1. Gruppo Bastioni – p.Venezia
LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
PARTE 1: Cause principali dell’impatto negativo delle privatizzazioni dei servizi pubblici
In Italia (ma il fenomeno è visibile in tutto il mondo) è andata progressivamente distrutta
quella moralità amministrativa che si fondava sulla condivisione fra l’azione della Pubblica
Amministrazione e gli interessi dei cittadini.
Certamente il degrado nella P.A. in Italia era già iniziato prima dell’ondata di privatizzazioni
degli ultimi 20 anni; e continua oggi nei servizi rimasti pubblici a tutti gli effetti.
Ne è responsabile la politica, abituata a gestire la P.A: come strumento di potere e di guadagno:
concorsi per le assunzioni truccati in favore di parenti e “clienti” elettorali, consulenze d’oro ai
fedelissimi, … Con conseguenze disastrose per il senso di responsabilità e la qualità del lavoro.
Si è diffusa l’idea che Craxi aveva proclamato come regola: se qualcuno di noi arrivasse nella
stanza dei bottoni, a qualsiasi livello, anche lui penserebbe solo al suo potere e ai suoi vantaggi.
Negli ultimi decenni questo processo è stato portato a compimento grazie alla privatizzazione
di tutti i pubblici servizi, a livello nazionale e ancor più locale.
L’impulso a questo processo deriva da una vera e propria ideologia, fondata sul dogma per
cui il privato, mosso dalle esigenze di fare profitti, sarebbe più efficiente del pubblico, che
utilizza danari non propri e che non è mosso da alcuna esigenza (lecita) di guadagno. Si tratta
di un dogma, perché non esistono conferme e valutazioni concordi di una tale tesi.
Il dogma è stato sposato anche dalla sinistra, responsabile di gran parte delle privatizzazioni.
La storia dell’economia italiana lo smentisce. Da una parte, a livello di grandi imprese, ha
sempre regnato una mediocrità assoluta, con la FIAT a farsi finanziare dallo stato le perdite e
tenersi i profitti. Dall’altra le grandi imprese pubbliche avevano all’estero una fama molto
migliore di quella che assegnava loro la propaganda delle lobby affaristiche italiane.
L’Alfa Romeo faceva guadagnare lo stato, finché la politica non assegnò la 500 alla FIAT (ne
aveva sviluppato un suo modello l’Alfa, 2 anni prima, ma i politici la bloccarono) e obbligò
l’Alfa ad assumere gente per motivi sociali e a fare investimenti in perdita.
Inoltre il servizio pubblico – almeno fino a qualche tempo fa – permetteva una partecipazione
maggiore della popolazione. Ad esempio, il caso della ristorazione per i bambini delle scuole.
Fino a non tantissimi anni fa, la gestione della mensa era locale; spesso era permesso portarsi
da mangiare da casa (garanzia di qualità…), e nei paesi anche con la partecipazione di genitori
e gente del posto, come volontari e con doni in natura. E’ vero che oggi vanno rispettate le
regole di igiene e qualità tramite standard oggettivi; ma rendendo tutto economia si riduce la
libertà e si creano bisogni artificiali: la mensa dei bambini deve diventare anch’essa
un’occasione per fare affari, altrimenti di sicuro non può funzionare bene!…
Sovente poi ci si riferisce a così detti monopoli naturali, come l’acqua, l’etere, l’elettricità (ma,
per analogia, anche le ferrovie o le autostrade) in cui la concorrenza non può darsi davvero, e
i diversi concorrenti operano soltanto nell’erogare bollette.
E quando la concorrenza sarebbe possibile e salutare, come nel caso delle mense per i
bambini, dove si potrebbero favorire piccole imprese che operino in aree locali, si dà tutto a
Milano Ristorazione: creando volutamente un monopolio naturale!!
2. La concorrenza c’è solo nell’accaparrarsi i favori degli amministratori che attribuiscono la
concessione: una concorrenza a suon di mazzette o peggio.
Inutile dire che, sebbene le leggi lo proibiscano, tutti questi concorrenti agiscono come veri e
propri cartelli, come vediamo per le banche, le assicurazioni, la telefonia, ecc.
Infatti quando i privati non operano in un regime di vera concorrenza si comportano peggio di
qualsiasi servizio pubblico: non interessa l’utilità di quel che si “produce”, il “cliente” può
esser vessato a piacere, conta solo far soldi. Privatizzare in queste condizioni è un’aberrazione.
E infatti ad esempio Milano Ristorazione dà da mangiare pessimamente a 70000 bambini.
In tutto questo, è facile definire chi ci ha guadagnato:
- i pubblici amministratori (i politici) che manovrando gli appalti e le concessioni,
incontrano infinite occasioni per intascare mazzette
La gestione formale dell’ente privatizzato è rimasta alla P.A., e i politici possono
continuare le solite pressioni per favorire concessioni e appalti ai loro amici. Intanto,
possono prendere i soldi delle quote privatizzate, magari sottovalutate per favorire altri
amici; e quei soldi possono servire ad aggiustare il bilancio dell’amministrazione.
