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l’Unità
Sabato, 22 Aprile 2017l10
L’Ue deve fare
pressione
per i diritti
in Turchia
risulta essere il più alto numero di ar-
resti di giornalisti da quando si è ini-
ziato a contarli nel Paese (1990), in
gran parte con accuse di terrorismo.
Ancheprimadelgolpe,tuttavia,erano
numerosi i casi di intimidazioni, arre-
sti ed espulsioni. Nel frattempo, sono
state chiuse intere testate, sospese le
trasmissioni di molti canali televisivi,
tracuipersinol’unicocanaleperbam-
bini in lingua curda, Zarok tv, per il
quale mi sono mobilitato personal-
mente, coinvolgendo molti colleghi,
per richiederne la ripresa delle tra-
smissioni, fortunatamente avvenuta
alcuni mesi dopo. Lo scorso novem-
bre, in una visita in Turchia insieme
ad altri esponenti del PSE, ho visitato
la redazione dello storico quotidiano
Cumurhyet, da mesi sotto attacco per
lesuescomodeinchieste,chelehanno
valsoilPremioperlalibertàdistampa
2015 da parte di Reporter senza fron-
tiere, tra cui quella sul presunto traffi-
co di armi da Ankara all’ISIS, costata
all’ex direttore Can Dündar l’arresto e
una condanna in primo grado. Dopo
di lui, anche i successori hanno subito
unasimilesorte.Nellanostravisita,ol-
tre a constatare le condizioni di estre-
ma difficoltà in cui il quotidiano è or-
maicostrettoaoperare,abbiamoriba-
dito il sostegno dell’Europa a chi lotta
per la libertà e si oppone al regime. È,
infatti, molto importante non lasciare
solo il popolo turco di fronte a quanto
sta accadendo, anche se l’Unione eu-
ropea dovesse effettivamente prende-
re la difficile decisione di sospendere
ufficialmente il processo di adesione
dellaTurchia.Ilprocessoèstato“con-
gelato” sempre lo scorso novembre,
con una Risoluzione del Parlamento
europeo,inattesadiulteriorisviluppi,
ma una sospensione, sancita dal Con-
siglio, nei fatti implicherebbe la fine
del processo stesso, in quanto una sua
ripresa richiederebbe l’unanimità da
parte degli Stati membri dell’UE, che
difficilmente potrà verificarsi. Nelle
prossime settimane l’Europa si trove-
rà di fronte a questa delicata decisio-
ne, che potrebbe gettare definitiva-
mente il regime di Erdogan verso Est,
allontanandolo dall’Europa e dalla
cornice transatlantica. Nel frattempo,
ci auguriamo che le autorità turche ri-
spondano agli appelli delle massime
cariche italiane e dell’Unione euro-
pea,consentendoaGabrieleDelGran-
de di rientrare nel proprio Paese, e
continueremo ad alzare la voce finché
ciò non sarà avvenuto. Ma il suo caso
deveesseredamonitoperquantipen-
sanocheidirittielelibertàfondamen-
talisianoqualcosadiscontatoedeter-
no.QuantoavvieneinTurchiamostra,
invece,comeunPaesefinoapochian-
ni fa dinamico e cosmopolita possa
scivolare all’indietro, per volere di po-
chi e contro metà del suo stesso popo-
lo.
lDal quotidiano Cumurhyet alla televisione di lingua curda
Zarok tv: Bruxelles deve continuare ad appoggiare chi in
Turchia si batte per i diritti e la libertà di espressione
N
egli ultimi giorni, sia-
mo rimasti colpiti e
sconcertati dalla noti-
zia della detenzione
delgiornalistaitaliano
Gabriele Del Grande
in Turchia, apparentemente perché
privo di permesso stampa richiesto
per la delicata zona in
cui si era recato per ef-
fettuare interviste, al
confine con la Siria. Sin
dall’inizio della vicenda, le autorità i-
taliane ed europee sono impegnate
nel richiedere la sua immediata scar-
cerazione, già annunciata ma senza
alcunseguito.Anchenoieurodeputati
ci siamo mobilitati con un’interroga-
zione urgente alla Commissione per
chiedereuninterventoforteeincisivo
a difesa di un cittadino dell’Unione
europea presso il governo turco. Il ca-
so,beffardamente,siinserisceproprio
nei giorni della vittoria del “Sì” al refe-
rendum costituzionale voluto dal pre-
sidente Recep Tayyp Erdogan. Una
vittoria, come sappiamo, risicata, ma
che getta un’ombra sempre più scura
sullo stato della democrazia nel Paese
esullesuerelazioniconl’Unioneeuro-
pea, al punto che è sempre meno az-
zardato dire che Ankara stia rapida-
menteavviandosiversoladittatura.E,
come accade nella formazione di una
dittatura, una delle prime libertà col-
pite è quella di espressione e, in parti-
colare, di stampa. Come noto, lo stato
di emergenza seguito al fallito golpe
dello scorso luglio, ha fornito a Erdo-
gan un pretesto (le “ragioni di sicurez-
za”) per effettuare quello che, ad oggi,
Nelle
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l’Europa
deve
decidere se
sospendere
il negoziato
di adesione
di Ankara
Gezi Park.
