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1
Università degli Studi di Macerata
Dottorato di Ricerca (ciclo XXV) in “Archeologia Romana nel Maghreb e in
Cirenaica”.
Tesi di Dottorato
Studio storico-archeologico dei siti di epoca
romana e bizantina nel territorio di Tripoli (Oea)
Relatori: Prof. Emerito Antonino Di Vita
Prof. Nicola Bonacasa
Dottorando: Mohamed Faraj El Faloos
2
Al mio maestro professore Antonino Di Vita, che dedicando tutto se
stesso alla Libia, da lui amata come una seconda terra,
ha aperto tanti occhi alla bellezza.
3
Ringraziamenti
Per l'elaborazione di questa ricerca basata essenzialmente sulla
documentazione storiche e sull'esperienza diretta, mi sono giovato della
dotta e amichevole e cooperazione di numerosi studiosi e conoscitore del
territtorio Libico.
Percio' intendo esprimere il mio senso di profonda gratitudine: al
Professor Antonino di Vita, cui devo l'ispirazione di questa ricerca; al
Professor Nicola Bonacasa che mi ha seguito e incoraggiato dopo la
scomparsa del caro Antonino, non posso dimenticare la prof.ssa Maria
Antonietta Rizzo per la sua gentile collaborazione alla correzione e
redazione di questa ricerca, tutti i membri della commissione del
dottorato che mi sono stati vicini durante il periodo della guerra che ha
colpito il mio paese.
Un grazie al dott. Arch. Khalil Abdel Hadi per avermi sostenuto durante
la ricerca fornendomi suggermenti e matteriale prezioso, grazie anche alla
dottoresse Norma Bruna Alba e Lucia Alba per il loro aiuto.
Ringrazio anche tutti i colleghi del Dipartimento alle Antichità per il loro
sostegno, in particolare dott. Mustafa Al Turjman, dott.ssa Weam Sasi e il
dott. Ramadan Al Shibani, Karima Jubran per avermi aiutato nella
raccolta del matteriale storico.
4
Indice
Premessa p. 4
Introduzione p. 5
Capitolo I
Inquadramento storico-geografico della Libia p. 11
Capitolo II
Le necropoli della Tripolitania p. 31
1 - Necropoli fenicio-puniche p. 31
2 - Necropoli punico-romane p. 34
3 - Necropoli tardo-romane p. 35
4 - Necropoli cristiane p. 35
Capitolo III
Le necropoli di Tripoli
La necropoli di Gargaresc p. 37
L’ipogeo di Adamo ed Eva p. 37
- La scoperta p. 37
- Descrizione del complesso p. 38
- I materiali P. 50-
Celebrazione e significato sociale del refrigerium p. 50
La necropoli di Forte (o Torre) della Vita p. 54
- La scoperta p. 54
- Descrizione delle tombe p. 59
- Tipologia delle tombe p. 72
- I corredi p. 74
- Il rito funerario p. 75
- La cronologia p. 78
5
La necropoli di Bab Ben Ghashir p. 80
- La scoperta
- Descrizione delle tombe p. 80
Rinvenimenti nella zona di Gurgi p. 83
La necropoli di Tariq Al Shat (lungo mare ) – Busetta p. 89
Le necropoli di recente scoperta
La necropoli bizantina nell’area della Scuola d’arte e mestieri p. 91
- La scoperta p. 91
- Tipologia delle tombe p. 92
- I materiali p. 94
- La cronologia p. 94
La tomba di Ghiran
- La scoperta p. 96
- Tipologia p. 96
- La cronologia p. 97
Capitolo IV
Le fornaci
La fornace di Hay Al Andalus p. 98
- La scoperta p. 98
- Descrizione delle strutture p. 98-
L’officina p. 100
La fornace di Sidi Abdel Jalil p. 101
- La scoperta p. 101
- Descrizione delle strutture p. 101
- Altre scoperte nel sito p. 103
6
- La cronologia p. 103
Capitolo V
La tomba dei fedeli di Mitra (o di Aelia Arisuth) p. 104
- La scoperta p. 104
- Tipologia della tomba e descrizione delle pitture p. 105
Capitolo VI
L'arco di Marco Aurelio e il tempio al Genio della Colonia p. 115
- Le vicende della scoperta p. 115
- L’arco: il modello architettonico p. 119
- Il tempio al Genio della Colonia p. 126
- Sistemazione dell’area e restauri
Capitolo VII
Conclusioni p. 135
Capitolo VIII
Catalogo delle fotografie storiche presenti nell’Archivio p. 145
del Dipartimento alle Antichità
B) Catalogo dei disegni e rilievi storici presenti nell’Archivio p. 177
del Dipartimento alle Antichità
BIBLIOGRAFIA p. 261
7
Premessa
Lo spunto per la presente ricerca mi fu suggerito dal nostro
compianto Maestro Antonino Di Vita, che ha lavorato in Libia dagli inizi
degli anni ‘60 del secolo scorso (tra il 1962 e il 1965 fu Adviser per le
antichità della Tripolitania) fino alla sua scomparsa avvenuta alla fine di
ottobre del 2011.
Certamente il professor Di Vita era uno dei pochi archeologi di
grande esperienza che conosceva perfettamente tutte le vicende
archeologiche di questo territorio. Infatti a lui va il merito di tante
scoperte eccezionali, oltre allo studio e al restauro di tanti siti sia a
Sabratha che a Leptis Magna e nella stessa Tripoli. Basterebbe citare il
restauro dell’Arco Settimio Severo1
a Leptis Magna, il restauro e
l’anastilosi del Mausoleo punico-ellenistico B di Sabratha, e il restauro
dell’area sacro-funeraria a cielo aperto di Sidret el Balik2
sempre a
Sabratha.
1
Su questo argomento si vedano, Di Vita A. , La ricostruzione dell'arco dei Severi a Leptis Magna, in
Quaderni di ArcheologiaLib. 7, 1974, pp.12-13.
2
A tale proposito si vedano: Di Vita A. ., L'area sacro-funeraria di Sidret el Balik a Sabratha, in
Rend. Pont. Acc. LIII-LIV (1981-82), 1984, pp. 271-282 (e si veda anche Sabratha, in E.A.A. II, Suppl.
V, 1997, pp. 47-52). Di Vita A. - L. Brecciaroli Taborelli L., Le necropoli di Sabratha, in Annali Fac.
Lettere Macerata, pp. 11-42 e Di Vita A., L’ipogeo di Adamo ed Eva a Gargaresh , in Atti del IX
Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Roma 1975, 2, Città del Vaticano 1978, pp. 199-
256.
8
Introduzione
L’idea iniziale di questa ricerca era quella di creare una carta
archeologica che includesse tutti i siti risalenti all’epoca romano-
bizantina presenti nella città di Tripoli e del suo territorio. Nel portare
avanti il lavoro decidemmo insieme di allargare la ricerca alla
catalogazione di tutta la documentazione storica presente negli archivi del
Dipartimento alle Antichità di Tripoli, a suo tempo raccolta dagli studiosi
italiani durante la prima metà del secolo scorso.
Purtroppo, tale materiale solo in parte qui presentato, era rimasto
inedito, quasi dimenticato e lasciato all’ incuria del tempo per quasi un
secolo, senza nessuna attenzione o interesse da parte delle autorità
preposte alla sua salvaguardia
Per questo ritenni utile procedere innanzitutto alla catalogazione e
organizzazione di tale materiale. Il problema più grosso da affrontare era
quello di mettere in relazione i disegni e le fotografie, trovati negli archivi
e identificati, con una precisa collocazione topografica, visto che la
maggior parte dei siti erano stati cancellati per sempre dal frenetico
sviluppo urbano della città di Tripoli.
Ma nonostante queste oggettive difficoltà, pur con l’aiuto del
compianto professor Di Vita e pur rileggendo attentamente tutte la
documentazione e le vecchie pubblicazioni dell’epoca, sono riuscito a
individuare e collocare sulla carta topografica soltanto alcuni di tali siti.
Certamente, le vecchie pubblicazioni hanno avuto un ruolo
importante nella contestualizzazione dei siti oggetto di questa ricerca;
grazie alla presenza della vecchia biblioteca (italiana), sita nella sede del
Dipartimento alle Antichità, creata dagli studiosi italiani negli anni ‘30,
sono riuscito a scoprire libri e riviste di inestimabile valore storico e
archeologico, che mi hanno permesso non solo di scoprire la collocazione
9
esatta di molti siti, che finora erano sconosciuti, ma anche di poter
individuare molti corredi funerari allora scavati, e finora completamente
dimenticati nei magazzini del Dipartimento alle Antichità, o abbandonati
visto che non era possibile risalire alla loro provenienza. Con questa
ricerca ho potuto ricollocare in una carta molti siti ed ho potuto
ricontestualizzare molti dei corredi funerari.
