operativo occorre tener conto di una sorta di regime transitorio che mette in collegamento le svalutazioni di partecipazioni operate ante riforma con il regime in argomento. In tal senso il D.L.vo 344/2003 dispone che: - vanno assoggettate a tassazione le plusvalenze relative alle azioni o quote realizzate entro il secondo periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2003 fino a concorrenza delle svalutazioni dedotte nello stesso periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente; di conseguenza il regime Pex, operante dal 1° gennaio 2004, sarà applicabile per la quota parte di plusvalenza che eccede l'ammontare delle svalutazioni dedotte. Scopo della norma, come è evidente, è quello di sterilizzare l'effetto potenzialmente elusivo collegabile alla svalutazione operata, su partecipazioni che si prevedeva di cedere in regime di participation exemption al fine di godere di un doppio beneficio (4), consistente nella svalutazione fiscalmente rilevante nel precedente regime e nell'esenzione della plusvalenza nel nuovo sistema; - simmetricamente, le svalutazioni delle stesse azioni o quote sopra richiamate, riprese a tassazione nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente, sono deducibili se realizzate entro il secondo periodo d'imposta a quello in corso al 31 dicembre 2003; - per le svalutazioni delle azioni o quote operate fino al periodo d'imposta antecedente a quello in cui si applicano le nuove (3) I termini "esente" ed "escluso" da tassazione non sono fungibili, almeno ai fini che qui interessano. Infatti alle plusvalenze che si qualificano per l'esenzione, corrispondono costi correlati indeducibili, mentre ai dividendi, che si caratterizzano come proventi esclusi da tassazione, si connettono dei costi deducibili, ai sensi dell'art. 109 del nuovo Tuir. (4) Che avrebbe finito con il concretizzare un irrimediabile salto d'imposta, implicitamente ma sicuramente disapprovato dall'ordinamento.
  • 11. ANTONINO DI GERONIMO 1120 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI disposizioni in materia di partecipazioni, continuano ad applicarsi anche successivamente i criteri di deduzione pro quota stabiliti dall'art. 1, comma 1, lett. b) del D.L. 209/2002. La ratio della norma emerge chiaramente dalla relazione governativa secondo la quale essa risulta finalizzata a garantire che le quote di svalutazione operate ai sensi del predetto decreto, configurano diritti acquisiti che la riforma non influenza. Del resto è da escludere, ad avviso - condivisibile - dell'Agenzia delle Entrate, la possibilità di anticipare la deduzione delle residue quote anche se a seguito della cessione della partecipazione dovesse realizzarsi una minusvalenza. Ulteriore, strategico, obiettivo della riforma è quello di incentivare i trasferimenti di complessi aziendali per mezzo della cessione delle partecipazioni societarie che li rappresentano in alternativa alla cessione diretta, che viene scoraggiata attraverso la soppressione dell'imposta sostitutiva del 19% prevista dall'art. 1 del D.L.vo 8 ottobre 1997, n. 358. 2. Cessioni di partecipazioni immobilizzate. La participation exemption (Pex) L'art. 87 del nuovo Tuir, attuando i criteri direttivi di cui all'art. 4, comma 1, lett. c) ed e) della legge delega per la riforma del sistema fiscale interno (legge 7 aprile 2003, n. 80), ha dunque introdotto nell'ordinamento tributario una novità assoluta: l'istituto della c.d. participation exemption (d'ora in avanti sinteticamente denominata Pex) (5). È stata infatti stabilita, per i soggetti passivi dell'Ires (6), l'esenzione da imposizione per le plusvalenze darealizzodipartecipazioniinsocietà,conosenzapersonalità (5) Scopo dichiarato di tale innovazione è quello di adeguare - eliminandone svantaggi competitivi - il sistema fiscale nazionale a quello vigente in altri Paesi europei (come l'Austria, l'Olanda, il Belgio, la Danimarca, la Spagna, il Lussemburgo e, più recentemente, anche la Germania); Paesi nei quali avevano finito - o avrebbero finito - per localizzarsi numerosissime holding per sfruttare, appunto, le esenzioni ivi accordate in occasione della cessione delle partecipazioni. (6) Le modifiche normative, peraltro, interessano anche le persone fisiche (futuri soggetti passivi Ire) non esercenti attività d'impresa, limitatamente alle partecipazioni c.d. qualificate, le cui plusvalenze da cessione concorreranno - a titolo di reddito diverso ai sensi dell'art. 68 del nuovo Tuir - alla formazione del reddito complessivo imponibile in misura pari al 40% del loro ammontare, al netto di eventuali minusvalenze realizzate su altre cessioni di partecipazioni, anch'esse assunte in misura
  • 12. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11214/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI giuridica, sia residenti che non residenti, purché siano soddisfatte alcune condizioni di seguito evidenziate. L'esenzione assicurata dal regime in esame, avuto riguardo all'art. 9, comma 5 del Tuir, si realizza oltre che in conseguenza delle cessioni propriamente dette, anche con riguardo alle plusvalenze derivanti da operazioni effettuate a titolo oneroso che producono i medesimi effetti giuridici, quali: - il conferimento; - la permuta; - lo scambio di azioni; - il trasferimento della sede o della residenza della società partecipante, in base all'art. 166 del nuovo Tuir (ex art. 20-bis: c.d. exit tax) su cui peraltro pende potenzialmente un giudizio critico degli organi comunitari (Commissione o Corte di Giustizia Ue) che hanno già censurato l'analoga norma di diritto interno francese, per contrasto con il principio di libertà di stabilimento. Per espressa previsione della norma rimangono escluse dall'esenzione le plusvalenze realizzate con riferimento alla partecipazione in società semplici e agli enti ad esse assimilati. Sotto il profilo oggettivo - e ciò costituisce elemento di raccordo con la riforma del diritto societario recata dal D.L.vo 6/2003 - l'esenzione si applica anche: - agli strumenti finanziari simili alle azioni, la cui remunerazione è totalmente indeducibile poiché dipendente dai risultati della società emittente o dell'affare riguardo al quale sono emessi; - ai contratti di associazione in partecipazione e a quelli di cointeressenza, di cui all'art. 2554 del c.c., allorché sia previsto un apporto diverso da quello esclusivo di opere e servizi (7). pari al 40% del relativo ammontare; per le partecipazioni non qualificate, vale a dire inferiori alle soglie previste dall'art. 67, comma 1, lett. c) del "nuovo" Tuir, permane l'assoggettamento all'imposta sostitutiva del 12,5%, di cui al D.L.vo 461/1997. (7) Su altri diritti a contenuto patrimoniale si veda nello specifico l'analitica illustrazione contenuta al p. 2.2 della Circolare n. 36 del 2004. (segue nota)
  • 13. ANTONINO DI GERONIMO 1122 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI Infine l'art. 87, comma 6, del nuovo Tuir prevede l'applicabilità del regime Pex anche nelle ipotesi di somme o beni ricevuti dai soci delle società soggette ad Ires a titolo di ripartizione di determinate riserve o fondi, qualora le somme medesime o il valore normale dei beni ricevuti eccedano il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Sussistendo tutti i requisiti, su cui si andrà a dare dettagliata rappresentazione, la differenza si configurerà come plusvalenza esente. Tale disposizione si applica anche ai soggetti passivi Irpef che detengono le partecipazioni in regime d'impresa (8), per effetto del richiamo operato dall'art. 58 Tuir all'art. 87. In tal caso, in ossequio al principio generale, la plusvalenza godrà di un'esenzione pari al 60% (possibile che tale interpretazione trovi riscontro ufficiale nel decreto correttivo Ires). 2.1 Chi può fruire dell'esenzione? Possono avvalersi dei meccanismi Pex, com'è intuibile a seguito della premessa: - i soggetti passivi dell'Ires come individuati dall'art. 73 del nuovo Tuir, e cioè le società di capitali, anche cooperative, enti pubblici o privati a carattere commerciale, tutti residenti nel territorio dello Stato, stabili organizzazioni di società o enti non residenti; - società di persone o persone fisiche esercenti attività d'impresa (combinato disposto dagli artt. 58 e 87 nuovo Tuir). Considerato che, come si vedrà più specificamente infra, una delle condizioni necessarie per fruire della Pex, risiede nell'iscrizione delle partecipazioni cedute tra le immobilizzazioni finanziarie, è opinione dell'Agenzia delle Entrate (conforme a Circolare n. 320 del 19 dicembre 1997 del cessato Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze, in tema di cessione delle partecipazioni di controllo o di (8) Per i soggetti Irpef che detengono la partecipazione non in regime d'impresa, invece, la restituzione di fondi o riserve in entità maggiore rispetto al valore della partecipazione integrerà una particolare fattispecie di redditi di capitale, quali utili di partecipazione.
  • 14. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11234/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI collegamento e conseguente fruizione dell'imposizione sostitutiva, di cui al decreto n. 358 del 1997) che il regime in argomento non possa essere fruito dai contribuenti c.d. minori, che determinano il reddito ai sensi dell'art. 66 del nuovo Tuir, che rimanda a sua volta alla tenuta della c.d. contabilità semplificata. In sostanza, a questo livello, è la tenuta di una contabilità ordinaria che sfoci nella stesura di un bilancio di esercizio a essere determinante ai fini dell'applicabilità del regime di esenzione di cui all'art. 87 cit. (9). Conseguentemente le cessioni di partecipazione operate da un soggetto in contabilità semplificata daranno sempre luogo a plusvalenze interamente tassabili e a minusvalenze interamente deducibili. Nell'ambito della manifestazione "Telefisco 2005" è stato tuttavia precisato dall'Agenzia delle Entrate che se un'impresa, precedentemente in contabilità semplificata e che in quel regime aveva acquisito una partecipazione avente i requisiti Pex, opta per la contabilità ordinaria, iscrivendo la partecipazione in questione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso dopo l'esercizio dell'opzione, potrà conteggiare il periodo di possesso previsto come requisito soggettivo, dal periodo in cui è stata esercitata l'opzione per la contabilità ordinaria. Ciò in quanto l'art. 87 prevede la classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso, senza fare riferimento al primo periodo di possesso. 2.2 Requisiti delle partecipazioni per fruire della Pex Le partecipazioni in questione (10): 1) devono essere possedute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente a quello della cessione, considerando come prime cedute le quote o le azioni acquistate più di recente (criterio Lifo). (9) Sembra peraltro del tutto pacifico che se un soggetto, che è naturalmente in semplificata, istituisce la contabilità ordinaria potrà ugualmente fruire del regime Pex. (10) Oltre che gli strumenti finanziari similari alle azioni e i contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza agli utili non riferibili esclusivamente alla prestazione di opere e servizi. Analogamente si argomenta in relazione alle azioni proprie cedute in forza dall'art. 2357 e ss. del codice civile e a norma dell'art. 121 del D.L.vo 58/1998.