Una protesta
contro
il presidente
turco Recep
Tayyip Erdogan
Il referendum getta
un’ombra sempre
più scura sullo stato
della democrazia in
Turchia
I dubbi sulla sentenza che vieta il velo al lavoro
L
a sentenza della Corte di giu-
stizia dell’Unione europea,
che consente al datore di la-
vorodivietareilveloallepro-
prie dipendenti, pende minacciosa-
mente come spada di
Damoclesullevitedelle
donne islamiche e di
tutte noi. Un principio
di libertà, profondo e importantissi-
mo,fraintesoeridottodallaretoricao-
dierna a banale oggetto. Quando in
realtàsimettereindiscussionetutt’al-
tro che un semplice indumento. Dove
sono finiti i principi di autodetermi-
nazione, integrazione ed inclusione
sociale?Dov’èfinital’Europadeidirit-
ti di cui tutte ci siamo riempite e ci
riempiamo ancora la bocca? Possibile
cheilventodell’islamofobiaabbiasof-
fiatocosìfortedariuscireadarrivareal
cuore delle nostre istituzioni? Vietare
a una donna islamica di indossare il
velo sul posto di lavoro vuol dire co-
stringerla ad una scelta. Vuol dire
chiederlesepreferiscelavorare,rinne-
gando il suo credo, la sua provenienza
eindefinitivasestessaelesueradici,o
se preferisce ritornare indietro di 50
anni,eessererelegatanelsoloruolodi
moglie,madreefiglia.Perchéèinutile
girarciintorno:laparitàpassaquasie-
sclusivamente dal livello di formazio-
ne e dal lavoro. Una donna è tanto più
liberaquantopiùindipendenteè(esa-
rà)economicamente.Losannoledon-
ne occidentali tanto quanto le donne
musulmane. E’ per questo che penso
cheobbligareallasceltatrail"lavoro"e
il proprio credo, in nome di una pre-
sunta idea di emancipazione che ci
vorrebbe tutte identiche, tutte “all’oc-
cidentale”, sia profondamente sba-
gliatooltrechepericoloso,poichépor-
ta alla rimozione di un punto: l’inte-
grazione passa anche dall’accettazio-
ne della diversità culturale. Questa è
una battaglia che non possiamo per-
dere. Ecco perché sono pronta a pre-
sentare un’interrogazione parlamen-
tare alla Commissione, perché vedo
che abbiano deciso di indossare sul
luogodilavoro,ciribelliamosecichie-
donodivestircidauomoquandorive-
stiamocaricheistituzionali,marestia-
mo mute di fronte a chi decide che
nonpuòessereindossataunatestimo-
nianza della propria fede e dei propri
convincimenti in nome di una pre-
sunta laicità che distorciamo. Voglia-
moesserelibere,sempre,dipotermo-
strarequelloincuicrediamo,quelche
pensiamo, quel che siamo. E questo
nonpuòenondevefarepaura.Nonc’è
nessunorrorenascostodietroaunve-
lo, nessun male sconosciuto, nessun
terroristasanguinario.C’èsolounatto
di fede diverso che è giusto rivendica-
recomedirittocostituzionalepertutte
le donne islamiche e per la nostra Eu-
ropa.
che gli spazi in cui eravamo abituate a
muoverci, che ci eravamo conquistate
conbattagliecontroogniformadipre-
giudizio, hanno iniziato a ridursi visi-
bilmente.E’necessarioilrispettodelle
leggicostituzionalichechiedonolari-
conoscibilità della persona, certo, ma
vietareaunadonnadicoprirsiicapelli
costituisce un precedente pericoloso.
