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ARCHIVIO
Del Fabro/Pirone
a cura dalla
Conflict Resolution Academy
Samuel Morland
ROMA
Una raccolta documentale
di accordi, suppliche ,
terminazioni,
sentenze, forme di giuramento,
raccomandazioni, dichiarazioni
e verbali concernenti la vita
e l’operato degli ebrei
del ghetto di Venezia
P E R
Li Capi Generali
dell’Università
tutta degl’ Ebrei
ARCHIVIO
Del Fabro/Pirone
a cura dalla
Conflict Resolution Academy
Samuel Morland
ROMA
Una raccolta documentale
di accordi, suppliche ,
terminazioni, sentenze
forme di giuramento,
raccomandazioni, dichiarazioni
e verbali concernenti la vita
e l’operato della comunità
del ghetto di Venezia
sottoposta agli
Inquisitori sopra l’Università
degli Ebrei
P E R
Li Capi Generali
dell’Università
tutta degl’ Ebrei
Per quante ricerche abbia fatto consultando cataloghi di libri antichi,
archivi tematici, siti di approfondimento, ecc, non mi sono mai
imbattuto in una copia gemella, o riedizione, del documento qui
pubblicato proveniente dall’archivio del mio antenato vissuto nella
prima metà del 1700, Ortensio Del Fabro.
Passando di generazione in generazioni, il documento approdò in Emilia
alla biblioteca di un mio prozio, Carlo Del Fabro, agiato e illuminato
proprietario di un’azienda agricola, presso il quale ho trascorso l’intera
giovinezza alternando i lavori in campagna alla scuola e ad intere serate
tese ad ascoltare i numerosi episodi della sua avventurosa vita da
combattente antifranchista in Spagna, esule antifascista in Francia e
partigiano in Italia durante la Resistenza nel Polesine.
Sotto la sua guida ho imparato ad amare la storia studiandola su testi di grande pregio editoriale , sui
voluminosi appunti da lui raccolti nel corso degli anni e su documenti d’archivio per tutto ciò che
riguardava l’Italia preunitaria e le minoranze etniche del nostro paese.
Tra queste un interesse particolare l’ho sempre riservato alla diaspora ebraica insediatasi in Italia e
dei suoi rapporti con i poteri locali.
Pertanto, il rinvenimento, e successivo possesso, di questo documento, del tutto inedito e di
indubbio valore documentale, mi ha spinto a renderlo noto per tutti coloro eventualmente
intenzionati ad approfondire l’argomento.
Originario di Socchieve in Carnia - all’epoca territorio appartenente
ai Possedimenti di Terraferma della Repubblica di Venezia-
svolse numerosi incarichi, in qualità di avvocato,
per conto della Serenissima.
Con Decreto del Senato del 19 settembre 1722 viene nominato membro
dell’ Inquisitorato sopra l’Università degli Ebrei.
Dal 1730 al 1752 esercitò, altresì, la funzione di Consigliere della
Cancelleria Dogale
Nella sua duplice veste ebbe ad interessarsi delle controversie sorte
tra la comunità ebraica ed il pubblico erario veneto concernenti
sospette evasioni di tributi ed obbligazioni in capo alla comunità.
A tal fine avvertì la necessità di documentarsi sui diversi aspetti
della vertenza ricorrendo alla stampa di tutti gli atti depositati
In originale presso la competente Cancelleria.
Non sappiamo con esattezza se e quante copie di tale documento
vennero stampate e distribuite.
Sta per certo che la copia di cui si servì il Del Fabro è stata
diligentemente conservata per anni dai suoi eredi fra le numerose
carte che documentano l’esercizio da lui espletato.
Nel 1966, alla morte di Carlo Del Fabro, fratello di mia nonna Lucia,
il documento, assieme a un generoso lascito librario
sei- settecentesco, è venuto ad arricchire la mia biblioteca.
Ortensio Del Fabro (1690-1761)
Uomo dai vasti interessi e di raffinata cultura il mio prozio Carlo ha vissuto tutte le stagioni
della sua lunga ed operosa esistenza partecipando con passione agli eventi più importanti
del 20° secolo : dalla prima guerra mondiale (assegnato al 2° Reggimento di Artiglieria
Sesta Batteria Udine si guadagna una medaglia d’argento al valor militare sul fronte del
Carso isontino ) al XVI Congresso del Partito Socialista Italiano (1921) schierato sul fronte
riformista; dalla collaborazione con Carlo Rosselli e Piero Gobetti (durante il suo esilio da
antifascista in Francia) alla partecipazione alla guerra civile spagnola del 1936-39
(inquadrato nella Brigata Garibaldi); dalla guerra partigiana contro l’occupazione tedesca
(nelle zone vallive del Comacchiese e dell’Argentano tra il 1943 e il 1945) alle battaglie
politiche contro il latifondismo degli anni 50. Sebbene impegnato nelle tante vicende
appena ricordate, Carlo non trascurò mai di coltivare la sua passione infinita per i libri e la
lettura con un interesse particolare per le vicende storiche ed umane legate al suo
ambiente di provenienza : la Carnia e, più in generale, all’antica Repubblica di Venezia e i
suoi Domini di Terraferma.
Carolus Del Fabro
Tali interessi lo portarono alla costituzione di una ricca
biblioteca nella quale confluirono diversi manoscritti e testi a
stampa editi a partire dal 1570 già appartenuti ai suoi antenati,
tra i quali il giureconsulto Ortensio Del Fabro di cui si è detto in
precedenza. Tra i reperti serbati tantissimi ex libris dal 16° al
20° secolo.
Una parte cospicua di questa raccolta di libri e memorie mi
venne affidata direttamente da Carlo all’atto del mio rientro a
Napoli dopo il lungo periodo trascorso presso la di lui tenuta
modello nella bassa ferrarese.
Un lascito che ha largamente contribuito ad assecondare il mio
interesse per la storia e il patrimonio di civiltà della “Tiere
furlane/ la Terra friulana” da cui trae origine la nostra
famiglia.
Carlo Del Fabro , 1918
Documento del 1600 Ex Libris
PREAMBOLO
Prima di passare all’esame del documento in esame ritengo sia
cosa utile sintetizzare con schematiche note storiche e di
costume, l’origine del Ghetto di Venezia , la vita che la comunità
ebraica vi conduceva e gli ordinamenti ai quali essa era
sottoposta.
Nella storia della diaspora europea e della presenza ebraica nella
Penisola, l'esperienza del Ghetto di Venezia è qualcosa di unico e
inimitabile.
Gli ebrei prima dell'espulsione dai domini spagnoli e portoghesi
risiedevano in Sicilia già dal Medioevo, erano poi presenti in Puglia
e a Roma. La componente ebraica nazionale è quindi sempre stata
molto variegata, una componente che si arricchì con l'arrivo dei
provenzali e degli ashkenaziti dal Nord Europa.
La singolarità dell'esperienza ebraica a Venezia è legata però a un
fenomeno che non è veneziano, ma italiano: i cristiani non
potevano prestare denaro a interesse e gli ebrei vennero spinti a
poco a poco a fare un mestiere che ad altri era proibito, sebbene
ai tassi imposti dalla Repubblica, diventando a tutti gli effetti, tra
il 1300 e il 1600, i banchieri d'Italia. Ma quanti erano gli ebrei ?
Molto pochi, si parla, nel 1500, di 30mila su una popolazione
italiana di circa 10 milioni di abitanti.
In quegli anni tutti gli ebrei del Veneto confluirono a Venezia dove
potevano risiedere in condizioni di apparente libertà.
Ciò diede luogo ad una serie di vicende emblematiche che hanno
segnato ed arricchito il patrimonio storico culturale non solo della
Serenissima Repubblica di Venezia ma dell’Europa tutta per
almeno tre secoli.
Venezia 1650
Venezia 17° secolo , incisione in legno
Ordinamento della Repubblica di Venezia
Il Doge rappresentava formalmente la sovranità e la maestà della Repubblica, ma aveva
scarso potere (essenzialmente il diritto di guidare in guerra l'esercito e la flotta, se non
venivano nominati specifici "Capitano/i de tera" o "Capitano/i de mar") ed era coadiuvato
e controllato nelle proprie funzioni da sei consiglieri, coi quali costituiva il Minor
Consiglio (o Serenissima Signoria).
La sovranità risiedeva invece nel Maggior Consiglio, l'organo fondamentale dello Stato al
quale appartenevano di diritto i membri maschi e maggiorenni delle grandi famiglie
patrizie.
Il Maggior Consiglio esercitava poi la propria sovranità attraverso dei Consigli minori di sua
emanazione:
 il Collegio, cioè il governo della Repubblica,
 il Senato (o Consiglio dei Pregadi), responsabile per la politica estera,
 l Consiglio dei Dieci, responsabile della sicurezza dello Stato che nel tempo tende
a costituirsi come un organismo quasi onnipotente, baluardo delle istituzioni
repubblicane e dell'ordinamento oligarchico.
 I tribunali della Quarantia.
Un capitolo a parte merita l'amministrazione della Giustizia, ammirata per secoli in tutto
il mondo tanto da meritare alla Repubblica il titolo di Serenissima, proprio per la
tolleranza (verso stranieri e verso nuove ideologie, ecc.) derivante dalla maniera
equilibrata di fare giustizia.
Essa si basava su un ridotto ruolo degli avvocati, su giudici non di carriera (aristocratici
nominati per 1 o 2 anni, anche nelle alte gerarchie), e soprattutto per il modo di applicare
le leggi al singolo caso concreto, che teneva conto delle decisioni precedenti
(giurisprudenza) ma soprattutto mirava a realizzare la giustizia sostanziale, anche
negando l'applicabilità di certe leggi se queste ledevano i principi superiori di giustizia,
ossia la verità, il buon senso, la fede e l'equilibrio naturale delle cose.
Cinquecento anni fa, il 29 marzo 1516, il Senato della
Serenissima Repubblica di Venezia deliberò che gli ebrei di
diverse contrade cittadine si trasferissero "uniti" (cioè
tutti) nella corte di case site in Ghetto, presso San
Girolamo.
Nasceva così il primo "recinto degli ebrei". Si trattava in
origine del "geto de rame", il luogo in cui venivano
riversati ("gettati") gli scarti della lavorazione delle
fonderie presenti nella zona.
Nel corso dei secoli, e su tutti i continenti, questa parola
veneziana sarebbe presto diventata sinonimo di
segregazione.
Nato come misura di confinamento, il Ghetto diviene in
breve un luogo effervescente e cosmopolita, che accoglie
gli ebrei provenienti dai luoghi più diversi, oltre a
rappresentare uno dei centri di commercio fondamentali
della Repubblica veneziana.
La struttura architettonica delle sue case - inusuale per
Venezia - con i suoi caseggiati stranamente sviluppati in
altezza per far posto al numero crescente di abitanti
confinati nel luogo -, si intreccia alla vicenda storica del
luogo, decisamente centrale per l'Italia e per l'Europa. Qui
sorgono i banchi di pegno dai quali passerà buona parte
del prestito di denaro della potenza lagunare, ma nel
Ghetto non mancano le professioni liberali e la cultura,
che fanno di Venezia una delle capitali indiscusse del
mondo ebraico e non solo.
IL GHETTO (1)
Una vista attuale del Ghetto di Venezia
Il luogo era delimitato da due porte che, come aveva precisato il Senato il 29 marzo
1516, sarebbero state aperte la mattina al suono della “marangona (la campana di
San Marco che dettava i ritmi dell’attività cittadina) e richiuse la sera a mezzanotte
da quattro custodi cristiani, pagati dai giudei e tenuti a risiedere nel sito stesso,
senza famiglia per potersi meglio dedicare all’attività di controllo. Inoltre si
sarebbero dovuti realizzare due muri alti (che tuttavia non saranno mai eretti) a
serrare l’area dalla parte dei rii che la avrebbero circondata, murando tutte le rive
che vi si aprivano. Due barche del Consiglio dei Dieci con guardiani pagati dai nuovi
“castellani”, circoleranno di notte nel canale intorno all’isola per garantirne la
sicurezza. Il 1 aprile successivo, la stessa “grida” venne proclamata a Rialto e in
corrispondenza dei ponti di tutte le contrade cittadine in cui risiedevano i giudei”.il
Ghetto di Venezia fu dunque una realtà fortemente permeabile, in costante
interazione con l’esterno e in primis con la città lagunare, essa stessa
straordinariamente multinazionale e multietnica, per convinzione o pragmatismo.
La scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto fu vissuta come il
male minore e la chiusura, una palese discriminazione, finì per trasformarsi anche in
un’utile difesa, perché gli ebrei, soggetto politicamente debole all’esterno delle
mura, diventarono all’interno autonomi, quasi padroni delle loro azioni, in molti casi
ben più di tanti abitanti e sudditi che vivevano alla completa mercé del doge, del
principe, del papa o del re
A Venezia questo Hazzer (parola ebraica per definire il recinto), il Ghetto – preso a
modello negativo in tutta Europa come realtà fisica e come termine – si trasformò a
poco a poco in un’istituzione quasi a sé, “uno scudo”, come scrive Riccardo Calimani,
“che, pur nella precarietà dilagante disponeva, nonostante tutto, di poteri e
privilegi che gli permettevano di farsi ascoltare e di trattare con i propri
interlocutori all’esterno, con una libertà d’iniziativa in qualche caso sorprendente”.
