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La propagazione delle piante è sicuramente una delle più antiche
attività agricole dell’uomo e risale probabilmente al momento in cui le civiltà
nomadi cominciarono a scoprire i vantaggi di una vita stanziale in prossimità
di corsi d’acqua, laghi fiumi ecc., ed in particolare dell’allevamento di piante
ed animali. Il modo più naturale per l’uomo di apprendere come propagare le
piante fu sicuramente quello di osservare ciò che accadeva in natura e il
seme,
del quale era facile esaminare le modalità di sviluppo, ha sicuramente
rappresentato, in assoluto, il primo materiale di propagazione utilizzato
dall’uomo per moltiplicare le piante di suo interesse.
La propagazione per talea può essere considerata la prima evoluzione dei metodi di
propagazione e, probabilmente, si è sviluppata più tardi a seguito dell’osservazione che
grossi rami o branche, impiantati nel terreno per costruire recinzioni e ripari per l’uomo e per
gli animali, potevano formare radici e diventare una nuova pianta uguale a quella originaria.
Dovevano trascorrere molti secoli prima che i metodi di moltiplicazione mostrassero qualche
ulteriore importante progresso. Infatti, è soltanto verso la metà del 1500 che tra i primi testi
riguardanti le tecniche agricole impiegate in quel tempo, la propagazione delle piante
occupa uno spazio significativo. Può destare stupore rilevare che senza conoscenze
scientifiche appropriate e nella totale mancanza di protocolli di riferimento, fosse
stato possibile mettere a punto dei metodi di propagazione che nel tempo si sono
dimostrati sempre più idonei agli scopi prefissati e siano sostanzialmente applicati
ancora oggi, anche se con modificazioni più o meno accentuate suggerite dalle recenti
conoscenze scientifiche e da una maggiore disponibilità di materiali. Si potrebbe giungere
alla conclusione che soltanto una mente geniale, provvista di capacità non comuni come
fantasia, estro, intuito, creatività, fosse potuta arrivare a tanto. E forse questo è il motivo per
cui, ancora oggi, in letteratura la propagazione è definita spesso, da alcuni autori, come arte
vera e propria.
Ebbene, nel 1578 Marco Bussato da Ravenna pubblicava un trattato su Prattica
historiata dell’innestare gli arbori in diuersi modi, in varij tempi dell’anno e conservarli
in più maniere. Alcune illustrazioni di tale trattato confluirono poi nell’edizione del
volume “Giardino d’Agricoltura dello stesso autore, pubblicato nel 1612, nel quale
venivano descritti, attraverso belle incisioni, diversi tipi di innesto. Marco Bussato
potrebbe essere considerato a pieno titolo il primo innestino della frutticoltura italiana
che con la sua passione contribuì notevolmente a diffondere la tecnica dell’innesto in
Italia.
Successivamente, documenti che testimoniano un approccio più scientifico delle
tecniche di propagazione sono datati intorno alla seconda metà del 1700, quando
Duhamel du Monceau, nel 1758, pubblicava le sue conoscenze sulla propagazione per
talea, innesto e margotta.
Marco Bussato da Ravenna
prima pubblicazione1578
Giardino d’Agricoltura 1612
Giardino d’Agricoltura 1612
Giardino d’Agricoltura 1612
Duhamel du Monceau, 1758
All’inizio del 1800 l’innesto risultava essere una tecnica di propagazione
vegetativa comunemente diffusa per diverse specie.
Gallesio, nella Pomona Italiana, pubblicata tra il 1817 e il 1839 riferisce:
“Chiunque visita con occhio osservatore le vallate settentrionali
dell’Appennino si convince facilmente che il Castagno vi è indigeno. Gli
immensi boschi di salvatici che cuoprono i luoghi meno riparati e meno
terrosi, e la disposizione irregolare e fortuita delle piante domestiche che
popolano i piani e le conche, annunziano che tutto è dovuto alla Natura, e
che l’industria non ha fatto che cangiare coll’innesto le piante spontanee,
(salvatiche) quali le ha trovate, in varietà più adattate ai suoi bisogni”.
Con lo sviluppo della società industriale ed il conseguente
miglioramento del tenore di vita dell’uomo, anche i metodi di
propagazione delle piante iniziano a progredire con l’obiettivo di
fornire un prodotto sempre più adeguato a soddisfare le mutevoli
esigenze.
L’evoluzione, tuttavia, è piuttosto lenta a causa delle ancora
scarse conoscenze scientifiche che la ricerca di quel tempo
metteva a disposizione degli operatori.
La grande svolta del settore vivaistico avviene intorno alla metà
del 1900 quando avvengono alcuni importanti eventi:
- la diffusione delle auxine,
- la messa a punto della nebulizzazione e del riscaldamento basale,
- l’allevamento in contenitore di plastica, e successivamente, in tempi più a noi
vicini,
- l’avvento della micropropagazione.
ATTUALMENTE LE TECNICHE DI PROPAGAZIONE HANNO RAGGIUNTO LIVELLI
DI EFFICIENZA MOLTO ELEVATI E GRAZIE AL DINAMICO E CONTINUO SVILUPPO
DELLA RICERCA DEGLI ULTIMI 30 – 40 ANNI OGGI DISPONIAMO DI PROTOCOLLI DI
PROPAGAZIONE MOLTO EFFICIENTI PER NUMEROSE SPECIE.
CIÒ È STATO POSSIBILE ANCHE GRAZIE AI CONSIDEREVOLI AVANZAMENTI
TECNOLOGICI AVVENUTI NELLO STESSO PERIODO NEL CAMPO DELLA
STRUMENTAZIONE DA LABORATORIO CHE HANNO RESO POSSIBILE
L’ESECUZIONE DI APPROFONDITE ANALISI ED ACQUISIRE PREZIOSE
CONOSCENZE SCIENTIFICHE INIMMAGINABILI SOLTANTO POCHI DECENNI FA.
Ma la vitalità (dinamismo) del settore vivaistico è strettamente e costantemente
subordinata ad eventi in continua evoluzione, come ad esempio
- le fluttuazioni della situazione economica generale,
- l’introduzione di sistemi di coltivazione più avanzati,
- la richiesta di piante di qualità sempre più elevata,
- la necessità di ridurre i costi di produzione e di
- limitare o eliminare l’impatto delle tecniche applicate sull’ambiente e sulla
salute umana.
Ne consegue, dunque, che nonostante l’elevato grado di specializzazione raggiunto
nel settore vivaistico, i metodi di propagazione continuano a richiamare l’interesse dei ricercatori
con l’obiettivo di soddisfare le sempre nuove esigenze derivanti dalla dinamicità del mercato
vivaistico. L’affermazione che le possibilità di innovazione di un settore produttivo sono
strettamente legate alla qualità e quantità di ricerca svolta nel settore medesimo, esprime un
binomio imprescindibile sul quale si basa il progresso di qualsiasi comparto della produzione.
PROPAGAZIONE PER SEME
(o sessuata o gamica)
Cenni sulla morfologia e struttura del seme
L’organo essenziale per la riproduzione è rappresentato dal seme che è costituito da tre
parti: l’embrione, gli organi di riserva e i tegumenti.
L’embrione deriva dall’unione del gamete maschile con quello femminile, è il risultato
cioè della fecondazione dell’ovocellula con uno dei due nuclei generativi del polline, dando
luogo alla formazione dello zigote. La formazione dell’embrione, però, può avere luogo
anche senza l’intervento della fecondazione (apomissia).
L’embrione è costituito da un asse all’estremità del quale sviluppano
- da un lato l’ipocotile che origina la radichetta e quindi l’apparato radicale
- dal lato opposto l’epicotile dal quale si forma la piumetta che successivamente si
evolve in fusto e tronco.
Gli organi di riserva sono costituiti essenzialmente dall’endosperma che deriva dalla
fusione dei due nuclei aploidi del sacco embrionale con il secondo nucleo generativo del
polline ed è pertanto triploide. Tessuti di riserva sono inoltre i cotiledoni e il perisperma.
L’endosperma, inizialmente liquido (rimanendo tale nelle noci di cocco), si evolve
successivamente in tessuto organizzato che può essere più o meno abbondante nei
semi albuminosi, oppure ridotto ad un sottile strato intorno all’embrione, come nei
semi esalbuminosi.
In quest’ultimo caso le sostanze di riserva sono contenute nei cotiledoni che
nei semi sono generalmente presenti in numero di uno o due.
I semi contenenti abbondante endosperma vengono anche detti semi albuminosi, mentre
quelli in cui l'endosperma è sostituito dai cotiledoni sono detti semi esaalbuminosi.
La presenza nel seme dei cotiledoni rappresenta il criterio per la classificazione delle
piante in:
- monocotiledoni (un solo cotiledone come nelle palme e nel banano) e
- dicotiledoni (con due cotiledoni come nel melo, pesco, olivo e vite). I cotiledoni sono
fino a 15 nel pino. In alcune specie come mandorlo, castagno, noce, pistacchio, i
cotiledoni costituiscono la parte edule del seme.
L’endosperma e i cotiledoni contengono:
- sostanze di riserva (idrati di carbonio, proteine, amminoacidi, acidi nucleici, lipidi,
ecc.)
- ormoni (promotori e inibitori) che provvedono alla germinazione dei semi e allo
sviluppo iniziale della giovane piantina.
I tegumenti, generalmente in numero di uno o due e raramente tre, costituiscono
i tessuti di protezione del seme. Durante lo sviluppo del seme i tegumenti possono
modificarsi assumendo l’aspetto di una sottile pellicola che avvolge l’endosperma e
l’embrione oppure divenire coriacei come nel melo e nel pero.
In altre specie (drupacee) alla formazione dell’involucro del seme partecipa anche
l’endocarpo legnoso (nocciolo) che svolge una funzione protettiva contro gli agenti
esterni.
Vedi figure
Le piante apomittiche derivate da apomissia
presentano caratteristiche genetiche identiche alla pianta madre. Il termine
“poliembrionia” significa che più embrioni (uno dei quali zigotico)
hanno preso origine da un unico seme
APOMISSIA: processo grazie al quale alcune cellule della nucella (2n) acquistano
capacità meristematica e producono embrioni somatici uguali geneticamente
alla pianta madre.