Perchélepariopportunità,lalibertàdi
scelta e di autodeterminazione di cia-
scuna, meritano di essere difese dav-
vero e non solo raccontate l’8 marzo.
Eppure gli spazi in cui eravamo abi-
tuate a muoverci, che ci eravamo con-
quistate a suon di battaglie contro o-
gni forma di pregiudizio, hanno ini-
ziato a ridursi. Dove si arriverà di que-
sto passo? Cosa resterà dei principi
democratici a cui ci siamo ispirate per
anni e nei quali siamo cresciute e che
soprattuttoabbiamotrasmessoatutte
le donne islamiche di seconda e terza
generazione? Possibile che il vento
dell’islamofobia abbia soffiato così
fortefinoadarrivarealcuoredelleno-
stre istituzioni europee? Quando si
calpestalalibertàdiuna,sicalpestano
idirittidituttenoi.L’Europaincuicre-
do ci lascia libere di poter lavorare,
senza essere additate e discriminate a
secondadellarazza,delcredo,delluo-
go di appartenenza. Eppure questa
sentenzarischiadidiventareilsimbo-
lo dell’integrazione mancata, di u-
n’opportunità persa, del riscatto so-
ciale rincorso da tempo ed ora preclu-
so, per una generazione di giovane
donne islamiche. Ci scandalizziamo
quando veniamo giudicate per l’abito
La mobilità sostenibile a
basse emissioni è uno degli
elementi fondamentali della
più ampia transizione verso
un nuovo modello di
sviluppo: l’economia
circolare di cui l'Europa ha
bisogno per rimanere
competitiva, per creare
nuova e buona occupazione e
per poter soddisfare le
esigenze di mobilità delle
persone e delle merci. I
veicoli pesanti sono
responsabili di circa un
quarto delle emissioni di CO2
prodotte dal trasporto su
strada. L’obiettivo cui punta
l’Europa è chiaro: entro la
metà del secolo le emissioni
di gas a effetto serra
provenienti dai trasporti
dovranno essere inferiori di
almeno il 60% rispetto al
1990. Fino ad ora, però, per i
veicoli pesanti l´UE non ha
stabilito un regime di
monitoraggio del biossido di
carbonio, né ha fissato
standard di efficienza
energetica.
Per questa ragione nel mio
rapporto sulla mobilità a
basse emissioni ho chiesto
che la Commissione agisca al
più presto per aumentare la
trasparenza del sistema,
certificando e monitorando le
emissioni di biossido di
carbonio e del consumo di
carburante dei veicoli
pesanti.
Per raggiungere gli
obiettivi ambiziosi che ci
siamo prefissi è necessaria
un´alleanza intelligente tra
industria e ambiente,
considerato che il carburante
rappresenta il 30% dei costi
operativi di un veicolo
pesante.
DAMIANO ZOFFOLI
La riduzione delle emissioni deve
coinvolgere anche i veicoli pesanti
Brando
Benifei
Pina
Picierno
Vietare a una donna
islamica il velo sul
posto di lavoro vuol
dire costringerla ad
una scelta

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Lo scorso novem- bre, in una visita in Turchia insieme ad altri esponenti del PSE, ho visitato la redazione dello storico quotidiano Cumurhyet, da mesi sotto attacco per lesuescomodeinchieste,chelehanno valsoilPremioperlalibertàdistampa 2015 da parte di Reporter senza fron- tiere, tra cui quella sul presunto traffi- co di armi da Ankara all’ISIS, costata all’ex direttore Can Dündar l’arresto e una condanna in primo grado. Dopo di lui, anche i successori hanno subito unasimilesorte.Nellanostravisita,ol- tre a constatare le condizioni di estre- ma difficoltà in cui il quotidiano è or- maicostrettoaoperare,abbiamoriba- dito il sostegno dell’Europa a chi lotta per la libertà e si oppone al regime. È, infatti, molto importante non lasciare solo il popolo turco di fronte a quanto sta accadendo, anche se l’Unione eu- ropea dovesse effettivamente prende- re la difficile decisione di sospendere ufficialmente il processo di adesione dellaTurchia.Ilprocessoèstato“con- gelato” sempre lo scorso novembre, con una Risoluzione del Parlamento europeo,inattesadiulteriorisviluppi, ma una sospensione, sancita dal Con- siglio, nei fatti implicherebbe la fine del processo stesso, in quanto una sua ripresa richiederebbe l’unanimità da parte degli Stati membri dell’UE, che difficilmente potrà verificarsi. Nelle prossime settimane l’Europa si trove- rà