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103GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA / a. XXXIII, n. 3, settembre 2006
inclinazione percepita di pareti naturali
marco martinolli e catina feresin
Università di Trieste
Riassunto. In questo articolo viene descritto un esperimento tramite il quale abbiamo
misurato la risposta cinestesica di un gruppo di osservatori posti di fronte a due fa-
mose pareti rocciose del carso triestino. Ai partecipanti veniva chiesto di allineare ma-
nualmente una tavoletta inclinabile fino a far collimare l’inclinazione delle pareti roc-
ciose percepita visivamente con l’inclinazione della tavoletta percepita cinestesicamente.
L’analisi statistica indica che gli osservatori sono accurati nella loro risposta cinestesica
rispetto all’inclinazione reale delle superfici, e che il noto effetto della sovrastima del-
l’inclinazione percepita (Gibson, 1950) non si verifica. La nostra ipotesi è che la buona
accuratezza del giudizio di inclinazione è probabilmente dovuta all’uso di stimoli validi
da un punto di vista ecologico. Pensiamo, infatti, che il fenomeno della sovrastima e la
scarsa accuratezza, presenti in numerosi lavori sperimentali, potrebbero essere causati
dall’utilizzo di stimoli artificiali poco comuni in natura. Il nostro suggerimento è che
i ricercatori che si occupano della percezione dell’inclinazione di superfici dovrebbero
utilizzare stimoli ecologicamente più validi.
introduzione
La ripidezza delle montagne colpisce sempre l’immaginazione
creando una sorta d’indicibile stupore. Girovagando fra monti e
colline ci siamo ritrovati talvolta a contemplare imponenti pareti in-
clinate e, da questa nostra esperienza, è nato l’interesse a verificare
sperimentalmente la percezione dell’inclinazione di superfici naturali.
La scelta delle superfici di cui si è voluto misurare l’inclinazione per-
cepita è caduta su due famose pareti della riviera triestina, note agli
alpinisti come «Pancia dell’elefante» e «Pancia dell’asino» (figura 1).
I nomi nascono dalla somiglianza morfologica delle pareti stesse con
due figure del mondo animale, così definite dalla fantasia dei primi
arrampicatori di queste superfici rocciose.
Nell’ambiente naturale quotidiano ci troviamo spesso di fronte a
pendenze caratterizzate da tutti gli indizi di profondità monoculari e
binoculari. Queste pendenze sono percepite in un complesso gioco di
colore, ombreggiatura, occlusione, prospettiva tissurale, lineare e via
dicendo. Nonostante tale complessità, sono veramente pochi gli espe-
rimenti descritti in letteratura in cui i ricercatori hanno utilizzato sti-
104
moli ecologici e dove le condizioni sperimentali di stimolazione sono
paragonabili a quelle che circondano un osservatore immerso nella
realtà percettiva quotidiana. La gran parte dei lavori che vengono ci-
tati in letteratura utilizzano stimoli molto semplificati: ellissi, pattern
di puntini casuali, pattern misti, e contorni di figure geometriche, fo-
tografie di superfici inclinate. I risultati di questi lavori, condotti in
laboratorio utilizzando stimoli così semplici rispetto a quelli naturali,
indicano che spesso l’inclinazione percepita viene sovrastimata rispetto
a quella veridica.
Con il termine sovrastima dell’inclinazione percepita s’intende quel
fenomeno visivo in cui un osservatore percepisce le superfici inclinate
rispetto al piano orizzontale come più inclinate di quanto siano fisi-
camente: ad esempio, una superficie inclinata di 45° rispetto al piano
orizzontale che per convenzione ha 0°, viene percepita come inclinata
di circa 55°.
Questo fenomeno fu scoperto verso la fine del diciannovesimo secolo.
Infatti nel 1893 Jastrow notò che alcuni osservatori, giudicando l’am-
piezza di angoli e l’inclinazione di linee, sovrastimavano l’ampiezza di
tali stimoli (Jastrow, 1893). Nel 1950 Gibson studiò e definì in maniera
sistematica il fenomeno (Gibson, 1950) utilizzando delle superfici con
tessitura regolare o irregolare che venivano proiettate su di uno schermo.
Cinque anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Gibson, Clark, Smith
Fig. 1. Fotografia delle due pareti della riviera triestina utilizzate nell’esperimento: a
sinistra la «Pancia dell’elefante» e a destra la «Pancia dell’asino».
105
e Rabe osservarono nuovamente tale sovrastima. Ai soggetti di Clark e
collaboratori si chiedeva di stimare l’inclinazione del contorno di figure
trapezoidali o rettangolari. È importante notare che queste figure erano
percepite in condizioni di scarsa illuminazione ambientale e attraverso
uno schermo di riduzione (Clark, Smith e Rabe, 1955).
La prima ipotesi di spiegazione del fenomeno fu quella fornita da
Gibson stesso e da Woodworth e Schlosberg nel 1954, i quali nota-
rono l’importanza del ruolo giocato dagli indizi di piattezza legati al-
l’apparato usato durante gli esperimenti. Per esempio nell’esperimento
di Gibson i principali indizi di piattezza erano i bordi e la grana
dello schermo sul quale era proiettata la superficie inclinata. Gibson,
Woodworth e Schlosberg suggerirono che tali indizi potessero causare
un «appiattimento percettivo» della superficie inclinata. In pratica ciò
che si verificava era che la superficie andava letteralmente a «schiac-
ciarsi» sullo schermo frontale su cui la superficie stessa veniva proiet-
tata durante l’esperimento. Per questa ragione l’inclinazione percettiva
risultava diversa rispetto all’inclinazione fisica.
Nel 1956 Gruber e Clark condussero un esperimento in cui, a diffe-
renza di Gibson, venivano utilizzate superfici bidimensionali inclinate in
profondità. In questo modo si poteva eliminare l’intervento degli indizi
di piattezza. Le superfici in questione erano costituite da cartoncini neri
su cui erano stati disegnati in precedenza dei puntini bianchi distribuiti
in modo casuale. Durante l’esperimento gli osservatori giudicavano l’in-
clinazione di quei cartoncini in condizioni di visione monoculare e at-
traverso uno schermo di riduzione. È importante sottolineare che, pur
essendo stati eliminati gli indizi di piattezza, entrava in gioco la visione
monoculare che poteva essere un’altra causa d’appiattimento della su-
Piano frontale
(=90°)
Piano orizzontale
(=0°)
Inclinazione fisica del piano
L’inclinazione della superficie viene percepita
come piu vicina al piano frontale
Occhio-visione laterale
Fig. 2. Effetto di sovrastima dell’inclinazione percepita.
106
perficie. È noto, infatti, che la visione monoculare di un oggetto rende
più difficile la percezione tridimensionale poiché l’indizio binoculare
della disparità orizzontale è completamente assente. Durante l’esperi-
mento di Gruber et al., l’informazione che arrivava al sistema visivo era
quindi un’informazione di «compromesso»: da una parte il cartoncino
inviava al sistema un indizio d’inclinazione, dall’altra parte la visione
monoculare inviava un’informazione d’appiattimento. La conseguenza
diretta era che gli osservatori percepivano l’inclinazione dei cartoncini
in maniera non accurata rispetto alla loro inclinazione fisica.
Dal 1956 ad oggi, i ricercatori hanno condotto numerosi esperi-
menti volti a misurare l’inclinazione percepita di superfici e a capire
il ruolo giocato dagli indizi di profondità monoculari e binoculari
come la prospettiva tissurale e lineare, la disparità orizzontale e ver-
ticale. Tuttavia anche in questi lavori sono stati utilizzati spesso de-
gli stimoli inadeguati a rappresentare la complessità del mondo che
ci circonda poiché mancanti della gran parte degli indizi monoculari
e binoculari che facilitano la percezione della profondità. Gli stimoli
utilizzati erano spesso: ellissi, pattern di puntini casuali, pattern misti,
e contorni di figure geometriche (Braunstein, 1968; Epstein e Mor-
gan-Paap, 1974; Freeman, 1966; Gillam e Ryan, 1992; Howard e Ka-
neko, 1994; Kraft e Winnick, 1967; Phillips, 1970; Youngs, 1976). Più
recentemente Davies, Howes, Huber e Nicholls (1996) e Huber e Da-
vies (1999) hanno usato fotografie di superfici naturali inclinate.
Come si diceva all’inizio dell’introduzione, sono pochi gli esperi-
menti descritti in letteratura in cui i ricercatori hanno utilizzato sti-
moli ecologicamente validi e dove le condizioni sperimentali di stimo-
lazione sono paragonabili direttamente a quelle naturali. I primi stu-
diosi ad usare degli stimoli naturali, nella fattispecie delle reali colline,
furono Kamman nel 1967 e Kinsella-Shaw, Shaw e Turvey nel 1992. I
risultati di questi due lavori indicavano però che l’inclinazione delle
superfici veniva percepita in maniera sovrastimata.
Più recentemente Proffitt, Bhalla, Gossweiler e Midgett (1995),
Bhalla e Proffitt (1999), e Proffitt, Creem e Zosh, (2001) hanno con-
dotto i loro esperimenti in un ambiente ecologicamente valido, in
pratica portando gli osservatori di fronte a piani naturali inclinati (nel
caso specifico alcune colline di un campus universitario). I risultati di
questi tre lavori indicavano che anche qui l’inclinazione percepita non
si avvicinava a quella veridica.
Lo scopo del presente esperimento è quello di studiare la risposta ci-
nestesica di un gruppo d’osservatori posti di fronte ad alcune inclinazioni
ecologicamente valide, vale a dire le due citate pareti del carso triestino.
È necessario domandarci quindi se l’inclinazione percepita di superfici
naturali si avvicina all’inclinazione fisica di tali superfici senza essere in-
fluenzata anch’essa dal fenomeno della «sovrastima». Per rispondere a
107
questa domanda abbiamo condotto un esperimento utilizzando delle su-
perfici naturali, vale a dire le già nominate pareti rocciose, migliorando
alcuni aspetti metodologici che a nostro parere erano un po’ carenti negli
esperimenti condotti da Proffitt e collaboratori. L’ipotesi sperimentale è
che i soggetti siano molto accurati nella loro risposta percettiva e che non
si verifichi il noto effetto della «sovrastima dell’inclinazione percepita»
trattandosi di stimoli visivamente complessi ed ecologicamente validi.
esperimento
metodo
Osservatori
Trenta osservatori d’età compresa tra 24 e 68 anni hanno preso
parte all’esperimento. Gli osservatori prescelti provenivano dalle più
diverse realtà sociali (studenti universitari, lavoratori, pensionati); di
questi 12 erano di sesso femminile, mentre 18 erano di sesso maschile.
Tutti i soggetti avevano capacità visiva normale (alcuni di loro porta-
vano occhiali o lenti a contatto). Di questi trenta osservatori, 15 erano
esperti d’arrampicata in montagna, 15 non erano esperti.
Stimoli
Gli stimoli sperimentali sono stati scelti tenendo in considerazione
tre specifiche caratteristiche:
1)  le pareti dovevano elevarsi sopra ad una superficie orizzontale
completamente libera e senza essere occlusa da altre pareti;
2)  le pareti dovevano essere alte almeno 20 metri da terra;
3)  la superficie delle pareti doveva essere regolare, vale a dire senza
tetti, strapiombi, fessure o arbusti.
La falesia di Sistiana, facente parte della costiera triestina, rappre-
sentava il luogo ideale dove queste tre caratteristiche erano sicura-
mente riscontrabili.
Calcolo dell’inclinazione delle pareti
Le pareti erano entrambe caratterizzate da un’altezza di 20 me-
tri. Tale altezza è stata calcolata semplicemente misurando una corda
tesa dal punto più alto della parete fino a terra. Per calcolare inclina-
zione delle due pareti, si è utilizzato un sistema molto semplice: in un
primo tempo uno degli autori si è calato a corda doppia nella posi-
108
zione centrale della parete (dove veniva chiesto ai soggetti di fissare lo
sguardo); quindi ha teso un filo a piombo lungo due metri che con il
peso toccava la parete stessa. In un secondo tempo ha misurato, con
un metro rigido, la distanza fra la parte superiore del filo a piombo e
la parete stessa. La parete, il filo a piombo e la distanza misurata co-
stituivano un triangolo rettangolo di cui si conoscevano i lati.