Il solo caso in cui le piante derivate da seme sono geneticamente uguali alla pianta
madre è quello dell’APOMISSIA
Poliembrionia in agrumi
La propagazione per seme, pur non presentando particolari difficoltà,
può essere ostacolata da alcune condizioni fisiologiche del seme e
della futura pianta, che talvolta rappresentano delle vere e proprie
limitazioni: la dormienza dei semi e la fase giovanile
Dormienza dei semi
La dormienza è uno stato di temporanea latenza degli embrioni per cui i semi anche se
vengono posti in condizioni di temperatura, umidità e aerazione ottimali non germinano.
Si tratta, in questo caso, della così detta dormienza embrionale (dovuta a fattori di natura
fisiologica insiti nell’embrione) per distinguerla da altri tipi di dormienza dovuta a fattori che
non dipendono dall’embrione ma da particolari strutture degli involucri seminali impermeabili
ai gas (dormienza fisica) o che oppongono una resistenza meccanica alla fuoriuscita della
plantula (dormienza meccanica) o più semplicemente da fattori esterni non idonei, quali la
temperatura, l’umidità e lo stato di aerazione del substrato, alla germinazione dei semi.
La dormienza può essere considerata pertanto come un meccanismo di regolazione del
processo germinativo attuato dai semi per superare le condizioni ambientali sfavorevoli
alla germinazione.
La dormienza embrionale è determinata da complessi processi fisiologici che iniziano
durante la maturazione del frutto con:
- il progressivo accumulo nel seme di ormoni ad azione inibitrice come l’acido abscissico
- e la contemporanea diminuzione di quelli ad azione stimolatrice come le auxine, le
gibberelline e le citochinine.
Inibitori e promotori, contenuti negli involucri esterni, sia nell’endosperma e nell’embrione,
sono presenti secondo un equilibrio dinamico, proprio della dormienza embrionale. Inoltre
anche la respirazione intracellulare diminuisce gradualmente.
Di conseguenza l’embrione permane in uno stato di apparente inattività per un
periodo più o meno lungo, variabile nelle diverse specie.
Soltanto negli agrumi e nel nespolo del Giappone la dormienza è quasi
completamente assente tanto che i semi germinano non appena vengono
separati dalla polpa del frutto e messi a germinare in opportune condizioni di
temperatura e umidità.
La dormienza embrionale può essere superata soltanto attraverso
l’esposizione dei semi a basse temperature (vernalizzazione) mediante la
stratificazione (strati di semi alternati a strati di sabbia) in celle climatiche o
nell’ambiente esterno per un certo periodo di tempo, variabile nelle diverse
specie (vedi figura)
Diverso è il caso della dormienza fisica e meccanica che può essere superata
attraverso l’ammorbidimento (stratificazione) o la incrinatura (scarificatura) dei
noccioli che consentono di ripristinare gli scambi gassosi, con particolare
riguardo all’ossigeno, e le condizioni necessarie per la fuoriuscita della
plantula.
I semi di alcune specie possono presentare due o più tipi di dormienza (doppia
dormienza) come es. nel pesco, olivo, ecc.
Vernalizzazione
Noccioli di olivo in attesa della semina.
Sono caratterizzati da dormienza fisica, meccanica e dell’embrione
Σ (t x n)
Fattori della germinazione
La prima condizione necessaria affinché il seme possa germinare regolarmente è che sia stata
superata la dormienza. In alcune specie, tale requisito viene raggiunto con una certa difficoltà o può
richiedere tempi molto lunghi, per cui può accadere che la germinazione non sia molto elevata. In
questi casi è opportuno ricorrere a trattamenti che promuovono o favoriscono la crescita
dell’embrione, differenziati in relazione alle cause della dormienza (come ad esempio la
scarificazione, stratificazione, l’applicazione di regolatori di crescita, ecc.), o interventi di pre-
germinazione.
Importante è anche lo stato sanitario dei semi la cui germinazione potrebbe essere
compromessa dallo sviluppo di patogeni capaci di danneggiare irreparabilmente i tessuti
dell’embrione in sviluppo.
I fattori dai quali dipende la capacità di germinazione sono di tipo fisiologico e ambientale.
Quello fisiologico è rappresentato dal bilancio tra ormoni promotori e inibitori, che controllano sia
l’uscita di dormienza dei semi, sia l’accrescimento dell’embrione all’inizio e durante la
germinazione. I fattori ambientali diventano importanti dopo che il seme ha acquisito la capacità a
germinare.
Bilancio ormonale
Nella fase di transizione tra dormienza e inizio di accrescimento dell’embrione, il quadro
ormonale viene ad essere fortemente modificato, con una graduale diminuzione degli inibitori ed un
sensibile aumento dei promotori della germinazione.
Alcuni ormoni svolgono una funzione decisamente importante nel predisporre il seme alla
germinazione, mentre altri hanno mostrato effetti variabili e le conoscenze sul loro ruolo non sono
ancora del tutto chiarite.
Acido abscissico. Questo ormone è ritenuto un regolatore positivo nell’induzione, e
forse anche nel mantenimento, della dormienza del seme. Infatti, ricerche di biologia
molecolare nelle quali è stata indotta sovraespressione dei geni codificanti la biosintesi di ABA,
dimostrerebbero come in presenza di un maggior contenuto dell’ormone aumenti l’intensità
della dormienza e il ritardo della germinazione. Al contrario, una riduzione della sintesi di ABA
sarebbe associata alla riduzione o mancanza di dormienza primaria e una pronta germinazione
dei semi.
Gibberelline. La riduzione del contenuto di ABA e l’aumentata sensibilità alle
gibberelline (GA) sarebbero associate alla fase di transizione tra dormienza e post-
dormienza dei semi di molte specie. Alle gibberelline è attribuito un ruolo chiave
nella rimozione degli effetti negativi dell’ABA. Questo gruppo di ormoni agirebbe
sulla dormienza del seme in momenti e tessuti diversi. Inoltre, le gibberelline sono
necessarie per l’allungamento cellulare e hanno mostrato effetti positivi anche per
superare la dormienza determinata dal tegumento esterno del seme.
Etilene. I meccanismi di azione di questo ormone sembrerebbero
correlati ad un aumento della respirazione e ad un maggiore potenziale
idrico nei semi in germinazione. L’etilene sembrerebbe contrapporsi agli
effetti inibitori dell’ABA sulla germinazione disturbandone i meccanismi
di azione.
Brassinosteroidi. Sono steroidi molto diffusi nel regno vegetale e sono
stati ritrovati nei semi di molteplici specie. Questi composti sarebbero
coinvolti nella germinazione attraverso un meccanismo di interazione con
le gibberelline e con la luce, regolando l’allungamento dei germogli e la
fotomorfogenesi dei semenzali. A questi composti è attribuita la capacità
di stimolare la crescita mediante l’aumento della divisione e l’espansione
cellulare. La loro importanza si manifesterebbe soprattutto dopo che il
processo germinativo è già stato innescato.
Citochinine. Sono presenti nei semi di numerose specie durante la germinazione e si
ritiene che siano sintetizzate nell’endosperma dove prevalentemente si accumulano.
L’effetto di questi ormoni sarebbe quello di stimolare la divisione cellulare
nell’embrione in germinazione. Inoltre, in alcune specie, le citochinine sembrerebbero
favorire il superamento della dormienza e la germinazione stimolando la biosintesi di
etilene.
Auxine. A questi ormoni è attribuito il ruolo di coordinare il corretto sviluppo
cellulare durante l’embriogenesi ed in particolare dallo stadio
globulare in poi. Le conoscenze attuali confermano l’importanza
delle auxine nel controllare lo sviluppo polare dell’embrione,
inducendo un appropriato accrescimento dei meristemi apicali e
radicali.
In generale, la dormienza e la germinazione dei semi sono fenomeni molto complessi,
controllati da numerosi geni che a loro volta sono influenzati da condizioni ormonali e
ambientali. Le ricerche di biologia molecolare, in particolare su Arabidopsis thaliana,
hanno permesso di ottenere importanti conoscenze sulle interazioni tra gli ormoni
implicati nel processo di germinazione, incoraggiando l’estensione delle ricerche
anche ad altre specie.
Condizioni ambientali
I semi, per poter germinare regolarmente, devono trovare appropriate condizioni
ambientali rappresentate principalmente da una sufficiente disponibilità di acqua, temperatura,
ossigeno e luce.
Acqua.
Rappresenta il fattore fondamentale per l’inizio della germinazione ed è importante per
l’attivazione degli enzimi, per la scissione, traslocazione ed utilizzazione delle sostanze di riserva.
Durante il periodo di dormienza, il seme è caratterizzato da un relativamente basso contenuto in
acqua e da una ridotta attività metabolica.
Per avviare il processo di germinazione, la maggior parte dei semi richiede una specifica
quantità di acqua. Raggiunto il valore ottimale di umidità, il seme inizia a germinare e gli eventi
attivati non possono essere annullati. Se il contenuto idrico scende al di sotto della soglia critica, i
processi metabolici si bloccano e il seme degenera nel substrato.
L’assorbimento dell’acqua avviene attraverso un processo di imbibizione che si basa
sulle proprietà tipiche dei colloidi, presenti nel seme sotto forma di sostanze di riserva (si
comportano come tali le proteine e in minor misura l’amido).
Del substrato è anche importante il pH, la fertilità in elementi minerali e la
presenza di microrganismi della rizosfera (batteri, funghi micorrizici) che instaurano positive
correlazioni con la pianta e ne influenzano positivamente l’accrescimento
Temperatura
Questo fattore gioca un ruolo molto importante sulla germinazione
durante la quale avvengono reazioni biochimiche influenzate dalla quantità
di calore disponibile. Si può individuare, quindi, una temperatura minima,
ottimale e massima alle quali il processo di germinazione avverrà con
modalità differenziate. Il valore ottimale è quello al quale si verifica la più
elevata percentuale di germinazione nel tempo più breve. In generale, il
range di temperature efficaci oscilla tra circa 15° e 30° C.
Ossigeno
Un altro fattore importante per la germinazione è rappresentato da
una soddisfacente areazione del substrato. Infatti, ai semi in germinazione
deve essere assicurata una buona disponibilità di ossigeno, necessario per
i processi metabolici e il rapido allontanamento dell’anidride carbonica,
derivante dalla respirazione, al fine di evitare rallentamenti della
germinazione.
Luce
In molti semi la dormienza viene interrotta attraverso l’esposizione alla
luce. In generale, nei semi piccoli, dove le riserve nutritive sono ridotte, la
germinazione è favorita dalla luce, al contrario dei semi più grandi che possono
germinazione al buio grazie alle più elevate disponibilità di sostanze di riserva.