Inoltre, è stato possibile arrivare alla creazione di un data-base
comprendente tutti i dati, i rilievi e le fotografie storiche riguardanti sia lo
scavo, che i contesti dei materiali rinvenutivi e le loro tipologie.
Nel corso del lavoro è emerso che gran parte del materiale
archeologico risulta abbastanza ben conservato anche se era stato
abbandonato per decenni nei magazzini, dal momento gli archeologi che
dalla fine dell’’800 si sono occupati in modo sistematico dello studio del
patrimonio monumentale greco–romano, hanno rivolto la loro attenzione
principalmente alle grandi città e agli edifici di carattere religioso e civile,
e solo marginalmente si sono occupati delle necropoli e dei materiali
ceramici. Pertanto, una buona parte di tali siti non è stata mai oggetto di
studi specifici trattandosi di tipologie architettoniche cosiddette “minori”
spesso sottovalutate, rispetto alle grandi creazioni dell’architettura civile
o sacra.
L’area presa in esame è molto vasta e comprende diverse
tipolologie di edifici sparsi in tutto in territorio dell’antica Oea: oltre al
ben noto arco di marco Aurelio, sono venuti alla luce in scavi per lo più
occasionali, fornaci, tratti di abitato, residenze con vari apprestamenti,
quali frantoi, condotte idriche, cisterne, ma soprattutto tombe di diverse
età e tipologie, spesso decorate con interessanti affreschi, etc.
La nostra attenzione si è concentrata, in particolare, sulla tipologia
delle necropoli e degli edifici civili. La scelta è stata determinata dalla
possibilità di poter contribuire, in senso critico, ad ampliare le nostre
10
conoscenze sulla città, includendo siti finora totalmente sconosciuti agli
studiosi: città che si è sviluppata, soprattutto dopo Zama e dopo che le
città di Tripolitania, libere atque immunes, divennero dei ricchi empori.
Ha contribuito a questa ricerca il fatto che l’archivio del
Dipartimento ci ha concesso l’accesso a moltissimi disegni e rilievi
inediti e a fotografie finora sconosciute agli studiosi di archeologia che
operano in Libia
I rilievi completi e i disegni particolareggiati di molte tombe
appartenenti a necropoli scoperte negli anni ‘30, ci hanno permesso
dunque di restituire un panorama preciso delle numerose necropoli che un
tempo circondavano la città e che sono state fagocitate dallo sviluppo
urbanistico della Tripoli moderna.
In modo particolare il nostro studio ha interessato le necropoli
situate lungo le coste della Tripolitania, che delimitano a Nord il territorio
di Tripoli.
Come è noto, le vie per il trasporto delle merci attraverso la Libia
lungo le coste del Mediterraneo e attraverso le vie carovaniere dal dal
fondo del deserto risalivano al Mediterraneo erano ben conosciute e
ampiamente praticate da età molto antica, almeno dall’VIII-VII sec. a.C.,
e forse prima.
E queste direttrici da sempre utilizzate per i traffici commerciali
furono frequentate da mercanti diretti verso tutti i paesi che si affacciano
sul Mediteraneo (Vicino Oriente, Anatolia, Cipro, Grecia, Italia, Iberia) 3
.
Per dare ospitalità, rifugio e protezione a questi commercianti, furono
dunque incrementate, e spesso costruite ex novo, una serie di approdi, poi
“stazioni”, e alla fine veri e propri insediamenti, in alcuni casi anche assai
imponenti, il cui elemento principale era costituito dal porto, all’interno
3
Su questo tema si vedano:Aldwyb M, Traduzione del Libro XVII di Strabone, Benghazi 1992, p.
112.; di Antonino è Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti che venne iniziato nel 217 d.C. Venne
stampato per la prima volta nel 1521 e, dopo molte ristampe, è attuale ancora oggi.
11
del quale trovavano posto altre infrastrutture, quali magazzini, posti di
ristoro e di soggiono, terme, latrine, stalle per gli animali da trasporto e
fiere, ecc.
La realtà archeologica oggetto di questo studio, limitata
come già detto però al periodo romano e bizantino, risulta di grande
interesse proprio per la complessità delle tematiche storiche che
sottintendono.
Lo studio della necropoli di Gargaresh ad esempio ci ha permesso
di evidenziare i problemi relativi all’origine e alla diffusione dei modelli
architettonici qui adottati, attraverso un’attenta rilettura dei dati storici
poco noti, e di proporre una soluzione al dibattuto inquadramento
cronologico di Oea, città peraltro conosciuta pochissimo4
.
Inoltre, é stata eseguita anche un’attenta analisi topografica che ha
sollevato una serie di questioni, soprattutto quale fosse la struttura
dell’impianto urbano originario dell’antica Oea, attuale Tripoli, e del suo
porto.
Le fonti storiche arabe, unitamente alle descrizioni che si devono
agli storici e ai viaggiatori occidentali5
che hanno visitato la città nei
secoli passati, costituiscono un documento importante per lo studio di
alcuni monumenti, quali l'Arco di Marco Aurelio o le necropoli del Faro
e della Torre della Vite, e per la ricostruzione della loro vita.
Il rilievo della tomba dei fedeli di Mitra ha consentito di acquisire
elementi utili per un confronto con altre strutture analoghe, precedenti o
coeve, presenti nella regione tripolitana, permettendo di dimostrare,
previa verifica del materiale utilizzato e le tecniche edilizie adottate, che
le analogie tipologiche e strutturali sono il frutto di tendenze culturali
diffuse in questa area dell’Africa settentrionale; e lo studio dei corredi in
4
Sulla nascità della città si vedano: Al Nems ed Abu Hamed 1975, pp. 9-32; Indisha A., Storia politica
e economica della Tripolitania, Tripoli 1993, pp.13-125.
12
essa rinvenuti ha permesso una più puntuale collocazione cronologica del
monumento.
13
Mappa Geografica della Libia (Istituto Geografico di Firenze)
14
CAPITOLO I
INQUADRAMENTO STORICO- GEOGRAFICO DELLA LIBIA
L’ Africa settentrionale per le sue caratteristiche fisiche
etnografiche e storiche si presenta quasi come un’ isola, ed i suoi confini
la racchiudono in un territorio a se stante isolato da una parte
dall’Atlantico e dal Mediterraneo dall’altra dalla vasta zona della
Grande Sirte e dal predeserto, non adatti alla coltivazione,
terminando a sud con le steppe e le oasi del deserto 6
.
La popolazione di questo vasto territorio forma etnograficamente
una grande famiglia che si distingue nettamente dalle del sud e dagli
indigeni dell’Egitto, anche se con questi ultimi ha forse avuto un tempo
una comunanza d’origine. Ma mai questa popolazione, incalzata da Neri,
Egiziani, Fenici, Greci, Romani, Arabi, Turchi, arrivò a un vero sviluppo
politico ed a una piena civiltà7
.
La conformazione geografica8
, la mancanza di un unico grande
centro, le varie vicende politiche e sociali contribuirono a determinare
una grande varietà di condizioni nei destini di quei paesi9
.
Neanche ai tempi della potente Cartagine10
fu raggiunta una vera
unità . Nonostante ciò, questi paesi dell’Africa settentrionale hanno
6
Colella 1912, pp. 5; Despois 1935, pp. 9-13.
7
Romanelli 1930, pp. 9-16.
8
Sulla conformazione geografica della Libia si vedano: Colella 1912, pp. 5-6; Despois J., Le Djebel
Nefousa ( Tripolitaine), Paris 1935; Al Nems ed Abu Hamed 1975, pp. 9-10.
9
Colella 1912, p. 5.
10
Su questo tema si vedano: Colella 1912, pp. 6-7; Al Nems ed Abu Hamed 1975, pp. 11-16; Luigi L.,
La Grande Insurrezione Libica contro Cartagine del 241–237 a.C.: una storia politica e militare,
Roma 1995; Bath T., Hannibal's Campaigns,. New York,1981; Shelby B., Late Carthaginian Child
Sacrifice and sacrificial Monuments in their Mediterranean Context,. Sheffield 1991; G. et C. Picard,
La vie quotidienne à Carthage au temps d'Hannibal, Paris 1958; Beschaouch A. , La légende de
Carthage, Paris 1993; Carthage: uncovering the Mysteries and Splendors of Ancient Tunisia; Di
Stefano, G., Cartagine romana e tardoantica, Pisa-Roma 2009.
15
richiamato l’attenzione degli storici e dei geografi fin dall’età antica, per
cui possiamo seguirne le vicende per circa 2500 anni, puntando la nostra
attenzione sul tratto di territorio che si estende fra l’ Egitto e la moderna
Tunisia, quel territorio che tuttora indichiamo come Cirenaica e
Tripolitania11
.
