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Ottava conferenza annuale ESPAnet Italia 2015
Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a
confronto
Università di Salerno, 17-19 settembre 2015
Tema della conferenza
Con la crisi economica globale, le politiche di austerità dell’Unione Europea e le persistenti
carenze amministrative, i nuovi rischi sociali si sono acuiti mettendo sotto pressione il
welfare italiano, in particolare nel Mezzogiorno. L’attenzione delle politiche sociali si è
concentrata sui disagi più urgenti emersi negli ultimi anni nella cornice politico-istituzionale
europea, già sottoposta a un profondo processo di trasformazione. Sono rimaste sullo
sfondo sia la valutazione dei sistemi di protezione sociale emergenti nel resto del mondo,
sia la ricostruzione storica dei periodi di povertà e di prosperità che si sono alternati nel
nostro paese nella lunga durata — prospettive analitiche che sarebbero utili a formulare
politiche più mirate e innovative.
Obiettivo dell’ottava conferenza di ESPAnet Italia 2015 è integrare l’analisi diacronica delle
politiche sociali con una più ampia considerazione dei sistemi di welfare emergenti in altri
contesti nazionali europei ed extra-europei. L’idea che sottende la conferenza consiste
nell’esaminare l’esperienza italiana nel tempo, rispecchiandola nei sistemi di welfare in
corso di sviluppo, in particolare nei paesi con una più rapida crescita economica. Studiosi
internazionali, italiani ed europei, operatori del sociale, studenti e ricercatori dibatteranno
sul passato e sul futuro del nostro welfare: presenteranno e confronteranno i casi più
interessanti del Nord e del Sud del mondo e del nostro paese.
Sessione 3: Tra questione urbana e questione sociale. Città, politiche e governance
locale dentro e oltre la crisi
Cerrina Feroni Simone, Luigi Taccone
Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al learning e
all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di buone
pratiche di welfare di community.
ABSTRACT
Dalla soddisfazione dei bisogni di salute, sicurezza e welfare sul lavoro stiamo transitando verso
l'insoddisfazione, i malfunzionamenti, il malessere e la precarietà di vite assoggettate al lavoro e troppo
“occupate” dal life-deep learning, o - è il loro doppio - dis-occupate e vuote. Come e dove simbolizzare
progetti di vite ben “impiegate”, di “belle vite” ?
L'innovazione dei servizi al lavoro e al Long-life Learning ci pare la più importante leva di sviluppo sociale,
civico ed economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone senza paura modelli,
organizzazione e norme: le resistenze di imprese e cittadini a essere «regolati», e quelle della P.A. a
disinvestire su funzioni tradizionali e investire su questo settore sono superabili coinvolgendo corpi sociali e
società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non ideologico, populista o normativo. Se questo
passaggio è partecipato (passando dal servizio pubblico al servizio pubblicizzato) diventa coping di
comunità, partecipazione alle vite altrui, «vite associate» come nuovo bene (e valore) comune, città
«vivibili», cioè dove si può vivere bene. Il Work-Life Balance oggi è welfare autogestito, alla scandinava,
welfare come risorsa collettiva, di reciprocità e fiducia, mediazione difficile nel puzzle fra socio e economico,
certo con una possibile deriva biopolitica e di «ricommodificazione». Carovane di pionieri e vite condivise: in
fondo il Mercato del Lavoro è condivisione di opportunità e competenze. Welfare informale, o meglio
processi partecipativi come innesco, driver, con un ruolo pubblico «abilitante».
“Working Lives in common” as a public value. Participatory processes in Active
Employment and LongLifeLearning schemes as a best practice in local community
welfare ?
In the achieving society the market-ability of the prosumer (consumer and productor) lives requires new
instruments for employment services, the most significant driver for social, civic and economic development,
and a truly prominent public interest. In the dramatic Italian unemployment context, we must fearlessly
reassess models and service organization, in order to add solidarity, transparency and equity, because the
issue («renting livese») is clearly critical.
Participatory design and evaluation processes, applied to labour market, may have a tremendous impact in
better sketching policies and practices, and in empowering social actors: they are postmodern Agorà in
sharing private, organizational and community challenges. Moreover, there is a clear isomorphism between
process (participation for policy development) and object (capabilities development, empowerment). In other
words, there is an automatic value (if the process is well managed) for all people and organizations
participating and their networks.
We will describe participatory projects in Education and Employment, managed in the Province of Firenze
and Regione Calabria
INTRODUZIONE
Pensiamo a un call center, in cui occorre una elevata capacità di «amare» il cliente, capire empaticamente
i suoi bisogni, anticipare e solleticare i suoi desideri, e soprattutto di riflettere rapidamente nel corso
dell’azione. La personalità diventa sociale e produttiva: vite al lavoro e lavoro nelle vite, memento vivere.
Questo non c’era nel fordismo, ed era tutto sommato secondario anche nell'artigianato o nell'agricoltura,
dove emergevano tratti di capacità creative, ma ben distinti dal corso della vita «normale».
Cambiano perciò politiche e servizi per l'occupabilità e il Long-Life Learning, che il Decreto legislativo
13/2013 definisce ˝apprendimento informale, anche non intenzionale, in attività di situazioni di vita
quotidiana nell'ambito del lavoro, familiare e del tempo libero˝. Una rivoluzione concettuale. E
parallelamente, sulla stessa linea evolutiva, riemerge la partecipazione civica, concetto risalente all'antica
Atene, che qui cercheremo di mettere a fuoco con una lettura ampia, ma focalizzata sui temi del lavoro e
della formazione continua. Per i Costituenti era partecipazione dei lavoratori; oggi, avendo il lavoro/attività
invaso le vite, è di nuovo partecipazione dei cittadini e degli attori sociali, quindi è attuale. Un gerundio
(participating) con forte suggestione simbolica
1
. «Partecip-azione» è azione partecipata, a comune, di
soggetti e interessi divergenti e, proprio perchè partecipata, con una immediata review in un contesto
microsociale ad hoc (un processo partecipativo, una ricerca-azione, una community temporanea di
innovazione sociale, uno spazio di formazione e orientamento). Partecipazione non solo a una
deliberazione
2
, ma come processo circolare, life-making, che è (come la vita) pratica quotidiana con
«rotture» riflessive (individuali o collettive) sulle esperienze. Sussidiarietà vera, non strumentale, non
concessa dal Sovrano, non che conviene solo ad alcuni. Un processo partecipato è quindi una (fra le molte)
strategie di welfare contrattato, coi cittadini in questo caso. Un dispositivo di work processing analogo,
peraltro, a quello di qualsiasi organizzazione che deve «ascoltare» clienti e dipendenti se opera in mercati
altamente variabili
3
.
La partecipazione, critica, all'elaborazione di politiche pubbliche attive del lavoro da parte di soggetti
con interessi più o meno privati, è oggi di evidente rilevanza, vista la necessità di governance di mercati del
lavoro incapaci di sostenere da soli matching complessi. Formazione e lavoro sono una sfera di
osservazione privilegiata dal quale inquadrare la partecipazione (e la non partecipazione) e capire le ragioni
delle gravi distorsioni che si registrano sul fronte dei servizi all'impiego e alla formazione e orientamento
1 Luigino Bruni osserva acutamente, in uno dei suoi acuti editoriali su Avvenire, come poche cose diano benessere e gioia di vivere
come partecipare a una azione collettiva libera fra pari, dove il termine chiave, a nostro avviso, è proprio questa «parificazione».
2 Utilizzeremo il termine «processi partecipativi», ma se l'obiettivo è l'elaborazione di policy, queste andranno tradotte in deliberazioni,
sia pure di indirizzo. Dunque c'è anche un tratto deliberativo, ovvero la discussione con l'avversario e un cambiamento e un
apprendimento da parte di tutti, non necessariamente verso un compromesso mediano.
3 Certo, anche farli partecipare, ma in quel caso entro limiti privatistici di segretezza che invece ovviamente il pubblico non ha. Anzi,
come istituzione ha il problema opposto, la necessità di trasparenza. E' evidente comunque che nessuna organizzazione, pubblica o
privata, ormai resti in vita a lungo o in salute senza processi partecipativi al suo interno o verso l'esterno.
long-life (nel seguito «servizi»).
Esamineremo i bisogni della domanda e dell'offerta di lavoro, formazione e orientamento, e poi, risalendo, i
servizi che rispondono a questi bisogni, e infine, in modo isomorfo e circolare, i circuiti e le arene
partecipative che li possono sostenere e indirizzare. La tesi è che la sostanza nei tre casi è simile: ricostruire
una solidarietà condivisa (rispettivamente nell'utenza, nei servizi e nell'elaborazione di policy e
programmi), e questo processo circolare si autoalimenta. Operazione partecipata e pubblica: è impossibile
governare una sfera di tale complessità con strumenti di pianificazione e controllo tradizionali, come se si
trattasse di normali servizi o utilities. Osservando in particolare i servizi di recruiting e incrocio domanda-
offerta di lavoro non si possono non evidenziare residui obsoleti (anche se efficaci) di nepotismo: il coraggio
in questo caso è evidenziare il concetto di vacancy e la necessaria messa a fuoco della «valorizzazione
della persona umana» (anche nelle formazioni sociali, come in Costituzione). Ben oltre il merito: il nuovo
paradigma, quasi contabile, è «fonti-impieghi»: una mappa di fonti di impiego e di «impiegabili», da
governare in tempo reale (qui sta il passaggio da gestione a governance), con policy, cioè priorità politiche,
ad esempio privilegiare il disoccupato di lunga durata o altre categorie di vulnerabili, o alcune aziende in
crisi. Policy da aggiornare rapidamente, misurando lo scostamento fra realizzato e preventivato, il che
implica strumenti agili e fini di controllo di gestione, non burocratico-amministrativo. Oltre ai processi
partecipativi, ci riferiamo qui a meccanismi autoorganizzativi, sussidiarietà al Terzo Settore, coordinamento
telematico, tavoli di coordinamento snelli.
E come non tenere conto del fatto che, nei mercati dei lavori, tempo, competenze e opportunità
4
si
scambiano soprattutto nel territorio locale, o in quelli più rapidamente raggiungibili. La solidarietà si fonda su
luoghi fisici e ambienti dove co-abitare, co-vivere, co-produrre e co-consumare, e le organizzazioni sono
anch'esse luoghi privilegiati di riproduzione sociale. Tempi, competenze e opportunità però troppo
«predefinite»: manca uno spazio per definire scambi più liberi. Il territorio istituzionalizzato, recintato e
difeso dagli indesiderati hostis, non offre curiosità, creatività, e la Rete è sempre più ordine e (letteralmente)
prigione. Il lavoro è cessione, ma ormai soprattutto creazione e ricostruzione di competenze, questione più
pubblica che privatistica, più locale che globale. Se impari (e non c'è dubbio che è prevalentemente sul
lavoro che si è forzati a imparare), questo è un fatto pubblico locale, con il problema dell'imitabilità e
dell'iniqua distribuzione del lavoro sui territori. Se si chiama qualcuno che arriva da fuori, è una ricchezza
che arriva. Se, al contrario, qualcuno se ne va, può (forse) tornare con maggiori competenze e relazioni. E'
sana competizione fra organizzazioni e territori per acquisire e trattenere i migliori. I processi partecipativi
sono in questo senso luoghi di learning di sviluppo territoriale dove agire scambi simbolici di elevata qualità
fra gli attori locali e l'ambiente esterno (imprese, enti sovraordinati o di coordinamento).
Il lavoro è produzione e sviluppo di sé, cioè identità e rinoscimento sociale. I servizi dunque intermediano
stima, riconoscimento e attenzione, sincronizzando lebenswelt
5
(mondi vitali), mondi organizzativi e sfere
istituzionali su un precario treppiede. Sotto questo aspetto i processi partecipati, letti come co-ricostruzione
di modelli, nomi, frame concettuali (che possono essere anche locali), mettono in discussione paradigmi
quali la separazione lavoro dipendente-indipendente, la democrazia rappresentativa e il welfare beveridgiano
universalistico, e questo ci pare utile per aggiornarli al nuovo contesto.
In termini più psicologici, si notano passione, orgoglio, senso di adultità e autonomia emergenti nell'utenza
dei servizi, ma anche imbarazzo, vergogna infantile di evidenziare pubblicamente le lacune. Autonomia e
controllo, onnipotenza
6
e esame di realtà, stupore e coazione a ripetere, empowerment
7
e disempowerment.
Dualismi peraltro quasi assenti invece nei processi partecipati, riferiti in questo caso alle organizzazioni
partecipanti. Quale nesso fra salute/benessere (di individui, gruppi e territori) e servizi? In Italia
tradizionalmente sfere rigidamente separate e mondi professionali distinti. I servizi sono poveri di
rappresentazione sociale
8
. Un processo partecipato offre la possibilità di vero dialogo fra pari di servizi
interoccorrelati.
Il paradosso è che il servizio si finanzia spesso con fondi comunitari (è precario anch'esso), per il settore
privato è poco «appetibile» e il Terzo Settore è, stranamente, disattento al tema. Rimangono le soluzioni
«faidate», il clan, il passaparola, le conoscenze personali, il web. Corsi di formazione, tirocini o lavori scelti
senza alcun criterio di sviluppo di competenze chiave. Un processo partecipativo inverte questa pericolosa
deriva (forse alla base del declino italiano), rafforza il ruolo pubblico, mobilita il civismo oltre burocrazia e
mercato, qui chiaramente inefficaci. Il singolo cittadino
9
, meglio se sotto forma di agenzie o associazioni,
4 Oceani di opportunità che appaiono senza preavviso e si dissolvono rapidamente se non sono colte subito (Bauman, 1997).
5 Senso comune, tacito, irriflesso (come il proiettore al cinema): nessuno ci pensa. E' norma sociale, morale, comune, è ordine,
sicurezza. Una vita ordinata, organizzata per routine e procedure automatiche.
6 Qui intesa come desiderio dell'infante di scavalcare limiti fisici e psichici al godimento.
7 Nell'accezione multidimensionale, cioè anche collettiva, di Zimmerman (Empowerment Theory: psychological, organizational and
community levels of analysy in Rappaport (2000) è «potere dentro», capability e efficacy percepite «nel» soggetto, rivolte sia all'interno
che all'esterno.
8 Non esistono «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale» analoghe alle ASL. Nel settore sociosabitarioi ci sono poche tracce dei
temi del lavoro e del LongLife Learning, né viceversa nei servizi al lavoro dei temi della salute e del benessere sociale. Come ci sono le
Società della Salute, perchè non le Società dei Lavori o delle Attività ?
9 Certo, meglio se ricercatore socioeconomico, formatore, consulente o orientatore, ma può essere esperto in ogni campo: il processo
partecipativo incentiva l'occuparsi di individui, gruppi e organizzazioni diverse, a prestare il proprio know how gratuitamente al proprio
entra nel circuito decisionale e di controllo, e servizi e progetti verranno sicuramente impostati e controllati
meglio. Le politiche (ad esempio di genere, per gli over50 o specifici settori produttivi) saranno più efficaci se
condivise con chi nel iuo campo d’azione le vive quotidianamente, e magari le legge in modo opposto. Ma
anche il tipo di policy: ad esempio non è uguale avere campi di calcio gratis o scaricare dalle tasse le
spese di sport, cultura e ricreazione (una include, l'altra esclude). Imprese e Terzo Settore si sviluppano
inoltre se si confrontano e misurano le aree di reciproco coordinamento e di conflitto.
Non si può non notare infine come, mentre qualsiasi ricerca mostri con evidenza che la disoccupazione -
ma anche la mala occupazione che ne è l'anticamera - siano antecedenti di malessere, malattia, esclusione
sociale (e anche viceversa, dunque alla fin fine parliamo della stessa cosa)
10
, invece il disagio crescente e
l'incapacità, di ricollocarsi fatichino addirittura a esser messi in parole
11
. Non ricevono spazi di ascolto, non si
si aggregano in istanze collettive di aiuto e risposte collettive di solidarietà: forse perchè se il lavoro è vita, il
non lavoro e l'incompetenza sono vissute con vergogna e senso di colpa personale. Non si va al
Centro per l'impiego, non si chiede aiuto, non ci si organizza, ci si lamenta in modo passivo. Un processo
partecipato sblocca questo frame psicologico, invertendo figura e sfondo rimosso.
BIOPOLITICHE DELLE VITE-LAVORI
Nelle biopolitiche ipermoderne
12
, lavoro (e LongLife Learning
13
) esondano nel tourbillon de la vie di
individui, gruppi e organizzazioni. Le vite e le case sfumano in «luogo di lavoro», imprese e attività
economiche da esercitare professionalmente, mentre le organizzazioni - all'opposto - si soggettivizzano in
parodie di clan familiar/amicali
14
. Più che espropriazione, una mutua embeddedness, una ibridazione fra
lavoro e life skills che si de-differenziano da quelle sociolavorative, cioè da sfere antagoniste diventano
interdipendenti, ribaltandosi l'una nell'altra
15
.
Vite artificiali e lavoro come dovere e non come diritto, valorizzazione più che rispetto per le persone. E
così i soggetti devono «rifarsi una vita» giocando una nuova mano di carte nel lifegame. Un processo
longwide, pervasivo, forzato, non paragonabile al lavoro a domicilio prefordista, quando il contrattista
lavorava in case-laboratorio su ordinativi a lotti, ma con ritmi ben più lenti e «umani», e anzi in questi ancora
più fordista. Non biopolitico in senso stretto (cioè non è oggetto di discorso pubblico esplicito), piuttosto una
sollecitazione sottotraccia, in cui l'economia prevale sul discorso socio-politico. Dalla sociologia del lavoro
alla sociologia della vita non quotidiana potenzialmente professionale? Emozioni e ruoli «messi al lavoro»,
«mestiere di vivere» (Bresciani, 2006). Anche il learning, che se è LongLife è piegatura, nemmeno tanto
sottile, dell'education all'economico: dai sistemi qualità e dall'apprendimento organizzativo (Argyris, 1998) si
passa alle vite quotidiane come luogo di apprendimento organizzativo. Una torsione verso la qualità
della vita e l'apprendimento tout court per tutta la vita, con rilevanti impatti sociali: la routine oggi è vista come
negativa o difensiva.
Le relazioni sociali si venano di interesse, i social networks servono per trovare lavoro, e in fondo lavoro e
vita sono attività relazionali. Interessi propri e di altri si confondono nell'agire quotidiano. «Dai «fattori umani»
in azienda (soddisfazione e motivazione) si transita ai fattori economici nei lebenswelt, anche gruppali e
organizzativi (insoddisfazione e demotivazione nella vita?). Corpi, identità, atteggiamenti, abilità cognitive,
ma anche affetti e sentimenti (e quindi il benessere), sono egonomics sempre al lavoro. Ad esempio sul
territorio.
10 E quindi l'intervento sul mercato del lavoro è preventivo e non curativo (quindi più efficiente).
11 Ad esempio mancano iniziative di raccolta fondi, associazioni di utenti, volontariato e solidarietà, formule preliminari alla co-
partecipazione dei servizi (come nel settore socio sanitario: pensiamo alle associazioni dei parenti dei malati). Si ignorano disoccupati e
espatriati, evidenziando invece l'immigrato, evidente capro espiatorio. Ci manca il linguaggio su quanto stiamo vivendo, che quindi è
mal-vissuto perchè mal-detto. Quello che ci ha raccontato dolori e gioie della fabbrica, delle campagna, dei padri imprenditori-artigiani.
Canti, poesie, romanzi, feste, lutti e elaborazioni ora stereotipate, senza spessore e ambiguità. Non casualmente «lavoro» è termine
analitico (elaborazione sul lutto, working through). La carestia di immaginario sociale è ovviamente anche dentro le imprese e nel Terzo
Settore.
12 Modello italo-francese di critica «da sinistra» (Bazzicalupo, 2006 e Aubert, 2010) nella forma posfordista di induzione «gentile» di
pratiche di miglioramento, learning e empowering che, un tempo confinate al lavoro salariato, si vanno espandendo agli interi
«mondidelle vite». Il termine nudge, originariamente bioniano - vedi Thaler e Sunstein (2009) - segnala che il biopotere ipermoderno
non è impositivo, mentre nel taylorfordismo le spinte non erano propriamente gentili ! Vedi i più estremi critici italiani, come Codeluppi
(2009), Fumagalli (2009) e De Michelis (2008).
13 La Riforma Fornero cosi' dispone: ˝Qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non formale e informale, nelle varie
fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e
occupazionale˝. Quale gerarchia? Viene prima la crescita personale o occupazionale? Vale l’ordine indicato dal legislatore?
14 Accornero (1997) segnala l'ambiguità di termini come società, corporate, compagnia, Casa madre, organismo personale per indicare
i dipendenti, retribuzione «a corpo». O si pensi ai clan familiari della «mala-vita» organizzata, cioè messa al lavoro. Pais (2003) ci
ricorda come organizzare eventi pubblici sia anche organizzare eventi privati, l'aperitivo di networking ha un sapore amaro, un social
network è book, vetrina per trovare opportunità ma anche espropriazione: chi entra abusivamente nella tua pagina entra nella tua vita.
15 Ad esempio i saperi linguistici o informatici (un blog), una visita ai partner di progetto, organizzare viaggi, cene o ospitare: è vita o
lavoro? O l'assertività del sorriso professionale e l'entusiasmo artificiale del venditore (Sarchielli, 2006) - che già acutamente Wright
Mills notava nel 1951 - che invade il buon senso o il comportamento comunicativo automatico, situato e culturale. Le battute vengono
rivendute ai comici o rimbalzano sul web, l'empatia sostituisce la solidarietà, le buone relazioni la gratuità. Nelle key competence
comunitarie ci sono competenze sociali e civiche, ma generiche.
lavoro si può essere apatici, ma con gli amici frizzanti. Oggi si cercano lavori dove esprimere la propria
personalità: bene per le organizzazioni, ma male per le vite, che si inaridiscono. Prime le organizzazioni
impedivano la vita vera, ora al contrario la sfruttano, ma così non è vita libera: intuitività e creatività si
ibridano nelle agende di vita e di lavoro, l'«aziendalese» diventa linguaggio quotidiano e della politica, le
Comunità Amish richiamano turisti. Capitale sociale, milieu, comunicare, organizzare o risolvere problemi:
tutto è anche fattore produttivo e prodotto/servizio spendibile
16
. ˝Sii te stesso!˝, ˝Realizza te stesso!˝,
˝Think!˝. Parafrasando l'assioma ˝non puoi non comunicare˝ di Watzlawitz, potremmo dire ˝non puoi non
migliorare˝. In termini di governamentalità pastorale (Foucault, 1998), di cura materna-paternalistica dei
«greggi», che «addomestica» i conflitti per renderli produttivi in formule di welfare social-liberiste.
Tecnologie e marketing del sé (coach, fitness): life enlargment e life enrichment, moltiplicare le vite, vivere
più veloci e più a lungo. Sensation seeking, zapping di esperienze, indotte dai media/adverstising e dalla
cultura spettacolistica (De Michelis, 2010). Attention economy
17
, cioè riflessività, riuso delle esperienze
passate e quindi infinita permanenza nell'adolescenza, se non addirittura tempo e attenzione intensificati
come nell'infanzia (Pievani, 2012). Una sorta di «religione» del miglioramento continuo
18
,in cui tutto è
potenziale valore: amicizia, amore, sport, fruire di opere d'arte, la curiosità, la conversazione, il flaneur. Dalla
forza-lavoro alla forza-valore: la vita crea (e sottrae) valore. Un bios isomorfo al ciclo di vita di un progetto, di
una impresa o di un prodotto, quindi un umano «capitale» organizzativo, un «capitale-vita»
19
.
Se, con «cordiale collaborazione», Taylor diceva agli scaricatori di ghisa ˝voi non dovete pensare˝, il motto
della «fabbrica integrata alle vite» è: «Da noi le persone vengono prima di tutto». Come capitale umano, si
intende.
