A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Tempo di riforme
I nuovi dati innalzano intorno al 44 per cento il valore raggiunto in Italia dal tasso disoccupazione giovanile. Oltre al problema della disoccupazione, le difficoltà del mercato giovanile del lavor o sono riscontrabili nella consistente riduzione tra gli occupati di età inferiore ai 35 anni dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
I migranti e la crisi economica
Le tensioni geo-politiche ai confini dell’Europa e il protrarsi della debolezza del ciclo economico in molti paesi dell’area hanno contribuito a modificare i flussi migratori interni e internazionali sia in termini di numerosità sia nella scelta dei paesi di destinazione. L’allargamento a est dei paesi aderenti all’Unione e il perdurare di elevati tassi di disoccupazione in molte economie della zona euro hanno favorito la dinamica delle migrazioni interne, con una polarizzazione verso la Germania che nel 2013 è divenuto il primo paese di destinazione in Europa e il secondo tra le economie sviluppate dopo gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni una serie di fenomeni economici e politici hanno portato molti a ritenere che l’ordine economico mondiale disegnato a partire da Bretton Woods sia ormai da rivedere. L’idea è che il concetto stesso di libero scambio, che del vecchio ordine rappresentava uno dei pilastri portanti, sia destinato nel prossimo futuro ad avere un ruolo progressivamente meno centrale nello stimolare la crescita mondiale.
Le famiglie italiane spenderanno in media 710 € per l’istruzione dei figli, circa 10 € in più rispetto allo scorso anno. E il 5% di queste dovrà ricorrere a un prestito per farvi fronte.
Il risparmio gestito nel corso del 2014 ha continuato ad evidenziare una dinamica di sviluppo molto positiva. Il patrimonio a luglio ha toccato un nuovo massimo pari a 1.480 mld di euro, un valore dell’11% superiore a quello di dicembre 2013. Nei primi sette mesi del 2014 la raccolta netta ha raggiunto i 75,7 miliardi, un valore superiore a quello relativo all'intero 2013 (62 mld di euro) che già costituiva il miglior risultato dal 1999. Nel 2014 sono stati i fondi comuni a trainare la raccolta del risparmio gestito.
In controtendenza rispetto al calo di oltre venti punti percentuali segnato dal totale della
manifattura, la produzione italiana di birra supera oggi di tre punti percentuali i
volumi ante-crisi. Allo stesso modo, le esportazioni italiane di birra sono oggi oltre il
doppio di quelle di sette anni fa. Pur avendo un peso assai limitato sull’economia
nazionale, la performance del comparto brassicolo italiano offre spunti interessanti di
riflessione sulle leve per svilupparsi anche in tempi di crisi: innovazione, investimenti,
domanda interna.
Un Mese di Borsa è il magazine di BNP Paribas – BNL che contiene approfondimenti sui mercati, accurate analisi dei sottostanti, interviste esclusive ad economisti.
Il generale rallentamento del credito che si protrae da tempo nell’area euro ha interessato i prestiti ipotecari in misura più contenuta rispetto alle altre tipologie di finanziamenti alle famiglie. A giugno scorso solo in Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro e Lettonia si rileva una contrazione superiore al 3%.
Negli Stati Uniti la ripresa delle quotazioni immobiliari e delle compravendite non ha determinato una sostanziale ripresa dei mutui ipotecari. Ai fattori congiunturali, quali il rialzo dei tassi di interesse e le sfavorevoli condizioni climatiche dello scorso inverno, si aggiungono anche fattori strutturali. Tra questi, di particolare importanza quello demografico: i figli dei baby boomers, i cosiddetti Millennials, hanno allungato i tempi di uscita dalla famiglia di origine e le incertezze legate all’inserimento nel mondo del lavoro e della costanza di reddito frenano i potenziali acquirenti.
In Italia si scorgono segnali di miglioramento del credito ipotecario dal punto di vista sia della domanda sia dell’offerta. Nel primo trimestre le erogazioni per mutui alle famiglie sono aumentate dell’8,4% a/a. Nel confronto con gli anni pre-crisi emerge una crescita dei nuclei indebitati nelle fasce meno a rischio, fattore che, insieme ai provvedimenti per la sospensione del pagamento delle rate per le famiglie più disagiate, ha determinato il contenimento dei prestiti ipotecari deteriorati.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Tempo di riforme
I nuovi dati innalzano intorno al 44 per cento il valore raggiunto in Italia dal tasso disoccupazione giovanile. Oltre al problema della disoccupazione, le difficoltà del mercato giovanile del lavor o sono riscontrabili nella consistente riduzione tra gli occupati di età inferiore ai 35 anni dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
I migranti e la crisi economica
Le tensioni geo-politiche ai confini dell’Europa e il protrarsi della debolezza del ciclo economico in molti paesi dell’area hanno contribuito a modificare i flussi migratori interni e internazionali sia in termini di numerosità sia nella scelta dei paesi di destinazione. L’allargamento a est dei paesi aderenti all’Unione e il perdurare di elevati tassi di disoccupazione in molte economie della zona euro hanno favorito la dinamica delle migrazioni interne, con una polarizzazione verso la Germania che nel 2013 è divenuto il primo paese di destinazione in Europa e il secondo tra le economie sviluppate dopo gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni una serie di fenomeni economici e politici hanno portato molti a ritenere che l’ordine economico mondiale disegnato a partire da Bretton Woods sia ormai da rivedere. L’idea è che il concetto stesso di libero scambio, che del vecchio ordine rappresentava uno dei pilastri portanti, sia destinato nel prossimo futuro ad avere un ruolo progressivamente meno centrale nello stimolare la crescita mondiale.