Cosmopolita al suo interno – qui vennero a convivere ebrei tedeschi e italiani, ebrei
levantini, ponentini e portoghesi – il Ghetto di Venezia fu dunque una realtà
fortemente permeabile, in costante interazione con l’esterno e in primis con la città
lagunare, essa stessa straordinariamente multinazionale e multietnica, per
convinzione o pragmatismo.
IL GHETTO (2)
.
FONTE - Venezia : Archivio di Stato, Magistrati al Cattaver
IL GHETTO ( 3)
Sezione verticale di un edificio nel Ghetto Nuovo, tipico delle più antiche
strutture, con negozi al livello più basso e sopra le residenze.
1777
(da Guido Costante Sullam)
Sviluppo del Ghetto di Venezia
dal 1516 al 1797
“Loco stabile et separato,
deputato agli ebrei;
ne’ alcun cristiano in quello
possi star, overo tegnir
bottega”
IL GHETTO ( 4 )
Avviso del 1603
Tra gli ebrei presenti a Venezia emersero per la loro dottrina, oltre ai medici,
anche altri grandi ingegni quali il grammatico Elia Levita, Leon da Modena,
rabbino letterato dalle esperienze eclettiche (autore della celebre Historia
de’ riti Hebraici); Simone Luzzatto, rabbino e scrittore, e la poetessa Sara
Copio Sullam, celebre per il suo salotto letterario e per il Manifesto con il
quale si difendeva dall’accusa, mossale dal vescovo di Capodistria, Baldassar
Bonifacio, di aver negato l’immortalità dell’anima.
Al massimo del suo splendore, prima della pestilenza del 1630, l’ Università
degli Ebrei (così si chiamava allora la comunità) contava quasi 5 mila
persone. Una memoria dei Cinque Savi, del 15 marzo 1625, stimava in 100
mila ducati annui il contributo ebraico per il bene pubblico e l’utile privato
della città.
Gli ebrei benestanti, anche se in ghetto, vivevano con sfarzo (come
testimoniano i molteplici tentativi dei capi della comunità di prevenire
l’ostentazione del lusso e il diffondersi del gioco d’azzardo).
All’interno dei portoni, oltre ai luoghi di studio e di preghiera, si trovavano un
teatro, un’accademia di musica, cenacoli e salotti letterari. Sulla calle
principale del Ghetto Vecchio si affacciavano ogni sorta di botteghe: da
quelle di più immediata utilità a una libreria nel campiello delle Scole;
esistevano un albergo con 24 stanze, presso la Scuola Levantina, una locanda
e un ospedale in corte dei Barucchi, insomma quasi una città nella città, uno
stato di grazie che fu stravolto dall’arrivo della peste che, tra il 1630 e il
1631, dopo aver percorso tutta l’Europa, arrivò anche in laguna uccidendo
50.000 persone, quasi il 40% della popolazione tra la città e il resto del
dogado .Le vittime ebree del terribile morbo furono circa 450, una
percentuale nettamente inferiore rispetto a quella registratasi fra il resto
della popolazione e ciò grazie anche alle rigide norme igieniche imposte. per
l’occasione, all’interno del ghetto.
La vita culturale nel Ghetto
Sara Copio Sullam (1592-1641),
la poetessa del ghetto
Allieva di Leone Modena, diventa esperta in teologia, filosofia, lingue,
astrologia, storia della religione ebraica e letteratura rabbinica.
Compone versi che la rendono celebre anche al fuori del mondo ebraico,
e nella sua abitazione del Ghetto Vecchio dà vita a uno dei più raffinati
salotti letterari nella Venezia della prima metà del XVII secolo.
La ricorda anche Giorgio Bassani, in “Il giardino dei Finzi Contini”, pur
cambiandole cognome: «Nella sua casa, in Ghetto Vecchio, aveva tenuto
aperto per qualche decennio un importante salotto letterario
assiduamente frequentato, oltre che dal dottissimo rabbino ferrarese-
veneziano Leone da Modena, da molti letterati di primo piano
dell’epoca, e non soltanto italiani.
Aveva composto molti “ottimi” sonetti che riscossero notevole
apprezzamento.
Aveva corrisposto brillantemente per lettera, durante oltre quattro
anni, col famoso Ansaldo Cebà, un gentiluomo genovese, autore di un
poema epico sulla regina Ester, il quale si era messo in testa di
convertirla al cattolicesimo, ma poi, alla fine, visto inutile ogni
insistenza, aveva dovuto rinunciarvi.
Una gran donna, in conclusione, onore e vanto dell’ebraismo italiano in
piena Controriforma.» Il salotto di Sara – tra l’altro donna assai
avvenente – diventa punto di riferimento per i dotti di ogni dove, siano
ebrei o gentili, che accorrono per sentirla discettare o per udirne i versi.
Purtroppo non ci sono giunti suoi testi, a parte la risposta a un libello in
cui la si accusava di non credere all’immortalità dell’anima.
.
Presunto ritratto di
Sara Copio Sullam
Accademia degli Incogniti
(Venezia, 1631-1637
Mappa del Ghetto di Venezia anno 1775.
Fondo archivistico : Ufficiali al Cattaver
Mappa del Ghetto di Venezia anno 1780.
Fondo archivistico : Ufficiali al Cattaver
Il Ghetto di Venezia secondo una moderna illustrazione
GHETTO DI VENEZIA
Schola Italiana Schola Levantina
L’arte Medica nei territori della Serenissima
All’inizio del sedicesimo secolo Venezia era un eccellente centro di cultura
scientifica anche grazie alla presenza di medici provenienti dalle diverse parti
della penisola – fra i quali non pochi ebrei - ricercatissimi dalla nobiltà e dell’alto
clero .
Ce lo testimoniano autorevoli figure di patrizi e di ecclesiastici che si circondano
di dotti medici ebrei e ne assumono la protezione: così il cardinale Domenico
Grimani ebbe come medico e maestro d'ebraico Abraham de Balmes; Andrea
Gritti si circondò egli pure di medici ebrei, sia all'epoca della difesa di Padova
(1509-1513), sia favorendone la venuta a Venezia durante il suo dogato. Nel 1529
soggiornò sulla laguna il celebre medico ebreo Simon Jacob, personaggio
polivalente, mercante ed esperto di gioie, che si interessava altresì al problema
del rifornimento idrico delle città. Mail più celebre è sicuramente David de’
Pomis che divenne il medico personale del doge Alvise Mocenigo e poté operare
anche presso la popolazione cristiana.
Anche tra gli ebrei residenti nei territori di Terraferma molti si dedicano all’arte
Medica e discipline affini.
Nel primo secolo di vita del ghetto 80 medici ebrei si laureano a Padova,
ottenendo alta considerazione e la deroga all’obbligo di restare nel ghetto di
notte.
A spiegare la scarsa propensione dei veneziani all’esercizio dell’arte medica nel
600 - '700 ce lo chiarisce, attraverso le sue Memorie, Carlo Goldoni “…un nobile
veneziano, un patrizio, membro della repubblica, mentre non si degnerebbe di
fare il negoziante, o il banchiere o il notaio o il medico o il professore
universitario, abbraccia l'avvocatura, ne fa esercizio a Palazzo e dà agli altri
avvocati [non nobili> il nome di colleghi".
Così Venezia poté disporre di un elevato numero di "fisici" e di medici chirurghi,
alcuni dei quali potevano appartenere a vecchie famiglie veneziane non patrizie,
mentre una netta maggioranza, pari ai due terzi dei casi conosciuti, proveniva da
famiglie di recente o recentissimo insediamento. .
La Teriaca veneziana , panacea di tutti i mali ( 1 )
Nella storia della medicina la Teriaca è un antico rimedio dotato di virtù magiche,
curative e capace di risolvere ogni tipo di male, prescritto ininterrottamente dai
medici per ben duemila anni.
Il nome deriva dal greco thériakè•, che veniva usato per indicare gli animali velenosi
(più in particolare la vipera).
La preparazione era un rito studiato nei minimi particolari.
La Teriaca veneziana era la più apprezzata in modo assoluto. poiché gli speziali
veneziani potevano utilizzare più facilmente le droghe provenienti dall'Oriente, e
queste spezie conferivano al prodotto una qualità superiore.
Quella prodotta in altre zone e considerata falsa, veniva gettata in modo plateale dal
ponte di Rialto. Il miracoloso antidoto veniva esportato in Spagna, Francia,
Germania, Grecia, Turchia e Armenia, sigillato in apposite confezioni e accompagnato
da documenti che attestavano l’autenticità del prodotto.
Per raggiungere il massimo dell’efficacia, la Teriaca doveva maturare per almeno 6
anni. Ma la medicina si poteva utilizzare fino a 36 anni dopo la data di preparazione.
Si assumeva stemperata nel vino, nel miele o nell’acqua.
Le classi abbienti usavano avvolgerla in una foglia d’oro.
La leggenda e la fortuna dell’antidoto buono per tutte le malattie durarono per
secoli, fino all’età moderna.
La Teriaca continuò ad essere confezionata a Bologna nel corso del 1796 e a Venezia
fino alla metà dell’Ottocento.
La preparazione
Quando serviva la Teriaca : uso e dosaggio ( 2 )
Attraverso la lettura della copiosa documentazione disponibile, possediamo
sufficienti informazioni sui presunti effetti terapeutici della Teriaca e i diversi
ingredienti e modi di approntamento.
Era un ottimo ricostituente, aiutava la vista, agiva contro le infezioni al fegato e
ai reni. Placava l’insonnia, le febbri maligne, le coliche, la tosse, le emicranie e
ogni sorta di infezione. Veniva usata anche contro la peste e la lebbra.
Si diceva avesse effetti benefici sull’epilessia e la pleurite. Non da ultimo poteva
essere d’aiuto nei casi di pazzia e perché no, risvegliare gli appetiti sessuali.
Per quel che riguardava modi e tempi di assunzione, vi erano regole ben precise.
Andava presa dopo che il corpo veniva completamente purgato, pena effetti
contrari. Escludendo casi gravissimi, era meglio usarla solo nei mesi meno caldi,
cioè in autunno, in inverno e nel principio di primavera.
Il dosaggio variava a seconda della gravità delle malattie e dell’età del paziente.
Da una dramma (circa 1,25 grammi) a mezza dramma da sciogliere in vino, miele
o acqua.
L'elemento più curioso della preparazione è la carne di vipera dei Colli Euganei,
femmina, non gravida, catturata qualche settimana dopo il letargo invernale;
veniva privata di testa, coda e viscere e poi bollita in acqua e aromatizzata con
aneto, triturata, impastata con pane secco, lavorata in forme tondeggianti della
dimensione di una noce e posta ad essiccare all'ombra. Altro componente
fondamentale era l'oppio, che doveva provenire rigorosamente da Tebe, perché
di qualità superiore rispetto a quello turco. Altri ingredienti erano l'asfalto, il
benzoino, la mira, la cannella, il croco, il solfato di ferro, la radice di genziana,
il mastice, la gomma arabica, il fungo del larice, l'incenso, la scilla, il castoro, il
rabarbaro, la calcite, la trementina, il carpo balsamo, il malabatro, la terra di
Lemno, l'opobalsamo e la valeriana.
Nella città di Venezia, solo alcune spezierie
erano autorizzate a preparare la Teriaca:
l’Aquila nera, le Tre Torri, lo Struzzo , la
Madonna, i Due Mori e Testa d’oro,
Pare che la migliore fosse quella prodotta
dalla farmacia la “Testa d’oro”, che si
trovava ai piedi del Ponte di Rialto, dalla
parte di S. Bartolomeo, e che ora è
identificabile soltanto dalla TESTA D’ORO,
una scultura bronzea collocata sopra una
porta (Salizada Pio X), e da una breve scritta
sbiadita: «Theriaca d’Andromaco». Questa
farmacia aveva il privilegio di fabbricare il
preparato tre volte all’anno, mentre le altre
farmacie erano autorizzate a farlo soltanto
una volta.
Alcuni ingredienti della Teriaca
La Teriaca : dove si vendeva a Venezia ( 3 )
Il Cimitero Ebraico del Lido è uno dei più antichi al
mondo e costituisce una delle prime testimonianze
della comunità ebraica veneziana. Fu istituito per
concessione della Repubblica di Venezia nel 1389, in
seguito a una disputa con i frati del vicino monastero
di San Nicolò, che reclamavano la proprietà del
terreno. Fu utilizzato e ampliato fino al 1641, ma poi
cadde in disuso,
.
Insieme alle lapidi di epoca medievale, ne sono state
rinvenute e catalogate più di mille databili tra il 1550
e il primo '700. La suggestione di questo luogo ha
ispirato profondamente numerosi poeti e letterati del
Romanticismo, tra i quali Lord Byron e Goethe.
Il Disegno a inchiostro illustra il
trasporto di un ebreo defunto in
gondola verso il cimitero del Lido,
con due figure che rappresentano
un maiale, uno posto sotto il
corpo del defunto e uno sopra il
felze. L'immagine è un segno della
irrisione a cui erano sottoposti gli
Ebrei, ed è particolarmente
significativa perché all'interno di
un registro pubblico.