PROSUMER: LE VITE COME MEZZO E LUOGO DI CONSUMO, PERFORMANCE E PRODUZIONE
Prosumer inteso
20
come consumatore-produttore, che co-progetta e co-valuta prodotti e servizi. Siamo,
come detto, in una era di diffusa riflessività finalizzata all'automiglioramento continuo, in cui siamo anche
progettisti, politici, registi, pubblico e attori (sociali e collettivi, certo, ma qui l'accento è sul recitare o
impressionare con la gamma delle performance), di spettacoli a valenza socioeconomica. Il ciclo, grosso
modo, è il seguente:
Desiderio di nuove forme di vita -> Euforia artificiale -> Reificazione in beni e servizi -> Assedio di
opportunità e obbligo di scelta di consumo -> Incorporazione di questi servizi nel sé -> Depressione
e innesco di nuovi desideri.
Il lavoro oggettivato e purificato delle vere emozioni, snaturato e impersonalizzato, è presto ripersonalizzato.
Soggetti riassoggettati e alienati, cioè oggettivati, e poi prima possibile risoggettivati. Un'altalena che è
anche oscillazione fra trovare lavoro/clienti e la disoccupazione.
Una pervasiva pratica «economica»
21
che può essere sintetizzata col furbo motto del reverse engineering:
«pensare da valle a monte», risalente alla comakerhip della qualità (l'integrazione coi fornitori) degli anni '90
(Merli,1997), ai distretti industriali e al postmoderno di Fabris (2008).
Prosumerismo è anche cittadinanza attiva, amministrazione condivisa (Arena 2011), bandi di
coprogettazione locale, piani di zona, sanità condivisa. Posfordista perchè trasforma fasi in processi,
liquefacendo i legami: il cliente co-decide
22
. Ma questo genera fornitori rancorosi verso clienti iperesigenti, ad
16 Perfino le motivazioni di base, come il «capitale psicologico» (Luthans, Youssef e Avolio, 2007 e Pryce-Jones, 2010) cioè la
disponibilità a essere coinvolti, a partecipare, a farsi carico di problemi altrui o comuni, anche la disponibilità a farsi controllare, quindi
una cessione di autonomia, passione, orgoglio di fare da sé, mentre il controllo sociale può essere imbarazzo e vergogna per chi
sbaglia.
17 Oltre ovviamente a Bauman, che va letto in inglese per l’elaborato vocabolario, su questi due concetti chiave vedi Davenport e Beck
(2001), Beller (2006) e Lanham (2006) e la Fase III di Lipowetsky (2010).
18 In termini weberiani si passa dal beruf alla vita intera di communities operose, in cui desideri e libertà sono interiorizzati per un
pubblico interesse superiore, non più la Gloria di Dio, ma certo quasi religioso. Rispetto a «comunità», community ha un significato più
ristretto, originato dalle comunità protestanti, cioè dalla condivisione di una appartenza molto forte: del fratello della tua community ti fidi,
ad esempio negli affari. Community come neighbourhood, chi è vicino fisicamente. La comunità di tipo cattolico è al contrario
tendenzialmente universale: in questo senso l'opposta organizzazione delle chiese protestanti e cattoliche si riflette sul significato più
bottomup e democratico quello di community, più top down e gerarchico quello di comunità. I modelli sociali e religiosi asiatici
presentano varianti interessanti a questo processo di augmented life, dove interessi propri e comuni si confondono.
19 Gruppi e organizzazioni si possono sciogliere, ma l'individuo è imprenditore-manager- investitore di sé stesso a vita, deve pianificare,
gestire progetti, fare marketing, gestire le risorse. Vedi Holmqvist e Maravelias (2010) e Bonomi (2005)
20 Il termine risale a Toffler (1980) - anno in cui potremmo datare il cambiamento di passo competitivo- un futurologo che ci ha
azzeccato spesso (inventò l'adhocrazia, con Bennis negli anni 60), anticipato però in questo caso da Drucker (1954), che scoprì
l'orientamento al cliente, e quindi la qualità. La produzione di un bene o servizio avviene nella filiera estesa ai fornitori e ai clienti,
combinando i flussi comunicativi dei consumatori, e oggi anche dei cittadini/pazienti, degli amministrati e della società civile.
21 Alla fin fine un bel recupero di produttività, perchè il cittadino o l'utente si affianca agli esperti di marketing o ai funzionari, con onori
ma anche rischi e oneri semigratuiti: il do-it-yourself è smart, efficiente, riduce automaticamente le «zone di indifferenza» fra vita
professionale e vita privata, incassa plusvalenze gratuite.
22 Con una inevitabile con-fusione di ruoli servo-padrone (vedi Capranico, 1992) . Il «falso sè» (produzione) si confonde col «vero sè»
(consumo): uno sdoppiamento di personalità ?
esempio nelle relazioni di aiuto o di sportello: si pensi al paziente «poco paziente» in sanità. In termini
organizzativi le organizzazioni delegano verso i lati e verso il basso, integrando l'imprenditorialità diffusa
sopracennata (La Rosa, 1995). Capitale organizzativo: la capacità richiesta è saper vivere nelle
organizzazioni e nelle communities, dunque una nuova declinazione del concetto di cittadinanza. La vita
diventa un rituale contro l'insicurezza: non è più il soggetto che aderisce all'organizzazione, ma
l'organizzazione, anche pubblica, che si plasma sui soggetti.
Certamente un consumo riflessivo e attentivo trasforma i reclami in miglioramenti, ma questi flussi sono
coimplicati coi mondi vitali (ad esempio un social network), quindi il prosumerismo diventa facilmente
biopolitico.
Inoltre oggi c’è maggiore urgenza competitiva e prevalenza del consumatore sul produttore, con un
allargamento dei ruoli: nel mondo globale occorre relazionarsi con frame culturali e organizzativi inusuali o
finanziatori lontani. Spesso addirittura instantaneità da critical mass, cioè flussi co-evolutivi autoorganizzati,
se non veri e propri «sciami» che agiscono cioè un coordinamento «naturale», quasi automatico di soggetti
semplici, senza vere relazioni ma con mera amplificazione di vibrazioni guidate dalla direzione del
movimento (Bauman, 1992 e l'eccellente fiction di Crichton, 2010). La wikinomics o i blog gestiti dai
dipendenti di una azienda, in cui si discute del miglioramento del prodotto, operano col modello software
degli agenti autoorganizzati: reti con nodi intelligenti autonomo, non soggetti ma oggetti. E' «ipertoyotismo»:
zero difetti, zero conflitti. L'autorealizzazione, il bisogno maslowianamente elevato, diventa spesso gioco e
spettacolo
23
: mancano barriere all'ingresso, lo scroccone è tollerato, ci sono scarne regole, controllo e
incentivi. Si tratta di doni che, validati dalla community, creano valore per tutti. Funziona, annullando le
interfacce di Spaltro, è organizzazione scientifica (antitayloristica) del prosumerismo. «Prosumer dunque
sono»: sono nel cloud, sono connesso ai flussi. Un mix di sconnessione e iperconnessione.
Il cambio di velocità, dovuto alla concorrenza in mercati on demand, richiede, al singolo
lavoratore/imprenditore - ma la differenza sfuma - e al territorio, di inventare, progettare, produrre, vendere e
erogare nuove commodity, ma anche saperle consumare rapidamente, creando il ciclo del bisogno di nuove.
Occorre essere molto rapidi nell'aggiornare capacità e competenze necessarie: per un lavoratore, soprattutto
autonomo/precario, la fast life è «inquinata» dall'esaltazione trafelata e compulsiva del nuovo, dalla
riflessività intraprendente turbocompetitiva
24
, dall'«urgenza di vivere». Se la vita è lavoro, è una roba seria,
non si può perder tempo
25
: nulla di male, ma lo schiacciamento del tempo dei «prosumer alla spina»,
«uberizzati», trafelati, sottrae inevitabilmente tempo all'hic et nunc (Catania 2008), e non può che richiamare
il Work Life Imbalance
26
,
I MERCATI DEI LAVORI: MARKETING DELLE PERSONALITA'
Quando parliamo di mercato del lavoro ci mancano le parole giuste
27
. Hiring segnala la temporaneità, ma
forse marketing è il termine che più si avvicina a questi strani mercati, dove si offrono tempo e competenze
di prestatori d'opera (opus appunto), in cambio di un corrispettivo, più o meno monetizzato. Marketing di
opportunità, idee e competenze, in cui affiora necessariamente la soggettivazione, sopra accennata, da
impresa, il sapersi vendere, il saper recitare. Il ruolo, la persona come maschera che prevale sul sé. Ma
marketing, come gerundio
28
, è processo e risultato, comprare e vendere con criterio, andare al mercato con
le idee chiare su cosa si vende e cosa si cerca. Occorre fiducia: quasi sempre compri o vendi «al buio»,
vendi te stesso o noleggi uno sconosciuto: occorrono relazioni fiduciarie a monte
29
. Si tratta di reti di flussi di
relazioni di scelta «commodificate», continui, rapidi e complessi, con informazioni scarse (e scarto di infinite
altre possibilità), una rete di flussi di community, sociali
30
. Mercati adatti agli audaci e agli impulsivi, e i fragili?
23 La gerarchia dei bisogni di Torvald, il creatore di Linux: 1. Sopravvivenza 2. Relazioni sociali 3. Divertimento.
24 Il prefisso indica una curvatura innaturalmente iperbolica, eccessiva per i ritmi «naturali». Come obiettivo: al massimo sarà poi
lineare, o logaritmica come la vita. Una velocità che richiede decisioni rapide, tagliando via le alternative, e quindi in fondo
antidemocratica perchè democrazia è paziente tessitura, compromessi, lotta per egemonia, processi partecipativi appunto, tutte cose
che in impresa non ci sono, decide uno solo o il teamtheinking, perchè non c'è tempo.
25 La Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie che deve correre, o i Papalagi che non hanno tempo (Scheuerman 92).
26 Davvero crinale cruciale, tema che richiama le Pari Opportunità, le differenze di genere nella salute, il carico dei lavori di cura e
dell'oikos mal distribuiti, un turnover troppo rapido di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro che riduce gli investimenti affettivi
stabili. Si pone un problema politico centrale, non colto, di compatibilità vita-lavoro, perchè poca formazione è rischio di esclusione
sociale.
27 Domanda qui è chi compra, e offerta chi vende. Stranamente i due termini sono invertiti, e infatti facilmente si confondono. E' il
produttore (il lavoratore) il soggetto debole e non il consumatore: occorre la protezione dei diritti dei produttori.
28 Organizing è organizzare e essere organizzati. Learning, well-being, empowering, participating sono processi fondati su capacità di
autodiagnosi e automiglioramento, individuali e collettivi: sono, nel pragmatico inglese, gerundi, cioè fini che coincidono con le attività
stesse.
29 Pensiamo ad esempio alle società di selezione: l'impresa si fida del fornitore, del selezionatore interno, della preselezione del Centro
per l'Impiego o della segnalazione. Analogamente per la formazione o la consulenza: ci si fida della reputazione dell'Agenzia o del
professionista. In un concorso ci si fida della trasparenza. In realtà il processo di matching, basato sulla fiducia, è tutt'altro che ottimale e
scientifico.
30 Non molto dissimile da Linkedin, che fa da servizio di intermediazione lavorativa basato essenzialmente sulla fiducia, visto che è
virtuale.
Ignorati, anzi la paura di essere eliminati - si dice- motiva il darsi da fare.
La risorsa scarsa intermediata è il tempo di vita esperto, professionale, competente: la personalità
economica appunto. Si cambia allora vita, impiego, mestiere, senza (o con) drammi, nell'era della
multiattività, di vite industriose in cui tutto è potenziale lavoro e potenziale apprendimento, anche una
vacanza o il gioco. Potenziale da sfruttare, giacimento da scoprire (o riscoprire riattualizzandolo). Capacità di
intercettare i flussi e di lanciarli, cioè segnalare la disponbilità. La forza dei legami deboli (Granovetter, 1974)
reinterpretata come saper muoversi anche in reti corte: certo, un vantaggio competitivo per l'Italia.
Un servizio al lavoro e al long life learning è quindi una doppia consulenza di marketing che riduce il
mismatch competenze-impieghi e quello fra flessibilità lato offerta e lato domanda, «incanalando» gli attori
nel loro costituzionale ruolo sociale. In particolare per il lavoro autonomo-precario con debole capitale socio-
relazionale, il commerciante senza clienti, vetrina senza merci: il commercio vive di relazioni. Ecco il Long-
Life Learning, anche ritornando sui propri passi: non solo aggiungere, ma anche recuperare vecchie
amicizie, vecchi lavori, vecchie esperienza e riadattarle.
I mercati del lavoro vanno resi comunque in primo luogo trasparenti, perchè non si trattano più
transazioni capitale-lavoro: si «noleggiano tempi di vita», giorni-uomo, quindi occorre regolare il commercio,
riequilibrare a favore dei più deboli, dare informazioni, articolare i flussi per favorire l’incontro diretto fra i
prosumer. Uguaglianza e solidarietà, come detto, sfumano perchè si cercano proprio le differenze, ma qui si
comprende facilmente come la condivisione sia anche, oltre che un principio di uguaglianza, una soluzione
smart.
DAL LAVORO AI LAVORI/ATTIVITA'/COMPETENZE
Come contraltare al disagio della precarietà (Kilborn, 2009) assistiamo ad un'altra transizione, faticosa ma
certamente epocale
31
: lo slittamento fra lavoro e non lavoro e dal Lavoro ai lavori, alle multiattività life-
friendly (sport, cultura, sociale, relazioni, salute, hobby, arte, ricerca, ricreazione, ma l'elenco in realtà è
immenso), un tempo considerate extralavorative (la leisure class di Veblen).
Alla domanda ˝che fai nella vita˝, la risposta è spesso multipla
32
: un salario (spesso misero) e altre attività
“laterali” di tipo amatoriale, associativo e sociale. Permane invece, soprattutto nei decisori pubblici, la
vecchia idea della monospecializzazione, della professione: l'idea che al lavoratore sia associata per sempre
una sola attività lavorativa
33
. Invece il tema delle multiattività corre da tempo sotto traccia, e assume forme
creative, alternative e sociali come la sharing economy, il basic income di cittadinanza societaria, le monete
locali, le Banche del Tempo, l'invecchiamento attivo mediante il volontariato civico, il welfare di community, i
congedi per attività sociali, il volontariato esteso e riconosciuto come credito formativo o validazione di
competenze, il «sospeso», il dono non immediatamente da restituire. Forme di autoorganizzazione,
autoproduzione/autoconsumo, condivise o cooperative, finalizzate a vite ben impiegate, socialmente utili,
buone. Favorite dalle tecnologie che certamente in questo caso sono davvero abilitanti.
Certo, tema ambiguo (ad esempio riduce le entrate tributarie), come abbiamo visto ambiguo
34
è da sempre
il tema del Lavoro. Tempi e lavori ripartiti riconfigurano le società con forme di clan sui bordi del mercato
35
.
Se pensiamo del resto alle attività di aiuto o di relazione, o al terziario creativo amatoriale, non abbiamo solo
opus libero, per sé: c'è un mercato potenziale di protoattività indipendenti, di competenze imprenditoriali
atomizzate fino a scomparire nelle vite, e poi ricomposte. Attività liminali ma che, sommate, contribuiscono
sempre più all'affermazione di soggetti, anche collettivi, indipendenti o come prove di reddito o professione.
Il lavoro, compresso perchè «turboprosumerizzato», tracima quindi dal mercato del Lavoro (maiuscolo) e
diventa vitale, crea nuove organizzazioni, nuovi lavori, e anche un de-investimento dal Lavoro in senso
stretto, in chiave di recupero psicofisico da lavoro stressante. Nuovi lavori come occupazione e formazione
continua on-the-job, quindi, ma il nodo pratico è l'organizzazione, il pooling di risorse (informative, di aiuto,
Banche del Tempo, cohousing, coworking, «co-vita»), e anche una nuova rivendicazione di spazi e tempi
collettivi. Nella società delle multiattività, alcune hanno maggiore utilità pubblica, ad esempio proprio
orientamento e formazione: occorre un riconoscimento pubblico, politico, delle competenze e attività
emancipanti e socializzanti, ripartendo tempi e attività, certo senza far concorrenza su mercati (Laville,
31 Vedi (Gorz, 1997), ma prima di lui diversi teorici della liberazione dal lavoro alienato. Il comunitarismo di Gorz in fondo è sostenibile
perchè modulabile in estensione sociale. O per dirla alla Sen, è una choice, multipla, in cui scegliere più strade, con capabilities e
functioning multipli.
32 ˝Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose˝, come Ecce Bombo
33 Si badi: tale idea, nobile perchè risalente all'etica professionale, è presente in vari settori, dove non è raro trovare persone che per
tutta la vita hanno svolto la stessa attività. Ma la cosa curiosa è che tale schema è presente anche nel privato competitivo, e permane
molto più a lungo di quanto si pensi anche come modello mentale nello stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life
Learning fa fatica a emergere perchè fa saltare questa impostazione rigida, ma questo salto appare, denso di rischi, paure, ansie, viene
esorcizzato e tenuto nascosto.
34 Dalla certezza all'ambiguità: una lenta conquista? (Quick, 1993)
35 Le innovazioni nascono spesso da saperi, spazi e tempi considerati «inutili», o dall'assorbimento di comunità di pratiche hobbystiche
alternative, ad esempio la microelettronica nella controcultura californiana degli anni 70 (Revelli, 2001) o ai giorni nostri il dark side
della creatività nel caso dei derivati e delle assicurazioni creative.
2000). Riconoscere al datore di lavoro il tempo del dipendente per attività sociali e incentivare la
responsabità sociale delle imprese. Le cooperative di consumo come prosumer collettivi? Basic income
come diritto al benessere minimo di cittadinanza, a non essere cacciati unter, a poter vivere una vita
decente, diritto alla salute minima di cittadinanza societaria. Basic welfare (formazione e lavoro, mobilità,
casa, nutrimento, socialità) di risorse minime garantite a tutti, un vero livello essenziale di prestazione,
capacitante, perchè condizione di vita, investimento sociale.
In questo senso se perdi il lavoro c’è un know how, e un know who, rivendibile. I lavori sono un gioco a
somma variabile dove tutti guadagnano: reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori ripartiti. Una società che
valorizza i prosumer che produce, messi al lavoro per la società - società appunto, soci alla pari - perchè il
prosumer produce social innovation, solo che il sociale è dominato dall'economico, è ridotto
36
. Siamo nell'era
economico-sociale più che socioeconomica, del Lavoro «a socialità limitata». Il paradosso del
precario/autonomo, e del disoccupato, è che il tempo liberato può essere usato per formazione, volontariato
pubblico, socialità, salute, famiglia, altri lavori, mentre è dissipato. E questo vale anche per il pensionato.
Il lavoro è mortificato in schemi economicistici
37
, ma ci sono attività non monetizzate, redistribuibili a tutti,
«vite al lavoro pubbliche». Si può trovare il modo di occupare le persone in attività che piacciono e
guadagnarci tutti: basta organizzarsi. Anziché formazione finanziata, lavori finanziati, diritto a una vita
multiattiva, alla multiprestazione, congedi per attività pubbliche, bandi mirati, possibilità di variare lavoro, più
multichoice del tempo extralavoro. Nei Centri per l'Impiego si possono utilizzare dei volontari, il tempo libero
ha immense praterie di utilità sociale, e di cittadini lavoratori insaturi. Il volontariato civico va organizzato (si
pensi alle migliaia di opportunità di volontariato all’estero rispetto alle poche da noi), è un moltiplicatore di
lavori e servizi pubblici, attività artistiche, culturali, sportive che non sottraggono nulla al mercato, e anzi
possono essere preincubatori di imprese. In città ma non solo: certo occorrono spazi e e tempi, iniziativa,
strumenti e locali a disposizione, nuovi modelli di vita e sistemi locali di sharing.
LA POLARIZZAZIONE DELLA FLESSIBILITA': CHI INVESTE E CHI E' INVESTITO
La disoccupazione/inattività convive con la sovraoccupazione/sovraattività, ma la divaricazione cresce.
Vite dense, energizzate al limite, autonome. Ma anche, si è detto, molte vite inutili, rarefatte, eteronome. Il
multiattivo senza tempo, assediato dalla «fiera delle opportunità», confina con la paralisi regressiva, l'inattivo
con vita vuota e tempo sprecato in allontanamento dalla cittadinanza, ostile allo straniero e allo Stato, che
non chiede aiuto. «Up and Out»: la polarizzazione evidenza la mancanza di solidarietà per gli esclusi, ad
esempio interi territori o le generazioni anziane. Pensiamo alla assenza di solidarietà fra territori. Quale
equità e soprattutto quale reciprocità, se c'è chi non lavora e chi lavora per dieci ? Ecco quindi il counselor
per capire se si è all'altezza, la ricerca di chi decida per te, il ritorno a forme premoderne rassicuranti,
comunità simboliche, emotive, rituali, spettacolari, con scarsa relazione vera
Diseguaglianze (pare crescenti) non solo di reddito, ma di redistribuzione della risorsa chiave: il
tempo di vita competente, fino a delineare una società a due velocità: il multilavoratore globale con poco
tempo e molte competenze (cronofagico), e l'inattivo locale, con molto tempo e poche competenze. Abbiamo
peraltro anche molti sovraqualificati sottooccupati, e pure sottoqualificati iperoccupati.
Per i soggetti che della flessibilità sanno cogliere
38
, in modo benestante
39
, opportunità per lo sviluppo, le
«vite-lavori», oltre che merce, sono «vite attive» (Arendt, 1964), vettori di functioning (achievement) di
qualità, vite «impoterate», e valore aggiunto selfpropelling circolante
40
, dono più o meno ampio per l'intorno
sociale. Identità anche collettive e bene comune che aumenta le capabilities territoriali, cioè le capacità di
functioning collettive, la qualità delle vite. Vite belle, non tutte mercificate. Ad esempio una startup è perno di
identità collettive locali, vite che consumano e ricostruiscono risorse, anche se con una certa resistenza di
spazi per sè e per i propri gruppi primari, a non condividerli. O ad autogestirli nei tempi, come evidenziato
nelle multiattività. «Vite-lavori» che sviluppano identità e autostima, che realizzano desideri di gratitudine,
36 Lean, la produzione snella, ridotta al minimo, è parente di strain (rottura), cioè l’organizzazione si può «rompere».
37 Ad esempio è illogicamente occupato chi ha lavorato un ora nella settimana di rilevazione ISTAT, mentre è disoccupato chi fa il
volontario a tempo pieno.
38 Choice alla Sen (1986).
39 Benessere (Spaltro, 1984) come sentimento di stupore che incontra la vita nel traversare le interfacce psicosociali. Spaltro distingue
tre livelli di funzionamento sociale (coppia, piccolo gruppo, organizzazione) e tre interfacce (A fra individuo e piccolo gruppo, B fra
piccolo gruppo e organizzazione, e C fra organizzazioni). Si veda Cerrina Feroni (2013). Il modello si basa sulle resistenze, nel
passaggio delle interfacce, che presentano aspetti di regressione e progressione, di difesa (in-dipendenza) e socializzazione, di
chiusura e apertura. Le interfacce sono «manopole» di navigazione sociale, un va e vieni, un sali e scendi, una boccata d'aria e una
difesa dall'inghiottire l'acqua, una corrente alternata simile all'oscillazione delle maree, fra minore a maggiore densità sociale, fra
identità a appartenenza. Duali perchè, lewinianamente, «zone di passaggio»: il loro attraversamento (il trattino dell'interfaccia), è freno e
avvicinamento, autonomia e integrazione. E' benestante se accade senza impazienza, capace di «digerire» frustrazione e dissenso, di
«abitare» le dualità senza urgenza di unificare o scindere, sapendo «so-stare» nei conflitti. Un concetto parente dell'empowerment, ma
che evidenzia le belle relazioni e il bellessere: potremmo dire più di nucleo strategico, per il soggetto. La riflessione di Spaltro è
pluralizzante, parte dagli anni '70 e si fonda col decennio di modernizzazione (1957-67), la scoperta del soggetto e dello stile
partecipativo-democratico. Vedi anche i lavori seminali (Bennis, 1969) su salute organizzativa e sviluppo organizzativo.
