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Vivere in Italia. L’italiano per il lavoro e la cittadinanza
     Didattica base per l’insegnamento dell’italiano L2 ad adulti
               Corso per docenti/operatori/volontari

Apprendere una lingua in età adulta e in condizione
    di migrazione: risorse, strategie e criticità

    Un’idea di lingua e di livelli: il Quadro Comune
    Europeo di Riferimento per le lingue (QCER).

        Lodi – Scuola Don Milani, Via Salvemini, 1
                Lunedì 7 novembre 2011

giuseppeballero@yahoo.it
Articolazione del corso
   1° incontro: Apprendere una lingua seconda in età adulta e in condizione di
    migrazione - Risorse, strategie e criticità. Un’idea di lingua e di livelli: il Quadro
    Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER).

   2° incontro: Definizione del profilo sociolinguistico degli apprendenti -
       incontro
    Testare, valutare e certificare.

   3° incontro: L’apprendimento di una lingua seconda - Fasi d’interlingua -
    Modalità, difficoltà e tempi d’acquisizione.

   4° incontro: Approcci metodologici e gestione di una classe - Il ruolo del
    docente e l’autonomia dell’apprendente - Sviluppo di abilità e competenze.

   5° incontro: Correzione ed autocorrezione - Sviluppo di un percorso comune di
    consapevolezza linguistica.

   6° incontro: Materiali e strumenti per lo sviluppo di abilità e competenze
    linguistico-comunicative - Analisi e valutazione di materiali specifici - Esempi di
    materiali differenziati per abilità, livelli ed autenticità.
Articolazione del primo incontro
   La specificità del destinatario adulto:

   lifelong learning
   l’approccio andragogico
   le tecniche didattiche per gli studenti adulti

   Lo studente in condizione di migrazione:

   l’acculturazione
   la competenza linguistica – BICS/CALP
   la competenza comunicativa interculturale

   Le linee guida del Quadro Comune Europeo di Riferimento:

   Livelli soglia e QCER
   Modulo per immigrati adulti (comprensione e produzione, strutture grammaticali,
    domini e contesti d’uso)
Lifelong learning (P. E. Balboni, 2002)
Dal concetto di “educazione permanete” si è passati a quello di
                             permanete
  “lifelong learning”. La differenza non è immediatamente
            learning
  percepibile se non da quel drammatico “lifelong” e cioè “finchè si
                                         “                “
  vive”, ma è una differenza fondamentale.

   Per educazione permanete si intendeva un’offerta educativa
    essenzialmente legata alla volontarietà di chi ne fruisce (una
    persona che vuole fare carriera, che vuole andare all’estero, un
    pensionato che vuole riempire il suo tempo, ecc.)

   Il lifelong learning invece rimanda ad una realtà in cui non è una
    scelta volontaria che porta a studiare, ma è una realtà esterna che
    rende necessario lo studio. Si investe in un corso di lingua straniera
    o di informatica (digital divide) non tanto per progredire
    professionalmente, quanto per mera sopravvivenza.

La motivazione è quindi basata sul bisogno piuttosto che sul piacere.
  E questo è chiaramente il caso degli immigrati.
Lo studente adulto (P. E. Balboni, 2002)
   È fuori dal percorso formativo di base e quindi il rapporto docente-
    studente non è più educativo ma prevalentemente istruttivo:
    l’insegnante non “forma”, ma è semplicemente un tecnico che
    conosce la lingua da apprendere

   Può, e spesso vuole, decidere autonomamente e si assume la
    responsabilità delle sue decisioni; quindi considera l’insegnante
    non come un “superiore”, ma una persona “socialmente pari”(mentre
    il bambino è disposto a compiere un atto di fede nell’insegnante-adulto, lo studente adulto si
    sente pari all’insegnante)

   Paga il corso (e se non paga impiega il suo tempo) e quindi non
    segue il corso per suo piacere o perché mandato dai genitori, ma
    perché deve portare a risultati

   Vuole raggiungere i risultati nel minor tempo possibile non solo
    perché “paga”, ma perché è la società che detta i tempi
L’approccio andragogico 1                             (P. E. Balboni, 2002)

Un approccio andragogico è caratterizzato:

   dalla particolare natura e dal ruolo giocato dalla motivazione: per
                                                       motivazione
    mantenere costantemente viva la motivazione l’insegnante deve
    permettere allo studente di misurare continuamente il percorso
    effettuato e di individuare con chiarezza la successione degli obiettivi

   dalla disponibilità a superare le resistenze a modificare l’architettura
    della propria conoscenza: l’insegnante deve guidare questo processo
                  conoscenza
    partendo dagli strumenti cognitivi dell’adulto (per es. la
    sistematizzazione grammaticale)

   dalla consapevolezza che l’adulto ha della propria esperienza di vita:
    l’insegnante deve quindi garantire e sostenere l’ autonomia dello
    studente nel processo di apprendimento con attività condotte
    autonomamente dallo studente adulto pur con l’aiuto dell’insegnante

   dal conseguente passaggio del docente dal ruolo di “insegnante” a quello
    di “facilitatore dell’apprendimento”
L’approccio andragogico 2                                        (P. E. Balboni, 2002)

Quindi è necessario:

   negoziare gli obiettivi (insegnate e studente debbono concordare cosa
    intendono per “sapere una lingua”)

   spiegare il più possibile in maniera esplicita il perché delle attività didattiche:
    spesso l’adulto è legato a schemi didattici obsoleti che possono minare la
    fiducia nell’insegnate

   convincerlo, nei limiti del possibile, della bontà del metodo
    convincerlo

   assecondare per quanto possibile la necessità metalinguistica (ben superiore a
    quella dell’adolescente ed inesistente nel bambino), caratteristica psicologica
    dell’adulto che deriva dalla maggiore capacità astrattiva e sistematizzante della
    mente adulta che spinge al desiderio di “regole” stabili a cui far riferimento

   non rischiare la demotivazione preavvertendo che la capacità di apprendere
    una lingua non viene mai meno, ma che con l’età mutano la rapidità e la
    stabilità della acquisizione: il bambino è più rapido, ma l’adulto alla lunga lo
    raggiunge (Singleton, 1989)
Tecniche didattiche per adulti                                       (P. E. Balboni, 2002)

Le tecniche che rispondono ai requisiti dell’andragogia sono quelle che pongono lo
   studente di fronte alla sua competenza.

Quindi le tecniche che affidano allo studente il compito di realizzarle e valutarle
   autonomamente (pur con la guida dell’insegnante “facilitatore”) sono
   essenzialmente:
  il dettato autocorretto
  il cloze
  l’accoppiamento parole-immagini
  tutte le forme di incastro (incastro di parole, di spezzoni di frasi, di periodi di
   un testo, di battute di un dialogo, di vignette e parole di un fumetto, ecc.)

Meno indicate per l’andragogia, ma più adatte alla “pedagogia” sono le tecniche
  che

1.   portano ad interagire con i compagni (PLO, roleplay, ecc.), anche se…
2.   pongono lo studente a confronto diretto con l’insegnante-giudice (correzione
     degli errori, processo di verifica, comunicazione dei risultati)
3.   fanno giocare
Interculturalità (Balboni, 2002)
La multiculturalità è un dato etnico-sociale, l’interculturalità invece è una scelta
   politica e culturale.

   Nella società multiculturale l’ospitante non si mette in discussione e l’ospitato
    lo fa solo quanto basta per non essere espulso. L’arricchimento è solo
    economico.

   Nella società interculturale l’arricchimento è culturale, si scoprono altri punti
    di vista, altri stili di vita; tutti si mettono in discussione.