Il primo triangolo rettangolo, quello facente parte della «Pancia
dell’elefante», aveva altezza (h) uguale a cm 200, e base (b) uguale
a cm 23. Il secondo triangolo rettangolo, quello facente parte della
«Pancia dell’asino», aveva altezza (h) uguale a cm 200 e base (b)
uguale a cm 90. È noto che in un triangolo rettangolo è valida la se-
guente relazione: a = arctg h/b (figura 3).
Convenzionalmente, l’inclinazione viene misurata in gradi, conside-
rando l’orizzontale pari a 0° e la verticale pari a 90°. La parete de-
nominata «Pancia dell’asino» presentava un angolo d’inclinazione di
65°; mentre la parete denominata «Pancia dell’elefante» presentava un
angolo d’inclinazione di 83°.
Apparato strumentale
Nel costruire lo strumento utilizzato per misurare l’inclinazione
delle pareti percepita dai soggetti abbiamo tenuto in considerazione le
specifiche indicazioni descritte in alcuni articoli (Feresin, 2002; Fere-
osservatore
terreno
punto di
osservazione
a
a
h
parete
b
Fig. 3. Misura dell’inclinazione oggettiva. La figura 3 schematizza il metodo usato per
rilevare l’inclinazione fisica della parete intorno al punto in cui i soggetti dove-
vano dirigere lo sguardo.
109
sin, Agostini e Negrin-Saviolo, 1998; Feresin e Negrin Saviolo, 2001;
Feresin e Agostini, inviato per la pubblicazione; Proffitt et al., 1995).
L’apparato era formato da una tavoletta inclinabile e da un trep-
piede (Figura 4) e ricordava l’apparecchiatura utilizzata da Proffitt e
collaboratori.
Fig. 4. Fotografia della tavoletta inclinabile e del treppiede.
110
Il treppiede era provvisto nella parte superiore di una bolla, detta
testa del treppiede, in questo modo era possibile mantenere costante
l’orizzontalità dell’apparecchiatura indipendentemente da quanto fosse
accidentato il terreno. Sullo strumento avevamo fissato in precedenza
un goniometro che registrava l’inclinazione della tavoletta; un indica-
tore metallico, attaccato alla tavoletta, scorreva sul goniometro stesso
fornendo allo sperimentatore la lettura dei gradi d’inclinazione della
tavoletta. Inoltre, vi era una bolla aggiuntiva posta sulla tavoletta con
la quale, aggiustando la testa del treppiede, si poteva, con piccoli spo-
stamenti, porre la tavoletta in posizione orizzontale.
Procedura
Gli osservatori svolgevano il loro compito sperimentale sempre
nella stessa fascia oraria compresa fra le ore 14 e le ore 15.30, ed in
questo modo si trovavano nelle stesse condizioni di luce ed ombra.
L’esperimento è stato condotto nella prima quindicina di giorni del
mese di settembre.
Prima di iniziare la prova, si è tenuto conto dell’altezza del sog-
getto in modo da eliminare qualsiasi difficoltà di rotazione del polso
dovuta ad un posizionamento troppo basso o troppo alto della tavo-
letta inclinabile (si veda Feresin et al, 1998).
Sul terreno sottostante ad ogni parete, sono stati segnati 5 punti
d’osservazione distanti l’uno dall’altro 5 metri (0, 5, 10, 15, 20 metri).
Il primo si trovava esattamente sulla base della parete (0 metri) mentre
l’ultimo ad una distanza pari all’altezza della parete stessa (20 metri).
Le tabelle 1 e 2 indicano le misure dell’inclinazione del terreno alle
varie distanze. L’inclinazione del terreno era compresa fra –O.1° e 1.2°.
Tab. 1. Inclinazione del terreno sottostante alla parete inclinata di 65°
-  a metri zero: 0.9°
-  a metri cinque: 0.2°
-  a metri dieci 1.0°
-  a metri quindici 0.8°
-  a metri venti 0.7°
Tab. 2. Inclinazione del terreno sottostante alla parete inclinata di 83°
-  a metri zero: 1.2°
-  a metri cinque: 1.2°
-  a metri dieci 0.3°
-  a metri quindici -0.1°
-  a metri venti 0.5°
111
Lo sperimentatore indicava all’osservatore un preciso punto di fis-
sazione costante che era stato precedentemente posto nella porzione
centrale della parete e che era segnalato visivamente tramite due chi-
odi ad espansione. Nel corso dell’esperimento si chiedeva all’osser-
vatore di confrontare l’inclinazione delle pareti percepita visivamente
con l’inclinazione della tavoletta percepita cinestesicamente tramite la
rotazione del polso (paddle method/confronto intermodale). La misura
dipendente era quindi relativa ai gradi di pendenza percepita delle
due pareti. L’osservatore compiva 10 misurazioni per ciascuna parete.
Venivano quindi prese in tutto 10 misure relative alla parete «Pancia
dell’asino» e 10 misure relative alla parete «Pancia dell’elefante».
Uno dei metodi di misurazione usato da Proffitt consisteva nel far
ruotare manualmente una tavoletta fino a far collimare l’inclinazione
degli stimoli percepita visivamente (le colline del campus) con l’incli-
nazione della tavoletta percepita cinestesicamente tramite la rotazione
del polso. Questo metodo intermodale, denominato «metodo della ta-
voletta inclinabile» (paddle method), è stato ed è tuttora utilizzato con
i debiti accorgimenti per la misurazione dell’inclinazione di superfici
percepite visivamente (Carrozzo e Lacquanity, 1994; Feresin e Ago-
stini, inviato per la pubblicazione; Feresin e Howard, 1994, 1995; Fe-
resin, Agostini e Negrin-Saviolo, 1997, 1998; Gibson, 1950; Howard e
Kaneko, 1994; Ohmi, 1993; Pierce, Howard e Feresin, 1998). Si tratta
di un metodo che confronta la percezione visiva della superficie incli-
nata con la percezione cinestesica fornita dai recettori presenti nell’ar-
ticolazione del polso i quali segnalano la posizione ed il movimento
angolare dell’arto (Feresin e Negrin-Saviolo, 2001)
Importanza del punto di fissazione
L’utilizzo di un punto di fissazione rende la metodologia più pre-
cisa e non toglie il senso ecologico che pervade l’esperimento. Un
breve ragionamento da sviluppare, infatti, riguarda il concetto di
punto di fissazione e movimento degli occhi. Una cosa è avere una
mentoniera che tiene fissa la testa, avere un punto di fissazione su di
uno schermo d’un computer o altro, ed avere un’apparecchiatura che
controlli i movimenti oculari; una cosa è avere un punto di fissazione
su di una parete rocciosa, una collina, una strada. In questo secondo
caso gli occhi non sono immobili, i soggetti vedono anche il resto
della scena, ma i ricercatori, però, sono certi che gli osservatori diano
un giudizio proprio su quella parte della superficie inclinata e non su
altre. Il confronto avviene poi fra le misure reali che in precedenza
i ricercatori hanno misurato tramite vari metodi (per esempio filo a
112
piombo e triangolo trigonometrico, oppure un goniometro digitale o
altro) e le misure dell’inclinazione percepita dagli osservatori.
Negli esperimenti di Proffitt et al. (1995, 2001) e Bhalla e Profitt
(1999) venivano utilizzati degli stimoli ottimali da un punto di vista
ecologico, ma secondo noi la metodologia non era controllata in ma-
niera corretta. Il problema metodologico, presente in tutti e tre i la-
vori citati, riguardava appunto il punto di fissazione che non era mai
costante. Ai partecipanti si chiedeva di osservare la collina frontal-
mente ma non si mostrava loro un preciso punto di fissazione. È ab-
bastanza ragionevole supporre che una collina, per quanto abbastanza
costante nella sua inclinazione, presenti dei punti più o meno incli-
nati. Se ai soggetti non si fornisce un preciso punto di riferimento,
il loro giudizio riguarderà parti diverse della superficie inclinata e di
conseguenza il risultato ottenuto non sarà molto attendibile.
Che cosa misurano quindi Proffitt e collaboratori? Il confronto
viene fatto dagli autori fra l’inclinazione reale della collina e la misura
dell’inclinazione percepita fornita dagli osservatori. Ma qual è l’in-
clinazione reale della collina? Per esempio nel lavoro pubblicato nel
1995, vengono prese in considerazione colline inclinate di 2°, 4°, 5°,
6°, 10°, 21°, 31°, 33° e 34°. Tali colline vengono misurate con un cli-
nometro che presenta un’accuratezza di 0.5°; Ma come si può pensare
che una collina sia sempre perfettamente inclinata di 2°, 4° e via di-
cendo? Nel lavoro pubblicato nel 1999 Bhalla e Proffitt scrivono: «...
it was required to have a fairly uniform and even surface, with no major
changes in its inclination or bumps along its surface». Nel momento in
cui gli autori fanno riferimento ad una precisa inclinazione reale, è
possibile che prendano in considerazione una sola parte della collina,
ma quale? La parte centrale? Quale parte è stata in precedenza misu-
rata dai ricercatori nel momento in cui si parla d’inclinazione reale?
È veramente improbabile che una collina sia tutta perfettamente in-
clinata di 2°, 21° o altro. Forse una strada potrebbe esserlo, e anche
questa con una certa difficoltà. In una seri di recenti esperimenti si è
voluto misurare alcune strade urbane con un clinometro digitale: eb-
bene anche le strade non sono mai perfettamente inclinate (Feresin e
Agostini, inviato per la pubblicazione).
Proffitt et al. (1995) scrivono: «They were instructed to look ahead
at the hill and not to attempt to obtain a side view of the hills by loo-
king sideways» Tuttavia se non esiste un punto di fissazione preciso
non siamo mai sicuri che gli osservatori guardino quella parte di col-
lina e non altre parti, magari inclinate diversamente rispetto all’incli-
nazione reale.
113
La scelta del metodo cinestesico invece dei metodi visivo e verbale
Vorremmo ora specificare per quale ragione abbiamo preferito uti-
lizzare esclusivamente il metodo cinestesico o haptic e non il metodo
«visivo» e quello «verbale», come invece hanno fatto Proffitt e col-
laboratori. A nostro parere i metodi «visivo» e «verbale» non sono
metodi particolarmente adatti per misurare l’inclinazione percepita e
cercheremo di spiegare perché.
A pagina 412 del primo lavoro di Proffitt sull’argomento «inclina-
zione geografica» (Proffitt et al., 1995) viene descritta l’apparecchia-
tura utilizzata dai soggetti che fornivano allo sperimentatore un giudi-
zio visivo dell’inclinazione di una serie di colline. Dalla figura presente
nell’articolo e dai termini utilizzati per descrivere tale apparecchiatura,
s’intuisce che essa consisteva in un disco dotato di un goniometro in
grado di rappresentare l’inclinazione della collina. Come dice lo stesso
Proffitt: «Gli osservatori potevano tenere il disco liberamente in mano
e la maggioranza lo teneva perpendicolarmente rispetto al piano vi-
sivo».
Il problema qui è duplice: a) se la struttura non è fissata da qual-
che parte, non esiste un piano orizzontale o verticale di riferimento
relativo all’apparecchiatura stessa. Che cosa viene quindi misurato se
manca tale riferimento? b) Il secondo punto problematico è legato
ad un’implicita rotazione mentale che gli osservatori sono costretti a
fare nel momento in cui confrontano l’inclinazione della collina con
l’inclinazione del goniometro. La collina è inclinata in profondità (la
lingua inglese utilizza il termine inclination), ma il goniometro posto
sul disco, e tenuto perpendicolarmente rispetto al piano visivo, risulta
inclinato verso destra. Compie cioè una rotazione sul piano frontale
bidimensionale (la lingua inglese utilizza il termine tilt). Cosa fanno
quindi gli osservatori? Misurano un’inclinazione in profondità te-
nendo un’apparecchiatura dove il goniometro viene posto sul piano
bidimensionale? L’osservatore dovrebbe «tradurre» mentalmente una
prima inclinazione su di un piano in una seconda rotazione su di un
altro piano per poi confrontarle? Non ci sembra un metodo molto
adatto.