40 Capitale circolante - visto che la metafora è economica- cogliendo con questo termine anche .la rischiosità dell'operazione.
legittimazione, reputazione e dignità di ruolo pubblico. Benessere è accettare e giocare la sfida collettiva,
nucleo culturale, processi e pratiche (anche i processi partecipativi) che animano la dinamica della
convivenza promuovendo, mantenendo o migliorando salute e qualità della vita. In Avallone (2005) troviamo
gli indicatori del malessere (scarsa fiducia, scarsa choice, conflittualità negativa, comportamenti indesiderati,
diminuzione del senso di appartenza e della creatività).
Circuiti virtuosi (buonessere, vita buona, di chi dà una mano ed è solidale con l’inattivo,vita degna, vitale,
socialmente responsabile) generati anche a partire da quelli viziosi
41
(mala-vita, malessere, vita indegna e
irresponsabile), e viceversa.
Alcuni esempi di contaminazioni malestanti:
 Diffidenza: quello che imparo lo impara l'altro (potenziale concorrente), che mi osserva
 La socializzazione è munus da restituire, da cui disfacimento dei legami sociali e schiacciamento
eccessivo sull'Altro
 Lo spillover dei modelli mentali, ad esempio il volontariato che serve a migliorare la propria
occupabilità
 Il sentimento del potere che «stinge» verso l'egopatia e la volontà di potenza
 Ansia, ad esempio dei genitori che non possono offrire benessere (potenziale) ai figli o ansia di
inserirsi con un post nei flussi Last In First Out
 Attacchi di panico, uso di farmaci per indurre attenzione o provocare/attenuare emozioni (doping da
benessere)
 Esaurimento e collasso psicosociale, dall'organizzazione dell'Io fino alla lacerazione di convivenza e
cittadinanza di interi territori
 Surmenage: vivere una «vita da detective», ad esempio le idee che sorgono fuori dal lavoro e
l'eccesso di rischio
Il malessere è rischio di sostituibilità, paralisi, regressione, terrore di essere messi da parte, resistenza a
essere misurati. Sconfitte vissute come vergognose, supereroi performanti che celano il loro doppio: l'utente
risentito, ipercritico, gli scatti di collera, l'aggressività, gli attacchi alle routine, l'odio-invidia per l'impiegato
pubblico. Si subisce l'irritazione dei familiari, si è evitati socialmente, si è considerati pigri e incapaci. Non
essere presi in considerazione nei colloqui di lavoro è emotivamente pesante, perché si misura la distanza
da performance o corpi inadatti. Non c'è lavoro, cioè che vivo a fare? Sono solo un peso, sono escluso dalla
bella vita.
Il malessere sorge da una cronica oscillazione fra iperattenzione sovraeccitata, intossicata e sregolata da
choice obbligata (non libera di non choice), e lutto depressivo perenne
42
. Sé grandioso e sé disintegrato:
vacilla il ragionamento ponderato, in una schizofrenica caccia all'inconsueto
43
. La «turbovita» mal si concilia
(per molti) con la stabilità psichica, da cui derivano difese nevrotiche (regressive) e paranoidi (identificazioni
proiettive, e odio per la vita come «mancanza a benessere»
44
.
Lo smarrimento identitario, il ruolo troppo «srotolato» si disfa, e rende difficile ricomporre un nuovo ordine,
cioè ordinare i frammenti identitari in uno stile di vita personale stabile. In altre parole la difficile formazione, o
erosione delle personalità (Sennett, 2000), che mina le basi per la sua riproducibilità.
Il rischio rottura è dovuto a strain breveperiodisti di obbligo performante
45
di Long Life Learning, all'infinito
self-enhancement, al dover «stare al passo». I soggetti vengono energizzati, benesserizzati, empowerizzati
(forzatamente lievitati, per usare una metafora culinaria) oltre i limiti «naturali» e possono «strapparsi»
46
.
Usando il modello di Antonowsky (1978) - che vede forze stressanti che impoveriscono e forze di coping che
resistono- il coping, sociale e individuale, può non reggere e l'eustress viene sopraffatto dal distress.
Fronteggiare è risorsa consumabile: troppi stimoli generano sovrabbondanza a essere. Cresce il benessere
per pochi resilienti, che ispessiscono le loro vite, suscitano e saturano desideri, ma in spirali oscillatorie che
esondano dalle capacità bio-psicosociali
Questo «disagio della precarietà» - unsafety
47
più che unsecurity - declina il lavoro (per fasce crescenti più
escluse o isolate), come malessere psico-sociale: disoccupazione/malaoccupazione, fallimenti personali o di
impresa, «incompetenza» e burnout generano malattia e esclusione sociale (e viceversa)
48
.
Il benessere è, al contrario, saper girare intorno al raggiungimento possibile del desiderio, senza fretta, fra
41 Cioè gramscianamente rovesciare (allora il nascente fordismo, oggi il postfordismo)
42 Cambiare (i formatori degli adulti lo sanno bene) è uccidere il «vecchio»
43 Lo schizofrenico perde appunto la vita quotidiana: il senso cmune diventa non comune.
44 In Lacan la «mancanza a essere» è odio per il simbolico che non rende liberi, odio per la vita, per il debito, munus con la comunità,
la negazione della dipendenza dall'altro come ordine e limite (Recalcati, 2010).
45 Dal superuomo all'uomo sovraeuforico?
46 La «fatica di essere se stessi» (Ehrenberg 1999)
47 Cioè non si sa se il prossimo lavoro sarà meglio o peggio, non si sa quale sarà, non si sa quanto ci vorrà a cercarlo,
48 “Oggi una parola chiave dei nostri pazienti è lavoro. I pazienti parlano in modo angosciato del fatto che non c'è più lavoro [..] lavoro
diventa la parola chiave per rifondare la parola desiderio. Si capisce allora che c'è stato uno spostamento radicale rispetto agli anni
Settanta dove il desiderio era un'alternativa al lavoro, mentre oggi il lavoro è la possibilità di dare un senso al desiderio” in Recalcati
(2013).
passato e futuro. E' stupore, senso di imminenza estetico per la trasformazione di capabilities in functioning
che si sta per compiere. E' conflitto accettato
49
, desiderio di investire e paura di farlo, all'interno di un
sentimento di futurità e padronanza del sé e del contesto, cioè sentimento del potere, di mastery, di agency.
Per Spaltro è anche belle relazioni (gruppare, organizzare) e bellessere, cioè «plus-essere», desiderio che
si colora, Sabato del Villaggio, sorpresa nel sentire di passare dall'impasse allo spiraglio, di «scollinare» sui
crinali soggetto-oggetto, separazione-unione, incertezza-sicurezza, assenza-presenza, amore-odio, vita-
morte. Benessere come salute, welfare, come capacità di essere organizzati- nel senso dell'antica Roma- e
di occuparsi della debolezza con la cultura della forza. Riflessioni, come si vede, centrate sulle tematiche
prima accennate. Per Spaltro l'attraversamento delle interfacce psicosociali è cross-fertilization di energia:
nel benessere l'energia fluisce, si moltiplica, mentre nel malessere defluisce, rifluisce e si scarsifica. Il
benessere, nella af-fluent society è ri-fluente, in-fluente, con-fluente e de-fluente, si autoalimenta ed è
potenzialmente illimitato. Ma più le interfacce sono abitate e fluidificate - oggi si cambia spesso gruppo,
organizzazione e territorio - più sono facilmente traversabili, ci si abitua e si innesca quindi una corsa al
rialzo?
Il malessere del benessere, il «benesserismo» (Cerrina Feroni 2014) è il «turbobenessere» che,
biopoliticamente, vira troppo verso la sfera produttiva. Una lettura neoapocalittica che evidenzia il malessere
di una spirale perversa di scarsificazione del benessere che, spinto all'eccesso, scolora nel suo opposto.
Passato l'incanto del trentennio postmoderno (del benessere come well-being?), siamo ora nell'era del
disincanto?
50
L'attenzione oggi è sulla qualità della vita-lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma tali
elementi sono incorporati in prodotti e servizi (il wellness ad esempio è un prodotto), di cui siamo a nostra
volta i turboprosumer che alimentano il ciclo. Beni che finiranno, anche se pubblici come i beni relazionali,
mercificati. Da cui un baumaniano retrogusto amaro di «vita a caccia di benessere» che non è tutta vita
buona, perchè si consuma
51
. Dal «diritto a perseguire la felicità» alla «spinta gentile» verso l'ultrabenessere.
La velocità eccessiva del ciclo desiderare-essere-avere (di per sé positivo, ovviamente) finisce per invertire
normalità e eccezionalità, alzando l'asticella verso una efficienza forzata. Il rapido godimento del benessere
ne fa desiderare sempre di più, ma l'andamento, necessariamente sismografico (come quello dei mercati
finanziari), produce forti sbalzi di malessere
52
. Un limite di velocità: oggi si occulta il benessere per paura
dell'iperbenessere? Se interi territori competono sugli indicatori di benessere e qualità della vita, i soggetti
sono forse più assoggettati (sub-jectum) che autonomi (pro-jectum).
La frustrazione di una avventura agonistica senza fine produce, alla lunga, effetti patologici (Recalcati,
2010), che si notano, sotto traccia, negli interventi di formazione e orientamento:
 Vite «spolpate», smarrimento, ritiro nelle «passioni pallide», paralisi da in-capacità magico-fatalista
 Vivere alla giornata aspettando il biglietto vincente alla «lotteria della vita»
 Mostrare emozioni finte e nascondere quelle vere (rabbia e aggressività)
 Risentimento e ipercriticità invidiosa per le qualità meno raggiungibili, come quelle cognitive, e
rancore per l'altro flessibile che sostituisce il prosumer difettoso (lo straniero) o l'altro
iperbenesserizzante (l'intrusione burocratica nelle vite, il sindacato, ma anche in parte il Terzo
Settore di vecchia generazione)
 Il riaffiorare di paure primarie (far brutta figura, non farcela, essere traditi, abbandonati, maltrattati e
malconsiderati) e di Sé passati da riattualizzare (Caligor, Kernberg e Clarkin, 2012)
 Anaffettività: vita vuota se «esci dal Reality», come in Reality di Matteo Garrone.
La «cum-fusione» fra ruoli pubblici (paterni) e privati (materni) determina un sovraadattamento longlife
all'altro e al sé precoce: lo smarrimento identitario rende difficile fissare i frammenti identitari dei sé multipli
derivati dalla miriade di esperienze. Essere, vedere e sentire in luoghi diversi, fare tante cose insieme:
«intra-viduo» (Conley, 2008) e «multividuo», con adolescentizzazione forzata e consumo di self-efficacy. Da
cui seguono (La Barbera, Guarnieri e Ferrario, 2009) :
 Frammentazione del senso di sé e dell'altro
 Rimozione, burnout, perdita della gioia di vivere, distacco e fuga dal reale
53
che non corrisponde alle
aspettative
49 Conflitto «che lavora per noi» (Metcalf 1942), «capacità negative» (Lanzara, 1993), o ancora prima con Keats e F. Scott Fitzgerald,
con uno sguardo binoculare («e-e» più «o-o»), con gli occhiali dell'uno e del molteplice. Conflitto che invece terrorizza l'infante, che
infatti attiva le difese primitive kleiniane schizoparanoidi e depressive.
50 Prima era la voglia di sfuggire all'ordine, il disincanto dell'ordine. Oggi è l'inverso, voglia di sfuggire al disordine, disincanto del
disordine?
51 Sentimento che colpisce anche gli operatori dei servizi di formazione, orientamento e consulenza. Chi deve motivare è spesso a sua
volta precario.
52 Lo stesso paradosso di Easterlin (1974), cioè la curva del benessere che tende a decrescere con l'aumentare del reddito, segnala
una contraddizione: potremmo parlare di limiti del benessere, parafrasando i limiti dello sviluppo di marca ecologica. Una versione
«umana» della «tragedia dei commons» (Hardin, 1968), una estensione delle colonizzazioni moderne (il Nuovo Mondo o il taylorismo)
alla «recintazione» del comportamento (alla Goffman, cioè recitante).
53 L'hikikomori giapponese: giovani che si ritirano per anni in solitudine estrema.
 Ipernarcisismo euforico, avido e juissance dissipativa, onnipotente e mortifera
54
 Malessere organizzativo: distorsione, proiezione e rimozione del conflitto vita-lavoro (Fraccaroli,
2011)
 Gravi disturbi alimentari e uso di sostanze per attenuare l'ansia o essere artificialmente euforici e al
top
 Esasperata coscienza di sé e dell'altro, ipertrofia cognitiva e disfunzione del senso comune di tipo
schizoide o melanconico
55
La domanda a questo punto è: come rendere l'«ipervita» del Long Life Learning compatibile col bios ? Quale
welfare? Quale ruolo per le community locali ?
NUOVE VULNERABILITA': I SOPRANNUMERARI DI SISTEMA E LE PRATICHE DI
POTENZIAMENTO/AIUTO DA 0 a 80 ANNI.
I nuovi profili di rischio sociali riguardano sfere un tempo considerate private e segmenti sociali.
tradizionalmente garantiti. Numerosi studiosi
56
segnalano una «tragedia tranquilla» di disaffiliazione e
sfilacciamento sociale che colpisce più i ceti mediamente benestanti che le tradizionali fasce di malessere e
povertà, più abituate alla lotta per la sopravvivenza. Un precario deve aggiornarsi, ma anche cercare lavoro,
produrre e rendicontare: non c'è tempo mentale per giocare, leggere, camminare, partecipare alla vita
pubblica. Nei nuovi Sisifo che non reggono l'imperativo di McClelland della achieving society, emerge allora
un sentimento di rischio di irrilevanza/sostituibilità, non ci si sente riconosciuti, amati (l'autorealizzazione è
attenzione da parte dell'altro). Ci si sente «cattivi investimenti» in capitale sociale e uman, che non
restituiscono valore: aziende in crisi, aree a sviluppo ritardato, aree interne
57
, gli helplessness. Risorse
umane
58
scarsificate nelle capacità di riconoscere e fronteggiare problemi e opportunità, con rapida
elaborazione riflessiva di azioni e nuovi desideri, perchè queste capacità non sono state ricostituite dopo il
consumo. Gli intrappolati nella rete (come contesto sociale), che non hanno più voglia di combattere, i
«reduci». I molti over45 in difficoltà a ricollocarsi sul lavoro, ma anche, in forme diverse, vaste fasce giovanili.
Il soggetto perde spessore (Bologna, 2011), paralizzato dalla sensazione di scalare una montagna troppo
alta: subentra una personalità artificiale «come se» di Helen Deutsch (un misto di aggressività e passività, di
amabilità e cinismo), nella volontà di desiderare di appropriarsi e mobilitare le risorse, perchè il gioco è un
«campo minato» che alimenta il divario aspirazioni-opportunità reali. Mazzoli (2012) parla di sfibrante
soggettivazione della povertà: essere presi in carico dai servizi è vergognoso e umiliant, perchè implica un
senso di inadeguatezza. Chi resta indietro è dunque anche fuori dalla formazione, è solo, non è raggiunto,
non partecipa alla vita civile.
Poveri da disallineamento col turbosviluppo, con idee di sviluppo distorte e frustrate dal veloce adattamento
alle competenze necessarie: molti rimangono «indietro», non sono più adatti alla turbocompetizione,
diventano soprannumerari. Si tratta, inizialmente, di un disagio, di una paura, di un sentimento di
vulnerabilità, di non saper fronteggiare lo spiazzamento, che poi sfocia gradatamente nella povertà e
nell'esclusione vera e propria. Una non autosufficienza nelle «vite-lavoro». Fasce sociali con buona
scolarità ma basse competenze riflessive, e bassa riconvertibilità di competenze. Soggetti isolati socialmente
(anche imprese e territori, magari coesi all'interno) o che per tradizione familiare o locale sono rimasti a un
modello «moderno», cioè a un «impiego» ben distinto dal non lavoro o dalla vita personale. Soggetti e
organizzazioni con velocità minore di cambiamento, non distribuiti ugualmente sul territorio, dispersi e difficili
da intercettare, perchè non hanno elaborato i lutti per la scomparsa del mondo in cui abitavano, cioè non
mostrano una domanda, non si rivolgono ai servizi. In «esodo silente dalla cittadinanza», con i tratti talvolta
del risentimento, e coi quali è difficile condividere i servizi da offrire. Si tratta di trovarli, coinvolgerli, ragionare
con tempi lunghi caso per caso, territorio per territorio, e intervenire, in modo coordinato e partecipato, senza
sbagliare, proprio nel punto più delicato del sistema sociale.
L'errore fondamentale è considerare questa utenza solo come individui: sono gruppi sociali, micro imprese,
piccole organizzazioni, anche nel Terzo Settore, sono interi territori locali: i livelli di funzionamento sociale e
di empowerment individuale, organizzativo e sociale sono intrecciati, e l'intervento di aiuto qui davvero
richiede un analogo intreccio di competenze.
I “RECALCITRANTI A ESSERE MEZZI DI AZIONE”: INVULNERABILI O PARASSITI ?
Analizziamo anche, per completezza, le minoranze contrarie al benesserismo. Che, abbiamo già visto con
54 Il Salò di Pasolini.
55 Qui rovesciato, è amore-odio per la routine, palude dell'essere-lo-stesso, figura molto presente nei Centri per l'Impiego.
56
Ranci (2002), Borghi (2002), Castel (2001), La Rosa (2005), La Rosa (2003), Zamparini (2011), Goodin (1985)
57 3/5 del territorio italiano
58 Da ressortir, in francese riuscire a cavarsela.
l'economia del dono, si possono trasformare in forze positive
59
. Soggetti con stili di vita obsoleti: vite
compassate, disinteressate, «dolenti o nolenti», ben oltre la normale resistenza dell'adulto al cambiamento e
all'apprendimento. Chi mostra rigidità, cocooning / social loafing (apatia) al disordine ipermoderno, chi si
chiude ai flussi e rifiuta una «vita da prosumer» e di invecchiare attivamente. Chi mostra prudenza di fronte
all'innovazione letta come «ex-novazione», atteggiamenti di stagnazione psicosociale («non-essere-gettati-
del-tutto») o chiusure identitarie a sé stabili, familiar-comunitari, rassicuranti. Certamente qualità che danno
sicurezza, ma minano l'autonomia e sterilizzano le capacità. L'esercito di riserva al contrario: i non
competitivi che si limitano alla performance minima vitale o praticano il soldiering
60
. L'aurea mediocritas delle
organizzazioni («in-competenza», «dis-organizzazione», disturbi di apprendimento organizzativo, «in-
azione», organizzazioni inospitali
61
).
Anche soluzioni di exit, come non espropriabilità del proprio, resilienza come resistenza alla rottura, o
forme devianti di riproposizione di schemi non produttivi (Centri Sociali), fino all'aperta rivolta regressiva allo
stadio primitivo o al sabotaggio, certamente qui autolesivo.
O – all'opposto - tratti conservatori/premoderni nostalgici (umiltà, rispetto, onore, la ricerca di guru, le sette)
o populisti. Ma dissenso e critica aperta al turbobiopotere hanno poco spazio e molte forze antagonistiche-
libertarie vengono presto riassorbite
62
. Raffinando l'analisi potremmo chiederci: se la vita è biopolitica, cosa
residua? Qual'è la frontiera di resistenza? Quale «vita minima», «vita buona»? Chi è oggi l'«Uomo senza
qualità»? Quali sono le incomprimibili «competenze proprie»? Quali relazioni sociali minime? Il familismo è
davvero amorale? L'ora di vita inoperosa, la noia, l'ozio
63
, l'ignavia (Oblomov). Chi consuma prodotti
antiquati: l'ecologista autarchico, il raccoglitore. L'entropia, per l'appunto biologica.
.
Certo, tratti oggi socialmente negativi. Ma anche - entrando nella pars costruens - il pudore, la modestia, il
dubbio, la pietas, l'etica del lavoro, forme societarie gratuite, vere reti sociali e veri amici (non quelli di
Facebook), l'autentico «mi piace». Il soggetto «in-sè» e non solo «per-sè». Certamente l'in-dipendenza e l'in-
dividualismo democratico.
NUOVI DIRITTI/DOVERI E NUOVO WELFARE
Incontrare la vita da prosumer riconfigura il privato (la ricerca di lavoro, l'autoformazione e le relazioni nei
gruppi primari) in forma di nuovo argomento pubblico, e viceversa fa evolvere gli interessi pubblici in nuovi
diritti (al learning e all'orientamento long-life) anche per i soggetti collettivi. Si aggiungono sfere pubbliche,
altre si privatizzano: il welfare evolve perciò in modo analogo verso forme di cambiamento solidale, che non
lascia indietro i vulnerabili, con dimensioni ibride, amicali.
Nuovi rischi, nuove vulnerabilità e nuovi servizi implicano anche nuovi diritti/doveri (Paci, 2007) e una
riperimetrazione o ridefinizione del welfare (che nella dizione anglosassone è benessere). Certamente oggi
con un contributo maggiore della società civile e del no profit, e una regolazione maggiore dei privati e del
Terzo Settore. Mentre però il welfare tradizionale fu conquistato dopo aspre rivendicazioni operaie, i nuovi
servizi sembrano rientrare piuttosto nelle politiche di sviluppo.
Il Long-LifeLearning («in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale»), il
LongWide Learning e l'Orientamento Long-Life, contraltare alla sempre più rapida innovazione, poggiano
ovviamente sul solido terreno dei diritti all'istruzione, al lavoro, alla salute, e in generale della realizzazione
della persona umana, «anche nelle formazioni sociali», e ne sono la naturale evoluzione. Ma quale sharing,
fra gli attori sociali locali, di questo nuovi doveri (inderogabili) di solidarietà sociale?
E come reinterpretare sicurezza e salute (e benessere) in transito dai posti di lavoro alle vite intere?
Rileggere il personalismo («rispetto per la dignità della persona umana») e il concetto di «integrità
psicofisica»? Quale welfare e quali standard minimi di certificazione, di competenze, e di qualità dei servizi?
. E' però evidente la sottovalutazione del nesso causale, nei due sensi, fra salute/sicurezza sociale e
LongLife Learning/Occupazione. Ma. come detto, il welfare attualmente non prende in considerazione i
giacimenti di competenze inutilizzate. Welfare senza lavoro, welfare dei lavori: il primo passo è il mutuo
soccorso, riconoscere cioè che il problema è collettivo.
Nuovo Welfare
64
: cosa vuol dire welfare di cittadinanza marshalliano-beveridgiano oggi? Come mediare
59 Come nei film dei Fratelli Coen (˝Grande Lebowsky˝, e, ancor più ˝L'uomo che non c'era˝) o pensiamo al rovesciamento biopolitico
dell'autonomia radicale del '77 (radio libere, rifiuto del lavoro salariato, creatività, socializzazione).
60 Il frenaggio della produzione anticottimista studiato da Roy negli anni 50 (Bonazzi, 2002), il ca' canny, lo shirking, l'inosservanza
funzionale delle norme per evitare l'abbassamento dei tempi.
61 Non dobbiamo mai tralasciare il lato della domanda: le organizzazioni, in cui si notano opacità, fazioni, doppi giochi, finte,
accomodazione half-hearted, far finta di impegnarsi o in-efficacia disfunzionale. Organizzazioni formali, fredde, sospettose, grigie e
collusive. Il mero adempimento, la routine, la, propensione a sfilarsi, il lavativo. L'obliquo calcolo delle convenienze e la sterile
conservazione mirabilmente descritte in Celli (1993)
62 Andy Capp è stato cooptato, è diventato un prodotto.
63 Anders (1956) o Gaber in ˝Libertà obbligatoria˝, ma risalendo al romanticismo, alla critica al positivismo, alla Scuola di Francoforte,
non manca una lunga tradizione, ambivalente, di critica allo sviluppo, che qui riattualizziamo.