Prima di decidere come insegnare l’italiano dobbiamo decidere in quale società
   vogliamo vivere: da questo dipende l’organizzazione dell’insegnamento. Inteso
   cioè solo come un supporto, anche ben organizzato, all’immigrato o che invece
   insegni a tutta la popolazione scolastica (ospitante ed ospitata) a vivere in una
   nuova società fatta di lingue, culture e religioni diverse.
In entrambi i casi bisogna attrezzarci per insegnar loro la lingua. Sia se riteniamo di
   dar loro solo un supporto, sia se pensiamo in prospettiva ad una nuova società,
   sappiamo che la conoscenza della lingua è l’elemento essenziale: uno dei
   principali meccanismi di permeabilità, di contagio culturale è costituito infatti
   dalla conoscenza delle lingue.
Acculturazione                          (P. Celentin / G. Serragiotto, 2000)

La definizione classica del termine acculturazione comprende i
  cambiamenti dei modelli culturali originari che si manifestano nel
  momento in cui gruppi o individui entrano in contatto con culture
  differenti.
Quando ciò avviene, i soggetti vivono un impatto significativo nella
  propria struttura psicologica, sociale, istituzionale, politica e nel
  sistema dei valori.

Imparare a “funzionare” in una cultura straniera (Balboni, 2002)


 Euforia
 Shock culturale

 Stabilità
Euforia          (P. Celentin / G. Serragiotto, 2000)




•   Il primo periodo è caratterizzato quasi sempre da
    una fase di euforia causata dall’eccitazione per la
    nuova vita e le nuove esperienze (a volte si tratta
    della prima volta che una persona gestisce da sola
    la propria vita).
•   Questa fase è molto breve e ad essa segue
    immediatamente il periodo dello shock culturale.
Shock culturale (Celentin / Serragiotto, 2000 - Bruni, 2007)
E’ la fase in cui l’alunno avverte le differenze culturali che
  scalfiscono l’immagine di se stesso.
 Regole e lingua

 Ansie paragonabili a quelle dell’adolescenza:
-    persecutorie, di fronte all’ignoto ed al cambiamento
-    depressive, per gli oggetti lasciati e le parti di sé perdute
-    confusionali, per l’insieme intricato di stimoli nuovi e vecchie
     esperienze

    Produce estraniamento, rabbia, ostilità, indecisione,
     frustrazione, tristezza per la lontananza da casa (fase
     silente)
    Può portare a regressione, isolamento e rifiuto.
    Più o meno forte: da una semplice irritabilità ad uno stato
     psicologico di panico o crisi
    La malinconia ed il lutto
Stabilità     (P. Celentin / G. Serragiotto, 2000)



1)   Ultima fase
2)   Negativa
3)   Positiva quando l’alunno ha raggiunto
     un grado di adattamento pari ad un
     nativo
4)   La malinconia si è trasformata in lutto
     che viene elaborato
5)   Superiorità intellettiva, affettiva e
     sociale del bilingue
Acculturazione                        (J.W. Berry, 2001)


   Separazione o isolamento quando persiste una forte
    adesione alla propria cultura ed il rifiuto verso quella
    nuova
   Assimilazione quando perde gli aspetti della propria
    cultura cercando di assumere il più possibile quelli del
    nuovo paese
   Marginalizzazione quando rifiuta sia la propria identità
    etnica sia quella del paese ospite
   Integrazione quando conserva la propria identità etnica
    adattandosi a quella del paese d’accoglienza in continuo
    scambio e collaborazione
Che fare? (C. Bruni, 2007)
   Spiegare al più presto in modo esplicito all’alunno straniero (ed agli
    alunni tutti), magari con l’aiuto del mediatore culturale, che passerà
    inevitabilmente uno stato di crisi che possiamo definire duplice: quello
    tipico dell’ adolescente ed il “trauma migratorio” (Nathan)
    dell’inserimento in un nuovo paese con conseguente rottura
    dell’equilibrio precedente.
   Ma far presente anche che “crisi” non è una brutta parola, bensì, se
    intesa nell’accezione del greco “krisis” (separazione, scelta) o
    come l’ideogramma cinese che è l’insieme di due simboli che
    significano pericolo ed opportunità, può essere una “triste
                                                              “
    fortuna”.
   “Crisi” quindi come un momento confuso ed una situazione
    disorganizzata che col tempo vanno organizzati diversamente e
    positivamente con un assestamento migliorativo
   Se questa sorta di rinascita avverrà, aumenterà il potenziale creativo
    della persona: quindi un’occasione da non perdere.
Che fare?
   In un primo momento (più o meno nella fase dell’euforia) è
    opportuno non incalzare l’alunno con richieste di ricordi o di
    racconto. E’ bene anzi non soffermarsi sul passato, ma interessarsi,
    parlare e far parlare del futuro.
   La fase dello shock è la più delicata e qualsiasi cosa faccia
    l’insegnante spesso sbaglia. E’ forse questo il momento in cui
    bisogna parlare del loro mondo: i ricordi, la famiglia, la loro terra,
    il loro Paese.
   Pensieri ed emozioni che è bene che esplicitino: invitarli quindi ad
    esprimerli ed a condividerli.
   Aprire uno sportello di ascolto (psicologo).
   Utilizzare il mediatore culturale: figura che va ben oltre il semplice
    ruolo di traduttore: è la testimonianza dell’intreccio dell’altrove col
    presente, la prova vivente di un mondo possibile (C. Bruni, 2007).
   Tutor

    Agire sui e con i genitori
Mete educative per gli immigrati adulti
   L’autorealizzazione è la finalità educativa fondamentale:
    la realizzazione di se stessi per un immigrato è
    solitamente associata all’urgenza di potenziare le sue
    capacità comunicative per scopi di lavoro

   Anche la socializzazione è spesso collegata al lavoro, ma
    differisce a seconda dei gruppi etnici (senegalesi e
    marocchini più predisposti all’integrazione, cinesi meno)
    e del singolo

   La culturizzazione è la meta più ambiziosa

La motivazione è sempre più spesso “integrativa” e cioè
  non dettata dal desiderio di un contatto solo temporaneo
  con gli italofoni, bensì finalizzata all’inserimento nella
  società italiana
Competenze            (M. Clementi – 2011)




   tre ambiti trasversali:

     la competenza comunicativa
     la competenza linguistica

     la competenza culturale
Competenza comunicativa           (M. Clementi – 2011)




      capacità di entrare in relazione con
              interlocutori diversi:

    in ambito lavorativo
    in ambito sociale
Competenza linguistica       (M. Clementi – 2011)




competenza linguistica e competenza formale

 conoscenza delle regole che permettono la
 produzione di frasi e testi corretti e di senso
                  compiuto
Competenza linguistica – BICS/CALP
                         (J. Cummins, 2000)
   BICS (Basic Interpersonal Communication Skills): le
    abilità comunicative interpersonali di base.
   CALP (Cognitive Academic Language Proficiency): la
    padronanza linguistica cognitivo-accademica

