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Concorso Da vite spezzate @ scuola di prevenzione
a.s. 2020 – ‘21
La vita è bella
Sceneggiatura teatrale
Studenti
Cesare Colella (3Ei)
Giuseppe Speranza (2Ac)
Nicoletta Intini, Gabriele Salvo e Ibrahim Tola (4Ca)
Docenti referenti
Prof.ssa Marzia Cino
Prof. David Monopoli
Dirigente
Teresa Turi
IISS Luigi dell’Erba
Castellana Grotte (Ba)
Ringraziamo per le loro preziose testimonianze
il dottor Giangiuseppe Dalena
e la dott.ssa Irma Scarafino
Il nostro testo teatrale è dedicato in particolare a loro
e a tutto il personale medico-ospedaliero
impegnato nella lotta contro il Covid 19
1
LA VITA E’ BELLA
Personaggi
GIOVANE CON AURICOLARI
ANGELA, infermiera in un reparto Covid
LISA, amica di Angela, figlia di un medico che lavora nello stesso reparto del padre di Lisa; abita al piano di
sotto dello stesso palazzo
CESARE, studente, abita allo stesso piano di Lisa
GIUSEPPE, studente, amico di Cesare, abita allo stesso piano di Angela
PERSONE IN FILA DAVANTI ALLA PANETTERIA
RAGAZZO CON LA CHITARRA
In una città qualunque in zona arancione - Oggi
ATTO PRIMO
Scena 1
Giovane con auricolari
Sipario chiuso, si sente un telefono squillare in sala. Dalla platea risponde un giovane che ha degli auricolari
nelle orecchie. In una mano ha una borsa della spesa. Ha la mascherina chirurgica, ma la tiene abbassata
sotto al mento.
GIOVANE CON AURICOLARI: Ehi, bello, che mi dici? (pausa) Bene, bene... Senti (mentre parla si sposta verso
il palco), io sono uscito ora dal fruttivendolo e sto andando al panificio. Tu?
Scena 2
Giovane con auricolari, persone in fila (tra le quali Angela)
Il giovane sale sul palco dove, davanti al sipario chiuso, sul lato destro, c’è una fila di gente in attesa (il
panificio può essere indicato con un semplice cartello/insegna)
2
GIOVANE CON AURICOLARI: Nooo! Pure qua sta la fila!
Si mette in coda sbuffando, senza rispettare la distanza prevista e senza tirar su la mascherina.
Senti, ma quella storia con Marco com’è finita? (silenzio) Veramente? Sai che a me è successa la stessa cosa
in laboratorio? Non avevo messo i guanti e mi sono bruciato una mano.
Si guarda la mano destra.
Quel giorno andavo di fretta, avevo pure litigato con Pinuccia, ed ero arrivato in laboratorio un’ora dopo
l’inizio del mio turno. Non ci stavo con la testa. Vabbè, tu mi conosci, no? Però quella volta il danno l’ho
fatto pure a un collega (pausa). Come no? Le storie che mi hanno fatto lui, la moglie, la figlia. Pure il cane si
portarono appresso. Ma dico io che volete da me? Io sono così, che ci posso fare?
La ragazza in fila davanti a lui (Angela), che ha una sporta della spesa appesa a un braccio, e mascherina sul
volto, come tutti gli altri della fila, cerca di tenersi lontano. Ogni tanto si gira e guarda male il giovane con gli
auricolari, scuotendo la testa. Continua a controllare l’orario nervosamente. Poi scompare oltre il sipario e
dopo poco esce con un altro sacchetto.
GIOVANE CON AURICOLARI: Senti, ormai ciò che ci unisce, noi colleghi di lavoro, sono gli infortuni.
Pausa. La ragazza lo guarda nuovamente male, ma il giovane sembra non accorgersene.
GIOVANE CON AURICOLARI: Sì, ma infatti… alla pausa pranzo ci scambiamo storie neanche fossero le
figurine Panini. Ce l’ho… no, questa non ce l’ho... Ah, questa invece sì! (ride)
La ragazza se ne va dalla scena infastidita.
Scena 3
Giovane con auricolari, persone in fila, ragazzo con la chitarra
Dal lato opposto del palco entra un ragazzo, indossa una mascherina, ha una chitarra a tracolla. Si sistema
al centro.
GIOVANE CON AURICOLARI (continuando a parlare al telefono): Senti, bello, io adesso devo andare, che tra
un po’ tocca a me. Ci sentiamo, ok?
Chiude la chiamata.
3
RAGAZZO CON LA CHITARRA (rivolto alla fila): Dai, un po’ di aiuto non fa male a nessuno, anche i musicisti
muoiono (pausa) e non solo di Covid (indica il cappello davanti a lui).
Inizia a suonare un brano famoso alla chitarra, mentre progressivamente la fila scorre verso destra. Solo un
avventore della panetteria fa un’offerta al musicista, passando davanti a lui.
RAGAZZO CON LA CHITARRA (alla fine del brano, tra sé, guardando il cappello quasi vuoto): Che tirchi. E’
meglio che cambio zona (prende le sue cose e se ne va).
ATTO II
Si apre il sipario. Casa di Angela. Tavolo con delle sedie intorno, una credenza. L’uscita a sinistra corrisponde
alla porta d’ingresso; l’uscita a destra ad una porta interna della casa.
Scena 1
Angela
Angela rientra in casa con varie buste tra le mani. Le poggia sul tavolo e inizia a sistemare la spesa. La voce
di suo padre la chiama dalla stanza accanto.
VOCE DEL PADRE DI ANGELA: Angela, sei tu?