Le famiglie italiane spenderanno in media 710 € per l’istruzione dei figli, circa 10 € in più rispetto allo scorso anno. E il 5% di queste dovrà ricorrere a un prestito per farvi fronte.
Il risparmio gestito nel corso del 2014 ha continuato ad evidenziare una dinamica di sviluppo molto positiva. Il patrimonio a luglio ha toccato un nuovo massimo pari a 1.480 mld di euro, un valore dell’11% superiore a quello di dicembre 2013. Nei primi sette mesi del 2014 la raccolta netta ha raggiunto i 75,7 miliardi, un valore superiore a quello relativo all'intero 2013 (62 mld di euro) che già costituiva il miglior risultato dal 1999. Nel 2014 sono stati i fondi comuni a trainare la raccolta del risparmio gestito.
In controtendenza rispetto al calo di oltre venti punti percentuali segnato dal totale della
manifattura, la produzione italiana di birra supera oggi di tre punti percentuali i
volumi ante-crisi. Allo stesso modo, le esportazioni italiane di birra sono oggi oltre il
doppio di quelle di sette anni fa. Pur avendo un peso assai limitato sull’economia
nazionale, la performance del comparto brassicolo italiano offre spunti interessanti di
riflessione sulle leve per svilupparsi anche in tempi di crisi: innovazione, investimenti,
domanda interna.
Un Mese di Borsa è il magazine di BNP Paribas – BNL che contiene approfondimenti sui mercati, accurate analisi dei sottostanti, interviste esclusive ad economisti.
Il generale rallentamento del credito che si protrae da tempo nell’area euro ha interessato i prestiti ipotecari in misura più contenuta rispetto alle altre tipologie di finanziamenti alle famiglie. A giugno scorso solo in Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro e Lettonia si rileva una contrazione superiore al 3%.
Negli Stati Uniti la ripresa delle quotazioni immobiliari e delle compravendite non ha determinato una sostanziale ripresa dei mutui ipotecari. Ai fattori congiunturali, quali il rialzo dei tassi di interesse e le sfavorevoli condizioni climatiche dello scorso inverno, si aggiungono anche fattori strutturali. Tra questi, di particolare importanza quello demografico: i figli dei baby boomers, i cosiddetti Millennials, hanno allungato i tempi di uscita dalla famiglia di origine e le incertezze legate all’inserimento nel mondo del lavoro e della costanza di reddito frenano i potenziali acquirenti.
In Italia si scorgono segnali di miglioramento del credito ipotecario dal punto di vista sia della domanda sia dell’offerta. Nel primo trimestre le erogazioni per mutui alle famiglie sono aumentate dell’8,4% a/a. Nel confronto con gli anni pre-crisi emerge una crescita dei nuclei indebitati nelle fasce meno a rischio, fattore che, insieme ai provvedimenti per la sospensione del pagamento delle rate per le famiglie più disagiate, ha determinato il contenimento dei prestiti ipotecari deteriorati.
1. Prodotto interno lordo
(2007=100, volumi)
250
Cina 237
230
210
190 India 208
170
156
150 Brasile 146
140 Mondo 144
130 Russia 133
118 USA 120
115 Belgio 110
110 109
Germania 110
102
100 93 Italia 97
90
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI.
Secondo il Fondo monetario internazionale la crescita del PIL mondiale quest’anno
scenderà al 3,3% dal 3,8% del 2011. Ma le prospettive a medio termine dei mercati
emergenti rimangono positive, anche se i modelli di sviluppo entrano in una fase di
transizione. Tra il 2012 e il 2017 la crescita cumulata della Cina potrebbe raggiungere
i cinquanta punti percentuali. Quella del Brasile i venti punti.
Le nuove regole europee hanno reso più stringenti le prescrizioni contenute nei
parametri di Maastricth, con particolare riferimento al debito. L’Italia è chiamata ad
38 una riduzione media annua del rapporto debito/Pil pari a circa il 3%. Secondo la
Banca d’Italia, per centrare l’obiettivo l’Italia dovrebbe registrare ogni anno un avanzo
primario superiore al 5% e una crescita reale non inferiore all’1%. L’obiettivo di una
15 ottobre crescita che agevoli il rientro del debito appare sfidante. Diviene centrale porre in
essere una politica fiscale che miri ad un riequilibrio strutturale dei conti, ma che
2012 venga affiancata da una costante politica di sostegno alla crescita.