Il saper parlare una lingua anche con buona pronuncia e
   fluenza non significa saperla usare come strumento
   cognitivo e cioè esser capace di riassumere, produrre testi
   argomentativi, individuare ed ordinare sequenze di fatti,
   affrontare un testo storico o letterario (materie scolastiche).
Non basta giudicare l’allievo alfabetizzato nella nuova lingua
   per pensare che possa affrontare uno studio superiore e delle
   discipline scolastiche.
Competenza linguistica
Gli immigrati adulti tendono essenzialmente a chiedere le BICS e
   hanno questo solo obiettivo ed è a questo obiettivo che si indirizza lo
   sforzo glottodidattico delle associazioni che lavorano con gli
   immigrati.
Le abilità di base (BICS) però non solo sono insufficienti per chi vuole
   prendere un diploma in una scuola, ma anche per l’immigrato
   adulto che vuole imparare la lingua solo per lavorare le BICS non
   sono veramente sufficienti perché quando le raggiunge l’immigrato
   può sì lavorare, ma passa la sua vita di relazione con gli italiani in
   situazione di forte inferiorità sul piano linguistico e culturale.
Ciò genera un disagio ed una frustrazione che si riflettono su tutto il
   vissuto; di conseguenza l’immigrato compensa questa “deprivazione
                                                              “
   linguistica” (Bernstein) sviluppando molto spesso i messaggi corporei
   e cioè la forza fisica (dallo sport alla danza e, purtroppo, alla
   violenza), rimanendo però sostanzialmente privo di uno strumento
   linguistico pienamente posseduto che gli permetterebbe invece, con
   tutta probabilità, l’integrazione.
L’immigrato quindi dovrebbe essere posto in grado di scegliere e
   quindi di capire, sulla base delle proprie motivazioni consapevoli, se
   studiare la lingua italiana per la sola sopravvivenza o se puntare
   invece a sviluppare una personalità bilingue.
Competenza culturale (Adattamento da M. Clementi)
 consapevolezza/padronanza dei codici sociali,
  morali ed estetici

 conoscenza del patrimonio culturale del paese di
  accoglienza

 la non conoscenza dei codici culturali può dar
  luogo a fraintendimenti ed incidenti interculturali
  anche gravi fino al razzismo
Competenza comunicativa interculturale
              (P. Celentin, G. Serragiotto 2001 – P.E. Balboni 2011)
1.     Postura (accavallare le gambe, togliersi le scarpe,
       abbigliamento)
2.     Rumori e odori del corpo – Arabi, Asia, Giappone, Turchia
3.     Prossemica: spazio vitale – baci e abbracci (nordici, musulmani)
4.     Interrompere – velocità d’elocuzione
5.     Volume e tono della voce
6.     Gestualità (mondo latino)
7.     Pollice e indice uniti, pollice in alto
8.     Mimica facciale – sorridere
9.     Puntualità
10.    Flessibilità
11.    Guardare negli occhi
12.    Gli argomenti tabù
13.    Silenzio
Competenza comunicativa interculturale
                             (rielaborazione da P.E. Balboni – 2011)

   Non fare più questi errori
   Non leggere gli altri secondo le nostre regole
   Non stupire e non stupirsi

L’ignoranza e l’equivoco e la non conoscenza della abitudini, degli atteggiamenti e della cultura
    altrui porta al conflitto e fin alle guerre.
Nel nostro piccolo e cioè nel nostro ruolo di insegnanti è bene quindi affrontare l’argomento ed
    approfittare di ogni occasione per sottolineare le differenze (naturalmente senza stupidi
    giudizi di valore), chiedere se “nel vostro paese fanno così o no”, individuare gli errori
    derivati da certi comportamenti di stranieri e di italiani in cui il fallimento della
    comunicazione, sia essa verbale o meno, è dovuto all’errata valutazione di aspetti culturali.
L’etimologia della parola “straniero” ci dice che proviene da “extraneus” così come anche la
    parola “strano”. “Il Piave mormorò: non passa lo straniero!” (“straniero”, non “nemico”) .
    Senza poi voler ritornare al concetto di “barbaro” dei Romani. Già è più addolcito il termine
    veneto “foresto”, “colui che viene da fuori”: i commercianti veneziani erano ben consci che
    per la loro economia e per la loro stessa sopravvivenza lo straniero col quale scambiare le
    merci era una risorsa da rispettare.
Bella la frase di Balboni: “ Spesso a scuola abbiamo la fortuna di avere alunni di dieci
    nazionalità diverse”.

   Straniero come risorsa
Competenze extralinguistiche
   Competenza cinesica:
    riguarda la capacità di comprendere e utilizzare i gesti, le
    espressioni del viso, i movimenti del corpo
   Competenza prossemica:
    relativa alla vicinanza ed al contatto con l’interlocutore
   Competenza vestemica:
    intesa come capacità di padroneggiare il sistema della
    moda (divise, uniformi, abiti più o meno formali, ecc.)
   Competenza oggettuale:
    che rimanda all’uso di oggetti come strumenti per
    comunicare uno status sociale, una funzione
QCER
 Quadro Comune Europeo di
          Riferimento
per la conoscenza delle lingue
     (Common European Framework of Reference for Languages)


Nel novembre 2001 una risoluzione del Consiglio d'Europa
 raccomandò di utilizzare il QCER per costruire sistemi di
           validazione dell'abilità linguistica.
Consiglio d’Europa
Il Consiglio d’Europa è un organismo internazionale che
   raggruppa 45 paesi ed è un'organizzazione distinta dall’‘
   Unione Europea; è infatti espressione di quasi tutta l’Europa
   geografica. E’ stato fondato nel 1949 e ha sede a
   Strasburgo. Le FINALITÀ essenziali sono:
 tutelare i diritti dell’uomo e la democrazia parlamentare;

 promuovere accordi per armonizzare le pratiche sociali e

   giuridiche degli Stati Membri;
 favorire la consapevolezza dell’identità europea basata su

   valori condivisi che trascendono le diversità culturali.
Livelli soglia e QCER
   I livelli soglia (sillabo funzionale-nozionale) del Consiglio d’Europa
    (anni 80) sono dei repertori che indicano le situazioni in cui un
    individuo può trovarsi, elenchi di atti comunicativi e relative nozioni di
    lingua minime necessarie per interagire (N.Galli de’ Paratesi, 1982)

   Il Quadro Comune Europeo di Riferimento del Consiglio d'Europa
    (1991) è un ricco repertorio di descrittori delle competenze linguistiche
    che un qualsiasi soggetto che studia una o più lingue può sviluppare nel
    suo percorso di apprendimento.
•   E’ ampiamente accettato come un prezioso strumento, trasparente e
    coerente, rivolto a tutti coloro che sono implicati nell'insegnamento e
    apprendimento delle lingue (docenti, studenti, enti certificatori, addetti
    alle politiche linguistiche, autori di libri di testo, ecc.).
•   I livelli di competenza linguistica sono sei (A1/A2, B1/B2, C1/C2),
    ripartiti in tre più ampi livelli: elementare (A), intermedio (B) ed
    avanzato (C).
•   E' stata messa a punto una griglia di autovalutazione che descrive più
    nello specifico le competenze per i sei livelli.
Le linee guida del QCER (M. Piantoni)
   Il QCER si situa nel contesto delle politiche linguistiche del
    Consiglio d'Europa e, in particolare, della "promozione del
    plurilinguismo (nuovo concetto che si differenzia di molto dal
    preesistente “multilinguismo”) quale risposta alla diversità
    linguistica e culturale in Europa".

   “Descrive in modo esaustivo ciò che chi studia una lingua deve
    imparare per usarla per comunicare e indica quali conoscenze e
    abilità deve sviluppare per agire in modo efficace. La descrizione
    riguarda anche il contesto culturale nel quale la lingua si situa”.

   Si propone di fornire “[…] una base comune per l’elaborazione di
    programmi, linee guida curricolari, esami, libri di testo”.