di fronte a questa delicata decisio- ne, che potrebbe gettare definitiva- mente il regime di Erdogan verso Est, allontanandolo dall’Europa e dalla cornice transatlantica. Nel frattempo, ci auguriamo che le autorità turche ri- spondano agli appelli delle massime cariche italiane e dell’Unione euro- pea,consentendoaGabrieleDelGran- de di rientrare nel proprio Paese, e continueremo ad alzare la voce finché ciò non sarà avvenuto. Ma il suo caso deveesseredamonitoperquantipen- sanocheidirittielelibertàfondamen- talisianoqualcosadiscontatoedeter- no.QuantoavvieneinTurchiamostra, invece,comeunPaesefinoapochian- ni fa dinamico e cosmopolita possa scivolare all’indietro, per volere di po- chi e contro metà del suo stesso popo- lo. lDal quotidiano Cumurhyet alla televisione di lingua curda Zarok tv: Bruxelles deve continuare ad appoggiare chi in Turchia si batte per i diritti e la libertà di espressione N egli ultimi giorni, sia- mo rimasti colpiti e sconcertati dalla noti- zia della detenzione delgiornalistaitaliano Gabriele Del Grande in Turchia, apparentemente perché privo di permesso stampa richiesto per la delicata zona in cui si era recato per ef- fettuare interviste, al confine con la Siria. Sin dall’inizio della vicenda, le autorità i- taliane ed europee sono impegnate nel richiedere la sua immediata scar- cerazione, già annunciata ma senza alcunseguito.Anchenoieurodeputati ci siamo mobilitati con un’interroga- zione urgente alla Commissione per chiedereuninterventoforteeincisivo a difesa di un cittadino dell’Unione europea presso il governo turco. Il ca- so,beffardamente,siinserisceproprio nei giorni della vittoria del “Sì” al refe- rendum costituzionale voluto dal pre- sidente Recep Tayyp Erdogan. Una vittoria, come sappiamo, risicata, ma che getta un’ombra sempre più scura sullo stato della democrazia nel Paese esullesuerelazioniconl’Unioneeuro- pea, al punto che è sempre meno az- zardato dire che Ankara stia rapida- menteavviandosiversoladittatura.E, come accade nella formazione di una dittatura, una delle prime libertà col- pite è quella di espressione e, in parti- colare, di stampa. Come noto, lo stato di emergenza seguito al fallito golpe dello scorso luglio, ha fornito a Erdo- gan un pretesto (le “ragioni di sicurez- za”) per effettuare quello che, ad oggi, Nelle prossime settimane l’Europa deve decidere se sospendere il negoziato di adesione di Ankara Gezi Park. Una protesta contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan Il referendum getta un’ombra sempre più scura sullo stato della democrazia in Turchia I dubbi sulla sentenza che vieta il velo al lavoro L a sentenza della Corte di giu- stizia dell’Unione europea, che consente al datore di la- vorodivietareilveloallepro- prie dipendenti, pende minacciosa- mente come spada di Damoclesullevitedelle donne islamiche e di tutte noi. Un principio di libertà, profondo e importantissi- mo,fraintesoeridottodallaretoricao- dierna a banale oggetto. Quando in realtàsimettereindiscussionetutt’al- tro che un semplice indumento. Dove sono finiti i principi di autodetermi- nazione, integrazione ed inclusione sociale?Dov’èfinital’Europadeidirit- ti di cui tutte ci siamo riempite e ci riempiamo ancora la bocca? Possibile cheilventodell’islamofobiaabbiasof- fiatocosìfortedariuscireadarrivareal cuore delle nostre istituzioni? Vietare a una donna islamica di indossare il velo sul posto di lavoro vuol dire co- stringerla ad una scelta. Vuol dire chiederlesepreferiscelavorare,rinne- gando il suo credo, la sua provenienza eindefinitivasestessaelesueradici,o se preferisce ritornare indietro di 50 anni,eessererelegatanelsoloruolodi moglie,madreefiglia.Perchéèinutile girarciintorno:laparitàpassaquasie- sclusivamente dal livello di formazio- ne e dal lavoro. Una donna è tanto più liberaquantopiùindipendenteè(esa- rà)economicamente.Losannoledon- ne occidentali tanto quanto le donne musulmane. E’ per questo che penso cheobbligareallasceltatrail"lavoro"e il proprio credo, in nome di una pre- sunta idea di emancipazione che ci