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414 Banca Nazionale del Lavoro – Gruppo BNP Paribas
giovanni.ajassa@bnlmail.com Via Vittorio Veneto 119 - 00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002
Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca.
2. 15 ottobre 2012
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Editoriale: Crescita, debito e periferia
G. Ajassa 06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com
Prodotto interno lordo
(2007=100, volumi)
250
Cina 237
230
210
190 India 208
170
156
150 Brasile 146
140 Mondo 144
130 Russia 133
118 USA 120
115 Belgio 110
110 109
Germania 110
102
100 93 Italia 97
90
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su FMI
Il Mondo continua a crescere. Lo conferma il nuovo “outlook” del Fondo monetario
internazionale. Ma la marcia rallenta. Al netto di inflazione, il tasso globale di sviluppo
torna ad avvicinarsi a quel tre per cento che rappresenta la media di lungo periodo
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e che anni fa veniva indicato come soglia di
attenzione al di sotto della quale è bene non andare. Oggi il Fondo monetario avverte
che rischi di ulteriore peggioramento – i cosiddetti “downside risks” – ci sono e sono
importanti. C’è una probabilità su sei di scendere al di sotto del due per cento nella
crescita del PIL mondiale in quella che diventerebbe una sorta di sindrome pre-
recessiva a livello planetario. Per memoria, e per non indulgere in eccessivo
pessimismo, andrebbe però ricordato come nel 2009 la variazione in volume del
prodotto interno lordo globale scese addirittura in territorio negativo con un calo annuo
di mezzo punto percentuale. Da quel punto di minimo il Mondo si è comunque ripreso.
Nel 2008-09 il problema di crescita del Mondo si radicava nella bolla del debito privato,
i mutui sub-prime, tanto per cominciare. Oggi il nodo da sciogliere appare quello degli
eccessi di debito pubblico. Cambia anche la geografia della crisi. Se nell’autunno del
2008, con il tracollo di Lehman, il focus era sugli Stati Uniti e sulla finanza privata
americana, nell’autunno del 2012 l’epicentro della crisi si radica in Europa: anzi, nel
sud dell’Europa, in quella nuova geografia che i rapporti autunnali del Fondo monetario
internazionale vanno a introdurre per la prima volta nella loro storia. La geografia di
una “periphery”, una periferia europea, che si contrappone a un “core”, il nucleo
dell’area dell’euro. Membri della periferia, nelle tante tabelle e nei molteplici grafici
presentati dal Fondo, sono l’Italia, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, la Grecia, e anche
Cipro. Componenti del nucleo sono invece la Germania, la Francia, i Paesi bassi, il
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3. 15 ottobre 2012
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Belgio, l’Austria, la Finlandia e tutti i paesi rimanenti dei diciassette, Malta compresa.
Il lessico conta. Etimologicamente, periferica è la linea che gira tutto intorno, la
circonferenza che racchiude il cerchio, ma anche che ne giustifica l’esistenza. Non c’è
cerchio senza circonferenza. Così non può esservi moneta unica senza una saldatura
forte tra tutte le parti dell’eurozona. Bene, quindi, è non drammatizzare la messa in
periferia dell’Italia. Anche perché, al di là delle parole, ciò che contano sono i numeri. E
i numeri che continuano a rendere debole la situazione italiana non sono tanto quelli
degli spread, dei rating e dello stesso debito pubblico. Sono invece i numeri della
crescita.
Fatto cento il dato del 2007, nel 2012 il PIL italiano si attesterà a quota 93, sette punti
sotto. Secondo le previsioni del Fondo, di questi sette punti perduti l’Italia ne
recupererà quattro nei prossimi cinque anni. Nel 2017 il PIL reale dell’Italia sarà tre
punti sotto il volume del 2007. Nel 2017 il PIL reale della Germania, ma anche quello
del Belgio, saranno dieci punti sopra il dato del 2007. Nel medio termine il difetto di
crescita dell’Italia non potrà essere aggravato da eventuali eccessi nelle manovre di
compressione dei conti pubblici. Importante sarà cercare un punto di equilibrio. La
direzione dovrà essere quella peraltro indicata dallo stesso Fondo monetario: “(…)
economies in the periphery must continue to adjust at a pace they can bear” ovvero “le
economie nella periferia devono continuare a risanare i conti pubblici ad un ritmo che
esse possano sopportare”. La differenza è fondamentale. Si tratta di perseguire la
sostenibilità, che è rigore più crescita, e non la sola stabilità.