   “Inoltre il Framework definisce i livelli di competenza che
    permettono di misurare il progresso dell’apprendente ad ogni
    stadio del percorso, nella prospettiva dell'educazione
    permanente.” - (p. 1).
Livelli soglia e QCER                    (A. Mazza, 2006)

        Livello soglia                               QCER

Definiva la “soglia” cioè la meta       Tiene conto dell’evoluzione del
  da raggiungere, il repertorio         parlante per arrivare al livello
  linguistico-comunicativo              soglia e a quelli successivi e quindi
  minimo che consente ad un             considera la lingua in azione:
  apprendente di vivere,                definisce soprattutto come le
  lavorare e studiare all’estero.       persone usano una lingua per
  Ma il livello soglia non dà           comunicare. L’apprendimento di
  giudizi di tipo qualitativo:          una lingua parte dalla totale
  specifica cosa si deve fare e         ignoranza e procede
  sapere ma non ci dice con che         progressivamente verso traguardi
  livello qualitativo                   di sempre maggiore autonomia
Il parlante è ben definito nelle      Il parlante è un apprendente in
    sue caratteristiche, ma statico       continua evoluzione (interlingua)
QCER (A. Mazza, 2006)
     Livello soglia            QCER
                              Sapere: conoscenza del mondo, della società e
   Non più solo               della cultura, consapevolezza interculturale
    “saper fare con           Saper fare: abilità sociali, abilità tecniche,
                               anche abilità relative al tempo libero, ecc.
    la lingua”                Saper apprendere: integrare nuove
                               conoscenze modificando quelle esistenti
                               (capacità di sviluppare nuove abilità di studio)
                              Saper essere: atteggiamenti, valori morali,
                               convinzioni, stili di vita, fattori della
                               personalità (saper affrontare nuove esperienze
                               - Life Skills)

Non più solo“abilità”di:   Quindi “attività” di:

   ascolto                   ricezione (sia scritte che orali)
   parlato                   produzione (sia scritte che orali)
   lettura                   interazione
   scrittura                 mediazione
COMMON EUROPEAN FRAMEWORK -QCER
                            A1                 A2
     Elementare           Contatto        Sopravvivenza
                         (Breakthrough)      (Waystage)
    Livello di base

      Intermedio            B1                 B2
 Livello di autonomia      Soglia           Progresso
                          (Threshold)        (Vantage)
     Indipendente

      Avanzato               C1                C2
                          Efficacia        Padronanza
                           (Effective        (Mastery)
 Livello di padronanza
                           Operational
     competente            Proficiency)
Una lingua per … (M. Clementi, 2011)
   Una lingua non è un sistema di categorie
    grammaticali astratte
   Non è sufficiente fornire gli strumenti linguistici per
    tradurre i propri pensieri in italiano
   Imparare una lingua significa entrare in un’altra
    cultura ed interiorizzare un modo diverso di vedere
    le cose, di interpretare il mondo e la realtà
   La lingua rivela la storia del popolo che la parla,
    trasmette valori e concezioni del mondo, genera
    emozioni e segnala categorie sociali
Come fare?                      (M.C. Luise, 2003; C. Carraresi, 2007)

 Attenersi più che mai all’approccio
  comunicativo ed umanistico-affettivo
 Relazionalità - interazione
 Insegnante come comunicatore, facilitatore, mediatore
    culturale
   Didattica orientata all’azione tesa a creare capacità
    di agire in situazioni concrete, più che aderire alle regole formali
   Didattica flessibile che possa calibrarsi sull’eterogeneità
    delle esigenze degli alunni e sulla situazione di apprendimento misto
    (spontaneo e guidato)prevedendo cambiamenti in itinere
   Percorsi formativi brevi (spesso l’istruzione dura per un
    periodo limitato) organizzati su Unità di apprendimento centrate su
    tematiche legate a situazioni di vita quotidiana
Come fare?                 (M.C. Luise, 2003; C. Carraresi, 2007)

   Ottica interculturale che favorisca la
    motivazione integrativa
   Supporti extralinguistici mimo, gesti,
    espressioni facciali
 Ridondanza
 Contestualizzazione esempi concreti, termini di uso
    comune; collegarsi alla loro esperienza e realtà, evitare le
    parole astratte
   Semplificazione della lingua (non
    impoverimento!) forma attiva e non passiva, paratassi e non
    impoverimento!
    ipotassi, i verbi e i nomi sono più semplici degli aggettivi
L’approccio comunicativo ed il
      metodo nozionale-funzionale
Dagli anni ’60/’70; Hymes (competenza comunicativa in contrapposizione
  alla competenza linguistica del Chomsky); Corder (analisi degli errori);
 Selinker (interlingua); psicologia della Gestalt; Progetto Lingue Moderne
                       del Consiglio d’Europa (1967)


Il fine non è l’apprendimento della lingua per
 se stessa, ma la lingua intesa come strumento
 di comunicazione
Valorizzare la lingua madre
                         (M.C. Luise, 2003)

    L’acquisizione della L2 non è legata alla perdita della LM,
     bensì dipende dal suo sviluppo:
1)   Favorire il bilinguismo (lezioni di lingua madre)
2)   Paragonare le culture: esaminare le similitudini e le
     differenze.
3)   Più sentiranno rispettata la loro cultura, più si apriranno
     alla nostra (Bruni, 2007)
4)   Analisi degli errori e meno analisi contrastiva
5)   Progetti interculturali
6)   Farli diventare “gli italiani col trattino” (Turco, 2006),
     affinché possano sentirsi non come un’isola ma come una
     penisola (Amos Oz) e possano riconoscere e mantenere le loro
     radici senza mitizzarle o demonizzarle
La favola di Rih                  (Schelotto, 2002)
Rih, bambino magrebino, conosceva perfettamente l’italiano, ma non
  parlava più perché era molto arrabbiato con tutti. Ascoltava
  soltanto. I compagni, quando aveva provato a salutarli nella lingua
  che aveva imparato da piccolo, lo avevano preso in giro. Anche il
  maestro gli aveva detto, pur se in modo gentile, che sarebbe stato
  molto meglio per lui parlare italiano. Persino in famiglia si erano
  messi d’accordo per non rispondergli quando parlava nella loro
  lingua!
Un bel giorno di primavera il maestro portò i bambini a far correre
  gli aquiloni ma sul più bello il vento calò…
Fu allora che Rih cominciò ad avvertire quel vaghissimo profumo che
  spesso aveva sentito nel suo villaggio ai margini del deserto. Era
  l’odore di tutti gli odori che il vento raccoglieva sorvolando il
  mondo: un po’ di sabbia, un po’ d’erba, un po’ di gelsomino… Rih
  lo conosceva bene, il nonno gli aveva insegnato a fiutare quelle
  sottili fragranze, bastava seguirne la traccia per incontrare il
  vento.
La favola di Rih                    (Schelotto, 2002)
Prese il suo aquilone e, annusando l’aria, si spostò lentamente, aspirò
    con forza, si fermò, corse veloce… la gioia di ritrovare qualcosa che
    veniva dalla sua terra gli esplose dentro, e cominciò a gridare
    all’aria tutte le sue parole: “Taal taal, asfal, huna, huna”.
Il suo aquilone, soltanto il suo, si librò; prima incerto e traballante, poi
    leggero, sicuro, trionfale, volteggiò nell’azzurro. Nel grande prato si
    sentivano solo le parole gridate da Rih, alunni e maestro erano
    ammutoliti.
Come ammaliato, uno dei bambini afferrò il suo filo e seguendo la corsa
    di Rih si mise a ripetere alla meglio quelle strane parole che, certo,
    erano magiche: “Taal, taal, asfal, huna, huna”. Il secondo aquilone
    si impennò verso l’alto, poi si librarono il terzo, il quarto, tutti.
Trenta ali colorate andavano leggere incontro al sole, guidate da Rih,
    principe del vento. Rih non si accorse nemmeno che finalmente tutti i
    bambini e persino il maestro parlavano con le sue parole, sentì solo
    di non essere più arrabbiato e che quelli erano i suoi amici. “Correte
    dietro di me” disse in italiano. Ma quelli sembrava non conoscessero
    che : “Taal, taal, asfal, huna, huna”
La favola di Rih (Schelotto, 2002)
   Ci insegna a valorizzare di queste persone qualsiasi
    elemento che possa apparire un pregio ai nostri
    occhi
   Ci insegna a non sentirci indispettiti e perseguitati
    dal silenzio persistente, provocatorio e quasi
    aggressivo nel quale si condensa tutto il dolore
    dell’immigrazione
   Ci insegna a cominciare ad immaginare una società
    globale non impoverita dall’uniformità, dalla
    mediocrità o dall’egemonia dei più forti
   Ci insegna a prendere atto della ricchezza insita
    nella varietà
   E’ un progetto ed un’idea di futuro diverso
giuseppeballero@yahoo.it