64 Si veda Ferrera (2013) su come coniugare libertà (flourishing, choice e diritti) e uguaglianza (functionings e capabilities, comunità,
inclusione attiva ), competizione e cooperazione, individuo e società, merito e bisogno, nelle varianti socialliberali (libertà e choice) ,
liberal-egualitaria (uguaglianza e choice), liberalcomunitaria (uguaglianza e comunità) e conservatorprogressista (libertà e comunità).
Una composizione, a un livello più alto, che richiama quella già descritta per il benessere alla Spaltro.
autoorganizzazione dei corpi sociali e indirizzamento degli attori e dei servizi sussidiarizzati verso l'interesse
pubblico? Come evitare forme nuove di residui tutorial assistenzialisti, che permangono, ad esempio nei
progetti comunitari? E chi è l'advocacy dei soggetti deboli?
Il welfare mix, modello comunitario, basato su programmazione negoziata e bandi/gare è certamente
sussidiarietà controllata, ma anche in parte consociativo, e a monte della programmazione cosa c'è? Se ci
sono intermediari non è universalistico: i diritti di cittadinanza si differenziano sui territori. Ma è un buon
modello perchè privilegia l'innovazione sulla cittadinanza, ed è pragmatico, cioè cerca di superare la routine
dei servizi. Anche se è utilizzato male, come sostituto dei servizi, e quindi «routinizzato». I servizi sono
finanziati con fondi comunitari (ecco perchè mancano i processi partecipativi), cioè la valutazione è ex ante,
in itinere e ex post, ma il cittadino è giustamente assente: la neutralità è importante, siamo in un regime di
gare, non di servizi. Al centro c'è la concorrenza, non l'utente. Apparentemente peggio, ma in realtà più
universalistico e efficace. Forse non molto efficiente.
Dal welfare «allievatore» di bisogni e di vincere paure primarie (morte, solitudine, ignoranza, fame, arbitrio)
e sollecitatore di desideri di onniscienza, onnipotenza, immortalità e ubiquità, siamo passati a un modello di
«workfare-learnfare» più allenatore, allevatore, di capabilities, che sollecita, indirizza e con-forma
conoscenze e competenze ai desideri di rischio, crescita, benessere e qualità della vita.
65
Welfare non più
come protezione contraltare ai rischi dovuti alla libertà economica (pensiamo ai corsi di riconversione per i
disoccupati), ma come manutenzione, straodinaria, della capacità di produzione: la sicurezza si inverte di
significato e il welfare tende così a diventare economico, e quindi privato. Il welfare fordista ordinava,
appiattiva e limitava, mentre la scarsificazione e la disuguaglianza oggi aiutano: occorre invece un life
coaching
66
che mantenga in salute i «riservisti». E' la versione biopolitica.
Il welfare societario, di community care, di imprenditoralità sociale, ha come protagonista il Terzo Settore e
le famiglie. Anche qui cittadinanza localizzata e differenziata, ma il servizio è partecipato, sia pure con
formazioni sociali intermediarie e tavoli consultivi. Nella variante locale di welfare di community, in cui la
società civile si affianca al pubblico, si attivano forme vere e proprie di «fai-da-te», di cittadinanza virtuosa.
Tutti in fondo abbiamo, se non le skill tecniche, certo una sensibilità sociale. E' il nostro esempio, il processo
partecipato.
Il welfare generativo va un passo ancora più in là: c'è il dovere di contribuire, ricevi il basic income o il
sussidio se accetti un lavoro socialmente utile o precario. Abbiamo già accennato, ad esempio nel passaggio
dal Lavoro ai lavori, ad alcune direttrici di cambiamento interessanti in questo senso.
Welfare residuale, se il privato invade gli spazi pubblici. E' il caso, rischioso, della Formazione e Lavoro.
Il tema in Italia presenta altri nodi specifici:
 mancanza di una normativa nazionale
 mercati del lavoro opachi e privatistici
 troppo stato dove non serve, poco dove servirebbe
 scarsa occupazione giovanile e società bloccata (giovani in famiglia)
 rigidità dei mercati del lavoro (una zona grigia del 5% soffre il mismatch con la domanda, poco
vivace)
 manca la solidarietà per il prosumer vicino, l'interesse a fatti pubblici come lavoro o learning, c'è
scarsa trasparenza, poco «mettere in piazza» (qui in senso buono, partecipativo)
 la fatica di trovare/cambiare lavoro non trova forme autorganizzate: la P.A. avrebbe un nuovo ruolo
chiave nell'aggregare operatori e utenti
 rilevantissime differenze territoriali
 rilevanti differenze di genere, ma qui si aprirebbe un capitolo a sé stante sia sulle material girls in a
material world, che sulle over 50, e anche su come le donne affrontino coraggiosamente eventi della
vita «commodificata».
FORMAZIONE E LAVORO: POLITICHE E SERVIZI
Se le ipotesi descritte in precedenza sono vere, ad esse non può che corrispondere un analogo, ma direi
soprattutto rapido, processo di ampliamento/riorganizzazione dei servizi. E' come se emergesse una nuova
epidemia
67
e il servizio di prevenzione socio-sanitaria dovesse rispondere con informazione, cure e servizi
adeguati. Nuovi servizi dunque di aiuto, formazione, orientamento e assistenza ai disoccupati/precari e alle
aziende in crisi: il loro «restare ai margini» del sistema «vite al lavoro» si autoalimenta in modo pericoloso.
Occorre allora rivedere senza paura policy, organizzazione e regole delle politiche del lavoro e della
formazione, favorendo una maggiore riflessione collettiva sull'azione (per esempio lavoro di gruppo e non
65 Vedi i pilastri delle politiche di coesione comunitarie; da Adattabilità, Imprenditorialità e Occupabilità (1997), si passa alla recente
inclusione di Sostenibilità e Qualità della vita locale. Comunque mantenere i territori in buona salute per la crescita produttiva?
66 Coach era la carrozza con supporti speciali alle ruote per viaggiare su strade dissestate.
67 In realtà il disagio è davvero diffuso: basta osservare il consumo di farmaci ansiolitici o i nuovi disturbi che ci segnala la clinica.
solo individuale), rimodulando le risorse attorno a servizi di elaborazione, simbolizzazione e «possibilit-
azione» di vite occupate e ben impiegate, «impoterate», ben spese, in salute, rivitalizzate (se spente)
68
.
Work in progress e «capacit-azione» soprattutto sul lato della domanda: competenze fondamentalmente
tecnico-organizzative in questo caso. Suscitare motivazione e pratiche di miglioramento continuo soprattutto
nelle imprese no profit e nei gruppi sociali
69
, come contraltare alla «messa al lavoro» di emozioni, cognizioni
e relazioni individuali. Queste competenze, come detto, non sono solo professionali ma di capacità generale
di fronteggiamento problemi e opportunità, attivando le risorse a disposizione dei soggetti, trasformando
eventualmente le debolezze in forze. Saperi che si accumulano (e disperdono) socialmente nei territori e
nelle pratiche di vita e sociolavorative, e dipendono, sempre più, da servizi avanzati locali di orientamento,
formazione e consulenza. In altre parole ciò che prima era «spontaneo», ad esempio l'accumulo di capacità
microimprenditoriali, di civicness o di capitale sociale, ora va sostenuto con policy e servizi di welfare di
nuova generazione (per le nuove generazioni appunto) e di nuovo raggio (socio-lavorativo). Perchè questo
capitale sociale si consuma rapidamente e va reintegrato.
E' un campo in cui il settore pubblico più di tanto non può entrare, in quanto si regolano mercati privati, in
cui si deve essere liberi (fino a un certo punto) di scegliere
70
. Avere servizi efficaci, o quanto meno adeguati,
-al limite privati- sembrerebbe il primo posto dell'agenda politica, e infatti in molti paesi questo avviene.
Efficaci nell'attrarre competenze (e non farsele scappare), quindi servizi in fondo analoghi a quelli di
qualsiasi organizzazione che deve attirare talenti e non farseli sfuggire. Anche la necessità, frequente, di
ridurre il costo del lavoro (evidentemente il territorio ha la necessità opposta), ma anche di riconvertire, a tale
scopo, le competenze. Valore pubblico che quindi riaffiora. L'analogia col Servizio del Personale di una
azienda però cade se pensiamo che una organizzazione in genere (salvo alcune cooperative) non ha lo
scopo di occupare risorse, scopo che invece è proprio quello dell'Ente Locale, che deve occupare, bene,
tutti i propri abitanti, nessuno escluso. Non tanto perchè così avranno un reddito, ma perchè così
saranno cittadini, persone umane. Il Centro per l'Impiego e il Long-Life Leerning è una speciale «funzione
del Personale» del territorio, che ha come scopo occupare tutti, e attirare persone.
71
Proseguendo la
metafora, le domande da fare come Centro per l'Impiego a chi arriva da fuori sono: ˝Perché cerchi lavoro
qui? Cosa ti attira ?˝. Il paesaggio (cioè il territorio fisico come identità sociale, il bene paesaggistico di cui
assicurare fruizione pubblica di conservazione, riqualificazione e valorizzazione), la qualità della vita,
quell'impresa, quel lavoro, le relazioni sociali, i servizi, le persone ? E a chi se ne andato ˝Perché ve ne siete
andati?˝
Si possono anche utilizzare gli utenti del Centro per l'Impiego o dei corsi di formazione per approfondite
interviste ai «colleghi» ed ex colleghi. Ottimo modo di procedere anche in un processo partecipativo che
potrebbe organizzarsi per effettuare e analizzare queste interviste, e rappresentare così un ambiente
generativo di soluzioni, un habitat alla Giddens di accomunamento (messa a comune) di preziose
informazioni e esperienze
72
.
La governance ideale di questi servizi è fare in modo che competenze, funzioni, servizi, funzionari e privato
convenzionato, oltre alla società civile di riferimento, quantomeno si «parlino» (ma soprattutto si ascoltino)
fra loro, si coordinino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio, condividano luoghi e saperi, pratiche e
problemi. Pensiamo quindi all'utilizzo di progetti sperimentali nei progetti comunitari (come fu utilizzato il
programma EQUAL per sperimentare le partnership geografiche e tematiche). Nei bandi e nelle gare
comunitarie è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciati gli obiettivi di sviluppo locale
inclusivo, sostenibilità sociale e ambientale, sviluppo, Long-Life Learning e Capacity Building dei territori.
Tutto sostiene tutto in una spirale virtuosa. Alla fin fine l'organizzazione è strumento, organon, quello che
conta è il fine, l'effettività, l'efficacia, l'outcome. Questo ci insegna l'Unione Europea, come messaggio laico
di fondo che non possiamo non condividere
73
.
C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti o partecipati da Comuni, Università,
68 «In città c’è vita»: l'obiettivo è una città vivibile, connettendosi ovviamente con le aree interne confinanti. Facendo leva sui gruppi
secondari / terziari vis a vis, chiaramente di più nelle metropoli, tematici o amicali.
69 Il confine servizio al cittadino - servizio alle imprese non è molto netto: basti pensare alla selezione, alla formazione in ingresso al
lavoro o alla certificazione di competenze.
70 Solo nel secondo dopoguerra c'è stato un intervento statale forte, evidentemente in un periodo particolare. E non possiamo
dimenticare l'intermediazione del lavoro più o meno mafiosa (i «sindacati» americani) in cui un lavoro, peraltro giornaliero, veniva
scambiato per doppia obbedienza, cioè il valore pubblico può addirittura essere negativo, se si ignora il problema.
71 D'altronde se pensiamo che intere nazioni hanno rischiato il default, e che l'Italia non è propriamente in sicurezza da questo punto di
vista, il parallelo stato-impresa non è poi così strano.
72 L'effettuazione e l'analisi delle interviste crea comprensione, ma modifica anche gli intervistati, e quindi l'esercizio è perfetto.
73 Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura si intrecciano in una logica per progetti e obiettivi,
tanto che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione, semplicemente Sviluppo Territoriale Locale, il cui miglioramento
è il macroobiettivo principale dell'Amministrazione locale. O ancor meglio Benessere, Welfare o Salute Locale perchè sviluppo non è
automaticamente benessere, mentre certamente benessere, salute e welfare comprendono uno sviluppo del potenziale, un sentimento
di potercela fare. I servizi al lavoro sono quindi una leva di sviluppo locale. Occorre integrare in particolare i servizi culturali, di sviluppo
economico e i progetti comunitari. Si pensi solo - per quanto riguarda la cultura - alla creazione di opportunità lavorative di
autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e culturale, al ruolo di biblioteche a associazioni culturali nello sviluppare
competenze, servizi e impiego. Gli eventi e le iniziative culturali, in senso lato, hanno, se ben gestiti, una ricaduta molto più generale. In
un certo senso è un pezzo di Long-LifeLearning.
Camere di Commercio: perchè sono così scarsi o poco efficaci? Partecipazione non solo finanziaria, ma di
risorse, di sedi e di competenze chiave.
Come abbiamo detto, i lavori sviluppano identità, stima e riconoscimento sociale, e quindi gratitudine,
legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Occorre riconoscere, nei soggetti vulnerabili, le loro
competenze, emanciparle e socializzarle, mentre il non riconoscimento (le politiche passive, il sussidio) è
umiliante, non rispettoso, negazione di ruolo. Le persone chiedono in fondo cose semplici: rispetto,aiuto,
dignità e ascolto. Ecco quindi l'importanza della validazione delle competenze, identitarie e sociali,
sincronizzando quindi mondi socio-economici, mondi vitali e mondi istituzionali. In Italia, i servizi
spesso sono paternalistico-assistenziali, a bando o con sportelli burocratici, incapaci di attivare, motivare o
attrarre risorse, come dovrebbe fare una «funzione pubblica risorse umane» del territorio.
E poi, perché uno sportello
74
? Perchè un sussidio o un bando, e per chi e cosa? Policy e servizi che si
trascinano con copia e incolla: occorre deviare maggiormente dall'abitudine (come fanno i prosumer!). La
P.A. è fordista (manca la competizione): deve assumere la logica dell'innovazione, altrimenti la soluzione più
semplice (e la peggiore) diventa privatizzare o avere una logica aziendale, perdendo di vista l'interesse
pubblico.
Nella achieving society la «spendi-abilità» implica nuovi diritti di trasparenza e partecipazione, di policy in
qualche modo cogestite e contrattate. I livelli di functioning sociale e di empowerment individuale,
gruppale/organizzativo e socio-territoriale si intrecciano e gli interventi richiedono un analogo intreccio di
competenze
75
. Occorre ricostruire competenze pluriprofessionali attorno a servizi di aiuto integrati nei
flussi, spazitempi e modi di vita degli utenti, centrati su fiducia, riconoscimento e attenzione reciproca.
Occorre integrare gli attori locali nelle aree informativa, formativa, culturale e socioassistenziale, e con le
politiche di sviluppo economico locale. «Spacchettare» e rimpacchettare per processi (di vita). Coinvolgere
cittadini, corpi sociali e società civile almeno in un dibattito pubblico, meglio se partecipato. Scuole,
Università (attore chiave perchè ha il know how, le risorse ed è sul territorio) e imprese, ma anche formatori,
orientatori, assistenti sociali, psicologi, parti sociali, esperti di sviluppo locale, Comuni, Asl, Terzo Settore,
Camere di Commercio e Agenzie per l'innovazione, istituzioni e associazioni, affinchè si confrontino, si
riconoscano, condividendo linguaggi, luoghi, pratiche e problemi.
Il lavori e le competenze sono i nuovi beni pubblici, e allora ben si potrebbero riconvertire risorse
pubbliche, umane e non umane, poco adeguate, come molte funzioni burocratico-amministrative per creare
snelle Agenzie per le Competenze, per la Cultura, per il Benessere. Sfuma il dilemma pubblico-privato e
quello profit-noprofit e la società sviluppa soluzioni nuove. Riducendo il perimetro pubblico nei servizi
economici, che il privato gestisce meglio (se controllato), si apre lo spazio nei nuovi servizi, dove il privato,
anche sociale, non interviene
76
.
FORMAZIONE E LAVORO: PRATICHE DI CURA, FORMAZIONE E AIUTO
La cura dei «giardinieri» ingloba i saperi degli utenti, delle famiglie, del privato sociale. Più che conferire
direttamente capacitazioni, suggerisce gli strumenti per convertire asset, anche nascosti, in capabilities.
Dalla formazione distributiva, anche in questo caso, al prosumerismo: si coinvolge l'utenza, individuale o
collettiva, nell'automiglioramento, orientandone motivazione e autosviluppo di competenze di apprendere ad
apprendere e di autoaiuto
77
. Ma anche chi forma è formato, anche chi orienta è orientato, e applica a sé
stesso (e rivende!) le tecniche di potenziamento. Il discente o l'utente sono stimolati a esplorare e
partecipare coi professionisti della formazione. I quali, a un livello diverso, fanno in realtà lo stesso. Ma il
retropensiero di fondo di entrambi i poli della relazione d'orientamento (cioè di aiuto), o di insegnamento è:
plasmare abitudini, assetti relazionali, scelte di vita è sempre vantaggioso o può essere, nella
turboeconomia, paradossalmente un «danno esistenziale»? Per usare un linguaggio sanitario, ci sono effetti
iatrogeni, cioè non voluti? Nel mondo della formazione (Ferrari, 2006), della consulenza e dell'assistenza e
orientamento, si nota un disagio simile fra gli operatori
78
. In entrambi i casi mancano spesso il mutuo
riconoscimento dell'altro «irriducibile», accoglienza e compassione autentica, gesti oblativi non contaminati,
condivisione, vera attenzione e sorpresa dell'incontro, accedere al «cuore» del problema, nel senso emotivo,
perchè i professionisti dei servizi sono a loro volta vulnerabili e a rischio burnout. Considerazioni non troppo
74 Il modello dell'aula e dello sportello sono rassicuranti, anche e soprattutto per l'operatore: si sa cosa succederà.
75 Si veda sulla salute Cerrina Feroni (2015).
76 Il servizio socio-sanitario era inizialmente affidato alla Chiesa, e ora è di welfare mix. Il servizio al lavoro è in sostanza rimasto privato
(e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco, ma sconta una visione pubblica rimasta al «collocamento» obbligatorio. Un mix è
la soluzione migliore: lasciato al mercato e all'improvvisazione/creatività/contatti personali funziona male, lascia per strada troppe
persone. E' altrettanto impensabile un intervento solo pubblico in un settore a così elevata variabilità e invadenza delle vite.
77 Nelle Key competence UE (Raccomandazione Consiglio Europeo 18/12/06) manca la competenza organizzativa (data per scontata),
e sappiamo come questa sia correlata al benessere. Ci sono invece competenze chiave che in Italia non sono del tutto esaurite
(capacità sociali e civiche) o sono addirittura ben presenti (spirito di iniziativa e imprenditorialità). Altre (imparare a imparare e
consapevolezza/espressione culturale) rimandano a sistemi di istruzione e formazione da rivedere.
78 Long-Life Learning: si sono addirittura fatti passi indietro, cioè la formazione si è deflessibilizzata, depersonalizzata, rimodernizzata,
cioè si torna ai «corsifici». Orientamento, formazione e lavoro sono sistemi intrecciati: la paralisi di un pezzo del sistema (orientamento e
servizi per il lavoro) costringe i sistemi che si stavano rinnovando (la formazione) a ripiegare su formule «difensive».
dissimili si potrebbero fare per il mondo della consulenza. Docenti, formatori e orientatori segnalano servizi
troppo standardizzati: è evidente che vadano differenziati, perlomeno fra chi deve essere «ri-ordinato» e
reindirizzato (soprattutto giovani) e chi, al contrario, deve essere riattivato (soprattutto anziani). La forbice è
chiara, son due servizi diamtralmente opposti.
Mancano database pubblici di imprese, e anche associazioni, che indichino recapito, settore e tipo di figure
professionali impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono gratuiti e forniti
liberamente dalle Camere di Commercio o dai Comuni? E perchè, viceversa, non fornire database di
soggetti impiegabili alle imprese, prevedendo una tariffa di preselezione o di vera e propria selezione
79
?
In sostanza, alla fin fine, c'è scarsa attenzione alla qualità del servizio, qualità peraltro imposta dalla
normativa per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90. Semplici miglioramenti di qualità come creare
leve civiche di cittadini, esperti sui temi di lavoro o sviluppo, con bandi specifici. Ma anche un precario o un
disoccupato, anche non esperto, potrebbe operare nei servizi e, in questo caso con un piccolo
riconoscimento economico, arricchirebbe le sue competenze e fornire un servizio alla collettività. O ancora: il
governo dei mercati del lavoro implica adeguare domanda e offerta, aree di crisi e fasce di debole
occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio obbligatorio di orientamento per gli occupati,
pagato dalle aziende, che comunque ne ricavano un evidente vantaggio? Mancano i servizi di certificazione
delle competenze
80
, e, amonte, un repertorio nazionale. E perchè il Sistema Informativo per il Lavoro
nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali? Riteniamo che quest'ultimo elemento sia davvero di
incomprensibile criticità.
Ragioniamo per analogia: chi sta male e ha bisogno di aiuto psicologico o socio-sanitario sa (più o meno)
dove andare, cosa lo aspetta, quanto paga e cosa potrà ottenere in cambio. Viceversa chi si deve ricollocare
o una azienda in crisi (malessere spesso ancora più profondo e bisogno di aiuto socio-psicologico di fatto
simile al caso precedente) se la deve cavare in sostanza da sé. Chi è isolato, con poche risorse informative,
è poco mobile per motivi familiari e ha una età avanzata, è perso. Appare singolare che in Italia, nonostante
una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante gli inequivocabili dettati
costituzionali e delle convenzioni internazionali, pochi riflettano in modo articolato e innovativo sulle riforme e
sulla evoluzione dei servizi per l'impiego. L'argomento è rimosso: c'è scarsa attenzione e cura anche da
parte di attori istituzionali e sociali chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio
pubblico, quali ad esempio Scuole, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di
associazioni e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei
servizi per l'impiego: quale bilancio a dieci anni di distanza? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema
delle conferenze tripartite o la delega agli Enti Bilaterali di Categoria funziona? Quali raccordi fra i sistemi,
locali e nazionali, di educazione, formazione e lavoro? I servizi al lavoro, dimao meglio i sussidi, erogati
durante la gestione della crisi sono stati soddisfacenti? A fronte di un raddoppio della disoccupazione, non si
è verificata una rivolta sociale, ma un risentimento populistico, in particolare proprio contro le Province, ente
chiave in molte regioni per questo servizio: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e la scarsa attenzione al
tema del sostegno all'impiego?
Welfare debole, frastagliato, «datato», a fronte di una domanda ineludibile e assolutamente nuova di
servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere ottimisti, un
10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati. L'inadeguatezza evidente di
copertura, e di risorse, non è minimamente comparabile con paesi similari quali Francia e Germania, nei
quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di workfare. I Centri per l'Impiego
appaiono drammaticamente «fermi», e le Agenzie per il lavoro sono in crisi. Ci si preoccupa dello status di
disoccupato, legato a sussidi, e del rifiuto di accettare offerte di lavoro distanti, quando il punto oggi è fare
incontrare domanda e offerta, il che nell'era di Uber non dovrebbe essere tecnicamente impossibile.
Occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni
81
. I laureati non vengono
assorbiti, disincentivando la formazione, con aumento massiccio dell'emigrazione, anche all'estero, segno di
declino economico e sociale. C'è un divario crescente fra aree metropolitane o comunque urbane e le aree
interne periferiche. I numeri dell’utenza sono significativi (al netto delle nuove vulnerabilità invisibili) e
l'intervento dovrebbe essere immediato, si tratta di un «pronto soccorso». Al momento, la stragrande
maggoranza fà da sè, si rivolge al bar, al clan familiare/amicale, alla parrocchia, punta sulla ricerca casuale
personale, l'invio massivo di CV, si affida al passaparola e ai social network. Strumenti evidentemente
79 Mancano indicazioni nazionali su come, eventualmente, rendere il servizio in parte a pagamento per le imprese. Tecnicamente il
Decreto Biagi lo prevede: i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori servizi a titolo oneroso alle imprese. Previsione davvero
interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria, ma rimasta totalmente inattuata.