ANGELA: Sì, papà. Lo so, ho fatto un po’ tardi, ma c’era un sacco di gente.
VOCE DEL PADRE DI ANGELA: Hai comprato il pane?
ANGELA: Sì,sì. Non preoccuparti. Ho preso anche qualche pezzo di focaccia. Non si sa mai... dovesse finire il
pane. Tu alzati dal letto e apri la finestra per prendere un po’ d’aria. Ce la fai? Non trovi il bastone? Aspetta,
vengo a cercartelo io.
Esce dalla porta di destra e rientra dopo un po’.
ANGELA (mentre finisce di sistemare la spesa, tra sé): Non ne posso più di vederlo così. Dal giorno
dell’incidente è sempre chiuso nella sua stanza a piangersi addosso.
Suonano alla porta.
4
Scena 3
Angela e Lisa
Angela va verso la porta di sinistra ‘’ad aprire’’.
ANGELA (a Lisa, che entra, mantenendosi a distanza): Ciao, Lisa, che bello vederti! Abitiamo nello stesso
palazzo, però non ci incontriamo quasi più ormai. Ma… è successo qualcosa?
LISA: Ciao, Angela, perdonami per il disturbo, ma avevo bisogno di uscire da casa mia. I miei litigano di
continuo per colpa di mio padre.
ANGELA (stupita): Tuo padre? Ma se in ospedale lo adorano tutti!
LISA: Eh, appunto… in ospedale. Torna dopo aver passato lì tutta la giornata, e non dedica un minimo di
attenzione a me o a mia sorella. È sempre nervoso e se gli chiedi che cos’ha, risponde di essere troppo
stanco per parlarne.
Si siedono accanto al tavolo.
ANGELA: Mi dispiace. Però forse dovresti essere più comprensiva verso tuo padre.
LISA: Dici?
ANGELA: E certo! La vita in un reparto Covid è difficile. Stiamo combattendo una guerra vera e propria. Sia
noi infermieri che i medici, insomma… tutto il personale, siamo in prima linea sin dalla mattina presto e (con
enfasi, scherzando) proprio come cavalieri in guerra anche noi abbiamo la nostra armatura per cercare di
sopravvivere a un nemico invisibile. (Cambiando tono, più seria) Solo che tra mascherina, visiera, tuta,
soprascarpe e due paia di guanti si soffoca! E più che cavalieri sembriamo tutti degli automi o dei palombari
(ride, ma poi assume un’espressione seria). Per di più dobbiamo portare un po’ di speranza ai pazienti, dare
il coraggio di lottare per un altro respiro in ogni momento. E al tempo stesso essere come (si guarda intorno
come per cercare la parola giusta da dire) spugne… spugne che assorbono dolore e paura di non farcela. Tuo
padre in questo è bravissimo! In quel reparto noi dobbiamo essere parenti, amici… una specie di famiglia
sostitutiva, visto che i malati non possono ricevere visite. Non c’è tempo per pensare ai propri sentimenti, a
quello che si prova. (Molto seria) Quando un paziente non ce la fa e questo maledetto virus si prende
5
un'altra vita, un altro sorriso, non possiamo neppure piangere, non possiamo gridare, anche se lo vorremmo
più di ogni altra cosa.
LISA: Lo so, Angela. Ma mio padre non può sfogare la sua frustrazione su di noi. E poi anche noi meritiamo le
sue attenzioni. Mia sorella piange perché pensa che non ci voglia più bene! Mia madre è esausta perché
porta avanti la famiglia da sola. E dai nonni deve andare sempre lei.
ANGELA: (persuasiva) Magari tuo padre vuole solo proteggerli. Comunque è vero, il tempo che i medici o noi
infermieri abbiamo per dedicarci alla famiglia è molto limitato. E a fine giornata la fatica dei doppi turni,
perché i pazienti ricoverati sono tanti e noi del personale sanitario troppo pochi, ci schiaccia.
Si dà un colpetto sulla fronte con la mano. Poi:
Madooo, non ti ho offerto niente! Assaggia questi taralli.
Si alza e prende una scatola di latta dalla credenza. La apre e la poggia sul tavolo.
Insomma… dopo una giornata stressante come la nostra, ogni medico o infermiere ha esaurito le energie.
Pensa a me: dopo un turno di lavoro massacrante devo correre qui per accudire mio padre.
LISA: Vero anche questo. Come fai? Non ti senti stanca? E le tue sorelle? A loro non importa nulla?
ANGELA: Seee… ormai sono sparite, mi sembra di essere figlia unica. Dall’incidente è passato tanto tempo e
la fatica, lo stress per star dietro a mio padre, si fanno sentire. Già prima uscivo raramente, figurati adesso
col Covid! Mio padre quando torno a casa vuole parlare e non lo biasimo per questo. Dopo l’incidente ha
dovuto adattarsi, imparare a vivere al buio… è come ricominciare una vita da capo. A volte lo sento piangere
di notte, ha paura e si sente inutile. Si sente in colpa per avermi dato un peso così grande da gestire e sono
preoccupata che faccia qualche sciocchezza.
LISA: Cavolo, è una bella zavorra da portare sulle spalle. Perdonami se te lo chiedo, ma com’è successo?