  • 15. ANTONINO DI GERONIMO 1124 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI Pertanto, ad esempio, si qualificherà per l'esenzione la plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione effettuata nel mese di aprile dell'anno X se la stessa era posseduta almeno dal 1° aprile dell'anno precedente. Non si qualificherà per l'esenzione la plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione effettuata nel mese di aprile dell'anno X, se la stessa era posseduta "solo" dal 2 aprile dell'anno precedente. Nel caso di cessione di una partecipazione acquisita in più tranche, occorre verificare se la correlata plusvalenza si qualifichi in tutto o in parte per l'esenzione, e al riguardo soccorrono gli esempi di cui al p. 2.3.1 della Circolare n. 36, coerenti con il criterio delineato; 2) devono essere classificate tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso. La scelta originariamente operata dall'impresa (11) risulta, dunque, vincolante rispetto al regime di esonero. L'eventuale successiva iscrizione nell'attivo circolante dello Stato patrimoniale non fa venire meno l'esenzione, mentre, al contrario, è esclusa tale possibilità se nel primo bilancio chiuso del periodo di possesso la partecipazione è stata iscritta nel circolante dell'attivo patrimoniale, anche se in seguito viene iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie. (11) La collocazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, in quanto presupposto per la fruizione del regime di esenzione di cui all'art. 87 del nuovo Tuir, può dare adito a perplessità in ordine alla correttezza della classificazione. Al riguardo proprio tale operazione (di classificazione) è stata annoverata tra le fattispecie potenzialmente elusive, contrastabili a mezzo dell'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in base all'esplicita previsione dell'art. 2, comma 2, lett. e) del D.L.vo 344/2003, intitolato "Norme di coordinamento". L'Amministrazione finanziaria, sembra certamente di capire, potrà ingerirsi nella classificazione delle partecipazioni - operazione di chiara matrice civilistica - per farne derivare conseguenze sotto il profilo fiscale, valutandone la possibile elusività. Si tratta di aspetto assai interessante e innovativo, in quanto nel caso in questione, la strumentalizzazione delle norme tributarie (l'art. 87 del Tuir) avrebbe come presupposto una (volutamente) errata valutazione civilistica. Non sempre la dottrina è stata concorde nel consentire tali percorsi argomentativi al Fisco, ritenendo l'area delle valutazioni civilistiche sostanzialmente intangibile. L'Amministrazione finanziaria, dunque, potrà disconoscere i vantaggi fiscali indebiti derivanti da inappropriate classificazioni di bilancio delle partecipazioni preordinate strumentalmente alla fruizione della Pex, ovvero alla sua altrettanto strumentale disapplicazione, al fine di fruire della deducibilità delle minusvalenze da cessione di partecipazioni.
  • 16. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11254/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Per le partecipazioni già possedute prima del periodo d'imposta di entrata in vigore della riforma (1° gennaio 2004) la prima classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie deve risultare: a. dal bilancio relativo al secondo periodo d'imposta (2002, nel caso di esercizio solare) anteriore a quello di entrata in vigore della riforma (2004); b. dal bilancio relativo al primo periodo d'imposta (2003) per le partecipazioni acquistate nello stesso periodo; 3) la residenza fiscale della società partecipata non deve essere situata in Stati o territori a fiscalità privilegiata (12), salva la possibilità di proporre una preventiva istanza di interpello all'Agenzia delle Entrate, tesa a dimostrare che alla localizzazione in quegli Stati o territori non corrispondono vantaggi fiscali distorsivi; 4) le società partecipate devono esercitare un'impresa commerciale secondo la previsione dell'art. 55 del nuovo Tuir. In tal senso dalla norma si desume che non si considera in ogni caso commerciale l'attività delle partecipate i cui valori patrimoniali (assets) sono prevalentemente (13) costituiti da immobili diversi da quelli che costituiscono effettivi beni- merce e da impianti e/o fabbricati utilizzati direttamente come strumentali nell'esercizio dell'impresa (beni strumentali per destinazione). Tra questi ultimi sono compresi gli immobili concessi in leasing e i terreni utilizzati per attività agricole, rimanendo esclusi gli immobili concessi in locazione (12) Art . 167 del "nuovo" Tuir e D.M. 21 novembre 2001, n. 429. (13) Per valore del patrimonio costituito da immobili di cui al p. 4, non va inteso il dato contabile di iscrizione ma il "valore corrente"; pertanto la verifica di "prevalenza" va effettuata comparando il valore corrente dei beni immobili non merce e non funzionalmente strumentali, con il valore corrente degli assets posseduti dalla società partecipata, comprensivi di quelli immateriali (intangibles), come l'avviamento. Si tratta di un terreno assai insidioso, sia per le imprese, ai fini della corretta fruizione del meccanismo di esenzione, sia per l'Amministrazione finanziaria in sede di controllo. La disposizione riecheggia la prossima introduzione nell'ordinamento interno dei princìpi contabili internazionali (IASC), e tra questi, in particolare, del criterio del c.d. fair value, quale strumento principe di valutazione del patrimonio aziendale. La questione non è al momento chiarissima. Dal punto di vista dell'accertamento è ipotizzabile un (non facile) riscontro del valore degli immobili non merce e non direttamente strumentali, con metodologie analoghe a quelle che attualmente vengono utilizzate ai fini dei controlli in materia di Imposta di Registro.
  • 17. ANTONINO DI GERONIMO 1126 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI ordinaria o in comodato, anche attraverso contratti d'affitto d'azienda (v. Circolare 36/E) (14). Peraltro, con una risoluzione collegata alla risposta ad un'istanza di interpello (prot. n. 954/185059 del 2 novembre 2004), l'Agenzia delle Entrate, ritornando sull'argomento, ha ulteriormente precisato che: a) la ratio della chiusura antielusiva sulle "immobiliari" risiede nell'intento di evitare che la cessione esente delle partecipazioni in società aventi le cennate caratteristiche, produca un arbitraggio, non consentito dall'ordinamento, rispetto alle cessioni dei beni (immobili) che il titolo rappresenta; b) che tale ratio, peraltro, agisce con riferimento solo quando venga cedutalapartecipazioneinunentechenonsiarivoltoallacostruzione e/o alla vendita degli immobili, ma alla loro mera utilizzazione passiva (godimento) anche attraverso la locazione o l'affitto d'azienda; c) che tale riscontro, in ogni caso, va operato in concreto, cioè in relazione all'attività effettivamente svolta, superando anche il dato formale emergente dagli atti societari (oggetto sociale) e dalle stesse risultanze contabili (ad esempio la contabilizzazione degli immobili tra le rimanenze); d) che l'attività di compravendita non può configurarsi per effetto delle sole manifestazioni di intento a cedere gli immobili (o l'unico posseduto); e) che la durata pluriennale e continuativa dei contratti di locazione e la contestuale assenza di qualunque atto di vendita, avente per oggetto anche una parte dell'immobile (i) non consentono di considerare la locazione come attività sussidiaria, rendendola, invece, tipica. (14) In proposito è da segnalare una recente posizione Assonime, secondo la quale la restrittiva interpretazione dell'Agenzia delle Entrate deve essere riferita alle imprese immobiliari di gestione, mentre per le imprese di costruzione e vendita di immobili, ovvero per le immobiliari che intermediano la vendita di immobili la locazione degli immobili merce costituisce una componente della tipica attività d'impresa, anche in relazione a quei periodi in cui l'impresa, che pure mira esplicitamente alla vendita dell'immobile, lo pone in locazione al fine di mantenere un soddisfacente livello di redditività. Vd. BONO M. e PIAZZA M., Immobiliari, sconto in bilico, su Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2004.
  • 18. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11274/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Pur negando il requisito dell'esenzione, nello specifico dell'interpello proposto, l'Agenzia ha mitigato l'assolutezza dell'affermazione contenuta nella Circolare n. 36, arrivando a ritenere in astratto passibile di esenzione la cessione della partecipazione in una società che, pur locando transitoriamente i propri immobili, li destini effettivamente alla vendita. In ciò la posizione espressa sembra in qualche modo venire incontro alle argomentazioni di Assonime, di cui alla nota n. 13. Ancora più interessante è la recente presa di posizione dell'Agenzia delle Entrate cui fa riferimento una risposta ad una interrogazione parlamentare da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze (15): in sostanza è stato affermato che nel caso in cui la locazione degli immobili risulti affiancata anche da una serie di servizi accessori di significativa entità, per cui il contratto, di fatto, non assume la connotazione di un mero contratto di locazione commerciale o di affitto di ramo d'azienda, bensì di prestazione di servizi integrati, gli immobili possono essere considerati come utilizzati direttamente nell'esercizio dell'impresa. Con la conseguenza che, seppure si sia, da un punto di vista formale, in presenza di contratti di affitto d'azienda, gli immobili - in quanto riconducibili ad una gestione attiva e non di mero godimento - sono da considerare esclusi, ai fini Pex, dalla verifica di prevalenza. Daultimovaricordatoche,nell'ambitodellamanifestazione"Telefisco 2005" era stato posto il quesito se, facendo la norma riferimento all'utilizzo diretto (e non esclusivo) nell'esercizio dell'impresa degli immobili, fosse possibile ricomprendervi anche quelli utilizzati promiscuamente (cioè anche per esigenze personali o familiari di soci o associati). In proposito l'Agenzia delle Entrate ha risposto affermativamente, chiarendo che il 50% del valore dell'immobile promiscuo è da considerare estraneo all'attività d'impresa e costituisce parte del patrimonio non destinato all'attività commerciale. Si considera in ogni caso commerciale l'attività delle società con titoli negoziati in mercati regolamentati. Non rileva la condizione di (15) Risposta alla interrogazione n. 5 - 03920 posta in Commissione Finanze dall'On. Maurizio Leo.