80 Prendiano i lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà spesso si sovrappongono). A questi soggetti, serve un servizio di
riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le proprie competenze. A tal fine ben si potrebbe
prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle competenze, di certificazione del curriculum, e una lista di imprese a cui ci si
può rivolgere. Di questo il precario/autonomo ha più bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è fra i
meno facilmente individuabili, se non proponendo azioni che servano, servizi appunto.
81Detto cosi', pare provocatorio: ovviamente teniamo conto dell'esigenza dei territori e dei soggetti di non essere (ulteriormente)
sradicati e impoveriti. E questo forse è alla base della rimozione del tema sopra accennata e dell'atteggiamento in generale difensivo.
D'altronde alla fine le persone,e le famiglie, coraggiosamente si spostano, si buttano in nuove avventure, quasi per disperazione, e
allora perchè non fornire servizi di aiuto?
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  • 1. Ottava conferenza annuale ESPAnet Italia 2015 Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto Università di Salerno, 17-19 settembre 2015 Tema della conferenza Con la crisi economica globale, le politiche di austerità dell’Unione Europea e le persistenti carenze amministrative, i nuovi rischi sociali si sono acuiti mettendo sotto pressione il welfare italiano, in particolare nel Mezzogiorno. L’attenzione delle politiche sociali si è concentrata sui disagi più urgenti emersi negli ultimi anni nella cornice politico-istituzionale europea, già sottoposta a un profondo processo di trasformazione. Sono rimaste sullo sfondo sia la valutazione dei sistemi di protezione sociale emergenti nel resto del mondo, sia la ricostruzione storica dei periodi di povertà e di prosperità che si sono alternati nel nostro paese nella lunga durata — prospettive analitiche che sarebbero utili a formulare politiche più mirate e innovative. Obiettivo dell’ottava conferenza di ESPAnet Italia 2015 è integrare l’analisi diacronica delle politiche sociali con una più ampia considerazione dei sistemi di welfare emergenti in altri contesti nazionali europei ed extra-europei. L’idea che sottende la conferenza consiste nell’esaminare l’esperienza italiana nel tempo, rispecchiandola nei sistemi di welfare in corso di sviluppo, in particolare nei paesi con una più rapida crescita economica. Studiosi internazionali, italiani ed europei, operatori del sociale, studenti e ricercatori dibatteranno sul passato e sul futuro del nostro welfare: presenteranno e confronteranno i casi più interessanti del Nord e del Sud del mondo e del nostro paese. Sessione 3: Tra questione urbana e questione sociale. Città, politiche e governance locale dentro e oltre la crisi Cerrina Feroni Simone, Luigi Taccone Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al learning e all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di buone pratiche di welfare di community. ABSTRACT Dalla soddisfazione dei bisogni di salute, sicurezza e welfare sul lavoro stiamo transitando verso l'insoddisfazione, i malfunzionamenti, il malessere e la precarietà di vite assoggettate al lavoro e troppo “occupate” dal life-deep learning, o - è il loro doppio - dis-occupate e vuote. Come e dove simbolizzare progetti di vite ben “impiegate”, di “belle vite” ? L'innovazione dei servizi al lavoro e al Long-life Learning ci pare la più importante leva di sviluppo sociale, civico ed economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone senza paura modelli, organizzazione e norme: le resistenze di imprese e cittadini a essere «regolati», e quelle della P.A. a disinvestire su funzioni tradizionali e investire su questo settore sono superabili coinvolgendo corpi sociali e società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non ideologico, populista o normativo. Se questo passaggio è partecipato (passando dal servizio pubblico al servizio pubblicizzato) diventa coping di comunità, partecipazione alle vite altrui, «vite associate» come nuovo bene (e valore) comune, città «vivibili», cioè dove si può vivere bene. Il Work-Life Balance oggi è welfare autogestito, alla scandinava,
  • 2. welfare come risorsa collettiva, di reciprocità e fiducia, mediazione difficile nel puzzle fra socio e economico, certo con una possibile deriva biopolitica e di «ricommodificazione». Carovane di pionieri e vite condivise: in fondo il Mercato del Lavoro è condivisione di opportunità e competenze. Welfare informale, o meglio processi partecipativi come innesco, driver, con un ruolo pubblico «abilitante». “Working Lives in common” as a public value. Participatory processes in Active Employment and LongLifeLearning schemes as a best practice in local community welfare ? In the achieving society the market-ability of the prosumer (consumer and productor) lives requires new instruments for employment services, the most significant driver for social, civic and economic development, and a truly prominent public interest. In the dramatic Italian unemployment context, we must fearlessly reassess models and service organization, in order to add solidarity, transparency and equity, because the issue («renting livese») is clearly critical. Participatory design and evaluation processes, applied to labour market, may have a tremendous impact in better sketching policies and practices, and in empowering social actors: they are postmodern Agorà in sharing private, organizational and community challenges. Moreover, there is a clear isomorphism between process (participation for policy development) and object (capabilities development, empowerment). In other words, there is an automatic value (if the process is well managed) for all people and organizations participating and their networks. We will describe participatory projects in Education and Employment, managed in the Province of Firenze and Regione Calabria INTRODUZIONE Pensiamo a un call center, in cui occorre una elevata capacità di «amare» il cliente, capire empaticamente i suoi bisogni, anticipare e solleticare i suoi desideri, e soprattutto di riflettere rapidamente nel corso dell’azione. La personalità diventa sociale e produttiva: vite al lavoro e lavoro nelle vite, memento vivere. Questo non c’era nel fordismo, ed era tutto sommato secondario anche nell'artigianato o nell'agricoltura, dove emergevano tratti di capacità creative, ma ben distinti dal corso della vita «normale». Cambiano perciò politiche e servizi per l'occupabilità e il Long-Life Learning, che il Decreto legislativo 13/2013 definisce ˝apprendimento informale, anche non intenzionale, in attività di situazioni di vita quotidiana nell'ambito del lavoro, familiare e del tempo libero˝. Una rivoluzione concettuale. E parallelamente, sulla stessa linea evolutiva, riemerge la partecipazione civica, concetto risalente all'antica Atene, che qui cercheremo di mettere a fuoco con una lettura ampia, ma focalizzata sui temi del lavoro e della formazione continua. Per i Costituenti era partecipazione dei lavoratori; oggi, avendo il lavoro/attività invaso le vite, è di nuovo partecipazione dei cittadini e degli attori sociali, quindi è attuale. Un gerundio (participating) con forte suggestione simbolica 1 . «Partecip-azione» è azione partecipata, a comune, di soggetti e interessi divergenti e, proprio perchè partecipata, con una immediata review in un contesto microsociale ad hoc (un processo partecipativo, una ricerca-azione, una community temporanea di innovazione sociale, uno spazio di formazione e orientamento). Partecipazione non solo a una deliberazione 2 , ma come processo circolare, life-making, che è (come la vita) pratica quotidiana con «rotture» riflessive (individuali o collettive) sulle esperienze. Sussidiarietà vera, non strumentale, non concessa dal Sovrano, non che conviene solo ad alcuni. Un processo partecipato è quindi una (fra le molte) strategie di welfare contrattato, coi cittadini in questo caso. Un dispositivo di work processing analogo, peraltro, a quello di qualsiasi organizzazione che deve «ascoltare» clienti e dipendenti se opera in mercati altamente variabili 3 . La partecipazione, critica, all'elaborazione di politiche pubbliche attive del lavoro da parte di soggetti con interessi più o meno privati, è oggi di evidente rilevanza, vista la necessità di governance di mercati del lavoro incapaci di sostenere da soli matching complessi. Formazione e lavoro sono una sfera di osservazione privilegiata dal quale inquadrare la partecipazione (e la non partecipazione) e capire le ragioni delle gravi distorsioni che si registrano sul fronte dei servizi all'impiego e alla formazione e orientamento 1 Luigino Bruni osserva acutamente, in uno dei suoi acuti editoriali su Avvenire, come poche cose diano benessere e gioia di vivere come partecipare a una azione collettiva libera fra pari, dove il termine chiave, a nostro avviso, è proprio questa «parificazione». 2 Utilizzeremo il termine «processi partecipativi», ma se l'obiettivo è l'elaborazione di policy, queste andranno tradotte in deliberazioni, sia pure di indirizzo. Dunque c'è anche un tratto deliberativo, ovvero la discussione con l'avversario e un cambiamento e un apprendimento da parte di tutti, non necessariamente verso un compromesso mediano. 3 Certo, anche farli partecipare, ma in quel caso entro limiti privatistici di segretezza che invece ovviamente il pubblico non ha. Anzi, come istituzione ha il problema opposto, la necessità di trasparenza. E' evidente comunque che nessuna organizzazione, pubblica o privata, ormai resti in vita a lungo o in salute senza processi partecipativi al suo interno o verso l'esterno.
  • 3. long-life (nel seguito «servizi»). Esamineremo i bisogni della domanda e dell'offerta di lavoro, formazione e orientamento, e poi, risalendo, i servizi che rispondono a questi bisogni, e infine, in modo isomorfo e circolare, i circuiti e le arene partecipative che li possono sostenere e indirizzare. La tesi è che la sostanza nei tre casi è simile: ricostruire una solidarietà condivisa (rispettivamente nell'utenza, nei servizi e nell'elaborazione di policy e programmi), e questo processo circolare si autoalimenta. Operazione partecipata e pubblica: è impossibile governare una sfera di tale complessità con strumenti di pianificazione e controllo tradizionali, come se si trattasse di normali servizi o utilities. Osservando in particolare i servizi di recruiting e incrocio domanda- offerta di lavoro non si possono non evidenziare residui obsoleti (anche se efficaci) di nepotismo: il coraggio in questo caso è evidenziare il concetto di vacancy e la necessaria messa a fuoco della «valorizzazione della persona umana» (anche nelle formazioni sociali, come in Costituzione). Ben oltre il merito: il nuovo paradigma, quasi contabile, è «fonti-impieghi»: una mappa di fonti di impiego e di «impiegabili», da governare in tempo reale (qui sta il passaggio da gestione a governance), con policy, cioè priorità politiche, ad esempio privilegiare il disoccupato di lunga durata o altre categorie di vulnerabili, o alcune aziende in crisi. Policy da aggiornare rapidamente, misurando lo scostamento fra realizzato e preventivato, il che implica strumenti agili e fini di controllo di gestione, non burocratico-amministrativo. Oltre ai processi partecipativi, ci riferiamo qui a meccanismi autoorganizzativi, sussidiarietà al Terzo Settore, coordinamento telematico, tavoli di coordinamento snelli. E come non tenere conto del fatto che, nei mercati dei lavori, tempo, competenze e opportunità 4 si scambiano soprattutto nel territorio locale, o in quelli più rapidamente raggiungibili. La solidarietà si fonda su luoghi fisici e ambienti dove co-abitare, co-vivere, co-produrre e co-consumare, e le organizzazioni sono anch'esse luoghi privilegiati di riproduzione sociale. Tempi, competenze e opportunità però troppo «predefinite»: manca uno spazio per definire scambi più liberi. Il territorio istituzionalizzato, recintato e difeso dagli indesiderati hostis, non offre curiosità, creatività, e la Rete è sempre più ordine e (letteralmente) prigione. Il lavoro è cessione, ma ormai soprattutto creazione e ricostruzione di competenze, questione più pubblica che privatistica, più locale che globale. Se impari (e non c'è dubbio che è prevalentemente sul lavoro che si è forzati a imparare), questo è un fatto pubblico locale, con il problema dell'imitabilità e dell'iniqua distribuzione del lavoro sui territori. Se si chiama qualcuno che arriva da fuori, è una ricchezza che arriva. Se, al contrario, qualcuno se ne va, può (forse) tornare con maggiori competenze e relazioni. E' sana competizione fra organizzazioni e territori per acquisire e trattenere i migliori. I processi partecipativi sono in questo senso luoghi di learning di sviluppo territoriale dove agire scambi simbolici di elevata qualità fra gli attori locali e l'ambiente esterno (imprese, enti sovraordinati o di coordinamento). Il lavoro è produzione e sviluppo di sé, cioè identità e rinoscimento sociale. I servizi dunque intermediano stima, riconoscimento e attenzione, sincronizzando lebenswelt 5 (mondi vitali), mondi organizzativi e sfere istituzionali su un precario treppiede. Sotto questo aspetto i processi partecipati, letti come co-ricostruzione di modelli, nomi, frame concettuali (che possono essere anche locali), mettono in discussione paradigmi quali la separazione lavoro dipendente-indipendente, la democrazia rappresentativa e il welfare beveridgiano universalistico, e questo ci pare utile per aggiornarli al nuovo contesto. In termini più psicologici, si notano passione, orgoglio, senso di adultità e autonomia emergenti nell'utenza dei servizi, ma anche imbarazzo, vergogna infantile di evidenziare pubblicamente le lacune. Autonomia e controllo, onnipotenza 6 e esame di realtà, stupore e coazione a ripetere, empowerment 7 e disempowerment. Dualismi peraltro quasi assenti invece nei processi partecipati, riferiti in questo caso alle organizzazioni partecipanti. Quale nesso fra salute/benessere (di individui, gruppi e territori) e servizi? In Italia tradizionalmente sfere rigidamente separate e mondi professionali distinti. I servizi sono poveri di rappresentazione sociale 8 . Un processo partecipato offre la possibilità di vero dialogo fra pari di servizi interoccorrelati. Il paradosso è che il servizio si finanzia spesso con fondi comunitari (è precario anch'esso), per il settore privato è poco «appetibile» e il Terzo Settore è, stranamente, disattento al tema. Rimangono le soluzioni «faidate», il clan, il passaparola, le conoscenze personali, il web. Corsi di formazione, tirocini o lavori scelti senza alcun criterio di sviluppo di competenze chiave. Un processo partecipativo inverte questa pericolosa deriva (forse alla base del declino italiano), rafforza il ruolo pubblico, mobilita il civismo oltre burocrazia e mercato, qui chiaramente inefficaci. Il singolo cittadino 9 , meglio se sotto forma di agenzie o associazioni, 4 Oceani di opportunità che appaiono senza preavviso e si dissolvono rapidamente se non sono colte subito (Bauman, 1997). 5 Senso comune, tacito, irriflesso (come il proiettore al cinema): nessuno ci pensa. E' norma sociale, morale, comune, è ordine, sicurezza. Una vita ordinata, organizzata per routine e procedure automatiche. 6 Qui intesa come desiderio dell'infante di scavalcare limiti fisici e psichici al godimento. 7 Nell'accezione multidimensionale, cioè anche collettiva, di Zimmerman (Empowerment Theory: psychological, organizational and community levels of analysy in Rappaport (2000) è «potere dentro», capability e efficacy percepite «nel» soggetto, rivolte sia all'interno che all'esterno. 8 Non esistono «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale» analoghe alle ASL. Nel settore sociosabitarioi ci sono poche tracce dei temi del lavoro e del LongLife Learning, né viceversa nei servizi al lavoro dei temi della salute e del benessere sociale. Come ci sono le Società della Salute, perchè non le Società dei Lavori o delle Attività ? 9 Certo, meglio se ricercatore socioeconomico, formatore, consulente o orientatore, ma può essere esperto in ogni campo: il processo partecipativo incentiva l'occuparsi di individui, gruppi e organizzazioni diverse, a prestare il proprio know how gratuitamente al proprio
  • 4. entra nel circuito decisionale e di controllo, e servizi e progetti verranno sicuramente impostati e controllati meglio. Le politiche (ad esempio di genere, per gli over50 o specifici settori produttivi) saranno più efficaci se condivise con chi nel iuo campo d’azione le vive quotidianamente, e magari le legge in modo opposto. Ma anche il tipo di policy: ad esempio non è uguale avere campi di calcio gratis o scaricare dalle tasse le spese di sport, cultura e ricreazione (una include, l'altra esclude). Imprese e Terzo Settore si sviluppano inoltre se si confrontano e misurano le aree di reciproco coordinamento e di conflitto. Non si può non notare infine come, mentre qualsiasi ricerca mostri con evidenza che la disoccupazione - ma anche la mala occupazione che ne è l'anticamera - siano antecedenti di malessere, malattia, esclusione sociale (e anche viceversa, dunque alla fin fine parliamo della stessa cosa) 10 , invece il disagio crescente e l'incapacità, di ricollocarsi fatichino addirittura a esser messi in parole 11 . Non ricevono spazi di ascolto, non si si aggregano in istanze collettive di aiuto e risposte collettive di solidarietà: forse perchè se il lavoro è vita, il non lavoro e l'incompetenza sono vissute con vergogna e senso di colpa personale. Non si va al Centro per l'impiego, non si chiede aiuto, non ci si organizza, ci si lamenta in modo passivo. Un processo partecipato sblocca questo frame psicologico, invertendo figura e sfondo rimosso. BIOPOLITICHE DELLE VITE-LAVORI Nelle biopolitiche ipermoderne 12 , lavoro (e LongLife Learning 13 ) esondano nel tourbillon de la vie di individui, gruppi e organizzazioni. Le vite e le case sfumano in «luogo di lavoro», imprese e attività economiche da esercitare professionalmente, mentre le organizzazioni - all'opposto - si soggettivizzano in parodie di clan familiar/amicali 14 . Più che espropriazione, una mutua embeddedness, una ibridazione fra lavoro e life skills che si de-differenziano da quelle sociolavorative, cioè da sfere antagoniste diventano interdipendenti, ribaltandosi l'una nell'altra 15 . Vite artificiali e lavoro come dovere e non come diritto, valorizzazione più che rispetto per le persone. E così i soggetti devono «rifarsi una vita» giocando una nuova mano di carte nel lifegame. Un processo longwide, pervasivo, forzato, non paragonabile al lavoro a domicilio prefordista, quando il contrattista lavorava in case-laboratorio su ordinativi a lotti, ma con ritmi ben più lenti e «umani», e anzi in questi ancora più fordista. Non biopolitico in senso stretto (cioè non è oggetto di discorso pubblico esplicito), piuttosto una sollecitazione sottotraccia, in cui l'economia prevale sul discorso socio-politico. Dalla sociologia del lavoro alla sociologia della vita non quotidiana potenzialmente professionale? Emozioni e ruoli «messi al lavoro», «mestiere di vivere» (Bresciani, 2006). Anche il learning, che se è LongLife è piegatura, nemmeno tanto sottile, dell'education all'economico: dai sistemi qualità e dall'apprendimento organizzativo (Argyris, 1998) si passa alle vite quotidiane come luogo di apprendimento organizzativo. Una torsione verso la qualità della vita e l'apprendimento tout court per tutta la vita, con rilevanti impatti sociali: la routine oggi è vista come negativa o difensiva. Le relazioni sociali si venano di interesse, i social networks servono per trovare lavoro, e in fondo lavoro e vita sono attività relazionali. Interessi propri e di altri si confondono nell'agire quotidiano. «Dai «fattori umani» in azienda (soddisfazione e motivazione) si transita ai fattori economici nei lebenswelt, anche gruppali e organizzativi (insoddisfazione e demotivazione nella vita?). Corpi, identità, atteggiamenti, abilità cognitive, ma anche affetti e sentimenti (e quindi il benessere), sono egonomics sempre al lavoro. Ad esempio sul territorio. 10 E quindi l'intervento sul mercato del lavoro è preventivo e non curativo (quindi più efficiente). 11 Ad esempio mancano iniziative di raccolta fondi, associazioni di utenti, volontariato e solidarietà, formule preliminari alla co- partecipazione dei servizi (come nel settore socio sanitario: pensiamo alle associazioni dei parenti dei malati). Si ignorano disoccupati e espatriati, evidenziando invece l'immigrato, evidente capro espiatorio. Ci manca il linguaggio su quanto stiamo vivendo, che quindi è mal-vissuto perchè mal-detto. Quello che ci ha raccontato dolori e gioie della fabbrica, delle campagna, dei padri imprenditori-artigiani. Canti, poesie, romanzi, feste, lutti e elaborazioni ora stereotipate, senza spessore e ambiguità. Non casualmente «lavoro» è termine analitico (elaborazione sul lutto, working through). La carestia di immaginario sociale è ovviamente anche dentro le imprese e nel Terzo Settore. 12 Modello italo-francese di critica «da sinistra» (Bazzicalupo, 2006 e Aubert, 2010) nella forma posfordista di induzione «gentile» di pratiche di miglioramento, learning e empowering che, un tempo confinate al lavoro salariato, si vanno espandendo agli interi «mondidelle vite». Il termine nudge, originariamente bioniano - vedi Thaler e Sunstein (2009) - segnala che il biopotere ipermoderno non è impositivo, mentre nel taylorfordismo le spinte non erano propriamente gentili ! Vedi i più estremi critici italiani, come Codeluppi (2009), Fumagalli (2009) e De Michelis (2008). 13 La Riforma Fornero cosi' dispone: ˝Qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale˝. Quale gerarchia? Viene prima la crescita personale o occupazionale? Vale l’ordine indicato dal legislatore? 14 Accornero (1997) segnala l'ambiguità di termini come società, corporate, compagnia, Casa madre, organismo personale per indicare i dipendenti, retribuzione «a corpo». O si pensi ai clan familiari della «mala-vita» organizzata, cioè messa al lavoro. Pais (2003) ci ricorda come organizzare eventi pubblici sia anche organizzare eventi privati, l'aperitivo di networking ha un sapore amaro, un social network è book, vetrina per trovare opportunità ma anche espropriazione: chi entra abusivamente nella tua pagina entra nella tua vita. 15 Ad esempio i saperi linguistici o informatici (un blog), una visita ai partner di progetto, organizzare viaggi, cene o ospitare: è vita o lavoro? O l'assertività del sorriso professionale e l'entusiasmo artificiale del venditore (Sarchielli, 2006) - che già acutamente Wright Mills notava nel 1951 - che invade il buon senso o il comportamento comunicativo automatico, situato e culturale. Le battute vengono rivendute ai comici o rimbalzano sul web, l'empatia sostituisce la solidarietà, le buone relazioni la gratuità. Nelle key competence comunitarie ci sono competenze sociali e civiche, ma generiche.