Dove può l’Italia trovare la crescita? Innanzitutto fuori dai confini dell’area euro,
rafforzando i legami con le economie “emergenti” che continueranno a crescere. Su
questo aspetto le proiezioni del Fondo monetario sono confortanti. La fase di
rallentamento del ciclo cinese è transitoria. In Cina, in Brasile, in India gli spazi per
politiche anticicliche sono ampi. È però iniziato un processo di transizione del modello
di sviluppo, specie della Cina, con più consumi privati e meno investimenti industriali. È
una crescita che cambia pelle, ma che continua. Fuori dai confini dell’Eurozona sono
ancora tanti e importanti i contesti in cui i segni più prevalgono sui meno. Se facciamo
cento i valori del 2012, le nuove proiezioni del Fondo monetario internazionale ci
dicono che il PIL della Cina potrebbe salire a 150 entro il 2017. India, Indonesia e
Vietnam cresceranno di una quarantina di punti. Brasile e Turchia di oltre venti. E così
via.
L’Italia è un paese che annualmente vende al Mondo esportazioni per 630 miliardi di
dollari. Certo, sui conti dell’export la Germania fa due volte più di noi. Ma dopo i
tedeschi, per dimensioni e per dinamica, la capacità esportatrice dell’Italia si colloca ai
livelli di protagonisti di assoluto rilievo del “core” europeo quali sono la Francia e i
Paesi Bassi. Dalla geografia dell’export e dal rilancio della competitività occorre
ripartire per fare più crescita. Dalla periferia dell’Europa essere più vicini al Mondo che
cresce.
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4. 15 ottobre 2012
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Un ritorno alla crescita, per un più rapido rientro del debito
P. Ciocca 06-47028431 – paolo.ciocca@bnlmail.com
Le nuove regole europee hanno reso più stringenti le prescrizioni contenute nei
parametri di Maastricth, con particolare riferimento al debito. Ogni paese con un
rapporto debito/Pil superiore al 60% è chiamato a riportarlo al di sotto di questa
soglia nell’orizzonte temporale di venti anni. Per l’Italia, il rispetto delle regole
richiederebbe una riduzione media annua del rapporto pari a circa il 3%.
Secondo stime della Banca d’Italia, per raggiungere l’obiettivo l’Italia dovrebbe
registrare un avanzo primario stabilmente superiore al 5% e una crescita
economica non inferiore all’1% in termini reali. Guardando all’esperienza degli
ultimi venti anni, l’obiettivo di una crescita adeguata a favorire il rientro del
debito appare particolarmente sfidante.
Dal 1990 al 2011, la crescita in Italia non è riuscita a ripagare gli oneri del debito,
spiegando interamente il permanere del rapporto debito/Pil su livelli elevati. Nei
prossimi anni, l’onere medio del debito è atteso mantenersi su valori intorno al
5%. Diviene, dunque, centrale avere come obiettivo quanto indicato dal Fmi
nell’ultimo World Economic Outlook: una politica fiscale che miri ad un
riequilibrio strutturale dei conti, ma che venga affiancata da una costante politica
di sostegno alla crescita.
Il debito pubblico nelle nuove regole europee
La crisi ha portato all’attenzione della politica economica e del dibattito il problema
dell’elevato debito pubblico, che interessa tutte le principali economie avanzate.
Nell’Unione europea, negli anni precedenti la recessione ci si era concentrati
prevalentemente sugli squilibri di bilancio, nonostante i parametri di Maastricht
prevedessero anche un controllo del debito con un limite obiettivo al 60% del Pil. Nelle
nuove regole europee questo vincolo è stato reso più stringente. Ogni paese con un
debito oltre la soglia massima è chiamato ad attivare le politiche necessarie per
riportarlo al di sotto del 60%, nell’orizzonte temporale di venti anni.
Alla fine del 2011, tutte le principali economie dell’area euro hanno registrato un
rapporto debito/Pil superiore al 60%, sebbene con una certa variabilità. Si va dal 68,5%
della Spagna, per la quale, però, le previsioni della Commissione europea parlano di
un aumento ad oltre l’80% alla fine di quest’anno, al 165,3% della Grecia, passando
per l’81,2% della Germania e l’85,8% della Francia.
In Italia, il rapporto debito/Pil ha raggiunto il 120,1%. In termini pro-capite, su ogni
cittadino italiano alla fine del 2011 gravava un debito pubblico pari a 31.293 euro, a
fronte dei 26.400 di un francese e dei 25.547 di un tedesco. Il valore pro-capite in
Grecia si posiziona poco sopra quello italiano (31.443 euro), mentre quello irlandese
sale a 37.039 euro.
Pensando alle nuove regole europee, appare interessante domandarsi cosa significhi
realmente dover ridurre il rapporto debito/Pil al di sotto del 60%, con un orizzonte di
venti anni. Per la Grecia, l’eccedenza di debito raggiunge il 105,3% del Pil. Il rispetto
delle nuove regole richiederebbe una riduzione annuale di oltre il 5% del Pil. Anche per
la Francia e la Germania, sebbene su livelli notevolmente inferiori, le nuove regole
europee comporterebbero politiche impegnative in un momento di debolezza
dell’economia. Per l’Italia, l’extra debito è pari a poco più del 60% del Pil. Rispettare
l’obiettivo significherebbe per il nostro paese porre in essere una riduzione media
annua del rapporto debito/Pil pari a circa il 3%.