Grazie per
l’attenzione

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  • 1. Vivere in Italia. L’italiano per il lavoro e la cittadinanza Didattica base per l’insegnamento dell’italiano L2 ad adulti Corso per docenti/operatori/volontari Apprendere una lingua in età adulta e in condizione di migrazione: risorse, strategie e criticità Un’idea di lingua e di livelli: il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER). Lodi – Scuola Don Milani, Via Salvemini, 1 Lunedì 7 novembre 2011 giuseppeballero@yahoo.it
  • 2. Articolazione del corso  1° incontro: Apprendere una lingua seconda in età adulta e in condizione di migrazione - Risorse, strategie e criticità. Un’idea di lingua e di livelli: il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER).  2° incontro: Definizione del profilo sociolinguistico degli apprendenti - incontro Testare, valutare e certificare.  3° incontro: L’apprendimento di una lingua seconda - Fasi d’interlingua - Modalità, difficoltà e tempi d’acquisizione.  4° incontro: Approcci metodologici e gestione di una classe - Il ruolo del docente e l’autonomia dell’apprendente - Sviluppo di abilità e competenze.  5° incontro: Correzione ed autocorrezione - Sviluppo di un percorso comune di consapevolezza linguistica.  6° incontro: Materiali e strumenti per lo sviluppo di abilità e competenze linguistico-comunicative - Analisi e valutazione di materiali specifici - Esempi di materiali differenziati per abilità, livelli ed autenticità.
  • 3. Articolazione del primo incontro  La specificità del destinatario adulto:  lifelong learning  l’approccio andragogico  le tecniche didattiche per gli studenti adulti  Lo studente in condizione di migrazione:  l’acculturazione  la competenza linguistica – BICS/CALP  la competenza comunicativa interculturale  Le linee guida del Quadro Comune Europeo di Riferimento:  Livelli soglia e QCER  Modulo per immigrati adulti (comprensione e produzione, strutture grammaticali, domini e contesti d’uso)
  • 4. Lifelong learning (P. E. Balboni, 2002) Dal concetto di “educazione permanete” si è passati a quello di permanete “lifelong learning”. La differenza non è immediatamente learning percepibile se non da quel drammatico “lifelong” e cioè “finchè si “ “ vive”, ma è una differenza fondamentale.  Per educazione permanete si intendeva un’offerta educativa essenzialmente legata alla volontarietà di chi ne fruisce (una persona che vuole fare carriera, che vuole andare all’estero, un pensionato che vuole riempire il suo tempo, ecc.)  Il lifelong learning invece rimanda ad una realtà in cui non è una scelta volontaria che porta a studiare, ma è una realtà esterna che rende necessario lo studio. Si investe in un corso di lingua straniera o di informatica (digital divide) non tanto per progredire professionalmente, quanto per mera sopravvivenza. La motivazione è quindi basata sul bisogno piuttosto che sul piacere. E questo è chiaramente il caso degli immigrati.
  • 5. Lo studente adulto (P. E. Balboni, 2002)  È fuori dal percorso formativo di base e quindi il rapporto docente- studente non è più educativo ma prevalentemente istruttivo: l’insegnante non “forma”, ma è semplicemente un tecnico che conosce la lingua da apprendere  Può, e spesso vuole, decidere autonomamente e si assume la responsabilità delle sue decisioni; quindi considera l’insegnante non come un “superiore”, ma una persona “socialmente pari”(mentre il bambino è disposto a compiere un atto di fede nell’insegnante-adulto, lo studente adulto si sente pari all’insegnante)  Paga il corso (e se non paga impiega il suo tempo) e quindi non segue il corso per suo piacere o perché mandato dai genitori, ma perché deve portare a risultati  Vuole raggiungere i risultati nel minor tempo possibile non solo perché “paga”, ma perché è la società che detta i tempi
  • 6. L’approccio andragogico 1 (P. E. Balboni, 2002) Un approccio andragogico è caratterizzato:  dalla particolare natura e dal ruolo giocato dalla motivazione: per motivazione mantenere costantemente viva la motivazione l’insegnante deve permettere allo studente di misurare continuamente il percorso effettuato e di individuare con chiarezza la successione degli obiettivi  dalla disponibilità a superare le resistenze a modificare l’architettura della propria conoscenza: l’insegnante deve guidare questo processo conoscenza partendo dagli strumenti cognitivi dell’adulto (per es. la sistematizzazione grammaticale)  dalla consapevolezza che l’adulto ha della propria esperienza di vita: l’insegnante deve quindi garantire e sostenere l’ autonomia dello studente nel processo di apprendimento con attività condotte autonomamente dallo studente adulto pur con l’aiuto dell’insegnante  dal conseguente passaggio del docente dal ruolo di “insegnante” a quello di “facilitatore dell’apprendimento”
  • 7. L’approccio andragogico 2 (P. E. Balboni, 2002) Quindi è necessario:  negoziare gli obiettivi (insegnate e studente debbono concordare cosa intendono per “sapere una lingua”)  spiegare il più possibile in maniera esplicita il perché delle attività didattiche: spesso l’adulto è legato a schemi didattici obsoleti che possono minare la fiducia nell’insegnate  convincerlo, nei limiti del possibile, della bontà del metodo convincerlo  assecondare per quanto possibile la necessità metalinguistica (ben superiore a quella dell’adolescente ed inesistente nel bambino), caratteristica psicologica dell’adulto che deriva dalla maggiore capacità astrattiva e sistematizzante della mente adulta che spinge al desiderio di “regole” stabili a cui far riferimento  non rischiare la demotivazione preavvertendo che la capacità di apprendere una lingua non viene mai meno, ma che con l’età mutano la rapidità e la stabilità della acquisizione: il bambino è più rapido, ma l’adulto alla lunga lo raggiunge (Singleton, 1989)
  • 8. Tecniche didattiche per adulti (P. E. Balboni, 2002) Le tecniche che rispondono ai requisiti dell’andragogia sono quelle che pongono lo studente di fronte alla sua competenza. Quindi le tecniche che affidano allo studente il compito di realizzarle e valutarle autonomamente (pur con la guida dell’insegnante “facilitatore”) sono essenzialmente:  il dettato autocorretto  il cloze  l’accoppiamento parole-immagini  tutte le forme di incastro (incastro di parole, di spezzoni di frasi, di periodi di un testo, di battute di un dialogo, di vignette e parole di un fumetto, ecc.) Meno indicate per l’andragogia, ma più adatte alla “pedagogia” sono le tecniche che 1. portano ad interagire con i compagni (PLO, roleplay, ecc.), anche se… 2. pongono lo studente a confronto diretto con l’insegnante-giudice (correzione degli errori, processo di verifica, comunicazione dei risultati) 3. fanno giocare