  • 19. ANTONINO DI GERONIMO 1128 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI commercialità nel caso di plusvalenze derivanti da offerte pubbliche di vendita (OPV). Le condizioni di cui sub 3) e 4) devono sussistere almeno dal terzo periodo d'imposta antecedente al momento della partecipazione (che si vuole) esente. Si tratta di una disposizione a carattere marcatamente antielusivo che rende irrilevanti i trasferimenti della residenza fiscale - o l'inizio di un'attività di tipo commerciale - in prossimità della cessione delle partecipazioni, al fine di conseguire plusvalenze esenti su cessioni di partecipazioni altrimenti prive dei requisiti previsti. Per evitare comportamenti elusivi di altra natura, poi, in presenza di plusvalenze realizzate su strumenti finanziari emessi da una società la cui remunerazione sia collegata ai risultati economici di altra società del gruppo, la verifica della sussistenza dei requisiti rilevanti ai fini dell'esenzione di tipo "oggettivo" (residenza fiscale e svolgimento di attività commerciale), deve essere effettuata sia in capo all'emittente che alla società ai cui risultati è collegato il rendimento dello strumento finanziario. Il comma 5 dell'art. 87 prevede che per le partecipazioni in società, la cui attività consiste in via elusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni (holding), i predetti requisiti oggettivi vanno riferiti alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante. Dovendo verificare la prevalenza del valore delle partecipazioni possedute da una holding in una sub holding, è necessario che sia eliminato lo schermo costituito dalla sub holding, in modo che le società indirettamente partecipate possano riflettere pro quota i propri requisiti di commercialità e di residenza direttamente in capo alla holding di primo livello. Alle partecipazioni che non denotano tutti e contestualmente i descritti requisiti, continua ad applicarsi la tassazione ordinaria nell'esercizio di realizzo, fatta salva l'imputazione della plusvalenza in quote costanti nell'esercizio di competenza e nei 4 successivi (art. 86, comma 4, "nuovo" Tuir).
  • 20. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11294/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Specificamente per il settore bancario è possibile (per gli istituti di credito) avanzare una vera e propria istanza di disapplicazione (16) delle regole Pex. In particolare, in base all'art. 113 del nuovo Tuir, le banche possono chiedere alle direzioni regionali dell'Agenzia delle Entrate che l'irrilevanza fiscale prevista dall'art. 87 non operi per le partecipazioni acquisite nell'ambito di interventi volti al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria. L'impossibilità di svalutare con effetto fiscale le partecipazioni e l'irrilevanza tributaria delle plus/minusvalenze sulle cessioni delle partecipazioni avrebbero infatti interferito con le frequenti operazioni - spesso alternative in melius alle procedure concorsuali - di conversione dei crediti bancari in partecipazioni delle società in crisi. 3. Rapporti tra regime Pex e operazioni straordinarie nell'ambito del reddito d'impresa Di tale argomento l'Agenzia delle Entrate si occupa al p. 2.3.6 della Circolare n. 36/E. In sostanza, rimandando alla citata circolare per una più articolata disamina della fattispecie, si può dire che: - a fronte di operazioni di riorganizzazione aziendale occorrerà esaminare i riflessi delle stesse sul possesso dei requisiti rilevanti ai fini Pex, sia sotto il profilo soggettivo (durata del possesso della partecipazione; allocazione di questa tra le immobilizzazioni finanziarie) che sotto quello oggettivo (residenza fiscale in territori non black list, svolgimento di attività d'impresa); - in linea di massima può parlarsi di una sostanziale continuità per quanto attiene alla ricorrenza dei cennati requisiti, in relazione ad operazioni che non producono effetti fiscalmente rilevanti, e cioè conferimenti "neutrali", disciplinati dall'art. 176, fusioni e scissioni; (16) Secondo lo schema del diritto d'interpello previsto dall'art. 11 della L. 212/2000. Vd. CACCIAPAGLIA L., Banche, parte la corsa al ruling, Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2004.
  • 21. ANTONINO DI GERONIMO 1130 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI - la circolare non fa cenno alle operazioni di trasformazione che, per definizione dovrebbero assicurare una sostanziale neutralità (17). Tuttavia la questione non è di poco conto: la trasformazione da una S.r.l. ad una S.n.c. in contabilità ordinaria, ad esempio, dovrebbe garantire la continuità dei requisiti soggettivi Pex, con, però, un aggravio di tassazione (nel senso che l'esenzione passerebbe da totale a parziale). Il caso inverso si avrebbe nell'ipotesi di trasformazione da S.n.c. in S.r.l., sempre in contabilità ordinaria (l'esenzione da parziale, diverrebbe totale). Nel caso di trasformazione da un soggetto in contabilità semplificata ad uno in contabilità ordinaria valgono le considerazioni critiche e le aperture dell'Agenzia delle Entrate, di cui ai paragrafi precedenti. Requisiti soggettivi Quanto al conferimento neutro, il principio della continuità nel possesso del complesso aziendale conferito, esteso ai beni oggetto del conferimento (comprese le partecipazioni), porta a ritenere che il soggetto conferitario verificherà la sussistenza del requisito temporale (possesso della partecipazione) tenendo conto del periodo di detenzione già maturato in capo al conferente. Inoltre, secondo il condivisibile parere espresso nella Circolare n. 36, sempre al fine di salvaguardare il cennato principio di continuità, il conferitario non potrà modificare la classificazione della partecipazione così come risultante nel bilancio della conferente, ante operazione. Di contro, se il conferimento avverrà in base all'art. 175 del nuovo Tuir, con emersione di plusvalori fiscalmente rilevanti per entrambi i soggetti coinvolti, il periodo di ininterrotto possesso decorre dalla data del conferimento e il soggetto conferitario potrà riclassificare la partecipazione in bilancio in maniera difforme da quella a suo tempo impostata dalla conferente. (17) A parte la nota ipotesi di trasformazione da società commerciale in società semplice, che comporta la realizzazione di tutte le plusvalenze latenti della società del primo tipo, essendo la società semplice assimilabile ad un privato non imprenditore, con conseguente fuoriuscita dei beni della società commerciale dal ciclo d'impresa.
  • 22. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11314/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Per fusioni e scissioni, trattandosi di operazioni strutturalmente neutre, varranno le considerazioni già fatte, in termini di continuità, per i conferimenti ex art. 176, nuovo Tuir. La neutralità che connota fusioni e scissioni - negozi giuridici cui è estranea una connotazione traslativa in senso stretto, essendo prevalente quella di concentrazione o di separazione di patrimoni preesistenti - rende possibile, anche secondo avvertita dottrina (18), ritenere il trasferimento di una partecipazione in capo ad un altro soggetto, avvenuto per effetto delle richiamate operazioni, inidoneo a dare luogo ad una nuova prima iscrizione in bilancio rilevante ai fini della qualifica fiscale della partecipazione. Per quanto riguarda, infine, la posizione dei soci della società incorporata o scissa, le cui partecipazioni vengono annullate e sostituite da quelle dell'incorporante o della beneficiaria, l'Agenzia delle Entrate rileva come le qualità fiscali delle partecipazioni annullate vengono ereditate dalle partecipazioni assegnate in cambio, in perfetta sintonia con quanto accade nei conferimenti neutri di aziende o di partecipazioni. Requisiti oggettivi Le nuove entità legali che originano dai soggetti precedentemente esistenti, ereditano da questi anche le caratteristiche rilevanti ai fini della valutazione dei requisiti di commercialità e residenza. Quando la nascita di un nuovo soggetto consegue ad una operazione di riorganizzazione societaria occorrerà quindi tener conto delle caratteristiche del dante causa, per verificare, su proiezione triennale, come prevede l'art. 87, comma 2, del nuovo Tuir, i requisiti della commercialità e della residenza in un paese privo di un sistema fiscale privilegiato. In sostanza occorre valutare retroattivamente ed in capo ai soggetti preesistenti i predetti requisiti, con riguardo ai patrimoni netti effettivi delle entità che originano dalle operazioni straordinarie o vi partecipano. (18) Vedi STEVANATO D., Participation, nodo continuità, Il Sole 24 Ore, 10 agosto 2004.
  • 23. ANTONINO DI GERONIMO 1132 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI Alcune considerazioni su fattispecie che possono (o potevano) dar luogo a giudizi di elusività Il decreto 358 del 1997 (art. 3, comma 3) promuoveva - con l'azzeramento di qualunque forma di tassazione - il conferimento dell'unica azienda individuale posseduta in una società commerciale, non importa se di persone o di capitali. Per evitare abusi di tale opportunità, nella norma venne introdotta una rigida clausola antielusiva, secondo la quale, per le cessioni dei titoli nel primo triennio dal conferimento, si applicava il regime tipico delle cessioni di beni d'impresa, in luogo dell'imposta sostitutiva sui capital gains. Si voleva in definitiva scongiurare che il contribuente ponesse in essere un arbitraggio tra tassazione ordinaria sulla circolazione dei beni, e il più mite regime previsto per i guadagni di capitale. L'art. 175, comma 4, del "nuovo" Tuir, nel riproporre la disciplina del conferimento dell'unica azienda e della successiva cessione della partecipazione ricevuta a seguito del conferimento ne prevede, comunque, la tassazione secondo il regime dei capital gains anche se la cessione avviene nel triennio (19). È evidente, dunque, la discontinuità con gli assetti disegnati dal Decreto 358/1997. Analogadisposizioneèrintracciabilenell'ambitodell'art.176,comma 6, del "nuovo" Tuir, concernente il regime fiscale dei conferimenti in doppia sospensione d'imposta. È stabilito, infatti, che "quando il conferimento abbia ad oggetto l'unica azienda dell'imprenditore individuale, si applica l'ultimo comma dell'art. 175". Per meglio comprendere, però, la portata innovativa del decreto Ires in materia di conferimenti in doppia sospensione, occorre valutare il comma 3 dell'art. 176. Tale norma prevede esplicitamente la legittimità dell'operazione costituita dal conferimento dell'azienda in neutralità e dalla successiva cessione della partecipazione ricevuta, secondo il regime Pex, escludendo l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 37-bis del (19) Sempre con il trattamento riservato alle partecipazioni "qualificate", in base agli artt. 67, comma 1, lett. c) e 68 del nuovo Tuir.