  • 5. lavoro si può essere apatici, ma con gli amici frizzanti. Oggi si cercano lavori dove esprimere la propria personalità: bene per le organizzazioni, ma male per le vite, che si inaridiscono. Prime le organizzazioni impedivano la vita vera, ora al contrario la sfruttano, ma così non è vita libera: intuitività e creatività si ibridano nelle agende di vita e di lavoro, l'«aziendalese» diventa linguaggio quotidiano e della politica, le Comunità Amish richiamano turisti. Capitale sociale, milieu, comunicare, organizzare o risolvere problemi: tutto è anche fattore produttivo e prodotto/servizio spendibile 16 . ˝Sii te stesso!˝, ˝Realizza te stesso!˝, ˝Think!˝. Parafrasando l'assioma ˝non puoi non comunicare˝ di Watzlawitz, potremmo dire ˝non puoi non migliorare˝. In termini di governamentalità pastorale (Foucault, 1998), di cura materna-paternalistica dei «greggi», che «addomestica» i conflitti per renderli produttivi in formule di welfare social-liberiste. Tecnologie e marketing del sé (coach, fitness): life enlargment e life enrichment, moltiplicare le vite, vivere più veloci e più a lungo. Sensation seeking, zapping di esperienze, indotte dai media/adverstising e dalla cultura spettacolistica (De Michelis, 2010). Attention economy 17 , cioè riflessività, riuso delle esperienze passate e quindi infinita permanenza nell'adolescenza, se non addirittura tempo e attenzione intensificati come nell'infanzia (Pievani, 2012). Una sorta di «religione» del miglioramento continuo 18 ,in cui tutto è potenziale valore: amicizia, amore, sport, fruire di opere d'arte, la curiosità, la conversazione, il flaneur. Dalla forza-lavoro alla forza-valore: la vita crea (e sottrae) valore. Un bios isomorfo al ciclo di vita di un progetto, di una impresa o di un prodotto, quindi un umano «capitale» organizzativo, un «capitale-vita» 19 . Se, con «cordiale collaborazione», Taylor diceva agli scaricatori di ghisa ˝voi non dovete pensare˝, il motto della «fabbrica integrata alle vite» è: «Da noi le persone vengono prima di tutto». Come capitale umano, si intende. PROSUMER: LE VITE COME MEZZO E LUOGO DI CONSUMO, PERFORMANCE E PRODUZIONE Prosumer inteso 20 come consumatore-produttore, che co-progetta e co-valuta prodotti e servizi. Siamo, come detto, in una era di diffusa riflessività finalizzata all'automiglioramento continuo, in cui siamo anche progettisti, politici, registi, pubblico e attori (sociali e collettivi, certo, ma qui l'accento è sul recitare o impressionare con la gamma delle performance), di spettacoli a valenza socioeconomica. Il ciclo, grosso modo, è il seguente: Desiderio di nuove forme di vita -> Euforia artificiale -> Reificazione in beni e servizi -> Assedio di opportunità e obbligo di scelta di consumo -> Incorporazione di questi servizi nel sé -> Depressione e innesco di nuovi desideri. Il lavoro oggettivato e purificato delle vere emozioni, snaturato e impersonalizzato, è presto ripersonalizzato. Soggetti riassoggettati e alienati, cioè oggettivati, e poi prima possibile risoggettivati. Un'altalena che è anche oscillazione fra trovare lavoro/clienti e la disoccupazione. Una pervasiva pratica «economica» 21 che può essere sintetizzata col furbo motto del reverse engineering: «pensare da valle a monte», risalente alla comakerhip della qualità (l'integrazione coi fornitori) degli anni '90 (Merli,1997), ai distretti industriali e al postmoderno di Fabris (2008). Prosumerismo è anche cittadinanza attiva, amministrazione condivisa (Arena 2011), bandi di coprogettazione locale, piani di zona, sanità condivisa. Posfordista perchè trasforma fasi in processi, liquefacendo i legami: il cliente co-decide 22 . Ma questo genera fornitori rancorosi verso clienti iperesigenti, ad 16 Perfino le motivazioni di base, come il «capitale psicologico» (Luthans, Youssef e Avolio, 2007 e Pryce-Jones, 2010) cioè la disponibilità a essere coinvolti, a partecipare, a farsi carico di problemi altrui o comuni, anche la disponibilità a farsi controllare, quindi una cessione di autonomia, passione, orgoglio di fare da sé, mentre il controllo sociale può essere imbarazzo e vergogna per chi sbaglia. 17 Oltre ovviamente a Bauman, che va letto in inglese per l’elaborato vocabolario, su questi due concetti chiave vedi Davenport e Beck (2001), Beller (2006) e Lanham (2006) e la Fase III di Lipowetsky (2010). 18 In termini weberiani si passa dal beruf alla vita intera di communities operose, in cui desideri e libertà sono interiorizzati per un pubblico interesse superiore, non più la Gloria di Dio, ma certo quasi religioso. Rispetto a «comunità», community ha un significato più ristretto, originato dalle comunità protestanti, cioè dalla condivisione di una appartenza molto forte: del fratello della tua community ti fidi, ad esempio negli affari. Community come neighbourhood, chi è vicino fisicamente. La comunità di tipo cattolico è al contrario tendenzialmente universale: in questo senso l'opposta organizzazione delle chiese protestanti e cattoliche si riflette sul significato più bottomup e democratico quello di community, più top down e gerarchico quello di comunità. I modelli sociali e religiosi asiatici presentano varianti interessanti a questo processo di augmented life, dove interessi propri e comuni si confondono. 19 Gruppi e organizzazioni si possono sciogliere, ma l'individuo è imprenditore-manager- investitore di sé stesso a vita, deve pianificare, gestire progetti, fare marketing, gestire le risorse. Vedi Holmqvist e Maravelias (2010) e Bonomi (2005) 20 Il termine risale a Toffler (1980) - anno in cui potremmo datare il cambiamento di passo competitivo- un futurologo che ci ha azzeccato spesso (inventò l'adhocrazia, con Bennis negli anni 60), anticipato però in questo caso da Drucker (1954), che scoprì l'orientamento al cliente, e quindi la qualità. La produzione di un bene o servizio avviene nella filiera estesa ai fornitori e ai clienti, combinando i flussi comunicativi dei consumatori, e oggi anche dei cittadini/pazienti, degli amministrati e della società civile. 21 Alla fin fine un bel recupero di produttività, perchè il cittadino o l'utente si affianca agli esperti di marketing o ai funzionari, con onori ma anche rischi e oneri semigratuiti: il do-it-yourself è smart, efficiente, riduce automaticamente le «zone di indifferenza» fra vita professionale e vita privata, incassa plusvalenze gratuite. 22 Con una inevitabile con-fusione di ruoli servo-padrone (vedi Capranico, 1992) . Il «falso sè» (produzione) si confonde col «vero sè» (consumo): uno sdoppiamento di personalità ?
  • 6. esempio nelle relazioni di aiuto o di sportello: si pensi al paziente «poco paziente» in sanità. In termini organizzativi le organizzazioni delegano verso i lati e verso il basso, integrando l'imprenditorialità diffusa sopracennata (La Rosa, 1995). Capitale organizzativo: la capacità richiesta è saper vivere nelle organizzazioni e nelle communities, dunque una nuova declinazione del concetto di cittadinanza. La vita diventa un rituale contro l'insicurezza: non è più il soggetto che aderisce all'organizzazione, ma l'organizzazione, anche pubblica, che si plasma sui soggetti. Certamente un consumo riflessivo e attentivo trasforma i reclami in miglioramenti, ma questi flussi sono coimplicati coi mondi vitali (ad esempio un social network), quindi il prosumerismo diventa facilmente biopolitico. Inoltre oggi c’è maggiore urgenza competitiva e prevalenza del consumatore sul produttore, con un allargamento dei ruoli: nel mondo globale occorre relazionarsi con frame culturali e organizzativi inusuali o finanziatori lontani. Spesso addirittura instantaneità da critical mass, cioè flussi co-evolutivi autoorganizzati, se non veri e propri «sciami» che agiscono cioè un coordinamento «naturale», quasi automatico di soggetti semplici, senza vere relazioni ma con mera amplificazione di vibrazioni guidate dalla direzione del movimento (Bauman, 1992 e l'eccellente fiction di Crichton, 2010). La wikinomics o i blog gestiti dai dipendenti di una azienda, in cui si discute del miglioramento del prodotto, operano col modello software degli agenti autoorganizzati: reti con nodi intelligenti autonomo, non soggetti ma oggetti. E' «ipertoyotismo»: zero difetti, zero conflitti. L'autorealizzazione, il bisogno maslowianamente elevato, diventa spesso gioco e spettacolo 23 : mancano barriere all'ingresso, lo scroccone è tollerato, ci sono scarne regole, controllo e incentivi. Si tratta di doni che, validati dalla community, creano valore per tutti. Funziona, annullando le interfacce di Spaltro, è organizzazione scientifica (antitayloristica) del prosumerismo. «Prosumer dunque sono»: sono nel cloud, sono connesso ai flussi. Un mix di sconnessione e iperconnessione. Il cambio di velocità, dovuto alla concorrenza in mercati on demand, richiede, al singolo lavoratore/imprenditore - ma la differenza sfuma - e al territorio, di inventare, progettare, produrre, vendere e erogare nuove commodity, ma anche saperle consumare rapidamente, creando il ciclo del bisogno di nuove. Occorre essere molto rapidi nell'aggiornare capacità e competenze necessarie: per un lavoratore, soprattutto autonomo/precario, la fast life è «inquinata» dall'esaltazione trafelata e compulsiva del nuovo, dalla riflessività intraprendente turbocompetitiva 24 , dall'«urgenza di vivere». Se la vita è lavoro, è una roba seria, non si può perder tempo 25 : nulla di male, ma lo schiacciamento del tempo dei «prosumer alla spina», «uberizzati», trafelati, sottrae inevitabilmente tempo all'hic et nunc (Catania 2008), e non può che richiamare il Work Life Imbalance 26 , I MERCATI DEI LAVORI: MARKETING DELLE PERSONALITA' Quando parliamo di mercato del lavoro ci mancano le parole giuste 27 . Hiring segnala la temporaneità, ma forse marketing è il termine che più si avvicina a questi strani mercati, dove si offrono tempo e competenze di prestatori d'opera (opus appunto), in cambio di un corrispettivo, più o meno monetizzato. Marketing di opportunità, idee e competenze, in cui affiora necessariamente la soggettivazione, sopra accennata, da impresa, il sapersi vendere, il saper recitare. Il ruolo, la persona come maschera che prevale sul sé. Ma marketing, come gerundio 28 , è processo e risultato, comprare e vendere con criterio, andare al mercato con le idee chiare su cosa si vende e cosa si cerca. Occorre fiducia: quasi sempre compri o vendi «al buio», vendi te stesso o noleggi uno sconosciuto: occorrono relazioni fiduciarie a monte 29 . Si tratta di reti di flussi di relazioni di scelta «commodificate», continui, rapidi e complessi, con informazioni scarse (e scarto di infinite altre possibilità), una rete di flussi di community, sociali 30 . Mercati adatti agli audaci e agli impulsivi, e i fragili? 23 La gerarchia dei bisogni di Torvald, il creatore di Linux: 1. Sopravvivenza 2. Relazioni sociali 3. Divertimento. 24 Il prefisso indica una curvatura innaturalmente iperbolica, eccessiva per i ritmi «naturali». Come obiettivo: al massimo sarà poi lineare, o logaritmica come la vita. Una velocità che richiede decisioni rapide, tagliando via le alternative, e quindi in fondo antidemocratica perchè democrazia è paziente tessitura, compromessi, lotta per egemonia, processi partecipativi appunto, tutte cose che in impresa non ci sono, decide uno solo o il teamtheinking, perchè non c'è tempo. 25 La Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie che deve correre, o i Papalagi che non hanno tempo (Scheuerman 92). 26 Davvero crinale cruciale, tema che richiama le Pari Opportunità, le differenze di genere nella salute, il carico dei lavori di cura e dell'oikos mal distribuiti, un turnover troppo rapido di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro che riduce gli investimenti affettivi stabili. Si pone un problema politico centrale, non colto, di compatibilità vita-lavoro, perchè poca formazione è rischio di esclusione sociale. 27 Domanda qui è chi compra, e offerta chi vende. Stranamente i due termini sono invertiti, e infatti facilmente si confondono. E' il produttore (il lavoratore) il soggetto debole e non il consumatore: occorre la protezione dei diritti dei produttori. 28 Organizing è organizzare e essere organizzati. Learning, well-being, empowering, participating sono processi fondati su capacità di autodiagnosi e automiglioramento, individuali e collettivi: sono, nel pragmatico inglese, gerundi, cioè fini che coincidono con le attività stesse. 29 Pensiamo ad esempio alle società di selezione: l'impresa si fida del fornitore, del selezionatore interno, della preselezione del Centro per l'Impiego o della segnalazione. Analogamente per la formazione o la consulenza: ci si fida della reputazione dell'Agenzia o del professionista. In un concorso ci si fida della trasparenza. In realtà il processo di matching, basato sulla fiducia, è tutt'altro che ottimale e scientifico. 30 Non molto dissimile da Linkedin, che fa da servizio di intermediazione lavorativa basato essenzialmente sulla fiducia, visto che è virtuale.
  • 7. Ignorati, anzi la paura di essere eliminati - si dice- motiva il darsi da fare. La risorsa scarsa intermediata è il tempo di vita esperto, professionale, competente: la personalità economica appunto. Si cambia allora vita, impiego, mestiere, senza (o con) drammi, nell'era della multiattività, di vite industriose in cui tutto è potenziale lavoro e potenziale apprendimento, anche una vacanza o il gioco. Potenziale da sfruttare, giacimento da scoprire (o riscoprire riattualizzandolo). Capacità di intercettare i flussi e di lanciarli, cioè segnalare la disponbilità. La forza dei legami deboli (Granovetter, 1974) reinterpretata come saper muoversi anche in reti corte: certo, un vantaggio competitivo per l'Italia. Un servizio al lavoro e al long life learning è quindi una doppia consulenza di marketing che riduce il mismatch competenze-impieghi e quello fra flessibilità lato offerta e lato domanda, «incanalando» gli attori nel loro costituzionale ruolo sociale. In particolare per il lavoro autonomo-precario con debole capitale socio- relazionale, il commerciante senza clienti, vetrina senza merci: il commercio vive di relazioni. Ecco il Long- Life Learning, anche ritornando sui propri passi: non solo aggiungere, ma anche recuperare vecchie amicizie, vecchi lavori, vecchie esperienza e riadattarle. I mercati del lavoro vanno resi comunque in primo luogo trasparenti, perchè non si trattano più transazioni capitale-lavoro: si «noleggiano tempi di vita», giorni-uomo, quindi occorre regolare il commercio, riequilibrare a favore dei più deboli, dare informazioni, articolare i flussi per favorire l’incontro diretto fra i prosumer. Uguaglianza e solidarietà, come detto, sfumano perchè si cercano proprio le differenze, ma qui si comprende facilmente come la condivisione sia anche, oltre che un principio di uguaglianza, una soluzione smart. DAL LAVORO AI LAVORI/ATTIVITA'/COMPETENZE Come contraltare al disagio della precarietà (Kilborn, 2009) assistiamo ad un'altra transizione, faticosa ma certamente epocale 31 : lo slittamento fra lavoro e non lavoro e dal Lavoro ai lavori, alle multiattività life- friendly (sport, cultura, sociale, relazioni, salute, hobby, arte, ricerca, ricreazione, ma l'elenco in realtà è immenso), un tempo considerate extralavorative (la leisure class di Veblen). Alla domanda ˝che fai nella vita˝, la risposta è spesso multipla 32 : un salario (spesso misero) e altre attività “laterali” di tipo amatoriale, associativo e sociale. Permane invece, soprattutto nei decisori pubblici, la vecchia idea della monospecializzazione, della professione: l'idea che al lavoratore sia associata per sempre una sola attività lavorativa 33 . Invece il tema delle multiattività corre da tempo sotto traccia, e assume forme creative, alternative e sociali come la sharing economy, il basic income di cittadinanza societaria, le monete locali, le Banche del Tempo, l'invecchiamento attivo mediante il volontariato civico, il welfare di community, i congedi per attività sociali, il volontariato esteso e riconosciuto come credito formativo o validazione di competenze, il «sospeso», il dono non immediatamente da restituire. Forme di autoorganizzazione, autoproduzione/autoconsumo, condivise o cooperative, finalizzate a vite ben impiegate, socialmente utili, buone. Favorite dalle tecnologie che certamente in questo caso sono davvero abilitanti. Certo, tema ambiguo (ad esempio riduce le entrate tributarie), come abbiamo visto ambiguo 34 è da sempre il tema del Lavoro. Tempi e lavori ripartiti riconfigurano le società con forme di clan sui bordi del mercato 35 . Se pensiamo del resto alle attività di aiuto o di relazione, o al terziario creativo amatoriale, non abbiamo solo opus libero, per sé: c'è un mercato potenziale di protoattività indipendenti, di competenze imprenditoriali atomizzate fino a scomparire nelle vite, e poi ricomposte. Attività liminali ma che, sommate, contribuiscono sempre più all'affermazione di soggetti, anche collettivi, indipendenti o come prove di reddito o professione. Il lavoro, compresso perchè «turboprosumerizzato», tracima quindi dal mercato del Lavoro (maiuscolo) e diventa vitale, crea nuove organizzazioni, nuovi lavori, e anche un de-investimento dal Lavoro in senso stretto, in chiave di recupero psicofisico da lavoro stressante. Nuovi lavori come occupazione e formazione continua on-the-job, quindi, ma il nodo pratico è l'organizzazione, il pooling di risorse (informative, di aiuto, Banche del Tempo, cohousing, coworking, «co-vita»), e anche una nuova rivendicazione di spazi e tempi collettivi. Nella società delle multiattività, alcune hanno maggiore utilità pubblica, ad esempio proprio orientamento e formazione: occorre un riconoscimento pubblico, politico, delle competenze e attività emancipanti e socializzanti, ripartendo tempi e attività, certo senza far concorrenza su mercati (Laville, 31 Vedi (Gorz, 1997), ma prima di lui diversi teorici della liberazione dal lavoro alienato. Il comunitarismo di Gorz in fondo è sostenibile perchè modulabile in estensione sociale. O per dirla alla Sen, è una choice, multipla, in cui scegliere più strade, con capabilities e functioning multipli. 32 ˝Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose˝, come Ecce Bombo 33 Si badi: tale idea, nobile perchè risalente all'etica professionale, è presente in vari settori, dove non è raro trovare persone che per tutta la vita hanno svolto la stessa attività. Ma la cosa curiosa è che tale schema è presente anche nel privato competitivo, e permane molto più a lungo di quanto si pensi anche come modello mentale nello stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa fatica a emergere perchè fa saltare questa impostazione rigida, ma questo salto appare, denso di rischi, paure, ansie, viene esorcizzato e tenuto nascosto. 34 Dalla certezza all'ambiguità: una lenta conquista? (Quick, 1993) 35 Le innovazioni nascono spesso da saperi, spazi e tempi considerati «inutili», o dall'assorbimento di comunità di pratiche hobbystiche alternative, ad esempio la microelettronica nella controcultura californiana degli anni 70 (Revelli, 2001) o ai giorni nostri il dark side della creatività nel caso dei derivati e delle assicurazioni creative.
  • 8. 2000). Riconoscere al datore di lavoro il tempo del dipendente per attività sociali e incentivare la responsabità sociale delle imprese. Le cooperative di consumo come prosumer collettivi? Basic income come diritto al benessere minimo di cittadinanza, a non essere cacciati unter, a poter vivere una vita decente, diritto alla salute minima di cittadinanza societaria. Basic welfare (formazione e lavoro, mobilità, casa, nutrimento, socialità) di risorse minime garantite a tutti, un vero livello essenziale di prestazione, capacitante, perchè condizione di vita, investimento sociale. In questo senso se perdi il lavoro c’è un know how, e un know who, rivendibile. I lavori sono un gioco a somma variabile dove tutti guadagnano: reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori ripartiti. Una società che valorizza i prosumer che produce, messi al lavoro per la società - società appunto, soci alla pari - perchè il prosumer produce social innovation, solo che il sociale è dominato dall'economico, è ridotto 36 . Siamo nell'era economico-sociale più che socioeconomica, del Lavoro «a socialità limitata». Il paradosso del precario/autonomo, e del disoccupato, è che il tempo liberato può essere usato per formazione, volontariato pubblico, socialità, salute, famiglia, altri lavori, mentre è dissipato. E questo vale anche per il pensionato. Il lavoro è mortificato in schemi economicistici 37 , ma ci sono attività non monetizzate, redistribuibili a tutti, «vite al lavoro pubbliche». Si può trovare il modo di occupare le persone in attività che piacciono e guadagnarci tutti: basta organizzarsi. Anziché formazione finanziata, lavori finanziati, diritto a una vita multiattiva, alla multiprestazione, congedi per attività pubbliche, bandi mirati, possibilità di variare lavoro, più multichoice del tempo extralavoro. Nei Centri per l'Impiego si possono utilizzare dei volontari, il tempo libero ha immense praterie di utilità sociale, e di cittadini lavoratori insaturi. Il volontariato civico va organizzato (si pensi alle migliaia di opportunità di volontariato all’estero rispetto alle poche da noi), è un moltiplicatore di lavori e servizi pubblici, attività artistiche, culturali, sportive che non sottraggono nulla al mercato, e anzi possono essere preincubatori di imprese. In città ma non solo: certo occorrono spazi e e tempi, iniziativa, strumenti e locali a disposizione, nuovi modelli di vita e sistemi locali di sharing. LA POLARIZZAZIONE DELLA FLESSIBILITA': CHI INVESTE E CHI E' INVESTITO La disoccupazione/inattività convive con la sovraoccupazione/sovraattività, ma la divaricazione cresce. Vite dense, energizzate al limite, autonome. Ma anche, si è detto, molte vite inutili, rarefatte, eteronome. Il multiattivo senza tempo, assediato dalla «fiera delle opportunità», confina con la paralisi regressiva, l'inattivo con vita vuota e tempo sprecato in allontanamento dalla cittadinanza, ostile allo straniero e allo Stato, che non chiede aiuto. «Up and Out»: la polarizzazione evidenza la mancanza di solidarietà per gli esclusi, ad esempio interi territori o le generazioni anziane. Pensiamo alla assenza di solidarietà fra territori. Quale equità e soprattutto quale reciprocità, se c'è chi non lavora e chi lavora per dieci ? Ecco quindi il counselor per capire se si è all'altezza, la ricerca di chi decida per te, il ritorno a forme premoderne rassicuranti, comunità simboliche, emotive, rituali, spettacolari, con scarsa relazione vera Diseguaglianze (pare crescenti) non solo di reddito, ma di redistribuzione della risorsa chiave: il tempo di vita competente, fino a delineare una società a due velocità: il multilavoratore globale con poco tempo e molte competenze (cronofagico), e l'inattivo locale, con molto tempo e poche competenze. Abbiamo peraltro anche molti sovraqualificati sottooccupati, e pure sottoqualificati iperoccupati. Per i soggetti che della flessibilità sanno cogliere 38 , in modo benestante 39 , opportunità per lo sviluppo, le «vite-lavori», oltre che merce, sono «vite attive» (Arendt, 1964), vettori di functioning (achievement) di qualità, vite «impoterate», e valore aggiunto selfpropelling circolante 40 , dono più o meno ampio per l'intorno sociale. Identità anche collettive e bene comune che aumenta le capabilities territoriali, cioè le capacità di functioning collettive, la qualità delle vite. Vite belle, non tutte mercificate. Ad esempio una startup è perno di identità collettive locali, vite che consumano e ricostruiscono risorse, anche se con una certa resistenza di spazi per sè e per i propri gruppi primari, a non condividerli. O ad autogestirli nei tempi, come evidenziato nelle multiattività. «Vite-lavori» che sviluppano identità e autostima, che realizzano desideri di gratitudine, 36 Lean, la produzione snella, ridotta al minimo, è parente di strain (rottura), cioè l’organizzazione si può «rompere». 37 Ad esempio è illogicamente occupato chi ha lavorato un ora nella settimana di rilevazione ISTAT, mentre è disoccupato chi fa il volontario a tempo pieno. 38 Choice alla Sen (1986). 39 Benessere (Spaltro, 1984) come sentimento di stupore che incontra la vita nel traversare le interfacce psicosociali. Spaltro distingue tre livelli di funzionamento sociale (coppia, piccolo gruppo, organizzazione) e tre interfacce (A fra individuo e piccolo gruppo, B fra piccolo gruppo e organizzazione, e C fra organizzazioni). Si veda Cerrina Feroni (2013). Il modello si basa sulle resistenze, nel passaggio delle interfacce, che presentano aspetti di regressione e progressione, di difesa (in-dipendenza) e socializzazione, di chiusura e apertura. Le interfacce sono «manopole» di navigazione sociale, un va e vieni, un sali e scendi, una boccata d'aria e una difesa dall'inghiottire l'acqua, una corrente alternata simile all'oscillazione delle maree, fra minore a maggiore densità sociale, fra identità a appartenenza. Duali perchè, lewinianamente, «zone di passaggio»: il loro attraversamento (il trattino dell'interfaccia), è freno e avvicinamento, autonomia e integrazione. E' benestante se accade senza impazienza, capace di «digerire» frustrazione e dissenso, di «abitare» le dualità senza urgenza di unificare o scindere, sapendo «so-stare» nei conflitti. Un concetto parente dell'empowerment, ma che evidenzia le belle relazioni e il bellessere: potremmo dire più di nucleo strategico, per il soggetto. La riflessione di Spaltro è pluralizzante, parte dagli anni '70 e si fonda col decennio di modernizzazione (1957-67), la scoperta del soggetto e dello stile partecipativo-democratico. Vedi anche i lavori seminali (Bennis, 1969) su salute organizzativa e sviluppo organizzativo. 40 Capitale circolante - visto che la metafora è economica- cogliendo con questo termine anche .la rischiosità dell'operazione.