Passiamo ora al secondo metodo utilizzato da Proffitt e collabora-
tori e cioè il metodo «verbale». Esso implica che gli osservatori diano
un giudizio cognitivo d’inclinazione delle colline percepite. Nella
realtà quotidiana tutti noi giudichiamo per esempio la pendenza di
una sentiero o di un monte, rispetto all’ambiente che ci circonda. Il
punto è che il giudizio varia molto a seconda delle «competenze» in
materia d’inclinazione. Proviamo a chiedere un giudizio verbale d’in-
clinazione ad una persona che ha studiato bene la geometria a scuola
e che magari è un geometra, un architetto o un ingegnere, oppure
114
chiediamo un giudizio verbale ad una persona che viene da un altro
curriculum di studi. Possiamo pensare che i giudizi saranno simili?
Noi non lo crediamo. Infatti se osserviamo l’errore standard dei giu-
dizi verbali (e quindi la precisione) a p. 413 dell’articolo di Proffitt et
al. (1995) e l’errore standard dei giudizi verbali a p. 423 del lavoro
pubblicato nel 2001, notiamo che esso risulta piuttosto alto, mentre
quello haptic non lo è. Per queste ragioni abbiamo utilizzato solo il
metodo haptic da noi definito cinestesico e non quello verbale o vi-
sivo.
Condizioni sperimentali
Le condizioni sperimentali erano le seguenti:
1) Una prima condizione between denominata expertise, cioè quella
condizione per cui i soggetti venivano divisi fra esperti e non esperti
in arrampicata. L’ipotesi sperimentale era quella di studiare la presta-
zione nel giudizio d’inclinazione delle pareti dei soggetti esperti ri-
spetto alla prestazione dei soggetti non esperti.
2) Una seconda condizione within denominata «parete» (83° e 65°)
relativa all’inclinazione percepita delle due pareti. L’ipotesi sperimen-
tale era quella di studiare la prestazione degli osservatori nel compito
di giudizio d’inclinazione delle pareti.
3) Un’ultima condizione within denominata «distanza» (0, 5, 10,
15, 20 metri) corrispondente alla distanza fra osservatore e parete.
L’ipotesi sperimentale era studiare la prestazione dei soggetti nel giu-
dicare la pendenza delle pareti al variare della distanza.
risultati
Dalla lettura del grafico in figura 5 che descrive la condizione
«parete» nei soggetti «esperti», si osserva che l’inclinazione perce-
pita della parete «Pancia dell’asino» (65°) viene leggermente sovrasti-
mata (circa un grado) rispetto all’inclinazione fisica. Ciò significa che
la «Pancia dell’asino» è percepita dagli osservatori come inclinata di
66° rispetto all’orizzontale. L’inclinazione percepita della parete de-
nominata «Pancia dell’elefante» (83°) viene sottostimata di 5°. Ciò
vuol dire che è percepita come inclinata di 78° rispetto all’orizzontale.
Siamo quindi entro un range di buona accuratezza.
Dalla lettura del grafico che analizza la condizione «parete» nei
soggetti «non esperti» si vede che l’inclinazione percepita della parete
denominata «Pancia dell’asino» (65°) viene leggermente sovrastimata
(circa mezzo grado). Ciò vuol dire che è percepita come inclinata di
115
65.5°. Infine l’inclinazione della parete denominata «Pancia dell’ele-
fante» (83°) è sottostimata di 6.5. Ciò significa che viene percepita
come inclinata di 76.5°. Anche in questo caso ci troviamo entro un
range di buona accuratezza.
L’analisi della varianza condotta per confrontare la condizione
between soggetti «esperti» e «non esperti» in arrampicata indica che
non sussiste alcuna differenza significativa fra i due gruppi. Questo
risultato potrebbe essere interpretato in relazione al fatto che, proba-
bilmente, il giudizio d’inclinazione non dipende dall’esperienza nel-
l’arrampicare, ma dipende esclusivamente dagli indizi pittorici mono-
culari e dagli indizi binoculari. La completa presenza di tutti questi
indizi in una situazione realmente ecologica permette un giudizio per-
cettivo d’inclinazione che si avvicina all’inclinazione fisica delle pareti.
Infine, l’analisi della varianza condotta sugli scarti (Punto d’Egua-
glianza Soggettivo meno Punto d’Eguaglianza Oggettivo) indica che
non sussiste alcuna differenza statisticamente significativa per la con-
dizione «distanza» (0, 5, 10, 15, 20 metri).
conclusioni
Certamente il risultato più interessante da commentare è la buona
accuratezza dei soggetti «esperti» e di quelli «non esperti». L’inclina-
zione percepita della parete di 65° viene sovrastimata di pochissimo,
mentre quella relativa alla parete di 83° viene leggermente sottostimata.
Fig. 5. Grafici dei risultati ottenuti nella condizione «parete» in soggetti esperti ed in
soggetti «non esperti».
116
Come si diceva all’inizio dell’introduzione del presente lavoro, non
sono molti gli esperimenti descritti in letteratura in cui i ricercatori
hanno utilizzato stimoli ecologicamente validi. Tutti i lavori citati in-
dicano che le inclinazioni delle superfici vengono comunque percepite
in maniera non sempre molto accurata.
Nei tre articoli di Proffitt e collaboratori più volte citati nel corso
del presente lavoro (Bhalla e Proffitt, 1999; Proffitt et al., 1995; Prof-
fitt et al., 2001), il fattore cruciale è l’utilizzo del metodo cinestesico,
quello definito haptic, rispetto agli altri metodi: il metodo verbale ed
il metodo visivo. Innanzi tutto non ci sembra dalla lettura dalle analisi
degli esperimenti di Proffitt che la sovrastima ottenuta con il metodo
haptic sia sempre una sovrastima piccola e che il giudizio sia accurato
e preciso. Nonostante Proffitt scriva testualmente nell’articolo del ‘95:
«Our haptic measure of pitch showed very little evidence of slant ove-
restimation»; troviamo contemporaneamente nello stesso lavoro un’al-
tra frase in cui si dice: «It was revealed by t test that overall, all three
measures were significantly different from the actual inclines of the hills
(verbal vs. actual, t(299) = 27.13, p  .01; visual vs. actual, t(299) = 26.25,
p  .01; haptic vs. actual, t(299) = 4.43, p  .01)».
Nell’articolo del 1999, Bhalla e Proffitt scrivono riguardo al III
esperimento: «Analyses (t tests) revealed that, as expected, slope judg-
ments made by the elderly were significantly different from the actual
inclines of the hills: verbal, t(127) = 12. 65, p  .01; visual, t(127) = 12.
17, p  .01; and haptic, t(127) = 13. 83, p  .01».
Nell’articolo apparso nel 2001 si parla prima di accuratezza del me-
todo haptic. A pagina 419 gli autori parlano poi di sottostima invece
che di sovrastima dell’inclinazione percepita. Essi scrivono: «All of
the measures for the 34° side view followed the pattern of responses for
the other two views, but the haptic underestimation is similar to what
we found previously for larger hills (Proffitt et al., 1995)». A pagina
421 del medesimo articolo gli autori ribadiscono: «Verbal judgments
were greatly overestimated, and although haptic judgments were much
more accurate, they were significantly underestimated». Confrontiamo
il grafico a pagina 413 che descrive i risultati del primo esperimento
condotto nel 1995 (haptic measure) e notiamo sovrastima nel giudicare
le prime cinque colline, poi accuratezza nel giudicare la collina di 20°
e poi una leggera sottostima per le colline superiori a 30° (non signi-
ficativa).
I risultati ottenuti nel 2001 sono molto diversi. Guardiamo il trend
dei risultati relativi alla misura «haptic front» nella realtà virtuale: da
10° a 60° c’è sempre sottostima dell’inclinazione percepita. Prima so-
vrastima, accuratezza, ed ora sottostima: non c’è molta coerenza nei
risultati d’esperimenti simili a distanza d’alcuni anni.
117
In conclusione, rileggendo la letteratura sull’argomento, possiamo
dedurre che il metodo haptic, così come utilizzato da Proffitt, non
fornisce sempre dei risultati accurati e, soprattutto, non fornisce ri-
sposte coerenti, nel senso che troviamo in generale sovrastima più o
meno accentuata e talvolta sottostima nella realtà virtuale. A nostro
parere le misure ottenute da Proffitt con il metodo haptic sono certa-
mente più accurate rispetto a quelle verbali e visive. Le pendenze da
noi prese in esame non sono direttamente confrontabili con quelle di
Proffitt poiché in quei lavori si arrivava ad un massimo di 34° per le
colline reali e 60° nella realtà virtuale. Il punto fondamentale è che le
misure haptic ottenute da Proffitt non sono molto accurate in senso
assoluto e non solo relativo agli altri due metodi. A questo proposito
si osservino bene i grafici descritti da Proffitt nel lavoro del 1995 (col-
line reali) e nella realtà virtuale (colline simulate) nel lavoro del 2001.
Il nostro esperimento appare quindi nuovo rispetto a quelli di
Proffitt per due ragioni principali. La prima riguarda il fatto che i no-
stri risultati indicano una notevole accuratezza del giudizio haptic in
accordo con un articolo di Feresin et al. (1998) e in accordo con un
altro lavoro appena concluso (Feresin e Agostini, inviato per la pub-
blicazione). La nostra ipotesi principale, quindi, è che la sovrastima
dell’inclinazione percepita diventa veramente piccola in condizioni na-
turali.
Recentemente Feresin e Agostini (inviato per la pubblicazione)
hanno condotto una serie d’esperimenti utilizzando delle strade ur-
bane inclinate. Le strade urbane sono stimoli altrettanto validi da un
punto di vista ecologico quanto le pareti rocciose descritte nel pre-
sente lavoro, anche se, ovviamente, le strade sono meno inclinate ri-
spetto alle superfici rocciose o alle colline. Nel corso dell’esperimento
citato, i ricercatori misuravano l’inclinazione di queste strade tramite
un clinometro da geologo, ed in seguito ponevano gli osservatori di
fronte ad ogni singola strada chiedendo loro di fissare un preciso
punto al centro della strada stessa. I partecipanti all’esperimento do-
vevano poi far collimare cinestesicamente la tavoletta inclinabile con
la pendenza delle strade percepita visivamente. I risultati di quel-
l’esperimento sono in accordo con i risultati della presente indagine:
anche nel caso di strade urbane inclinate, i soggetti sono molto accu-
rati nel loro giudizio cinestesico d’inclinazione ed il fenomeno della
sovrastima non si verifica.
La seconda ragione per cui il nostro lavoro ci sembra innovativo
è che esso si pone in contrasto con l’utilizzo degli altri due metodi
quello «visivo» e quello «verbale», come abbiamo già spiegato nella
sezione metodologica del presente lavoro. Tuttavia, ci sembra impor-
tante specificare ancora un punto riguardo al discorso metodologico.
Un lettore, infatti, potrebbe chiederci perché non abbiamo condotto
118
un esperimento in condizioni naturali utilizzando il metodo visivo e
apportando le ragionevoli modifiche all’apparecchiatura e alla pro-
cedura. In teoria sarebbe bastato fissare il disco ed il goniometro
ad un’apparecchiatura simile a quella del nostro esperimento, o del-
l’esperimento di Proffitt (metodo haptic), con un preciso schema di
riferimento ed evitare confronti su piani d’inclinazione diversi ed
eventuali rotazioni mentali. Si sarebbe potuto chiedere ai soggetti di
confrontare visivamente l’inclinazione della tavoletta con l’inclinazione
della parete rocciosa. In realtà il confronto visivo non è un confronto
«affidabile» nel senso che è influenzato dalla possibile presenza di un
fenomeno noto come «normalizzazione dell’inclinazione percepita».