Il Cimitero Ebraico del Lido
Alcune lapidi del cimitero ebraico di Venezia
Il segno distintivo
Il decreto 68 del Concilio Lateranense IV ingiunge agli infedeli di rendersi individuabili
attraverso un generico segno di riconoscimento, che però non viene indicato.
Sarà più specifico, nel 1227, papa Onorio III: durante il concilio di Narbona, preciserà che
gli Ebrei dovranno distinguersi dai Cristiani attraverso una “spilla” di panno di forma
circolare, da indossare appuntata al petto.
Da lì in poi, vari papi torneranno a ribadire l’obbligo: nel 1317, il concilio di Ravenna
specificherà il colore di questa “spilletta” (giallo acceso); nel 1360, papa Innocenzo VI
deciderà che la spilletta non va più bene e ci vuole invece un cappello rosso; nel 1425,
Benedetto XIII tornerà a imporre il segno a forma di ruota, alternativamente rossa o gialla…
e così via dicendo
Nel Veneto, al cerchio di panno, giallo, introdotto nel 1396, subentrò, dal 1496, il berretto,
inizialmente giallo, poi cremisi.
Soltanto Venezia permetteva agli ebrei di passaggio di girare per tre giorni senza alcun
segno distintivo.
Costume delle donne ebree
Alcune delle professioni esercitate dagli ebrei
Mercanti e banchieri
Sarti
Tessitori
Un venditore ebreo di pentole,
stoviglie e utensili da cucina usati
Venditore ambulante ebreo
1780
I venditori ambulanti
Merciai ebrei
“Dalla tribù di Ruben io discendo
e trine e tele a chi ne vuole ne vendo”
Da sempre nell'immaginario collettivo, grazie anche ad
una famosa commedia di William Shakespeare ‘Il
Mercante di Venezia', gli Ebrei vengono visti come usurai
pieni di denaro e avidi. In realtà non tutti sanno che essi
erano costretti a fare gli usurai, perché lo imponevano fin
dal Medioevo le leggi dei paesi in cui risiedevano, dal
momento che la Chiesa considerava peccato il prestare
denaro ad interesse.
A Venezia, dove venne creato il primo Ghetto del mondo,
esistevano tre banchi dove si poteva impegnare un
oggetto in cambio di un prestito in denaro. Prestatori di
denaro ebrei sono documentati a Venezia già nel XIV
secolo ma la loro regolamentazione avvenne nel corso del
‘500 quando il Ghetto fu istituito; lo stato stesso
incentivava l'attività di questi banchi, per avere meno
poveri di cui occuparsi.
Questi tre banchi, il rosso il verde e il nero, sopravvissero
fino alla fine della Repubblica (1797), poi se ne perse il
ricordo. L’assegnazione dei colori deriva dal genere di
ricevuta che i clienti ricevevano quando lasciavano in
pegno un oggetto. Si pensa che il termine bancario
‘andare in rosso', derivi proprio da uno dei tre predetti
banchi di pegni veneziani.
Gli ebrei e la nomea di “usurai”
Alcune immagini del
Banco Rosso
Una classica raffigurazione del ricco
mercante ebreo
Il poeta francese del XIII secolo, Goffredo di
Parigi, nella sua Chronique rimée (Cronaca
rimata) racconta che i banchieri ebrei erano
benvoluti grazie ai loro bassi tassi di interesse.
“Tutta la povera gente si lamenta
perché gli Ebrei furono molto più buoni facendo i
loro affari
di quanto non sono ora i Cristiani.
Garanzie chiedono e vincoli,
pegni domandano e tutto carpiscono
per spennare e pelare la gente
Ma se gli Ebrei fossero
rimasti nel regno di Francia,
i Cristiani avrebbero avuto
un grandissimo aiuto, che non hanno più.”
Banchieri ebrei da “Digesta seu Pandectae”
Italia settentrionale XIV secolo
Contro ogni luogo comune
Il “Ducato d’Oro” veneziano o “ Zecchino”
Nel corso della sua lunga storia la Repubblica di Venezia ebbe due
monete : una, d’argento, in seguito detta grosso o matapane che
fu coniata intorno al 1202, l’altra, d’oro, il ducato coniata per la
prima volta dal doge Giovanni Dandolo nel 1284 e che alla metà
circa del 16° secolo - sotto il doge Pietro Lando - prese il nome di
zecchino.
Dello zecchino si ebbero dei multipli da 2 sino a 105 zecchini (del
peso di 367,41gr.), quelli più grossi, normalmente dai 10 zecchini in
su, sono chiamati comunemente monete da ostentazione, battuti
per capriccio, in realtà avevano corso legale in quanto per gli
scambi e i commerci in generale i pagamenti avvenivano a peso
d’oro e non a numero.
Il nome ducato viene da "doge", dux in latino, pesava 3,44 g con un
titolo dello 0,997.
Il ducato conserverà per tutti i 73 dogi che lo hanno coniato una
identica figurazione. Nel diritto la figura di San Marco in piedi
nell’atto di consegnare il vessillo al doge inginocchiato. La
leggenda riporta il nome del doge a destra e SMVENET (o I) a
sinistra, lungo l’asta del vessillo la parola DUX. Nel rovescio il
Cristo benedicente in piedi in un’aureola ellittica cosparsa di stelle
con la leggenda SIT T XPE DAT Q TU REGIS ISTE DUCAT (Sit tibi
Christe datus, quem tu regis iste ducatus). Si tratta di un perfetto
esametro cosiddetto “leonino” cioé rimato alla cesura
pentemimera (a metà del terzo piede) con la parola finale. La
traduzione letterale é la seguente: ” Sia a Te o Cristo affidato
questo Dogado che Tu governi”.
Zecchino g.3,48
Conio sotto il doge Pietro Grimani
(1741-1752)
Il perché i ducati non abbiano mai
riportato il ritratto realistico del
Doge sotto il cui dogato furono
battuti e abbiano invece mantenuto
pressoché immutate le immagini
iconografiche impersonali a fianco
descritte, è
una particolarità veneziana che trae
origine da una legge voluta dal
Maggior Consiglio nel1474.
Però ancor prima di tale legge,
questa era già una consuetudine .
Il Doge, infatti, doveva, con la sua
figura, rappresentare unicamente il
potere dello Stato e mai il potere
personale.
La circolazione monetaria
e il potere d’acquisto del ducato
Nelle transazioni commerciali il mercato nutriva grande fiducia nelle
monete emesse dalla Repubblica veneta; una volta che una persona
qualsiasi si trovasse in mano uno di questi pezzi, era certo che la
moneta in suo possesso aveva un’ottimo valore di acquisto e fiduciario
ed inoltre, come era successo per le monete romane, (soprattutto i
denari), la moneta aurea veneziana aveva circolazione estremamente
ampia, anche al di fuori dei confini di stato.
Il titolo dell’oro impiegato si mantenne costante nel corso dei secoli:
circa 997 millesimi. E’ interessante notare che il nome “Zecchino” dato
alla moneta nel XVI secolo sia poi passato ad indicare l’oro puro, a 24
carati.
Moneta da 105 zecchini emessa
sotto il doge Lodovico Manin
il cui peso era di 367,41gr. d’oro
Per avere un’idea del potere d’acquisto della moneta veneziana si riportano di seguito alcuni tipi di
transazioni nella prima e seconda metà del settecento.
 Nel 1703 lo stipendio annuo di Antonio Vivaldi come maestro di violino era di 60 ducati (portato
a 100 nel 1704 e a 150 nel 1705 con l'incremento delle responsabilità).
 In un documento del 1751 si trova ad esempio:
“…. quaranta ducati all'anno, dieci ogni tre mesi, devono essere messi da parte dai profitti della
bottega per pagare il cibo del garzone”
 Nel volume di Nicolò Papadopoli "Le monete di Venezia" che contengono interessanti notizie
sulle riforme monetarie e i valori della moneta veneziana a pag. 416, si legge: “ Il Principe
(Wuertemberg) - scrive il fattore nel 1767 - ha preso in affitto per alloggio suo e della fiorita sua
corte, tre palazzi, per puro ornamento dei quali ha contrattato di dare all'ebreo Mandolini 300
zecchini al mese di nolo. La sua corte è composta da 75 persone....”.
La parlata Giudeo-Veneziana
Nei testi destinati alle scuole e, forse, anche nel loro parlar
quotidiano, gli ebrei hanno usato per le loro traduzioni bibliche, fin
dai primi secoli della lingua italiana, un modo linguistico che, per
molti aspetti, si differenzia dall’italiano antico: il cosiddetto giudeo-
italiano.
Dopo la chiusura nei ghetti, essi assunsero quasi sempre i vari
dialetti locali, inserendovi spesso parole ebraiche, adattate alle
strutture dialettali. Ogni comunità ebbe così la sua parlata: giudeo-
romanesco, giudeo-livornese (bagitto), giudeo-veneziana.
La parlata giudeo-veneziana è dunque un complesso di espressioni,
locuzioni, proverbi, modi di dire di origine ebraica, per la maggior
parte, ma anche di derivazione tedesca o spagnola, inseriti nel
tessuto dialettale lagunare, ma la cui specificità va ricercata, oltre
che nell’aspetto linguistico, anche nella mentalità e nello spirito del
ghetto che esso riflette.
L’arte tessile friulana ha radici antichissime. Nel Settecento, la
manifattura di Jacopo Linussio svolse un ruolo sociale, economico e
culturale molto rilevante. Dopo la chiusura dell’impresa Linussio, i
maestri tessitori della Carnia continuarono a tessere a mano lini,
canape e tessuti di lana per arredamento e abbigliamento,
dimostrando notevoli abilità progettuali, tecniche e manuali.
A far conoscere e diffondere nel Nord Europa tale produzione furono
in particolare i mercanti ebrei della Serenissima attraverso i loro
ramificati canali commerciali.
Essi, all’epoca, avevano ottenuto il placet all’esportazione di
specifiche produzioni derivanti da attività industriali, quali l’industria
tessile dell’abbigliamento, quella dei prodotti vetrari e la vendita
degli articoli di lusso. Per il mercato interno era consentito solo il
commercio dei panni usati attraverso gli “strazzari” al fine di non
danneggiare i venditori locali come ci riferisce Vettor Sandi nella sua
opera “Principj di storia civile della Repubblica di Venezia” edita
nel 1756.
Prodotti dell’industria
tessile friulana
Gli ebrei, promotori ante litteram del Made in Italy
La stampa ebraica e il rogo dei Talmud
Nello stesso anno in cui gli Ebrei furono chiusi nel Ghetto (1516)
cominciò a fiorire a Venezia la stampa ebraica che andò acquistando
sempre maggior importanza fino ai primi decenni del ‘600 quando
cominciò a decadere per vari motivi e le tipografie di Amsterdam e di
altre città tolsero questo primato.
Esperti stampatori tedeschi, cacciati dai loro Paesi, si erano fermati a
Venezia, grande centro dell’editoria internazionale sin dalla fine del
‘400, e non potendo aprire botteghe in proprio erano entrati in quella
di Daniel Bomberg, un commerciante di Anversa che fu il fondatore
della stampa ebraica a Venezia e il più celebre editore cristiano di
libri ebraici.
Bomberg pubblicò, oltre a vari formulari di preghiera, l’edizione
integrale del Talmud babilonese e di quello palestinese, e le tre
edizioni della Bibbia rabbinica con il commento (masorà) maggiore e
minore. Altre tipografie, cessata l’attività di Bomberg, continuarono
a stampare testi ebraici: da Marco Antonio Giustiniani ad Alvise
Bragadin, a Giovanni Gara e altri che divennero ben presto rivali fra
di loro. Una disputa per ragioni commerciali fra Giustiniani e Bragadin
venne trasformata dalla Curia romana, cui i contendenti si erano
rivolti, in un’accusa di aver stampato un libro eretico, cioè il Talmud,
pieno di bestemmie contro Dio.
Il 12 agosto 1553 papa Giulio II ordinò la distruzione del Talmud e il
21 ottobre successivo, un sabato, per ordine del Consiglio dei Dieci fu
fatto “un bel rogo” di tutti i libri di argomento talmudico in Piazza
San Marco, mentre altri libri ebraici furono bruciati nel 1568. In
seguito fu nuovamente concessa la stampa di libri ebraici, previa
censura, cioè quella “licenza dei Superiori” che troviamo in tutti i
libri ebraici stampati a Venezia dalla seconda metà del ‘500: ma
ormai il periodo d’oro della stamperia ebraica a Venezia era
tramontato ed altre città, soprattutto Amsterdam, le avevano tolto il
primato.
Censura all’opera
Le danze ebraiche sono ricche di influssi culturali
diversi: Europa dell’Est, mondo arabo, Spagna.
Nella Bibbia si accenna alle danze, che però non vengono
mai descritte. “Si sa soltanto che danzare era un modo
per pregare, spontaneo e ancora non codificato”
Nel corso dei secoli la danza per il popolo d’Israele ha
rappresentato insieme la sua massima e più esaltante
espressione corporea e qualcosa da reprimere, quando
con la diaspora esso ha dovuto nascondere la propria
esistenza.
Nel 700 nasce il movimento Chassidico ( nuovo fervore in
ambito religioso) e la danza diventa espressione della
gioia del vivere quotidiano per allontanare la tristezza e
la miseria. Tale gioia si esprime con movimenti fluidi e
dinoccolati. Ma la musica talvolta è ancora malinconica
in ricordo della diaspora e della propria terra lontana.
