Nell’immaginario collettivo innovazione è sinonimo di big idea. Un’idea geniale frutto della mente del suo ideatore, un vero designer quindi, che diventa una sorta di deus ex machina in grado di portare l’impresa fuori dallo stallo grazie all’idea vincente sul mercato. Ma non può essere così: le idee geniali si sciolgono sulla brace della realtà, di Steve Jobs ne nasce uno su un milione, e gli uomini pronti a sacrificare tutto per raggiungere il loro obiettivo non sempre hanno un impatto positivo. Ma come cambiare allora le cose? L’innovazione richiede sopratutto un cambiamento di approccio che permetta il nascere delle idee che funzionano. Per fare questo abbiamo bisogno, oggi, di attrezzi intangibili, di metodi che che aiutino. E proprio il design ha generato uno dei metodi più utilizzati oggi per fare innovazione: il design thinking. Il design thinking, o human-centered design come lo definisce Tim Brown, ceo di IDEO, ci permette di creare soluzioni che soddisfano i bisogni reali delle persone progettando prodotti e servizi innovativi che guardano al futuro. Che è un passaggio tutt’altro che scontato: unire le necessità percepite (qualcosa di molto concreto) con una risposta che oggi non esiste (qualcosa di decisamente ideale). Il primo passo fondamentale di questa metodologia è la fase di empatia. E anche questa è una differenza importante. Perché per essere empatici non si può salire sul podio da deus ex machina. Utilizzando strumenti come l'osservazione e le interviste in profondità si riescono a raccogliere tutti quegli insight, letteralmente intuizioni e rivelazioni, direttamente dalle persone per cui si sta progettando che risultano informazioni fondamentali per comprendere le loro sfide e i loro bisogni reali. Noi designer quando progettiamo un servizio o un prodotto per gli altri utilizziamo sempre più spesso gli strumenti dell’empatia, ma come potremmo usare questa pratica quando progettiamo per noi stessi? Così come risulta fondamentale entrare in empatia con gli utenti quando si progettano soluzioni per soddisfare le loro esigenze, potremmo prendere decisioni migliori per il nostro futuro entrando in empatia con il nostro io di domani?