ANGELA: E’ stato un insieme di cause diverse. Quel giorno, in laboratorio, non aveva i guanti. Le maniche del
camice erano arrotolate perché faceva caldo e gli occhiali protettivi non ricordava neppure dove fossero. Li
avrà usati i primi giorni di lavoro, poi nulla… come se li avessero inventati senza motivo. Ci mancava solo
Marco, il suo più stretto collaboratore, a distrarlo per una pausa caffè. Sulla piastra riscaldante aveva
lasciato una soluzione di un acido e un’anidride sotto riscaldamento. E per velocizzare il tutto aveva
6
aggiunto acido solforico concentrato. Sin dalle scuole superiori ti insegnano quali sono le conseguenze di un
uso disattento e scorretto di acidi. Per di più la temperatura era di 30 gradi maggiore... proprio per
terminare più in fretta. (Si alza e guarda in direzione del pubblico) Sono bastati cinque minuti di lontananza
per far creare una schiuma densa e gialla. Ormai era troppo tardi. Abbassare la temperatura della piastra
non servì a niente. Un’esplosione improvvisa colpì mio padre su braccia, mani, occhi. Risultato? (Scandisce)
Ustioni di terzo grado e cecità. Così ora ha bisogno di essere accudito tutti i giorni. Senza nessuna pausa. Per
questo dopo il lavoro, corro a fare la spesa e poi subito qui.
Si sente la voce del padre di Angela che la chiama.
ANGELA: Sì, pa’, un momento, è venuta Lisa, la figlia del dottore.
Torna a sedersi al tavolo.
LISA: Mi dispiace davvero. Io vengo qui a lamentarmi dei miei problemi, quando tu ne sei già piena fino al
collo. Ti stimo moltissimo per quello che fai. Mi sento un’egoista adesso.
ANGELA: Non devi colpevolizzarti. E non devi giudicare tuo padre così duramente. Digli piuttosto che ci sei,
che sei lì per ascoltarlo, che con te può parlare perché cercherai di capire il dolore e il peso di quei segni sul
viso. E non mi riferisco solo ai segni della visiera e della mascherina.
LISA: Mi mancano le sue carezze, i suoi abbracci…
ANGELA (sorridendo e facendo segni con l’indice della mano destra come per un discorso solenne):
‘’Dobbiamo essere tocco rassicurante e abbraccio consolatore!’’. Tuo padre dice sempre così quando parla
del rapporto con i pazienti.
LISA: Sì, però è anche vero che non sopporto più la puzza di varichina delle sue mani!
ANGELA: Certo, è per tutte le volte che le disinfetta durante il giorno! E’ un uomo coscienzioso (pausa) lui!
Tu chiedigli comunque una carezza, magari la sua mano sarà un po’ ruvida e puzzerà di disinfettante, però
sentirai comunque il suo calore.
7
LISA: Grazie della chiacchierata e soprattutto del consiglio. Torno immediatamente a casa. Mi ha fatto
veramente piacere parlarti. (Sorridendo) Adesso sì che posso mangiare qualche tarallo!
Prende dei taralli dalla scatola sul tavolo e si avvia verso l’uscita. Angela l’accompagna.
ANGELA: Torna pure quando vuoi.
Mentre si avvicinano alla ‘’porta’’ si sentono in sottofondo le note di una fisarmonica e di un flauto. E’ una
musica triste. Tendono l’orecchio per capire da dove arrivi.
LISA: Ma questo è il flauto di Cesare, il ragazzo che abita vicino a me.
ANGELA: E questa è la fisarmonica di Giuseppe, il ragazzo che abita qui accanto.
LISA: Strano, di solito non suonano così tardi. E poi in genere suonano pezzi allegri.
ANGELA: Mah! Chissà cos’è successo.
Esce. Il sipario si chiude.
ATTO III
Scena 1
Cesare
Cesare inizia a suonare al flauto un brano melanconico davanti al sipario chiuso. Dopo qualche secondo da
dietro il sipario si sente il suono di una fisarmonica che suona lo stesso brano (Ad esempio Sally’s song1
).
Verso la fine del brano il sipario si apre, Cesare smette di suonare ed esce, mentre continua ad arrivare il
suono della fisarmonica.
Scena 2
Giuseppe, Cesare
1
https://drive.google.com/file/d/1IIQ_IrLI5c5WnZBE4rbRztpXeFpnA4Yx/view?usp=sharing
https://youtu.be/Luo1JWzIda4
8
Casa di Giuseppe. Quando il sipario si apre si vede Giuseppe che suona la fisarmonica nella sua stanza,
seduto. Nella stanza ci sono due sedie, un letto, un comodino, una scrivania sulla quale sono poggiati libri e
dischi. Si sente il suono del campanello alla porta. Giuseppe smette di suonare, poggia la fisarmonica. Si
sente bussare, poi entra Cesare.
GIUSEPPE: Ehi, Cè!
CESARE (rimanendo a distanza): Buonasera, Giuseppe, tua madre mi ha detto che potevo entrare, tanto la
strada la so.
GIUSEPPE: Sì, infatti. Accomodati. Come mai qui a quest’ora? Hai una faccia...
CESARE (si siede su una delle sedie): Ricordi zio Pietro?
GIUSEPPE: Sì, certo. L’ultima volta che l’ho incontrato a casa tua ha portato gli asparagi per la frittata, no?
CESARE: Già, è vero. E’ stato bellissimo quella sera. Io a zio Pietro sono molto affezionato. Mi porta con lui
nel “fondo” per aiutarlo. Ogni volta che inciampo nelle “ramaglie” si arrabbia come un matto (Sorride per
un momento, poi si rattrista di nuovo).
GIUSEPPE: (anche lui triste) Anche mio nonno è così. E che è successo a tuo zio?
CESARE: L’altro giorno è andato al lavoro, come sempre. Mi aveva detto che gli alberi erano pieni di vermi
che stavano rovinando tutti i fiori dei mandorli.