Il processo di germinazione è inoltre influenzato dalla qualità della luce
che gioca un ruolo importante sull’attivazione dei fotorecettori, in particolare della
famiglia dei fitocromi. Infatti, i semi di molteplici specie germinano velocemente in
presenza di luce rossa ma sono inibiti con l’applicazione di luce rosso-lontano.
Ricerche su Arabidopsis hanno evidenziato come i semi sviluppati durante
l’irraggiamento della pianta con luce rossa siano capaci di germinare al buio,
contrariamente a quanto rilevato impiegando una sorgente luminosa nella quale
sono presenti lunghezze d’onda del rosso-lontano.
Inoltre, semi che necessitano della luce per germinare, trattati con
gibberellina diventano capaci di germinare anche al buio. In generale, la luce può
manifestare effetti positivi o negativi sul processo di germinazione ma diventa
rapidamente un fattore indispensabile poiché le riserve nutritive, anche nei semi più
grandi, sono limitate e la nuova piantina deve acquisire quanto prima possibile
capacità fotoautotrofe.
Fasi della germinazione
Le tappe attraverso le quali normalmente si svolge la germinazione sono rappresentate da tre fasi
(vedi figura):
-nella fase I l’acqua viene assorbita attraverso un meccanismo di imbibizione dei tegumenti e del
protoplasma, con un’intensità inizialmente maggiore e decrescente verso la fine della fase
- durante la fase II l’assorbimento di acqua si riduce notevolmente fino ad arrestarsi e nello
stesso tempo aumenta l’attività metabolica che si manifesta attraverso un incremento della
respirazione
- la respirazione mostra un ulteriore incremento quando la radichetta inizia ad approfondirsi nel
substrato di germinazione (fase III) e l’embrione ha già prodotto le sue caratteristiche strutture.
Rallentato
accrescimento
La maggiore presenza di acqua nei tessuti promuove la riattivazione del
metabolismo e la ripresa di attività dell’embrione.
I tegumenti esterni si rigonfiano e iniziano alcune reazioni
biochimiche che attivano gli enzimi, in parte già presenti nel seme o
sintetizzati ex novo.
Il risveglio del metabolismo è preceduto da una riattivazione delle
vie biosintetiche che producono nuovi metaboliti (proteine, acidi nucleici,
polisaccaridi, ecc.). Le membrane cellulari riacquistano la loro
semipermeabilità e l’embrione inizia a crescere.
L’attività enzimatica provvede a trasformare
- i grassi o gli olii in acidi grassi (lipasi),
- le proteine in amminoacidi (proteasi), indispensabili per l’accrescimento
della piumetta,
- l’amido in zuccheri semplici (alfa-amilasi) che rappresentano la fonte
energetica per la respirazione.
L’accrescimento dell’embrione avviene grazie alla capacità degli
apici meristematici primari di richiamare (sink) le sostanze di riserva
mobilitate e gli elaborati prodotti dalle diverse reazioni biochimiche (source).
L’embrione che si accresce inizialmente per distensione cellulare,
prosegue il suo sviluppo attraverso un’intensa attività mitotica fino alla
formazione della plumula e della radichetta che fuoriescono dall’involucro
del seme.
L’emissione della radichetta e il suo accrescimento nel terreno
rappresenta il primo segnale visibile dell’avvenuta germinazione;
Gli eventi metabolici successivi sono da considerarsi come processi
riconducibili all’accrescimento del semenzale.
Modelli di germinazione
Nelle varie specie la germinazione del seme può avvenire secondo due modelli diversi
(vedi figura):
- germinazione epigea nella quale, durante l’accrescimento della radichetta, l’ipocotile
comincia ad allungarsi spingendo i cotiledoni e la plumula verso l’alto fino ad alcuni
centimetri di altezza sopra il substrato. Contemporaneamente la plumula prosegue nel
suo accrescimento e i cotiledoni, terminata la loro funzione nutritiva, avvizziscono e
cadono al suolo.
- germinazione ipogea nella quale i cotiledoni rimangono nel substrato di germinazione
mentre la plumula, grazie al rapido accrescimento dell’epicotile, viene spinta verso
l’alto emergendo dal suolo.
In entrambi i modelli di germinazione, i cotiledoni provvedono a fornire il supporto
nutritivo all’embrione in sviluppo fino a quando le nuove foglioline non hanno acquisito
capacità fotosintetica.
Germinazione epigea in semi di
pero (a sinistra) e ipogea in semi
di pesco (a destra).
epigea ipogea
Sviluppo dei semenzali
Con l’emissione della radichetta e della plumula dal seme, inizia un’intensa
attività metabolica nelle cellule dei meristemi embrionali (meristemi primari caulinari e
radicali) che si dividono ininterrottamente (accrescimento primario) conservando le
caratteristiche meristematiche (cellule isodiametriche, ricche di citoplasma, nuclei molto
grandi, senza vacuoli, ecc.).
La parte terminale di un apice vegetativo è costituita da cellule definite iniziali, perché
dalla loro divisione derivano tutte le altre cellule ovvero dalla loro attività può derivare
qualsiasi tipo di cellula adulta.
Dopo la formazione della plumula, assumono notevole importanza le
condizioni luminose che dovranno assicurare un’elevata capacità fotosintetica delle
prime foglioline formate.
Con l’inizio dell’autotrofia, l’accrescimento delle piantine diventa
indipendente dalle riserve energetiche del seme ed i cotiledoni, una volta esauriti,
vengono abbandonati.
Il germoglio e la radice acquistano una progressiva capacità di
accrescimento che sarà tanto più elevata quanto più appropriate saranno le condizioni
colturali; le cure agronomiche saranno rivolte ad ottenere semenzali sani e
sufficientemente rigogliosi.
Sarà quindi importante il controllo della luce solare, della temperatura, della
disponibilità idrica e di nutrienti ed evitare lo sviluppo di patogeni la cui aggressività in
questa fase di accrescimento potrebbe essere fatale.
Il semenzale prosegue quindi nel suo accrescimento post-embrionale
acquisendo dimensioni sempre più grandi.
Fase giovanile dei semenzali
e acquisizione della maturità fisiologica
Lo sviluppo post-embrionale di un albero attraversa fasi diverse,
contraddistinte da significative modificazioni del comportamento
biologico e fisiologico, la cui conoscenza è di fondamentale importanza al
fine di una corretta gestione ed utilizzazione della pianta medesima.
Si passa quindi da una fase iniziale denominata fase vegetativa giovanile,
ad una fase vegetativa adulta ed una fase riproduttiva adulta (maturità
fisiologica) (vedi Figura) per terminare con una fase di senescenza.
Illustrazione schematica dell’ontogenesi di una pianta riprodotta da seme.
Fase vegetativa giovanile
Questa fase si distingue particolarmente per le accentuate differenze a livello
morfologico, anatomico, biochimico, fisiologico e genetico, rispetto alla stessa pianta in
fase adulta.
Il carattere che più di altri assume importanza dal punto di vista pratico è la totale
incompetenza della pianta a differenziare gemme a fiore, anche se sottoposta a
trattamenti florigeni specifici.
La fase vegetativa giovanile inizia quando il meristema caulinare dell’embrione
comincia a differenziare i singoli elementi strutturali del germoglio, nodi ed internodi, e
termina, dopo un periodo più o meno lungo, con l’acquisizione della maturità fisiologica.
Il periodo necessario alle piante per abbandonare i caratteri giovanili ed acquisire
quelli adulti, varia in funzione del genotipo e delle condizioni ambientali e di allevamento
e può oscillare tra le diverse specie da pochi mesi della rosa e della vite, ai 6 - 8 anni, ad
esempio, del melo e del pero, ai 20 – 40 anni della quercia e del faggio.
Classico esempio delle differenze tra fase giovanile e adulta è quello dell’edera (Hedera helix):
- nella sua forma giovanile i germogli sono vigorosi, a rapido accrescimento, prostrati o rampicanti,
provvisti di radici aeree, con foglie lobate contenenti antocianine e incapaci di produrre gemme a
fiore,
- nella forma adulta l’accrescimento dei germogli è più lento, le foglie sono intere e assai più grandi, i
fusticini producono meno radici aeree e presentano normalmente un’abbondante produzione di
gemme a fiore (vedi Figura).
Differenze morfologiche e fisiologiche in germogli di edera in fase
giovanile, di transizione e adulta.
La fase giovanile suscita da molti anni un notevole interesse scientifico in
quanto, essendo un periodo improduttivo, influisce negativamente sui programmi di
miglioramento genetico, il cui obiettivo è molto spesso quello di introdurre in un
determinato genotipo caratteri migliorativi della qualità del frutto e di valutare, nel
più breve tempo possibile, i risultati ottenuti.
Tale fase può essere limitante anche nell’impiego di piante apomittiche
derivate da embrioni nucellari, geneticamente uguali alla pianta madre.
Sebbene il controllo di questa fase sia di natura genetica, molto importanti
sono i fattori nutrizionali, ambientali e colturali che condizionano l’accrescimento
della pianta: quanto più rapido e prolungato durante la stagione vegetativa sarà
quest’ultimo, tanto più precocemente i semenzali acquisiranno la maturità
fisiologica.
La fase giovanile può considerarsi completata quando sulla pianta iniziano a
comparire i caratteri tipici della fase adulta, anche se talora a questi caratteri non
necessariamente corrisponde subito un’abbondante produzione di fiori a causa del
concomitante insorgere di fenomeni di inibizione correlativa della transizione di fase
(fase vegetativa adulta).
Età ontogenetica e cronologica
L’età ontogenetica esprime la fase di sviluppo di un semenzale
nell’intervallo compreso tra la fase embrionale e quella adulta e
dipenderebbe dal numero di divisioni cellulari avvenute nel meristema
apicale in fase di sviluppo post-embrionale.
I meristemi ascellari di un germoglio, rispetto al meristema apicale, sono
ontogeneticamente più giovani.
Le gemme posizionate alla base di un albero mantengono più a lungo i
caratteri giovanili pur essendosi formate per prime, poiché, a causa di
eventi correlativi, presentano una morfogenesi bloccata o rallentata.
Nell’ambito della chioma il passaggio dallo stadio giovanile a quello adulto
avviene nel settore periferico dove sono localizzati i meristemi che, a
prescindere dall’età cronologica, superano più precocemente il valore
critico di esperienza ontogenetica.