Con il ritorno nella terra promessa negli anni 1920-30 la
danza si riappropria del vigore e dell’entusiasmo
soffocati nel corso dei secoli ispirandosi al folklore
europeo, dell'Africa del Nord, del vicino Oriente, e torna
ad essere un aspetto fondamentale della vita come nella
tradizione ebraica, che “non contempla la separazione
fra anima e corpo”. Rievocazione storica di antiche danze ebraiche
Le danze ebraiche
/
Il matrimonio nella società ebraica
KETUBAH
Contratto matrimoniale ebraico tra
Diana bat Gavri’el Barak Caravaglio
con
Mošeh ben Ya’aqov Baruk Caravaglio
22 ottobre 1723
(lunedì 14 Nissan 5483).
Una delle caratteristiche più interessanti dell’alfabeto ebraico
è quella di esprimere un concetto compiuto attraverso una
semplice lettera o un suo abbinamento con un’altra.
“Insegnare e imparare” è l’atto più importante nella vita
dell'ebreo religioso e tale attitudine è rappresentato dalla
lettera Lamed
Essa è la più alta lettera dell‘ alfabeto e sta ad indicare anche
la potenza dell'anima di ascendere e di discendere a guisa
della scala di Giacobbe
L'uomo ha il dovere di insegnare la Legge e la Volontà di Dio,
ma non può farlo sino a quando non ha acquisito conoscenza.
Ma la lettera Lamed indica anche direzione, moto a luogo,
scopo e, quindi, il progetto stesso della propria vita.
Sotto l’aspetto numerologico Lamed indica anche un valore : il
trenta , il numero della forza, l’entrata nel futuro, il numero di
Yehudà, il re d'Israele.
Per Daniela Saghi Abravanel Lamed si snoda verso l'alto simile
all'iconografia del serpente propria della filosofia orientale
che, nella rettificazione del rapporto con l'altro, trova la sua
statura eretta.
La rettificazione del senso del piacere della sessualità è legata
agli insegnamenti del mese di tishré, il mese dell'amore.
Alcune variazioni della lettera Lamed
Insegnare e imparare
UNICITA’ DELLA LINGUA EBRAICA
Ogni lettera dell‘ alfabeto ebraico è un
vettore d'energia e di luce divina, che
agisce sulla consapevolezza umana in
modo triplice: tramite la sua forma,
nome e valore numerico. Infatti per la
tradizione ebraica le lettere sono cariche
di una energia trascendente che lega
l'umanità alla ragione stessa del suo
divenire escatologico.
Ogni lettera ebraica è un canale tramite
il quale vengono riversati nel mondo
correnti di purissima energia, che si
differenziano a seconda dell'aspetto
grafico, del suono, del significato del
nome, e del valore numerico della lettera
in questione.
Unico tra tutti gli alfabeti del mondo,
quello ebraico riunisce in sé una serie di
insegnamenti profondi e ineguagliabili,
racchiusi nella triade: suono, forma,
numero.
Tradizioni ebraiche a Tavola
Gli ebrei sono un popolo con una grande storia, costellata da tantissime e antiche tradizioni.
Molte di queste tradizioni sono legate al loro credo religioso che influenza anche l’alimentazione,
imponendo regole da rispettare a tavola.
Secondo la loro tradizione, l’altare è sacro ed è simbolicamente associato alla tavola.
Per questo la tavola è avvolta da un’aura di sacralità.
Sulla tavola, infatti, si compie il rito del consumo dei pasti della giornata.
Il popolo ebraico, come da tradizione, considera il cibo a disposizione un dono di Dio e attribuisce agli
alimenti una grande importanza, osservando con grande attenzione le regole contenute nella Torah (cucina
kosher). Gli ebrei osservanti si approcciano ai diversi pasti della giornata in modo rispettoso, recitando due
benedizioni che appartengono ad una tradizione antichissima.
BERAKHA’ (dalla radice Barak che significa ginocchia, si
riferisce all’antica tradizione di piegarsi sulle ginocchia
mentre si recitava la benedizione). Il rituale di questa
benedizione comincia con la pulizia delle mani; si
procede poi versando l’acqua in un recipiente e
pronunciando la Berakhà. Si benedice il pane e ogni
altro alimento presente sulla tavola. Questa
benedizione compare nel libro di Rut, riferendosi alle
parole rivolte ai mietitori che lavoravano nei campi per
portare sulle tavole i prodotti della terra.
Così gli ebrei osservanti ringraziano Dio per il cibo a loro
donato.
BIRKAT HAMAZON è la benedizione del nutrimento,
quella che va recitata sia dopo i normali pasti
quotidiani sia dopo quelli dei giorni di festa. Questa
preghiera viene letta dopo aver terminato pasti a base
di pane e farina o cereali quali farro, orzo, avena.
Anche con questa benedizione si ringrazia Dio per il
pasto appena terminato.
Alcuni testi
sulla comunità ebraica del
Ghetto di Venezia
Consigli per un approfondimento degli
argomenti trattati
Alcuni testi sulla comunità ebraica del Ghetto di Venezia
I 12 dogi della Repubblica di Venezia sotto la cui dogatura
vennero redatti gli atti riportati dal nostro
ocumento
Per oltre mille anni, dal 697 al 1797 dominio bizantino, poi sovrano elettivo, nei secoli
trasformatosi in supremo magistrato e immagine della maestà dello Stato, via via il
Doge
perdeva potere e diveniva solo il simbolo di una Repubblica "coronata" la cui carica era a vita.
Solitamente la persona selezionata come Doge era uno degli anziani saggi della città e la sua
antica residenza, dopo le precedenti a Heraclia ed a Metamaucum , era il Palazzo Ducale
simbolo del potere e della ricchezza della Serenissima.
Quello che segue è l’ elenco dei 12 Dogi sotto la cui dogatura
vennero redatti gli atti riportati dal documento
Marino Grimani 26 aprile 1595 25 dicembre 1605
Nome Stemma Dogato
Inizio Termine
Leonardo Donà
(1536-1612) 10 gennaio 1606 16 luglio 1612
Marcantonio Memmo 24 luglio 1612 31 ottobre 1615
(1536-1615)
6 febbraio 1675 14 agosto 1676
Nome Stemma Dogato
Inizio Termine
Nicolò Sagredo
(1606-1676)
16 ottobre 1659 26 gennaio 1675Domenico II Contarini
(1585-1675)
10 aprile 1631 3 gennaio 1646Francesco Erizzo
(1566-1646)
Nome Stemma Dogato
Inizio Termine
22 maggio 1709 12 agosto 1722Giovanni II Corner
(1647-1722)
26 agosto 1676 15 gennaio 1684
(1601- 1684)
Alvise Contarini
17 luglio 1700 6 maggio 1709
(1628- 1709)
Alvise II Mocenigo
Nome Stemma Dogato
Inizio Termine
24 agosto 1722 21 maggio 1732
(1662-1732)
Alvise III Sebastiano
Mocenigo
17 gennaio 1735 17 giugno 1741
(1664-1741)
Alvise Pisani
30 giugno 1741 7 marzo 1752
(1677-1752)
Pietro Grimani
Buona parte del Documento che ci apprestiamo ad esaminare è incentrata sulla
figura e l’attività del mercante ebreo Emanuel Valensin operante a Venezia.
Il cognome è fra quelli censiti nel ghetto di Venezia già nella prima metà del
600 e ne sono testimonianza la presenza di due lapidi nell’antico cimitero del
Lido con relativo epitaffio.
Il cognome Valensin deriva dal nome della città di Valencia, capoluogo
dell’omonima provincia spagnola, e da Valença, nome di alcune località
portoghesi. Dopo l’espulsione dalla penisola iberica alla fine del XV secolo, ebrei
della famiglia Valensin si stabilirono in Marocco. All’inizio del XVII secolo alcuni
discendenti si spostarono in Veneto ed in particolare a Verona e a Venezia.
Circa la vasta diramazione della famiglia Valensin e dei numerosi traffici ad essa
facenti capo è di grande interesse il libro di Elia Boccara “ In fuga
dall’inquisizione”
In questo libro l'autore conduce un‘indagine storica alla ricerca delle tracce dei
suoi antenati - tra i quali i Valensin - sfuggiti vari secoli fa alle Inquisizioni
portoghesi e spagnole e approdati poi a Tunisi, dopo aver soggiornato a Venezia,
Pisa e Livorno. Ci fornisce quindi un affresco di questo piccolo mondo di ebrei
portoghesi protesi verso la conquista di spazi di vita e di lavoro.
In conclusione l'autore tira le somme descrivendo la sorte dei discendenti
attuali, sparsi ai quattro venti e spesso lontani da quel vecchio mondo e dalle
sue regole. Bisognoso di punti fermi, egli rimane ancorato al recupero della
religione dei padri. Grazie al lungo viaggio che ha compiuto nel passato egli
rivive interiormente tutti gli attimi di vita degli avi che è riuscito a salvare dalla
dimenticanza
Decreto del 19 settembre 1722
Manoscritto che istituisce gli
Inquisitori sopra l'Università degli
Ebrei, incaricati di controllare e
porre rimedio alla disastrosa
situazione in cui si trova il debito
di detta Università, che ammonta
a più di 1.200.000 ducati.
Registro terminazioni e lettere relativo a
Inquisitorato sopra l‘Università degli Ebrei
Raccolta Atti relativi agli
Inquisitori sopra
l‘Università degli Ebrei,
1722 - 1797
Inquisitori sopra l‘Università degli Ebrei
Istituiti dal Senato il 19 sett. 1722, sorvegliavano e
controllavano l‘Università (comunità) degli Ebrei - costituita
dalle tre nazioni, levantina, ponentina e tedesca, e re-
sponsabile in solido per ciascuno dei suoi membri - con
particolare riguardo alla gestione finanziaria, in un momento
di pesante crisi economica di detta università stante il passivo
dei tre banchi di prestito su pegno, obbligatoriamente gestiti,
e i molti oneri verso l'erario e i privati che prendevano capitali
a livello.
Avevano particolare competenza sulla nazione ponentina.
Stabilivano accordi con gli ebrei forestieri circa le imposte a
loro carico. Interferivano relativamente alle comunità
ebraiche dello Stato, specie riguardo ai loro obblighi finanziari
e a livello consultivo. Agivano talora in conferenza con il
Magistrato al Cattaver, i Savi alla Mercanzia e altri magistrati.
Magistrato al Cattaver
Il nome di questo ufficio – "cattaver" – indica una delle
competenze principali svolte nel corso dei secoli: quella di
“accattare”, vale a dire ricercare gli averi del fisco.
Il controllo finanziario e la repressione del contrabbando,
come prerogative generali, nei confronti della minoranza
ebraica trovarono specifica articolazione con l’inquisizione
sull’usura e la sorveglianza sul comportamento degli Ebrei.
I Savi alla Mercanzia
La magistratura preposta al settore mercantile.
Istituiti dal Senato il 15 gen. 1507, i Cinque Savi alla
Mercanzia divennero stabili nel 1517 .Incaricati anche di
"scansar le spese superflue" nella gestione degli uffici,
ebbero competenza via via accresciuta sul commercio, la
navigazione, le arti, le manifatture della città e dello
stato.
Quarantia
Nata originariamente come assemblea dei quaranta
elettori del Doge nominati dalla Concio
(l’assemblea del popolo lagunare riunito), i cui
membri affiancavano poi il Doge nel governo dello
Stato, la Quarantia, persa nel tempo la funzione
elettiva in favore del Maggior Consiglio, si stabilizzò
quindi come Tribunale Supremo della Repubblica e
come organo di controllo sulle nomine in seno al
Maggior Consiglio ed al Senato. Alla Quarantia
spettò inoltre la pianificazione dell'esercizio
finanziario da sottoporre al Maggior Consiglio e
l'autorità sovrana sulla Zecca.
Informazioni sul Documento
Carta a mano, priva di filigrana
Prima di copertina reca solo il titolo del documento
Seconda di copertina presente ex libris inizio 900
Titolo frontespizio Per Li Capi Generali
dell’Università tutta degl’ Ebrei
Quarta di copertina nessuna informazione
Illustrazioni nessuna
Colophon assente
Numero di pagine 76
Rilegatura a filo unico
Carattere di stampa antiqua/Nicolas Jenson
Data della stampa non riportata ( presumibilmente
1750 )
Ex Libris Carolus Del Fabro
Provenienza archivio Del Fabro/Pirone
Prima e seconda di copertina
IL DOCUMENTO
Con la pag. 76 ha termine
l’esame del Documento.
Per eventuali approfondimenti
si consiglia di consultare
Biblioteca Archivio Renato Maestro
Cannaregio 2899
30121 Venezia
Tel: 041 718833
Email: biblioteca@jvenice.org
COLLEZIONI
 Inquisitori sopra l'università degli ebrei
 Ufficiali al cattaver. Processi a ebrei
 Ufficiali al cattaver. Ebrei
 Dieci savi sopra le decime di Rialto
 Catastici del Ghetto
Judaica.
