Messaggio della Consigliera per le Missioni_14 agosto 2021 por
Lectionline xxiii domenica del t o anno a
1. XXIII Domenica del T.O.
07 settembre 2014
“guadagnare un fratello”
Dal Vangelo secondo Mt 18, 15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo
fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non
ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa
sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro,
dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te
come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che
legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete
sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi
sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il
Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre
riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
II Lc 17,3
Lv 19,17
Gal 6,1;
Dt 19,15
Rm 16,17; 1Cor 5,11; 16,19+;
Gv 20,23
Gv 15, 7.16; 1,23; 28,20;
Es 20,24
2. “Amare fa sempre bene”
Credo che per comprendere meglio il senso del brano di Vangelo di quest'oggi (e in generale del
tema delle letture) sia utile "ribaltarne" la lettura. Se lo leggiamo così come ci viene proposto nella
redazione finale dell'evangelista, ci appare immediatamente come un "andare di male in peggio".
C'è una situazione iniziale di difficoltà (un comportamento sbagliato da parte di un membro della
comunità) che si cerca di risolvere prima con il dialogo personale, poi attraverso un confronto con
altre persone, poi - ipotizzando che le cose non si riescano a risolvere - parlandone in forma
comunitaria e alla fine, di fronte ad un'eventuale reiterata situazione d'incomprensione e di fallita
riconciliazione, si giunge all'esclusione del membro dalla comunità (una sorta di scomunica). Letto
così, il brano non riempie certo di speranza e di serenità, pensando a situazioni di conflitto che hanno
necessità di essere risanate...
Ma proviamo a rileggere il brano partendo dal fondo, ovvero dalla fiduciosa presa di coscienza che
dove un gruppo di credenti in Cristo (una comunità) si riunisce nella ricerca del bene comune, nella
preghiera, nel faticoso ma esaltante lavoro di intessere relazioni vere tra gli uomini, il Signore è in
mezzo a loro, e che quindi ogni sforzo non può che andare a buon fine. La prospettiva cambia
radicalmente.
È un conto dire: " Cerchiamo di eliminare le cose che vanno male in una comunità, facendo lo sforzo
di far ravvedere le persone che si comportano male, forti del fatto che il Signore è con noi", ed è un
altro conto dire: "Il Signore è in mezzo a noi, perché ci sforziamo, pregando insieme, di creare
relazioni, di aiutare chi cammina con fatica a riavvicinarsi alla comunità, coscienti anche del fatto
che qualcuno non accetterà di essere accompagnato in questo sforzo".
Nel primo caso, c'è quasi un intento giustizialista, di chi fa di tutto (mosso da buona fede, s'intende)
per rimuovere il male che c'è dentro e intorno ad una comunità; nel secondo caso - e permettetemi
di avere la presunzione di pensare che sia l'atteggiamento di Gesù - c'è una sola legge, quella
dell'amore (nella quale "si ricapitola ogni comandamento", per dirla con Paolo), che viene
dall'essere discepoli del Signore, che si avvicina a ogni uomo con il solo intento di farlo sentire,
nonostante tutto, figlio di Dio.
Non saprei dire (perché non sono uno storico) se lungo i secoli questo brano di Vangelo sia stato
utilizzato per giustificare teologicamente la costituzione di tribunali ecclesiastici volti a far ravvedere i
fratelli che si trovano in situazioni irregolari, pena l'allontanamento dalla Chiesa, ossia la scomunica.
Quello che mi sentirei di dire è che - se fosse davvero così - non si è colto lo spirito di profonda
misericordia e di amore che c'è dietro queste parole di Gesù.
Egli non è venuto a condannare, ma a perdonare e salvare. Se quindi nemmeno lui (pur avendone il
diritto) si è permesso di giudicare e di condannare i peccatori, ma solo di aiutarli a ritrovare se stessi e
il loro rapporto con Dio, come possiamo noi, uomini e discepoli suoi, arrogarci questo diritto? In nome
di chi e di che cosa ci permettiamo di dire a una persona "Tu sei fuori dalla comunità", senza aver
prima fatto con lei un percorso di ascolto e di accompagnamento teso ad ascoltare e capire i
drammi che spesso si nascondono dietro a un comportamento sbagliato? In nome di chi e di che
cosa abbiamo la presunzione di creare categorie di persone distinguendo tra "i nostri" e "gli altri", sulla
base di atteggiamenti apparentemente buoni e cattivi? In nome di chi e di che cosa
"scomunichiamo" una persona "ipso facto", senza averle dato la possibilità non tanto di ravvedersi
(può anche decidere di non farlo, lo dice il vangelo stesso di oggi!), quanto anche solo di dare delle
spiegazioni ai propri comportamenti?