Sono gli stessi politici che lavorano a distruggere la scuola e la sanità pubbliche, ecc.
- i dirigenti amministrativi che hanno viste ridotte le responsabilità e che possono
comunque ricevere a loro volta tangenti: spesso poi, i loro incarichi derivano da una
consuetudine, amicizia, parentela con i titolari delle ditte concessionarie
Di sicuro è anche un modo comodo, a spese dei conti pubblici, per lavorare di meno.
- le aziende che addirittura (si pensi a De Benedetti o a Tronchetti Provera) hanno
spesso lasciato il loro business originale per riconvertirsi in pubbliche concessionarie,
dove il guadagno è garantito in partenza, protetto dalla forza pubblica, e ottenibile
grazie a tangenti generose sì ma in sostanza irrilevanti rispetto ai guadagni. Si può
affermare che oggi, in presenza di un mercato saturo, quasi tutti i grandi gruppi che
riescono a fare profitti lo fanno grazie agli appalti pubblici.
Questi privati si comportano come i peggiori enti pubblici, dando posti agli amici e
sprecando denaro in affari discutibili: tanto con la concessione pubblica rientrano di
sicuro dalle perdite! E questo con profitti privati, grazie a pratiche tipiche del privato
peggiore: arrivando fino a mettere il domicilio dell’ente alle Cayman (l’ha fatto una ex-
municipalizzata ligure) e a mandare i suoi venditori nelle case di milioni di italiani a
imbrogliarli, come Enel Energia.
e chi ci ha rimesso:
- i lavoratori del settore, estromessi dalla condizione di pubblici dipendenti, e trasferiti a
ditte, cooperative, subappaltatrici, con minori salari e peggiori garanzie
In Milano Ristorazione si chiudono i centri di cottura locali per aprirne uno enorme.
Senza problemi si licenzia le gente; e per servire i pasti ci sono le “scodellatici” (già il
nome è un programma), assunte da cooperative e pagate una miseria.
- il mercato, che ne esce pesantemente distorto, visto che molto risparmio viene allocato
in queste società per azioni, sottraendolo a potenziali investimenti produttivi; e il
futuro del paese e delle sue risorse, visto che gli azionisti guardano agli utili immediati,
senza farsi carico di investimenti a lungo termine
3. - il mercato del lavoro, distorto dall’invadenza di queste società private come contratti
ma pubbliche come politica delle assunzioni, che sono il paradiso della
raccomandazione e del nepotismo più sfrenato
- gli utenti, che hanno visto calare la qualità dei servizi, aumentarne i costi (perché
occorre che le tariffe producano anche l’utile destinato agli azionisti privati), azzerarsi
le possibilità di controllo, grazie anche al fatto che le responsabilità possono essere fatte
rimbalzare all’infinito fra l’ente pubblico committente e il concessionario, col risultato
che le responsabilità divengono inafferrabili
- tutti i cittadini, compresi quelli che non utilizzano direttamente lo specifico servizio,
ma che comunque potrebbero beneficiare di una corretta amministrazione (si pensi
alla scuola, che dovrebbe creare una migliore cultura comune; ai trasporti pubblici, la
cui migliore efficienza creerebbe effetti positivi anche per il traffico privato; alla
sanità, etc), e che vedono le istituzioni invase da cosche di malfattori in concorrenza
fra loro.
La “svendita” dei servizi pubblici si ripercuote anche sui servizi rimasti sostanzialmente
pubblici: da una parte viene svilita l’idea stessa di servizio, dall’altra vengono fatti
mancare i fondi, sperperati altrove. Così si scoraggiano e si riducono all’impotenza
anche quei pubblici dipendenti che hanno sempre lavorato con coscienza (e sono tanti) e
vorrebbero continuare farlo.
In queste condizioni anche i cittadini che vorrebbero utilizzare i servizi pubblici – veri o
privatizzati che siano – preferiscono (se possono) ricorrere a servizi autenticamente
privati. E cresce l’idea che lo stato sia in mano a malavitosi, e che gli impiegati pubblici
siano fannulloni o incapaci.
In particolare si avverte l’insufficienza di enti destinati al controllo (Authority, Tar), perché
lenti, dotati di insufficienti poteri, costosi, a loro volta infiltrati pesantemente e protervamente
dalla coalizione dei corruttori e dei corrotti.
PARTE 2: Collegamenti con altri settori della vita civile, la cui riforma è indispensabile per
riuscire a riformare il settore in esame
RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La soluzione vera alle privatizzazioni selvagge è una P.A. fondata su nuove basi.
Alcuni spunti. Anzitutto, che la P.A. gestisca responsabilmente le risorse di cui dispone. Ad es.,
quello che il comune di Milano controlla in città vale 100 volte quello che è messo in bilancio: il
comune può occultare così la situazione reale, perché non è tenuto a fare il consolidato, e a rendere
pubblico il suo operato! mentre il codice civile obbliga a tutto questo il privato.