  • 9. legittimazione, reputazione e dignità di ruolo pubblico. Benessere è accettare e giocare la sfida collettiva, nucleo culturale, processi e pratiche (anche i processi partecipativi) che animano la dinamica della convivenza promuovendo, mantenendo o migliorando salute e qualità della vita. In Avallone (2005) troviamo gli indicatori del malessere (scarsa fiducia, scarsa choice, conflittualità negativa, comportamenti indesiderati, diminuzione del senso di appartenza e della creatività). Circuiti virtuosi (buonessere, vita buona, di chi dà una mano ed è solidale con l’inattivo,vita degna, vitale, socialmente responsabile) generati anche a partire da quelli viziosi 41 (mala-vita, malessere, vita indegna e irresponsabile), e viceversa. Alcuni esempi di contaminazioni malestanti:  Diffidenza: quello che imparo lo impara l'altro (potenziale concorrente), che mi osserva  La socializzazione è munus da restituire, da cui disfacimento dei legami sociali e schiacciamento eccessivo sull'Altro  Lo spillover dei modelli mentali, ad esempio il volontariato che serve a migliorare la propria occupabilità  Il sentimento del potere che «stinge» verso l'egopatia e la volontà di potenza  Ansia, ad esempio dei genitori che non possono offrire benessere (potenziale) ai figli o ansia di inserirsi con un post nei flussi Last In First Out  Attacchi di panico, uso di farmaci per indurre attenzione o provocare/attenuare emozioni (doping da benessere)  Esaurimento e collasso psicosociale, dall'organizzazione dell'Io fino alla lacerazione di convivenza e cittadinanza di interi territori  Surmenage: vivere una «vita da detective», ad esempio le idee che sorgono fuori dal lavoro e l'eccesso di rischio Il malessere è rischio di sostituibilità, paralisi, regressione, terrore di essere messi da parte, resistenza a essere misurati. Sconfitte vissute come vergognose, supereroi performanti che celano il loro doppio: l'utente risentito, ipercritico, gli scatti di collera, l'aggressività, gli attacchi alle routine, l'odio-invidia per l'impiegato pubblico. Si subisce l'irritazione dei familiari, si è evitati socialmente, si è considerati pigri e incapaci. Non essere presi in considerazione nei colloqui di lavoro è emotivamente pesante, perché si misura la distanza da performance o corpi inadatti. Non c'è lavoro, cioè che vivo a fare? Sono solo un peso, sono escluso dalla bella vita. Il malessere sorge da una cronica oscillazione fra iperattenzione sovraeccitata, intossicata e sregolata da choice obbligata (non libera di non choice), e lutto depressivo perenne 42 . Sé grandioso e sé disintegrato: vacilla il ragionamento ponderato, in una schizofrenica caccia all'inconsueto 43 . La «turbovita» mal si concilia (per molti) con la stabilità psichica, da cui derivano difese nevrotiche (regressive) e paranoidi (identificazioni proiettive, e odio per la vita come «mancanza a benessere» 44 . Lo smarrimento identitario, il ruolo troppo «srotolato» si disfa, e rende difficile ricomporre un nuovo ordine, cioè ordinare i frammenti identitari in uno stile di vita personale stabile. In altre parole la difficile formazione, o erosione delle personalità (Sennett, 2000), che mina le basi per la sua riproducibilità. Il rischio rottura è dovuto a strain breveperiodisti di obbligo performante 45 di Long Life Learning, all'infinito self-enhancement, al dover «stare al passo». I soggetti vengono energizzati, benesserizzati, empowerizzati (forzatamente lievitati, per usare una metafora culinaria) oltre i limiti «naturali» e possono «strapparsi» 46 . Usando il modello di Antonowsky (1978) - che vede forze stressanti che impoveriscono e forze di coping che resistono- il coping, sociale e individuale, può non reggere e l'eustress viene sopraffatto dal distress. Fronteggiare è risorsa consumabile: troppi stimoli generano sovrabbondanza a essere. Cresce il benessere per pochi resilienti, che ispessiscono le loro vite, suscitano e saturano desideri, ma in spirali oscillatorie che esondano dalle capacità bio-psicosociali Questo «disagio della precarietà» - unsafety 47 più che unsecurity - declina il lavoro (per fasce crescenti più escluse o isolate), come malessere psico-sociale: disoccupazione/malaoccupazione, fallimenti personali o di impresa, «incompetenza» e burnout generano malattia e esclusione sociale (e viceversa) 48 . Il benessere è, al contrario, saper girare intorno al raggiungimento possibile del desiderio, senza fretta, fra 41 Cioè gramscianamente rovesciare (allora il nascente fordismo, oggi il postfordismo) 42 Cambiare (i formatori degli adulti lo sanno bene) è uccidere il «vecchio» 43 Lo schizofrenico perde appunto la vita quotidiana: il senso cmune diventa non comune. 44 In Lacan la «mancanza a essere» è odio per il simbolico che non rende liberi, odio per la vita, per il debito, munus con la comunità, la negazione della dipendenza dall'altro come ordine e limite (Recalcati, 2010). 45 Dal superuomo all'uomo sovraeuforico? 46 La «fatica di essere se stessi» (Ehrenberg 1999) 47 Cioè non si sa se il prossimo lavoro sarà meglio o peggio, non si sa quale sarà, non si sa quanto ci vorrà a cercarlo, 48 “Oggi una parola chiave dei nostri pazienti è lavoro. I pazienti parlano in modo angosciato del fatto che non c'è più lavoro [..] lavoro diventa la parola chiave per rifondare la parola desiderio. Si capisce allora che c'è stato uno spostamento radicale rispetto agli anni Settanta dove il desiderio era un'alternativa al lavoro, mentre oggi il lavoro è la possibilità di dare un senso al desiderio” in Recalcati (2013).
  • 10. passato e futuro. E' stupore, senso di imminenza estetico per la trasformazione di capabilities in functioning che si sta per compiere. E' conflitto accettato 49 , desiderio di investire e paura di farlo, all'interno di un sentimento di futurità e padronanza del sé e del contesto, cioè sentimento del potere, di mastery, di agency. Per Spaltro è anche belle relazioni (gruppare, organizzare) e bellessere, cioè «plus-essere», desiderio che si colora, Sabato del Villaggio, sorpresa nel sentire di passare dall'impasse allo spiraglio, di «scollinare» sui crinali soggetto-oggetto, separazione-unione, incertezza-sicurezza, assenza-presenza, amore-odio, vita- morte. Benessere come salute, welfare, come capacità di essere organizzati- nel senso dell'antica Roma- e di occuparsi della debolezza con la cultura della forza. Riflessioni, come si vede, centrate sulle tematiche prima accennate. Per Spaltro l'attraversamento delle interfacce psicosociali è cross-fertilization di energia: nel benessere l'energia fluisce, si moltiplica, mentre nel malessere defluisce, rifluisce e si scarsifica. Il benessere, nella af-fluent society è ri-fluente, in-fluente, con-fluente e de-fluente, si autoalimenta ed è potenzialmente illimitato. Ma più le interfacce sono abitate e fluidificate - oggi si cambia spesso gruppo, organizzazione e territorio - più sono facilmente traversabili, ci si abitua e si innesca quindi una corsa al rialzo? Il malessere del benessere, il «benesserismo» (Cerrina Feroni 2014) è il «turbobenessere» che, biopoliticamente, vira troppo verso la sfera produttiva. Una lettura neoapocalittica che evidenzia il malessere di una spirale perversa di scarsificazione del benessere che, spinto all'eccesso, scolora nel suo opposto. Passato l'incanto del trentennio postmoderno (del benessere come well-being?), siamo ora nell'era del disincanto? 50 L'attenzione oggi è sulla qualità della vita-lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma tali elementi sono incorporati in prodotti e servizi (il wellness ad esempio è un prodotto), di cui siamo a nostra volta i turboprosumer che alimentano il ciclo. Beni che finiranno, anche se pubblici come i beni relazionali, mercificati. Da cui un baumaniano retrogusto amaro di «vita a caccia di benessere» che non è tutta vita buona, perchè si consuma 51 . Dal «diritto a perseguire la felicità» alla «spinta gentile» verso l'ultrabenessere. La velocità eccessiva del ciclo desiderare-essere-avere (di per sé positivo, ovviamente) finisce per invertire normalità e eccezionalità, alzando l'asticella verso una efficienza forzata. Il rapido godimento del benessere ne fa desiderare sempre di più, ma l'andamento, necessariamente sismografico (come quello dei mercati finanziari), produce forti sbalzi di malessere 52 . Un limite di velocità: oggi si occulta il benessere per paura dell'iperbenessere? Se interi territori competono sugli indicatori di benessere e qualità della vita, i soggetti sono forse più assoggettati (sub-jectum) che autonomi (pro-jectum). La frustrazione di una avventura agonistica senza fine produce, alla lunga, effetti patologici (Recalcati, 2010), che si notano, sotto traccia, negli interventi di formazione e orientamento:  Vite «spolpate», smarrimento, ritiro nelle «passioni pallide», paralisi da in-capacità magico-fatalista  Vivere alla giornata aspettando il biglietto vincente alla «lotteria della vita»  Mostrare emozioni finte e nascondere quelle vere (rabbia e aggressività)  Risentimento e ipercriticità invidiosa per le qualità meno raggiungibili, come quelle cognitive, e rancore per l'altro flessibile che sostituisce il prosumer difettoso (lo straniero) o l'altro iperbenesserizzante (l'intrusione burocratica nelle vite, il sindacato, ma anche in parte il Terzo Settore di vecchia generazione)  Il riaffiorare di paure primarie (far brutta figura, non farcela, essere traditi, abbandonati, maltrattati e malconsiderati) e di Sé passati da riattualizzare (Caligor, Kernberg e Clarkin, 2012)  Anaffettività: vita vuota se «esci dal Reality», come in Reality di Matteo Garrone. La «cum-fusione» fra ruoli pubblici (paterni) e privati (materni) determina un sovraadattamento longlife all'altro e al sé precoce: lo smarrimento identitario rende difficile fissare i frammenti identitari dei sé multipli derivati dalla miriade di esperienze. Essere, vedere e sentire in luoghi diversi, fare tante cose insieme: «intra-viduo» (Conley, 2008) e «multividuo», con adolescentizzazione forzata e consumo di self-efficacy. Da cui seguono (La Barbera, Guarnieri e Ferrario, 2009) :  Frammentazione del senso di sé e dell'altro  Rimozione, burnout, perdita della gioia di vivere, distacco e fuga dal reale 53 che non corrisponde alle aspettative 49 Conflitto «che lavora per noi» (Metcalf 1942), «capacità negative» (Lanzara, 1993), o ancora prima con Keats e F. Scott Fitzgerald, con uno sguardo binoculare («e-e» più «o-o»), con gli occhiali dell'uno e del molteplice. Conflitto che invece terrorizza l'infante, che infatti attiva le difese primitive kleiniane schizoparanoidi e depressive. 50 Prima era la voglia di sfuggire all'ordine, il disincanto dell'ordine. Oggi è l'inverso, voglia di sfuggire al disordine, disincanto del disordine? 51 Sentimento che colpisce anche gli operatori dei servizi di formazione, orientamento e consulenza. Chi deve motivare è spesso a sua volta precario. 52 Lo stesso paradosso di Easterlin (1974), cioè la curva del benessere che tende a decrescere con l'aumentare del reddito, segnala una contraddizione: potremmo parlare di limiti del benessere, parafrasando i limiti dello sviluppo di marca ecologica. Una versione «umana» della «tragedia dei commons» (Hardin, 1968), una estensione delle colonizzazioni moderne (il Nuovo Mondo o il taylorismo) alla «recintazione» del comportamento (alla Goffman, cioè recitante). 53 L'hikikomori giapponese: giovani che si ritirano per anni in solitudine estrema.
  • 11.  Ipernarcisismo euforico, avido e juissance dissipativa, onnipotente e mortifera 54  Malessere organizzativo: distorsione, proiezione e rimozione del conflitto vita-lavoro (Fraccaroli, 2011)  Gravi disturbi alimentari e uso di sostanze per attenuare l'ansia o essere artificialmente euforici e al top  Esasperata coscienza di sé e dell'altro, ipertrofia cognitiva e disfunzione del senso comune di tipo schizoide o melanconico 55 La domanda a questo punto è: come rendere l'«ipervita» del Long Life Learning compatibile col bios ? Quale welfare? Quale ruolo per le community locali ? NUOVE VULNERABILITA': I SOPRANNUMERARI DI SISTEMA E LE PRATICHE DI POTENZIAMENTO/AIUTO DA 0 a 80 ANNI. I nuovi profili di rischio sociali riguardano sfere un tempo considerate private e segmenti sociali. tradizionalmente garantiti. Numerosi studiosi 56 segnalano una «tragedia tranquilla» di disaffiliazione e sfilacciamento sociale che colpisce più i ceti mediamente benestanti che le tradizionali fasce di malessere e povertà, più abituate alla lotta per la sopravvivenza. Un precario deve aggiornarsi, ma anche cercare lavoro, produrre e rendicontare: non c'è tempo mentale per giocare, leggere, camminare, partecipare alla vita pubblica. Nei nuovi Sisifo che non reggono l'imperativo di McClelland della achieving society, emerge allora un sentimento di rischio di irrilevanza/sostituibilità, non ci si sente riconosciuti, amati (l'autorealizzazione è attenzione da parte dell'altro). Ci si sente «cattivi investimenti» in capitale sociale e uman, che non restituiscono valore: aziende in crisi, aree a sviluppo ritardato, aree interne 57 , gli helplessness. Risorse umane 58 scarsificate nelle capacità di riconoscere e fronteggiare problemi e opportunità, con rapida elaborazione riflessiva di azioni e nuovi desideri, perchè queste capacità non sono state ricostituite dopo il consumo. Gli intrappolati nella rete (come contesto sociale), che non hanno più voglia di combattere, i «reduci». I molti over45 in difficoltà a ricollocarsi sul lavoro, ma anche, in forme diverse, vaste fasce giovanili. Il soggetto perde spessore (Bologna, 2011), paralizzato dalla sensazione di scalare una montagna troppo alta: subentra una personalità artificiale «come se» di Helen Deutsch (un misto di aggressività e passività, di amabilità e cinismo), nella volontà di desiderare di appropriarsi e mobilitare le risorse, perchè il gioco è un «campo minato» che alimenta il divario aspirazioni-opportunità reali. Mazzoli (2012) parla di sfibrante soggettivazione della povertà: essere presi in carico dai servizi è vergognoso e umiliant, perchè implica un senso di inadeguatezza. Chi resta indietro è dunque anche fuori dalla formazione, è solo, non è raggiunto, non partecipa alla vita civile. Poveri da disallineamento col turbosviluppo, con idee di sviluppo distorte e frustrate dal veloce adattamento alle competenze necessarie: molti rimangono «indietro», non sono più adatti alla turbocompetizione, diventano soprannumerari. Si tratta, inizialmente, di un disagio, di una paura, di un sentimento di vulnerabilità, di non saper fronteggiare lo spiazzamento, che poi sfocia gradatamente nella povertà e nell'esclusione vera e propria. Una non autosufficienza nelle «vite-lavoro». Fasce sociali con buona scolarità ma basse competenze riflessive, e bassa riconvertibilità di competenze. Soggetti isolati socialmente (anche imprese e territori, magari coesi all'interno) o che per tradizione familiare o locale sono rimasti a un modello «moderno», cioè a un «impiego» ben distinto dal non lavoro o dalla vita personale. Soggetti e organizzazioni con velocità minore di cambiamento, non distribuiti ugualmente sul territorio, dispersi e difficili da intercettare, perchè non hanno elaborato i lutti per la scomparsa del mondo in cui abitavano, cioè non mostrano una domanda, non si rivolgono ai servizi. In «esodo silente dalla cittadinanza», con i tratti talvolta del risentimento, e coi quali è difficile condividere i servizi da offrire. Si tratta di trovarli, coinvolgerli, ragionare con tempi lunghi caso per caso, territorio per territorio, e intervenire, in modo coordinato e partecipato, senza sbagliare, proprio nel punto più delicato del sistema sociale. L'errore fondamentale è considerare questa utenza solo come individui: sono gruppi sociali, micro imprese, piccole organizzazioni, anche nel Terzo Settore, sono interi territori locali: i livelli di funzionamento sociale e di empowerment individuale, organizzativo e sociale sono intrecciati, e l'intervento di aiuto qui davvero richiede un analogo intreccio di competenze. I “RECALCITRANTI A ESSERE MEZZI DI AZIONE”: INVULNERABILI O PARASSITI ? Analizziamo anche, per completezza, le minoranze contrarie al benesserismo. Che, abbiamo già visto con 54 Il Salò di Pasolini. 55 Qui rovesciato, è amore-odio per la routine, palude dell'essere-lo-stesso, figura molto presente nei Centri per l'Impiego. 56 Ranci (2002), Borghi (2002), Castel (2001), La Rosa (2005), La Rosa (2003), Zamparini (2011), Goodin (1985) 57 3/5 del territorio italiano 58 Da ressortir, in francese riuscire a cavarsela.
  • 12. l'economia del dono, si possono trasformare in forze positive 59 . Soggetti con stili di vita obsoleti: vite compassate, disinteressate, «dolenti o nolenti», ben oltre la normale resistenza dell'adulto al cambiamento e all'apprendimento. Chi mostra rigidità, cocooning / social loafing (apatia) al disordine ipermoderno, chi si chiude ai flussi e rifiuta una «vita da prosumer» e di invecchiare attivamente. Chi mostra prudenza di fronte all'innovazione letta come «ex-novazione», atteggiamenti di stagnazione psicosociale («non-essere-gettati- del-tutto») o chiusure identitarie a sé stabili, familiar-comunitari, rassicuranti. Certamente qualità che danno sicurezza, ma minano l'autonomia e sterilizzano le capacità. L'esercito di riserva al contrario: i non competitivi che si limitano alla performance minima vitale o praticano il soldiering 60 . L'aurea mediocritas delle organizzazioni («in-competenza», «dis-organizzazione», disturbi di apprendimento organizzativo, «in- azione», organizzazioni inospitali 61 ). Anche soluzioni di exit, come non espropriabilità del proprio, resilienza come resistenza alla rottura, o forme devianti di riproposizione di schemi non produttivi (Centri Sociali), fino all'aperta rivolta regressiva allo stadio primitivo o al sabotaggio, certamente qui autolesivo. O – all'opposto - tratti conservatori/premoderni nostalgici (umiltà, rispetto, onore, la ricerca di guru, le sette) o populisti. Ma dissenso e critica aperta al turbobiopotere hanno poco spazio e molte forze antagonistiche- libertarie vengono presto riassorbite 62 . Raffinando l'analisi potremmo chiederci: se la vita è biopolitica, cosa residua? Qual'è la frontiera di resistenza? Quale «vita minima», «vita buona»? Chi è oggi l'«Uomo senza qualità»? Quali sono le incomprimibili «competenze proprie»? Quali relazioni sociali minime? Il familismo è davvero amorale? L'ora di vita inoperosa, la noia, l'ozio 63 , l'ignavia (Oblomov). Chi consuma prodotti antiquati: l'ecologista autarchico, il raccoglitore. L'entropia, per l'appunto biologica. . Certo, tratti oggi socialmente negativi. Ma anche - entrando nella pars costruens - il pudore, la modestia, il dubbio, la pietas, l'etica del lavoro, forme societarie gratuite, vere reti sociali e veri amici (non quelli di Facebook), l'autentico «mi piace». Il soggetto «in-sè» e non solo «per-sè». Certamente l'in-dipendenza e l'in- dividualismo democratico. NUOVI DIRITTI/DOVERI E NUOVO WELFARE Incontrare la vita da prosumer riconfigura il privato (la ricerca di lavoro, l'autoformazione e le relazioni nei gruppi primari) in forma di nuovo argomento pubblico, e viceversa fa evolvere gli interessi pubblici in nuovi diritti (al learning e all'orientamento long-life) anche per i soggetti collettivi. Si aggiungono sfere pubbliche, altre si privatizzano: il welfare evolve perciò in modo analogo verso forme di cambiamento solidale, che non lascia indietro i vulnerabili, con dimensioni ibride, amicali. Nuovi rischi, nuove vulnerabilità e nuovi servizi implicano anche nuovi diritti/doveri (Paci, 2007) e una riperimetrazione o ridefinizione del welfare (che nella dizione anglosassone è benessere). Certamente oggi con un contributo maggiore della società civile e del no profit, e una regolazione maggiore dei privati e del Terzo Settore. Mentre però il welfare tradizionale fu conquistato dopo aspre rivendicazioni operaie, i nuovi servizi sembrano rientrare piuttosto nelle politiche di sviluppo. Il Long-LifeLearning («in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale»), il LongWide Learning e l'Orientamento Long-Life, contraltare alla sempre più rapida innovazione, poggiano ovviamente sul solido terreno dei diritti all'istruzione, al lavoro, alla salute, e in generale della realizzazione della persona umana, «anche nelle formazioni sociali», e ne sono la naturale evoluzione. Ma quale sharing, fra gli attori sociali locali, di questo nuovi doveri (inderogabili) di solidarietà sociale? E come reinterpretare sicurezza e salute (e benessere) in transito dai posti di lavoro alle vite intere? Rileggere il personalismo («rispetto per la dignità della persona umana») e il concetto di «integrità psicofisica»? Quale welfare e quali standard minimi di certificazione, di competenze, e di qualità dei servizi? . E' però evidente la sottovalutazione del nesso causale, nei due sensi, fra salute/sicurezza sociale e LongLife Learning/Occupazione. Ma. come detto, il welfare attualmente non prende in considerazione i giacimenti di competenze inutilizzate. Welfare senza lavoro, welfare dei lavori: il primo passo è il mutuo soccorso, riconoscere cioè che il problema è collettivo. Nuovo Welfare 64 : cosa vuol dire welfare di cittadinanza marshalliano-beveridgiano oggi? Come mediare 59 Come nei film dei Fratelli Coen (˝Grande Lebowsky˝, e, ancor più ˝L'uomo che non c'era˝) o pensiamo al rovesciamento biopolitico dell'autonomia radicale del '77 (radio libere, rifiuto del lavoro salariato, creatività, socializzazione). 60 Il frenaggio della produzione anticottimista studiato da Roy negli anni 50 (Bonazzi, 2002), il ca' canny, lo shirking, l'inosservanza funzionale delle norme per evitare l'abbassamento dei tempi. 61 Non dobbiamo mai tralasciare il lato della domanda: le organizzazioni, in cui si notano opacità, fazioni, doppi giochi, finte, accomodazione half-hearted, far finta di impegnarsi o in-efficacia disfunzionale. Organizzazioni formali, fredde, sospettose, grigie e collusive. Il mero adempimento, la routine, la, propensione a sfilarsi, il lavativo. L'obliquo calcolo delle convenienze e la sterile conservazione mirabilmente descritte in Celli (1993) 62 Andy Capp è stato cooptato, è diventato un prodotto. 63 Anders (1956) o Gaber in ˝Libertà obbligatoria˝, ma risalendo al romanticismo, alla critica al positivismo, alla Scuola di Francoforte, non manca una lunga tradizione, ambivalente, di critica allo sviluppo, che qui riattualizziamo. 64 Si veda Ferrera (2013) su come coniugare libertà (flourishing, choice e diritti) e uguaglianza (functionings e capabilities, comunità, inclusione attiva ), competizione e cooperazione, individuo e società, merito e bisogno, nelle varianti socialliberali (libertà e choice) , liberal-egualitaria (uguaglianza e choice), liberalcomunitaria (uguaglianza e comunità) e conservatorprogressista (libertà e comunità). Una composizione, a un livello più alto, che richiama quella già descritta per il benessere alla Spaltro.