GIUSEPPE: E poi? Cosa è successo? Mi devo preoccupare?
CESARE: Si è avviato verso il “fondo” con il trattore per andare a fare il trattamento, ma si è dimenticato la
maschera esatta, con il filtro giusto.
GIUSEPPE: (incredulo) Non dirmi che ha fatto il trattamento senza proteggersi?
9
CESARE: Purtroppo sì. Per non perdere tempo tornando indietro, al capannone, si è tirato su la maglietta
coprendosi naso e bocca, ma non era abbastanza. Adesso è ricoverato in ospedale per intossicazione e i
dottori non sanno dire quando guarirà.
GIUSEPPE: (triste) Insomma, giornata nera oggi.
CESARE: Perché? Cosa è successo a te? Neppure tu hai una bella cera.
GIUSEPPE: Hai presente mio nonno? Quello che monta le luminarie per le feste di paese?
CESARE: E chi non lo conosce tuo nonno? Si meriterebbe l’Oscar per le più belle luminarie! Ricordo ancora
le luci che ha montato l’estate scorsa per san Vito.
Vengono proiettate luci multicolori per creare l’effetto delle luminarie. I due ragazzi per qualche istante
rimangono rapiti. Poi all’improvviso tutto si spegne.
E che cosa ha fatto tuo nonno?
GIUSEPPE: Mentre montava le luminarie per la festa patronale di un paese vicino Taranto, è caduto dal
cestello elevatore.
CESARE: Ah, mi dispiace tantissimo. Non lo sapevo. Ma aveva l’imbracatura?
GIUSEPPE: No, in quel momento no, però la cintura c’era, è stata trovata nel cestello. Forse non l’ha
indossata per non perdere tempo o per sentirsi più libero nei movimenti. O anche perché, come dice lui,
“So’ tand’ann ca fazz stu mestir’’. Ormai era sicuro che non gli sarebbe successo più niente, perché è
esperto… Invece (pausa). Il bello è che mio nonno, quando parla con me, mi fa mille raccomandazioni: se
usciamo, mi dice sempre ‘’Abbigiuquèscete ‘bbun, ca se no te pute pigghià nu béll custép’’. (Fa il gesto di
coprirsi stringendo i pugni sotto il mento e stringendosi nelle spalle); oppure, quando siamo in macchina, mi
fa: ‘’Gsé, te si ppuste a criscelle?’’ (Fa un gesto in diagonale sul petto per indicare la cintura indossata).
Insomma, mi fa una testa così sulla sicurezza e sulla salute, e lui?
CESARE: Ma ora come sta?
10
GIUSEPPE: E’ in ospedale, ancora non si sa nulla di certo (quasi piangente) o meglio… sappiamo solo una
cosa…
CESARE: Cosa? Scusami se chiedo… ma anche io ci tengo molto a lui.
GIUSEPPE: Eh, non vorrei dirlo, perché ci sto male solo a pensarlo…
CESARE: Dai, dimmi, non farmi stare sulle spine.
GIUSEPPE: Mio nonno non può suonare più la fisarmonica, la caduta gli ha provocato una frattura alla spalla
sinistra, che è distrutta. Non potrà più fare sforzi, e di conseguenza non potrà più suonare perché il sinistro
è il braccio che lavora di più per suonare questo strumento.
CESARE: Peccato, eravate davvero bravi insieme!
GIUSEPPE: (triste) Già. E’ stato il mio primo maestro.
CESARE: Certo che i grandi sono proprio strani a volte. Predicano bene e razzolano male. Comunque se
avessi saputo, non sarei venuto a disturbarti. Adesso, però devo andare, è tardissimo.
GIUSEPPE: Hai ragione.
CESARE: Ciao, Giusè, buonanotte. Domani fammi sapere come sta tuo nonno.
GIUSEPPE: Pure tu, tienimi aggiornato su tuo zio. Buonanotte, Cè.
Accompagna alla ‘’porta’’ l’amico, che esce.
Scena 3
Giuseppe
GIUSEPPE (tra sé) ma quale buonanotte? Sono sicuro che non chiuderò occhio.
11
Le luci si spengono. Resta accesa solo una piccola luce sul comodino. Giuseppe si stende sul letto, ma si gira e
si rigira senza riuscire a dormire. Un paio di volte si alza, cammina avanti e indietro, pensoso, guarda l’ora, si
stende di nuovo.
Scena 4
Giuseppe
L’ambiente progressivamente si illumina ad indicare l’alba. Giuseppe si alza spaventato, con un gesto
improvviso e avanza sul palco.
GIUSEPPE: (rivolgendosi al pubblico) Ho sognato mio nonno. Stava bene e mi diceva: ‘’Gsé, a vete i bbelle i
t’a gudaie’’. La vita è bella e te la devi godere. ‘’Nanz fascenne accumm a me! A criscelle mittatèlle’’. Non
fare come me! La cintura mettitela. Poi mi indicava la fisarmonica e sprofondava in un vortice. (Silenzio)
Sì, nonno, ho capito. Starò attento. Mi coprirò. E userò sempre i dispositivi di protezione. E continuerò a
suonare la fisarmonica, la suonerò anche per te. Come tu mi hai insegnato.
Si siede e imbraccia la fisarmonica. Poi:
Perché la vita è bella. E bisogna godersela.
Inizia a suonare “La vita è bella”.
Scena finale
Tutti
Cesare e il ragazzo con la chitarra raggiungono Giuseppe e lo accompagnano suonando i loro strumenti.
Progressivamente entrano tutti gli altri e si fermano alle spalle dei musicisti, prendendosi per mano e
sorridendo a loro e al pubblico.