Il vigore vegetativo dell’albero, elevato in fase giovanile, tende a
diminuire con il raggiungimento della fase di maturità contestualmente ad
un’intensificazione della fioritura e della fruttificazione che raggiungono
un valore massimo pressoché costante per un numero variabile di anni,
per poi diminuire quando inizia la fase di senescenza dell’albero.
Molteplici caratteri che si manifestano già in fase giovanile sono
stati proposti come marcatori nell’intento di selezionare precocemente
genotipi con caratteri di interesse senza dover attendere la fase di maturità
fisiologica.
Differenze morfologiche
- portamento della chioma è più contenuto,
- angolo di inserzione dei rami laterali sull’asse principale è più stretto,
- germogli sono più vigorosi,
- foglie più piccole, più strette e più appuntite, gli aghi di alcune conifere sono più
lunghi,
- alcuni organi (dardi e lamburde) sono trasformati in spine, come avviene in specie
quali pero, agrumi, susino, albicocco,
- fillotassi e abscissione delle foglie possono essere modificate,
- sistema radicale può presentare una diversa struttura, una biomassa più elevata
(maggior rapporto parte ipogea/parte epigea) e una maggiore presenza di radici
profonde a portamento fittonante.
Differenze anatomiche
- minore sviluppo dei tessuti corticali
- minore presenza di fibre sclerenchimatiche e sclereidi nel
floema
- maggiore discontinuità dell’anello fibroso.
Con il passaggio alla fase adulta, le fibre e le sclereidi
aumentano conferendo alla pianta una maggiore resistenza
meccanica e il floema secondario e lo xilema sono più
sviluppati.
In alcune conifere, importanti per la fornitura di legname da
costruzione, la presenza di legno giovanile influisce
negativamente sulla qualità del legno. Infatti, le
caratteristiche di questo materiale cambiano notevolmente
passando dal cilindro centrale alla corteccia. Il legno
giovanile è caratterizzato da rapida crescita, minore densità
e minore resistenza e presenta fibre più corte.
Differenze biochimiche
Diversi composti chimici hanno mostrato variazioni significative nei tessuti in relazione alla
fase di sviluppo. Ad esempio, il profilo proteico, la presenza di tannini, di flavonoidi e la
concentrazione di polifenoli, il contenuto di sostanze di riserva e di cellulosa.
Infine, pH del citoplasma, isoenzimi come perossidasi e esterasi sono apparsi intimamente
coinvolti nel passaggio di fase, mostrando una maggiore concentrazione in fase giovanile.
Differenze fisiologiche
Gli ormoni sono sicuramente coinvolti nel passaggio di fase, sebbene il loro ruolo non
sia ancora del tutto chiaro. Nessun ormone specifico della fase giovanile o della fase
adulta sarebbe, tuttavia, coinvolto in tale processo; maggiore importanza viene
attribuita al bilancio dei diversi ormoni che stimolano i meccanismi di accrescimento.
Un possibile ruolo degli ormoni è di controllare la mobilizzazione degli assimilati verso
la regione meristematica dove avvengono le modificazioni che determinano il
cambiamento di fase. Alle gibberelline, citochinine e auxine è attribuito il controllo
dell’accrescimento cellulare (divisione e distensione delle cellule) e della dominanza
apicale.
L’etilene ha mostrato effetti contraddittori e non può essere considerato, per il
momento, un possibile marcatore.
Alcune poliammine come putrescina, spermina e spermidina sono state rinvenute in
quantità superiore nei tessuti giovanili, mentre l’acido abscissico sarebbe contenuto in
maggiore quantità in piante adulte.
Inoltre, la fotosintesi e la respirazione, la conduttanza e la densità stomatica, il
coefficiente d’uso dell’acqua, il potenziale idrico fogliare e lo stato di turgore dei tessuti,
sono fattori che possono differenziarsi tra fase giovanile e adulta.
I tessuti giovanili, infine, sono caratterizzati da un più elevato potenziale di
rigenerazione, espresso ad esempio dalla maggiore capacità rizogena.
Differenze genetiche
Le ricerche sull’individuazione di geni responsabili del passaggio di fase, effettuate
inizialmente su Arabidopsis thaliana, hanno permesso di comprendere meglio le basi
genetiche e molecolari che controllano lo stadio giovanile. Studi di genomica
comparata hanno consentito di dimostrare che i geni coinvolti sono largamente
conservati nelle piante superiori. In olivo, sono stati individuati alcuni geni che
risultano altamente espressi poco prima del passaggio di fase e repressi nella fase
adulta. In specie come pioppo e agrumi, la fase giovanile è stata abbreviata mediante
la sovraespressione del gene FT il cui prodotto controlla l’induzione fiorale.
Le piante transgeniche sembrerebbero costituire un importante strumento per
superare più rapidamente la fase giovanile ma, a prescindere dalla legislazione
italiana che ne vieta l’impiego e la sperimentazione, risultano spesso malformate,
incapaci di produrre gametofiti normali, vitali e fertili e capaci di produrre frutti e
semi.
Nei moderni programmi di miglioramento genetico la selezione è principalmente
basata sulla presenza di geni specifici utilizzati come marcatori molecolari. In melo è
stato possibile selezionare in fase giovanile degli individui caratterizzati, ad esempio,
da portamento colonnare e da resistenza ad alcuni patogeni.
Evento Fase
giovanile
Fase
adulta
Divisioni cellulari anticlinali
Comparsa primordi radicali
Fuoriuscita prima radice
Massima radicazione
4 giorni
6 giorni
7 giorni
14 giorni
6 giorni
10 giorni
20 giorni
28 giorni
Tempo necessario per la formazione delle radici in talee giovanili e
adulte di Ficus pumila trattate con auxina. (Da Davies, 1983)
Fase giovanile e propagazione vegetativa
La più elevata capacità rizogena delle talee prelevate da piante in fase
giovanile (vedi tabella) costituisce un evidente vantaggio dal punto di
vista vivaistico. Tale capacità diminuisce con l’età della pianta; in alcuni
casi la riduzione della rizogenesi si manifesta dopo pochi mesi (vedi
grafico), in altri casi dopo diversi anni.
0
20
40
60
80
100
0 50 100 150 200 250 300
N. giorni dalla germinazione
Radicazione(%)
Mexicon
Winsloson
Riduzione della risposta
rizogena in talee di 2
cultivar di avocado in
funzione del numero di
giorni trascorsi dalla
germinazione.
Ringiovanimento di piante adulte
La moltiplicazione per seme costituisce un metodo naturale per ringiovanire una pianta
adulta ma, come è noto, le piante prodotte avranno genotipi diversi tra loro e da
quello originario. Fanno eccezione gli embrioni apomittici derivati da embrionia
nucellare dai quali si otterranno semenzali con caratteri giovanili e geneticamente
identici tra loro e alla pianta madre.
L’applicazione di tecniche di propagazione vegetativa a piante adulte, di cui si vogliono
conservare inalterate le caratteristiche fenotipiche che devono essere trasmesse
geneticamente, determina spesso degli insuccessi a causa della scarsa capacità
rizogena dei tessuti soprattutto quando la pianta madre è già entrata nella fase di
senescenza.
Questo problema può essere superato attraverso trattamenti di ringiovanimento con i
quali è possibile reintrodurre nei tessuti caratteri giovanili tra i quali una rizogenesi
più elevata.
Gli interventi più efficaci sono rappresentati da
1) trattamenti con gibberelline,
2) potature energiche che favoriscono lo sviluppo di germogli da sferoblasti (masse di gemme
avventizie situate nella porzione più bassa del tronco) e da zone ontogeneticamente più giovani,
3) innesti a cascata di gemme mature su portinnesti in fase giovanile, eseguiti per alcune
generazioni consecutive,
4) eziolamento dei germogli,
5) impiego di piante madri micropropagate o ottenute dalla coltura in vitro di meristemi apicali
adulti sottoposti a consecutive subcolture,
6) microinnesto di apici prelevati da piante adulte e innestati su germogli giovanili coltivati in vitro.
Fase vegetativa adulta
Terminata la fase vegetativa giovanile l’albero entra in uno stadio di
transizione caratterizzato dalla comparsa di caratteri tipici della fase
adulta. Nell’induzione dei cambiamenti di fase, i rapporti reciproci tra
acido abscissico, gibberelline, auxine, e citochinine sono più importanti
della concentrazione assoluta di ciascun ormone.
Le foglie cambiano forma e dimensioni, la spinescenza si riduce fino a
scomparire, l’accrescimento dei germogli tende a diminuire e, evento più
importante, i meristemi acquisiscono competenza florigena che, tuttavia,
potrebbe non esprimersi immediatamente.
In questo caso possono essere efficaci eventuali interventi esogeni che
rallentano l’accrescimento, come l’anulazione, la piegatura dei germogli,
l’innesto su portinnesti nanizzanti.
La transizione dalla fase giovanile a quella adulta inizia dalla parte più alta
della chioma (vedi slide successiva) e si estende progressivamente in senso
basipeto, coinvolgendo in modo graduale tutti i meristemi che hanno
superato la soglia critica nell’accumulo di esperienza ontogenetica,
espressa dal numero di fitomeri differenziati.
Fig. 3 - Rappresentazione
schematica di una pianta in fase
di transizione dove si
individuano tre zone
caratterizzate da tessuti a diverso
stadio ontogenetico: zona
esterna adulta, zona intermedia
in fase di transizione, zona
centrale e interna della chioma
che conserva i caratteri
giovanili .
Fase riproduttiva adulta
(la pianta ha raggiunta la piena maturità fisiologica)
Completata la fase di transizione, la pianta raggiunge la piena
maturità fisiologica e dunque inizierà a mostrare le sue potenzialità
riproduttive. Da questo momento e per tutta la vita biologica della
pianta, l’equilibrio tra accrescimento vegetativo e produzione di
gemme a fiore e frutti dipenderà principalmente dalle condizioni
pedoclimatiche e dalla tecnica colturale.