  • 24. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11334/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI D.P.R. 600/1973 (20). Ad una prima lettura, la norma permette un'agevole tax planning senza porre neanche limiti temporali al possesso della partecipazione ricevuta, prima della sua cessione effettuata in esenzione d'imposta. Si tratta, all'evidenza, di una norma che permette di "congelare" definitivamente le plusvalenze latenti riferibili alla sfera economica del soggetto conferente, anche nel caso della subitanea cessione della partecipazione ricevuta in contropartita dell'azienda conferita. Chi vende, dunque, beneficia dell'esenzione totale o parziale della plusvalenza realizzata, ma chi acquista paga un importo riconosciuto fiscalmente come costo della partecipazione. Se dovesse a sua volta cedere egli godrà a sua volta dell'esenzione, ove ne ricorrano i presupposti, oppure realizzerà una minore plusvalenza o una maggiore minusvalenza. Di certo il costo sostenuto non potrà essere imputato all'azienda presente nella società che è stata comperata. Infatti una successiva operazione di fusione non permetterebbe il riconoscimento fiscale dell'eventuale disavanzo, come si vedrà al successivo p. 2.6. In considerazione di ciò il senso della norma sta nel fatto che il cedente risparmia le imposte perché le plusvalenze latenti passano sul cessionario, e su questo potranno, eventualmente, scontare l'imposizione. Tale impostazione, peraltro, potrebbe prestarsi a qualche critica, proprio per la sua volontà di escludere tout court l'applicazione dell'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973. Infatti, se è vero che il sistema sembra logico e "blindato" nella prospettiva della fusione e della scissione come operazioni in sé considerate, dove mancherà il riconoscimento fiscale del disavanzo da annullamento, una lacuna potrebbe aprirsi facendo un'altra considerazione: il soggetto che conferisce e cede successivamente la partecipazione, potrebbe in realtà aver effettuato un arbitraggio con le norme che disciplinano la cessione d'azienda (imponibile pienamente). Questa sua volontà potrebbe emergere in base alla serrata concatenazione di atti e negozi ora descritta, che segnalerebbe la strumentalizzazione delle norme sul conferimento in sospensione d'imposta e sulla participation exemption. (20) Escludendo, cioè, "per legge" che una tale operazione possa essere considerata elusiva dall'Amministrazione finanziaria in sede di controllo.
  • 25. ANTONINO DI GERONIMO 1134 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI Se così fosse, tanto varrebbe esentare (con le formule più opportune) anche le plusvalenze derivanti dalle cessioni d'azienda. Inoltre - come già segnalato da autorevole dottrina (Ceppellini e Lugano, Il Sole 24 Ore del 1° giugno 2004) - "l'ombrello protettivo" dall'art. 37-bis potrebbe essere invocato analogicamente anche su altre fattispecie come la scissione. In particolare ciò viene sostenuto nel caso in cui anziché cedere un immobile direttamente, vengono cedute le quote della società che lo possiede (società beneficiaria di una precedente scissione). Chi cede gode dei benefici Pex, ma chi compera non potrà, incorporando la società, imputare il disavanzo sull'immobile ottenendo il riconoscimento fiscale dell'operazione. Anche tale ricostruzione, però, non tiene conto dell'arbitraggio praticabile tra regime di tassazione della cessione dei beni e regime Pex. La strumentalizzazione delle norme utilizzate, in tal caso, potrebbe essere valutata come elusiva. Tale problematica manifesta un ulteriore versante, riguardante il quesito se sussista l'opportunità (o il rischio) di applicare l'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, nel caso in cui, a seguito di un conferimento vi sia la cessione della correlata partecipazione in regime di esenzione. Si supponga (21) che l'acquirente della partecipazione, in assenza dei requisiti per l'esenzione, la rivenda a sua volta realizzando una minusvalenza deducibile. Tale problematica manifesta un ulteriore versante, riguardante il quesito se sussista l'opportunità (o il rischio) di applicare l'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, nel caso in cui, a seguito di un conferimento vi sia la cessione della correlata partecipazione in regime di esenzione. Si supponga(22)chel'acquirentedellapartecipazione,inassenzadeirequisiti per l'esenzione, la rivenda a sua volta realizzando una minusvalenza deducibile, sfruttando le "differenze di ritmo" nella circolazione delle partecipazioni ricadenti in regime Pex, da quelle estranee ad esso. (21) Cfr. MIELE L., Sulle cessioni di partecipazioni rasoio antielusivo a due lame, Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2004. (22) Cfr. MIELE L., op. cit.
  • 26. IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR 11354/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Infine, ancora a proposito di arbitraggi censurabili con specifiche norme antielusive nel quadro dell'emanando decreto correttivo Ires (23), va ricordata la potenziale pericolosità di una fattispecie così riassumibile: A cede in esenzione a B una partecipazione comprensiva di utili da distribuire. B percepisce gli utili, tassati al 5% e rivende la partecipazione a terzi, priva dei requisiti Pex, registrando una minusvalenza deducibile. In sostanza tutta l'operazione vede la circolazione della partecipazione, prima pregna degli utili, poi svuotata, senza che venga scontato alcun carico fiscale ed utilizzando le asimmetrie applicative insite nel regime di doppia circolazione dei titoli. In tali casi è però ragionevole ritenere però che la qualificazione elusiva o meno dell'operazione dipenda, oltre che dalla ricorrenza delle valide ragioni economiche (24), dall'indipendenza del soggetto acquirente (e dei successivi cessionari) rispetto al primo cedente. A fronte della sostanziale autonomia delle parti, l'operazione (25) sarebbe difficilmente censurabile, mentre potrebbe essere riguardata con occhi più severi dall'Amministrazione finanziaria, ove fossero palesi gli elementi che portano a ritenere l'operazione medesima nel suo complesso come architettata ad arte all'interno di un gruppo societario, con un'unica cabina di regia, diretta a sfruttare possibili corridoi liberi nell'ordinamento, e ad ottenere ingiustificati vantaggi tributari. (23) Ma si concorda con STEVANATO D., Norme antielusive a rischio eccessi, Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2004, nel ritenere più che sufficiente il ricorso all'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, per contrastare simili abusi. (24) La cui ricorrenza renderebbe pacificamente impraticabile l'applicazione della citata norma antiabuso. (25) In quanto espressione di un effettivo contemperamento di interessi contrapposti.
  • 27. 11374/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Le nuove norme di contrasto alle frodi Iva (*) di Rossella Di Lullo La legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria per l'anno 2005, ha introdotto alcune importanti novità in tema di contrasto all'evasione, specificatamente rivolte al fenomeno delle frodi in materia di imposta sul valore aggiunto, novità contenute ai commi dal 377 al 386 dell'art. 1 del provvedimento. La prima novità si rinviene nel comma 377, con la modifica dell'art. 3, secondo comma, primo periodo, del Regolamento di cui al D.P.R. 322/1998 - Modalità di presentazione ed obblighi di conservazione delle dichiarazioni - che stabilisce gli obblighi relativi all'invio telematico delle dichiarazioni tributarie, riducendo da € 25.822,84 a € 10.000 il limite massimo di volume d'affari, entro il quale le persone fisiche, se non tenute a presentare la dichiarazione dei sostituti di imposta né il modello per la comunicazione dei dati relativi all'applicazione degli studi di settore, possono presentare la dichiarazione mediante modello cartaceo. Di contro aumenta il numero dei soggetti che sono tenuti alla presentazione telematica della dichiarazione. I benefici, in termini informativi, che gli organi di controllo deriveranno da tale disposizione, consistono nella possibilità di effettuare un più rapido controllo delle dichiarazioni trasmesse, di evidenziare (*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto con- cerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria 2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo 2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna.