N.B. In caso di problemi di tempo, l’ultimo atto potrebbe anche essere rappresentato autonomamente.

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26 Dell'Erba Castellana grotte La vita è bella

  • 1. Concorso Da vite spezzate @ scuola di prevenzione a.s. 2020 – ‘21 La vita è bella Sceneggiatura teatrale Studenti Cesare Colella (3Ei) Giuseppe Speranza (2Ac) Nicoletta Intini, Gabriele Salvo e Ibrahim Tola (4Ca) Docenti referenti Prof.ssa Marzia Cino Prof. David Monopoli Dirigente Teresa Turi IISS Luigi dell’Erba Castellana Grotte (Ba)
  • 2. Ringraziamo per le loro preziose testimonianze il dottor Giangiuseppe Dalena e la dott.ssa Irma Scarafino Il nostro testo teatrale è dedicato in particolare a loro e a tutto il personale medico-ospedaliero impegnato nella lotta contro il Covid 19
  • 3. 1 LA VITA E’ BELLA Personaggi GIOVANE CON AURICOLARI ANGELA, infermiera in un reparto Covid LISA, amica di Angela, figlia di un medico che lavora nello stesso reparto del padre di Lisa; abita al piano di sotto dello stesso palazzo CESARE, studente, abita allo stesso piano di Lisa GIUSEPPE, studente, amico di Cesare, abita allo stesso piano di Angela PERSONE IN FILA DAVANTI ALLA PANETTERIA RAGAZZO CON LA CHITARRA In una città qualunque in zona arancione - Oggi ATTO PRIMO Scena 1 Giovane con auricolari Sipario chiuso, si sente un telefono squillare in sala. Dalla platea risponde un giovane che ha degli auricolari nelle orecchie. In una mano ha una borsa della spesa. Ha la mascherina chirurgica, ma la tiene abbassata sotto al mento. GIOVANE CON AURICOLARI: Ehi, bello, che mi dici? (pausa) Bene, bene... Senti (mentre parla si sposta verso il palco), io sono uscito ora dal fruttivendolo e sto andando al panificio. Tu? Scena 2 Giovane con auricolari, persone in fila (tra le quali Angela) Il giovane sale sul palco dove, davanti al sipario chiuso, sul lato destro, c’è una fila di gente in attesa (il panificio può essere indicato con un semplice cartello/insegna)
  • 4. 2 GIOVANE CON AURICOLARI: Nooo! Pure qua sta la fila! Si mette in coda sbuffando, senza rispettare la distanza prevista e senza tirar su la mascherina. Senti, ma quella storia con Marco com’è finita? (silenzio) Veramente? Sai che a me è successa la stessa cosa in laboratorio? Non avevo messo i guanti e mi sono bruciato una mano. Si guarda la mano destra. Quel giorno andavo di fretta, avevo pure litigato con Pinuccia, ed ero arrivato in laboratorio un’ora dopo l’inizio del mio turno. Non ci stavo con la testa. Vabbè, tu mi conosci, no? Però quella volta il danno l’ho fatto pure a un collega (pausa). Come no? Le storie che mi hanno fatto lui, la moglie, la figlia. Pure il cane si portarono appresso. Ma dico io che volete da me? Io sono così, che ci posso fare? La ragazza in fila davanti a lui (Angela), che ha una sporta della spesa appesa a un braccio, e mascherina sul volto, come tutti gli altri della fila, cerca di tenersi lontano. Ogni tanto si gira e guarda male il giovane con gli auricolari, scuotendo la testa. Continua a controllare l’orario nervosamente. Poi scompare oltre il sipario e dopo poco esce con un altro sacchetto. GIOVANE CON AURICOLARI: Senti, ormai ciò che ci unisce, noi colleghi di lavoro, sono gli infortuni. Pausa. La ragazza lo guarda nuovamente male, ma il giovane sembra non accorgersene. GIOVANE CON AURICOLARI: Sì, ma infatti… alla pausa pranzo ci scambiamo storie neanche fossero le figurine Panini. Ce l’ho… no, questa non ce l’ho... Ah, questa invece sì! (ride) La ragazza se ne va dalla scena infastidita. Scena 3 Giovane con auricolari, persone in fila, ragazzo con la chitarra Dal lato opposto del palco entra un ragazzo, indossa una mascherina, ha una chitarra a tracolla. Si sistema al centro. GIOVANE CON AURICOLARI (continuando a parlare al telefono): Senti, bello, io adesso devo andare, che tra un po’ tocca a me. Ci sentiamo, ok? Chiude la chiamata.
  • 5. 3 RAGAZZO CON LA CHITARRA (rivolto alla fila): Dai, un po’ di aiuto non fa male a nessuno, anche i musicisti muoiono (pausa) e non solo di Covid (indica il cappello davanti a lui). Inizia a suonare un brano famoso alla chitarra, mentre progressivamente la fila scorre verso destra. Solo un avventore della panetteria fa un’offerta al musicista, passando davanti a lui. RAGAZZO CON LA CHITARRA (alla fine del brano, tra sé, guardando il cappello quasi vuoto): Che tirchi. E’ meglio che cambio zona (prende le sue cose e se ne va). ATTO II Si apre il sipario. Casa di Angela. Tavolo con delle sedie intorno, una credenza. L’uscita a sinistra corrisponde alla porta d’ingresso; l’uscita a destra ad una porta interna della casa. Scena 1 Angela Angela rientra in casa con varie buste tra le mani. Le poggia sul tavolo e inizia a sistemare la spesa. La voce di suo padre la chiama dalla stanza accanto. VOCE DEL PADRE DI ANGELA: Angela, sei tu? ANGELA: Sì, papà. Lo so, ho fatto un po’ tardi, ma c’era un sacco di gente. VOCE DEL PADRE DI ANGELA: Hai comprato il pane? ANGELA: Sì,sì. Non preoccuparti. Ho preso anche qualche pezzo di focaccia. Non si sa mai... dovesse finire il pane. Tu alzati dal letto e apri la finestra per prendere un po’ d’aria. Ce la fai? Non trovi il bastone? Aspetta, vengo a cercartelo io. Esce dalla porta di destra e rientra dopo un po’. ANGELA (mentre finisce di sistemare la spesa, tra sé): Non ne posso più di vederlo così. Dal giorno dell’incidente è sempre chiuso nella sua stanza a piangersi addosso. Suonano alla porta.