Per la sua speciale posizione questo paese subì alternativamente
l’influenza egiziana, fenicia, cartaginese, greca, romana, bizantina, araba,
oltre a quella delle tribù indigene del deserto e a quella dei conquistatori
provenienti dal mare.
La Libia prima dei Greci e dei Romani
Le notizie più antiche dei paesi e delle popolazioni delle coste
settentrionali del continente africano, ad eccezione di scarsi documenti
egiziani, ci vengono dagli scrittori greci e latini.
La distruzione di Cartagine non ci consente di avere notizie di
fonte fenicia. Sulle popolazioni della Libia, di quel territorio oggi
indicato col nome di Tripolitania - regione compresa fra il mare e il
deserto, composta da paesi molto diversi, separati da solitudini disabitate
e addirittura non abitabili, si hanno notizie molto vaghe, specie per le
epoche più remote.
Nei monumenti egiziani della XVIII dinastia ricorrono spesso i
nomi dei Lebou o Libou, insieme con quelli dei Thenu o Tamehu,
denominazioni che indicavano piuttosto vagamente le popolazioni della
costa settentrionale poste a Occidente dell’Egitto e pare che questi nomi
rappresentino i Libii dei geografi e degli storici greci12
.
11
Su questo i monumenti di questo territorio si vedano : Romanelli 1930, pp. 1-109.
12
Boardmann J., I greci sui mari. Traffici e colonie, Firenze, 1986; Bonacasa N., Topografia e
urbanistica, pp. 37- 49, in Bonacasa N – Ensoli S, Cirene, Milano 2000;Calame C:, Mithe, récit épique
et histoire: le récit hérodotéen de la fondation de Cyrène, pp. 105-125, in Métamorphoses du mythe en
16
I Thenu e i Lebu appaiono come due popoli distinti. I primi più
vicini all’Egitto e i secondi più a occidente. I Libou, gli uomini
dell’Occidente, sono raffigurati con la pelle bianca, gli occhi azzurri, la
barba e i capelli castani o biondi. Hanno i capelli ricci e la testa coperta
da un copricapo simile a quello di alcune popolazioni odierne del Rif,
alcuni adornati da due piume di struzzo.
Portano un vestito aperto per tutta la lunghezza sul lato sinistro e
annodato sulla spalla. Le braccia e le gambe sono ornate di tatuaggi e
sono rappresentati come portanti doni ai Faraoni.
Da queste figure e dalle poche notizie degli autori antichi,
specialmente di Erodoto, si può dedurre che i Libou avessero raggiunto
un certo grado di civiltà e avessero relazioni commerciali e politiche con
altri popoli.
Secondo l’Aurigemma13
la civiltà era affine a quella dei popoli
dell’altra sponda del Mediterraneo e le relazioni dovevano svolgersi
con gli stessi popoli delle isole mediterranee e dell’Europa meridionale. I
Libou portano al Faraone gli stessi doni che nelle stesse pitture della
XVIII dinastia sono recati dai Keftiu ( i Cretesi). Tali doni non appaiono
come tributi di popoli vinti ma piuttosto come offerte di mercanti ai
sovrani dei paesi con i quali si intendeva commerciare.
Le conoscenze sui Libii e sulla civiltà libica si riducono a ben
poche cose. Bart, Haimann e altri citano i recinti libici, ma di essi
abbiamo solo poco più delle notizie e qualche diretta visione. E’
Grèce antique, Genève 1988; F. Chamoux F., Cyrène sous la monarchie des Battiades, Paris 1953;
Ferrabino A., Ancora Cirene mitica, in Atti della Real Accademia di Torino, XLIX, Torino
1914; Laronde A., Cyrène et la Libye hellénistique. Libykai historiai de l’epoque républicaine au
principat d’Auguste, Paris 1987; Pasquali G., Ancora Cirene mitica, Studi italiani di Archeologia
classica 1915;Pugliese Carratelli G., Cirenaica, pp. 25-32, in Quaderni di archeologia della Libia.
Cirene e i Libi, n.12, Roma 1976; Stucchi S., Prime tracce tardo-minoiche a Cirene: i rapporti della
Libya con il mondo egeo, in Quaderni di Archeologia della Libia, V, Roma 1967; Stucchi S., Aspetti
della precolonizzazione a Cirene, pp. 341-347, in Le origini dei greci. Dori e mondo egeo, a cura di D.
Musti, Roma-Bari 1985.
13
Aurigemma 1943, pp.22.
17
comunque probabile che le regioni libiche siano state sede di una florida
civiltà.
La lingua libica era distinta dalle lingue semitiche14
, anche se
aveva con esse tratti di somiglianza. I Libii avevano anche una scrittura
ben diversa da quella egiziana.
Le origini dei Libii
La stirpe libica è antichissima, come dimostra la pietra lavorata
nel Sahara e a nord dell’Atlante. Il suolo del Sahara racchiude una
quantità immensa di punte di frecce in selce e utensili atti alla loro
lavorazione, prova di frequentazione da parte di una popolazione
numerosa che trovava in questi luoghi, che oggi sembrano destinati a una
eterna sterilità, un clima favorevole alla vita15
.
Dalle poche notizie che abbiamo si deduce che questi popoli
avessero tratti facciali e colorazione della pelle, su per giù, come quelli
degli abitanti dell’Europa meridionale. A Roma un libico non si
distingueva facilmente da un romano.
Le notizie delle fonti greche
Erodoto16
circa 2500 anni fa usava il nome Libia in senso molto
generico indicando tutta la regione situata tra l’Egitto e l’Oceano
Atlantico. Egli conosceva il deserto libico e le sue oasi. Enumera diverse
tribù libiche: gli Adimarchidi, i Giligammi che abitano a occidente, gli
14
Colella 1912, p.9.
15
Despois 1935, pp. 137.
16
Luciano Canfora, Erodoto, Tucidide, Senofonte. Letture critiche, Milano, 1975; Calame 1988, p.66;
Pugliese 1976, p.25.
18
Asbiti che abitano nell’interno sopra Cirene, gli Auschisi al disopra di
Barka e che si estendono fino agli Euesperidi.
Nello stesso territorio si trovano i Cabali, i Nasamoni, gli Psilli.
A Sud e nell’interno dei Nasamoni, in un territorio pieno di animali feroci
stanno i Garamanti. Presso i Garamanti vi erano i Maci, i Gindani, i
Lotofagi, gli Ausii. Al Nord si trovano i Macsi, gli Zauesi e i Ziganti.
Oltre questa regione Erodoto sa poco; ha sentito raccontare che i
Garamanti confinano con i Trogloditi dell’Etiopia e con gli Ataranti.
Distingue le tribù in nomadi, stanziali o agricole.
Le conoscenze sulle terre e sui popoli dell’Africa si amplieranno
quando i Romani si spingeranno nell’interno e oltrepasseranno i limiti
dello stesso deserto.
La Libia e la civiltà minoica
Nelle indagini storiche e archeologiche a proposito della Libia e
dei suoi più antichi abitatori è di massima importanza il problema dei
rapporti tra la civiltà dei paesi della Libia e la civiltà minoica e micenea17
,
che ebbe la sua culla più antica nella isola di Creta, al centro del
Mediterraneo e ugualmente distante dall’Africa, dall’Europa e dall’Asia.
Le scoperte archeologiche e preistoriche potranno aprire la via
alla soluzione delle origini della civiltà minoica. La teoria dell’origine
indoeuropea di questa civiltà, che fioriva circa duemila anni avanti Cristo
è stata assolutamente scartata. Storici, archeologi e antropologi si sono
chiesti se il fulcro della diffusione di questa civiltà non possa essere stata
l’Africa.
17
Calame 1988, pp. 105-125, in Métamorphoses du mythe en Grèce antique, Genève 1988; Chamoux
1953, pp.87-101; Ferrabino 1914, pp.55-61; Laronde 1987, pp. 44-56; Pasquali G., 1915, pp. 33-
46;Pugliese Carratelli, 1976, pp. 25-32;Stucchi 1967, pp.12-24; Stucchi 1985,341-347.
19
Evans e Mackenzie hanno supposto che gli Eteocretesi fossero
una popolazione venuta dal Sud e precisamente dalla Cirenaica18
.
A ogni modo è certo che fra i Cretesi e i Libici della Cirenaica ci
fossero relazioni antichissime di carattere almeno commerciale.
I primi stanziamenti fenici in Africa
Pare che le popolazioni semitiche dell’ Asia abbiano avuto
relazioni commerciali con gli abitanti delle coste della Libia e, dopo
l’invasione dei Re pastori in Egitto, alcune tribù cananee avrebbero
popolato le coste della grande e piccola Sirte.