  • 28. ROSSELLA DI LULLO 1138 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI eventuali anomalie ed intervenire con maggiore tempestività al verificarsi delle stesse. I successivi commi, dal 378 in poi, introducono alcune misure di contrasto che in maniera più diretta intervengono nei confronti di fenomeni di frode in materia di Iva riscontrati in specifici settori economici. Ogni qualvolta la legge consente l'effettuazione di acquisti di merce senza l'addebito dell'Iva in capo all'acquirente (operazioni intracomunitarie, acquisti con lettere di intento, ecc.) l'operazione si presta ad essere sfruttata con una frode. Un esempio classico di frode consiste nell'effettuazione di un acquisto intracomunitario (non imponibile Iva in Italia) da parte di un soggetto (cd. interposto), il quale acquista beni (autovetture, cellulari, personal computer, ecc.) che vengono successivamente rivenduti ad altro soggetto (cd. interponente) con una cessione imponibile Iva - in quanto effettuata sul mercato interno nei confronti di un soggetto residente - ad un prezzo pari al prezzo di acquisto (ovvero scorporando l'Iva piuttosto che sommarla al prezzo di acquisto, maggiorato di un margine di ricarico) o di poco superiore (per l'applicazione di una piccola provvigione). L'interposto non versa l'Iva relativa alla cessione effettuata nei confronti del soggetto interponente, lucra il compenso per l'attività di intermediazione svolta tra il fornitore Ue e l'interponente e sparisce in breve tempo. Il soggetto interponente ha pertanto la possibilità di beneficiare del credito Iva per l'acquisto dei beni dall'interposto (Iva che il più delle volte non è stata effettivamente pagata e sicuramente non è stata versata all'Erario), può vendere a sua volta la merce acquistata ad un prezzo competitivo sul mercato risultando, formalmente, in regola con l'adempimento dell'imposta. A ciò si aggiunga che frequentemente, la merce transita direttamente dal fornitore comunitario al soggetto interponente, così come anche i pagamenti vengono effettuati direttamente
  • 29. LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA 11394/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI dall'interponente al fornitore comunitario. Il soggetto residente interposto, che acquista cartolarmente la merce senza averne mai la materiale disponibilità, si limita alla funzione di prestanome (cartiera), allo scopo di fornire un filtro all'operazione, che si conclude col mancato versamento Iva da parte dell'interposto e con la detrazione da parte dell'interponente. Rimane all'attività investigativa posta in essere dagli organi di controllo, dimostrare la sussistenza della frode, ovvero l'accordo tra interposto ed interponente, fraudolentemente posto in essere per trarre un beneficio dall'operazione, consistente per l'interposto, nella provvigione lucrata e per l'interponente, oltre al credito Iva, la possibilità di acquistare beni a prezzi fino al 18-20% inferiori a quelli di mercato e di collocarli sul mercato finale a condizioni assolutamente concorrenziali, rispetto agli altri operatori che agiscono correttamente. La legge finanziaria 2005, ai commi 378 e seguenti, interviene con misure di contrasto alle frodi Iva riscontrabili nell'ambito delle operazioni Schematizziamo il fenomeno: Il fornitore Ue, in accordo con l'imprenditore italiano, fattura la merce ad un interposto, anziché all'effettivo acquirente L'interposto acquista solo formalmente e fattura all'impresa, senza versare Iva. L'imprenditore detrae l'Iva della fattura L'imprenditore italiano acquista dal fornitore Ue
  • 30. ROSSELLA DI LULLO 1140 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI intracomunitarie, per le quali vale il principio dell'imposizione del Paese di destinazione, con particolare riguardo al settore degli autoveicoli, che da più anni ha visto il diffondersi di situazioni fraudolente. Con il comma 378 si stabilisce l'obbligo a carico del soggetto di imposta che effettua un acquisto intracomunitario di mezzi di trasporto nuovi o che si reputano nuovi, secondo la definizione di cui all'art. 38 del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993, di trasmettere al Dipartimento dei Trasporti Terrestri (ex Motorizzazione) entro 15 giorni dall'acquisto e, comunque, prima dell'immatricolazione, una comunicazione recante l'indicazione del numero identificativo intracomunitario del fornitore (se la vettura viene direttamente immatricolata dall'importatore), o, in caso di passaggi interni precedenti l'immatricolazione, il codice fiscale del fornitore; la comunicazione deve contenere, inoltre, il numero di telaio del veicolo, del motoveicolo e dei loro rimorchi. In assenza di tale comunicazione il DTT non può procedere all'immatricolazione richiesta. Tale obbligo è posto anche nel caso di cessione intracomunitaria o di esportazione dei medesimi mezzi di trasporto. Si ricorda che si definiscono veicoli "nuovi" in base all'art. 38, quarto comma, del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 - Acquisti intracomunitari - quei veicoli che hanno una percorrenza inferiore a 6.000 Km e la cui prima immatricolazione sia avvenuta non oltre sei mesi prima dell'acquisto. Un decreto del D. dei T.T. e dell'Agenzia delle Entrate stabilirà il contenuto specifico della comunicazione di cui al comma 378 e le modalità di trasmissione della stessa. Verranno, infine, regolamentate le modalità di trasmissione telematica all'Agenzia delle Entrate delle comunicazioni ricevute dal Dipartimento dei Trasporti Terrestri, inviate dagli operatori in adempimento degli obblighi previsti ai commi sopra citati. La finalità perseguita dalla norma si rinviene, evidentemente, nella necessità di monitorare le transazioni che hanno ad oggetto gli acquisti intracomunitari di mezzi di trasporto nuovi o reputati tali in base all'art. 38 del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 in tutti i passaggi che si susseguono, precedenti l'immatricolazione, allo scopo di contrastare i fenomeni di frode che si sono riscontrati nel settore.
  • 31. LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA 11414/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Un rapido confronto con il sistema previdente permette di evidenziare la maggiore tempestività con cui le informazioni relative a tali transazioni giungeranno all'Amministrazione finanziaria, che potrà attuare con maggiore efficacia gli opportuni interventi di controllo. I funzionari del Dipartimento dei Trasporti Terrestri, in base al disposto dell'art. 53 del D.L. del 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 - Disposizioni relative ai mezzi di trasporto nuovi - hanno l'obbligo, prima di immatricolare il veicolo, di verificare il corretto adempimento dell'imposta da parte del richiedente l'immatricolazione. Tuttavia, quando l'immatricolazione non è richiesta direttamente dal soggetto importatore, ma da altri operatori residenti nel territorio nazionale che da questi hanno acquistato il veicolo o, addirittura, da un ulteriore soggetto residente, a sua volta acquirente dell'importatore, (allungando, in tal modo, sempre più la catena commerciale in capo al veicolo importato) dei passaggi interni, successivi all'importazione, non si aveva traccia. I funzionari del Dipartimento dei Trasporti Terrestri si trovano, in tal modo, a verificare solo l'ultimo anello della catena (l'ultimo acquirente interno), che di norma ha regolarmente assolto agli obblighi Iva, e nella materiale impossibilità di riscontrare e denunciare agli organi di controllo eventuali "salti" di imposta intermedi. In definitiva, le informazioni relative alle auto estere importate ed immatricolate in Italia erano acquisite dall'Amministrazione finanziaria per il tramite delle comunicazioni degli Stati esteri di provenienza dei beni, ovvero, solo ad immatricolazione avvenuta, in quanto desumibili dai dati dichiarati (nella forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio) dai richiedenti l'immatricolazione stessa. Tali dati, relativi al numero di telaio, al Paese di provenienza e alla fattura di acquisto del veicolo (numero e data fattura) venivano trasmessi dal D.T.T. mediante l'invio periodico, in formato cartaceo, delle dichiarazioni ricevute in esecuzione degli adempimenti previsti dalle Circolari del D.T.T. nn. B59/2000/MOT e B64/2000/MOT. Le novità introdotte dalla legge finanziaria 2005 hanno il pregio di rendere identificabili, in modo tempestivo anche i passaggi successivi all'importazione, avvenuti tra l'importatore, il/i rivenditore/i fino
  • 32. ROSSELLA DI LULLO 1142 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI all'acquirente finale, rendendo più efficace l'azione di contrasto alle frodi Iva da parte degli organi competenti. Anche l'adempimento che il Legislatore ha introdotto al comma 381, rubricato Comunicazione telematica dei dati contenuti nella dichiarazione d'intenti, trova la sua giustificazione nell'obiettivo di arginare i fenomeni di frode che si possono verificare nel caso di acquisti in sospensione di imposta, ex art. 8, secondo comma, lett. c), D.P.R. 633/1972 (Cessioni all'esportazione). Ai cosiddetti esportatori abituali, così come definiti dall'art. 1 del D.L. 746/1983 - Applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 8 del D.P.R. 633/1972 - ovvero quei soggetti che hanno effettuato nell'anno precedente o nei 12 mesi precedenti cessioni all'esportazione o operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del volume d'affari, è data la possibilità di effettuare acquisti e importazioni di beni e servizi senza il pagamento dell'imposta, nei limiti dell'ammontare complessivo delle cessioni all'esportazione o operazioni assimilate effettuate (plafond), comunicando ai propri fornitori l'intenzione di avvalersi di tale facoltà mediante l'invio della cosiddetta lettera d'intento. L'acquisto in sospensione di imposta, in carenza dei requisiti richiesti per la qualifica di esportatore abituale, permette la successiva rivendita della merce acquistata con scorporo dell'Iva (che non viene versata) ottenendo lo stesso risultato già in precedenza descritto nel caso della frode Iva. Il comma 381 dell'art. 1 della legge finanziaria modifica l'art. 1, primo comma, lett. c) del D.L. 746/1983, convertito dalla L. 17/1984, ponendo l'obbligo, in capo a coloro che ricevono le dichiarazioni di intento dai propri clienti, di comunicare all'Agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica ed entro il 16 del mese successivo a quello di ricevimento della lettera di intento, i dati in essa contenuti. Relativamente alle modalità di attuazione della misura stabilita al comma 381, il comma 385 prevede l'emanazione di un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate per la determinazione del contenuto e delle modalità di invio della comunicazione.
  • 33. LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA 11434/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Ancora una volta, la tempestività con cui l'Amministrazione finanziaria è in grado di disporre delle informazioni contenute nelle lettere di intento, al fine di predisporre gli opportuni controlli, è fondamentale. Il Legislatore ha, pertanto, previsto, due forti deterrenti all'omissione di invio della comunicazione o all'invio di dati carenti o inesatti da parte dei soggetti tenuti al rispetto dell'adempimento, rispettivamente ai commi 383 e 384: 1) la modifica dell'art. 7 del D.L.vo 471/1997 - Violazioni relative alle esportazioni - con l'inserimento del comma 4-bis, che prevede l'applicazione nei confronti del cedente i beni/servizi che non adempie all'invio dei dati o adempie in modo incompleto ed inesatto della sanzione prevista al terzo comma dell'art. 7, ovvero dal 100% al 200% dell'imposta calcolata sul valore dei beni/servizi ceduti senza addebito di imposta; 2) l'introduzione del concetto di responsabilità solidale del cedente con il soggetto acquirente per il pagamento dell'imposta evasa, correlata all'infedeltà della dichiarazione ricevuta (in caso di mancato invio della comunicazione e/o invio di dati carenti e inesatti). Gli effetti di una norma che prevede la responsabilità solidale tra cedente ed acquirente, emergono in tutto il loro impatto, se si procede ad un confronto tra la norma previgente e le novità introdotte dalla Finanziaria. L'art. 7 del D.L.vo 471/1997, terzo comma, primo periodo, stabilisce che il cedente è tenuto al pagamento della sanzione e dell'imposta, se la cessione avviene senza lettera di intento, viceversa è tenuto al pagamento della sola sanzione se la cessione avviene senza addebito di imposta a seguito di presentazione da parte del cessionario di lettera di intento in assenza dei presupposti richiesti dalla legge. L'art. 7 al terzo comma, ultimo periodo, prevede, infatti, che del pagamento dell'imposta non addebitata in fattura rispondono esclusivamente il cessionario, i committenti e gli importatori che hanno provveduto al rilascio della lettera di intento in assenza dei presupposti richiesti dalla legge.