  • 6. 4 Scena 3 Angela e Lisa Angela va verso la porta di sinistra ‘’ad aprire’’. ANGELA (a Lisa, che entra, mantenendosi a distanza): Ciao, Lisa, che bello vederti! Abitiamo nello stesso palazzo, però non ci incontriamo quasi più ormai. Ma… è successo qualcosa? LISA: Ciao, Angela, perdonami per il disturbo, ma avevo bisogno di uscire da casa mia. I miei litigano di continuo per colpa di mio padre. ANGELA (stupita): Tuo padre? Ma se in ospedale lo adorano tutti! LISA: Eh, appunto… in ospedale. Torna dopo aver passato lì tutta la giornata, e non dedica un minimo di attenzione a me o a mia sorella. È sempre nervoso e se gli chiedi che cos’ha, risponde di essere troppo stanco per parlarne. Si siedono accanto al tavolo. ANGELA: Mi dispiace. Però forse dovresti essere più comprensiva verso tuo padre. LISA: Dici? ANGELA: E certo! La vita in un reparto Covid è difficile. Stiamo combattendo una guerra vera e propria. Sia noi infermieri che i medici, insomma… tutto il personale, siamo in prima linea sin dalla mattina presto e (con enfasi, scherzando) proprio come cavalieri in guerra anche noi abbiamo la nostra armatura per cercare di sopravvivere a un nemico invisibile. (Cambiando tono, più seria) Solo che tra mascherina, visiera, tuta, soprascarpe e due paia di guanti si soffoca! E più che cavalieri sembriamo tutti degli automi o dei palombari (ride, ma poi assume un’espressione seria). Per di più dobbiamo portare un po’ di speranza ai pazienti, dare il coraggio di lottare per un altro respiro in ogni momento. E al tempo stesso essere come (si guarda intorno come per cercare la parola giusta da dire) spugne… spugne che assorbono dolore e paura di non farcela. Tuo padre in questo è bravissimo! In quel reparto noi dobbiamo essere parenti, amici… una specie di famiglia sostitutiva, visto che i malati non possono ricevere visite. Non c’è tempo per pensare ai propri sentimenti, a quello che si prova. (Molto seria) Quando un paziente non ce la fa e questo maledetto virus si prende
  • 7. 5 un'altra vita, un altro sorriso, non possiamo neppure piangere, non possiamo gridare, anche se lo vorremmo più di ogni altra cosa. LISA: Lo so, Angela. Ma mio padre non può sfogare la sua frustrazione su di noi. E poi anche noi meritiamo le sue attenzioni. Mia sorella piange perché pensa che non ci voglia più bene! Mia madre è esausta perché porta avanti la famiglia da sola. E dai nonni deve andare sempre lei. ANGELA: (persuasiva) Magari tuo padre vuole solo proteggerli. Comunque è vero, il tempo che i medici o noi infermieri abbiamo per dedicarci alla famiglia è molto limitato. E a fine giornata la fatica dei doppi turni, perché i pazienti ricoverati sono tanti e noi del personale sanitario troppo pochi, ci schiaccia. Si dà un colpetto sulla fronte con la mano. Poi: Madooo, non ti ho offerto niente! Assaggia questi taralli. Si alza e prende una scatola di latta dalla credenza. La apre e la poggia sul tavolo. Insomma… dopo una giornata stressante come la nostra, ogni medico o infermiere ha esaurito le energie. Pensa a me: dopo un turno di lavoro massacrante devo correre qui per accudire mio padre. LISA: Vero anche questo. Come fai? Non ti senti stanca? E le tue sorelle? A loro non importa nulla? ANGELA: Seee… ormai sono sparite, mi sembra di essere figlia unica. Dall’incidente è passato tanto tempo e la fatica, lo stress per star dietro a mio padre, si fanno sentire. Già prima uscivo raramente, figurati adesso col Covid! Mio padre quando torno a casa vuole parlare e non lo biasimo per questo. Dopo l’incidente ha dovuto adattarsi, imparare a vivere al buio… è come ricominciare una vita da capo. A volte lo sento piangere di notte, ha paura e si sente inutile. Si sente in colpa per avermi dato un peso così grande da gestire e sono preoccupata che faccia qualche sciocchezza. LISA: Cavolo, è una bella zavorra da portare sulle spalle. Perdonami se te lo chiedo, ma com’è successo? ANGELA: E’ stato un insieme di cause diverse. Quel giorno, in laboratorio, non aveva i guanti. Le maniche del camice erano arrotolate perché faceva caldo e gli occhiali protettivi non ricordava neppure dove fossero. Li avrà usati i primi giorni di lavoro, poi nulla… come se li avessero inventati senza motivo. Ci mancava solo Marco, il suo più stretto collaboratore, a distrarlo per una pausa caffè. Sulla piastra riscaldante aveva lasciato una soluzione di un acido e un’anidride sotto riscaldamento. E per velocizzare il tutto aveva