  • 9. Interculturalità (Balboni, 2002) La multiculturalità è un dato etnico-sociale, l’interculturalità invece è una scelta politica e culturale.  Nella società multiculturale l’ospitante non si mette in discussione e l’ospitato lo fa solo quanto basta per non essere espulso. L’arricchimento è solo economico.  Nella società interculturale l’arricchimento è culturale, si scoprono altri punti di vista, altri stili di vita; tutti si mettono in discussione. Prima di decidere come insegnare l’italiano dobbiamo decidere in quale società vogliamo vivere: da questo dipende l’organizzazione dell’insegnamento. Inteso cioè solo come un supporto, anche ben organizzato, all’immigrato o che invece insegni a tutta la popolazione scolastica (ospitante ed ospitata) a vivere in una nuova società fatta di lingue, culture e religioni diverse. In entrambi i casi bisogna attrezzarci per insegnar loro la lingua. Sia se riteniamo di dar loro solo un supporto, sia se pensiamo in prospettiva ad una nuova società, sappiamo che la conoscenza della lingua è l’elemento essenziale: uno dei principali meccanismi di permeabilità, di contagio culturale è costituito infatti dalla conoscenza delle lingue.
  • 10. Acculturazione (P. Celentin / G. Serragiotto, 2000) La definizione classica del termine acculturazione comprende i cambiamenti dei modelli culturali originari che si manifestano nel momento in cui gruppi o individui entrano in contatto con culture differenti. Quando ciò avviene, i soggetti vivono un impatto significativo nella propria struttura psicologica, sociale, istituzionale, politica e nel sistema dei valori. Imparare a “funzionare” in una cultura straniera (Balboni, 2002)  Euforia  Shock culturale  Stabilità
  • 11. Euforia (P. Celentin / G. Serragiotto, 2000) • Il primo periodo è caratterizzato quasi sempre da una fase di euforia causata dall’eccitazione per la nuova vita e le nuove esperienze (a volte si tratta della prima volta che una persona gestisce da sola la propria vita). • Questa fase è molto breve e ad essa segue immediatamente il periodo dello shock culturale.
  • 12. Shock culturale (Celentin / Serragiotto, 2000 - Bruni, 2007) E’ la fase in cui l’alunno avverte le differenze culturali che scalfiscono l’immagine di se stesso.  Regole e lingua  Ansie paragonabili a quelle dell’adolescenza: - persecutorie, di fronte all’ignoto ed al cambiamento - depressive, per gli oggetti lasciati e le parti di sé perdute - confusionali, per l’insieme intricato di stimoli nuovi e vecchie esperienze  Produce estraniamento, rabbia, ostilità, indecisione, frustrazione, tristezza per la lontananza da casa (fase silente)  Può portare a regressione, isolamento e rifiuto.  Più o meno forte: da una semplice irritabilità ad uno stato psicologico di panico o crisi  La malinconia ed il lutto
  • 13. Stabilità (P. Celentin / G. Serragiotto, 2000) 1) Ultima fase 2) Negativa 3) Positiva quando l’alunno ha raggiunto un grado di adattamento pari ad un nativo 4) La malinconia si è trasformata in lutto che viene elaborato 5) Superiorità intellettiva, affettiva e sociale del bilingue
  • 14. Acculturazione (J.W. Berry, 2001)  Separazione o isolamento quando persiste una forte adesione alla propria cultura ed il rifiuto verso quella nuova  Assimilazione quando perde gli aspetti della propria cultura cercando di assumere il più possibile quelli del nuovo paese  Marginalizzazione quando rifiuta sia la propria identità etnica sia quella del paese ospite  Integrazione quando conserva la propria identità etnica adattandosi a quella del paese d’accoglienza in continuo scambio e collaborazione
  • 15. Che fare? (C. Bruni, 2007)  Spiegare al più presto in modo esplicito all’alunno straniero (ed agli alunni tutti), magari con l’aiuto del mediatore culturale, che passerà inevitabilmente uno stato di crisi che possiamo definire duplice: quello tipico dell’ adolescente ed il “trauma migratorio” (Nathan) dell’inserimento in un nuovo paese con conseguente rottura dell’equilibrio precedente.  Ma far presente anche che “crisi” non è una brutta parola, bensì, se intesa nell’accezione del greco “krisis” (separazione, scelta) o come l’ideogramma cinese che è l’insieme di due simboli che significano pericolo ed opportunità, può essere una “triste “ fortuna”.  “Crisi” quindi come un momento confuso ed una situazione disorganizzata che col tempo vanno organizzati diversamente e positivamente con un assestamento migliorativo  Se questa sorta di rinascita avverrà, aumenterà il potenziale creativo della persona: quindi un’occasione da non perdere.
  • 16. Che fare?  In un primo momento (più o meno nella fase dell’euforia) è opportuno non incalzare l’alunno con richieste di ricordi o di racconto. E’ bene anzi non soffermarsi sul passato, ma interessarsi, parlare e far parlare del futuro.  La fase dello shock è la più delicata e qualsiasi cosa faccia l’insegnante spesso sbaglia. E’ forse questo il momento in cui bisogna parlare del loro mondo: i ricordi, la famiglia, la loro terra, il loro Paese.  Pensieri ed emozioni che è bene che esplicitino: invitarli quindi ad esprimerli ed a condividerli.  Aprire uno sportello di ascolto (psicologo).  Utilizzare il mediatore culturale: figura che va ben oltre il semplice ruolo di traduttore: è la testimonianza dell’intreccio dell’altrove col presente, la prova vivente di un mondo possibile (C. Bruni, 2007).  Tutor  Agire sui e con i genitori
  • 17. Mete educative per gli immigrati adulti  L’autorealizzazione è la finalità educativa fondamentale: la realizzazione di se stessi per un immigrato è solitamente associata all’urgenza di potenziare le sue capacità comunicative per scopi di lavoro  Anche la socializzazione è spesso collegata al lavoro, ma differisce a seconda dei gruppi etnici (senegalesi e marocchini più predisposti all’integrazione, cinesi meno) e del singolo  La culturizzazione è la meta più ambiziosa La motivazione è sempre più spesso “integrativa” e cioè non dettata dal desiderio di un contatto solo temporaneo con gli italofoni, bensì finalizzata all’inserimento nella società italiana
  • 18. Competenze (M. Clementi – 2011)  tre ambiti trasversali:  la competenza comunicativa  la competenza linguistica  la competenza culturale
  • 19. Competenza comunicativa (M. Clementi – 2011) capacità di entrare in relazione con interlocutori diversi:  in ambito lavorativo  in ambito sociale
  • 20. Competenza linguistica (M. Clementi – 2011) competenza linguistica e competenza formale conoscenza delle regole che permettono la produzione di frasi e testi corretti e di senso compiuto
  • 21. Competenza linguistica – BICS/CALP (J. Cummins, 2000)  BICS (Basic Interpersonal Communication Skills): le abilità comunicative interpersonali di base.  CALP (Cognitive Academic Language Proficiency): la padronanza linguistica cognitivo-accademica Il saper parlare una lingua anche con buona pronuncia e fluenza non significa saperla usare come strumento cognitivo e cioè esser capace di riassumere, produrre testi argomentativi, individuare ed ordinare sequenze di fatti, affrontare un testo storico o letterario (materie scolastiche). Non basta giudicare l’allievo alfabetizzato nella nuova lingua per pensare che possa affrontare uno studio superiore e delle discipline scolastiche.