In epoche meno remote cominciarono estesi stanziamenti fenici19
sulle coste settentrionali dell’Africa. La grande immigrazione rese fenicia
una gran parte dell’Africa settentrionale, così come poi nel Medio Evo la
stessa divenne araba. I Fenici sottrassero agli indigeni la parte migliore
del litorale settentrionale che offriva ampi sbocchi al commercio. Il più
antico insediamento fenicio fu Utica, a cui seguirono Leptis20
( Khoms),
Oea ( Tripoli ), Sabratha, Cartagine e molte altri.
Così i Fenici contesero una gran parte dell’Africa settentrionale
all’influenza della civiltà greca. La Sirte maggiore segnò la separazione
linguistica e politica dei due territori: a Est la Pentapoli di Cirene
appartenne alla cultura greca e a ovest Leptis Magna divenne e rimase
fenicia.
Passeranno molti secoli prima che la potenza fenicia di Cartagine
ceda il dominio del mare Mediterraneo alla potenza di Roma. Ma i Greci
18
Colella 1912, pp. 17-21;
19
Sui Fenici in Libia si vedano: De Miro E, Polito A., Leptis Magna (Dieci anni di scavi archeologici
nell'area del Foro Vecchio, livelli fenici, punici e romani), in Quaderni di Archeologia della Libia 19,
1991, (contiene una vasta bibliografia sul argomento); Aquaro E, Aubet M, Fantar M.H., Insediamenti
Fenici e punici nel Mediteraneo occidentale, Roma 1993.
20
De Miro - Polito 1991.
20
avranno fondato in Cirene21
la sede più splendida dell’ ellenismo sulle
coste dell’ Africa ettentrionale dopo Alessandria d’Egitto.
Le colonie greche
Sin da tempi remoti esistevano contatti tra le coste della
Grecia e dell’ Africa del Nord, come dimostra il culto di Posidone e di
Atena introdotto in Libia in tempi assai remoti, soprattutto sulla Sirte
Minore, il luogo più ricco di acqua presso la foce del lago Tritone.
L’isola di Creta, per la sua posizione, costituì un ponte fra la Grecia e le
coste della Libia22
.
I pescatori cretesi raccontavano delle fertili contrade di quella
regione, chiamata poi Cirenaica dalla colonia greca di Cirene. Fu per
questo che i Therei, gli abitanti dell’odierna isola di Santorini, allora
Thera, pressati dalla forte immigrazione dei coloni del Taigete, nel
secolo VIII a.C., spinti dall’oracolo, guidati da Batto Eufemide, andarono
a fondare una nuova colonia nei lidi della Libia. Dopo essere sbarcati
nella isoletta di Platea, nell’odierno golfo di Bomba, si fermarono sulla
costa, poi si spinsero sull’altipiano dove gli stessi Libii indicarono loro
una fontana di acqua perenne e fondarono la città di Cirene, dedicandola
ad Apollo e dandole il nome della ninfa Cirene. La fontana scorre da
millenni celata da un bosco di salici, e per questo gli Arabi la chiamarono
Ain Sciahat, fontana del salice.
La fondazione di Cirene
La città fu costruita presso la sorgente, ritrovo naturale delle
popolazioni del deserto e delle genti che abitavano sulla costa. In breve
21
Colella 1912, pp. 23-25.
22
Idem pp. 26-27.
21
tempo i loro regolari incontri diedero vita a un mercato stabile e poi ad
una vera e propria città. Costruita sopra due alture, che dai terrazzi del
predeserto degradano verso il mare, acquistò in breve tempo grandissima
importanza. Il suolo assai fertile produceva importanti prodotti naturali il
famoso dei quali era il silfio23
, un arbusto da cui si ricavava un succo
molto ricercato in tutta la Grecia come medicinale e come
condimento dei cibi. Dissecato e impastato il succo veniva imballato
entro sacchi e spedito. In molte immagini di vasi greci si vedono i re
di Cirene che personalmente sovraintendono alla pesatura,
all’imballaggio e alla vendita del silfio. Il suo commercio era monopolio
esclusivo della casa regnante dei Battiadi. Difficile oggi identificare la
natura di questa pianta già scomparsa all’epoca di Nerone24
.
Per lungo tempo la piccola schiera dei Therei costituì fra i
Libii il nocciolo dello stanziamento ellenico, ma pian piano l’elemento
libico s’infiltrò nella colonia e verso il 576 essa, vedendosi minacciata dal
pericolo di essere sopraffatta dall’elemento indigeno e perdere a poco a
poco il suo carattere ellenico, si rivolse nuovamente all’ oracolo delfico.
L’oracolo invitò altre popolazioni greche a stabilirsi a Cirene. Così fu
tra loro diviso un territorio di considerevole estensione: i Libii furono
ricacciati verso il deserto, nel luogo dell’ approdo sorse il porto di
Apollonia25
, il territorio della città fu allargato notevolmente e collegato
con i paesi limitrofi26
.
23Riguardo la pianta del Silfium si vedano: Laronde A., Le silphium sur les mannaie de Cyrène, in
Scritti di antichità in memoria di Sandro Stucchi, 1. La Cirenaica. La Grecia e l'Oriente mediterraneo,
Roma 1996, pp. 157-168; Tatman J.L, Silphium, Silver and Strife: A History of Kyrenaika and Its
Coinage, in Celator 14. pp. 6-24; Luni M., Iconografia del silfio e realtà botanica, in Quaderni di
Archeologia della Libia XVI, 2002, pp.351-362.
24
Laronde 1996, p. 163; Luni 2000, p. 361.
25
Laronde A., Apollonia de Cyrénaïque et son histoire. Neuf ans de recherches de la Mission
archéologique française en Libye, in CRAI 1985, pp. 93-115; Laronde A., Prêtres d'Apollon à Cyrène
au Ier siècle ap. J.C., in L'Africa romana. Atti del IV Convegno di studio, Sassari, 12-14 dicembre
1986, Sassari 1987, pp. 469-484; Laronde A., Première reconnaissance de la route grecque entre
Cyrène et son port, Apollonia, in LibyaAnt 15-16, 1978-79, (1987), pp. 187-198.
26
Colella 1912, pp. 26-34.
22
Cirene fu il punto di partenza di una serie di colonie greche,
come Barca ed Esperide27
e così Cirene sotto i Battiadi estendendosi su
ampli terreni coltivabili, diffuse la civiltà greca in un tratto assai esteso
della costa africana.
Fu questa la nuova era di Cirene, cominciata col regno di
Batto II, soprannominato “Felice”, e proseguita con Arcesilas II. I Libii
respinti nel deserto chiamarono in loro aiuto ( 570 a.C ) il re dell’Egitto
Apries, ma il suo esercito fu completamente distrutto dal re Batto. I
Battiadi da questo momento divennero una grande potenza da annoverare
tra quelle elleniche. Amasis, successore di Apries, stabilì con loro pace e
alleanza e sposò una giovane principessa greca di Cirene28
.
Le altre città greche
Raggiunta ben presto una grande floridezza, Cirene diede il
nome a tutta la regione intorno: la Cirenaica. Respinse i Libii nel deserto,
tenne fronte all’Egitto e diffuse ampiamente la cultura greca.
Diede i natali al filosofo Aristippo, al poeta Callimaco, a
Eratostene29
, astronomo e geografo. Oggi della città rimangono
imponenti rovine: numerosi resti di templi, quattro teatri, lo stadio,
moltissime colonne e grandi mura di cinta di circa cinque chilometri di
perimetro, che limitavano una parte dell’altipiano. Dal lato della pianura
la città terminava con alcuni altopiani che la separavano da profondi
burroni.
27
Sulle città Greche in Libia si vedano: Laronde 1985 ; Laronde A.: Cités, ports et campagnes de la
Cyrénaïque gréco-romaine, in RA 1994, pp. 166-169.
28
Colella 1912, p. 25.
29
Idem, p. 26
23
Ma la cosa che più spettacolare sono le vaste necropoli30
che per
alcuni chilometri circondano a Ovest, Est e Sud la città dei vivi. In questo
nessuna città greca può esserle paragonata31
.
E’ evidente che i popoli vicini e specialmente gli Egiziani
esercitarono sui Greci di Cirene una notevole influenza, soprattutto
nell’adozione di riti funerari, ad esempio nella sostituzione del rito
incineratorio con quello inumatorio, che comportava il seppellimento in
tombe quasi sempre scavate nei cigli rocciosi32
. In quel ripido pendio si
aprono a migliaia grotte sepolcrali e l’altopiano finisce con dieci o dodici
terrazzi divisi in gradinate, aventi ciascuna la sua fila di tombe, alcune
monumentali in stile quasi egiziano, altre ornate di sculture
e ornate con facciate a colonne, derivate dall’architettura greca, e spesso
arricchite da policromia. La maggior parte delle tombe presentano camere
sotterranee ricavate nella roccia calcarea.