  • 34. ROSSELLA DI LULLO 1144 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI In tal caso ed in caso di "splafonamento" (acquisto di beni e servizi oltre il limite di cui all'art. 1 del D.L. 746/1983), al cessionario, in base all'art. 7, quarto comma, viene applicata la sanzione di cui al terzo comma, oltre all'obbligo al pagamento dell'imposta, in via esclusiva, come previsto al terzo comma, ultimo periodo. Con l'introduzione del comma 384 della Finanziaria, il cedente che omette di comunicare i dati contenuti nella lettera di intento ricevuta, oltre ad essere assoggettato alla sanzione prevista con l'introduzione del comma 4-bis, diviene responsabile in solido con l'acquirente del pagamento dell'imposta non addebitata per effetto della dichiarazione infedele; la responsabilità solidale opera, pertanto, in caso del contemporaneo verificarsi dell'omissione o di invio incompleto o inesatto, da parte del cedente, all'Agenzia delle Entrate dei dati contenuti nella lettera di intento ricevuta dal cessionario, che poi si riveli essere stata rilasciata in mancanza dei presupposti di legge. Con l'entrata in vigore delle norme contenute ai commi 378 e 381 della legge finanziaria 2005 e, quindi, con l'invio delle comunicazioni in essi previste, relative alle immatricolazioni di veicoli nuovi e ai dati contenuti nelle lettere di intento, l'Agenzia delle Entrate entra in possesso di un consistente volume di informazioni, che come stabilito al comma 382, dovrà essere condiviso, in ottica di collaborazione, con gli altri organi preposti ai controlli in materia di contrasto all'evasione, ai fini del necessario coordinamento e programmazione delle attività da porre in essere.
  • 35. 11454/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI Brevi note sul contenzioso comunitario in tema di Irap di Renato Loiero e Luciana Marino 1. Premessa - 2. Tratti essenziali dell'imposta - 3. Il dibattito sull'incompatibilità dell'Irap e la posizione comunitaria - 4. La questione dell'ambito temporale degli effetti della sentenza - 5. Conclusioni e prospettive di riforma 1. Premessa Fin dalla sua introduzione nel 1998 l'Irap è stata oggetto di un acceso dibattito in ordine alle sue peculiarità rispetto alle forme più diffuse di imposizione a livello internazionale ed al suo utilizzo come tributo regionale (1). Il giudizio in atto sul tributo da parte della Corte di Giustizia Europea ha riproposto il confronto e ha posto il problema di una sua eventuale sostituzione con forme di prelievo equivalenti dal punto di vista del gettito, della neutralità e del riconoscimento dell'autonomia regionale. Il problema della possibile incompatibilità dell'Irap con l'Iva, ai sensi dell'art. 33 della direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/ Cee (di seguito: Sesta Direttiva) è sorto in seguito a un ricorso presentato dalla banca popolare di Cremona avverso un provvedimento di diniego di rimborso dell'Irap, per gli anni 1998 e 1999, ed emesso dall'Ufficio delle entrate di Cremona. La Commissione Tributaria Provinciale di Cremona (1) In particolare, in riferimento all'utilizzo dell'Irap per il finanziamento della sanità, cfr. CIERIANI V. e GUERRIERI G., Il ruolo dell'Irap nel sistema fiscale, Rassegna tributaria, n. 6-2004, p. 2005.
  • 36. RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO 1146 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI adita ha sospeso il relativo procedimento richiedendo alla Corte di Giustizia Europea di esprimersi in via pregiudiziale sulla questione. Il 17 marzo 2005 sono state depositate le conclusioni dell'Avvocato generale della Corte, Francis Jacobs, che appaiono confermare la tesi della incompatibilità dell'Irap con la disciplina di cui alla citata Sesta Direttiva. In attesa di conoscere l'esito del giudizio definitivo della Corte europea, appare utile riassumere i termini del dibattito (2). 2. Tratti essenziali dell'imposta All'atto del suo ingresso nell'ordinamento nazionale, l'Irap ha rappresentato un tributo nuovo (3), gravante esclusivamente sulla produzione e che secondo alcuni studiosi ha rappresentato il primo passo verso la realizzazione del c.d. "federalismo fiscale" (4). Giova qui rammentare che, in estrema sintesi, le ragioni che spinsero il legislatore a introdurre l'Irap sostituendo sei tributi e un contributo (quello sanitario) furono diverse ed essenzialmente, in primis, la necessità di dotare le regioni di un proprio gettito atto a sostenere le funzioni ad esse delegate (2) Conclusioni dell'Avvocato generale Jacobs presentate il 17 marzo 2005, causa c-475/03, banca popolare di Cremona contro l'Agenzia delle entrate ufficio di Cremona. Per una sintesi del dibattito, si veda: SANTAMARIA T., Il caso dell'Irap. Il problema della sua pretesa illegittimità e l'ampio dibattito di esperti su possibili soluzioni, Fiamme Gialle, n. 4-2005, pp. 27-29. (3) L'istituzione di un'imposta locale sull'attività produttiva, in aggiunta e separata da altri prelievi locali sulle famiglie, ha trovato prevalente giustificazione in un criterio di "collaborazione", o di "partnership principale", che soprattutto negli anni '80 è stato ampiamente trattato nella dottrina inglese e tedesca. Si tratta di un principio che era già alla base dell'Iciap e che ha ispirato analoghi tributi di altri Paesi europei, quali la tedesca Gewerbesteuer, la francese Taxe Professionelle e la Council tax britannica. Sul tema: GALLO S., L'Irap, una complicata novità nel sistema tributario italiano, Rivista della Guardia di Finanza, n. 2-1999, p. 611. (4) Senza addentrarsi in tale tematica, di stretta attualità, ma anche di particolare rilevanza politica, rimandiamo a: LOIERO R., Il modello di federalismo fiscale nel decreto 56 del 2000: problemi e prospettive di riforma, in: Atti del convegno su Federalismo fiscale e decentramento amministrativo: verso un nuovo assetto della finanza locale, a cura dell'ANFI - Associazione Nazionale Finanzieri d'Italia - Sezione di ROMA - Villa Spada - Roma, 17 dicembre 2004; in www. anfivillaspada.it. Si veda anche, per la sua particolare rilevanza nell'ambito del dibattito in atto, l'intesa interistituzionale della Lombardia dell'11 febbraio 2005 dove sono tratteggiate le linee guida della futura assegnazione dei tributi ai livelli di governo.
  • 37. BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP 11474/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI dallo Stato e, in secundis, soddisfare l'esigenza di una semplificazione fiscale. Va qui anche notato che già allora si pose il problema di valutare la compatibilità comunitaria della nuova imposta (5). Il presupposto di tale imposta, è secondo l'art. 2 del D.L.vo 446/1997 "(…) l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (…)". Ciò che viene dunque tassato è una grandezza autonoma e distinta dal soggetto cui essa si riferisce, anche se ad esso è strettamente correlata, ovvero un'entità reale, diversa dal consumo, dal patrimonio e dal reddito, e individuata nella potenzialità economica e produttiva espressa dal coordinamento tra organizzazione e disponibilità dei fattori della produzione (6). La base imponibile, quindi, individuata nel valore della produzione netta, derivante dall'attività svolta in ciascuna regione italiana dal soggetto passivo, viene calcolata con diversi metodi, applicabili in funzione della tipologia dell'attività esercitata (7). (5) È stato infatti segnalato che durante l'udienza del 16 novembre 2004 l'Avvocatura dello Stato avrebbe citato una lettera del 10 marzo 1997 con la quale la Commissione Europea allora espressamente affermò che la nuova imposta, allora conosciuta come Irep e destinata ad entrare in vigore nel gennaio 1998, non era assolutamente in contrasto con la direttiva sull'Iva in quanto totalmente diversa. Tale nulla osta è intervenuto, peraltro, quando era già stata approvata la legge di delega nella quale i connotati dell'imposta erano abbastanza compiutamente delineati (art. 3, comma 162, della L. 662 del 1996). Cfr. SETTEMBRE D., La (presunta) incompatibilità dell'Irap con l'art. 33 della direttiva n. 77/388/Cee del 17 maggio 1977 e l'attesa sentenza della Corte di Giustizia, il fisco, n. 48/2004. Più di recente, in uno studio Eurostat del 2004 si fa presente che le tasse sul reddito o sui profitti delle società sono calcolate in Paesi come Germania, Italia e Austria includendo le imposte locali e regionali. Nell'allegato B, ove sono indicate le imposte secondo la loro funzione economica, l'Irap viene inclusa tra le imposte che colpiscono il fattore "capitale" mentre l'Iva tra quelle che colpiscono il consumo. Anche se non si tratta di una indicazione normativa se ne potrebbe evincere, al limite, una posizione comunitaria già orientata nel senso di escludere una duplicazione dell'Iva. Significativo appare il seguente passaggio: "At the same time, however, a new regional tax on productive activities, commonly abbreviated as Irap, based on the value of production net of depreciations was introduced (classified in ESA95 as an indirect other tax on production)". EUROSTAT, Structures of the taxation system in the European Union, p. 48. (6) In proposito cfr. Prof. GALLO F., Ratio e struttura dell'Irap, Rassegna tributaria, n. 3/1998, p. 627. (7) Brevemente, si rammenta che per quanto riguarda le imprese è necessario far riferimento alle risultanze del conto economico, di cui all'art. 2425 del Codice Civile, con le opportune variazioni
  • 38. RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO 1148 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI 3. Il dibattito sull'incompatibilità dell'Irap e la posizione comunitaria Sull'Irap si è svolto nel recente passato un ampio dibattito, sia dottrinale che giurisprudenziale, circa la sua legittimità nonché la sua compatibilità con i princìpi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione. A dirimere parzialmente tali contrasti è quindi intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 156 del 2001, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'Irap ed ha respinto le censure in merito affermando, seppure incidentalmente, che l'elemento organizzativo non è necessariamente connaturato all'attività di lavoro autonomo, la quale, anche se svolta abitualmente, può risultare sprovvista di autonoma organizzazione. Ciò, in concreto, può comportare l'insussistenza del presupposto Irap e, conseguentemente, l'inapplicabilità del tributo in capo al professionista (8). Tale pronuncia rileva però anche per l'aspetto qui in rassegna in virtù del richiamo contenuto in sentenza con riferimento al "valore aggiunto prodotto" assoggettato all'imposta e definito come "nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva". Un secondo aspetto affrontato in quella pronuncia è quello relativo all'ipotesi della traslazione dell'imposta, ove si sostiene che anche l'Irap come qualsiasi altro costo (anche fiscale) gravante sulla produzione potrebbe essere traslata sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative. Tali assunti, ed in particolare il secondo, sebbene espressi al fine di sostenere la legittimità costituzionale dell'imposta, sono stati utilizzati da alcuni autori al fine di sostenere l'analogia tra l'Irap e l'Iva. Infatti, se e rettifiche previste sia in materia di imposte sui redditi dal Tuir sia altre modifiche proprie dell'Irap e di cui al citato decreto. Nel caso, invece, dei professionisti il valore della produzione netta è dato dalla differenza tra l'ammontare dei compensi percepiti e l'ammontare dei costi sostenuti ed inerenti all'attività esercitata, compreso l'ammortamento dei beni materiali ed immateriali. Sono invece esclusi sia gli interessi passivi sia le spese per il personale dipendente. (8) Fondazione Luca Pacioli, L'applicazione dell'Irap ai redditi di lavoro autonomo, Circolare n. 8/2002, Documento n. 12 del 16 maggio 2002. Cfr. anche: GALLO S., Quando l'Irap non è dovuta dal professionista, Rivista della Guardia di Finanza, n. 6/2004, p. 1913. (segue nota)
  • 39. BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP 11494/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI si ammettesse, empiricamente, la possibilità di una traslazione, seppure economica, dell'Irap sui consumatori allora tale imposta potrebbe essere assimilata alle imposte sui consumi e quindi all'Iva. Il problema, però, dell'incompatibilità tra l'Irap e l'Iva, deve essere visto in ambito soprattutto comunitario, ed in riferimento all'art. 33 della Sesta Direttiva, avuto riguardo alle motivazioni economico-normative di tale divieto. Tale articolo stabilisce infatti che: "(…) fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d'affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera". L'obiettivo che si propone la norma, così come si legge nella sentenza EKW (9) della Corte di Giustizia Europea è dunque: "(...) (9) Si tratta della Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 marzo 2000. - Evangelischer Krankenhausverein Wien contro Abgabenberufungskommission Wien et Wein & Co. HandelsgesmbH contro Oberösterreichische Landesregierung. In proposito, la Corte è stata investita della risoluzione di tre questioni pregiudiziali in merito all'interpretazione dell'art. 33 della Sesta Direttiva. Al riguardo, il giudice comunitario, premesso che l'art. 33 della Sesta Direttiva osta al mantenimento o all'introduzione di imposte di registro o di altri tipi di imposte, diritti o tasse che presentino le caratteristiche dell'Iva, ha risolto negativamente il primo quesito nella considerazione che l'imposta descritta nella causa principale non costituisce un'imposta generale, non essendo destinata a gravare su tutte le operazioni economiche nello Stato membro considerato. Dal tenore delle disposizioni nazionali applicabili risulta, infatti, che la pretesa imposta si applica esclusivamente ad una categoria limitata di beni, cioè a dire le cessioni a titolo oneroso di gelati alimentari e di bevande, inclusi i relativi involucri ed accessori venduti con i prodotti. Tra le altre sentenze conformi si vedano, tra tutte: sentenza Rousseau Wilmot, causa n. 295/84 del 27 novembre 1985; sentenza Bozzi, causa n. 347/90 del 7 maggio 1992; sentenza Solisnor-Estaleiros Navais, causa n. 130/96 del 17 settembre 1997.