4
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o 2008
Sono diversi i fattori che incidono sulla dinamica del debito. Pesa l’equilibrio dei conti
pubblici, ma anche la crescita dell’economia e il livello degli oneri per interessi che
ciascuno stato è chiamato a pagare. Secondo recenti stime della Banca d’Italia, il
rispetto delle nuove regole europee richiederebbe per l’Italia, tra le altre cose, un
avanzo primario stabilmente superiore al 5% e una crescita economica non inferiore
all’1% in termini reali.
Appare interessante guardare quanto accaduto negli anni passati per cercare di capire
quale tra questi due obiettivi, bilancio pubblico in equilibrio ed economia in crescita,
possa essere considerato più sfidante per il nostro paese nell’ottica del rispetto delle
regole europee.
La dinamica del debito pubblico in Italia: uno sguardo agli ultimi venti anni
La variazione del rapporto debito/Pil può essere scomposta considerando il contributo
di tre fattori1: 1) il saldo primario, differenza tra entrate e uscite correnti, considerata al
netto degli interessi, per rappresentare più direttamente le decisioni di politica
economica; 2) lo snowball effect (effetto valanga), riflette l’impatto sul debito della
differenza tra la spesa per interessi e il tasso di crescita del Pil nominale2; 3) una
componente residuale, misura l’aggiustamento stock-flussi legato alle voci che
agiscono in modo diverso sul fabbisogno e sul livello del debito 3. I primi due fattori
forniscono informazioni distinguendo tra una componente discrezionale legata alle
scelte di politica fiscale e una componente legata a fattori non completamente
influenzabili dalle decisioni di politica economica. L’andamento del rapporto debito/Pil
dipende, dunque, oltre che dalle scelte di politica fiscale, anche dalla capacità del
paese di conseguire una crescita economica tale da coprire il costo del debito
accumulato negli anni precedenti.
Negli ultimi venti anni, l’Italia ha sperimentato diverse recessioni, con differenti gradi di
intensità, alternate a periodi di positiva crescita economica. Guardare questo intervallo
di tempo, analizzando il ruolo che le singole componenti hanno avuto nello spiegare la
dinamica del rapporto debito/Pil, può aiutare a comprendere quanto più o meno
complessi siano gli obiettivi di crescita e di saldo di bilancio indicati dalla Banca d’Italia.
Il periodo che va dal 1991 al 2011 può essere suddiviso in tre fasi: gli anni della grande
crisi valutaria e della recessione: dal 1991 al 1994; gli anni della debole crescita
economica: dal 1995 al 2007; gli anni della grande crisi: dal 2008 al 2011. È utile
analizzare prima le due fasi di crisi, per poi concentrarsi sui quindici anni di crescita
che hanno separato le due recessioni.
L’Italia arrivò all’inizio degli anni Novanta con conti pubblici estremamente in disordine.
Nel 1991, il debito aveva raggiunto il 98,1% del Pil, da poco più del 55% del 1980. In
quattro anni, l’incidenza sul Pil aumentò complessivamente di 26,4 punti percentuali,
una crescita media annua pari a 6,6 punti, raggiungendo il 121,2% nel 1994. L’analisi
delle componenti ci mostra come il peggioramento sia stato esclusivamente il risultato
del rallentamento della crescita economica. L’aumento annuo del Pil nominale si
ridusse da oltre il 9% nel 1991 al 3% nel 1993, anno di recessione con una flessione in
termini reali prossima a un punto percentuale. L’onere medio del debito rimase, invece,
1
Per la metodologia di calcolo delle determinanti delle variazioni del rapporto tra il debito pubblico e il Pil si
veda la nota alla figura C4 della Relazione annuale della Banca d’Italia sull’anno 2000.
2
In una visione di lungo periodo, il costo medio del debito dovrebbe assumere un valore non distante dal
tasso di crescita dell’economia.
3
L’aggiustamento stock-flussi tiene conto, tra le altre cose, delle modifiche di valore degli strumenti
finanziari, delle operazioni finanziarie, delle privatizzazioni, della discrepanza tra flussi di cassa e
attribuzioni di competenza ed è calcolato come residuo tra crescita del debito e fabbisogno.
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stabilmente al di sopra del 10%. Viceversa, le politiche restrittive, poste in essere per
contrastare la crisi valutaria, riportarono in territorio positivo il saldo primario, che
nell’insieme dei tre anni contenne la crescita dell’incidenza del debito sul Pil per quasi
7 punti percentuali.