  • 8. 6 aggiunto acido solforico concentrato. Sin dalle scuole superiori ti insegnano quali sono le conseguenze di un uso disattento e scorretto di acidi. Per di più la temperatura era di 30 gradi maggiore... proprio per terminare più in fretta. (Si alza e guarda in direzione del pubblico) Sono bastati cinque minuti di lontananza per far creare una schiuma densa e gialla. Ormai era troppo tardi. Abbassare la temperatura della piastra non servì a niente. Un’esplosione improvvisa colpì mio padre su braccia, mani, occhi. Risultato? (Scandisce) Ustioni di terzo grado e cecità. Così ora ha bisogno di essere accudito tutti i giorni. Senza nessuna pausa. Per questo dopo il lavoro, corro a fare la spesa e poi subito qui. Si sente la voce del padre di Angela che la chiama. ANGELA: Sì, pa’, un momento, è venuta Lisa, la figlia del dottore. Torna a sedersi al tavolo. LISA: Mi dispiace davvero. Io vengo qui a lamentarmi dei miei problemi, quando tu ne sei già piena fino al collo. Ti stimo moltissimo per quello che fai. Mi sento un’egoista adesso. ANGELA: Non devi colpevolizzarti. E non devi giudicare tuo padre così duramente. Digli piuttosto che ci sei, che sei lì per ascoltarlo, che con te può parlare perché cercherai di capire il dolore e il peso di quei segni sul viso. E non mi riferisco solo ai segni della visiera e della mascherina. LISA: Mi mancano le sue carezze, i suoi abbracci… ANGELA (sorridendo e facendo segni con l’indice della mano destra come per un discorso solenne): ‘’Dobbiamo essere tocco rassicurante e abbraccio consolatore!’’. Tuo padre dice sempre così quando parla del rapporto con i pazienti. LISA: Sì, però è anche vero che non sopporto più la puzza di varichina delle sue mani! ANGELA: Certo, è per tutte le volte che le disinfetta durante il giorno! E’ un uomo coscienzioso (pausa) lui! Tu chiedigli comunque una carezza, magari la sua mano sarà un po’ ruvida e puzzerà di disinfettante, però sentirai comunque il suo calore.
  • 9. 7 LISA: Grazie della chiacchierata e soprattutto del consiglio. Torno immediatamente a casa. Mi ha fatto veramente piacere parlarti. (Sorridendo) Adesso sì che posso mangiare qualche tarallo! Prende dei taralli dalla scatola sul tavolo e si avvia verso l’uscita. Angela l’accompagna. ANGELA: Torna pure quando vuoi. Mentre si avvicinano alla ‘’porta’’ si sentono in sottofondo le note di una fisarmonica e di un flauto. E’ una musica triste. Tendono l’orecchio per capire da dove arrivi. LISA: Ma questo è il flauto di Cesare, il ragazzo che abita vicino a me. ANGELA: E questa è la fisarmonica di Giuseppe, il ragazzo che abita qui accanto. LISA: Strano, di solito non suonano così tardi. E poi in genere suonano pezzi allegri. ANGELA: Mah! Chissà cos’è successo. Esce. Il sipario si chiude. ATTO III Scena 1 Cesare Cesare inizia a suonare al flauto un brano melanconico davanti al sipario chiuso. Dopo qualche secondo da dietro il sipario si sente il suono di una fisarmonica che suona lo stesso brano (Ad esempio Sally’s song1 ). Verso la fine del brano il sipario si apre, Cesare smette di suonare ed esce, mentre continua ad arrivare il suono della fisarmonica. Scena 2 Giuseppe, Cesare 1 https://drive.google.com/file/d/1IIQ_IrLI5c5WnZBE4rbRztpXeFpnA4Yx/view?usp=sharing https://youtu.be/Luo1JWzIda4
  • 10. 8 Casa di Giuseppe. Quando il sipario si apre si vede Giuseppe che suona la fisarmonica nella sua stanza, seduto. Nella stanza ci sono due sedie, un letto, un comodino, una scrivania sulla quale sono poggiati libri e dischi. Si sente il suono del campanello alla porta. Giuseppe smette di suonare, poggia la fisarmonica. Si sente bussare, poi entra Cesare. GIUSEPPE: Ehi, Cè! CESARE (rimanendo a distanza): Buonasera, Giuseppe, tua madre mi ha detto che potevo entrare, tanto la strada la so. GIUSEPPE: Sì, infatti. Accomodati. Come mai qui a quest’ora? Hai una faccia... CESARE (si siede su una delle sedie): Ricordi zio Pietro? GIUSEPPE: Sì, certo. L’ultima volta che l’ho incontrato a casa tua ha portato gli asparagi per la frittata, no? CESARE: Già, è vero. E’ stato bellissimo quella sera. Io a zio Pietro sono molto affezionato. Mi porta con lui nel “fondo” per aiutarlo. Ogni volta che inciampo nelle “ramaglie” si arrabbia come un matto (Sorride per un momento, poi si rattrista di nuovo). GIUSEPPE: (anche lui triste) Anche mio nonno è così. E che è successo a tuo zio? CESARE: L’altro giorno è andato al lavoro, come sempre. Mi aveva detto che gli alberi erano pieni di vermi che stavano rovinando tutti i fiori dei mandorli. GIUSEPPE: E poi? Cosa è successo? Mi devo preoccupare? CESARE: Si è avviato verso il “fondo” con il trattore per andare a fare il trattamento, ma si è dimenticato la maschera esatta, con il filtro giusto. GIUSEPPE: (incredulo) Non dirmi che ha fatto il trattamento senza proteggersi?