  • 40. RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO 1150 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI lasciando liberi gli Stati membri di mantenere in vigore o di istituire determinati tributi, come le imposte indirette, a condizione che non si tratti di tributi aventi il carattere di imposta sulla cifra d'affari (...), di impedire che il funzionamento del sistema comune dell'Iva sia leso da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in modo analogo all'Iva". Pertanto, secondo la Corte, la ratio dell'art. 33 della Sesta Direttiva sta nell'evitare interferenze con l'Iva comunitaria in quanto, se ciò si verificasse, verrebbe violata una delle quattro libertà del Trattato, ovvero la libera circolazione di merci e servizi, minando il funzionamento del mercato interno. Nel ragionamento seguito dall'avvocato generale della Corte europea, relativamente al caso di specie, è pacifico che per essere colpita dal divieto di cui all'art. 33 della Sesta Direttiva, un'imposta nazionale deve presentare tutte le caratteristiche essenziali dell'Iva che, secondo la giurisprudenza della Corte, sono nel numero di quattro, strettamente corrispondenti alla definizione contenuta all'art. 2 della prima direttiva ovvero: - si applica in modo generale alle cessioni di beni o di servizi; - grava sul valore aggiunto ai beni e/o ai servizi di cui trattasi; - è applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione; - è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, qualunque sia il numero di operazioni intervenute. Qualora si ritenessero sussistenti tali requisiti non si potrebbe più escludere l'incompatibilità con l'Iva: risulta quindi necessario soffermarsi partitamente nel dettaglio dell'analisi degli stessi. Per quanto attiene al primo requisito, ovvero all'applicazione in modo generalizzato alle cessioni di beni e servizi, l'art. 2, comma 1 del decreto legislativo istitutivo dell'Irap prevede che: "Presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi". Nell'interpretare la lettera di tale norma la Commissione europea, nelle proprie osservazioni alla causa in
  • 41. BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP 11514/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI discussione, ha fatto notare che il requisito della generalità dell'Irap appare, per certi versi, ancora più esteso rispetto a quello previsto in tema di Iva in quanto verrebbe applicata anche a soggetti esclusi o esentati dall'applicazione dell'Iva come, ad esempio, le amministrazioni pubbliche (10), ovvero le banche e le società assicurative e finanziarie. Tuttavia, il Governo italiano ha sostenuto che sebbene l'Irap possa essere considerata un'imposta applicabile in modo generalizzato, essa non è applicabile alle cessioni di beni o servizi; essa, infatti, si applica ad una ricchezza creata e non a cessioni effettuate, di modo che, ad esempio, un'impresa che in un determinato periodo d'imposta produce una certa quantità di beni che però non vende sarà soggetta all'Irap ma non all'Iva in tale periodo d'imposta. Pertanto l'Irap, a differenza dell'Iva, quantomeno sotto questo aspetto, appare in ogni caso un'imposta diretta e non indiretta. In relazione al secondo punto, il requisito dell'applicazione al valore aggiunto, molti autori, nonché lo stesso Avvocato della Corte, nel sostenere l'analogia dell'Irap con l'Iva fondano le loro argomentazioni sul presupposto che entrambe le imposte tassano, in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione, la frazione di valore aggiunto che si è formata presso ogni singolo produttore che ha preso parte al processo produttivo e distributivo dei beni e servizi forniti dalle imprese o dai professionisti. Ciò che, secondo tale orientamento (11), varierebbe tra le due imposte è il metodo con cui si procede alla determinazione del valore aggiunto dei beni e servizi prodotti dal soggetto passivo. Nell'Iva si procede alla tassazione per operazioni, nell'Irap la determinazione del valore aggiunto avviene in modo complessivo e per anno d'imposta. Inoltre, la classificazione dell'Irap come imposta diretta, e quindi di altro genere rispetto all'Iva, viene ritenuta non rilevante in quanto "nella fattispecie, la questione non è quella di stabilire se l'Irap debba essere (10) Si tratta della cosiddetta "Irap pubblica" introdotta in sostituzione dei contributi sociali figurativi del pubblico impiego. (11) Così la Commissione Europea nella relazione alla causa C-475/2003; si veda anche: BIANCO R., Sulla presunta incompatibilità tra Irap e Iva ai sensi dell'art. 33 della Direttiva n. 77/388/ Cee, il fisco, n. 14/2005.
  • 42. RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO 1152 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI qualificata come imposta diretta o indiretta, ma se essa abbia le stesse caratteristiche dell'Iva". A tale impostazione occorre però fare delle obiezioni. In primis, non può negarsi che la nozione di valore colpito dall'Irap è di natura diversa rispetto a quello colpito dall'Iva. Infatti, l'Iva è calcolata detraendo in ogni cessione di beni e servizi dall'Iva incassata sulle vendite quella pagata sugli acquisti. Pertanto, siccome è ammessa in detrazione anche l'Iva pagata sugli acquisti di beni capitali, l'imposta grava solo sui beni di consumo: quindi l'Iva è classificabile come un'imposta sul valore aggiunto tipo consumo, laddove nella tassazione del consumo è rilevante la rivalsa obbligatoria la cui funzione è appunto quella di garantire la neutralità dell'imprenditore (12). L'Irap invece si applica essenzialmente detraendo dai ricavi i costi per materie prime e beni intermedi. Non vengono dedotti gli investimenti, ma solo gli ammortamenti. Si tratta quindi di un'imposta sul valore aggiunto tipo reddito netto, nella quale ciò che viene tassato è il reddito prodotto (al netto degli ammortamenti) e non il consumo (13). L'oggetto economico sottoposto all'Irap, in buona sostanza, si avvicina più al concetto di reddito derivante dalle attività commerciali e professionali che alla nozione di valore aggiunto tipico dell'Iva, circostanza derivante dal fatto stesso che il valore aggiunto dell'Irap è appunto quello "tipo reddito" e non quello "tipo consumo" tipico di una imposta sulla cifra d'affari quale è l'Iva (14). Dall'analisi dei rispettivi ambiti di applicazione, inoltre, Iva e Irap appaiono diametralmente dissimili anche sul piano dei rapporti internazionali, presupposto sostanziale dal quale si origina, come dianzi accennato, anche la disciplina dell'intervento comunitario. Le (12) Cfr. DE MITA E., Eutanasia di una tassa, Il Sole 24Ore, 18 marzo 2005. (13) Il lettore rammenterà che già ANTONIO DE VITI DE MARCO dimostrò come un'imposta sul valore della produzione fosse equivalente a una sui redditi. (14) Talché, nel caso di soggetti Irap senza dipendenti né interessi passivi, la base imponibile risulta quasi completamente pari al reddito d'impresa.