Il fenomeno della normalizzazione dell’inclinazione percepita
Il fenomeno, sottolineato da Howard e Rogers nel loro libro pub-
blicato nel 1995 (p. 463), è il seguente: «Quando uno stimolo, collo-
cato in una qualche posizione rispetto ad una norma di un qualunque
dominio sensoriale, viene normalizzato, esso appare all’osservatore
come più vicino alla norma di quanto effettivamente sia. Perciò una
linea inclinata nel piano frontale (tilted) appare quasi verticale, un
oggetto in movimento tende a rallentare, e un punto disposto late-
ralmente rispetto ad un piano mediano appare collocato più central-
mente in relazione al piano stesso. Nel dominio della profondità si
può affermare che un piano in profondità o una rampa inclinata si
normalizzano con la norma di equidistanza (Gogel, 1956), cioè con il
piano frontoparallelo il quale ha un gradiente di disparità orizzontale
uguale a zero».
Torniamo ora agli esperimenti in questione. Se un piano inclinato
(la collina di Proffitt oppure la nostra parete rocciosa) dovesse ten-
dere a normalizzarsi con uno dei piani principali (piano verticale per
superfici come le nostre inclinate di 65° e 73°; oppure piano orizzon-
tale per superfici come le colline di Proffitt inclinate di 5°, 10°, 15°,
20°, 31°, 33°, 34°), una superficie inclinata molto più piccola (cioè la
tavoletta ruotante col goniometro) posta frontalmente alla superficie
da misurare, potrebbe subire un’inclinazione indotta in profondità. È
possibile quindi che la tavoletta utilizzata per le misurazioni vada a
misurare l’inclinazione indotta dalla normalizzazione oltre all’inclina-
zione percepita delle pareti rocciose o delle colline. Ecco perché non
abbiamo voluto utilizzare il metodo visivo, come invece ha fatto Prof-
fitt, ma solo quello haptic da noi definito cinestesico.
Facendo riferimento al discorso relativo alla normalizzazione con
la verticale oppure l’orizzontale (norme d’equidistanza), è corretto
prendere in considerazione anche l’influenza giocata dall’inclinazione
119
del terreno su cui poggia sia l’osservatore sia la parete rocciosa. Sap-
piamo, come già aveva sottolineato Koffka nel 1935, che le inclina-
zioni principali dell’ambiente sono la verticale e l’orizzontale. Tut-
tavia, non crediamo che in questa situazione sperimentale il terreno
orizzontale, posto fra l’osservatore e la base della superficie rocciosa,
possa influenzare il giudizio d’inclinazione. Le due pareti scelte sono
inclinate di 65° e 73° rispetto all’orizzontale e quindi sono più vicine
eventualmente alla norma verticale. Se si verifica normalizzazione del-
l’inclinazione percepita, allora è ragionevole supporre che le superfici
rocciose possono essere influenzate dalle pareti verticali e non dal ter-
reno orizzontale.
Il ruolo del contesto
Il discorso riguardante il possibile fenomeno di normalizzazione
con la norma dell’equidistanza verticale oppure orizzontale è legato
anche ad un altro possibile fattore: il ruolo del contesto. La perce-
zione della parte di superficie rocciosa che comprende il punto di fis-
sazione posto al centro, potrebbe essere influenzato dal contesto, cioè
dall’inclinazione d’altre zone che includono proprio quella parte della
superficie rocciosa che noi chiediamo agli osservatori di giudicare.
Come si nota infatti dalle fotografie, le pareti rocciose giudicate dai
soggetti erano circondate da zone inclinate in maniera leggermente di-
versa (ragione per cui, come già spiegato, abbiamo utilizzato un punto
di fissazione).
Recentemente, Daini, Wenderoth e Smith (2003) hanno condotto
una serie d’esperimenti per osservare gli effetti subiti dall’inclinazione
d’alcune figure da parte del contesto in relazione al modello di Rock
del 1990. Tuttavia gli esperimenti di Daini e collaboratori, e alcuni
precedenti lavori di Wenderoth (si veda Wenderoth, 1997 per una
completa rassegna), fanno però riferimento ad inclinazioni in una si-
tuazione bidimensionale frontale (tilt, vedi Howard, 1982). Gli autori
in questione parlano anche di fattori vestibolari e di controtorsione
oculare che sono relativi a movimenti laterali della testa in relazione
ad input posti sul piano frontale e non in profondità. Quando il capo
viene inclinato lateralmente, si attiva, infatti, il meccanismo della con-
trotorsione oculare che viene controllato dal sistema vestibolare. Tale
meccanismo permette una parziale costanza dell’inclinazione degli
oggetti, mantenendo una posizione costante degli occhi nelle orbite
(Miller, 1962; Howard e Evans, 1963; Petrov e Zenkin, 1973; Wolfe
e Held, 1979; Howard, 1982; Collewijn, van der Steen, Ferman e Jan-
sen, 1985).
120
Nel nostro caso ci troviamo però in una situazione tridimensio-
nale dove è corretto parlare di inclination; per questa ragione non è
semplice paragonare il nostro lavoro a quelli di Wenderoth. L’unico
ragionamento che potremmo fare è quello di ribadire che nella pre-
sente situazione sperimentale ci troviamo in un ambiente ecologico.
Collocate in un ambiente di questo genere, le persone sono piuttosto
accurate nel giudicare le inclinazioni, indipendentemente da tutti gli
altri orientamenti presenti nel contesto, proprio perché la norma a cui
fare riferimento è sempre la verticale gravitazionale I soggetti, infatti,
sono in grado di vedere completamente l’ambiente circostante, anche
se hanno un punto di fissazione, e il sistema di riferimento verticale
gravitazionale è sicuramente il più potente e significativo per la deter-
minazione del giudizio cinestesico d’inclinazione. Gli osservatori sono
quindi molto accurati perché sono collocati in una situazione ambien-
tale dove tutti gli oggetti sono paralleli a questa norma, e anche le
sensazioni propriocettive degli osservatori stessi risultano coerenti con
la direzione della verticale gravitazionale. I risultati del nostro esperi-
mento confermano quindi l’ipotesi che, in un ambiente ecologico, il
confronto essenziale è il confronto con la verticale, pur in presenza
d’altre inclinazioni contestuali. Se così non fosse avremmo trovato
degli effetti inducenti sull’inclinazione haptic della tavoletta e non un
giudizio così accurato.
In ogni caso dato che l’argomentazione è interessante, ci ripromet-
tiamo quanto prima di condurre una serie d’esperimenti considerando
l’inclinazione contestuale come possibile variabile e variando il conte-
sto in maniera sistematica. È necessario però utilizzare pareti rocciose
dove l’osservatore possa dare un giudizio d’inclinazione della parete
rocciosa sia rispetto al contesto inclinato sia rispetto alla verticale gra-
vitazionale (i.e. una superficie rocciosa verticale). Non sarà facile tro-
vare in natura una situazione sperimentale di questo genere, ma cre-
diamo valga la pena di cercare delle pareti rocciose adatte e condurre
alcune ricerche in un prossimo futuro.
In conclusione, crediamo di aver risposto almeno in parte alla do-
manda che c’eravamo posti nell’introduzione di questo lavoro. La do-
manda era la seguente: l’inclinazione percepita di superfici naturali si
avvicina all’inclinazione fisica di tali superfici quando le condizioni di
stimolazione sono ecologiche? Dalla analisi dei risultati del presente
lavoro, in accordo con i risultati ottenuti da Feresin e Agostini (in-
viato per la pubblicazione), possiamo concludere in maniera prelimi-
nare che, quando gli stimoli visivi sono validi da un punto di vista
ecologico, gli osservatori percepiscono l’inclinazione in maniera pra-
ticamente veridica. Il fenomeno della sovrastima più volte evidenziato
in letteratura, potrebbe quindi essere una risposta a delle condizioni
di stimolazione troppo semplici; potrebbe dipendere dalla qualità de-
121
gli stimoli usati, dalle condizioni di stimolazione più o meno realisti-
che ed ecologicamente non valide, o dall’utilizzo di stimoli artificiali
poco presenti in natura (pattern inclinati di puntini casuali, contorni
di figure geometriche).
Il nostro suggerimento conclusivo è che i ricercatori che si occu-
pano della percezione dell’inclinazione di superfici dovrebbero utiliz-
zare stimoli ecologicamente validi, e poi eventualmente confrontare i
risultati degli esperimenti con quelli ottenuti utilizzando stimoli più
semplici. È nostra intenzione sviluppare quest’idea conducendo ulte-
riori esperimenti in diversi ambienti naturali che fanno parte del no-
stro mondo percettivo così complesso ed articolato.
BIBLIOGRAFIA
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[Ricevuto il 3 maggio 2004]
[Accettato il 23 novembre 2004]
Summary. The aim of our experiment was to test the kinesthetic judgment of a group
of observers placed in front of two famous slopes of the Triestine karst. The results
showed a high degree of accuracy when the observers were asked to rotate a manual
paddle with their palm until the kinestetic impression of inclination was perceived as
equal to the visual impression of inclination. There was no visual inclination overesti-
mation, i.e. the well known phenomenon in which the inclination of a surface is per-
ceived by the observer as more inclined with respect to the horizontal plane (Gibson,
1950). This finding suggests that using simple and artificial stimuli like figure outlines,
random dots pattern, instead of more ecological stimuli like hills or urban roads might
be the cause of the visual overestimation phenomenon. Our claim is that it would be
useful to employ more ecological stimuli instead of impoverished ones like in many
past experiments.
La corrispondenza va inviata a Catina Feresin, Dipartimento di Scienze dell’Educa-
zione, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Trieste, Via Tigor 22, 34123
Trieste, e-mail: paola@psico.univ.trieste.it
Martinolli Marco and Feresin Catina (2006)

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Martinolli Marco and Feresin Catina (2006)

  • 1. 103GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA / a. XXXIII, n. 3, settembre 2006 inclinazione percepita di pareti naturali marco martinolli e catina feresin Università di Trieste Riassunto. In questo articolo viene descritto un esperimento tramite il quale abbiamo misurato la risposta cinestesica di un gruppo di osservatori posti di fronte a due fa- mose pareti rocciose del carso triestino. Ai partecipanti veniva chiesto di allineare ma- nualmente una tavoletta inclinabile fino a far collimare l’inclinazione delle pareti roc- ciose percepita visivamente con l’inclinazione della tavoletta percepita cinestesicamente. L’analisi statistica indica che gli osservatori sono accurati nella loro risposta cinestesica rispetto all’inclinazione reale delle superfici, e che il noto effetto della sovrastima del- l’inclinazione percepita (Gibson, 1950) non si verifica. La nostra ipotesi è che la buona accuratezza del giudizio di inclinazione è probabilmente dovuta all’uso di stimoli validi da un punto di vista ecologico. Pensiamo, infatti, che il fenomeno della sovrastima e la scarsa accuratezza, presenti in numerosi lavori sperimentali, potrebbero essere causati dall’utilizzo di stimoli artificiali poco comuni in natura. Il nostro suggerimento è che i ricercatori che si occupano della percezione dell’inclinazione di superfici dovrebbero utilizzare stimoli ecologicamente più validi. introduzione La ripidezza delle montagne colpisce sempre l’immaginazione creando una sorta d’indicibile stupore. Girovagando fra monti e colline ci siamo ritrovati talvolta a contemplare imponenti pareti in- clinate e, da questa nostra esperienza, è nato l’interesse a verificare sperimentalmente la percezione dell’inclinazione di superfici naturali. La scelta delle superfici di cui si è voluto misurare l’inclinazione per- cepita è caduta su due famose pareti della riviera triestina, note agli alpinisti come «Pancia dell’elefante» e «Pancia dell’asino» (figura 1). I nomi nascono dalla somiglianza morfologica delle pareti stesse con due figure del mondo animale, così definite dalla fantasia dei primi arrampicatori di queste superfici rocciose. Nell’ambiente naturale quotidiano ci troviamo spesso di fronte a pendenze caratterizzate da tutti gli indizi di profondità monoculari e binoculari. Queste pendenze sono percepite in un complesso gioco di colore, ombreggiatura, occlusione, prospettiva tissurale, lineare e via dicendo. Nonostante tale complessità, sono veramente pochi gli espe- rimenti descritti in letteratura in cui i ricercatori hanno utilizzato sti-
  • 2. 104 moli ecologici e dove le condizioni sperimentali di stimolazione sono paragonabili a quelle che circondano un osservatore immerso nella realtà percettiva quotidiana. La gran parte dei lavori che vengono ci- tati in letteratura utilizzano stimoli molto semplificati: ellissi, pattern di puntini casuali, pattern misti, e contorni di figure geometriche, fo- tografie di superfici inclinate. I risultati di questi lavori, condotti in laboratorio utilizzando stimoli così semplici rispetto a quelli naturali, indicano che spesso l’inclinazione percepita viene sovrastimata rispetto a quella veridica. Con il termine sovrastima dell’inclinazione percepita s’intende quel fenomeno visivo in cui un osservatore percepisce le superfici inclinate rispetto al piano orizzontale come più inclinate di quanto siano fisi- camente: ad esempio, una superficie inclinata di 45° rispetto al piano orizzontale che per convenzione ha 0°, viene percepita come inclinata di circa 55°. Questo fenomeno fu scoperto verso la fine del diciannovesimo secolo. Infatti nel 1893 Jastrow notò che alcuni osservatori, giudicando l’am- piezza di angoli e l’inclinazione di linee, sovrastimavano l’ampiezza di tali stimoli (Jastrow, 1893). Nel 1950 Gibson studiò e definì in maniera sistematica il fenomeno (Gibson, 1950) utilizzando delle superfici con tessitura regolare o irregolare che venivano proiettate su di uno schermo. Cinque anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Gibson, Clark, Smith Fig. 1. Fotografia delle due pareti della riviera triestina utilizzate nell’esperimento: a sinistra la «Pancia dell’elefante» e a destra la «Pancia dell’asino».