Fonti documentarie
relative al mondo ebraico veneziano
‫לי‬ ‫שעזרו‬ ‫חברים‬ ‫עם‬ ‫הפעולה‬ ‫שיתוף‬ ‫על‬ ‫תודה‬
‫מעניינות‬ ‫בשיחות‬ ‫היהודי‬ ‫לעולם‬ ‫לחדור‬
‫ומתסכלות‬
Un doveroso ringraziamento ai tanti amici che mi
hanno aiutato a penetrare il mondo ebraico nel
corso dei tanti interessanti incontri e fruttifere
conversazioni in Italia ed in Israele :
Elio Toaff
Ariel Toaff
Sara Sacerdoti
Roberto Modiano
Gerard Cadier
Aronne Maier
Luciano Tagliacozzo
Hartmut Diekmann
Ghiron Stefano Levialdi
Sergio Della Pergola
Anagrafe Storica delle famiglie friulane
Archivio
Del Fabro / Pirone
e-mail : ecopirone@libero.it

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  • 1. ARCHIVIO Del Fabro/Pirone a cura dalla Conflict Resolution Academy Samuel Morland ROMA Una raccolta documentale di accordi, suppliche , terminazioni, sentenze, forme di giuramento, raccomandazioni, dichiarazioni e verbali concernenti la vita e l’operato degli ebrei del ghetto di Venezia P E R Li Capi Generali dell’Università tutta degl’ Ebrei ARCHIVIO Del Fabro/Pirone a cura dalla Conflict Resolution Academy Samuel Morland ROMA Una raccolta documentale di accordi, suppliche , terminazioni, sentenze forme di giuramento, raccomandazioni, dichiarazioni e verbali concernenti la vita e l’operato della comunità del ghetto di Venezia sottoposta agli Inquisitori sopra l’Università degli Ebrei P E R Li Capi Generali dell’Università tutta degl’ Ebrei
  • 2. Per quante ricerche abbia fatto consultando cataloghi di libri antichi, archivi tematici, siti di approfondimento, ecc, non mi sono mai imbattuto in una copia gemella, o riedizione, del documento qui pubblicato proveniente dall’archivio del mio antenato vissuto nella prima metà del 1700, Ortensio Del Fabro. Passando di generazione in generazioni, il documento approdò in Emilia alla biblioteca di un mio prozio, Carlo Del Fabro, agiato e illuminato proprietario di un’azienda agricola, presso il quale ho trascorso l’intera giovinezza alternando i lavori in campagna alla scuola e ad intere serate tese ad ascoltare i numerosi episodi della sua avventurosa vita da combattente antifranchista in Spagna, esule antifascista in Francia e partigiano in Italia durante la Resistenza nel Polesine. Sotto la sua guida ho imparato ad amare la storia studiandola su testi di grande pregio editoriale , sui voluminosi appunti da lui raccolti nel corso degli anni e su documenti d’archivio per tutto ciò che riguardava l’Italia preunitaria e le minoranze etniche del nostro paese. Tra queste un interesse particolare l’ho sempre riservato alla diaspora ebraica insediatasi in Italia e dei suoi rapporti con i poteri locali. Pertanto, il rinvenimento, e successivo possesso, di questo documento, del tutto inedito e di indubbio valore documentale, mi ha spinto a renderlo noto per tutti coloro eventualmente intenzionati ad approfondire l’argomento.
  • 3. Originario di Socchieve in Carnia - all’epoca territorio appartenente ai Possedimenti di Terraferma della Repubblica di Venezia- svolse numerosi incarichi, in qualità di avvocato, per conto della Serenissima. Con Decreto del Senato del 19 settembre 1722 viene nominato membro dell’ Inquisitorato sopra l’Università degli Ebrei. Dal 1730 al 1752 esercitò, altresì, la funzione di Consigliere della Cancelleria Dogale Nella sua duplice veste ebbe ad interessarsi delle controversie sorte tra la comunità ebraica ed il pubblico erario veneto concernenti sospette evasioni di tributi ed obbligazioni in capo alla comunità. A tal fine avvertì la necessità di documentarsi sui diversi aspetti della vertenza ricorrendo alla stampa di tutti gli atti depositati In originale presso la competente Cancelleria. Non sappiamo con esattezza se e quante copie di tale documento vennero stampate e distribuite. Sta per certo che la copia di cui si servì il Del Fabro è stata diligentemente conservata per anni dai suoi eredi fra le numerose carte che documentano l’esercizio da lui espletato. Nel 1966, alla morte di Carlo Del Fabro, fratello di mia nonna Lucia, il documento, assieme a un generoso lascito librario sei- settecentesco, è venuto ad arricchire la mia biblioteca. Ortensio Del Fabro (1690-1761)
  • 4. Uomo dai vasti interessi e di raffinata cultura il mio prozio Carlo ha vissuto tutte le stagioni della sua lunga ed operosa esistenza partecipando con passione agli eventi più importanti del 20° secolo : dalla prima guerra mondiale (assegnato al 2° Reggimento di Artiglieria Sesta Batteria Udine si guadagna una medaglia d’argento al valor militare sul fronte del Carso isontino ) al XVI Congresso del Partito Socialista Italiano (1921) schierato sul fronte riformista; dalla collaborazione con Carlo Rosselli e Piero Gobetti (durante il suo esilio da antifascista in Francia) alla partecipazione alla guerra civile spagnola del 1936-39 (inquadrato nella Brigata Garibaldi); dalla guerra partigiana contro l’occupazione tedesca (nelle zone vallive del Comacchiese e dell’Argentano tra il 1943 e il 1945) alle battaglie politiche contro il latifondismo degli anni 50. Sebbene impegnato nelle tante vicende appena ricordate, Carlo non trascurò mai di coltivare la sua passione infinita per i libri e la lettura con un interesse particolare per le vicende storiche ed umane legate al suo ambiente di provenienza : la Carnia e, più in generale, all’antica Repubblica di Venezia e i suoi Domini di Terraferma. Carolus Del Fabro Tali interessi lo portarono alla costituzione di una ricca biblioteca nella quale confluirono diversi manoscritti e testi a stampa editi a partire dal 1570 già appartenuti ai suoi antenati, tra i quali il giureconsulto Ortensio Del Fabro di cui si è detto in precedenza. Tra i reperti serbati tantissimi ex libris dal 16° al 20° secolo. Una parte cospicua di questa raccolta di libri e memorie mi venne affidata direttamente da Carlo all’atto del mio rientro a Napoli dopo il lungo periodo trascorso presso la di lui tenuta modello nella bassa ferrarese. Un lascito che ha largamente contribuito ad assecondare il mio interesse per la storia e il patrimonio di civiltà della “Tiere furlane/ la Terra friulana” da cui trae origine la nostra famiglia. Carlo Del Fabro , 1918 Documento del 1600 Ex Libris
  • 5. PREAMBOLO Prima di passare all’esame del documento in esame ritengo sia cosa utile sintetizzare con schematiche note storiche e di costume, l’origine del Ghetto di Venezia , la vita che la comunità ebraica vi conduceva e gli ordinamenti ai quali essa era sottoposta. Nella storia della diaspora europea e della presenza ebraica nella Penisola, l'esperienza del Ghetto di Venezia è qualcosa di unico e inimitabile. Gli ebrei prima dell'espulsione dai domini spagnoli e portoghesi risiedevano in Sicilia già dal Medioevo, erano poi presenti in Puglia e a Roma. La componente ebraica nazionale è quindi sempre stata molto variegata, una componente che si arricchì con l'arrivo dei provenzali e degli ashkenaziti dal Nord Europa. La singolarità dell'esperienza ebraica a Venezia è legata però a un fenomeno che non è veneziano, ma italiano: i cristiani non potevano prestare denaro a interesse e gli ebrei vennero spinti a poco a poco a fare un mestiere che ad altri era proibito, sebbene ai tassi imposti dalla Repubblica, diventando a tutti gli effetti, tra il 1300 e il 1600, i banchieri d'Italia. Ma quanti erano gli ebrei ? Molto pochi, si parla, nel 1500, di 30mila su una popolazione italiana di circa 10 milioni di abitanti. In quegli anni tutti gli ebrei del Veneto confluirono a Venezia dove potevano risiedere in condizioni di apparente libertà. Ciò diede luogo ad una serie di vicende emblematiche che hanno segnato ed arricchito il patrimonio storico culturale non solo della Serenissima Repubblica di Venezia ma dell’Europa tutta per almeno tre secoli.
  • 7. Venezia 17° secolo , incisione in legno
  • 8. Ordinamento della Repubblica di Venezia Il Doge rappresentava formalmente la sovranità e la maestà della Repubblica, ma aveva scarso potere (essenzialmente il diritto di guidare in guerra l'esercito e la flotta, se non venivano nominati specifici "Capitano/i de tera" o "Capitano/i de mar") ed era coadiuvato e controllato nelle proprie funzioni da sei consiglieri, coi quali costituiva il Minor Consiglio (o Serenissima Signoria). La sovranità risiedeva invece nel Maggior Consiglio, l'organo fondamentale dello Stato al quale appartenevano di diritto i membri maschi e maggiorenni delle grandi famiglie patrizie. Il Maggior Consiglio esercitava poi la propria sovranità attraverso dei Consigli minori di sua emanazione:  il Collegio, cioè il governo della Repubblica,  il Senato (o Consiglio dei Pregadi), responsabile per la politica estera,  l Consiglio dei Dieci, responsabile della sicurezza dello Stato che nel tempo tende a costituirsi come un organismo quasi onnipotente, baluardo delle istituzioni repubblicane e dell'ordinamento oligarchico.  I tribunali della Quarantia. Un capitolo a parte merita l'amministrazione della Giustizia, ammirata per secoli in tutto il mondo tanto da meritare alla Repubblica il titolo di Serenissima, proprio per la tolleranza (verso stranieri e verso nuove ideologie, ecc.) derivante dalla maniera equilibrata di fare giustizia. Essa si basava su un ridotto ruolo degli avvocati, su giudici non di carriera (aristocratici nominati per 1 o 2 anni, anche nelle alte gerarchie), e soprattutto per il modo di applicare le leggi al singolo caso concreto, che teneva conto delle decisioni precedenti (giurisprudenza) ma soprattutto mirava a realizzare la giustizia sostanziale, anche negando l'applicabilità di certe leggi se queste ledevano i principi superiori di giustizia, ossia la verità, il buon senso, la fede e l'equilibrio naturale delle cose.
