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Dal racconto “CONFIDENZE DAL MAINULLA (le mosche e le formiche)”:


   -   Mi era sempre più difficile alzarmi, la mattina. Svegliarsi, per cosa? Uscire da un sogno, per
       entrare in un sogno più grande? Camminare nel mondo, per andare dove? Respirare, perché?
   -   Ma questa è la vita.
   -   Come la fanno essere.
   -   Come sono costretti a farla essere. Prendere o lasciare.
   -   Lasciare, piuttosto che accettarla così… Era un gioco che non mi piaceva, proprio per
       niente. Restavo lì, in panchina, ai bordi del campo, a guardarli sgomitare, i burattini agitati,
       per la conquista del mainulla…
   -   Che poi è tutto, tutto e sempre. Quello che sono e quello che hanno.
   -   Ma niente, di quel che potrebbero, se fossero diversi… e invece no, non cambiano mai, non
       possono cambiare… restano lì, a beccarsi come polli in casseruola, annusando la morte
       come vitelli spacciati che entrano al macello, sempre lì, a farsela pagare, l’uno con l’altro, a
       vendicarsi di quello che sono, a tormentarsi, a camminarsi addosso, a disegnarsi fantasmi, a
       litigarsi briciole di sogni, ognuno vittima e carnefice, innocente e criminale, degli altri, come
       pure di se stesso… schiavi delle loro puttanate e prigionieri, sì, quanto più cercano di essere
       felici… come le mosche, come le formiche… Che senso ha?
   -   Il senso che è. Puoi capirlo solo se non te lo chiedi.
   -   Essendo la risposta uguale alla domanda… eppure non risolve… non mi basta, no, perché…
       tutto questo sparisce, a fronte del silenzio…
   -   Quale silenzio?
   -   Il silenzio che ci sta attorno, che ci portiamo dentro e insieme ci contiene, come il suono e il
       senso la parola. Il silenzio vuoto della casseruola, che ti cuoce a fuoco lento. Questo
       silenzio, ascolta… Dì un po’: che mi risponderesti se io, fossi il silenzio, e il silenzio fosse
       la domanda?
   -   Ti direi che non lo so, quello che mi chiedi, ma so di non sapere, perché sono e ti faccio
       esistere, perché non esisti se nessuno ti ascolta.
   -   Ma è inascoltabile, il silenzio, eppure esiste lo stesso. Come la verità: se lo nomini
       scompare, ma c’è, c’è, e ti mangia le parole sulle labbra… Per questo se riesci a catturarlo
       impazzisci di terrore. L’hai mai sentito il rumore che fa? Io sì. Ci si inventa un nome e un
       futuro solo per questo, per non morire di silenzio. È perduto chi si ferma ad ascoltare…
   -   Sì va bè, ma bisogna pur vivere. Chi parlerebbe se tutti ascoltassero?
   -   Il silenzio. E direbbe tutto, credimi. Quello che non sappiamo, che non riusciamo a capire,
       che non possiamo confessare.
Dal racconto POT-POURRI:

Altro che ortaglie! Una ributtante poltiglia fangosa ploppava, nel fermento delle bolle, essudando
menagioni di schiuma biancastra. Un orrendo viscidume di bave filanti e di grumi agglutinati. Un
polpute caccoso di caccume polputo. Un pancotto villoso di membrane ammonticchiate, mucilloso
di torba, feccioso di morchiume, ulceroso di enfiagioni suppuranti, grosciolante di secrezioni, in
scrosci fiottanti di succhi duodenali, rivoli torbi, densi d’olio in emulsione. Un pancolaio
gloglottante di borborigmi, una bioscia lutulenta e verminosa, un liquame carminante, una pappa
spappolata e liquescente che buttava colate di crema, uno spurgo bituminoso, un ammasso di
trombi, uno gnocco di lievito inerte, un pacco di visceri intorti, una covaccia di frattaglie, una
catena di busecchie, un sacchetto di biglie, una foresta di conditomi, un ciuffo nebuloso di gorgonia,
un coacervo di mucose ricciolute, una lestra di setole arricciate, un viluppo di spire e di ventose, un
garbuglio di anelli, un groviglio di chele, un frattale di coralli, una capoccia anguicrinita e
barbugliante, un ghiomo di filacci, una palla di cotenne, un tortello di mollume, una tasca panciuta
di carne lessa, una piega di lamelle infiammate, macerate di liscivia urticante, uno scroto aggrinzito,
grommoso di croste, butterato di pustole infette, variolato di nevi pelosi, puntinato di bulbi e
comedoni, uno sfintere pelato e bagnato che stilla, ad ogni contrazione, colaticci cristallini di sanie
giallastra… Del cornetto, poi, nessun indizio. Completamente digerito, assimilato nel magma.

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  • 2. Dal racconto POT-POURRI: Altro che ortaglie! Una ributtante poltiglia fangosa ploppava, nel fermento delle bolle, essudando menagioni di schiuma biancastra. Un orrendo viscidume di bave filanti e di grumi agglutinati. Un polpute caccoso di caccume polputo. Un pancotto villoso di membrane ammonticchiate, mucilloso di torba, feccioso di morchiume, ulceroso di enfiagioni suppuranti, grosciolante di secrezioni, in scrosci fiottanti di succhi duodenali, rivoli torbi, densi d’olio in emulsione. Un pancolaio gloglottante di borborigmi, una bioscia lutulenta e verminosa, un liquame carminante, una pappa spappolata e liquescente che buttava colate di crema, uno spurgo bituminoso, un ammasso di trombi, uno gnocco di lievito inerte, un pacco di visceri intorti, una covaccia di frattaglie, una catena di busecchie, un sacchetto di biglie, una foresta di conditomi, un ciuffo nebuloso di gorgonia, un coacervo di mucose ricciolute, una lestra di setole arricciate, un viluppo di spire e di ventose, un garbuglio di anelli, un groviglio di chele, un frattale di coralli, una capoccia anguicrinita e barbugliante, un ghiomo di filacci, una palla di cotenne, un tortello di mollume, una tasca panciuta di carne lessa, una piega di lamelle infiammate, macerate di liscivia urticante, uno scroto aggrinzito, grommoso di croste, butterato di pustole infette, variolato di nevi pelosi, puntinato di bulbi e comedoni, uno sfintere pelato e bagnato che stilla, ad ogni contrazione, colaticci cristallini di sanie giallastra… Del cornetto, poi, nessun indizio. Completamente digerito, assimilato nel magma.