Semenzaio di olivo
Semina a file
Semina in aiuole
Semina in contenitori
Importanza del tipo e delle dimensioni del contenitore
Principali caratteristiche delle piante ottenute da seme:
- Variabilità genetica
- Minore presenza di virosi
- Maggiore vigoria (germogli più vigorosi)
- Maggiore capacità rizogena
- Diversa conformazione dell’apparato radicale (vedi figura)
- Lungo periodo improduttivo (fase giovanile)
- Portamento più aperto (angolo di inserzione dei germogli laterali
e il germoglio principale è più largo)
Sviluppo del sistema radicale
in una pianta da seme
Sviluppo del sistema radicale
in una pianta ottenuta da talea
Propagazione vegetativa, agamica, asessuata
TOPOFISI IN ARAUCARIA
citochimera autogena in arancio
Vari tipi di citochimere autogene
TECNICHE
PROPAGGINE DI TRINCEA
MARGOTTA DI CEPPAIA
STOLONE
Ovulo dell’olivo
Pollone radicato
Rincalzatura con terreno
- MARGOTTA AEREA
MARGOTTA DI CEPPAIA
PROPAGGINE DI TRINCEA
PROPAGGINE semplice
Propaggine di trincea (portinnesti di pesco)
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Arboricoltura Morini-tecniche di propagazione parte 1

  • 1. La propagazione delle piante è sicuramente una delle più antiche attività agricole dell’uomo e risale probabilmente al momento in cui le civiltà nomadi cominciarono a scoprire i vantaggi di una vita stanziale in prossimità di corsi d’acqua, laghi fiumi ecc., ed in particolare dell’allevamento di piante ed animali. Il modo più naturale per l’uomo di apprendere come propagare le piante fu sicuramente quello di osservare ciò che accadeva in natura e il seme, del quale era facile esaminare le modalità di sviluppo, ha sicuramente rappresentato, in assoluto, il primo materiale di propagazione utilizzato dall’uomo per moltiplicare le piante di suo interesse.
  • 2. La propagazione per talea può essere considerata la prima evoluzione dei metodi di propagazione e, probabilmente, si è sviluppata più tardi a seguito dell’osservazione che grossi rami o branche, impiantati nel terreno per costruire recinzioni e ripari per l’uomo e per gli animali, potevano formare radici e diventare una nuova pianta uguale a quella originaria. Dovevano trascorrere molti secoli prima che i metodi di moltiplicazione mostrassero qualche ulteriore importante progresso. Infatti, è soltanto verso la metà del 1500 che tra i primi testi riguardanti le tecniche agricole impiegate in quel tempo, la propagazione delle piante occupa uno spazio significativo. Può destare stupore rilevare che senza conoscenze scientifiche appropriate e nella totale mancanza di protocolli di riferimento, fosse stato possibile mettere a punto dei metodi di propagazione che nel tempo si sono dimostrati sempre più idonei agli scopi prefissati e siano sostanzialmente applicati ancora oggi, anche se con modificazioni più o meno accentuate suggerite dalle recenti conoscenze scientifiche e da una maggiore disponibilità di materiali. Si potrebbe giungere alla conclusione che soltanto una mente geniale, provvista di capacità non comuni come fantasia, estro, intuito, creatività, fosse potuta arrivare a tanto. E forse questo è il motivo per cui, ancora oggi, in letteratura la propagazione è definita spesso, da alcuni autori, come arte vera e propria.
  • 3. Ebbene, nel 1578 Marco Bussato da Ravenna pubblicava un trattato su Prattica historiata dell’innestare gli arbori in diuersi modi, in varij tempi dell’anno e conservarli in più maniere. Alcune illustrazioni di tale trattato confluirono poi nell’edizione del volume “Giardino d’Agricoltura dello stesso autore, pubblicato nel 1612, nel quale venivano descritti, attraverso belle incisioni, diversi tipi di innesto. Marco Bussato potrebbe essere considerato a pieno titolo il primo innestino della frutticoltura italiana che con la sua passione contribuì notevolmente a diffondere la tecnica dell’innesto in Italia. Successivamente, documenti che testimoniano un approccio più scientifico delle tecniche di propagazione sono datati intorno alla seconda metà del 1700, quando Duhamel du Monceau, nel 1758, pubblicava le sue conoscenze sulla propagazione per talea, innesto e margotta.
  • 4. Marco Bussato da Ravenna prima pubblicazione1578 Giardino d’Agricoltura 1612
  • 8. All’inizio del 1800 l’innesto risultava essere una tecnica di propagazione vegetativa comunemente diffusa per diverse specie. Gallesio, nella Pomona Italiana, pubblicata tra il 1817 e il 1839 riferisce: “Chiunque visita con occhio osservatore le vallate settentrionali dell’Appennino si convince facilmente che il Castagno vi è indigeno. Gli immensi boschi di salvatici che cuoprono i luoghi meno riparati e meno terrosi, e la disposizione irregolare e fortuita delle piante domestiche che popolano i piani e le conche, annunziano che tutto è dovuto alla Natura, e che l’industria non ha fatto che cangiare coll’innesto le piante spontanee, (salvatiche) quali le ha trovate, in varietà più adattate ai suoi bisogni”.
  • 9. Con lo sviluppo della società industriale ed il conseguente miglioramento del tenore di vita dell’uomo, anche i metodi di propagazione delle piante iniziano a progredire con l’obiettivo di fornire un prodotto sempre più adeguato a soddisfare le mutevoli esigenze. L’evoluzione, tuttavia, è piuttosto lenta a causa delle ancora scarse conoscenze scientifiche che la ricerca di quel tempo metteva a disposizione degli operatori. La grande svolta del settore vivaistico avviene intorno alla metà del 1900 quando avvengono alcuni importanti eventi: - la diffusione delle auxine, - la messa a punto della nebulizzazione e del riscaldamento basale, - l’allevamento in contenitore di plastica, e successivamente, in tempi più a noi vicini, - l’avvento della micropropagazione.
  • 10. ATTUALMENTE LE TECNICHE DI PROPAGAZIONE HANNO RAGGIUNTO LIVELLI DI EFFICIENZA MOLTO ELEVATI E GRAZIE AL DINAMICO E CONTINUO SVILUPPO DELLA RICERCA DEGLI ULTIMI 30 – 40 ANNI OGGI DISPONIAMO DI PROTOCOLLI DI PROPAGAZIONE MOLTO EFFICIENTI PER NUMEROSE SPECIE. CIÒ È STATO POSSIBILE ANCHE GRAZIE AI CONSIDEREVOLI AVANZAMENTI TECNOLOGICI AVVENUTI NELLO STESSO PERIODO NEL CAMPO DELLA STRUMENTAZIONE DA LABORATORIO CHE HANNO RESO POSSIBILE L’ESECUZIONE DI APPROFONDITE ANALISI ED ACQUISIRE PREZIOSE CONOSCENZE SCIENTIFICHE INIMMAGINABILI SOLTANTO POCHI DECENNI FA. Ma la vitalità (dinamismo) del settore vivaistico è strettamente e costantemente subordinata ad eventi in continua evoluzione, come ad esempio - le fluttuazioni della situazione economica generale, - l’introduzione di sistemi di coltivazione più avanzati, - la richiesta di piante di qualità sempre più elevata, - la necessità di ridurre i costi di produzione e di - limitare o eliminare l’impatto delle tecniche applicate sull’ambiente e sulla salute umana. Ne consegue, dunque, che nonostante l’elevato grado di specializzazione raggiunto nel settore vivaistico, i metodi di propagazione continuano a richiamare l’interesse dei ricercatori con l’obiettivo di soddisfare le sempre nuove esigenze derivanti dalla dinamicità del mercato vivaistico. L’affermazione che le possibilità di innovazione di un settore produttivo sono strettamente legate alla qualità e quantità di ricerca svolta nel settore medesimo, esprime un binomio imprescindibile sul quale si basa il progresso di qualsiasi comparto della produzione.
  • 11.
  • 12. PROPAGAZIONE PER SEME (o sessuata o gamica)
  • 13. Cenni sulla morfologia e struttura del seme L’organo essenziale per la riproduzione è rappresentato dal seme che è costituito da tre parti: l’embrione, gli organi di riserva e i tegumenti. L’embrione deriva dall’unione del gamete maschile con quello femminile, è il risultato cioè della fecondazione dell’ovocellula con uno dei due nuclei generativi del polline, dando luogo alla formazione dello zigote. La formazione dell’embrione, però, può avere luogo anche senza l’intervento della fecondazione (apomissia). L’embrione è costituito da un asse all’estremità del quale sviluppano - da un lato l’ipocotile che origina la radichetta e quindi l’apparato radicale - dal lato opposto l’epicotile dal quale si forma la piumetta che successivamente si evolve in fusto e tronco. Gli organi di riserva sono costituiti essenzialmente dall’endosperma che deriva dalla fusione dei due nuclei aploidi del sacco embrionale con il secondo nucleo generativo del polline ed è pertanto triploide. Tessuti di riserva sono inoltre i cotiledoni e il perisperma. L’endosperma, inizialmente liquido (rimanendo tale nelle noci di cocco), si evolve successivamente in tessuto organizzato che può essere più o meno abbondante nei semi albuminosi, oppure ridotto ad un sottile strato intorno all’embrione, come nei semi esalbuminosi. In quest’ultimo caso le sostanze di riserva sono contenute nei cotiledoni che nei semi sono generalmente presenti in numero di uno o due. I semi contenenti abbondante endosperma vengono anche detti semi albuminosi, mentre quelli in cui l'endosperma è sostituito dai cotiledoni sono detti semi esaalbuminosi.
  • 14. La presenza nel seme dei cotiledoni rappresenta il criterio per la classificazione delle piante in: - monocotiledoni (un solo cotiledone come nelle palme e nel banano) e - dicotiledoni (con due cotiledoni come nel melo, pesco, olivo e vite). I cotiledoni sono fino a 15 nel pino. In alcune specie come mandorlo, castagno, noce, pistacchio, i cotiledoni costituiscono la parte edule del seme. L’endosperma e i cotiledoni contengono: - sostanze di riserva (idrati di carbonio, proteine, amminoacidi, acidi nucleici, lipidi, ecc.) - ormoni (promotori e inibitori) che provvedono alla germinazione dei semi e allo sviluppo iniziale della giovane piantina. I tegumenti, generalmente in numero di uno o due e raramente tre, costituiscono i tessuti di protezione del seme. Durante lo sviluppo del seme i tegumenti possono modificarsi assumendo l’aspetto di una sottile pellicola che avvolge l’endosperma e l’embrione oppure divenire coriacei come nel melo e nel pero. In altre specie (drupacee) alla formazione dell’involucro del seme partecipa anche l’endocarpo legnoso (nocciolo) che svolge una funzione protettiva contro gli agenti esterni.