  • 9. Cinquecento anni fa, il 29 marzo 1516, il Senato della Serenissima Repubblica di Venezia deliberò che gli ebrei di diverse contrade cittadine si trasferissero "uniti" (cioè tutti) nella corte di case site in Ghetto, presso San Girolamo. Nasceva così il primo "recinto degli ebrei". Si trattava in origine del "geto de rame", il luogo in cui venivano riversati ("gettati") gli scarti della lavorazione delle fonderie presenti nella zona. Nel corso dei secoli, e su tutti i continenti, questa parola veneziana sarebbe presto diventata sinonimo di segregazione. Nato come misura di confinamento, il Ghetto diviene in breve un luogo effervescente e cosmopolita, che accoglie gli ebrei provenienti dai luoghi più diversi, oltre a rappresentare uno dei centri di commercio fondamentali della Repubblica veneziana. La struttura architettonica delle sue case - inusuale per Venezia - con i suoi caseggiati stranamente sviluppati in altezza per far posto al numero crescente di abitanti confinati nel luogo -, si intreccia alla vicenda storica del luogo, decisamente centrale per l'Italia e per l'Europa. Qui sorgono i banchi di pegno dai quali passerà buona parte del prestito di denaro della potenza lagunare, ma nel Ghetto non mancano le professioni liberali e la cultura, che fanno di Venezia una delle capitali indiscusse del mondo ebraico e non solo. IL GHETTO (1) Una vista attuale del Ghetto di Venezia
  • 10. Il luogo era delimitato da due porte che, come aveva precisato il Senato il 29 marzo 1516, sarebbero state aperte la mattina al suono della “marangona (la campana di San Marco che dettava i ritmi dell’attività cittadina) e richiuse la sera a mezzanotte da quattro custodi cristiani, pagati dai giudei e tenuti a risiedere nel sito stesso, senza famiglia per potersi meglio dedicare all’attività di controllo. Inoltre si sarebbero dovuti realizzare due muri alti (che tuttavia non saranno mai eretti) a serrare l’area dalla parte dei rii che la avrebbero circondata, murando tutte le rive che vi si aprivano. Due barche del Consiglio dei Dieci con guardiani pagati dai nuovi “castellani”, circoleranno di notte nel canale intorno all’isola per garantirne la sicurezza. Il 1 aprile successivo, la stessa “grida” venne proclamata a Rialto e in corrispondenza dei ponti di tutte le contrade cittadine in cui risiedevano i giudei”.il Ghetto di Venezia fu dunque una realtà fortemente permeabile, in costante interazione con l’esterno e in primis con la città lagunare, essa stessa straordinariamente multinazionale e multietnica, per convinzione o pragmatismo. La scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto fu vissuta come il male minore e la chiusura, una palese discriminazione, finì per trasformarsi anche in un’utile difesa, perché gli ebrei, soggetto politicamente debole all’esterno delle mura, diventarono all’interno autonomi, quasi padroni delle loro azioni, in molti casi ben più di tanti abitanti e sudditi che vivevano alla completa mercé del doge, del principe, del papa o del re A Venezia questo Hazzer (parola ebraica per definire il recinto), il Ghetto – preso a modello negativo in tutta Europa come realtà fisica e come termine – si trasformò a poco a poco in un’istituzione quasi a sé, “uno scudo”, come scrive Riccardo Calimani, “che, pur nella precarietà dilagante disponeva, nonostante tutto, di poteri e privilegi che gli permettevano di farsi ascoltare e di trattare con i propri interlocutori all’esterno, con una libertà d’iniziativa in qualche caso sorprendente”. Cosmopolita al suo interno – qui vennero a convivere ebrei tedeschi e italiani, ebrei levantini, ponentini e portoghesi – il Ghetto di Venezia fu dunque una realtà fortemente permeabile, in costante interazione con l’esterno e in primis con la città lagunare, essa stessa straordinariamente multinazionale e multietnica, per convinzione o pragmatismo. IL GHETTO (2)
  • 11. . FONTE - Venezia : Archivio di Stato, Magistrati al Cattaver IL GHETTO ( 3) Sezione verticale di un edificio nel Ghetto Nuovo, tipico delle più antiche strutture, con negozi al livello più basso e sopra le residenze. 1777
  • 12. (da Guido Costante Sullam) Sviluppo del Ghetto di Venezia dal 1516 al 1797 “Loco stabile et separato, deputato agli ebrei; ne’ alcun cristiano in quello possi star, overo tegnir bottega” IL GHETTO ( 4 ) Avviso del 1603
  • 13. Tra gli ebrei presenti a Venezia emersero per la loro dottrina, oltre ai medici, anche altri grandi ingegni quali il grammatico Elia Levita, Leon da Modena, rabbino letterato dalle esperienze eclettiche (autore della celebre Historia de’ riti Hebraici); Simone Luzzatto, rabbino e scrittore, e la poetessa Sara Copio Sullam, celebre per il suo salotto letterario e per il Manifesto con il quale si difendeva dall’accusa, mossale dal vescovo di Capodistria, Baldassar Bonifacio, di aver negato l’immortalità dell’anima. Al massimo del suo splendore, prima della pestilenza del 1630, l’ Università degli Ebrei (così si chiamava allora la comunità) contava quasi 5 mila persone. Una memoria dei Cinque Savi, del 15 marzo 1625, stimava in 100 mila ducati annui il contributo ebraico per il bene pubblico e l’utile privato della città. Gli ebrei benestanti, anche se in ghetto, vivevano con sfarzo (come testimoniano i molteplici tentativi dei capi della comunità di prevenire l’ostentazione del lusso e il diffondersi del gioco d’azzardo). All’interno dei portoni, oltre ai luoghi di studio e di preghiera, si trovavano un teatro, un’accademia di musica, cenacoli e salotti letterari. Sulla calle principale del Ghetto Vecchio si affacciavano ogni sorta di botteghe: da quelle di più immediata utilità a una libreria nel campiello delle Scole; esistevano un albergo con 24 stanze, presso la Scuola Levantina, una locanda e un ospedale in corte dei Barucchi, insomma quasi una città nella città, uno stato di grazie che fu stravolto dall’arrivo della peste che, tra il 1630 e il 1631, dopo aver percorso tutta l’Europa, arrivò anche in laguna uccidendo 50.000 persone, quasi il 40% della popolazione tra la città e il resto del dogado .Le vittime ebree del terribile morbo furono circa 450, una percentuale nettamente inferiore rispetto a quella registratasi fra il resto della popolazione e ciò grazie anche alle rigide norme igieniche imposte. per l’occasione, all’interno del ghetto. La vita culturale nel Ghetto
  • 14. Sara Copio Sullam (1592-1641), la poetessa del ghetto Allieva di Leone Modena, diventa esperta in teologia, filosofia, lingue, astrologia, storia della religione ebraica e letteratura rabbinica. Compone versi che la rendono celebre anche al fuori del mondo ebraico, e nella sua abitazione del Ghetto Vecchio dà vita a uno dei più raffinati salotti letterari nella Venezia della prima metà del XVII secolo. La ricorda anche Giorgio Bassani, in “Il giardino dei Finzi Contini”, pur cambiandole cognome: «Nella sua casa, in Ghetto Vecchio, aveva tenuto aperto per qualche decennio un importante salotto letterario assiduamente frequentato, oltre che dal dottissimo rabbino ferrarese- veneziano Leone da Modena, da molti letterati di primo piano dell’epoca, e non soltanto italiani. Aveva composto molti “ottimi” sonetti che riscossero notevole apprezzamento. Aveva corrisposto brillantemente per lettera, durante oltre quattro anni, col famoso Ansaldo Cebà, un gentiluomo genovese, autore di un poema epico sulla regina Ester, il quale si era messo in testa di convertirla al cattolicesimo, ma poi, alla fine, visto inutile ogni insistenza, aveva dovuto rinunciarvi. Una gran donna, in conclusione, onore e vanto dell’ebraismo italiano in piena Controriforma.» Il salotto di Sara – tra l’altro donna assai avvenente – diventa punto di riferimento per i dotti di ogni dove, siano ebrei o gentili, che accorrono per sentirla discettare o per udirne i versi. Purtroppo non ci sono giunti suoi testi, a parte la risposta a un libello in cui la si accusava di non credere all’immortalità dell’anima. . Presunto ritratto di Sara Copio Sullam Accademia degli Incogniti (Venezia, 1631-1637
  • 15. Mappa del Ghetto di Venezia anno 1775. Fondo archivistico : Ufficiali al Cattaver
  • 16. Mappa del Ghetto di Venezia anno 1780. Fondo archivistico : Ufficiali al Cattaver
  • 17. Il Ghetto di Venezia secondo una moderna illustrazione
  • 18. GHETTO DI VENEZIA Schola Italiana Schola Levantina
  • 19. L’arte Medica nei territori della Serenissima All’inizio del sedicesimo secolo Venezia era un eccellente centro di cultura scientifica anche grazie alla presenza di medici provenienti dalle diverse parti della penisola – fra i quali non pochi ebrei - ricercatissimi dalla nobiltà e dell’alto clero . Ce lo testimoniano autorevoli figure di patrizi e di ecclesiastici che si circondano di dotti medici ebrei e ne assumono la protezione: così il cardinale Domenico Grimani ebbe come medico e maestro d'ebraico Abraham de Balmes; Andrea Gritti si circondò egli pure di medici ebrei, sia all'epoca della difesa di Padova (1509-1513), sia favorendone la venuta a Venezia durante il suo dogato. Nel 1529 soggiornò sulla laguna il celebre medico ebreo Simon Jacob, personaggio polivalente, mercante ed esperto di gioie, che si interessava altresì al problema del rifornimento idrico delle città. Mail più celebre è sicuramente David de’ Pomis che divenne il medico personale del doge Alvise Mocenigo e poté operare anche presso la popolazione cristiana. Anche tra gli ebrei residenti nei territori di Terraferma molti si dedicano all’arte Medica e discipline affini. Nel primo secolo di vita del ghetto 80 medici ebrei si laureano a Padova, ottenendo alta considerazione e la deroga all’obbligo di restare nel ghetto di notte. A spiegare la scarsa propensione dei veneziani all’esercizio dell’arte medica nel 600 - '700 ce lo chiarisce, attraverso le sue Memorie, Carlo Goldoni “…un nobile veneziano, un patrizio, membro della repubblica, mentre non si degnerebbe di fare il negoziante, o il banchiere o il notaio o il medico o il professore universitario, abbraccia l'avvocatura, ne fa esercizio a Palazzo e dà agli altri avvocati [non nobili> il nome di colleghi". Così Venezia poté disporre di un elevato numero di "fisici" e di medici chirurghi, alcuni dei quali potevano appartenere a vecchie famiglie veneziane non patrizie, mentre una netta maggioranza, pari ai due terzi dei casi conosciuti, proveniva da famiglie di recente o recentissimo insediamento. .
  • 20. La Teriaca veneziana , panacea di tutti i mali ( 1 ) Nella storia della medicina la Teriaca è un antico rimedio dotato di virtù magiche, curative e capace di risolvere ogni tipo di male, prescritto ininterrottamente dai medici per ben duemila anni. Il nome deriva dal greco thériakè•, che veniva usato per indicare gli animali velenosi (più in particolare la vipera). La preparazione era un rito studiato nei minimi particolari. La Teriaca veneziana era la più apprezzata in modo assoluto. poiché gli speziali veneziani potevano utilizzare più facilmente le droghe provenienti dall'Oriente, e queste spezie conferivano al prodotto una qualità superiore. Quella prodotta in altre zone e considerata falsa, veniva gettata in modo plateale dal ponte di Rialto. Il miracoloso antidoto veniva esportato in Spagna, Francia, Germania, Grecia, Turchia e Armenia, sigillato in apposite confezioni e accompagnato da documenti che attestavano l’autenticità del prodotto. Per raggiungere il massimo dell’efficacia, la Teriaca doveva maturare per almeno 6 anni. Ma la medicina si poteva utilizzare fino a 36 anni dopo la data di preparazione. Si assumeva stemperata nel vino, nel miele o nell’acqua. Le classi abbienti usavano avvolgerla in una foglia d’oro. La leggenda e la fortuna dell’antidoto buono per tutte le malattie durarono per secoli, fino all’età moderna. La Teriaca continuò ad essere confezionata a Bologna nel corso del 1796 e a Venezia fino alla metà dell’Ottocento. La preparazione
  • 21. Quando serviva la Teriaca : uso e dosaggio ( 2 ) Attraverso la lettura della copiosa documentazione disponibile, possediamo sufficienti informazioni sui presunti effetti terapeutici della Teriaca e i diversi ingredienti e modi di approntamento. Era un ottimo ricostituente, aiutava la vista, agiva contro le infezioni al fegato e ai reni. Placava l’insonnia, le febbri maligne, le coliche, la tosse, le emicranie e ogni sorta di infezione. Veniva usata anche contro la peste e la lebbra. Si diceva avesse effetti benefici sull’epilessia e la pleurite. Non da ultimo poteva essere d’aiuto nei casi di pazzia e perché no, risvegliare gli appetiti sessuali. Per quel che riguardava modi e tempi di assunzione, vi erano regole ben precise. Andava presa dopo che il corpo veniva completamente purgato, pena effetti contrari. Escludendo casi gravissimi, era meglio usarla solo nei mesi meno caldi, cioè in autunno, in inverno e nel principio di primavera. Il dosaggio variava a seconda della gravità delle malattie e dell’età del paziente. Da una dramma (circa 1,25 grammi) a mezza dramma da sciogliere in vino, miele o acqua. L'elemento più curioso della preparazione è la carne di vipera dei Colli Euganei, femmina, non gravida, catturata qualche settimana dopo il letargo invernale; veniva privata di testa, coda e viscere e poi bollita in acqua e aromatizzata con aneto, triturata, impastata con pane secco, lavorata in forme tondeggianti della dimensione di una noce e posta ad essiccare all'ombra. Altro componente fondamentale era l'oppio, che doveva provenire rigorosamente da Tebe, perché di qualità superiore rispetto a quello turco. Altri ingredienti erano l'asfalto, il benzoino, la mira, la cannella, il croco, il solfato di ferro, la radice di genziana, il mastice, la gomma arabica, il fungo del larice, l'incenso, la scilla, il castoro, il rabarbaro, la calcite, la trementina, il carpo balsamo, il malabatro, la terra di Lemno, l'opobalsamo e la valeriana.