Variazione dell’incidenza del debito Il debito pubblico in Italia e le sue
pubblico sul Pil in Italia e sue determinanti: un confronto tra la crisi
determinanti attuale e la recessione dell’inizio degli
(punti percentuali) anni Novanta
(medie annue)
40 14
30 12
20 10
10 8
0 6
-10 4
-20 2
-30 0
-40 -2
1990-1994 1994-2000 2000-2007 2007-2011 -4
Saldo primario Variazione Contributo saldo Contributo costo Crescita Pil Onere medio del
Differenza costo del debito e crescita nominale del Pil rapporto Debito/Pil primario (1) debito-crescita nominale (2) debito (3)
Componente residuale (1) nominale (1)
Variazione rapporto Debito/Pil 1990-1994 2007-2011
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat (1): punti percentuali; (2): variazione percentuale; (3):
e Banca d’Italia valori percentuali
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
e Banca d’Italia
Passando all’attuale crisi, e guardando quanto accaduto negli ultimi quattro anni, una
prima considerazione deve essere effettuata. Nel confronto con la prima parte degli
anni Novanta, il peggioramento dei conti pubblici appare meno intenso. Dal 2007 al
2011, l’incidenza del debito sul Pil è cresciuta di 17 punti percentuali, dal 103,1% al
120,1%. L’aumento medio annuo è risultato pari a 4,3 punti, a fronte dei 6,6 del
periodo 1991-1994. Come all’inizio degli anni Novanta, l’incremento del debito è
esclusivamente il risultato del peggioramento della congiuntura. La crescita nominale
dell’economia è stata pari allo 0,4% medio annuo, risultando addirittura negativa nel
2009. L’onere medio del debito si è mantenuto sostanzialmente stabile, tra il 4% e il
5%. Negli ultimi quattro anni, la differenza tra il costo del debito e la crescita economica
ha contribuito all’aumento del rapporto debito/Pil per oltre 17 punti percentuali.
Nonostante le pressioni provenienti dal peggioramento della congiuntura, i conti
pubblici sono, invece, rimasti in una condizione di sostanziale equilibrio. Il saldo
primario ha contenuto l’incremento del debito, rimanendo positivo nel complesso dei
quattro anni, sebbene in sensibile peggioramento rispetto al periodo precedente.
In entrambe le due fasi recessive considerate i conti pubblici italiani hanno, dunque,
sensibilmente risentito del peggioramento della congiuntura. Una crescita economica
non sufficiente a coprire il costo del debito spiega interamente l’aumento dell’incidenza
sul Pil. Questo ruolo della crescita non è, però, una peculiarità delle fasi di crisi, ma è
una caratteristica degli ultimi venti anni. Questa considerazione appare con evidenza
andando ad analizzare quanto accaduto tra il 1995 e il 2007.
6
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La crescita nominale del Pil e l’onere Il debito pubblico in Italia e le sue
medio del debito in Italia negli ultimi determinanti nelle fasi di crescita
venti anni dell’economia
(medie annue)
14 10
12 8
10
6
8
4
6
2
4
0
2
0 -2
-2 -4
-4 -6
-6 Variazione Contributo saldo Contributo costo Crescita Pil Onere medio del
rapporto primario (1) debito-crescita nominale (2) debito (3)
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Debito/Pil (1) nominale (1)
Onere medio del debito Tasso di crescita del Pil 1994-2000 2000-2007
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat (1): punti percentuali; (2): variazione percentuale; (3):
e Banca d’Italia valori percentuali
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
e Banca d’Italia
In questo periodo, il rapporto debito/Pil si è ridotto di oltre 18 punti percentuali,
passando dal 121,2% al 103,1%. Questo miglioramento è il risultato di conti pubblici in
equilibrio, a fronte di una crescita dell’economia non sufficiente a ripagare il costo del
debito. Il rallentamento della crescita appare evidente suddividendo la fase considerata
in due sottoperiodi. Nella seconda parte degli anni Novanta, mentre il Pil nominale
cresceva di oltre il 5% medio annuo, l’Italia pagava per il suo debito un costo medio
prossimo all’8%. Tra il 2000 e il 2007, il costo del debito si è ridotto, come effetto
dell’ingresso del paese nell’area euro, intorno al 5%, ma contemporaneamente
l’economia ha bruscamente rallentato. Negli anni Duemila, il vantaggio di tassi di
interesse più bassi è stato, quindi, annullato da un’economia che gradulamente è
divenuta incapace di crescere. Il saldo primario spiega, invece, oltre 40 punti del calo
dell’incidenza del debito registrato tra il 1995 e il 2007. Anche guardando l’equilibrio dei
conti emergono differenze tra i due periodi nei quali è possibile dividere questa fase di
debole crescita. Nella seconda parte degli anni Novanta, il saldo primario ha oscillato
tra il 4,5% e il 6,5%, come risultato delle politiche poste in essere per raggiungere
l’obiettivo dell’ingresso nell’area euro. Nella prima parte degli anni Duemila, l’equilibrio
dei conti è peggiorato, anche per il venir meno delle misure temporanee approvate nel
periodo precedente. Il saldo primario si è stabilizzato ampiamente al di sotto del 3%.
Debito pubblico e crescita: un confronto tra Italia, Francia e Germania
Negli ultimi venti anni, la debole crescita economica ha, dunque, contribuito a spiegare
interamente il permanere su livelli elevati del rapporto debito/Pil. La crescita non è
riuscita a ripagare gli oneri del debito, nonostante l’ampio calo dei tassi di interesse
favorito dall’ingresso nell’area euro. Tale andamento non è, però, una caratteristica
esclusiva del nostro paese. Appare interessante confrontare quanto accaduto in Italia
con quanto registrato in Francia e Germania, focalizzando l’attenzione sul periodo che
va dal 1995 al 2007, anni di crescita dell’economia mondiale non influenzati dalle
brusche flessioni dell’attività registrate durante l’attuale crisi.