  • 3. 105 e Rabe osservarono nuovamente tale sovrastima. Ai soggetti di Clark e collaboratori si chiedeva di stimare l’inclinazione del contorno di figure trapezoidali o rettangolari. È importante notare che queste figure erano percepite in condizioni di scarsa illuminazione ambientale e attraverso uno schermo di riduzione (Clark, Smith e Rabe, 1955). La prima ipotesi di spiegazione del fenomeno fu quella fornita da Gibson stesso e da Woodworth e Schlosberg nel 1954, i quali nota- rono l’importanza del ruolo giocato dagli indizi di piattezza legati al- l’apparato usato durante gli esperimenti. Per esempio nell’esperimento di Gibson i principali indizi di piattezza erano i bordi e la grana dello schermo sul quale era proiettata la superficie inclinata. Gibson, Woodworth e Schlosberg suggerirono che tali indizi potessero causare un «appiattimento percettivo» della superficie inclinata. In pratica ciò che si verificava era che la superficie andava letteralmente a «schiac- ciarsi» sullo schermo frontale su cui la superficie stessa veniva proiet- tata durante l’esperimento. Per questa ragione l’inclinazione percettiva risultava diversa rispetto all’inclinazione fisica. Nel 1956 Gruber e Clark condussero un esperimento in cui, a diffe- renza di Gibson, venivano utilizzate superfici bidimensionali inclinate in profondità. In questo modo si poteva eliminare l’intervento degli indizi di piattezza. Le superfici in questione erano costituite da cartoncini neri su cui erano stati disegnati in precedenza dei puntini bianchi distribuiti in modo casuale. Durante l’esperimento gli osservatori giudicavano l’in- clinazione di quei cartoncini in condizioni di visione monoculare e at- traverso uno schermo di riduzione. È importante sottolineare che, pur essendo stati eliminati gli indizi di piattezza, entrava in gioco la visione monoculare che poteva essere un’altra causa d’appiattimento della su- Piano frontale (=90°) Piano orizzontale (=0°) Inclinazione fisica del piano L’inclinazione della superficie viene percepita come piu vicina al piano frontale Occhio-visione laterale Fig. 2. Effetto di sovrastima dell’inclinazione percepita.
  • 4. 106 perficie. È noto, infatti, che la visione monoculare di un oggetto rende più difficile la percezione tridimensionale poiché l’indizio binoculare della disparità orizzontale è completamente assente. Durante l’esperi- mento di Gruber et al., l’informazione che arrivava al sistema visivo era quindi un’informazione di «compromesso»: da una parte il cartoncino inviava al sistema un indizio d’inclinazione, dall’altra parte la visione monoculare inviava un’informazione d’appiattimento. La conseguenza diretta era che gli osservatori percepivano l’inclinazione dei cartoncini in maniera non accurata rispetto alla loro inclinazione fisica. Dal 1956 ad oggi, i ricercatori hanno condotto numerosi esperi- menti volti a misurare l’inclinazione percepita di superfici e a capire il ruolo giocato dagli indizi di profondità monoculari e binoculari come la prospettiva tissurale e lineare, la disparità orizzontale e ver- ticale. Tuttavia anche in questi lavori sono stati utilizzati spesso de- gli stimoli inadeguati a rappresentare la complessità del mondo che ci circonda poiché mancanti della gran parte degli indizi monoculari e binoculari che facilitano la percezione della profondità. Gli stimoli utilizzati erano spesso: ellissi, pattern di puntini casuali, pattern misti, e contorni di figure geometriche (Braunstein, 1968; Epstein e Mor- gan-Paap, 1974; Freeman, 1966; Gillam e Ryan, 1992; Howard e Ka- neko, 1994; Kraft e Winnick, 1967; Phillips, 1970; Youngs, 1976). Più recentemente Davies, Howes, Huber e Nicholls (1996) e Huber e Da- vies (1999) hanno usato fotografie di superfici naturali inclinate. Come si diceva all’inizio dell’introduzione, sono pochi gli esperi- menti descritti in letteratura in cui i ricercatori hanno utilizzato sti- moli ecologicamente validi e dove le condizioni sperimentali di stimo- lazione sono paragonabili direttamente a quelle naturali. I primi stu- diosi ad usare degli stimoli naturali, nella fattispecie delle reali colline, furono Kamman nel 1967 e Kinsella-Shaw, Shaw e Turvey nel 1992. I risultati di questi due lavori indicavano però che l’inclinazione delle superfici veniva percepita in maniera sovrastimata. Più recentemente Proffitt, Bhalla, Gossweiler e Midgett (1995), Bhalla e Proffitt (1999), e Proffitt, Creem e Zosh, (2001) hanno con- dotto i loro esperimenti in un ambiente ecologicamente valido, in pratica portando gli osservatori di fronte a piani naturali inclinati (nel caso specifico alcune colline di un campus universitario). I risultati di questi tre lavori indicavano che anche qui l’inclinazione percepita non si avvicinava a quella veridica. Lo scopo del presente esperimento è quello di studiare la risposta ci- nestesica di un gruppo d’osservatori posti di fronte ad alcune inclinazioni ecologicamente valide, vale a dire le due citate pareti del carso triestino. È necessario domandarci quindi se l’inclinazione percepita di superfici naturali si avvicina all’inclinazione fisica di tali superfici senza essere in- fluenzata anch’essa dal fenomeno della «sovrastima». Per rispondere a
  • 5. 107 questa domanda abbiamo condotto un esperimento utilizzando delle su- perfici naturali, vale a dire le già nominate pareti rocciose, migliorando alcuni aspetti metodologici che a nostro parere erano un po’ carenti negli esperimenti condotti da Proffitt e collaboratori. L’ipotesi sperimentale è che i soggetti siano molto accurati nella loro risposta percettiva e che non si verifichi il noto effetto della «sovrastima dell’inclinazione percepita» trattandosi di stimoli visivamente complessi ed ecologicamente validi. esperimento metodo Osservatori Trenta osservatori d’età compresa tra 24 e 68 anni hanno preso parte all’esperimento. Gli osservatori prescelti provenivano dalle più diverse realtà sociali (studenti universitari, lavoratori, pensionati); di questi 12 erano di sesso femminile, mentre 18 erano di sesso maschile. Tutti i soggetti avevano capacità visiva normale (alcuni di loro porta- vano occhiali o lenti a contatto). Di questi trenta osservatori, 15 erano esperti d’arrampicata in montagna, 15 non erano esperti. Stimoli Gli stimoli sperimentali sono stati scelti tenendo in considerazione tre specifiche caratteristiche: 1)  le pareti dovevano elevarsi sopra ad una superficie orizzontale completamente libera e senza essere occlusa da altre pareti; 2)  le pareti dovevano essere alte almeno 20 metri da terra; 3)  la superficie delle pareti doveva essere regolare, vale a dire senza tetti, strapiombi, fessure o arbusti. La falesia di Sistiana, facente parte della costiera triestina, rappre- sentava il luogo ideale dove queste tre caratteristiche erano sicura- mente riscontrabili. Calcolo dell’inclinazione delle pareti Le pareti erano entrambe caratterizzate da un’altezza di 20 me- tri. Tale altezza è stata calcolata semplicemente misurando una corda tesa dal punto più alto della parete fino a terra. Per calcolare inclina- zione delle due pareti, si è utilizzato un sistema molto semplice: in un primo tempo uno degli autori si è calato a corda doppia nella posi-
  • 6. 108 zione centrale della parete (dove veniva chiesto ai soggetti di fissare lo sguardo); quindi ha teso un filo a piombo lungo due metri che con il peso toccava la parete stessa. In un secondo tempo ha misurato, con un metro rigido, la distanza fra la parte superiore del filo a piombo e la parete stessa. La parete, il filo a piombo e la distanza misurata co- stituivano un triangolo rettangolo di cui si conoscevano i lati. Il primo triangolo rettangolo, quello facente parte della «Pancia dell’elefante», aveva altezza (h) uguale a cm 200, e base (b) uguale a cm 23. Il secondo triangolo rettangolo, quello facente parte della «Pancia dell’asino», aveva altezza (h) uguale a cm 200 e base (b) uguale a cm 90. È noto che in un triangolo rettangolo è valida la se- guente relazione: a = arctg h/b (figura 3). Convenzionalmente, l’inclinazione viene misurata in gradi, conside- rando l’orizzontale pari a 0° e la verticale pari a 90°. La parete de- nominata «Pancia dell’asino» presentava un angolo d’inclinazione di 65°; mentre la parete denominata «Pancia dell’elefante» presentava un angolo d’inclinazione di 83°. Apparato strumentale Nel costruire lo strumento utilizzato per misurare l’inclinazione delle pareti percepita dai soggetti abbiamo tenuto in considerazione le specifiche indicazioni descritte in alcuni articoli (Feresin, 2002; Fere- osservatore terreno punto di osservazione a a h parete b Fig. 3. Misura dell’inclinazione oggettiva. La figura 3 schematizza il metodo usato per rilevare l’inclinazione fisica della parete intorno al punto in cui i soggetti dove- vano dirigere lo sguardo.
  • 7. 109 sin, Agostini e Negrin-Saviolo, 1998; Feresin e Negrin Saviolo, 2001; Feresin e Agostini, inviato per la pubblicazione; Proffitt et al., 1995). L’apparato era formato da una tavoletta inclinabile e da un trep- piede (Figura 4) e ricordava l’apparecchiatura utilizzata da Proffitt e collaboratori. Fig. 4. Fotografia della tavoletta inclinabile e del treppiede.