  • 22. Competenza linguistica Gli immigrati adulti tendono essenzialmente a chiedere le BICS e hanno questo solo obiettivo ed è a questo obiettivo che si indirizza lo sforzo glottodidattico delle associazioni che lavorano con gli immigrati. Le abilità di base (BICS) però non solo sono insufficienti per chi vuole prendere un diploma in una scuola, ma anche per l’immigrato adulto che vuole imparare la lingua solo per lavorare le BICS non sono veramente sufficienti perché quando le raggiunge l’immigrato può sì lavorare, ma passa la sua vita di relazione con gli italiani in situazione di forte inferiorità sul piano linguistico e culturale. Ciò genera un disagio ed una frustrazione che si riflettono su tutto il vissuto; di conseguenza l’immigrato compensa questa “deprivazione “ linguistica” (Bernstein) sviluppando molto spesso i messaggi corporei e cioè la forza fisica (dallo sport alla danza e, purtroppo, alla violenza), rimanendo però sostanzialmente privo di uno strumento linguistico pienamente posseduto che gli permetterebbe invece, con tutta probabilità, l’integrazione. L’immigrato quindi dovrebbe essere posto in grado di scegliere e quindi di capire, sulla base delle proprie motivazioni consapevoli, se studiare la lingua italiana per la sola sopravvivenza o se puntare invece a sviluppare una personalità bilingue.
  • 23. Competenza culturale (Adattamento da M. Clementi)  consapevolezza/padronanza dei codici sociali, morali ed estetici  conoscenza del patrimonio culturale del paese di accoglienza  la non conoscenza dei codici culturali può dar luogo a fraintendimenti ed incidenti interculturali anche gravi fino al razzismo
  • 24. Competenza comunicativa interculturale (P. Celentin, G. Serragiotto 2001 – P.E. Balboni 2011) 1. Postura (accavallare le gambe, togliersi le scarpe, abbigliamento) 2. Rumori e odori del corpo – Arabi, Asia, Giappone, Turchia 3. Prossemica: spazio vitale – baci e abbracci (nordici, musulmani) 4. Interrompere – velocità d’elocuzione 5. Volume e tono della voce 6. Gestualità (mondo latino) 7. Pollice e indice uniti, pollice in alto 8. Mimica facciale – sorridere 9. Puntualità 10. Flessibilità 11. Guardare negli occhi 12. Gli argomenti tabù 13. Silenzio
  • 25. Competenza comunicativa interculturale (rielaborazione da P.E. Balboni – 2011)  Non fare più questi errori  Non leggere gli altri secondo le nostre regole  Non stupire e non stupirsi L’ignoranza e l’equivoco e la non conoscenza della abitudini, degli atteggiamenti e della cultura altrui porta al conflitto e fin alle guerre. Nel nostro piccolo e cioè nel nostro ruolo di insegnanti è bene quindi affrontare l’argomento ed approfittare di ogni occasione per sottolineare le differenze (naturalmente senza stupidi giudizi di valore), chiedere se “nel vostro paese fanno così o no”, individuare gli errori derivati da certi comportamenti di stranieri e di italiani in cui il fallimento della comunicazione, sia essa verbale o meno, è dovuto all’errata valutazione di aspetti culturali. L’etimologia della parola “straniero” ci dice che proviene da “extraneus” così come anche la parola “strano”. “Il Piave mormorò: non passa lo straniero!” (“straniero”, non “nemico”) . Senza poi voler ritornare al concetto di “barbaro” dei Romani. Già è più addolcito il termine veneto “foresto”, “colui che viene da fuori”: i commercianti veneziani erano ben consci che per la loro economia e per la loro stessa sopravvivenza lo straniero col quale scambiare le merci era una risorsa da rispettare. Bella la frase di Balboni: “ Spesso a scuola abbiamo la fortuna di avere alunni di dieci nazionalità diverse”.  Straniero come risorsa
  • 26. Competenze extralinguistiche  Competenza cinesica: riguarda la capacità di comprendere e utilizzare i gesti, le espressioni del viso, i movimenti del corpo  Competenza prossemica: relativa alla vicinanza ed al contatto con l’interlocutore  Competenza vestemica: intesa come capacità di padroneggiare il sistema della moda (divise, uniformi, abiti più o meno formali, ecc.)  Competenza oggettuale: che rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status sociale, una funzione
  • 27. QCER Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue (Common European Framework of Reference for Languages) Nel novembre 2001 una risoluzione del Consiglio d'Europa raccomandò di utilizzare il QCER per costruire sistemi di validazione dell'abilità linguistica.
  • 28. Consiglio d’Europa Il Consiglio d’Europa è un organismo internazionale che raggruppa 45 paesi ed è un'organizzazione distinta dall’‘ Unione Europea; è infatti espressione di quasi tutta l’Europa geografica. E’ stato fondato nel 1949 e ha sede a Strasburgo. Le FINALITÀ essenziali sono:  tutelare i diritti dell’uomo e la democrazia parlamentare;  promuovere accordi per armonizzare le pratiche sociali e giuridiche degli Stati Membri;  favorire la consapevolezza dell’identità europea basata su valori condivisi che trascendono le diversità culturali.
  • 29. Livelli soglia e QCER  I livelli soglia (sillabo funzionale-nozionale) del Consiglio d’Europa (anni 80) sono dei repertori che indicano le situazioni in cui un individuo può trovarsi, elenchi di atti comunicativi e relative nozioni di lingua minime necessarie per interagire (N.Galli de’ Paratesi, 1982)  Il Quadro Comune Europeo di Riferimento del Consiglio d'Europa (1991) è un ricco repertorio di descrittori delle competenze linguistiche che un qualsiasi soggetto che studia una o più lingue può sviluppare nel suo percorso di apprendimento. • E’ ampiamente accettato come un prezioso strumento, trasparente e coerente, rivolto a tutti coloro che sono implicati nell'insegnamento e apprendimento delle lingue (docenti, studenti, enti certificatori, addetti alle politiche linguistiche, autori di libri di testo, ecc.). • I livelli di competenza linguistica sono sei (A1/A2, B1/B2, C1/C2), ripartiti in tre più ampi livelli: elementare (A), intermedio (B) ed avanzato (C). • E' stata messa a punto una griglia di autovalutazione che descrive più nello specifico le competenze per i sei livelli.
  • 30. Le linee guida del QCER (M. Piantoni)  Il QCER si situa nel contesto delle politiche linguistiche del Consiglio d'Europa e, in particolare, della "promozione del plurilinguismo (nuovo concetto che si differenzia di molto dal preesistente “multilinguismo”) quale risposta alla diversità linguistica e culturale in Europa".  “Descrive in modo esaustivo ciò che chi studia una lingua deve imparare per usarla per comunicare e indica quali conoscenze e abilità deve sviluppare per agire in modo efficace. La descrizione riguarda anche il contesto culturale nel quale la lingua si situa”.  Si propone di fornire “[…] una base comune per l’elaborazione di programmi, linee guida curricolari, esami, libri di testo”.  “Inoltre il Framework definisce i livelli di competenza che permettono di misurare il progresso dell’apprendente ad ogni stadio del percorso, nella prospettiva dell'educazione permanente.” - (p. 1).