7
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Nei dodici anni considerati, l’incidenza del debito sul Pil si è ridotta di 17,9 punti
percentuali in Italia (dal 120,9% al 103,1%), mentre è aumentata di 8,1 punti in Francia
(dal 56,1% al 64,2%) e di 9,9 in Germania (dal 55,3% al 65,2%). Dal 1995 al 2007, in
tutti e tre i paesi il saldo primario ha contribuito a contenere l’aumento del debito, ma
con intensità molto differenti. In Italia, il saldo di bilancio al netto degli interessi ha
sottratto quasi 40 punti percentuali alla crescita del rapporto debito/Pil, in Germania 8,6
punti e in Francia solo 2. In Italia, l’avanzo primario è stato in media pari al 3,3% del
Pil, a fronte di valori solo leggermente positivi negli altri due paesi.
Le determinanti dell’evoluzione del Gli oneri per interessi sul debito
rapporto debito/Pil in Italia, Francia e pubblico in Italia, Francia e Germania
Germania (valori percentuali)
(1995-2007; medie annue)
7 12
6 10
5
8
4
6
3
4
2
2
1
0
0
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Saldo primario Crescita Pil nominale Onere medio del debito
Italia Francia Germania Italia Francia Germania
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat, Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat,
Banca d’Italia e Eurostat Banca d’Italia e Eurostat
La differenza tra l’onere medio del debito e la crescita nominale dell’economia ha,
invece, favorito l’aumento dell’incidenza del debito sul Pil. Tale contributo è risultato
particolarmente significativo in Italia e in Germania, con valori superiori ai 20 punti
percentuali, ma con caratteristiche differenti nei due paesi. La Germania ha sofferto
prevalentemente la debole crescita dell’economia, mentre in Italia ha pesato anche un
onere medio del debito rimasto su valori più elevati, nonostante il calo dei tassi di
interesse. Tra il 1995 e il 2007, la crescita del Pil nominale è risultata pari all’1,9% in
Germania, al 3,8% in Francia e al 4,2% in Italia. Ovviamente è opportuno ricordare
come il più solido sviluppo del nostro paese sia prevalentemente il risultato del più
rapido aumento dei prezzi, mentre la crescita del Pil in termini reali è risultata
sostanzialmente in linea con quella tedesca. Sul fronte degli interessi, l’onere del
debito è risultato pari al 5,1% medio annuo in Francia e Germania e al 6% in Italia. Nel
confronto con Francia e Germania emerge, dunque, non tanto un basso livello della
crescita nominale in Italia, quanto un valore di questa non adeguato a ripagare gli
interessi sul debito a causa di un onere medio stabilmente più elevato di quello delle
altre economie. Per il nostro paese aver dovuto sopportare un costo in termini di
maggiori interessi prossimo all’1% per ognuno dei dodici anni considerati significa aver
dovuto fronteggiare nell’intero periodo un maggiore esborso per interessi stimabile in
circa 150 miliardi di euro.
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Alcune considerazioni
I dati relativi agli ultimi venti anni mostrano, dunque, come l’elevato livello del debito sia
il frutto di una crescita economica non adeguata a compensare il costo degli interessi.
Tale situazione accomuna il nostro paese alle altre principali economie europee, con
particolare riferimento alla Germania. Nel valutare quanto accaduto è, però, opportuno
ricordare come sui risultati conseguiti dall’Italia, sia in termini di crescita sia con
riferimento al riequilibrio dei conti, abbia pesato la criticità delle condizioni di partenza.
Nella prima parte degli anni Novanta il rapporto debito/Pil in Italia era pari a più del
doppio sia di quello tedesco sia di quello francese. Gli oneri finanziari superavano il
10% del Pil, mentre in Germania si fermavano tra il 3% e il 4%. L’Italia ha dovuto porre
in essere correzioni significative dei conti pubblici già negli anni precedenti la crisi, con
effetti restrittivi sulla crescita economica.
Il Fmi ha dedicato un capitolo del World Economic Outlook recentemente pubblicato al
problema del debito. Un aspetto emerge con particolare chiarezza: l’importanza della
crescita economica nel favorire una minore incidenza del debito sul Pil. Il Fmi nella sua
analisi considera 22 economie avanzate, studiandone l’andamento delle finanze
pubbliche negli ultimi cento anni. Uno dei risultati mostra sia il limite dell’Italia
nell’esperienza passata di riduzione del debito sia l’elemento di maggiore difficoltà per
il nostro paese nel processo di riequilibrio dei conti in corso. Nelle esperienze
considerate dal Fmi, la differenza tra il costo del debito e la crescita economica è
risultata in media inferiore all’1%. In Italia, tra il 1990 e il 2011, questa differenza è
stata pari ad oltre il 3%, e durante i periodi di crescita, dal 1995 al 2007, è scesa solo
poco al di sotto del 2%.