  • 11. 9 CESARE: Purtroppo sì. Per non perdere tempo tornando indietro, al capannone, si è tirato su la maglietta coprendosi naso e bocca, ma non era abbastanza. Adesso è ricoverato in ospedale per intossicazione e i dottori non sanno dire quando guarirà. GIUSEPPE: (triste) Insomma, giornata nera oggi. CESARE: Perché? Cosa è successo a te? Neppure tu hai una bella cera. GIUSEPPE: Hai presente mio nonno? Quello che monta le luminarie per le feste di paese? CESARE: E chi non lo conosce tuo nonno? Si meriterebbe l’Oscar per le più belle luminarie! Ricordo ancora le luci che ha montato l’estate scorsa per san Vito. Vengono proiettate luci multicolori per creare l’effetto delle luminarie. I due ragazzi per qualche istante rimangono rapiti. Poi all’improvviso tutto si spegne. E che cosa ha fatto tuo nonno? GIUSEPPE: Mentre montava le luminarie per la festa patronale di un paese vicino Taranto, è caduto dal cestello elevatore. CESARE: Ah, mi dispiace tantissimo. Non lo sapevo. Ma aveva l’imbracatura? GIUSEPPE: No, in quel momento no, però la cintura c’era, è stata trovata nel cestello. Forse non l’ha indossata per non perdere tempo o per sentirsi più libero nei movimenti. O anche perché, come dice lui, “So’ tand’ann ca fazz stu mestir’’. Ormai era sicuro che non gli sarebbe successo più niente, perché è esperto… Invece (pausa). Il bello è che mio nonno, quando parla con me, mi fa mille raccomandazioni: se usciamo, mi dice sempre ‘’Abbigiuquèscete ‘bbun, ca se no te pute pigghià nu béll custép’’. (Fa il gesto di coprirsi stringendo i pugni sotto il mento e stringendosi nelle spalle); oppure, quando siamo in macchina, mi fa: ‘’Gsé, te si ppuste a criscelle?’’ (Fa un gesto in diagonale sul petto per indicare la cintura indossata). Insomma, mi fa una testa così sulla sicurezza e sulla salute, e lui? CESARE: Ma ora come sta?
  • 12. 10 GIUSEPPE: E’ in ospedale, ancora non si sa nulla di certo (quasi piangente) o meglio… sappiamo solo una cosa… CESARE: Cosa? Scusami se chiedo… ma anche io ci tengo molto a lui. GIUSEPPE: Eh, non vorrei dirlo, perché ci sto male solo a pensarlo… CESARE: Dai, dimmi, non farmi stare sulle spine. GIUSEPPE: Mio nonno non può suonare più la fisarmonica, la caduta gli ha provocato una frattura alla spalla sinistra, che è distrutta. Non potrà più fare sforzi, e di conseguenza non potrà più suonare perché il sinistro è il braccio che lavora di più per suonare questo strumento. CESARE: Peccato, eravate davvero bravi insieme! GIUSEPPE: (triste) Già. E’ stato il mio primo maestro. CESARE: Certo che i grandi sono proprio strani a volte. Predicano bene e razzolano male. Comunque se avessi saputo, non sarei venuto a disturbarti. Adesso, però devo andare, è tardissimo. GIUSEPPE: Hai ragione. CESARE: Ciao, Giusè, buonanotte. Domani fammi sapere come sta tuo nonno. GIUSEPPE: Pure tu, tienimi aggiornato su tuo zio. Buonanotte, Cè. Accompagna alla ‘’porta’’ l’amico, che esce. Scena 3 Giuseppe GIUSEPPE (tra sé) ma quale buonanotte? Sono sicuro che non chiuderò occhio.
  • 13. 11 Le luci si spengono. Resta accesa solo una piccola luce sul comodino. Giuseppe si stende sul letto, ma si gira e si rigira senza riuscire a dormire. Un paio di volte si alza, cammina avanti e indietro, pensoso, guarda l’ora, si stende di nuovo. Scena 4 Giuseppe L’ambiente progressivamente si illumina ad indicare l’alba. Giuseppe si alza spaventato, con un gesto improvviso e avanza sul palco. GIUSEPPE: (rivolgendosi al pubblico) Ho sognato mio nonno. Stava bene e mi diceva: ‘’Gsé, a vete i bbelle i t’a gudaie’’. La vita è bella e te la devi godere. ‘’Nanz fascenne accumm a me! A criscelle mittatèlle’’. Non fare come me! La cintura mettitela. Poi mi indicava la fisarmonica e sprofondava in un vortice. (Silenzio) Sì, nonno, ho capito. Starò attento. Mi coprirò. E userò sempre i dispositivi di protezione. E continuerò a suonare la fisarmonica, la suonerò anche per te. Come tu mi hai insegnato. Si siede e imbraccia la fisarmonica. Poi: Perché la vita è bella. E bisogna godersela. Inizia a suonare “La vita è bella”. Scena finale Tutti Cesare e il ragazzo con la chitarra raggiungono Giuseppe e lo accompagnano suonando i loro strumenti. Progressivamente entrano tutti gli altri e si fermano alle spalle dei musicisti, prendendosi per mano e sorridendo a loro e al pubblico. N.B. In caso di problemi di tempo, l’ultimo atto potrebbe anche essere rappresentato autonomamente.