  • 43. BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP 11534/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI esportazioni sono, infatti, soggette a Irap, ma non a Iva, mentre le importazioni sono soggette a Iva, ma non a Irap, in relazione alla quale il costo delle merci importate è deducibile, sia per le materie prime, sia per i servizi d'impresa, sia per i beni strumentali, tramite gli ammortamenti; analogamente, per tutti i rapporti con l'estero (15). Nella sua argomentazione l'Avvocato della Corte ha riconosciuto, difatti, la significatività, segnalata dal Governo italiano, del fatto che il regime Iva permette ad un soggetto passivo di dedurre l'imposta a monte non appena essa è sopportata, indipendentemente dall'ammontare dell'imposta a valle dovuta nel corso dello stesso periodo d'imposta, talché si può verificare il caso in cui il pagamento netto, in un particolare periodo, sia effettuato in maniera inversa ovvero dall'autorità fiscale al soggetto passivo. Tale meccanismo non si configura invece nel caso dell'Irap in quanto, se in un periodo determinato i costi superano i ricavi, l'imposta è pari a zero. A nostro parere, riveste pertanto valore dirimente la differenza costituita dal regime di rimborsabilità e di riportabilità dell'Iva a credito, principio non riconosciuto per l'Irap in quanto, appunto, la tassazione presuppone la "creazione" di un valore aggiunto, non rilevando l'ipotesi opposta di "distruzione" di valore. Esiste poi una serie di differenze minori in ordine alla detraibilità soggettiva ed oggettiva ed al campo di applicazione delle due imposte: per fare solo un'esempio va rammentato che gli intermediari finanziari e le compagnie di assicurazione svolgono essenzialmente operazioni esenti da Iva ma sono egualmente assoggettate ad Irap. Da ciò discende che l'Irap è sopportata dai produttori e solo in via mediata, eventuale e differita dai consumatori finali, secondo il meccanismo della traslazione economica di cui alla citata sentenza 156/2001 della Corte Costituzionale. Nella sua determinazione ordinaria, infatti, l'Irap non consente alcuna rivalsa giuridica in senso tecnico, carattere evidenziato anche dal fatto che tale imposta non è deducibile dalle imposte sui redditi. D'altronde, portando alle estreme conseguenze tale linea di (15) Cfr. LUPI R., Niente sovrapposizioni con l'Iva, Il Sole 24Ore, 16 novembre 2004.
  • 44. RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO 1154 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI ragionamento, non si coglierebbe nemmeno il discrimine tra l'Iva e le imposte generali sul reddito d'impresa del tipo dell'Ires (16). Presupposto dell'Irap non è infatti la cessione di beni o la prestazione di servizi, ma l'esercizio di un'attività organizzata. Rientrano infatti nella base imponibile una serie di fenomeni e operazioni che non sono necessariamente collegati alla cessione o al consumo di beni e servizi. Il Governo italiano ha pertanto correttamente (a nostro parere), sostenuto che le componenti positive della base imponibile non sono costituite dalle sole cessioni e prestazioni, potendosi quindi determinare un imponibile positivo anche in assenza di vendite, con la mera valorizzazione delle rimanenze finali. Sulla base di queste argomentazioni, dunque, almeno ed in particolare per questo profilo, comunque di sicura rilevanza, non appaiono condivisibili le argomentazioni dell'Avvocato generale della Corte di Giustizia: l'Irap può apparire simile sia ad un'imposta diretta sui redditi, sia ad un'indiretta proprio in virtù dei caratteri suoi propri, che la differenziano dagli altri tributi e in particolare dall'Iva ordinaria, che colpisce i consumi (riferiti a beni prodotti sia all'interno, sia all'esterno del paese). In merito al terzo aspetto, ovvero all'applicazione dell'Irap in ogni fase della produzione e distribuzione, molti autori, e lo stesso Avvocato della Corte, ritengono difficile poter negare l'esistenza di un'analogia con l'Iva. Secondo tale orientamento, l'applicazione dell'Irap in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione del bene e del servizio è dovuta al fatto che essendo ogni operatore economico un soggetto passivo Irap ed inserendosi ogni operatore in una precisa (16) L'art. 2 della prima direttiva sancisce infatti il principio del sistema comune dell'Iva che consiste nell'applicare ai beni e ai servizi una imposta generale sul consumo. Nella relazione dell'Avvocato generale non è invece chiarito alcun collegamento diretto dell'Irap con il consumo, che pure dovrebbe costituire elemento essenziale dell'Iva come ricordato dalla stessa Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 20 ottobre 1993, C-10/92. Cfr. LUPI R., Prelievo che colpisce in direzioni differenti, Il Sole 24Ore, 17 marzo 2005.
  • 45. BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP 11554/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI fase del ciclo produttivo/distributivo, ne risulta che l'imposta viene riscossa in ogni fase di detto processo. Sarebbe altresì ininfluente il verificarsi di distorsioni o esclusioni, quali l'indetraibilità dell'imposta, nell'applicazione dell'Irap, in quanto ciò accade anche nell'Iva. Inoltre, per tali autori, il metodo di calcolo, cosiddetto "base da base", comporterebbe che il numero di fasi intermedie del ciclo di produzione/ distribuzione non venga ad influire sull'ammontare dell'imposta riscossa all'atto dell'immissione del bene o del servizio al consumo finale. In realtà, anche su tale aspetto l'argomentazione dell'Avvocato della Corte può non risultare pienamente convincente, atteso che egli stesso ricorda che il carattere globale dell'Irap consente indubbiamente agli operatori economici un grado di flessibilità maggiore rispetto al caso dell'Iva (17) ma, aggiunge, ricordando la sentenza Careda (18), (17) Nelle sue conclusioni, l'Avvocato specifica che: "(...) Essi possono adeguare il modo in cui trasferiscono l'onere dell'imposta ai loro clienti, o possono addirittura scegliere di non trasferire tale onere per nulla. L'Iva per contro deve essere applicata all'aliquota appropriata a ciascuna singola cessione. Di conseguenza, mentre il regime Iva richiede che l'ammontare dell'imposta sia una quota proporzionale specificata del prezzo applicato a ciascuna cessione di beni o servizi, di modo che almeno a fini contabili esso rimane rigorosamente proporzionale, qualunque sia il numero di transazioni, ciò può non essere letteralmente vero relativamente all'Irap, il cui ammontare in proporzione al prezzo di una data cessione può variare notevolmente o può addirittura essere impossibile da determinare". (18) Cause riunite C-370/95, C-371/95 e C-372/95, Careda SA, Federación nacional de operadores de máquinas recreativas y de azar (Femara) e Asociación española de empresarios de máquinas recreativas (Facomare)/Administración General del Estado, nella quale si afferma: "15. Da quanto precede discende che, per avere il carattere d'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art. 33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore (...). L'art. 33 della Sesta Direttiva deve essere interpretato nel senso che, affinché un tributo abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari, non è necessario che la normativa nazionale ad esso applicabile preveda espressamente la possibilità di trasferirlo al consumatore (...). L'art. 33 della Sesta Direttiva va interpretato nel senso che, affinché un tributo abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari, non è necessario che il suo trasferimento al consumatore risulti da una fattura o da un documento equipollente. Ai fini dell'applicazione di tale disposizione, spetta comunque al giudice nazionale verificare se il tributo controverso sia tale da colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello che caratterizza l'Iva, accertando se possieda le caratteristiche essenziali della stessa. Ciò si verifica se esso possiede carattere generale, se è proporzionale al prezzo dei servizi, se è riscosso in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione e se si applica al valore aggiunto dei servizi".
  • 46. RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO 1156 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI che la Corte ha specificamente stabilito che "per avere il carattere d'imposta sulla cifra di affari ai sensi dell'art. 33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore", ma che non è necessario che la normativa nazionale pertinente preveda espressamente la possibilità di trasferirlo in tal modo, o che tale trasferimento risulti da una fattura o da un documento equipollente. Il quarto ed ultimo profilo è quello inerente la proporzionalità al prezzo dei beni o servizi. Per alcuni autori (19) il carattere di imposta proporzionale è confermato dal fatto che l'Irap viene calcolata applicando la percentuale del 4,25% al valore della produzione netta che altro non è che la differenza tra i ricavi derivanti dall'attività ordinaria dell'impresa e i costi imputabili a tale attività. Secondo tale orientamento, essendo i ricavi ordinari i prezzi applicati dall'impresa per il numero dei prodotti ceduti mentre i costi inerenti l'attività di produzione sono i ricavi di altre imprese, concludono che la somma degli ammontari riscossi a titoli di Irap lungo tutto il ciclo di produzione/distribuzione del bene/servizio non è altro che l'Irap applicata al prezzo di vendita dei beni/servizi in sede di immissione di questi al consumo finale. Anche tale impostazione non appare in realtà esente da perplessità. Oltre al fatto che l'Iva, per tale aspetto, si differenzia altresì dall'Irap in quanto la prima non prevede un'aliquota uniforme, nel confrontare le due imposte, Iva e Irap, non si può altresì trascurare la circostanza che mentre per la prima è previsto un obbligo di rivalsa da parte dei produttori (c.d. collettori d'imposta per conto dello Stato) sui soggetti consumatori finali, nel caso dell'Irap ciò non è previsto. 4. La questione dell'ambito temporale degli effetti della sentenza Nell'ambito degli effetti finanziari della sentenza, giova dare conto di una ulteriore questione connessa all'ambito di operatività temporale della (19 Ibidem, BIANCO R.
  • 47. BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP 11574/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI stessa, punto che è stato toccato anche dall'Avvocato generale (20). Giova rammentare che in caso di effetto retroattivo i contribuenti potrebbero infatti attivarsi in seguito alla sentenza per il rimborso dell'imposta versata in precedenza, nei limiti dei 48 mesi previsti dalla normativa italiana per il rimborso dei tributi diretti. Sul punto, la stessa Corte di Giustizia nella causa C-209/03 (aiuti agli studenti) ha affermato alcuni princìpi, a nostro parere, applicabili anche alla questione in esame. In tale giudizio è stato infatti ricordato che l'interpretazione di una norma di diritto comunitario fornita dalla Corte chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore: ne consegue che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e sviluppatisi prima della sentenza interpretativa, sempreché, d'altro canto, sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una lite relativa all'applicazione di detta norma (21). Solo in via eccezionale la Corte può, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere la disposizione così interpretata onde rimettere in questione rapporti giuridici costituiti in buona fede (22) non rilevando autonomamente, circostanza rilevante in subiecta materia, le conseguenze finanziarie di una sentenza per lo Stato membro (23). La Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, quando, da un lato, vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all'elevato numero (20) Testualmente, l'Avvocato generale così si è espresso: "90. Tuttavia, per coloro che cercano di far valere la pronuncia che la Corte emanerà, gli effetti di essa dovrebbero essere soggetti ad una limitazione nel tempo, con riferimento ad una data che dovrà essere fissata dalla Corte". (21) Sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. p. 1205, punto 16, e 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. p. 379, punto 27. (22) Vedi sentenze Blaizot, cit., punto 28; 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625, punto 30, e 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül, Racc. p. I-2685, punto 108. (23) Vedi, tra l'altro, sentenza Grzelczyk, punto 52.