  • 16. Le piante apomittiche derivate da apomissia presentano caratteristiche genetiche identiche alla pianta madre. Il termine “poliembrionia” significa che più embrioni (uno dei quali zigotico) hanno preso origine da un unico seme APOMISSIA: processo grazie al quale alcune cellule della nucella (2n) acquistano capacità meristematica e producono embrioni somatici uguali geneticamente alla pianta madre. Il solo caso in cui le piante derivate da seme sono geneticamente uguali alla pianta madre è quello dell’APOMISSIA
  • 18. La propagazione per seme, pur non presentando particolari difficoltà, può essere ostacolata da alcune condizioni fisiologiche del seme e della futura pianta, che talvolta rappresentano delle vere e proprie limitazioni: la dormienza dei semi e la fase giovanile
  • 19. Dormienza dei semi La dormienza è uno stato di temporanea latenza degli embrioni per cui i semi anche se vengono posti in condizioni di temperatura, umidità e aerazione ottimali non germinano. Si tratta, in questo caso, della così detta dormienza embrionale (dovuta a fattori di natura fisiologica insiti nell’embrione) per distinguerla da altri tipi di dormienza dovuta a fattori che non dipendono dall’embrione ma da particolari strutture degli involucri seminali impermeabili ai gas (dormienza fisica) o che oppongono una resistenza meccanica alla fuoriuscita della plantula (dormienza meccanica) o più semplicemente da fattori esterni non idonei, quali la temperatura, l’umidità e lo stato di aerazione del substrato, alla germinazione dei semi. La dormienza può essere considerata pertanto come un meccanismo di regolazione del processo germinativo attuato dai semi per superare le condizioni ambientali sfavorevoli alla germinazione. La dormienza embrionale è determinata da complessi processi fisiologici che iniziano durante la maturazione del frutto con: - il progressivo accumulo nel seme di ormoni ad azione inibitrice come l’acido abscissico - e la contemporanea diminuzione di quelli ad azione stimolatrice come le auxine, le gibberelline e le citochinine. Inibitori e promotori, contenuti negli involucri esterni, sia nell’endosperma e nell’embrione, sono presenti secondo un equilibrio dinamico, proprio della dormienza embrionale. Inoltre anche la respirazione intracellulare diminuisce gradualmente.
  • 20. Di conseguenza l’embrione permane in uno stato di apparente inattività per un periodo più o meno lungo, variabile nelle diverse specie. Soltanto negli agrumi e nel nespolo del Giappone la dormienza è quasi completamente assente tanto che i semi germinano non appena vengono separati dalla polpa del frutto e messi a germinare in opportune condizioni di temperatura e umidità. La dormienza embrionale può essere superata soltanto attraverso l’esposizione dei semi a basse temperature (vernalizzazione) mediante la stratificazione (strati di semi alternati a strati di sabbia) in celle climatiche o nell’ambiente esterno per un certo periodo di tempo, variabile nelle diverse specie (vedi figura) Diverso è il caso della dormienza fisica e meccanica che può essere superata attraverso l’ammorbidimento (stratificazione) o la incrinatura (scarificatura) dei noccioli che consentono di ripristinare gli scambi gassosi, con particolare riguardo all’ossigeno, e le condizioni necessarie per la fuoriuscita della plantula. I semi di alcune specie possono presentare due o più tipi di dormienza (doppia dormienza) come es. nel pesco, olivo, ecc.
  • 22.
  • 23. Noccioli di olivo in attesa della semina. Sono caratterizzati da dormienza fisica, meccanica e dell’embrione
  • 24. Σ (t x n)
  • 25. Fattori della germinazione La prima condizione necessaria affinché il seme possa germinare regolarmente è che sia stata superata la dormienza. In alcune specie, tale requisito viene raggiunto con una certa difficoltà o può richiedere tempi molto lunghi, per cui può accadere che la germinazione non sia molto elevata. In questi casi è opportuno ricorrere a trattamenti che promuovono o favoriscono la crescita dell’embrione, differenziati in relazione alle cause della dormienza (come ad esempio la scarificazione, stratificazione, l’applicazione di regolatori di crescita, ecc.), o interventi di pre- germinazione. Importante è anche lo stato sanitario dei semi la cui germinazione potrebbe essere compromessa dallo sviluppo di patogeni capaci di danneggiare irreparabilmente i tessuti dell’embrione in sviluppo. I fattori dai quali dipende la capacità di germinazione sono di tipo fisiologico e ambientale. Quello fisiologico è rappresentato dal bilancio tra ormoni promotori e inibitori, che controllano sia l’uscita di dormienza dei semi, sia l’accrescimento dell’embrione all’inizio e durante la germinazione. I fattori ambientali diventano importanti dopo che il seme ha acquisito la capacità a germinare. Bilancio ormonale Nella fase di transizione tra dormienza e inizio di accrescimento dell’embrione, il quadro ormonale viene ad essere fortemente modificato, con una graduale diminuzione degli inibitori ed un sensibile aumento dei promotori della germinazione. Alcuni ormoni svolgono una funzione decisamente importante nel predisporre il seme alla germinazione, mentre altri hanno mostrato effetti variabili e le conoscenze sul loro ruolo non sono ancora del tutto chiarite.
  • 26. Acido abscissico. Questo ormone è ritenuto un regolatore positivo nell’induzione, e forse anche nel mantenimento, della dormienza del seme. Infatti, ricerche di biologia molecolare nelle quali è stata indotta sovraespressione dei geni codificanti la biosintesi di ABA, dimostrerebbero come in presenza di un maggior contenuto dell’ormone aumenti l’intensità della dormienza e il ritardo della germinazione. Al contrario, una riduzione della sintesi di ABA sarebbe associata alla riduzione o mancanza di dormienza primaria e una pronta germinazione dei semi. Gibberelline. La riduzione del contenuto di ABA e l’aumentata sensibilità alle gibberelline (GA) sarebbero associate alla fase di transizione tra dormienza e post- dormienza dei semi di molte specie. Alle gibberelline è attribuito un ruolo chiave nella rimozione degli effetti negativi dell’ABA. Questo gruppo di ormoni agirebbe sulla dormienza del seme in momenti e tessuti diversi. Inoltre, le gibberelline sono necessarie per l’allungamento cellulare e hanno mostrato effetti positivi anche per superare la dormienza determinata dal tegumento esterno del seme.
  • 27. Etilene. I meccanismi di azione di questo ormone sembrerebbero correlati ad un aumento della respirazione e ad un maggiore potenziale idrico nei semi in germinazione. L’etilene sembrerebbe contrapporsi agli effetti inibitori dell’ABA sulla germinazione disturbandone i meccanismi di azione. Brassinosteroidi. Sono steroidi molto diffusi nel regno vegetale e sono stati ritrovati nei semi di molteplici specie. Questi composti sarebbero coinvolti nella germinazione attraverso un meccanismo di interazione con le gibberelline e con la luce, regolando l’allungamento dei germogli e la fotomorfogenesi dei semenzali. A questi composti è attribuita la capacità di stimolare la crescita mediante l’aumento della divisione e l’espansione cellulare. La loro importanza si manifesterebbe soprattutto dopo che il processo germinativo è già stato innescato.
  • 28. Citochinine. Sono presenti nei semi di numerose specie durante la germinazione e si ritiene che siano sintetizzate nell’endosperma dove prevalentemente si accumulano. L’effetto di questi ormoni sarebbe quello di stimolare la divisione cellulare nell’embrione in germinazione. Inoltre, in alcune specie, le citochinine sembrerebbero favorire il superamento della dormienza e la germinazione stimolando la biosintesi di etilene. Auxine. A questi ormoni è attribuito il ruolo di coordinare il corretto sviluppo cellulare durante l’embriogenesi ed in particolare dallo stadio globulare in poi. Le conoscenze attuali confermano l’importanza delle auxine nel controllare lo sviluppo polare dell’embrione, inducendo un appropriato accrescimento dei meristemi apicali e radicali. In generale, la dormienza e la germinazione dei semi sono fenomeni molto complessi, controllati da numerosi geni che a loro volta sono influenzati da condizioni ormonali e ambientali. Le ricerche di biologia molecolare, in particolare su Arabidopsis thaliana, hanno permesso di ottenere importanti conoscenze sulle interazioni tra gli ormoni implicati nel processo di germinazione, incoraggiando l’estensione delle ricerche anche ad altre specie.
  • 29. Condizioni ambientali I semi, per poter germinare regolarmente, devono trovare appropriate condizioni ambientali rappresentate principalmente da una sufficiente disponibilità di acqua, temperatura, ossigeno e luce. Acqua. Rappresenta il fattore fondamentale per l’inizio della germinazione ed è importante per l’attivazione degli enzimi, per la scissione, traslocazione ed utilizzazione delle sostanze di riserva. Durante il periodo di dormienza, il seme è caratterizzato da un relativamente basso contenuto in acqua e da una ridotta attività metabolica. Per avviare il processo di germinazione, la maggior parte dei semi richiede una specifica quantità di acqua. Raggiunto il valore ottimale di umidità, il seme inizia a germinare e gli eventi attivati non possono essere annullati. Se il contenuto idrico scende al di sotto della soglia critica, i processi metabolici si bloccano e il seme degenera nel substrato. L’assorbimento dell’acqua avviene attraverso un processo di imbibizione che si basa sulle proprietà tipiche dei colloidi, presenti nel seme sotto forma di sostanze di riserva (si comportano come tali le proteine e in minor misura l’amido). Del substrato è anche importante il pH, la fertilità in elementi minerali e la presenza di microrganismi della rizosfera (batteri, funghi micorrizici) che instaurano positive correlazioni con la pianta e ne influenzano positivamente l’accrescimento
  • 30. Temperatura Questo fattore gioca un ruolo molto importante sulla germinazione durante la quale avvengono reazioni biochimiche influenzate dalla quantità di calore disponibile. Si può individuare, quindi, una temperatura minima, ottimale e massima alle quali il processo di germinazione avverrà con modalità differenziate. Il valore ottimale è quello al quale si verifica la più elevata percentuale di germinazione nel tempo più breve. In generale, il range di temperature efficaci oscilla tra circa 15° e 30° C. Ossigeno Un altro fattore importante per la germinazione è rappresentato da una soddisfacente areazione del substrato. Infatti, ai semi in germinazione deve essere assicurata una buona disponibilità di ossigeno, necessario per i processi metabolici e il rapido allontanamento dell’anidride carbonica, derivante dalla respirazione, al fine di evitare rallentamenti della germinazione.