  • 13. autoorganizzazione dei corpi sociali e indirizzamento degli attori e dei servizi sussidiarizzati verso l'interesse pubblico? Come evitare forme nuove di residui tutorial assistenzialisti, che permangono, ad esempio nei progetti comunitari? E chi è l'advocacy dei soggetti deboli? Il welfare mix, modello comunitario, basato su programmazione negoziata e bandi/gare è certamente sussidiarietà controllata, ma anche in parte consociativo, e a monte della programmazione cosa c'è? Se ci sono intermediari non è universalistico: i diritti di cittadinanza si differenziano sui territori. Ma è un buon modello perchè privilegia l'innovazione sulla cittadinanza, ed è pragmatico, cioè cerca di superare la routine dei servizi. Anche se è utilizzato male, come sostituto dei servizi, e quindi «routinizzato». I servizi sono finanziati con fondi comunitari (ecco perchè mancano i processi partecipativi), cioè la valutazione è ex ante, in itinere e ex post, ma il cittadino è giustamente assente: la neutralità è importante, siamo in un regime di gare, non di servizi. Al centro c'è la concorrenza, non l'utente. Apparentemente peggio, ma in realtà più universalistico e efficace. Forse non molto efficiente. Dal welfare «allievatore» di bisogni e di vincere paure primarie (morte, solitudine, ignoranza, fame, arbitrio) e sollecitatore di desideri di onniscienza, onnipotenza, immortalità e ubiquità, siamo passati a un modello di «workfare-learnfare» più allenatore, allevatore, di capabilities, che sollecita, indirizza e con-forma conoscenze e competenze ai desideri di rischio, crescita, benessere e qualità della vita. 65 Welfare non più come protezione contraltare ai rischi dovuti alla libertà economica (pensiamo ai corsi di riconversione per i disoccupati), ma come manutenzione, straodinaria, della capacità di produzione: la sicurezza si inverte di significato e il welfare tende così a diventare economico, e quindi privato. Il welfare fordista ordinava, appiattiva e limitava, mentre la scarsificazione e la disuguaglianza oggi aiutano: occorre invece un life coaching 66 che mantenga in salute i «riservisti». E' la versione biopolitica. Il welfare societario, di community care, di imprenditoralità sociale, ha come protagonista il Terzo Settore e le famiglie. Anche qui cittadinanza localizzata e differenziata, ma il servizio è partecipato, sia pure con formazioni sociali intermediarie e tavoli consultivi. Nella variante locale di welfare di community, in cui la società civile si affianca al pubblico, si attivano forme vere e proprie di «fai-da-te», di cittadinanza virtuosa. Tutti in fondo abbiamo, se non le skill tecniche, certo una sensibilità sociale. E' il nostro esempio, il processo partecipato. Il welfare generativo va un passo ancora più in là: c'è il dovere di contribuire, ricevi il basic income o il sussidio se accetti un lavoro socialmente utile o precario. Abbiamo già accennato, ad esempio nel passaggio dal Lavoro ai lavori, ad alcune direttrici di cambiamento interessanti in questo senso. Welfare residuale, se il privato invade gli spazi pubblici. E' il caso, rischioso, della Formazione e Lavoro. Il tema in Italia presenta altri nodi specifici:  mancanza di una normativa nazionale  mercati del lavoro opachi e privatistici  troppo stato dove non serve, poco dove servirebbe  scarsa occupazione giovanile e società bloccata (giovani in famiglia)  rigidità dei mercati del lavoro (una zona grigia del 5% soffre il mismatch con la domanda, poco vivace)  manca la solidarietà per il prosumer vicino, l'interesse a fatti pubblici come lavoro o learning, c'è scarsa trasparenza, poco «mettere in piazza» (qui in senso buono, partecipativo)  la fatica di trovare/cambiare lavoro non trova forme autorganizzate: la P.A. avrebbe un nuovo ruolo chiave nell'aggregare operatori e utenti  rilevantissime differenze territoriali  rilevanti differenze di genere, ma qui si aprirebbe un capitolo a sé stante sia sulle material girls in a material world, che sulle over 50, e anche su come le donne affrontino coraggiosamente eventi della vita «commodificata». FORMAZIONE E LAVORO: POLITICHE E SERVIZI Se le ipotesi descritte in precedenza sono vere, ad esse non può che corrispondere un analogo, ma direi soprattutto rapido, processo di ampliamento/riorganizzazione dei servizi. E' come se emergesse una nuova epidemia 67 e il servizio di prevenzione socio-sanitaria dovesse rispondere con informazione, cure e servizi adeguati. Nuovi servizi dunque di aiuto, formazione, orientamento e assistenza ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi: il loro «restare ai margini» del sistema «vite al lavoro» si autoalimenta in modo pericoloso. Occorre allora rivedere senza paura policy, organizzazione e regole delle politiche del lavoro e della formazione, favorendo una maggiore riflessione collettiva sull'azione (per esempio lavoro di gruppo e non 65 Vedi i pilastri delle politiche di coesione comunitarie; da Adattabilità, Imprenditorialità e Occupabilità (1997), si passa alla recente inclusione di Sostenibilità e Qualità della vita locale. Comunque mantenere i territori in buona salute per la crescita produttiva? 66 Coach era la carrozza con supporti speciali alle ruote per viaggiare su strade dissestate. 67 In realtà il disagio è davvero diffuso: basta osservare il consumo di farmaci ansiolitici o i nuovi disturbi che ci segnala la clinica.
  • 14. solo individuale), rimodulando le risorse attorno a servizi di elaborazione, simbolizzazione e «possibilit- azione» di vite occupate e ben impiegate, «impoterate», ben spese, in salute, rivitalizzate (se spente) 68 . Work in progress e «capacit-azione» soprattutto sul lato della domanda: competenze fondamentalmente tecnico-organizzative in questo caso. Suscitare motivazione e pratiche di miglioramento continuo soprattutto nelle imprese no profit e nei gruppi sociali 69 , come contraltare alla «messa al lavoro» di emozioni, cognizioni e relazioni individuali. Queste competenze, come detto, non sono solo professionali ma di capacità generale di fronteggiamento problemi e opportunità, attivando le risorse a disposizione dei soggetti, trasformando eventualmente le debolezze in forze. Saperi che si accumulano (e disperdono) socialmente nei territori e nelle pratiche di vita e sociolavorative, e dipendono, sempre più, da servizi avanzati locali di orientamento, formazione e consulenza. In altre parole ciò che prima era «spontaneo», ad esempio l'accumulo di capacità microimprenditoriali, di civicness o di capitale sociale, ora va sostenuto con policy e servizi di welfare di nuova generazione (per le nuove generazioni appunto) e di nuovo raggio (socio-lavorativo). Perchè questo capitale sociale si consuma rapidamente e va reintegrato. E' un campo in cui il settore pubblico più di tanto non può entrare, in quanto si regolano mercati privati, in cui si deve essere liberi (fino a un certo punto) di scegliere 70 . Avere servizi efficaci, o quanto meno adeguati, -al limite privati- sembrerebbe il primo posto dell'agenda politica, e infatti in molti paesi questo avviene. Efficaci nell'attrarre competenze (e non farsele scappare), quindi servizi in fondo analoghi a quelli di qualsiasi organizzazione che deve attirare talenti e non farseli sfuggire. Anche la necessità, frequente, di ridurre il costo del lavoro (evidentemente il territorio ha la necessità opposta), ma anche di riconvertire, a tale scopo, le competenze. Valore pubblico che quindi riaffiora. L'analogia col Servizio del Personale di una azienda però cade se pensiamo che una organizzazione in genere (salvo alcune cooperative) non ha lo scopo di occupare risorse, scopo che invece è proprio quello dell'Ente Locale, che deve occupare, bene, tutti i propri abitanti, nessuno escluso. Non tanto perchè così avranno un reddito, ma perchè così saranno cittadini, persone umane. Il Centro per l'Impiego e il Long-Life Leerning è una speciale «funzione del Personale» del territorio, che ha come scopo occupare tutti, e attirare persone. 71 Proseguendo la metafora, le domande da fare come Centro per l'Impiego a chi arriva da fuori sono: ˝Perché cerchi lavoro qui? Cosa ti attira ?˝. Il paesaggio (cioè il territorio fisico come identità sociale, il bene paesaggistico di cui assicurare fruizione pubblica di conservazione, riqualificazione e valorizzazione), la qualità della vita, quell'impresa, quel lavoro, le relazioni sociali, i servizi, le persone ? E a chi se ne andato ˝Perché ve ne siete andati?˝ Si possono anche utilizzare gli utenti del Centro per l'Impiego o dei corsi di formazione per approfondite interviste ai «colleghi» ed ex colleghi. Ottimo modo di procedere anche in un processo partecipativo che potrebbe organizzarsi per effettuare e analizzare queste interviste, e rappresentare così un ambiente generativo di soluzioni, un habitat alla Giddens di accomunamento (messa a comune) di preziose informazioni e esperienze 72 . La governance ideale di questi servizi è fare in modo che competenze, funzioni, servizi, funzionari e privato convenzionato, oltre alla società civile di riferimento, quantomeno si «parlino» (ma soprattutto si ascoltino) fra loro, si coordinino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio, condividano luoghi e saperi, pratiche e problemi. Pensiamo quindi all'utilizzo di progetti sperimentali nei progetti comunitari (come fu utilizzato il programma EQUAL per sperimentare le partnership geografiche e tematiche). Nei bandi e nelle gare comunitarie è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciati gli obiettivi di sviluppo locale inclusivo, sostenibilità sociale e ambientale, sviluppo, Long-Life Learning e Capacity Building dei territori. Tutto sostiene tutto in una spirale virtuosa. Alla fin fine l'organizzazione è strumento, organon, quello che conta è il fine, l'effettività, l'efficacia, l'outcome. Questo ci insegna l'Unione Europea, come messaggio laico di fondo che non possiamo non condividere 73 . C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti o partecipati da Comuni, Università, 68 «In città c’è vita»: l'obiettivo è una città vivibile, connettendosi ovviamente con le aree interne confinanti. Facendo leva sui gruppi secondari / terziari vis a vis, chiaramente di più nelle metropoli, tematici o amicali. 69 Il confine servizio al cittadino - servizio alle imprese non è molto netto: basti pensare alla selezione, alla formazione in ingresso al lavoro o alla certificazione di competenze. 70 Solo nel secondo dopoguerra c'è stato un intervento statale forte, evidentemente in un periodo particolare. E non possiamo dimenticare l'intermediazione del lavoro più o meno mafiosa (i «sindacati» americani) in cui un lavoro, peraltro giornaliero, veniva scambiato per doppia obbedienza, cioè il valore pubblico può addirittura essere negativo, se si ignora il problema. 71 D'altronde se pensiamo che intere nazioni hanno rischiato il default, e che l'Italia non è propriamente in sicurezza da questo punto di vista, il parallelo stato-impresa non è poi così strano. 72 L'effettuazione e l'analisi delle interviste crea comprensione, ma modifica anche gli intervistati, e quindi l'esercizio è perfetto. 73 Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura si intrecciano in una logica per progetti e obiettivi, tanto che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione, semplicemente Sviluppo Territoriale Locale, il cui miglioramento è il macroobiettivo principale dell'Amministrazione locale. O ancor meglio Benessere, Welfare o Salute Locale perchè sviluppo non è automaticamente benessere, mentre certamente benessere, salute e welfare comprendono uno sviluppo del potenziale, un sentimento di potercela fare. I servizi al lavoro sono quindi una leva di sviluppo locale. Occorre integrare in particolare i servizi culturali, di sviluppo economico e i progetti comunitari. Si pensi solo - per quanto riguarda la cultura - alla creazione di opportunità lavorative di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e culturale, al ruolo di biblioteche a associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e impiego. Gli eventi e le iniziative culturali, in senso lato, hanno, se ben gestiti, una ricaduta molto più generale. In un certo senso è un pezzo di Long-LifeLearning.
  • 15. Camere di Commercio: perchè sono così scarsi o poco efficaci? Partecipazione non solo finanziaria, ma di risorse, di sedi e di competenze chiave. Come abbiamo detto, i lavori sviluppano identità, stima e riconoscimento sociale, e quindi gratitudine, legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Occorre riconoscere, nei soggetti vulnerabili, le loro competenze, emanciparle e socializzarle, mentre il non riconoscimento (le politiche passive, il sussidio) è umiliante, non rispettoso, negazione di ruolo. Le persone chiedono in fondo cose semplici: rispetto,aiuto, dignità e ascolto. Ecco quindi l'importanza della validazione delle competenze, identitarie e sociali, sincronizzando quindi mondi socio-economici, mondi vitali e mondi istituzionali. In Italia, i servizi spesso sono paternalistico-assistenziali, a bando o con sportelli burocratici, incapaci di attivare, motivare o attrarre risorse, come dovrebbe fare una «funzione pubblica risorse umane» del territorio. E poi, perché uno sportello 74 ? Perchè un sussidio o un bando, e per chi e cosa? Policy e servizi che si trascinano con copia e incolla: occorre deviare maggiormente dall'abitudine (come fanno i prosumer!). La P.A. è fordista (manca la competizione): deve assumere la logica dell'innovazione, altrimenti la soluzione più semplice (e la peggiore) diventa privatizzare o avere una logica aziendale, perdendo di vista l'interesse pubblico. Nella achieving society la «spendi-abilità» implica nuovi diritti di trasparenza e partecipazione, di policy in qualche modo cogestite e contrattate. I livelli di functioning sociale e di empowerment individuale, gruppale/organizzativo e socio-territoriale si intrecciano e gli interventi richiedono un analogo intreccio di competenze 75 . Occorre ricostruire competenze pluriprofessionali attorno a servizi di aiuto integrati nei flussi, spazitempi e modi di vita degli utenti, centrati su fiducia, riconoscimento e attenzione reciproca. Occorre integrare gli attori locali nelle aree informativa, formativa, culturale e socioassistenziale, e con le politiche di sviluppo economico locale. «Spacchettare» e rimpacchettare per processi (di vita). Coinvolgere cittadini, corpi sociali e società civile almeno in un dibattito pubblico, meglio se partecipato. Scuole, Università (attore chiave perchè ha il know how, le risorse ed è sul territorio) e imprese, ma anche formatori, orientatori, assistenti sociali, psicologi, parti sociali, esperti di sviluppo locale, Comuni, Asl, Terzo Settore, Camere di Commercio e Agenzie per l'innovazione, istituzioni e associazioni, affinchè si confrontino, si riconoscano, condividendo linguaggi, luoghi, pratiche e problemi. Il lavori e le competenze sono i nuovi beni pubblici, e allora ben si potrebbero riconvertire risorse pubbliche, umane e non umane, poco adeguate, come molte funzioni burocratico-amministrative per creare snelle Agenzie per le Competenze, per la Cultura, per il Benessere. Sfuma il dilemma pubblico-privato e quello profit-noprofit e la società sviluppa soluzioni nuove. Riducendo il perimetro pubblico nei servizi economici, che il privato gestisce meglio (se controllato), si apre lo spazio nei nuovi servizi, dove il privato, anche sociale, non interviene 76 . FORMAZIONE E LAVORO: PRATICHE DI CURA, FORMAZIONE E AIUTO La cura dei «giardinieri» ingloba i saperi degli utenti, delle famiglie, del privato sociale. Più che conferire direttamente capacitazioni, suggerisce gli strumenti per convertire asset, anche nascosti, in capabilities. Dalla formazione distributiva, anche in questo caso, al prosumerismo: si coinvolge l'utenza, individuale o collettiva, nell'automiglioramento, orientandone motivazione e autosviluppo di competenze di apprendere ad apprendere e di autoaiuto 77 . Ma anche chi forma è formato, anche chi orienta è orientato, e applica a sé stesso (e rivende!) le tecniche di potenziamento. Il discente o l'utente sono stimolati a esplorare e partecipare coi professionisti della formazione. I quali, a un livello diverso, fanno in realtà lo stesso. Ma il retropensiero di fondo di entrambi i poli della relazione d'orientamento (cioè di aiuto), o di insegnamento è: plasmare abitudini, assetti relazionali, scelte di vita è sempre vantaggioso o può essere, nella turboeconomia, paradossalmente un «danno esistenziale»? Per usare un linguaggio sanitario, ci sono effetti iatrogeni, cioè non voluti? Nel mondo della formazione (Ferrari, 2006), della consulenza e dell'assistenza e orientamento, si nota un disagio simile fra gli operatori 78 . In entrambi i casi mancano spesso il mutuo riconoscimento dell'altro «irriducibile», accoglienza e compassione autentica, gesti oblativi non contaminati, condivisione, vera attenzione e sorpresa dell'incontro, accedere al «cuore» del problema, nel senso emotivo, perchè i professionisti dei servizi sono a loro volta vulnerabili e a rischio burnout. Considerazioni non troppo 74 Il modello dell'aula e dello sportello sono rassicuranti, anche e soprattutto per l'operatore: si sa cosa succederà. 75 Si veda sulla salute Cerrina Feroni (2015). 76 Il servizio socio-sanitario era inizialmente affidato alla Chiesa, e ora è di welfare mix. Il servizio al lavoro è in sostanza rimasto privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco, ma sconta una visione pubblica rimasta al «collocamento» obbligatorio. Un mix è la soluzione migliore: lasciato al mercato e all'improvvisazione/creatività/contatti personali funziona male, lascia per strada troppe persone. E' altrettanto impensabile un intervento solo pubblico in un settore a così elevata variabilità e invadenza delle vite. 77 Nelle Key competence UE (Raccomandazione Consiglio Europeo 18/12/06) manca la competenza organizzativa (data per scontata), e sappiamo come questa sia correlata al benessere. Ci sono invece competenze chiave che in Italia non sono del tutto esaurite (capacità sociali e civiche) o sono addirittura ben presenti (spirito di iniziativa e imprenditorialità). Altre (imparare a imparare e consapevolezza/espressione culturale) rimandano a sistemi di istruzione e formazione da rivedere. 78 Long-Life Learning: si sono addirittura fatti passi indietro, cioè la formazione si è deflessibilizzata, depersonalizzata, rimodernizzata, cioè si torna ai «corsifici». Orientamento, formazione e lavoro sono sistemi intrecciati: la paralisi di un pezzo del sistema (orientamento e servizi per il lavoro) costringe i sistemi che si stavano rinnovando (la formazione) a ripiegare su formule «difensive».
  • 16. dissimili si potrebbero fare per il mondo della consulenza. Docenti, formatori e orientatori segnalano servizi troppo standardizzati: è evidente che vadano differenziati, perlomeno fra chi deve essere «ri-ordinato» e reindirizzato (soprattutto giovani) e chi, al contrario, deve essere riattivato (soprattutto anziani). La forbice è chiara, son due servizi diamtralmente opposti. Mancano database pubblici di imprese, e anche associazioni, che indichino recapito, settore e tipo di figure professionali impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono gratuiti e forniti liberamente dalle Camere di Commercio o dai Comuni? E perchè, viceversa, non fornire database di soggetti impiegabili alle imprese, prevedendo una tariffa di preselezione o di vera e propria selezione 79 ? In sostanza, alla fin fine, c'è scarsa attenzione alla qualità del servizio, qualità peraltro imposta dalla normativa per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90. Semplici miglioramenti di qualità come creare leve civiche di cittadini, esperti sui temi di lavoro o sviluppo, con bandi specifici. Ma anche un precario o un disoccupato, anche non esperto, potrebbe operare nei servizi e, in questo caso con un piccolo riconoscimento economico, arricchirebbe le sue competenze e fornire un servizio alla collettività. O ancora: il governo dei mercati del lavoro implica adeguare domanda e offerta, aree di crisi e fasce di debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio obbligatorio di orientamento per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne ricavano un evidente vantaggio? Mancano i servizi di certificazione delle competenze 80 , e, amonte, un repertorio nazionale. E perchè il Sistema Informativo per il Lavoro nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali? Riteniamo che quest'ultimo elemento sia davvero di incomprensibile criticità. Ragioniamo per analogia: chi sta male e ha bisogno di aiuto psicologico o socio-sanitario sa (più o meno) dove andare, cosa lo aspetta, quanto paga e cosa potrà ottenere in cambio. Viceversa chi si deve ricollocare o una azienda in crisi (malessere spesso ancora più profondo e bisogno di aiuto socio-psicologico di fatto simile al caso precedente) se la deve cavare in sostanza da sé. Chi è isolato, con poche risorse informative, è poco mobile per motivi familiari e ha una età avanzata, è perso. Appare singolare che in Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante gli inequivocabili dettati costituzionali e delle convenzioni internazionali, pochi riflettano in modo articolato e innovativo sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego. L'argomento è rimosso: c'è scarsa attenzione e cura anche da parte di attori istituzionali e sociali chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, quali ad esempio Scuole, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi per l'impiego: quale bilancio a dieci anni di distanza? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema delle conferenze tripartite o la delega agli Enti Bilaterali di Categoria funziona? Quali raccordi fra i sistemi, locali e nazionali, di educazione, formazione e lavoro? I servizi al lavoro, dimao meglio i sussidi, erogati durante la gestione della crisi sono stati soddisfacenti? A fronte di un raddoppio della disoccupazione, non si è verificata una rivolta sociale, ma un risentimento populistico, in particolare proprio contro le Province, ente chiave in molte regioni per questo servizio: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e la scarsa attenzione al tema del sostegno all'impiego? Welfare debole, frastagliato, «datato», a fronte di una domanda ineludibile e assolutamente nuova di servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati. L'inadeguatezza evidente di copertura, e di risorse, non è minimamente comparabile con paesi similari quali Francia e Germania, nei quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di workfare. I Centri per l'Impiego appaiono drammaticamente «fermi», e le Agenzie per il lavoro sono in crisi. Ci si preoccupa dello status di disoccupato, legato a sussidi, e del rifiuto di accettare offerte di lavoro distanti, quando il punto oggi è fare incontrare domanda e offerta, il che nell'era di Uber non dovrebbe essere tecnicamente impossibile. Occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni 81 . I laureati non vengono assorbiti, disincentivando la formazione, con aumento massiccio dell'emigrazione, anche all'estero, segno di declino economico e sociale. C'è un divario crescente fra aree metropolitane o comunque urbane e le aree interne periferiche. I numeri dell’utenza sono significativi (al netto delle nuove vulnerabilità invisibili) e l'intervento dovrebbe essere immediato, si tratta di un «pronto soccorso». Al momento, la stragrande maggoranza fà da sè, si rivolge al bar, al clan familiare/amicale, alla parrocchia, punta sulla ricerca casuale personale, l'invio massivo di CV, si affida al passaparola e ai social network. Strumenti evidentemente 79 Mancano indicazioni nazionali su come, eventualmente, rendere il servizio in parte a pagamento per le imprese. Tecnicamente il Decreto Biagi lo prevede: i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori servizi a titolo oneroso alle imprese. Previsione davvero interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria, ma rimasta totalmente inattuata. 80 Prendiano i lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà spesso si sovrappongono). A questi soggetti, serve un servizio di riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le proprie competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle competenze, di certificazione del curriculum, e una lista di imprese a cui ci si può rivolgere. Di questo il precario/autonomo ha più bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è fra i meno facilmente individuabili, se non proponendo azioni che servano, servizi appunto. 81Detto cosi', pare provocatorio: ovviamente teniamo conto dell'esigenza dei territori e dei soggetti di non essere (ulteriormente) sradicati e impoveriti. E questo forse è alla base della rimozione del tema sopra accennata e dell'atteggiamento in generale difensivo. D'altronde alla fine le persone,e le famiglie, coraggiosamente si spostano, si buttano in nuove avventure, quasi per disperazione, e allora perchè non fornire servizi di aiuto?