Sorse così una vasta città sotterranea alla cui costruzione
contribuì la facilità con cui potevano essere bucate quelle rupi in morbido
calcare, utilizzata poi per secoli.
Verso la metà del VI secolo i Cirenesi fondarono Barca che ben
presto divenne tanto potente da superare Cirene nella supremazia sul
distretto occidentale. Fu la prima delle cinque città per cui a quel paese fu
dato il nome di pentapoli33
. Cirene, Apollonia, Barca, Euesperides (detta
poi Berenice), la moderna Bengasi e Tauchira, oggi detta Tocra dagli
Arabi, costituirono dopo l’anno 321, cioè dopo la fine dell’impero di
Alessandro Magno, una confederazione dipendente solo in parte dai
Tolomei di Egitto. Presso il luogo oggi chiamato Muktar, anticamente
detto le are dei Fileni, montagne di pietre indicano il confine fra il
30
Sulle necropoli della Cirenaica si vedano: Cassels J., The Cemeteries of Cyrene, in PBSR 23, pp. 1-
43.
31
Colella 1912, p. 26.
32
Idem, pp. 26-27.
33
Ghesleri A., Tripolitania e Cirenaicadai piu remoti tempi fino al presente, in Emporium, Bergamo
1911, pp. 379-396; Costa G., Tripoli e Pentapoli, in Atene e Roma 1912, pp.2-40.
24
territorio di Bengasi, e quindi l’antica Cirenaica e la Tripolitania.
Storici e archeologi ritengono che in quel punto avvenne l’incontro dei
giovani corridori di Cirene e di Cartagine, che partiti nello stesso giorno
dai propri paesi dovevano fissare il confine dei due stati, Cirenaica e
Cartagine, nel punto in cuì si sarebbero incontrati. I fratelli Fileni,
campioni di Cartagine con la frode percorsero un tratto più lungo, posti
di fronte alla scelta di ripetere la gara o morire sul luogo, preferirono
morire e furono sotterrati vivi sotto quello che poi sarà l’ara dei Fileni e
che segnò il limite fra i due stati34
.
La conquista romana
La parte orientale della Libia, quella confinante con l’Egitto
subì l’influsso della civiltà greca sia prima di Alessandro Magno,
come abbiamo visto, sia dopo, durante l’età ellenistica e fino alla
conquista dell’Egitto da parte dei Romani: in tutto questo periodo
l’influenza dell’Ellenismo Alessandrino fu enorme.
La costa occidentale della Libia, occupata da colonie fenicie
aveva sentito maggiormente l’influenza di Cartagine, il cui territorio del
resto si estendeva per circa 2000 chilometri, dal confine con la Numidia
fino al confine con la Cirenaica. Questa differenza di condizioni
proseguì anche durante il dominio romano che interessò la Tripolitania35
subito dopo la conquista del territorio cartaginese mentre la Cirenaica
passò di fatto sotto il dominio romano molto più tardi, nell’86 a.C. Venti
anni dopo nel 66 a.C. la Cirenaica e l’isola di Creta formavano
34 Strabone nel libro XVII descrive l'Africa (Egitto e Libia). Il moderno Arco dei Fileni costruito al
confine fra Tripolitania e Cirenaica fu progettato dall' arch. Florestano Di Fausto ed eretto nel 1937 per
volontà di Italo Balbo.
35
Sul questo argomento si vedqno: Right J., History of Libya, London 1967, pp.43-53; Al Nems- Abu
Hamed 1975, pp:18-24.
25
un’unica provincia di Roma, mentre la Numidia, l’Africa proconsolare e
la Sirtica ne formavano un’altra.
Anche sotto il dominio romano il possesso della Tripolitania
non poteva ritenersi al sicuro dalle incursioni delle bellicose e
irrequiete tribù interne del deserto, le tribù dei Garamanti. La difesa del
litorale riusciva difficile ai Romani anche per la mancanza di catene
montuose che separassero la zona costiera dall’interno.
Di qui la necessità di una serie di spedizioni militari verso
l’interno, che si spinsero fino all’ oasi di Cydamus, l’odierna Ghadames36
e fino a Garama-Jerma37
nel Fezzan , conquistando diversi territori, con
guerre feroci e crudeli. Qualche tempo dopo l’imperatore Settimio
Severo, di origini leptitaniebbe una cura particolare per la sua provincia e
concesse una più forte difesa militare contro i barbari dell’interno.
Poco si sa delle guerre combattute ai tempi di Augusto. Il dominio
romano si consolidò sotto l’impero di Claudio. Furono fondate numerose
colonie e aperte molte strade che collegavano le città interne. Le tre città
principali della Sirte, Leptis, Oea e Sabrata godettero di una certa
autonomia amministrativa e Settimio Severo concesse ai suoi cittadini
l’ esenzione dell’imposta fondiaria38
.
La civiltà romana nella Libia
Dalla caduta di Cartagine fino all’invasione dei Vandali, cioè
dal 146 a.C. al 439 d.C., l’Africa settentrionale fu fortemente
romanizzata . Dall’ Egitto alla Mauritania Roma fece di tutta la costa
36
Su questa città si vedanono: Cuneo P., The Italian Architectural Mission for the Islamic period (
Tripoli –Ghadames), in Lib. Ant. New Series II, 1996, pp.206-210; Micara L., Missione Italiana per Lo
Studio Dei Monumenti Architettonici di Periodo Islamico, in Lib.Ant.new series III, 1997, pp.297-300.
37
Su Garama e la storia del Fezzan si vedano: Mattingly D.J., The Archaeology of Fazzan: Volume
1 (Synthesis, London, 2003; Mattingly D.J., The Libyan Desert: Natural Resources and Cultural
Heritage. Society for Libyan Studies, London (2006) ; Mattingly D.J The Archaeology of Fazzan.
Volume 3, Excavations carried out by C.M. Daniels. London, 2010.
38
Di Vita A., Leptis Storia e Monumenti (articolo non pubblicato).
26
mediterranea dell’Africa un grande emporio commerciale, un vasto
granaio. Da Alessandria, Cirene, Leptis Magna, Hippona, Utica, Cirta,
dalla stessa Cartagine risorta, essi si spingevano verso il grande deserto,
lasciando dappertutto tracce di vita e monumenti, segno di una
meravigliosa operosità39
.
Della Cirenaica e di Creta, come già detto, Roma fece una sola
provincia. Le antiche città greche rifiorirono. Meravigliosi monumenti le
abbellirono; acquedotti e cisterne fornivano l’acqua alla popolazione;
reti stradali, che ancora si conservano, rendevano facili le
comunicazioni, inespugnabili fortezze difendevano queste vie contro le
incursioni dei Libii40
.
Nella Tripolitania il commercio si esercitava attraverso tre
grandi strade una che andava da Tacape (Gabes) a Cydamus (Ghadames),
una seconda da Oea (Tripoli) al Fezzan, la terza da Leptis Magna all’oasi
del Tibesti, dove ancora sono visibili alcune pietre miliari41
.
La prosperità di cui godette la parte coltivata dell’Africa
settentrionale risulta evidentissima dalla ricchezza delle rovine delle sue
numerose città che mostrano resti di bagni, teatri, archi di
trionfo, splendide tombe, edifici pubbli e privati di ogni specie.
La cultura nell’ epoca romana
L’Africa settentrionale fu dunque completamente romanizzata,
ma le popolazioni italiche mantennero sempre una certa diffidenza per le
popolazioni di origine africana. Nonostante il contributo dato dall’Africa
alla letteratura latina: Apuleio, Sant’Agostino, Marco Cornelio Frontone,
39
Liverani M. s.d., I Garamanti e l’inizio del comercio trans – sahariano (articolo non pubblicato)
40
Khushaim A.F. 1975, "Nusus Libya" Libyan Text ( From: Heroduts, Strabo, Plinius Secundus,
Diodorus Siculus, Procopius of Caesareas and Leo Africanus), Università di Tripoli 1975.
41
Su questa tema si vedano: Yusha' B.Q., Wathiq Ghadames al Tijariyya( documenti commerciale di
Ghadames), Tripoli 1995.
27
Gaio Sulpicio Apollinare, Tertulliano, nomi che attestano come la cultura
romana fosse largamente diffusa nei paesi dell’Africa mediterranea.
Nella storia del cristianesimo l’Africa occupa un posto di
primo piano, tanto che all’inizio le traduzioni dall’ebraico al latino
furono quasi esclusivamente eseguite da autoriafricani42
.