  • 8. 110 Il treppiede era provvisto nella parte superiore di una bolla, detta testa del treppiede, in questo modo era possibile mantenere costante l’orizzontalità dell’apparecchiatura indipendentemente da quanto fosse accidentato il terreno. Sullo strumento avevamo fissato in precedenza un goniometro che registrava l’inclinazione della tavoletta; un indica- tore metallico, attaccato alla tavoletta, scorreva sul goniometro stesso fornendo allo sperimentatore la lettura dei gradi d’inclinazione della tavoletta. Inoltre, vi era una bolla aggiuntiva posta sulla tavoletta con la quale, aggiustando la testa del treppiede, si poteva, con piccoli spo- stamenti, porre la tavoletta in posizione orizzontale. Procedura Gli osservatori svolgevano il loro compito sperimentale sempre nella stessa fascia oraria compresa fra le ore 14 e le ore 15.30, ed in questo modo si trovavano nelle stesse condizioni di luce ed ombra. L’esperimento è stato condotto nella prima quindicina di giorni del mese di settembre. Prima di iniziare la prova, si è tenuto conto dell’altezza del sog- getto in modo da eliminare qualsiasi difficoltà di rotazione del polso dovuta ad un posizionamento troppo basso o troppo alto della tavo- letta inclinabile (si veda Feresin et al, 1998). Sul terreno sottostante ad ogni parete, sono stati segnati 5 punti d’osservazione distanti l’uno dall’altro 5 metri (0, 5, 10, 15, 20 metri). Il primo si trovava esattamente sulla base della parete (0 metri) mentre l’ultimo ad una distanza pari all’altezza della parete stessa (20 metri). Le tabelle 1 e 2 indicano le misure dell’inclinazione del terreno alle varie distanze. L’inclinazione del terreno era compresa fra –O.1° e 1.2°. Tab. 1. Inclinazione del terreno sottostante alla parete inclinata di 65° -  a metri zero: 0.9° -  a metri cinque: 0.2° -  a metri dieci 1.0° -  a metri quindici 0.8° -  a metri venti 0.7° Tab. 2. Inclinazione del terreno sottostante alla parete inclinata di 83° -  a metri zero: 1.2° -  a metri cinque: 1.2° -  a metri dieci 0.3° -  a metri quindici -0.1° -  a metri venti 0.5°
  • 9. 111 Lo sperimentatore indicava all’osservatore un preciso punto di fis- sazione costante che era stato precedentemente posto nella porzione centrale della parete e che era segnalato visivamente tramite due chi- odi ad espansione. Nel corso dell’esperimento si chiedeva all’osser- vatore di confrontare l’inclinazione delle pareti percepita visivamente con l’inclinazione della tavoletta percepita cinestesicamente tramite la rotazione del polso (paddle method/confronto intermodale). La misura dipendente era quindi relativa ai gradi di pendenza percepita delle due pareti. L’osservatore compiva 10 misurazioni per ciascuna parete. Venivano quindi prese in tutto 10 misure relative alla parete «Pancia dell’asino» e 10 misure relative alla parete «Pancia dell’elefante». Uno dei metodi di misurazione usato da Proffitt consisteva nel far ruotare manualmente una tavoletta fino a far collimare l’inclinazione degli stimoli percepita visivamente (le colline del campus) con l’incli- nazione della tavoletta percepita cinestesicamente tramite la rotazione del polso. Questo metodo intermodale, denominato «metodo della ta- voletta inclinabile» (paddle method), è stato ed è tuttora utilizzato con i debiti accorgimenti per la misurazione dell’inclinazione di superfici percepite visivamente (Carrozzo e Lacquanity, 1994; Feresin e Ago- stini, inviato per la pubblicazione; Feresin e Howard, 1994, 1995; Fe- resin, Agostini e Negrin-Saviolo, 1997, 1998; Gibson, 1950; Howard e Kaneko, 1994; Ohmi, 1993; Pierce, Howard e Feresin, 1998). Si tratta di un metodo che confronta la percezione visiva della superficie incli- nata con la percezione cinestesica fornita dai recettori presenti nell’ar- ticolazione del polso i quali segnalano la posizione ed il movimento angolare dell’arto (Feresin e Negrin-Saviolo, 2001) Importanza del punto di fissazione L’utilizzo di un punto di fissazione rende la metodologia più pre- cisa e non toglie il senso ecologico che pervade l’esperimento. Un breve ragionamento da sviluppare, infatti, riguarda il concetto di punto di fissazione e movimento degli occhi. Una cosa è avere una mentoniera che tiene fissa la testa, avere un punto di fissazione su di uno schermo d’un computer o altro, ed avere un’apparecchiatura che controlli i movimenti oculari; una cosa è avere un punto di fissazione su di una parete rocciosa, una collina, una strada. In questo secondo caso gli occhi non sono immobili, i soggetti vedono anche il resto della scena, ma i ricercatori, però, sono certi che gli osservatori diano un giudizio proprio su quella parte della superficie inclinata e non su altre. Il confronto avviene poi fra le misure reali che in precedenza i ricercatori hanno misurato tramite vari metodi (per esempio filo a
  • 10. 112 piombo e triangolo trigonometrico, oppure un goniometro digitale o altro) e le misure dell’inclinazione percepita dagli osservatori. Negli esperimenti di Proffitt et al. (1995, 2001) e Bhalla e Profitt (1999) venivano utilizzati degli stimoli ottimali da un punto di vista ecologico, ma secondo noi la metodologia non era controllata in ma- niera corretta. Il problema metodologico, presente in tutti e tre i la- vori citati, riguardava appunto il punto di fissazione che non era mai costante. Ai partecipanti si chiedeva di osservare la collina frontal- mente ma non si mostrava loro un preciso punto di fissazione. È ab- bastanza ragionevole supporre che una collina, per quanto abbastanza costante nella sua inclinazione, presenti dei punti più o meno incli- nati. Se ai soggetti non si fornisce un preciso punto di riferimento, il loro giudizio riguarderà parti diverse della superficie inclinata e di conseguenza il risultato ottenuto non sarà molto attendibile. Che cosa misurano quindi Proffitt e collaboratori? Il confronto viene fatto dagli autori fra l’inclinazione reale della collina e la misura dell’inclinazione percepita fornita dagli osservatori. Ma qual è l’in- clinazione reale della collina? Per esempio nel lavoro pubblicato nel 1995, vengono prese in considerazione colline inclinate di 2°, 4°, 5°, 6°, 10°, 21°, 31°, 33° e 34°. Tali colline vengono misurate con un cli- nometro che presenta un’accuratezza di 0.5°; Ma come si può pensare che una collina sia sempre perfettamente inclinata di 2°, 4° e via di- cendo? Nel lavoro pubblicato nel 1999 Bhalla e Proffitt scrivono: «... it was required to have a fairly uniform and even surface, with no major changes in its inclination or bumps along its surface». Nel momento in cui gli autori fanno riferimento ad una precisa inclinazione reale, è possibile che prendano in considerazione una sola parte della collina, ma quale? La parte centrale? Quale parte è stata in precedenza misu- rata dai ricercatori nel momento in cui si parla d’inclinazione reale? È veramente improbabile che una collina sia tutta perfettamente in- clinata di 2°, 21° o altro. Forse una strada potrebbe esserlo, e anche questa con una certa difficoltà. In una seri di recenti esperimenti si è voluto misurare alcune strade urbane con un clinometro digitale: eb- bene anche le strade non sono mai perfettamente inclinate (Feresin e Agostini, inviato per la pubblicazione). Proffitt et al. (1995) scrivono: «They were instructed to look ahead at the hill and not to attempt to obtain a side view of the hills by loo- king sideways» Tuttavia se non esiste un punto di fissazione preciso non siamo mai sicuri che gli osservatori guardino quella parte di col- lina e non altre parti, magari inclinate diversamente rispetto all’incli- nazione reale.
  • 11. 113 La scelta del metodo cinestesico invece dei metodi visivo e verbale Vorremmo ora specificare per quale ragione abbiamo preferito uti- lizzare esclusivamente il metodo cinestesico o haptic e non il metodo «visivo» e quello «verbale», come invece hanno fatto Proffitt e col- laboratori. A nostro parere i metodi «visivo» e «verbale» non sono metodi particolarmente adatti per misurare l’inclinazione percepita e cercheremo di spiegare perché. A pagina 412 del primo lavoro di Proffitt sull’argomento «inclina- zione geografica» (Proffitt et al., 1995) viene descritta l’apparecchia- tura utilizzata dai soggetti che fornivano allo sperimentatore un giudi- zio visivo dell’inclinazione di una serie di colline. Dalla figura presente nell’articolo e dai termini utilizzati per descrivere tale apparecchiatura, s’intuisce che essa consisteva in un disco dotato di un goniometro in grado di rappresentare l’inclinazione della collina. Come dice lo stesso Proffitt: «Gli osservatori potevano tenere il disco liberamente in mano e la maggioranza lo teneva perpendicolarmente rispetto al piano vi- sivo». Il problema qui è duplice: a) se la struttura non è fissata da qual- che parte, non esiste un piano orizzontale o verticale di riferimento relativo all’apparecchiatura stessa. Che cosa viene quindi misurato se manca tale riferimento? b) Il secondo punto problematico è legato ad un’implicita rotazione mentale che gli osservatori sono costretti a fare nel momento in cui confrontano l’inclinazione della collina con l’inclinazione del goniometro. La collina è inclinata in profondità (la lingua inglese utilizza il termine inclination), ma il goniometro posto sul disco, e tenuto perpendicolarmente rispetto al piano visivo, risulta inclinato verso destra. Compie cioè una rotazione sul piano frontale bidimensionale (la lingua inglese utilizza il termine tilt). Cosa fanno quindi gli osservatori? Misurano un’inclinazione in profondità te- nendo un’apparecchiatura dove il goniometro viene posto sul piano bidimensionale? L’osservatore dovrebbe «tradurre» mentalmente una prima inclinazione su di un piano in una seconda rotazione su di un altro piano per poi confrontarle? Non ci sembra un metodo molto adatto. Passiamo ora al secondo metodo utilizzato da Proffitt e collabora- tori e cioè il metodo «verbale». Esso implica che gli osservatori diano un giudizio cognitivo d’inclinazione delle colline percepite. Nella realtà quotidiana tutti noi giudichiamo per esempio la pendenza di una sentiero o di un monte, rispetto all’ambiente che ci circonda. Il punto è che il giudizio varia molto a seconda delle «competenze» in materia d’inclinazione. Proviamo a chiedere un giudizio verbale d’in- clinazione ad una persona che ha studiato bene la geometria a scuola e che magari è un geometra, un architetto o un ingegnere, oppure
  • 12. 114 chiediamo un giudizio verbale ad una persona che viene da un altro curriculum di studi. Possiamo pensare che i giudizi saranno simili? Noi non lo crediamo. Infatti se osserviamo l’errore standard dei giu- dizi verbali (e quindi la precisione) a p. 413 dell’articolo di Proffitt et al. (1995) e l’errore standard dei giudizi verbali a p. 423 del lavoro pubblicato nel 2001, notiamo che esso risulta piuttosto alto, mentre quello haptic non lo è. Per queste ragioni abbiamo utilizzato solo il metodo haptic da noi definito cinestesico e non quello verbale o vi- sivo. Condizioni sperimentali Le condizioni sperimentali erano le seguenti: 1) Una prima condizione between denominata expertise, cioè quella condizione per cui i soggetti venivano divisi fra esperti e non esperti in arrampicata. L’ipotesi sperimentale era quella di studiare la presta- zione nel giudizio d’inclinazione delle pareti dei soggetti esperti ri- spetto alla prestazione dei soggetti non esperti. 2) Una seconda condizione within denominata «parete» (83° e 65°) relativa all’inclinazione percepita delle due pareti. L’ipotesi sperimen- tale era quella di studiare la prestazione degli osservatori nel compito di giudizio d’inclinazione delle pareti. 3) Un’ultima condizione within denominata «distanza» (0, 5, 10, 15, 20 metri) corrispondente alla distanza fra osservatore e parete. L’ipotesi sperimentale era studiare la prestazione dei soggetti nel giu- dicare la pendenza delle pareti al variare della distanza. risultati Dalla lettura del grafico in figura 5 che descrive la condizione «parete» nei soggetti «esperti», si osserva che l’inclinazione perce- pita della parete «Pancia dell’asino» (65°) viene leggermente sovrasti- mata (circa un grado) rispetto all’inclinazione fisica. Ciò significa che la «Pancia dell’asino» è percepita dagli osservatori come inclinata di 66° rispetto all’orizzontale. L’inclinazione percepita della parete de- nominata «Pancia dell’elefante» (83°) viene sottostimata di 5°. Ciò vuol dire che è percepita come inclinata di 78° rispetto all’orizzontale. Siamo quindi entro un range di buona accuratezza. Dalla lettura del grafico che analizza la condizione «parete» nei soggetti «non esperti» si vede che l’inclinazione percepita della parete denominata «Pancia dell’asino» (65°) viene leggermente sovrastimata (circa mezzo grado). Ciò vuol dire che è percepita come inclinata di
  • 13. 115 65.5°. Infine l’inclinazione della parete denominata «Pancia dell’ele- fante» (83°) è sottostimata di 6.5. Ciò significa che viene percepita come inclinata di 76.5°. Anche in questo caso ci troviamo entro un range di buona accuratezza. L’analisi della varianza condotta per confrontare la condizione between soggetti «esperti» e «non esperti» in arrampicata indica che non sussiste alcuna differenza significativa fra i due gruppi. Questo risultato potrebbe essere interpretato in relazione al fatto che, proba- bilmente, il giudizio d’inclinazione non dipende dall’esperienza nel- l’arrampicare, ma dipende esclusivamente dagli indizi pittorici mono- culari e dagli indizi binoculari. La completa presenza di tutti questi indizi in una situazione realmente ecologica permette un giudizio per- cettivo d’inclinazione che si avvicina all’inclinazione fisica delle pareti. Infine, l’analisi della varianza condotta sugli scarti (Punto d’Egua- glianza Soggettivo meno Punto d’Eguaglianza Oggettivo) indica che non sussiste alcuna differenza statisticamente significativa per la con- dizione «distanza» (0, 5, 10, 15, 20 metri). conclusioni Certamente il risultato più interessante da commentare è la buona accuratezza dei soggetti «esperti» e di quelli «non esperti». L’inclina- zione percepita della parete di 65° viene sovrastimata di pochissimo, mentre quella relativa alla parete di 83° viene leggermente sottostimata. Fig. 5. Grafici dei risultati ottenuti nella condizione «parete» in soggetti esperti ed in soggetti «non esperti».