Secondo i dati contenuti nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e
Finanza, recentemente approvata dal Governo, l’onere medio del debito pubblico in
Italia dovrebbe mantenersi nei prossimi anni intorno al 5%. Appare complesso che la
crescita economica possa, anche al lordo dell’aumento dei prezzi, ripagare interamente
questo costo del debito. Le stime della Banca d’Italia segnalano, dunque, come
obiettivo un saldo primario che si mantenga stabilmente al di sopra del 5%. Nel
passato livelli simili di saldo primario sono stati raggiunti nella seconda parte degli anni
Novanta. La differenza con la fase attuale risiede nel contesto esterno. Nella fase di
avvicinamento all’area euro, l’economia mondiale cresceva senza grandi incertezze, e
l’Italia beneficiava di svalutazioni competitive del cambio. Politiche fiscali restrittive
erano, dunque, più facilmente realizzabili. Oggi lo scenario economico appare senza
dubbio più complesso. Secondo le stime della Banca d’Italia, le manovre approvate per
contenere il disavanzo hanno generato un effetto restrittivo, in termini di minore
crescita del Pil, pari all’1%. Diviene, dunque, centrale avere come obiettivo quanto
indicato dal Fmi. Partendo dal presupposto che la riduzione dell’incidenza del debito
richiede tempo, e deve essere considerata come una maratona, alle politiche fiscali,
che devono mirare ad un riequilibrio strutturale dei conti, evitando misure temporanee,
deve essere necessariamente affiancata una costante politica di sostegno della
crescita.
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Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix
400
350 60
300
50
250
200 40
150 30
100
Index Itraxx EU Financial Sector
20
50
0 10
giu-12
lug-12
set-12
giu-11
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
apr-12
mar-11
apr-11
dic-11
feb-12
ott-12
gen-12
mag-12
ago-12
feb-11
ott-11
gen-11
mag-11
ago-11
0
dic-11
feb-12
ott-12
gen-12
mag-12
ago-12
gen-11
feb-11
ott-11
mag-11
ago-11
giu-12
lug-12
set-12
giu-11
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
apr-12
mar-11
apr-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio scendono a 195 pb da 200 L’indice Vix, oscilla intorno a quota 15.
pb della scorsa settimana.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent Prezzo dell’oro
(Usd per barile) (Usd l’oncia)
2.000
130 1,5
125 1.900
1,45
120 1.800
1,4
115 1.700
1,35
110
1,3 1.600
105
1,25 1.500
100
95 Brent scala sin.(in Usd) 1,2 1.400
Cambio euro/dollaro sc.ds.
90 1,15 1.300
1.200
giu-12
lug-12
set-12
giu-11
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
apr-12
mar-11
apr-11
dic-11
gen-12
feb-12
ott-12
mag-12
ago-12
gen-11
feb-11
ott-11
mag-11
ago-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ si muove intorno a 1,29. Il Il prezzo dell’oro si avvicina a 1.780 dollari
petrolio di qualità Brent sale a 116$ al barile. l’oncia.
10
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Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)
24.000 1.500
1.300
22.000
1.100
20.000 900
700
18.000
500
16.000 300
100
14.000
-100
dic-11
ott-12
gen-12
feb-12
mag-12
ago-12
ott-11
gen-11
feb-11
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mag-11
giu-12
lug-12
set-12
giu-11
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
apr-12
mar-11
apr-11
12.000
nov-11
dic-11
apr-11
ott-11
apr-12
mar-11
mar-12
feb-11
ago-11
set-11
giu-11
lug-11
feb-12
ago-12
set-12
giu-12
lug-12
gen-11
gen-12
mag-11
mag-12
Serie1 Serie3 Serie5 Serie8
Fonte: Thomson Reuters Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson
Reuters
Il Ftse Mib nell’ultima settimana sale da I differenziali con il Bund sono pari a 649 pb
quota 15.500 a 15.650. per il Portogallo, 342 pb per l’Irlanda, 430 pb
per la Spagna e 348 pb per l’Italia.
Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi
(val. %)
12.000
1,8
10.000 1,6
1,4
8.000
1,2
6.000 1
0,8
4.000 0,6
0,4
2.000
0,2
0 0
gen-08
ott-08
gen-09
ott-09
gen-10
ott-10
gen-12
ott-12
gen-11
ott-11
lug-08
lug-09
lug-10
lug-12
apr-08
apr-09
apr-10
lug-11
apr-12
apr-11
gen-10
gen-12
mag-10
mag-12
gen-11
lug-10
set-10
mag-11
lug-12
set-12
nov-10
lug-11
set-11
mar-10
nov-11
mar-12
mar-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
L’indice, su valori minimi, sale nell’ultima Continua la flessione dell’euribor 3m che si
settimana 800 a 900. avvicina a 0,20% .
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL-
Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.
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