L’ invasione e il dominio dei Vandali
Le condizioni della Tripolitania e della Cirenaica cominciarono
a decadere alla fine IV secolo d.C. con la divisione dell’impero romano in
Impero d’ Oriente e Impero di Occidente. I barbari delle zone interne
approfittando della debolezza dell’impero ne assalirono le frontiere.
Nonostante questa rapida decadenza, l’Africa settentrionale continuava
ad avere una grande importanza per il vettovagliamento dell’Italia43
.
L’ Africa fu divisa in sei province. La Provincia Tripolitana44
giungeva fino al confine dell’Egitto. Le tribù nomadi dell’interno
minacciavano però il ricco paese con le loro scorrerie. La stessa Leptis
Magna fu interessata dalle incursioni della tribù libica degli Austuriani.
Anche i barbari della sponda europea del Mediterraneo avevano
cominciato a porre piede sulla costa dell’Africa settentrionale.
Nel III secolo corsari franchi depredarono le coste, nel IV
secolo numerosi barbari erano stati arruolati nelle legioni romane, a
Ippona vi erano molti Goti. Se nel 409 e nel 416 fallirono i tentativi dei
visigoti Alarico e Valia, nel 422 i Vandali saccheggiarono la costa della
Mauritania ponendo piede per la prima volta nel continente africano45
.
42
Al Nems- Abu Hamed 1975, pp. 18-22.
43
Sui i questo argomento si vedano: Colella 1912, pp. 41-63; Al Nems- Abu Hamed 1975, pp. 23-24;
Khushim 1975, pp.185-193.
44
Colella 1912, p. 41.
45
Colella 1912, pp. 41-63; Al Nems- Abu Hamed 1975, pp. 23-24;Khushim 1975, p. 185-187; Wright
J., pp. 65-91.
28
La fondazione del regno dei Vandali
Il re Genserico si impadronisce di Cartagine le cui ribellioni
vengono ferocemente represse, e piomba su tutti i paesi litoranei con
una forza devastatrice. Nel 430 Ippona fu assediata e durante l’assedio
morì il vescovo di Ippona Sant’Agostino. La guerra proseguì con alterne
vicende. Un trattato di pace assegnò a Genserico la Tingitana, le due
Mauritanie, la Numidia orientale, parte della Bizacena e della provincia
proconsolare. Qualche anno dopo si impadronì anche di Cartagine, che
divenne la capitale del regno vandalico.
Iniziò un periodo di devastazione e ferocia. Molti abitanti
furono uccisi, teatri e templi distruttii. Intorno alla metà del 400 una pace
coi Vandali ampliava i possedimenti di Genserico in Africa, anche se
pare sicuro che il dominio dei Vandali non fosse arrivato a possedere
anche la Tripolitania.
Il saccheggio di Roma e le lotte per la conquista dell’Africa
Nel V secolo Genserico occupò la Tripolitania. Molte furono le trattative
tra i due Imperi d’Oriente e di Occidente e Genserico, finché gli
imperatori non concordarono un’ impresa comune per rientrare in
possesso dei territori conquistati da Genserico. L’ attacco combinato
stava per riuscire, ma nell’agosto del 468 i Vandali riconquistarono tutte
le posizioni perdute. Circa 60 anni dopo l’imperatore Giustiniano e
Belisario riconquistarono tutta l’Africa settentrionale46
.
46
idem
29
La morte di Genserico. L’ambiente e la vita dei Vandali
L’imperatore Zenone47
concluse la cosidetta pace perpetua che
doveva far cessare le ostilità fra Bisanzio e il re dei Vandali, ma che
implicitamente riconosceva lo stato dei Vandali. La morte di Genserico
nel 477, dopo 38 anni di regno su Cartagine, segnò l’inizio del
decadimento del regno vandalico. Stabilitisi in un paese dal clima
molto caldo, i Vandali si lasciarono andare con facilità. Popolo sensuale
si deliziavano dei piaceri della mensa, avevano grande cura del proprio
corpo, vestivano ricchi abiti e passavano le giornate fra mille
divertimenti, caccia, ballo, musica. Abitavano ville con giardini e parchi
ricchi di fontane e alberi, dove si abbandonavano ai piaceri del sesso. La
corruzione dei costumi in Africa era superiore a quella di tutte le altre
province e della stessa Roma. Qui, come però anche a Roma si eleggeva
un tribunus voluptatum (un tribuno dei piaceri). Fu proprio questa
corruzione a determinare la rovina del regno vandalico48
.
La decadenza del regno vandalico
Subito dopo la morte di Genserico diminuisce di molto la
forza bellicosa dei Vandali. Le popolazioni indigene dei Berberi o dei
Mori, cacciati dapprima nel deserto, costretti ad una crudele
sottomissione, quando non fuggivano, passavano all’ offensiva,
assalendo i territori vandalici, alternando successi e sconfitte. Con il re
Unerico queste guerre di frontiera ebbero una sosta con la conseguenza
che i Mori dell’antica Mauritania, stabilitisi alle pendici della catena
dell’Aurasio si resero indipendenti dai Vandali. Nel 523 i Vandali
subirono una grave sconfitta a opera del principe dei mori Kabaon nella
47
Khushim 1975, pp.187-191.
48
Khushim 1975, pp.185-193.
30
Tripolitania. Questi, approfittando della paura che i cavalli avevano dei
cammelli, dei quali non sopportavano la vista e l’odore, scoprì la linea di
difesa collocando i suoi numerosi cammelli che impaurirono e fecero
impennare i cavalli dei vandali che nella fuga delle sanguinose e terribili
perdite da parte dei mori. Ormai la sorte del regno vandalico era segnata .
Giustiniano dopo aver stipulato la pace con i persiani, affidò a Belisario
l’impresa d’Africa49
.
La caduta del regno dei Vandali e il dominio bizantino
Poco dopo l’inizio delle ostilità, Tripoli veniva consegnata ai
Bizantini. In Tripolitania non vi erano truppe vandaliche e fu
abbastanza facile impadronirsi di questa importante regione. Nel giugno
del 533 Belisario iniziava l’impresa in condizioni favorevoli, condotta
con poche forze ma con grande abilità. Resosi impossibile l’attacco
dell’Africa dalla costa greca, sbarcò in Sicilia e spinse poi la flotta verso
la costa africana in un punto non lontano da Cartagine, quindi sbarcò e
mentre l’esercito doveva muovere via terra verso Cartagine, la flotta
navigava lungo costa accompagnando la marcia delle truppe. S’impadronì
di Syllectum ( l’odierna Salletto) avanzò fino a 70 stadi da Cartagine
dove ebbe luogo una grande battaglia e 140 stadi a Sud-Ovest da
Cartagine, presso Tricameron ebbe luogo il combattimento decisivo che
pose fine al regno di Genserico. Nel 534 Belisario, tornato a Cartagine,
organizzò il territorio secondo il modello della provincia romana. Il regno
dei Vandali era finito; questo popolo scomparve senza lasciare traccia del
suo passaggio.
49
Procopio di Cesarea, La guerra persiana (VI secolo): Istoria delle guerre persiane e vandaliche
(traduzione di Giuseppe Rossi), Milano 1833, I, cap. XII, p. 432; Khushim 1975, pp.188-189.
31
Il governo di Bisanzio
Dalla caduta del regno dei Vandali nel 533 fino alla conquista
araba l’Africa settentrionale dall’Egitto fino all’ oceano Atlantico rimase
per più di cent’anni sotto il dominio bizantino, il quale non lasciò molta
memoria nei paesi occupati50
. I berberi aborigeni molto numerosi
occupavano una vasta porzione di territorio che si estendeva
dall’Atlantico ai deserti della Libia, dal Mediterraneo al Sudan (o paese
dei negri). Questi Berberi o Mori, che avevano combattuto con molta
ostinazione tutte le colonie greche e la dominazione cartaginese e romana
non lasciarono tranquilli neanche i Bizantini, senza però riuscire ad
abbatterli. Divisi e nemici fra loro inconciliabili, diversi di religione, mal
si contrapponevano all’ordinata amministrazione della ricca provincia
bizantina, alla sua disciplina militare, alle flotte e alle sue fortezze. Tale
era la forza di questo governo che all’inizio del VII secolo il governatore
d’Africa, Eraclio, occupò il trono di Costantinopoli51
. Fu in questo
periodo che l’Impero fu assalito dagli Arabi. Periodo decisivo per la
storia e i destini dell’Africa settentrionale, in quanto segna l’inizio del
dominio dell’Islam. Dal quel periodo, attraverso infinite vicende, si
compie la trasformazione profonda dello spirito e della coscienza di quei
popoli.
50
Khushiam 1975, pp. 173-176.