  • 31. Luce In molti semi la dormienza viene interrotta attraverso l’esposizione alla luce. In generale, nei semi piccoli, dove le riserve nutritive sono ridotte, la germinazione è favorita dalla luce, al contrario dei semi più grandi che possono germinazione al buio grazie alle più elevate disponibilità di sostanze di riserva. Il processo di germinazione è inoltre influenzato dalla qualità della luce che gioca un ruolo importante sull’attivazione dei fotorecettori, in particolare della famiglia dei fitocromi. Infatti, i semi di molteplici specie germinano velocemente in presenza di luce rossa ma sono inibiti con l’applicazione di luce rosso-lontano. Ricerche su Arabidopsis hanno evidenziato come i semi sviluppati durante l’irraggiamento della pianta con luce rossa siano capaci di germinare al buio, contrariamente a quanto rilevato impiegando una sorgente luminosa nella quale sono presenti lunghezze d’onda del rosso-lontano. Inoltre, semi che necessitano della luce per germinare, trattati con gibberellina diventano capaci di germinare anche al buio. In generale, la luce può manifestare effetti positivi o negativi sul processo di germinazione ma diventa rapidamente un fattore indispensabile poiché le riserve nutritive, anche nei semi più grandi, sono limitate e la nuova piantina deve acquisire quanto prima possibile capacità fotoautotrofe.
  • 32. Fasi della germinazione Le tappe attraverso le quali normalmente si svolge la germinazione sono rappresentate da tre fasi (vedi figura): -nella fase I l’acqua viene assorbita attraverso un meccanismo di imbibizione dei tegumenti e del protoplasma, con un’intensità inizialmente maggiore e decrescente verso la fine della fase - durante la fase II l’assorbimento di acqua si riduce notevolmente fino ad arrestarsi e nello stesso tempo aumenta l’attività metabolica che si manifesta attraverso un incremento della respirazione - la respirazione mostra un ulteriore incremento quando la radichetta inizia ad approfondirsi nel substrato di germinazione (fase III) e l’embrione ha già prodotto le sue caratteristiche strutture. Rallentato accrescimento
  • 33. La maggiore presenza di acqua nei tessuti promuove la riattivazione del metabolismo e la ripresa di attività dell’embrione. I tegumenti esterni si rigonfiano e iniziano alcune reazioni biochimiche che attivano gli enzimi, in parte già presenti nel seme o sintetizzati ex novo. Il risveglio del metabolismo è preceduto da una riattivazione delle vie biosintetiche che producono nuovi metaboliti (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, ecc.). Le membrane cellulari riacquistano la loro semipermeabilità e l’embrione inizia a crescere. L’attività enzimatica provvede a trasformare - i grassi o gli olii in acidi grassi (lipasi), - le proteine in amminoacidi (proteasi), indispensabili per l’accrescimento della piumetta, - l’amido in zuccheri semplici (alfa-amilasi) che rappresentano la fonte energetica per la respirazione.
  • 34. L’accrescimento dell’embrione avviene grazie alla capacità degli apici meristematici primari di richiamare (sink) le sostanze di riserva mobilitate e gli elaborati prodotti dalle diverse reazioni biochimiche (source). L’embrione che si accresce inizialmente per distensione cellulare, prosegue il suo sviluppo attraverso un’intensa attività mitotica fino alla formazione della plumula e della radichetta che fuoriescono dall’involucro del seme. L’emissione della radichetta e il suo accrescimento nel terreno rappresenta il primo segnale visibile dell’avvenuta germinazione; Gli eventi metabolici successivi sono da considerarsi come processi riconducibili all’accrescimento del semenzale.
  • 35. Modelli di germinazione Nelle varie specie la germinazione del seme può avvenire secondo due modelli diversi (vedi figura): - germinazione epigea nella quale, durante l’accrescimento della radichetta, l’ipocotile comincia ad allungarsi spingendo i cotiledoni e la plumula verso l’alto fino ad alcuni centimetri di altezza sopra il substrato. Contemporaneamente la plumula prosegue nel suo accrescimento e i cotiledoni, terminata la loro funzione nutritiva, avvizziscono e cadono al suolo. - germinazione ipogea nella quale i cotiledoni rimangono nel substrato di germinazione mentre la plumula, grazie al rapido accrescimento dell’epicotile, viene spinta verso l’alto emergendo dal suolo. In entrambi i modelli di germinazione, i cotiledoni provvedono a fornire il supporto nutritivo all’embrione in sviluppo fino a quando le nuove foglioline non hanno acquisito capacità fotosintetica. Germinazione epigea in semi di pero (a sinistra) e ipogea in semi di pesco (a destra). epigea ipogea
  • 36. Sviluppo dei semenzali Con l’emissione della radichetta e della plumula dal seme, inizia un’intensa attività metabolica nelle cellule dei meristemi embrionali (meristemi primari caulinari e radicali) che si dividono ininterrottamente (accrescimento primario) conservando le caratteristiche meristematiche (cellule isodiametriche, ricche di citoplasma, nuclei molto grandi, senza vacuoli, ecc.). La parte terminale di un apice vegetativo è costituita da cellule definite iniziali, perché dalla loro divisione derivano tutte le altre cellule ovvero dalla loro attività può derivare qualsiasi tipo di cellula adulta.
  • 37. Dopo la formazione della plumula, assumono notevole importanza le condizioni luminose che dovranno assicurare un’elevata capacità fotosintetica delle prime foglioline formate. Con l’inizio dell’autotrofia, l’accrescimento delle piantine diventa indipendente dalle riserve energetiche del seme ed i cotiledoni, una volta esauriti, vengono abbandonati. Il germoglio e la radice acquistano una progressiva capacità di accrescimento che sarà tanto più elevata quanto più appropriate saranno le condizioni colturali; le cure agronomiche saranno rivolte ad ottenere semenzali sani e sufficientemente rigogliosi. Sarà quindi importante il controllo della luce solare, della temperatura, della disponibilità idrica e di nutrienti ed evitare lo sviluppo di patogeni la cui aggressività in questa fase di accrescimento potrebbe essere fatale. Il semenzale prosegue quindi nel suo accrescimento post-embrionale acquisendo dimensioni sempre più grandi.
  • 38. Fase giovanile dei semenzali e acquisizione della maturità fisiologica Lo sviluppo post-embrionale di un albero attraversa fasi diverse, contraddistinte da significative modificazioni del comportamento biologico e fisiologico, la cui conoscenza è di fondamentale importanza al fine di una corretta gestione ed utilizzazione della pianta medesima. Si passa quindi da una fase iniziale denominata fase vegetativa giovanile, ad una fase vegetativa adulta ed una fase riproduttiva adulta (maturità fisiologica) (vedi Figura) per terminare con una fase di senescenza.
  • 39. Illustrazione schematica dell’ontogenesi di una pianta riprodotta da seme.
  • 40. Fase vegetativa giovanile Questa fase si distingue particolarmente per le accentuate differenze a livello morfologico, anatomico, biochimico, fisiologico e genetico, rispetto alla stessa pianta in fase adulta. Il carattere che più di altri assume importanza dal punto di vista pratico è la totale incompetenza della pianta a differenziare gemme a fiore, anche se sottoposta a trattamenti florigeni specifici. La fase vegetativa giovanile inizia quando il meristema caulinare dell’embrione comincia a differenziare i singoli elementi strutturali del germoglio, nodi ed internodi, e termina, dopo un periodo più o meno lungo, con l’acquisizione della maturità fisiologica. Il periodo necessario alle piante per abbandonare i caratteri giovanili ed acquisire quelli adulti, varia in funzione del genotipo e delle condizioni ambientali e di allevamento e può oscillare tra le diverse specie da pochi mesi della rosa e della vite, ai 6 - 8 anni, ad esempio, del melo e del pero, ai 20 – 40 anni della quercia e del faggio. Classico esempio delle differenze tra fase giovanile e adulta è quello dell’edera (Hedera helix): - nella sua forma giovanile i germogli sono vigorosi, a rapido accrescimento, prostrati o rampicanti, provvisti di radici aeree, con foglie lobate contenenti antocianine e incapaci di produrre gemme a fiore, - nella forma adulta l’accrescimento dei germogli è più lento, le foglie sono intere e assai più grandi, i fusticini producono meno radici aeree e presentano normalmente un’abbondante produzione di gemme a fiore (vedi Figura).
  • 41. Differenze morfologiche e fisiologiche in germogli di edera in fase giovanile, di transizione e adulta.
  • 42. La fase giovanile suscita da molti anni un notevole interesse scientifico in quanto, essendo un periodo improduttivo, influisce negativamente sui programmi di miglioramento genetico, il cui obiettivo è molto spesso quello di introdurre in un determinato genotipo caratteri migliorativi della qualità del frutto e di valutare, nel più breve tempo possibile, i risultati ottenuti. Tale fase può essere limitante anche nell’impiego di piante apomittiche derivate da embrioni nucellari, geneticamente uguali alla pianta madre. Sebbene il controllo di questa fase sia di natura genetica, molto importanti sono i fattori nutrizionali, ambientali e colturali che condizionano l’accrescimento della pianta: quanto più rapido e prolungato durante la stagione vegetativa sarà quest’ultimo, tanto più precocemente i semenzali acquisiranno la maturità fisiologica. La fase giovanile può considerarsi completata quando sulla pianta iniziano a comparire i caratteri tipici della fase adulta, anche se talora a questi caratteri non necessariamente corrisponde subito un’abbondante produzione di fiori a causa del concomitante insorgere di fenomeni di inibizione correlativa della transizione di fase (fase vegetativa adulta).
  • 43. Età ontogenetica e cronologica L’età ontogenetica esprime la fase di sviluppo di un semenzale nell’intervallo compreso tra la fase embrionale e quella adulta e dipenderebbe dal numero di divisioni cellulari avvenute nel meristema apicale in fase di sviluppo post-embrionale. I meristemi ascellari di un germoglio, rispetto al meristema apicale, sono ontogeneticamente più giovani. Le gemme posizionate alla base di un albero mantengono più a lungo i caratteri giovanili pur essendosi formate per prime, poiché, a causa di eventi correlativi, presentano una morfogenesi bloccata o rallentata. Nell’ambito della chioma il passaggio dallo stadio giovanile a quello adulto avviene nel settore periferico dove sono localizzati i meristemi che, a prescindere dall’età cronologica, superano più precocemente il valore critico di esperienza ontogenetica.