Poi, bisogna penalizzare i servizi che funzionano male, che non affrontano i problemi evidenti (vedi
ATM)! Come? Spostando il personale, o imponendo penali anzitutto ai dirigenti... E poi, bloccare
le assunzioni clientelari, ecc.
ISTRUZIONE
I cittadini non vedranno mai fatti i loro interessi, se non saranno capaci di occuparsene in prima
persona. A questo fa ostacolo l’assenza di senso civico di gran parte degli italiani.
Ci vuole educazione civica nelle scuole, e formazione al senso civico per gli adulti.
PARTE 3: Possibili soluzioni per rimuovere le cause individuate nella parte 1
4. Le società che erogano servizi pubblici devono essere Aziende pubbliche, e non solo di
proprietà pubblica, ovvero devono poter essere controllate dai cittadini.
Sarebbe già positivo ritornare alla situazione precedente quest’ondata di privatizzazioni.
Ma per gestirla decentemente, senza le tradizionali disfunzioni della nostra P.A., bisogna che
il cittadino trovi il modo di esercitare un’influenza decisiva.
Da una parte è sicuramente necessario pretendere e ottenere trasparenza. Oggi sapere è molto
difficile, c’è una cortina fumogena attorno alla macchina comunale, benché sia preciso
dovere dell’amministrazione permettere al cittadino di accedere alle informazioni.
Ma comunque, anche per ottenere la trasparenza visto che gli viene negata, il cittadino deve
imparare a giudicare TUTTI gli argomenti di interesse pubblico: non deve credere di poter
parlare solo di questioni tecniche di cui è competente, ha il diritto/dovere di parlare di tutti i
servizi di cui il comune cittadino è utente, ovvero i problemi reali della società.
TUTTI dobbiamo imparare a fare il mestiere di cittadino, pur nei limiti del tempo che
ciascuno di noi ha disponibile. Questa è la declinazione attuale della parola democrazia.
Ascoltarci uno a uno, istruirci per capire dove comincia la libertà di ciascuno.
Solo lo sviluppo di gruppi di cittadini organizzati capaci di questo lavoro critico potrà fornire
quel controllo da parte dei diretti interessati che oggi è completamente carente (a parte le
sterili lamentele). I cittadini devono saper controllare, individuare le questioni-chiave, e su
quelle mantenere l’impegno a non mollare.
Per conseguenza non devono in nessun caso produrre profitti: qualora se ne creino, va deciso
dai cittadini se ridurre le tariffe, provvedere a nuovi investimenti, rendere il surplus all’erario
Tra le ipotesi praticabili (abbastanza numerose!) c’è quella delle imprese sociali (vedi
http://it.wikipedia.org/wiki/Impresa_sociale ): ditte che agiscono nell’ambito della
normale concorrenza (hanno forma di SPA normale) ma hanno il solo scopo di produrre quel
servizio nel modo previsto.
La politica delle assunzioni e delle nomine va azzerata e ridefinita in base ai principi di
trasparenza e probità, riducendo gli stipendi più alti, elevando quelli più bassi, indicando con
chiarezza la catena delle competenze e delle responsabilità
Per le aziende oramai compromesse e che potrebbero tornare pubbliche solo ricomprando le
azioni sul mercato, si può pensare a denunciare le concessioni, incriminando i passati
amministratori per avere venduto ciò che non era loro, e aver dissipato i relativi utili.
Occorre che vengano stabiliti strumenti certi, rapidi e immediatamente esecutivi, di controllo
sulla qualità e la probità delle aziende concessionarie e sui dirigenti pubblici incaricati di
verificarne la correttezza. Bilanci, curriculum degli amministratori e compagine sociale delle
ditte concorrenti agli appalti devono essere accessibili a chiunque PRIMA DEL CONCORSO.
Irregolarità in sede di appalto devono condurre all’esclusione di tutti i soggetti
(amministratori e proprietari) dai concorsi successivi. La proprietà deve essere trasparente,
escludendo fiduciarie e simili.
Ci vorrebbero persone di elevata capacità tecnica e moralità che facciano da revisori dei conti
delle procedure pubbliche, ovviamente non dovrebbe essere un solo individuo bensì un pool
di specialisti per il controllo della PA in generale, con il Comune che fornisca loro l’elenco
dei contratti in essere.
Le cose indispensabili alla comunità devono essere controllate con rigore; chi sbaglia deve
pagare! E’ possibile, le procedure ci sono, gente onesta e disponibile in Italia ce n’è!
L’unico ostacolo: finora una cosa del genere non ha mai voluto farla nessun governo.
5. In genere, ogni qual volta sia possibile, i lavori devono essere svolti con forze interne: il
ricorso a ditte esterne va scoraggiato e di volta in volta motivato, indicando gli specifici
vantaggi, non solo sul piano economico ma su quello della qualità e della trasparenza del
servizio.
6. In genere, ogni qual volta sia possibile, i lavori devono essere svolti con forze interne: il
ricorso a ditte esterne va scoraggiato e di volta in volta motivato, indicando gli specifici
vantaggi, non solo sul piano economico ma su quello della qualità e della trasparenza del
servizio.