  • 14. 116 Come si diceva all’inizio dell’introduzione del presente lavoro, non sono molti gli esperimenti descritti in letteratura in cui i ricercatori hanno utilizzato stimoli ecologicamente validi. Tutti i lavori citati in- dicano che le inclinazioni delle superfici vengono comunque percepite in maniera non sempre molto accurata. Nei tre articoli di Proffitt e collaboratori più volte citati nel corso del presente lavoro (Bhalla e Proffitt, 1999; Proffitt et al., 1995; Prof- fitt et al., 2001), il fattore cruciale è l’utilizzo del metodo cinestesico, quello definito haptic, rispetto agli altri metodi: il metodo verbale ed il metodo visivo. Innanzi tutto non ci sembra dalla lettura dalle analisi degli esperimenti di Proffitt che la sovrastima ottenuta con il metodo haptic sia sempre una sovrastima piccola e che il giudizio sia accurato e preciso. Nonostante Proffitt scriva testualmente nell’articolo del ‘95: «Our haptic measure of pitch showed very little evidence of slant ove- restimation»; troviamo contemporaneamente nello stesso lavoro un’al- tra frase in cui si dice: «It was revealed by t test that overall, all three measures were significantly different from the actual inclines of the hills (verbal vs. actual, t(299) = 27.13, p  .01; visual vs. actual, t(299) = 26.25, p  .01; haptic vs. actual, t(299) = 4.43, p  .01)». Nell’articolo del 1999, Bhalla e Proffitt scrivono riguardo al III esperimento: «Analyses (t tests) revealed that, as expected, slope judg- ments made by the elderly were significantly different from the actual inclines of the hills: verbal, t(127) = 12. 65, p  .01; visual, t(127) = 12. 17, p  .01; and haptic, t(127) = 13. 83, p  .01». Nell’articolo apparso nel 2001 si parla prima di accuratezza del me- todo haptic. A pagina 419 gli autori parlano poi di sottostima invece che di sovrastima dell’inclinazione percepita. Essi scrivono: «All of the measures for the 34° side view followed the pattern of responses for the other two views, but the haptic underestimation is similar to what we found previously for larger hills (Proffitt et al., 1995)». A pagina 421 del medesimo articolo gli autori ribadiscono: «Verbal judgments were greatly overestimated, and although haptic judgments were much more accurate, they were significantly underestimated». Confrontiamo il grafico a pagina 413 che descrive i risultati del primo esperimento condotto nel 1995 (haptic measure) e notiamo sovrastima nel giudicare le prime cinque colline, poi accuratezza nel giudicare la collina di 20° e poi una leggera sottostima per le colline superiori a 30° (non signi- ficativa). I risultati ottenuti nel 2001 sono molto diversi. Guardiamo il trend dei risultati relativi alla misura «haptic front» nella realtà virtuale: da 10° a 60° c’è sempre sottostima dell’inclinazione percepita. Prima so- vrastima, accuratezza, ed ora sottostima: non c’è molta coerenza nei risultati d’esperimenti simili a distanza d’alcuni anni.
  • 15. 117 In conclusione, rileggendo la letteratura sull’argomento, possiamo dedurre che il metodo haptic, così come utilizzato da Proffitt, non fornisce sempre dei risultati accurati e, soprattutto, non fornisce ri- sposte coerenti, nel senso che troviamo in generale sovrastima più o meno accentuata e talvolta sottostima nella realtà virtuale. A nostro parere le misure ottenute da Proffitt con il metodo haptic sono certa- mente più accurate rispetto a quelle verbali e visive. Le pendenze da noi prese in esame non sono direttamente confrontabili con quelle di Proffitt poiché in quei lavori si arrivava ad un massimo di 34° per le colline reali e 60° nella realtà virtuale. Il punto fondamentale è che le misure haptic ottenute da Proffitt non sono molto accurate in senso assoluto e non solo relativo agli altri due metodi. A questo proposito si osservino bene i grafici descritti da Proffitt nel lavoro del 1995 (col- line reali) e nella realtà virtuale (colline simulate) nel lavoro del 2001. Il nostro esperimento appare quindi nuovo rispetto a quelli di Proffitt per due ragioni principali. La prima riguarda il fatto che i no- stri risultati indicano una notevole accuratezza del giudizio haptic in accordo con un articolo di Feresin et al. (1998) e in accordo con un altro lavoro appena concluso (Feresin e Agostini, inviato per la pub- blicazione). La nostra ipotesi principale, quindi, è che la sovrastima dell’inclinazione percepita diventa veramente piccola in condizioni na- turali. Recentemente Feresin e Agostini (inviato per la pubblicazione) hanno condotto una serie d’esperimenti utilizzando delle strade ur- bane inclinate. Le strade urbane sono stimoli altrettanto validi da un punto di vista ecologico quanto le pareti rocciose descritte nel pre- sente lavoro, anche se, ovviamente, le strade sono meno inclinate ri- spetto alle superfici rocciose o alle colline. Nel corso dell’esperimento citato, i ricercatori misuravano l’inclinazione di queste strade tramite un clinometro da geologo, ed in seguito ponevano gli osservatori di fronte ad ogni singola strada chiedendo loro di fissare un preciso punto al centro della strada stessa. I partecipanti all’esperimento do- vevano poi far collimare cinestesicamente la tavoletta inclinabile con la pendenza delle strade percepita visivamente. I risultati di quel- l’esperimento sono in accordo con i risultati della presente indagine: anche nel caso di strade urbane inclinate, i soggetti sono molto accu- rati nel loro giudizio cinestesico d’inclinazione ed il fenomeno della sovrastima non si verifica. La seconda ragione per cui il nostro lavoro ci sembra innovativo è che esso si pone in contrasto con l’utilizzo degli altri due metodi quello «visivo» e quello «verbale», come abbiamo già spiegato nella sezione metodologica del presente lavoro. Tuttavia, ci sembra impor- tante specificare ancora un punto riguardo al discorso metodologico. Un lettore, infatti, potrebbe chiederci perché non abbiamo condotto
  • 16. 118 un esperimento in condizioni naturali utilizzando il metodo visivo e apportando le ragionevoli modifiche all’apparecchiatura e alla pro- cedura. In teoria sarebbe bastato fissare il disco ed il goniometro ad un’apparecchiatura simile a quella del nostro esperimento, o del- l’esperimento di Proffitt (metodo haptic), con un preciso schema di riferimento ed evitare confronti su piani d’inclinazione diversi ed eventuali rotazioni mentali. Si sarebbe potuto chiedere ai soggetti di confrontare visivamente l’inclinazione della tavoletta con l’inclinazione della parete rocciosa. In realtà il confronto visivo non è un confronto «affidabile» nel senso che è influenzato dalla possibile presenza di un fenomeno noto come «normalizzazione dell’inclinazione percepita». Il fenomeno della normalizzazione dell’inclinazione percepita Il fenomeno, sottolineato da Howard e Rogers nel loro libro pub- blicato nel 1995 (p. 463), è il seguente: «Quando uno stimolo, collo- cato in una qualche posizione rispetto ad una norma di un qualunque dominio sensoriale, viene normalizzato, esso appare all’osservatore come più vicino alla norma di quanto effettivamente sia. Perciò una linea inclinata nel piano frontale (tilted) appare quasi verticale, un oggetto in movimento tende a rallentare, e un punto disposto late- ralmente rispetto ad un piano mediano appare collocato più central- mente in relazione al piano stesso. Nel dominio della profondità si può affermare che un piano in profondità o una rampa inclinata si normalizzano con la norma di equidistanza (Gogel, 1956), cioè con il piano frontoparallelo il quale ha un gradiente di disparità orizzontale uguale a zero». Torniamo ora agli esperimenti in questione. Se un piano inclinato (la collina di Proffitt oppure la nostra parete rocciosa) dovesse ten- dere a normalizzarsi con uno dei piani principali (piano verticale per superfici come le nostre inclinate di 65° e 73°; oppure piano orizzon- tale per superfici come le colline di Proffitt inclinate di 5°, 10°, 15°, 20°, 31°, 33°, 34°), una superficie inclinata molto più piccola (cioè la tavoletta ruotante col goniometro) posta frontalmente alla superficie da misurare, potrebbe subire un’inclinazione indotta in profondità. È possibile quindi che la tavoletta utilizzata per le misurazioni vada a misurare l’inclinazione indotta dalla normalizzazione oltre all’inclina- zione percepita delle pareti rocciose o delle colline. Ecco perché non abbiamo voluto utilizzare il metodo visivo, come invece ha fatto Prof- fitt, ma solo quello haptic da noi definito cinestesico. Facendo riferimento al discorso relativo alla normalizzazione con la verticale oppure l’orizzontale (norme d’equidistanza), è corretto prendere in considerazione anche l’influenza giocata dall’inclinazione
  • 17. 119 del terreno su cui poggia sia l’osservatore sia la parete rocciosa. Sap- piamo, come già aveva sottolineato Koffka nel 1935, che le inclina- zioni principali dell’ambiente sono la verticale e l’orizzontale. Tut- tavia, non crediamo che in questa situazione sperimentale il terreno orizzontale, posto fra l’osservatore e la base della superficie rocciosa, possa influenzare il giudizio d’inclinazione. Le due pareti scelte sono inclinate di 65° e 73° rispetto all’orizzontale e quindi sono più vicine eventualmente alla norma verticale. Se si verifica normalizzazione del- l’inclinazione percepita, allora è ragionevole supporre che le superfici rocciose possono essere influenzate dalle pareti verticali e non dal ter- reno orizzontale. Il ruolo del contesto Il discorso riguardante il possibile fenomeno di normalizzazione con la norma dell’equidistanza verticale oppure orizzontale è legato anche ad un altro possibile fattore: il ruolo del contesto. La perce- zione della parte di superficie rocciosa che comprende il punto di fis- sazione posto al centro, potrebbe essere influenzato dal contesto, cioè dall’inclinazione d’altre zone che includono proprio quella parte della superficie rocciosa che noi chiediamo agli osservatori di giudicare. Come si nota infatti dalle fotografie, le pareti rocciose giudicate dai soggetti erano circondate da zone inclinate in maniera leggermente di- versa (ragione per cui, come già spiegato, abbiamo utilizzato un punto di fissazione). Recentemente, Daini, Wenderoth e Smith (2003) hanno condotto una serie d’esperimenti per osservare gli effetti subiti dall’inclinazione d’alcune figure da parte del contesto in relazione al modello di Rock del 1990. Tuttavia gli esperimenti di Daini e collaboratori, e alcuni precedenti lavori di Wenderoth (si veda Wenderoth, 1997 per una completa rassegna), fanno però riferimento ad inclinazioni in una si- tuazione bidimensionale frontale (tilt, vedi Howard, 1982). Gli autori in questione parlano anche di fattori vestibolari e di controtorsione oculare che sono relativi a movimenti laterali della testa in relazione ad input posti sul piano frontale e non in profondità. Quando il capo viene inclinato lateralmente, si attiva, infatti, il meccanismo della con- trotorsione oculare che viene controllato dal sistema vestibolare. Tale meccanismo permette una parziale costanza dell’inclinazione degli oggetti, mantenendo una posizione costante degli occhi nelle orbite (Miller, 1962; Howard e Evans, 1963; Petrov e Zenkin, 1973; Wolfe e Held, 1979; Howard, 1982; Collewijn, van der Steen, Ferman e Jan- sen, 1985).