  • 44. Il vigore vegetativo dell’albero, elevato in fase giovanile, tende a diminuire con il raggiungimento della fase di maturità contestualmente ad un’intensificazione della fioritura e della fruttificazione che raggiungono un valore massimo pressoché costante per un numero variabile di anni, per poi diminuire quando inizia la fase di senescenza dell’albero. Molteplici caratteri che si manifestano già in fase giovanile sono stati proposti come marcatori nell’intento di selezionare precocemente genotipi con caratteri di interesse senza dover attendere la fase di maturità fisiologica.
  • 45. Differenze morfologiche - portamento della chioma è più contenuto, - angolo di inserzione dei rami laterali sull’asse principale è più stretto, - germogli sono più vigorosi, - foglie più piccole, più strette e più appuntite, gli aghi di alcune conifere sono più lunghi, - alcuni organi (dardi e lamburde) sono trasformati in spine, come avviene in specie quali pero, agrumi, susino, albicocco, - fillotassi e abscissione delle foglie possono essere modificate, - sistema radicale può presentare una diversa struttura, una biomassa più elevata (maggior rapporto parte ipogea/parte epigea) e una maggiore presenza di radici profonde a portamento fittonante.
  • 46. Differenze anatomiche - minore sviluppo dei tessuti corticali - minore presenza di fibre sclerenchimatiche e sclereidi nel floema - maggiore discontinuità dell’anello fibroso. Con il passaggio alla fase adulta, le fibre e le sclereidi aumentano conferendo alla pianta una maggiore resistenza meccanica e il floema secondario e lo xilema sono più sviluppati. In alcune conifere, importanti per la fornitura di legname da costruzione, la presenza di legno giovanile influisce negativamente sulla qualità del legno. Infatti, le caratteristiche di questo materiale cambiano notevolmente passando dal cilindro centrale alla corteccia. Il legno giovanile è caratterizzato da rapida crescita, minore densità e minore resistenza e presenta fibre più corte.
  • 47. Differenze biochimiche Diversi composti chimici hanno mostrato variazioni significative nei tessuti in relazione alla fase di sviluppo. Ad esempio, il profilo proteico, la presenza di tannini, di flavonoidi e la concentrazione di polifenoli, il contenuto di sostanze di riserva e di cellulosa. Infine, pH del citoplasma, isoenzimi come perossidasi e esterasi sono apparsi intimamente coinvolti nel passaggio di fase, mostrando una maggiore concentrazione in fase giovanile.
  • 48. Differenze fisiologiche Gli ormoni sono sicuramente coinvolti nel passaggio di fase, sebbene il loro ruolo non sia ancora del tutto chiaro. Nessun ormone specifico della fase giovanile o della fase adulta sarebbe, tuttavia, coinvolto in tale processo; maggiore importanza viene attribuita al bilancio dei diversi ormoni che stimolano i meccanismi di accrescimento. Un possibile ruolo degli ormoni è di controllare la mobilizzazione degli assimilati verso la regione meristematica dove avvengono le modificazioni che determinano il cambiamento di fase. Alle gibberelline, citochinine e auxine è attribuito il controllo dell’accrescimento cellulare (divisione e distensione delle cellule) e della dominanza apicale. L’etilene ha mostrato effetti contraddittori e non può essere considerato, per il momento, un possibile marcatore. Alcune poliammine come putrescina, spermina e spermidina sono state rinvenute in quantità superiore nei tessuti giovanili, mentre l’acido abscissico sarebbe contenuto in maggiore quantità in piante adulte. Inoltre, la fotosintesi e la respirazione, la conduttanza e la densità stomatica, il coefficiente d’uso dell’acqua, il potenziale idrico fogliare e lo stato di turgore dei tessuti, sono fattori che possono differenziarsi tra fase giovanile e adulta. I tessuti giovanili, infine, sono caratterizzati da un più elevato potenziale di rigenerazione, espresso ad esempio dalla maggiore capacità rizogena.
  • 49. Differenze genetiche Le ricerche sull’individuazione di geni responsabili del passaggio di fase, effettuate inizialmente su Arabidopsis thaliana, hanno permesso di comprendere meglio le basi genetiche e molecolari che controllano lo stadio giovanile. Studi di genomica comparata hanno consentito di dimostrare che i geni coinvolti sono largamente conservati nelle piante superiori. In olivo, sono stati individuati alcuni geni che risultano altamente espressi poco prima del passaggio di fase e repressi nella fase adulta. In specie come pioppo e agrumi, la fase giovanile è stata abbreviata mediante la sovraespressione del gene FT il cui prodotto controlla l’induzione fiorale. Le piante transgeniche sembrerebbero costituire un importante strumento per superare più rapidamente la fase giovanile ma, a prescindere dalla legislazione italiana che ne vieta l’impiego e la sperimentazione, risultano spesso malformate, incapaci di produrre gametofiti normali, vitali e fertili e capaci di produrre frutti e semi. Nei moderni programmi di miglioramento genetico la selezione è principalmente basata sulla presenza di geni specifici utilizzati come marcatori molecolari. In melo è stato possibile selezionare in fase giovanile degli individui caratterizzati, ad esempio, da portamento colonnare e da resistenza ad alcuni patogeni.
  • 50. Evento Fase giovanile Fase adulta Divisioni cellulari anticlinali Comparsa primordi radicali Fuoriuscita prima radice Massima radicazione 4 giorni 6 giorni 7 giorni 14 giorni 6 giorni 10 giorni 20 giorni 28 giorni Tempo necessario per la formazione delle radici in talee giovanili e adulte di Ficus pumila trattate con auxina. (Da Davies, 1983) Fase giovanile e propagazione vegetativa La più elevata capacità rizogena delle talee prelevate da piante in fase giovanile (vedi tabella) costituisce un evidente vantaggio dal punto di vista vivaistico. Tale capacità diminuisce con l’età della pianta; in alcuni casi la riduzione della rizogenesi si manifesta dopo pochi mesi (vedi grafico), in altri casi dopo diversi anni.
  • 51. 0 20 40 60 80 100 0 50 100 150 200 250 300 N. giorni dalla germinazione Radicazione(%) Mexicon Winsloson Riduzione della risposta rizogena in talee di 2 cultivar di avocado in funzione del numero di giorni trascorsi dalla germinazione.
  • 52. Ringiovanimento di piante adulte La moltiplicazione per seme costituisce un metodo naturale per ringiovanire una pianta adulta ma, come è noto, le piante prodotte avranno genotipi diversi tra loro e da quello originario. Fanno eccezione gli embrioni apomittici derivati da embrionia nucellare dai quali si otterranno semenzali con caratteri giovanili e geneticamente identici tra loro e alla pianta madre. L’applicazione di tecniche di propagazione vegetativa a piante adulte, di cui si vogliono conservare inalterate le caratteristiche fenotipiche che devono essere trasmesse geneticamente, determina spesso degli insuccessi a causa della scarsa capacità rizogena dei tessuti soprattutto quando la pianta madre è già entrata nella fase di senescenza. Questo problema può essere superato attraverso trattamenti di ringiovanimento con i quali è possibile reintrodurre nei tessuti caratteri giovanili tra i quali una rizogenesi più elevata. Gli interventi più efficaci sono rappresentati da 1) trattamenti con gibberelline, 2) potature energiche che favoriscono lo sviluppo di germogli da sferoblasti (masse di gemme avventizie situate nella porzione più bassa del tronco) e da zone ontogeneticamente più giovani, 3) innesti a cascata di gemme mature su portinnesti in fase giovanile, eseguiti per alcune generazioni consecutive, 4) eziolamento dei germogli, 5) impiego di piante madri micropropagate o ottenute dalla coltura in vitro di meristemi apicali adulti sottoposti a consecutive subcolture, 6) microinnesto di apici prelevati da piante adulte e innestati su germogli giovanili coltivati in vitro.
  • 53. Fase vegetativa adulta Terminata la fase vegetativa giovanile l’albero entra in uno stadio di transizione caratterizzato dalla comparsa di caratteri tipici della fase adulta. Nell’induzione dei cambiamenti di fase, i rapporti reciproci tra acido abscissico, gibberelline, auxine, e citochinine sono più importanti della concentrazione assoluta di ciascun ormone. Le foglie cambiano forma e dimensioni, la spinescenza si riduce fino a scomparire, l’accrescimento dei germogli tende a diminuire e, evento più importante, i meristemi acquisiscono competenza florigena che, tuttavia, potrebbe non esprimersi immediatamente. In questo caso possono essere efficaci eventuali interventi esogeni che rallentano l’accrescimento, come l’anulazione, la piegatura dei germogli, l’innesto su portinnesti nanizzanti. La transizione dalla fase giovanile a quella adulta inizia dalla parte più alta della chioma (vedi slide successiva) e si estende progressivamente in senso basipeto, coinvolgendo in modo graduale tutti i meristemi che hanno superato la soglia critica nell’accumulo di esperienza ontogenetica, espressa dal numero di fitomeri differenziati.
  • 54. Fig. 3 - Rappresentazione schematica di una pianta in fase di transizione dove si individuano tre zone caratterizzate da tessuti a diverso stadio ontogenetico: zona esterna adulta, zona intermedia in fase di transizione, zona centrale e interna della chioma che conserva i caratteri giovanili .
  • 55. Fase riproduttiva adulta (la pianta ha raggiunta la piena maturità fisiologica) Completata la fase di transizione, la pianta raggiunge la piena maturità fisiologica e dunque inizierà a mostrare le sue potenzialità riproduttive. Da questo momento e per tutta la vita biologica della pianta, l’equilibrio tra accrescimento vegetativo e produzione di gemme a fiore e frutti dipenderà principalmente dalle condizioni pedoclimatiche e dalla tecnica colturale.
  • 56.
  • 58. Semina a file Semina in aiuole
  • 60. Importanza del tipo e delle dimensioni del contenitore
  • 61. Principali caratteristiche delle piante ottenute da seme: - Variabilità genetica - Minore presenza di virosi - Maggiore vigoria (germogli più vigorosi) - Maggiore capacità rizogena - Diversa conformazione dell’apparato radicale (vedi figura) - Lungo periodo improduttivo (fase giovanile) - Portamento più aperto (angolo di inserzione dei germogli laterali e il germoglio principale è più largo)
  • 62. Sviluppo del sistema radicale in una pianta da seme
  • 63. Sviluppo del sistema radicale in una pianta ottenuta da talea
  • 65.
  • 67. citochimera autogena in arancio Vari tipi di citochimere autogene
  • 76. Propaggine di trincea (portinnesti di pesco)
  • 77. Margotta di ceppaia (portinnesti di ciliegio)