51
Su questo argomento si vedano: Romanelli P., Basiliche e battisteri di età bizantina in Tripolitania,
in Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina, Ravenna 1966, pp. 425-432;Wrigt J., pp. 65-81; Al
Nems-Abu Hamed 1975, pp.24-26.
32
La posizione dei siti archeologici trattati in queata ricerca.
33
CittaCoordinateSito archeologicoNo
TripoliN 33 53 47.81
E 13 11 59.54
Tomba di Tariq al shat1
TripoliN 32 52 10.15
E 13 11 41.49
Necropoli di Bab ben Gisher2
TripoliN 32 52 58.52
E 13 10 17.99
Necropoli della Forte (o Torre)
delle Vite
3
TripoliN 32 53 59.58
E 13 10 33.14
Arco di Marco Aurelio4
TripoliN 32 51 57.15
E 13 06 56.74
Sito di Gargaresc (Hai Al athar)5
TripoliN 32 52 36.53
E 13 08 30.61
Fornace di Hai Al andalus6
TripoliN 32 51 46.14
E 13 06 08.76
Tomba dei Fedeli di Mitra7
TripoliN 32 53 29.91
E 13 01 56.28
Necropoli bizantina nella Scuola di
Arti e mestieri
8
TripoliN 32 50 47.74
E 13 03 26.36
Tomba di Ghiran9
TripoliN 32 50 37.60
E 13 01 29.16
Fornace di Sidi Abduljalil
10
Le cordinate dei siti trattate in questa ricerca.
34
CAPITOLO II
LE NECROPOLI DELLA TRIPOLITANIA
Nella fascia nord - ovest della Libia, corrispondente al
territorio della Tripolitania ed in particolare nei dintorni di Tripoli,
sono state scoperte decine e decine di necropoli risalenti a epoche e
civiltà diverse.
Il loro numero e la varietà dei manufatti ivi rinvenuti
dimostrano che in questa zona si avvicendarono, per un lungo arco di
tempo, diverse culture.
Infatti sono proprio le svariate forme, le tipologie e la
ricchezza delle decorazioni presenti nelle tombe attestate in queste
necropoli che testimoniano lo straordinario sviluppo urbano,
economico e sociale degli insediamenti della provincia romana.
Le necropoli della Tripolitania presentano tombe dalle forme
e caratteristiche tali che consentono di individuare precise tipologie e
di ricollegarle alle diverse culture e alle diverse epoche in cui hanno
avuto origine. Ed inoltre di studiare le modalità dei riti funerari.
1 - LE NECROPOLI FENICIO- PUNICHE
I luoghi di sepoltura ascrivibili al periodo fenicio- punico sono
in assoluto le necropoli più antiche presenti in Tripolitania. Esse
risalgono al periodo che va dal IV secolo avanti Cristo fino alla prima
metà del I secolo dopo Cristo52
.
52
Caputo 1977, pp. 119-124; Di Vita – Brecciaroli 1967, pp. 11-42; Di Vita 1967, pp. 121-142; Di Vita
1970-71, III-IV; Di Vita 1978 , pp. 199-256; Di Vita 1984, pp. 858-877, tavv. 140-146; Di Vita 1997,
pp. 271-282 (e si veda anche Sabratha in E.A.A. II, Suppl. V, 1997, pp. 47-52).
35
Le tombe presenti in questo tipo di necropoli sono quasi
esclusivamente tombe di famiglia costruite in modi differenti: si tratta
di tombe sotterranee o in gran parte costruite o direttamente scavate
nella roccia, poi intonacate e abbellite con pitture i cui cicli decorativi
indicano chiaramente lo stato sociale ed economico del defunto.
Di solito la tomba era composta da una camera generalmente
quadrata, con il lato che poteva variare da uno a due metri, mentre la
profondità poteva arrivare anche a due metri in modo che la copertura
non dovesse poi sporgere dal terreno.
In alcuni casi si trattava di sepolture sontuose, monumentali,
veri e propri mausolei, costruiti a forma di torre, ad uso certamente
degli abitanti che appartenevano strati più elevati della popolazione,
come nel caso del tomba di Adamo e Eva a Ghargaresh.
Nelle tombe appartenenti alle necropoli di questo periodo
l’ingresso principale era rivolto ad Est; a esso si poteva accedere
attraverso una piccola scala che immetteva in un corridoio da cui si
dipartivano i vari ambienti. Quest’ultimi di solito erano costituiti da
tre o quattro camere, spesso però aggiunte in periodi diversi, come del
resto testimoniano le diverse modalità di sepoltura e la varietà dei
corredi funerari. L’accesso alla tomba è generalmente possibile
attraverso un ingresso a pozzo di cm. 70/80 di diametro.
Le camere funerarie presentano spesso banchine e nicchie
per le deposizioni.
Molti ipogei hanno due o più camere comunicanti fra loro. Il
numero degli ambienti funerari varia da un minimo di uno a un
massimo, rilevato nella regione in esame, di quattro camere.
Molto vasta è la documentazione relativa ai rinvenimenti dei
contenitori in cui le ceneri venivano poste. Generalmente venivano
deposte entro urne litiche. Fino all’ultimo quarto del I secolo d. C. vi è
36
un uso generalizzato di piccole urne rettangolari in calcare e prive di
decorazione; in qualche caso, come documentato, sono stati usati
contenitori di forma simile ma realizzati in terracotta o in piombo.
Sporadicamente sono state usate come urne cinerarie delle anfore fittili
od olle di vetro53
.
Sulle urne di pietra è spesso iscritto il nome del defunto, in
punico e, circa a partire dalla fine del I secolo d. C., in latino.
Dalla fine dell’età flavia, alle semplici cassette cominciarono
ad affiancarsi urne a forma di vaso, in calcare, marmo e, in casi
eccezionali, in alabastro54
.
Le iscrizioni sui contenitori continuano ad essere in latino.
Questi documenti epigrafici forniscono importanti
informazioni sull’evoluzione dell’onomastica, oltre che sull’uso della
lingua.
Analizzando le modalità con cui avveniva il rito
dell’incinerazione e l’accuratezza della loro esecuzione si possono
osservare usi particolari. In molte tombe, per esempio, è testimoniata
l’usanza di conservare in anfore fittili i residui non umani del rogo
funebre, ossia i resti di quegli oggetti, come il letto funebre o
recipienti di vetro con offerte bruciate insieme al corpo.
Accanto alle sepolture venivano deposti poi numerosi oggetti
di corredo: ceramiche, vetri, oggetti in osso e in metallo.
I materiali, in particolare le ceramiche, assumono grande
importanza e sono fondamentali ai fini della determinazione
cronologica dei contesti.
53
Di Vita 1997, pp. 271-282.
54
Si confronti: G. Di Vita-Evrard et alii, L’ipogeo dei Flavi a Leptis Magna presso Gasr Gelda, in
LibAnt, n.s. 2, 1996, pp. 85-133 e G. Di Vita-Evrard et alii, Une tombe hypogée de la necropoli
occidentale:Laurentii ou Claudii?, in LibAnt, n.s., 3, 1997, pp. 119-137
37
L’analisi del corredo funerario e la qualità degli oggetti
rinvenuti forniscono poi interessanti indicazioni sulla distribuzione
della ricchezza e sul prestigio dei defunti, e come la ricchezza veniva
ostentata ai fini del raggiungimento di un prestigio sociale.
Spesso gli oggetti e i materiali usati provengono da altre
aree del Mediterraneo: Grecia, Iberia, Asia Minore. Essi testimoniano i
contatti con altre civiltà e forniscono indicazioni essenziali sui
rapporti commerciali che nell’antichità interessarono le coste della
Tripolitania.
2 – LE NECROPOLI PUNICO-ROMANE
Le necropoli di quest’epoca sono in genere molto simili alle
precedenti, costruite fra la fine del I secolo a. C. e la fine del II secolo
d. C. e sono caratterizzate dal fatto che il loro utilizzo continuò fino
alla fine del III secolo, ma con modalità di sepoltura diverse55
.
Le camere funerarie erano sotterranee, e al loro interno si
accedeva attraverso un piccolo ingresso situato a Est e collegato a una
scala che immetteva in un ambiente assai limitato.
Generalmente la camera funeraria era costituita da uno spazio
di forma rettangolare di circa m 1,30 x 2,00 e l’altezza era di poco
superione a m 1,50.
In esse si rinvengono spesso banchine e nicchie per deporvi le
urne di incinerazione, di forme e dimensioni diverse.
Con la diffusione del Cristianesimo, questi usi nel IV secolo
esso vennero totalmente abbandonati.
55
Bartoccini 1928-1929, pp. 103-106.