vorrebbe tutte identiche, tutte “all’oc- cidentale”, sia profondamente sba- gliatooltrechepericoloso,poichépor- ta alla rimozione di un punto: l’inte- grazione passa anche dall’accettazio- ne della diversità culturale. Questa è una battaglia che non possiamo per- dere. Ecco perché sono pronta a pre- sentare un’interrogazione parlamen- tare alla Commissione, perché vedo che abbiano deciso di indossare sul luogodilavoro,ciribelliamosecichie- donodivestircidauomoquandorive- stiamocaricheistituzionali,marestia- mo mute di fronte a chi decide che nonpuòessereindossataunatestimo- nianza della propria fede e dei propri convincimenti in nome di una pre- sunta laicità che distorciamo. Voglia- moesserelibere,sempre,dipotermo- strarequelloincuicrediamo,quelche pensiamo, quel che siamo. E questo nonpuòenondevefarepaura.Nonc’è nessunorrorenascostodietroaunve- lo, nessun male sconosciuto, nessun terroristasanguinario.C’èsolounatto di fede diverso che è giusto rivendica- recomedirittocostituzionalepertutte le donne islamiche e per la nostra Eu- ropa. che gli spazi in cui eravamo abituate a muoverci, che ci eravamo conquistate conbattagliecontroogniformadipre- giudizio, hanno iniziato a ridursi visi- bilmente.E’necessarioilrispettodelle leggicostituzionalichechiedonolari- conoscibilità della persona, certo, ma vietareaunadonnadicoprirsiicapelli costituisce un precedente pericoloso. Perchélepariopportunità,lalibertàdi scelta e di autodeterminazione di cia- scuna, meritano di essere difese dav- vero e non solo raccontate l’8 marzo. Eppure gli spazi in cui eravamo abi- tuate a muoverci, che ci eravamo con- quistate a suon di battaglie contro o- gni forma di pregiudizio, hanno ini- ziato a ridursi. Dove si arriverà di que- sto passo? Cosa resterà dei principi democratici a cui ci siamo ispirate per anni e nei quali siamo cresciute e che soprattuttoabbiamotrasmessoatutte le donne islamiche di seconda e terza generazione? Possibile che il vento dell’islamofobia abbia soffiato così fortefinoadarrivarealcuoredelleno- stre istituzioni europee? Quando si calpestalalibertàdiuna,sicalpestano idirittidituttenoi.L’Europaincuicre- do ci lascia libere di poter lavorare, senza essere additate e discriminate a secondadellarazza,delcredo,delluo- go di appartenenza. Eppure questa sentenzarischiadidiventareilsimbo- lo dell’integrazione mancata, di u- n’opportunità persa, del riscatto so- ciale rincorso da tempo ed ora preclu- so, per una generazione di giovane donne islamiche. Ci scandalizziamo quando veniamo giudicate per l’abito La mobilità sostenibile a basse emissioni è uno degli elementi fondamentali della più ampia transizione verso un nuovo modello di sviluppo: l’economia circolare di cui l'Europa ha bisogno per rimanere competitiva, per creare nuova e buona occupazione e per poter soddisfare le esigenze di mobilità delle persone e delle merci. I veicoli pesanti sono responsabili di circa un quarto delle emissioni di CO2 prodotte dal trasporto su strada. L’obiettivo cui punta l’Europa è chiaro: entro la metà del secolo le emissioni di gas a effetto serra provenienti dai trasporti dovranno essere inferiori di almeno il 60% rispetto al 1990. Fino ad ora, però, per i veicoli pesanti l´UE non ha stabilito un regime di monitoraggio del biossido di carbonio, né ha fissato standard di efficienza energetica. Per questa ragione nel mio rapporto sulla mobilità a basse emissioni ho chiesto che la Commissione agisca al più presto per aumentare la trasparenza del sistema, certificando e monitorando le emissioni di biossido di carbonio e del consumo di carburante dei veicoli pesanti. Per raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci siamo prefissi è necessaria un´alleanza intelligente tra industria e ambiente, considerato che il carburante rappresenta il 30% dei costi operativi di un veicolo pesante. DAMIANO ZOFFOLI La riduzione delle emissioni deve coinvolgere anche i veicoli pesanti Brando Benifei Pina Picierno Vietare a una donna islamica il velo sul posto di lavoro vuol dire costringerla ad una scelta