  • 31. Livelli soglia e QCER (A. Mazza, 2006) Livello soglia QCER Definiva la “soglia” cioè la meta Tiene conto dell’evoluzione del da raggiungere, il repertorio parlante per arrivare al livello linguistico-comunicativo soglia e a quelli successivi e quindi minimo che consente ad un considera la lingua in azione: apprendente di vivere, definisce soprattutto come le lavorare e studiare all’estero. persone usano una lingua per Ma il livello soglia non dà comunicare. L’apprendimento di giudizi di tipo qualitativo: una lingua parte dalla totale specifica cosa si deve fare e ignoranza e procede sapere ma non ci dice con che progressivamente verso traguardi livello qualitativo di sempre maggiore autonomia Il parlante è ben definito nelle Il parlante è un apprendente in sue caratteristiche, ma statico continua evoluzione (interlingua)
  • 32. QCER (A. Mazza, 2006) Livello soglia QCER  Sapere: conoscenza del mondo, della società e  Non più solo della cultura, consapevolezza interculturale “saper fare con  Saper fare: abilità sociali, abilità tecniche, anche abilità relative al tempo libero, ecc. la lingua”  Saper apprendere: integrare nuove conoscenze modificando quelle esistenti (capacità di sviluppare nuove abilità di studio)  Saper essere: atteggiamenti, valori morali, convinzioni, stili di vita, fattori della personalità (saper affrontare nuove esperienze - Life Skills) Non più solo“abilità”di: Quindi “attività” di:  ascolto  ricezione (sia scritte che orali)  parlato  produzione (sia scritte che orali)  lettura  interazione  scrittura  mediazione
  • 33. COMMON EUROPEAN FRAMEWORK -QCER A1 A2 Elementare Contatto Sopravvivenza (Breakthrough) (Waystage) Livello di base Intermedio B1 B2 Livello di autonomia Soglia Progresso (Threshold) (Vantage) Indipendente Avanzato C1 C2 Efficacia Padronanza (Effective (Mastery) Livello di padronanza Operational competente Proficiency)
  • 34. Una lingua per … (M. Clementi, 2011)  Una lingua non è un sistema di categorie grammaticali astratte  Non è sufficiente fornire gli strumenti linguistici per tradurre i propri pensieri in italiano  Imparare una lingua significa entrare in un’altra cultura ed interiorizzare un modo diverso di vedere le cose, di interpretare il mondo e la realtà  La lingua rivela la storia del popolo che la parla, trasmette valori e concezioni del mondo, genera emozioni e segnala categorie sociali
  • 35. Come fare? (M.C. Luise, 2003; C. Carraresi, 2007)  Attenersi più che mai all’approccio comunicativo ed umanistico-affettivo  Relazionalità - interazione  Insegnante come comunicatore, facilitatore, mediatore culturale  Didattica orientata all’azione tesa a creare capacità di agire in situazioni concrete, più che aderire alle regole formali  Didattica flessibile che possa calibrarsi sull’eterogeneità delle esigenze degli alunni e sulla situazione di apprendimento misto (spontaneo e guidato)prevedendo cambiamenti in itinere  Percorsi formativi brevi (spesso l’istruzione dura per un periodo limitato) organizzati su Unità di apprendimento centrate su tematiche legate a situazioni di vita quotidiana
  • 36. Come fare? (M.C. Luise, 2003; C. Carraresi, 2007)  Ottica interculturale che favorisca la motivazione integrativa  Supporti extralinguistici mimo, gesti, espressioni facciali  Ridondanza  Contestualizzazione esempi concreti, termini di uso comune; collegarsi alla loro esperienza e realtà, evitare le parole astratte  Semplificazione della lingua (non impoverimento!) forma attiva e non passiva, paratassi e non impoverimento! ipotassi, i verbi e i nomi sono più semplici degli aggettivi
  • 37. L’approccio comunicativo ed il metodo nozionale-funzionale Dagli anni ’60/’70; Hymes (competenza comunicativa in contrapposizione alla competenza linguistica del Chomsky); Corder (analisi degli errori); Selinker (interlingua); psicologia della Gestalt; Progetto Lingue Moderne del Consiglio d’Europa (1967) Il fine non è l’apprendimento della lingua per se stessa, ma la lingua intesa come strumento di comunicazione
  • 38. Valorizzare la lingua madre (M.C. Luise, 2003)  L’acquisizione della L2 non è legata alla perdita della LM, bensì dipende dal suo sviluppo: 1) Favorire il bilinguismo (lezioni di lingua madre) 2) Paragonare le culture: esaminare le similitudini e le differenze. 3) Più sentiranno rispettata la loro cultura, più si apriranno alla nostra (Bruni, 2007) 4) Analisi degli errori e meno analisi contrastiva 5) Progetti interculturali 6) Farli diventare “gli italiani col trattino” (Turco, 2006), affinché possano sentirsi non come un’isola ma come una penisola (Amos Oz) e possano riconoscere e mantenere le loro radici senza mitizzarle o demonizzarle
  • 39. La favola di Rih (Schelotto, 2002) Rih, bambino magrebino, conosceva perfettamente l’italiano, ma non parlava più perché era molto arrabbiato con tutti. Ascoltava soltanto. I compagni, quando aveva provato a salutarli nella lingua che aveva imparato da piccolo, lo avevano preso in giro. Anche il maestro gli aveva detto, pur se in modo gentile, che sarebbe stato molto meglio per lui parlare italiano. Persino in famiglia si erano messi d’accordo per non rispondergli quando parlava nella loro lingua! Un bel giorno di primavera il maestro portò i bambini a far correre gli aquiloni ma sul più bello il vento calò… Fu allora che Rih cominciò ad avvertire quel vaghissimo profumo che spesso aveva sentito nel suo villaggio ai margini del deserto. Era l’odore di tutti gli odori che il vento raccoglieva sorvolando il mondo: un po’ di sabbia, un po’ d’erba, un po’ di gelsomino… Rih lo conosceva bene, il nonno gli aveva insegnato a fiutare quelle sottili fragranze, bastava seguirne la traccia per incontrare il vento.
  • 40. La favola di Rih (Schelotto, 2002) Prese il suo aquilone e, annusando l’aria, si spostò lentamente, aspirò con forza, si fermò, corse veloce… la gioia di ritrovare qualcosa che veniva dalla sua terra gli esplose dentro, e cominciò a gridare all’aria tutte le sue parole: “Taal taal, asfal, huna, huna”. Il suo aquilone, soltanto il suo, si librò; prima incerto e traballante, poi leggero, sicuro, trionfale, volteggiò nell’azzurro. Nel grande prato si sentivano solo le parole gridate da Rih, alunni e maestro erano ammutoliti. Come ammaliato, uno dei bambini afferrò il suo filo e seguendo la corsa di Rih si mise a ripetere alla meglio quelle strane parole che, certo, erano magiche: “Taal, taal, asfal, huna, huna”. Il secondo aquilone si impennò verso l’alto, poi si librarono il terzo, il quarto, tutti. Trenta ali colorate andavano leggere incontro al sole, guidate da Rih, principe del vento. Rih non si accorse nemmeno che finalmente tutti i bambini e persino il maestro parlavano con le sue parole, sentì solo di non essere più arrabbiato e che quelli erano i suoi amici. “Correte dietro di me” disse in italiano. Ma quelli sembrava non conoscessero che : “Taal, taal, asfal, huna, huna”
  • 41. La favola di Rih (Schelotto, 2002)  Ci insegna a valorizzare di queste persone qualsiasi elemento che possa apparire un pregio ai nostri occhi  Ci insegna a non sentirci indispettiti e perseguitati dal silenzio persistente, provocatorio e quasi aggressivo nel quale si condensa tutto il dolore dell’immigrazione  Ci insegna a cominciare ad immaginare una società globale non impoverita dall’uniformità, dalla mediocrità o dall’egemonia dei più forti  Ci insegna a prendere atto della ricchezza insita nella varietà  E’ un progetto ed un’idea di futuro diverso