  • 22. Nella città di Venezia, solo alcune spezierie erano autorizzate a preparare la Teriaca: l’Aquila nera, le Tre Torri, lo Struzzo , la Madonna, i Due Mori e Testa d’oro, Pare che la migliore fosse quella prodotta dalla farmacia la “Testa d’oro”, che si trovava ai piedi del Ponte di Rialto, dalla parte di S. Bartolomeo, e che ora è identificabile soltanto dalla TESTA D’ORO, una scultura bronzea collocata sopra una porta (Salizada Pio X), e da una breve scritta sbiadita: «Theriaca d’Andromaco». Questa farmacia aveva il privilegio di fabbricare il preparato tre volte all’anno, mentre le altre farmacie erano autorizzate a farlo soltanto una volta. Alcuni ingredienti della Teriaca La Teriaca : dove si vendeva a Venezia ( 3 )
  • 23. Il Cimitero Ebraico del Lido è uno dei più antichi al mondo e costituisce una delle prime testimonianze della comunità ebraica veneziana. Fu istituito per concessione della Repubblica di Venezia nel 1389, in seguito a una disputa con i frati del vicino monastero di San Nicolò, che reclamavano la proprietà del terreno. Fu utilizzato e ampliato fino al 1641, ma poi cadde in disuso, . Insieme alle lapidi di epoca medievale, ne sono state rinvenute e catalogate più di mille databili tra il 1550 e il primo '700. La suggestione di questo luogo ha ispirato profondamente numerosi poeti e letterati del Romanticismo, tra i quali Lord Byron e Goethe. Il Disegno a inchiostro illustra il trasporto di un ebreo defunto in gondola verso il cimitero del Lido, con due figure che rappresentano un maiale, uno posto sotto il corpo del defunto e uno sopra il felze. L'immagine è un segno della irrisione a cui erano sottoposti gli Ebrei, ed è particolarmente significativa perché all'interno di un registro pubblico. Il Cimitero Ebraico del Lido
  • 24. Alcune lapidi del cimitero ebraico di Venezia
  • 25. Il segno distintivo Il decreto 68 del Concilio Lateranense IV ingiunge agli infedeli di rendersi individuabili attraverso un generico segno di riconoscimento, che però non viene indicato. Sarà più specifico, nel 1227, papa Onorio III: durante il concilio di Narbona, preciserà che gli Ebrei dovranno distinguersi dai Cristiani attraverso una “spilla” di panno di forma circolare, da indossare appuntata al petto. Da lì in poi, vari papi torneranno a ribadire l’obbligo: nel 1317, il concilio di Ravenna specificherà il colore di questa “spilletta” (giallo acceso); nel 1360, papa Innocenzo VI deciderà che la spilletta non va più bene e ci vuole invece un cappello rosso; nel 1425, Benedetto XIII tornerà a imporre il segno a forma di ruota, alternativamente rossa o gialla… e così via dicendo Nel Veneto, al cerchio di panno, giallo, introdotto nel 1396, subentrò, dal 1496, il berretto, inizialmente giallo, poi cremisi. Soltanto Venezia permetteva agli ebrei di passaggio di girare per tre giorni senza alcun segno distintivo. Costume delle donne ebree
  • 26. Alcune delle professioni esercitate dagli ebrei Mercanti e banchieri Sarti Tessitori
  • 27. Un venditore ebreo di pentole, stoviglie e utensili da cucina usati Venditore ambulante ebreo 1780 I venditori ambulanti Merciai ebrei “Dalla tribù di Ruben io discendo e trine e tele a chi ne vuole ne vendo”
  • 28. Da sempre nell'immaginario collettivo, grazie anche ad una famosa commedia di William Shakespeare ‘Il Mercante di Venezia', gli Ebrei vengono visti come usurai pieni di denaro e avidi. In realtà non tutti sanno che essi erano costretti a fare gli usurai, perché lo imponevano fin dal Medioevo le leggi dei paesi in cui risiedevano, dal momento che la Chiesa considerava peccato il prestare denaro ad interesse. A Venezia, dove venne creato il primo Ghetto del mondo, esistevano tre banchi dove si poteva impegnare un oggetto in cambio di un prestito in denaro. Prestatori di denaro ebrei sono documentati a Venezia già nel XIV secolo ma la loro regolamentazione avvenne nel corso del ‘500 quando il Ghetto fu istituito; lo stato stesso incentivava l'attività di questi banchi, per avere meno poveri di cui occuparsi. Questi tre banchi, il rosso il verde e il nero, sopravvissero fino alla fine della Repubblica (1797), poi se ne perse il ricordo. L’assegnazione dei colori deriva dal genere di ricevuta che i clienti ricevevano quando lasciavano in pegno un oggetto. Si pensa che il termine bancario ‘andare in rosso', derivi proprio da uno dei tre predetti banchi di pegni veneziani. Gli ebrei e la nomea di “usurai” Alcune immagini del Banco Rosso
  • 29. Una classica raffigurazione del ricco mercante ebreo Il poeta francese del XIII secolo, Goffredo di Parigi, nella sua Chronique rimée (Cronaca rimata) racconta che i banchieri ebrei erano benvoluti grazie ai loro bassi tassi di interesse. “Tutta la povera gente si lamenta perché gli Ebrei furono molto più buoni facendo i loro affari di quanto non sono ora i Cristiani. Garanzie chiedono e vincoli, pegni domandano e tutto carpiscono per spennare e pelare la gente Ma se gli Ebrei fossero rimasti nel regno di Francia, i Cristiani avrebbero avuto un grandissimo aiuto, che non hanno più.” Banchieri ebrei da “Digesta seu Pandectae” Italia settentrionale XIV secolo Contro ogni luogo comune
  • 30. Il “Ducato d’Oro” veneziano o “ Zecchino” Nel corso della sua lunga storia la Repubblica di Venezia ebbe due monete : una, d’argento, in seguito detta grosso o matapane che fu coniata intorno al 1202, l’altra, d’oro, il ducato coniata per la prima volta dal doge Giovanni Dandolo nel 1284 e che alla metà circa del 16° secolo - sotto il doge Pietro Lando - prese il nome di zecchino. Dello zecchino si ebbero dei multipli da 2 sino a 105 zecchini (del peso di 367,41gr.), quelli più grossi, normalmente dai 10 zecchini in su, sono chiamati comunemente monete da ostentazione, battuti per capriccio, in realtà avevano corso legale in quanto per gli scambi e i commerci in generale i pagamenti avvenivano a peso d’oro e non a numero. Il nome ducato viene da "doge", dux in latino, pesava 3,44 g con un titolo dello 0,997. Il ducato conserverà per tutti i 73 dogi che lo hanno coniato una identica figurazione. Nel diritto la figura di San Marco in piedi nell’atto di consegnare il vessillo al doge inginocchiato. La leggenda riporta il nome del doge a destra e SMVENET (o I) a sinistra, lungo l’asta del vessillo la parola DUX. Nel rovescio il Cristo benedicente in piedi in un’aureola ellittica cosparsa di stelle con la leggenda SIT T XPE DAT Q TU REGIS ISTE DUCAT (Sit tibi Christe datus, quem tu regis iste ducatus). Si tratta di un perfetto esametro cosiddetto “leonino” cioé rimato alla cesura pentemimera (a metà del terzo piede) con la parola finale. La traduzione letterale é la seguente: ” Sia a Te o Cristo affidato questo Dogado che Tu governi”. Zecchino g.3,48 Conio sotto il doge Pietro Grimani (1741-1752) Il perché i ducati non abbiano mai riportato il ritratto realistico del Doge sotto il cui dogato furono battuti e abbiano invece mantenuto pressoché immutate le immagini iconografiche impersonali a fianco descritte, è una particolarità veneziana che trae origine da una legge voluta dal Maggior Consiglio nel1474. Però ancor prima di tale legge, questa era già una consuetudine . Il Doge, infatti, doveva, con la sua figura, rappresentare unicamente il potere dello Stato e mai il potere personale.
  • 31. La circolazione monetaria e il potere d’acquisto del ducato Nelle transazioni commerciali il mercato nutriva grande fiducia nelle monete emesse dalla Repubblica veneta; una volta che una persona qualsiasi si trovasse in mano uno di questi pezzi, era certo che la moneta in suo possesso aveva un’ottimo valore di acquisto e fiduciario ed inoltre, come era successo per le monete romane, (soprattutto i denari), la moneta aurea veneziana aveva circolazione estremamente ampia, anche al di fuori dei confini di stato. Il titolo dell’oro impiegato si mantenne costante nel corso dei secoli: circa 997 millesimi. E’ interessante notare che il nome “Zecchino” dato alla moneta nel XVI secolo sia poi passato ad indicare l’oro puro, a 24 carati. Moneta da 105 zecchini emessa sotto il doge Lodovico Manin il cui peso era di 367,41gr. d’oro Per avere un’idea del potere d’acquisto della moneta veneziana si riportano di seguito alcuni tipi di transazioni nella prima e seconda metà del settecento.  Nel 1703 lo stipendio annuo di Antonio Vivaldi come maestro di violino era di 60 ducati (portato a 100 nel 1704 e a 150 nel 1705 con l'incremento delle responsabilità).  In un documento del 1751 si trova ad esempio: “…. quaranta ducati all'anno, dieci ogni tre mesi, devono essere messi da parte dai profitti della bottega per pagare il cibo del garzone”  Nel volume di Nicolò Papadopoli "Le monete di Venezia" che contengono interessanti notizie sulle riforme monetarie e i valori della moneta veneziana a pag. 416, si legge: “ Il Principe (Wuertemberg) - scrive il fattore nel 1767 - ha preso in affitto per alloggio suo e della fiorita sua corte, tre palazzi, per puro ornamento dei quali ha contrattato di dare all'ebreo Mandolini 300 zecchini al mese di nolo. La sua corte è composta da 75 persone....”.
  • 32. La parlata Giudeo-Veneziana Nei testi destinati alle scuole e, forse, anche nel loro parlar quotidiano, gli ebrei hanno usato per le loro traduzioni bibliche, fin dai primi secoli della lingua italiana, un modo linguistico che, per molti aspetti, si differenzia dall’italiano antico: il cosiddetto giudeo- italiano. Dopo la chiusura nei ghetti, essi assunsero quasi sempre i vari dialetti locali, inserendovi spesso parole ebraiche, adattate alle strutture dialettali. Ogni comunità ebbe così la sua parlata: giudeo- romanesco, giudeo-livornese (bagitto), giudeo-veneziana. La parlata giudeo-veneziana è dunque un complesso di espressioni, locuzioni, proverbi, modi di dire di origine ebraica, per la maggior parte, ma anche di derivazione tedesca o spagnola, inseriti nel tessuto dialettale lagunare, ma la cui specificità va ricercata, oltre che nell’aspetto linguistico, anche nella mentalità e nello spirito del ghetto che esso riflette.
  • 33. L’arte tessile friulana ha radici antichissime. Nel Settecento, la manifattura di Jacopo Linussio svolse un ruolo sociale, economico e culturale molto rilevante. Dopo la chiusura dell’impresa Linussio, i maestri tessitori della Carnia continuarono a tessere a mano lini, canape e tessuti di lana per arredamento e abbigliamento, dimostrando notevoli abilità progettuali, tecniche e manuali. A far conoscere e diffondere nel Nord Europa tale produzione furono in particolare i mercanti ebrei della Serenissima attraverso i loro ramificati canali commerciali. Essi, all’epoca, avevano ottenuto il placet all’esportazione di specifiche produzioni derivanti da attività industriali, quali l’industria tessile dell’abbigliamento, quella dei prodotti vetrari e la vendita degli articoli di lusso. Per il mercato interno era consentito solo il commercio dei panni usati attraverso gli “strazzari” al fine di non danneggiare i venditori locali come ci riferisce Vettor Sandi nella sua opera “Principj di storia civile della Repubblica di Venezia” edita nel 1756. Prodotti dell’industria tessile friulana Gli ebrei, promotori ante litteram del Made in Italy
  • 34. La stampa ebraica e il rogo dei Talmud Nello stesso anno in cui gli Ebrei furono chiusi nel Ghetto (1516) cominciò a fiorire a Venezia la stampa ebraica che andò acquistando sempre maggior importanza fino ai primi decenni del ‘600 quando cominciò a decadere per vari motivi e le tipografie di Amsterdam e di altre città tolsero questo primato. Esperti stampatori tedeschi, cacciati dai loro Paesi, si erano fermati a Venezia, grande centro dell’editoria internazionale sin dalla fine del ‘400, e non potendo aprire botteghe in proprio erano entrati in quella di Daniel Bomberg, un commerciante di Anversa che fu il fondatore della stampa ebraica a Venezia e il più celebre editore cristiano di libri ebraici. Bomberg pubblicò, oltre a vari formulari di preghiera, l’edizione integrale del Talmud babilonese e di quello palestinese, e le tre edizioni della Bibbia rabbinica con il commento (masorà) maggiore e minore. Altre tipografie, cessata l’attività di Bomberg, continuarono a stampare testi ebraici: da Marco Antonio Giustiniani ad Alvise Bragadin, a Giovanni Gara e altri che divennero ben presto rivali fra di loro. Una disputa per ragioni commerciali fra Giustiniani e Bragadin venne trasformata dalla Curia romana, cui i contendenti si erano rivolti, in un’accusa di aver stampato un libro eretico, cioè il Talmud, pieno di bestemmie contro Dio. Il 12 agosto 1553 papa Giulio II ordinò la distruzione del Talmud e il 21 ottobre successivo, un sabato, per ordine del Consiglio dei Dieci fu fatto “un bel rogo” di tutti i libri di argomento talmudico in Piazza San Marco, mentre altri libri ebraici furono bruciati nel 1568. In seguito fu nuovamente concessa la stampa di libri ebraici, previa censura, cioè quella “licenza dei Superiori” che troviamo in tutti i libri ebraici stampati a Venezia dalla seconda metà del ‘500: ma ormai il periodo d’oro della stamperia ebraica a Venezia era tramontato ed altre città, soprattutto Amsterdam, le avevano tolto il primato. Censura all’opera
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  • 36. Le danze ebraiche sono ricche di influssi culturali diversi: Europa dell’Est, mondo arabo, Spagna. Nella Bibbia si accenna alle danze, che però non vengono mai descritte. “Si sa soltanto che danzare era un modo per pregare, spontaneo e ancora non codificato” Nel corso dei secoli la danza per il popolo d’Israele ha rappresentato insieme la sua massima e più esaltante espressione corporea e qualcosa da reprimere, quando con la diaspora esso ha dovuto nascondere la propria esistenza. Nel 700 nasce il movimento Chassidico ( nuovo fervore in ambito religioso) e la danza diventa espressione della gioia del vivere quotidiano per allontanare la tristezza e la miseria. Tale gioia si esprime con movimenti fluidi e dinoccolati. Ma la musica talvolta è ancora malinconica in ricordo della diaspora e della propria terra lontana. Con il ritorno nella terra promessa negli anni 1920-30 la danza si riappropria del vigore e dell’entusiasmo soffocati nel corso dei secoli ispirandosi al folklore europeo, dell'Africa del Nord, del vicino Oriente, e torna ad essere un aspetto fondamentale della vita come nella tradizione ebraica, che “non contempla la separazione fra anima e corpo”. Rievocazione storica di antiche danze ebraiche Le danze ebraiche
  • 37. / Il matrimonio nella società ebraica KETUBAH Contratto matrimoniale ebraico tra Diana bat Gavri’el Barak Caravaglio con Mošeh ben Ya’aqov Baruk Caravaglio 22 ottobre 1723 (lunedì 14 Nissan 5483).