Parlo da uomo "di Chiesa", ossia appartenente al ministero istituito attraverso il sacerdozio ordinato:
quante sentenze emettiamo sui comportamenti delle persone senza neppure aver parlato con loro!
E non parlo di cose in grande stile, di "scomuniche" ufficiali della Chiesa: dietro a quelle, ci
auguriamo tutti che ci sia sempre un iter e un criterio di giudizio più evangelico che canonico o
giuridico. Mi riferisco invece alle tante piccole scomuniche della vita comunitaria di ogni giorno.
Quante volte eliminiamo da una comunità, da un gruppo parrocchiale, da un movimento, da un
3. cammino le persone che ci danno fastidio, che la pensano diversamente da noi, che si comportano
male, e magari lo fanno come reazione a nostri precedenti comportamenti incorretti!
E quanto poco, invece, ci preoccupiamo di ritrovarci insieme a pregare su un problema o su un
atteggiamento scorretto; quante poche opportunità creiamo per trovarci a riflettere e meditare tra
persone di diversi credi religiosi, di diversa impostazione ecclesiale, o anche solo di modi diversi di
pensare all'interno della stessa parrocchia; quanto poco pensiamo alle nostre azioni qui sulla terra
come anticipo di ciò che avverrà nella Chiesa celeste a cui tutti siamo chiamati, e la cui unica legge
è quella dell'amore (ecco il senso di "tutto quello che legherete e ciò che scioglierete sulla terra
...sarà legato e sciolto in cielo").
E soprattutto, quanto poco dialogo tra di noi, particolarmente quando ce n'è più bisogno, ovvero
quando non ci si intende, non ci si comprende, e quindi si entra in conflitto, si litiga, ci si arrabbia, e
poi si commettono errori e ingiustizie! Non è quando si va d'accordo che c'è bisogno di dialogo (già
si va d'accordo, va da sé...), ma quando si fa difficoltà a stare bene gli uni con gli altri.
E cercare di ricreare relazioni giuste tra noi uomini e tra noi e il nostro Dio, non è un'opzione tra le
tante: è un imperativo categorico! Se non lo facciamo, Dio ce ne chiederà conto, come ci dice
Ezechiele nella prima lettura: "...il malvagio morirà per la sua iniquità; ma della sua morte io
domanderò conto a te".
Io non ci sto, a scomunicare e condannare: anche solo per non sentirmi dire da Dio, un giorno, che
sono responsabile della rovina della fede e della vita di un fratello. Ma soprattutto, vorrei che Gesù
mi insegnasse, giorno dopo giorno, ciò che Paolo ci ha meravigliosamente detto oggi: "La carità non
fa alcun male al prossimo".
(omelia di Don Alberto Brignoli)
Guadagnare è un verbo molto presente nelle nostre vite. Guadagnare denaro, guadagnare
stima e rispetto, guadagnare affetto…c’è chi fa “carte false” per guadagnare quanto
desidera. Ma abbiamo mai pensato a “guadagnare un fratello?”. Ci siamo mai chiesti se
rientra tra i nostri desideri, i nostri obiettivi? Crediamo in un Dio che lascia “le sue 99 pecore” per
andare a “guadagnare” quell’unica perduta. Crediamo in un Dio che ha dato la vita e nel
modo più cruento per “guadagnare” la nostra salvezza. Crediamo in un Maestro che ci
insegna ad amare così attraverso le Parole ma soprattutto i Fatti. Questo desidera Dio per noi:
essere come Lui è: Misericordia e Amore. Come, allora, questa Parola può trovare concretezza
nella nostra vita? Cercando di avere a cuore l’altro, rispettandolo anche nella sua libertà di
non volere ascoltare, di sbagliare ma continuandolo ad amare come Gesù fece con
pubblicani e pagani. Siamo responsabili gli uni degli altri; l’indifferenza è un male che uccide i
rapporti, che alimenta diffidenza facendo aumentare la “rottura” tra gli uomini e tra gli uomini
con Dio. Pensiamoci bene: vicino a noi c’è un fratello da guadagnare?