  • 18. 120 Nel nostro caso ci troviamo però in una situazione tridimensio- nale dove è corretto parlare di inclination; per questa ragione non è semplice paragonare il nostro lavoro a quelli di Wenderoth. L’unico ragionamento che potremmo fare è quello di ribadire che nella pre- sente situazione sperimentale ci troviamo in un ambiente ecologico. Collocate in un ambiente di questo genere, le persone sono piuttosto accurate nel giudicare le inclinazioni, indipendentemente da tutti gli altri orientamenti presenti nel contesto, proprio perché la norma a cui fare riferimento è sempre la verticale gravitazionale I soggetti, infatti, sono in grado di vedere completamente l’ambiente circostante, anche se hanno un punto di fissazione, e il sistema di riferimento verticale gravitazionale è sicuramente il più potente e significativo per la deter- minazione del giudizio cinestesico d’inclinazione. Gli osservatori sono quindi molto accurati perché sono collocati in una situazione ambien- tale dove tutti gli oggetti sono paralleli a questa norma, e anche le sensazioni propriocettive degli osservatori stessi risultano coerenti con la direzione della verticale gravitazionale. I risultati del nostro esperi- mento confermano quindi l’ipotesi che, in un ambiente ecologico, il confronto essenziale è il confronto con la verticale, pur in presenza d’altre inclinazioni contestuali. Se così non fosse avremmo trovato degli effetti inducenti sull’inclinazione haptic della tavoletta e non un giudizio così accurato. In ogni caso dato che l’argomentazione è interessante, ci ripromet- tiamo quanto prima di condurre una serie d’esperimenti considerando l’inclinazione contestuale come possibile variabile e variando il conte- sto in maniera sistematica. È necessario però utilizzare pareti rocciose dove l’osservatore possa dare un giudizio d’inclinazione della parete rocciosa sia rispetto al contesto inclinato sia rispetto alla verticale gra- vitazionale (i.e. una superficie rocciosa verticale). Non sarà facile tro- vare in natura una situazione sperimentale di questo genere, ma cre- diamo valga la pena di cercare delle pareti rocciose adatte e condurre alcune ricerche in un prossimo futuro. In conclusione, crediamo di aver risposto almeno in parte alla do- manda che c’eravamo posti nell’introduzione di questo lavoro. La do- manda era la seguente: l’inclinazione percepita di superfici naturali si avvicina all’inclinazione fisica di tali superfici quando le condizioni di stimolazione sono ecologiche? Dalla analisi dei risultati del presente lavoro, in accordo con i risultati ottenuti da Feresin e Agostini (in- viato per la pubblicazione), possiamo concludere in maniera prelimi- nare che, quando gli stimoli visivi sono validi da un punto di vista ecologico, gli osservatori percepiscono l’inclinazione in maniera pra- ticamente veridica. Il fenomeno della sovrastima più volte evidenziato in letteratura, potrebbe quindi essere una risposta a delle condizioni di stimolazione troppo semplici; potrebbe dipendere dalla qualità de-
  • 19. 121 gli stimoli usati, dalle condizioni di stimolazione più o meno realisti- che ed ecologicamente non valide, o dall’utilizzo di stimoli artificiali poco presenti in natura (pattern inclinati di puntini casuali, contorni di figure geometriche). Il nostro suggerimento conclusivo è che i ricercatori che si occu- pano della percezione dell’inclinazione di superfici dovrebbero utiliz- zare stimoli ecologicamente validi, e poi eventualmente confrontare i risultati degli esperimenti con quelli ottenuti utilizzando stimoli più semplici. È nostra intenzione sviluppare quest’idea conducendo ulte- riori esperimenti in diversi ambienti naturali che fanno parte del no- stro mondo percettivo così complesso ed articolato. BIBLIOGRAFIA Bhalla M., Proffitt D.R. (1999). Visual-motor recalibration in geographical slant perception. Journal of Experimental Psychology, 25, 1076-1096. Braunstein M.L. (1968). Motion and texture as sources of slant information. Journal of Experimental Psychology, 78, 247-253. Carrozzo M., Lacquaniti F. (1994). A hybrid frame of reference for visuo- manual coordination. Neuroreport, 5, 453-456. Clark W.C., Smith A.H., Rabe A. (1955). Retinal gradient of outline as a stimulus for slant. Canadian Journal of Psychology, 9, 247-253. Collewijn H., van der Steen J., Ferman L., Jansen T.C. (1985). Hu- man ocular counterrol: Assesment of static and dynamic properties from electromagnetic scleral coil recordings. Experimental Brain Research, 59, 185-196. Daini R., Wenderoth P., Smith S. (2003). Visual orientation illusions: Glo- bal mechanisms involved in hierarchical effects and frames of reference. Perception Psychophysics, 65 (5), 770-778. Davies I., Howes J., Huber J., Nicholls J. (1996). Perception of slope and distance in photographs and in the real world. Perception, 25, Supplement, 48. Epstein W., Morgan-Paap C.L. (1974). Aftereffect of a perspectival stimulus for slant depth: A new normalization effect. Perception Psychophysics, 16, 299-302. Feresin C. (2002). L’uso di stimoli ecologicamente validi nella percezione vi- siva: un contributo teorico. Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, 1, 63-72. Feresin C., Agostini T. The perception of visual inclination in a real and simulated urban environment. Manoscritto inviato a Psychonomic Bulletin and Review. Feresin C., Agostini T., Negrin-Saviolo N. (1997). Il ruolo della postura in un compito cinestesico e in un compito visivo di inclinazione. Giornale Italiano di Psicologia, 24, 295-307. Feresin C., Agostini T., Negrin-Saviolo N. (1998). Testing the validity of the paddle method for the kinesthetic and visual-kinesthetic perception of inclination. Behavior Research Methods, Instruments Computers, 30 (4), 637-642.
  • 20. 122 Feresin C., Howard I.P. (1994). Shear verticali, orizzontali e percezione ste- reoscopica di superfici inclinate. Giornale Italiano di Psicologia, 21, 665- 683. Feresin C., Howard I.P. (1995). Disparità verticali e movimenti oculari di ci- clovergenza nella percezione stereoscopica di superfici inclinate. Giornale Italiano di Psicologia, 22, 733-755. Feresin C., Negrin-Saviolo N. (2001). Postura e percezione di una superfi- cie inclinata. Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, 3, 433-443. Freeman R.B. (1966). Effect of size on visual slant. Journal of Experimental Psychology, 71, 96-103. Gibson J.J. (1950). The perception of visual surfaces. American Journal of Psychology, 63, 367-384. Gillam B, Ryan C. (1992). Perspective, orientation disparity, and anisotropy in stereoscopic slant perception. Perception, 21, 427-439. Gogel W.C. (1956). The tendency to see objects as equidistant and its in- verse relation to lateral separation. Psychological Monographs, 70 (4). Gruber H.E., Clark W.C. (1956). Perception of slanted surfaces. Perceptual and Motor Skills, 6, 97-106. Howard I.P. (1982). Human visual orientation. Chichester: John Wiley, pp. 383, 412-442. Howard I.P., Evans J.A. (1963). The measurement of eye torsion. Vision Re- search, 3, 447-455. Howard I.P., Kaneko H. (1994). Relative shear disparities and the percep- tion of surface inclination. Vision Research, 34, 2505-2517. Howard I.P., Rogers B.J. (1995). Depth contrast and cooperative processes. In Binocular vision and stereopsis. New York, Oxford: Oxford University Press. Huber J.W., Davies I.R.L. (1999). Accuracy of slope perception affected by the psychophysical method. Perception, 28 (Supplement), 106. Jastrow J. (1893). On the judgment of angles and positions of lines. Ameri- can Journal of Psychology, 5, 217-248. Kammann R. (1967). The overestimation of vertical distance and slope and its role in the moon illusion. Perception Psychophysics, 2, 585-589. Kinsella-Shaw J.M., Shaw B., Turvey M.T. (1992). Perceiving walk-on-able slopes. Ecological Psychology, 4, 223-239. Koffka K. (1935). Principles of Gestalt psychology. New York: Harcourt Brace (trad. it. Principi di psicologia della forma. Torino: Boringhieri, 1970) Kraft A.L., Winnick W.A. (1967). The effect of pattern and texture gradient on slant and shape judgments. Perception Psychophysics, 2, 141-147. Miller E.F. (1962). Counterrolling of the human eyes produced by head tilt with respect to gravity. Acta Otolaryngologica, 54, 479-501. Ohmi M. (1993). Depth perception of wide-angle surface. Abstracts of the 16th European Conference on Visual Perception. Perception, 22 (supple- ment), 114. Petrov A.P., Zenkin G.M. (1973). Torsional eye movements and constancy of the visual field. Vision Research, 3, 2465-2477. Pierce B.J., Howard I.P., Feresin C. (1998). Depth interactions between in- clined and slanted surfaces in vertical and horizontal orientations. Percep- tion, 27, 87-103. Phillips R.J. (1970). Stationary visual texture and the estimation of slant an- gle. Quarterly Journal of Experimental Psychology, 22, 389-397. Proffitt D.R., Bhalla M., Gossweiler R., Midgett J. (1995). Perceiving geographical slant. Psychological Bullettin, 2, 409-428.
  • 21. 123 Proffitt D.R., Creem D.R., Zosh W.D. (2001). Seeing mountains in mole hills: geographical-slant perception. Psychological Science, 12 (5), 418-423. Rock I. (1990). The frame of reference. In I. Rock (ed.), The legacy of Solo- mon Asch. Hillsdale, N.J.: Erlbaum, pp. 243-268. Wenderoth P. (1997). The role of implicit axes of bilateral symmetry in orientation processes. Australian Journal of Psychology, 49, 176-181. Wolfe J.M., Held R. (1979). Eye torsion and visual tilt are mediate by diffe- rent processes. Vision Research, 19, 917-920. Woodworth R.S., Schlosberg H. (1954). Experimental psychology. New York: Henry Holt Company. Youngs W.M. (1976). The influence of perspective and disparity cues on the perception of slant. Vision Research, 16, 79-82. [Ricevuto il 3 maggio 2004] [Accettato il 23 novembre 2004] Summary. The aim of our experiment was to test the kinesthetic judgment of a group of observers placed in front of two famous slopes of the Triestine karst. The results showed a high degree of accuracy when the observers were asked to rotate a manual paddle with their palm until the kinestetic impression of inclination was perceived as equal to the visual impression of inclination. There was no visual inclination overesti- mation, i.e. the well known phenomenon in which the inclination of a surface is per- ceived by the observer as more inclined with respect to the horizontal plane (Gibson, 1950). This finding suggests that using simple and artificial stimuli like figure outlines, random dots pattern, instead of more ecological stimuli like hills or urban roads might be the cause of the visual overestimation phenomenon. Our claim is that it would be useful to employ more ecological stimuli instead of impoverished ones like in many past experiments. La corrispondenza va inviata a Catina Feresin, Dipartimento di Scienze dell’Educa- zione, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Trieste, Via Tigor 22, 34123 Trieste, e-mail: paola@psico.univ.trieste.it