  • 38. Una delle caratteristiche più interessanti dell’alfabeto ebraico è quella di esprimere un concetto compiuto attraverso una semplice lettera o un suo abbinamento con un’altra. “Insegnare e imparare” è l’atto più importante nella vita dell'ebreo religioso e tale attitudine è rappresentato dalla lettera Lamed Essa è la più alta lettera dell‘ alfabeto e sta ad indicare anche la potenza dell'anima di ascendere e di discendere a guisa della scala di Giacobbe L'uomo ha il dovere di insegnare la Legge e la Volontà di Dio, ma non può farlo sino a quando non ha acquisito conoscenza. Ma la lettera Lamed indica anche direzione, moto a luogo, scopo e, quindi, il progetto stesso della propria vita. Sotto l’aspetto numerologico Lamed indica anche un valore : il trenta , il numero della forza, l’entrata nel futuro, il numero di Yehudà, il re d'Israele. Per Daniela Saghi Abravanel Lamed si snoda verso l'alto simile all'iconografia del serpente propria della filosofia orientale che, nella rettificazione del rapporto con l'altro, trova la sua statura eretta. La rettificazione del senso del piacere della sessualità è legata agli insegnamenti del mese di tishré, il mese dell'amore. Alcune variazioni della lettera Lamed Insegnare e imparare UNICITA’ DELLA LINGUA EBRAICA Ogni lettera dell‘ alfabeto ebraico è un vettore d'energia e di luce divina, che agisce sulla consapevolezza umana in modo triplice: tramite la sua forma, nome e valore numerico. Infatti per la tradizione ebraica le lettere sono cariche di una energia trascendente che lega l'umanità alla ragione stessa del suo divenire escatologico. Ogni lettera ebraica è un canale tramite il quale vengono riversati nel mondo correnti di purissima energia, che si differenziano a seconda dell'aspetto grafico, del suono, del significato del nome, e del valore numerico della lettera in questione. Unico tra tutti gli alfabeti del mondo, quello ebraico riunisce in sé una serie di insegnamenti profondi e ineguagliabili, racchiusi nella triade: suono, forma, numero.
  • 39. Tradizioni ebraiche a Tavola Gli ebrei sono un popolo con una grande storia, costellata da tantissime e antiche tradizioni. Molte di queste tradizioni sono legate al loro credo religioso che influenza anche l’alimentazione, imponendo regole da rispettare a tavola. Secondo la loro tradizione, l’altare è sacro ed è simbolicamente associato alla tavola. Per questo la tavola è avvolta da un’aura di sacralità. Sulla tavola, infatti, si compie il rito del consumo dei pasti della giornata. Il popolo ebraico, come da tradizione, considera il cibo a disposizione un dono di Dio e attribuisce agli alimenti una grande importanza, osservando con grande attenzione le regole contenute nella Torah (cucina kosher). Gli ebrei osservanti si approcciano ai diversi pasti della giornata in modo rispettoso, recitando due benedizioni che appartengono ad una tradizione antichissima. BERAKHA’ (dalla radice Barak che significa ginocchia, si riferisce all’antica tradizione di piegarsi sulle ginocchia mentre si recitava la benedizione). Il rituale di questa benedizione comincia con la pulizia delle mani; si procede poi versando l’acqua in un recipiente e pronunciando la Berakhà. Si benedice il pane e ogni altro alimento presente sulla tavola. Questa benedizione compare nel libro di Rut, riferendosi alle parole rivolte ai mietitori che lavoravano nei campi per portare sulle tavole i prodotti della terra. Così gli ebrei osservanti ringraziano Dio per il cibo a loro donato. BIRKAT HAMAZON è la benedizione del nutrimento, quella che va recitata sia dopo i normali pasti quotidiani sia dopo quelli dei giorni di festa. Questa preghiera viene letta dopo aver terminato pasti a base di pane e farina o cereali quali farro, orzo, avena. Anche con questa benedizione si ringrazia Dio per il pasto appena terminato.
  • 40. Alcuni testi sulla comunità ebraica del Ghetto di Venezia Consigli per un approfondimento degli argomenti trattati
  • 41. Alcuni testi sulla comunità ebraica del Ghetto di Venezia
  • 42. I 12 dogi della Repubblica di Venezia sotto la cui dogatura vennero redatti gli atti riportati dal nostro ocumento Per oltre mille anni, dal 697 al 1797 dominio bizantino, poi sovrano elettivo, nei secoli trasformatosi in supremo magistrato e immagine della maestà dello Stato, via via il Doge perdeva potere e diveniva solo il simbolo di una Repubblica "coronata" la cui carica era a vita. Solitamente la persona selezionata come Doge era uno degli anziani saggi della città e la sua antica residenza, dopo le precedenti a Heraclia ed a Metamaucum , era il Palazzo Ducale simbolo del potere e della ricchezza della Serenissima. Quello che segue è l’ elenco dei 12 Dogi sotto la cui dogatura vennero redatti gli atti riportati dal documento
  • 43. Marino Grimani 26 aprile 1595 25 dicembre 1605 Nome Stemma Dogato Inizio Termine Leonardo Donà (1536-1612) 10 gennaio 1606 16 luglio 1612 Marcantonio Memmo 24 luglio 1612 31 ottobre 1615 (1536-1615)
  • 44. 6 febbraio 1675 14 agosto 1676 Nome Stemma Dogato Inizio Termine Nicolò Sagredo (1606-1676) 16 ottobre 1659 26 gennaio 1675Domenico II Contarini (1585-1675) 10 aprile 1631 3 gennaio 1646Francesco Erizzo (1566-1646)
  • 45. Nome Stemma Dogato Inizio Termine 22 maggio 1709 12 agosto 1722Giovanni II Corner (1647-1722) 26 agosto 1676 15 gennaio 1684 (1601- 1684) Alvise Contarini 17 luglio 1700 6 maggio 1709 (1628- 1709) Alvise II Mocenigo
  • 46. Nome Stemma Dogato Inizio Termine 24 agosto 1722 21 maggio 1732 (1662-1732) Alvise III Sebastiano Mocenigo 17 gennaio 1735 17 giugno 1741 (1664-1741) Alvise Pisani 30 giugno 1741 7 marzo 1752 (1677-1752) Pietro Grimani
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  • 50. Buona parte del Documento che ci apprestiamo ad esaminare è incentrata sulla figura e l’attività del mercante ebreo Emanuel Valensin operante a Venezia. Il cognome è fra quelli censiti nel ghetto di Venezia già nella prima metà del 600 e ne sono testimonianza la presenza di due lapidi nell’antico cimitero del Lido con relativo epitaffio. Il cognome Valensin deriva dal nome della città di Valencia, capoluogo dell’omonima provincia spagnola, e da Valença, nome di alcune località portoghesi. Dopo l’espulsione dalla penisola iberica alla fine del XV secolo, ebrei della famiglia Valensin si stabilirono in Marocco. All’inizio del XVII secolo alcuni discendenti si spostarono in Veneto ed in particolare a Verona e a Venezia. Circa la vasta diramazione della famiglia Valensin e dei numerosi traffici ad essa facenti capo è di grande interesse il libro di Elia Boccara “ In fuga dall’inquisizione” In questo libro l'autore conduce un‘indagine storica alla ricerca delle tracce dei suoi antenati - tra i quali i Valensin - sfuggiti vari secoli fa alle Inquisizioni portoghesi e spagnole e approdati poi a Tunisi, dopo aver soggiornato a Venezia, Pisa e Livorno. Ci fornisce quindi un affresco di questo piccolo mondo di ebrei portoghesi protesi verso la conquista di spazi di vita e di lavoro. In conclusione l'autore tira le somme descrivendo la sorte dei discendenti attuali, sparsi ai quattro venti e spesso lontani da quel vecchio mondo e dalle sue regole. Bisognoso di punti fermi, egli rimane ancorato al recupero della religione dei padri. Grazie al lungo viaggio che ha compiuto nel passato egli rivive interiormente tutti gli attimi di vita degli avi che è riuscito a salvare dalla dimenticanza
  • 51. Decreto del 19 settembre 1722 Manoscritto che istituisce gli Inquisitori sopra l'Università degli Ebrei, incaricati di controllare e porre rimedio alla disastrosa situazione in cui si trova il debito di detta Università, che ammonta a più di 1.200.000 ducati.
  • 52. Registro terminazioni e lettere relativo a Inquisitorato sopra l‘Università degli Ebrei Raccolta Atti relativi agli Inquisitori sopra l‘Università degli Ebrei, 1722 - 1797
  • 53. Inquisitori sopra l‘Università degli Ebrei Istituiti dal Senato il 19 sett. 1722, sorvegliavano e controllavano l‘Università (comunità) degli Ebrei - costituita dalle tre nazioni, levantina, ponentina e tedesca, e re- sponsabile in solido per ciascuno dei suoi membri - con particolare riguardo alla gestione finanziaria, in un momento di pesante crisi economica di detta università stante il passivo dei tre banchi di prestito su pegno, obbligatoriamente gestiti, e i molti oneri verso l'erario e i privati che prendevano capitali a livello. Avevano particolare competenza sulla nazione ponentina. Stabilivano accordi con gli ebrei forestieri circa le imposte a loro carico. Interferivano relativamente alle comunità ebraiche dello Stato, specie riguardo ai loro obblighi finanziari e a livello consultivo. Agivano talora in conferenza con il Magistrato al Cattaver, i Savi alla Mercanzia e altri magistrati. Magistrato al Cattaver Il nome di questo ufficio – "cattaver" – indica una delle competenze principali svolte nel corso dei secoli: quella di “accattare”, vale a dire ricercare gli averi del fisco. Il controllo finanziario e la repressione del contrabbando, come prerogative generali, nei confronti della minoranza ebraica trovarono specifica articolazione con l’inquisizione sull’usura e la sorveglianza sul comportamento degli Ebrei. I Savi alla Mercanzia La magistratura preposta al settore mercantile. Istituiti dal Senato il 15 gen. 1507, i Cinque Savi alla Mercanzia divennero stabili nel 1517 .Incaricati anche di "scansar le spese superflue" nella gestione degli uffici, ebbero competenza via via accresciuta sul commercio, la navigazione, le arti, le manifatture della città e dello stato. Quarantia Nata originariamente come assemblea dei quaranta elettori del Doge nominati dalla Concio (l’assemblea del popolo lagunare riunito), i cui membri affiancavano poi il Doge nel governo dello Stato, la Quarantia, persa nel tempo la funzione elettiva in favore del Maggior Consiglio, si stabilizzò quindi come Tribunale Supremo della Repubblica e come organo di controllo sulle nomine in seno al Maggior Consiglio ed al Senato. Alla Quarantia spettò inoltre la pianificazione dell'esercizio finanziario da sottoporre al Maggior Consiglio e l'autorità sovrana sulla Zecca.
  • 54. Informazioni sul Documento Carta a mano, priva di filigrana Prima di copertina reca solo il titolo del documento Seconda di copertina presente ex libris inizio 900 Titolo frontespizio Per Li Capi Generali dell’Università tutta degl’ Ebrei Quarta di copertina nessuna informazione Illustrazioni nessuna Colophon assente Numero di pagine 76 Rilegatura a filo unico Carattere di stampa antiqua/Nicolas Jenson Data della stampa non riportata ( presumibilmente 1750 ) Ex Libris Carolus Del Fabro Provenienza archivio Del Fabro/Pirone
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  • 56. Prima e seconda di copertina IL DOCUMENTO
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  • 94.
  • 95. Con la pag. 76 ha termine l’esame del Documento. Per eventuali approfondimenti si consiglia di consultare Biblioteca Archivio Renato Maestro Cannaregio 2899 30121 Venezia Tel: 041 718833 Email: biblioteca@jvenice.org COLLEZIONI  Inquisitori sopra l'università degli ebrei  Ufficiali al cattaver. Processi a ebrei  Ufficiali al cattaver. Ebrei  Dieci savi sopra le decime di Rialto  Catastici del Ghetto Judaica. Fonti documentarie relative al mondo ebraico veneziano
  • 96. ‫לי‬ ‫שעזרו‬ ‫חברים‬ ‫עם‬ ‫הפעולה‬ ‫שיתוף‬ ‫על‬ ‫תודה‬ ‫מעניינות‬ ‫בשיחות‬ ‫היהודי‬ ‫לעולם‬ ‫לחדור‬ ‫ומתסכלות‬ Un doveroso ringraziamento ai tanti amici che mi hanno aiutato a penetrare il mondo ebraico nel corso dei tanti interessanti incontri e fruttifere conversazioni in Italia ed in Israele : Elio Toaff Ariel Toaff Sara Sacerdoti Roberto Modiano Gerard Cadier Aronne Maier Luciano Tagliacozzo Hartmut Diekmann Ghiron Stefano Levialdi Sergio Della Pergola
  • 97. Anagrafe Storica delle famiglie friulane
  • 98.
  • 99. Archivio Del Fabro / Pirone e-mail : ecopirone@libero.it