38
L’uso di questo tipo di necropoli è ancora di chiara influenza
punica. I Cartaginesi, giunti a dominare la Tripolitania, diffondono la
loro civiltà e i modelli architettonici propri del loro ambito geografico
e cronologico.
3 – LE NECROPOLI TARDO-ROMANE
Le strutture funerarie presenti nelle necropoli risalenti a quest’
epoca sono di solito caratterizzate da una fossa di forma rettangolare
grosso modo delle stesse dimensioni del defunto, o poco più grandi;
in esse il defunto veniva seppellito con le braccia distese lungo i
fianchi. In alcuni casi il defunto era deposto in una cassa di legno,
come testimoniano i ritrovamenti di chiodi, all’interno delle
deposizioni.
La tomba veniva ricoperta di pietre fino alla superficie. In
alcuni casi però il corpo veniva posto in una grande anfora con il suo
corredo funerario56
.
4 – LE NECROPOLI CRISTIANE
Questo tipo di necropoli si diffuse in Tripolitania a partire
dal IV secolo quando incominciò a diffondersi in forma più o meno
segreta, il Cristianesimo.
Le caverne e le lunghe, strette e tortuose cave, situate vicino
alla grandi città, fuori dalle mura, erano il luogo ideale per nascondersi.
Le sepolture erano molto semplici. Il defunto veniva
seppellito in una piccola fossa coperta da una lastra di pietra o di
56
Di Vita 1978, pp. 199-256.
39
marmo con sopra inciso il nome e l’età e, in alcuni casi, simboli
religiosi come la croce, il ramo d’ ulivo o la colomba57
.
57
S. AURIGEMMA, L 'area cimiteriale cristiana di Ain Zara presso Tripoli di Barberia, Pontificio
Istituto di Archeologia Cristiana, Roma, 1932.
40
LA NECROPOLI DI GARGARESH
(FIGG. GH 1-77; DISEGNI GH 78-88; FOTO AEREA GH 89)
L’IPOGEO DI ADAMO ED EVA
La scoperta
A circa dieci chilometri dal centro dell’antica Oea sulla strada
che collega la città di Tripoli con la città di Zuara, a qualche centinaio di
metri dal mare, la presenza di uno spesso e compatto strato di arenaria,
portò all’apertura, già nell’antichità, di grandi cave che si estendono in
senso longitudinale per alcuni chilometri.
Lo sviluppo urbanistico del territorio le ha ormai distrutte, a
eccezione di una58
.
Nel 1965 fu infatti casualmente rinvenuto a Gargaresh, sobborgo
occidentale dell’odierna Tripoli, un monumento funerario59
, chiamato,
per le pitture più significative in esso ritrovate, di spiccato carattere
cristiano, l’Ipogeo di Adamo ed Eva60
.
La cava non era a cielo aperto, ma coperta da un tetto il cui
spessore oscillava in genere fra m 1,50 e m 3 a seconda della compattezza
della arenaria. La diversa consistenza dello strato condizionava lo scavo
dando così origine a una serie di corridoi, spiazzi e piccoli recessi che
potevano essere facilmente trasformati in vani61
.
L’ipogeo cristiano fu collocato nella parte in cui il tetto aveva
uno spessore limitato, pari a m 1,50 - 1,80, così fu facile ricavare una
corte scoperta, all’incirca quadrata, e, ai lati di essa, sistemare a vani i
58
Baramki 1966-67, p. 241; Di Vita 1978, p. 199.
59
Baramki 1966-68; Di Vita 1978, p.199.
60
Secondo il Prof. Baramki (op. cit. p.242) questa scoperta viene considerata una delle scoperte piu'
importanti essendo la raffigurazione di Adamo ed Eva inusuale in quel epoca..
61
Baramki 1966-67, pp.242; Di Vita 1978, 199.
41
vuoti della cava, ottenendo un insieme ipogeico che ricorda le tombe a
peristilio delle necropoli ellenistiche di Alessandria62
.
L’accesso alla corte avveniva probabilmente tramite scale
rimovibili, non essendovi traccia di scale scolpite nella roccia.
Descrizione del complesso
Attorno alla corte scoperta, partendo da sinistra verso destra in
direzione nord, si trovano quattro vani : A, B, C, D.
Il vano D è un piccolo recesso di circa m 1,40 con un piano a
circa 50 cm sul suolo della corte. Esso era certamente adibito a sepoltura
essendovi stati rinvenuti i resti di un individuo adulto. E’, inoltre,
possibile che sul piano vi fossero stati costruiti altri loculi. Data la sua
ampiezza limitata se ne può dedurre che i morti venissero inumati in
posizione rannicchiata.
In un piccolo vano di fronte al D è stata deposta, all’angolo sud-
ovest, una anfora funeraria. Si tratta di un grosso contenitore di tipo
punico e di produzione locale, risalente al III - IV secolo; esemplari simili
si trovano nel magazzino del museo di Tripoli. Potrebbe trattarsi di una
sepoltura aggiunta63
.
Anche il piccolo vano B, ottenuto dalla chiusura di un corridoio
della cava, fu adoperato per altre deposizioni64
.
Fra i vani B e D, di fronte al vano A, si trova il vano C. Esso è
aperto sulla corte, di cui costituisce un’appendice, e verosimilmente fu
adibito alla preparazione di tutto quanto necessario per i banchetti
funebri. In esso non si trovano tracce di sepolture così come non se ne
trovano nel vano A.
62
Baramki, p. 242; Di Vita 1978, p.200;
63
Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80;
64
Idem p.80
42
Il vano A lungo m 7,75 x 3,10 e alto 2,15 è l’ambiente più
grande e più importante del complesso.
In corrispondenza della larga apertura sulla corte lunga m 3,20,
nell’angolo sud - ovest , fu sistemato un banco quadrato di circa m 2,60
di lato e alto m 0,60. Il banco sembra essere stato concepito come sedile /
divano o stibadion, sul quale si sdraiavano i commensali. Questo fa
pensare alla parte finale del suo lato nord che forma un profondo
semicerchio, che gli conferisce la forma a sigma, nonché i due soli
blocchi rimasti, collocati al centro della fila più alta, in leggera pendenza
verso Sud.
Di fronte al centro del semicerchio è stata ritrovata una mensa,
sul cui piano si appoggiavano i commensali.
Come mensa è stato usato un pezzo di colonna calcarea con
incisi nella parte superiore quattro solchi concentrici allo scopo di non
fare scivolare i piatti che venivano posati su di essa, qualora questi
avessero avuto alla base un anello o anelli in rilievo, come spesso
avevano molti piatti65
.
Il piano superiore del sedile o stibadion66
doveva essere rivestito
da intonaco, come di certo erano rivestite da intonaco dipinto la parte
frontale e le pareti al di sopra di esso. Di queste decorazioni non è però
rimasto niente.
Il pavimento era fatto di un sottile battuto di calce posato su una
massa di sabbia e di detriti ricavati dalla lavorazione dell’antica cava.
La decorazione dipinta della sala A
Le pareti della sala A presentano ancora diverse decorazioni.
65
Baramki 1966-67, p. 242; Di Vita 1978, p. 207.
66
Di Vita 1978, p. 208.
43
1) La parete orientale.
Addossato a questa parete vi è un bancone lungo m 1,40, largo e
alto circa m 0,70 costituito da blocchi riempiti per cm 15 da sabbia, terra
e detriti di lavorazione e incassato nel corridoio che si estendeva dal vano
A al B.
Nel ripiano superiore si trova un rialzo di cm 3, largo circa cm
20 fatto di frammenti di lastre di marmo e rivestito di intonaco. Tutto il
piano era intonacato e dipinto con grossi boccioli rosso-bruni a tulipano,
con il peduncolo corto, forse boccioli di rose, simili a quelli che decorano
i fianchi dei sedili o stibadion e le mensae dell’area sacro – funeraria
della prima metà del IV secolo ritrovati a Sabratha67
.
Di questi boccioli, dalla forma meno raffinata ne è rimasto uno
solo.
La facciata principale è incorniciata da una fascia rosso-bruno
larga cm 3/5, che racchiude una decorazione a effetto marmo ottenuta
accostando cerchi grandi e irregolari, macchie, sbavature e zig-zag in
rosso-bruno su fondo giallo scuro. Delle due facciate laterali quella a Sud
era decorata sempre a effetto marmo, ma su fondo bianco-crema
ravvivato da brevi pennellate grigio-bruno, come si usava, anche se meno
comunemente, in Tripolitania nel IV secolo68
; le decorazioni della
facciata nord sono andate perdute.
Il banco aveva sicuramente una sua funzione, forse di sedile,
certamente non fu usato come cassa funeraria. Delle decorazioni tra
questo e la parete restano poche tracce di fascioni.
67
Di Vita, L'area sacro-funeraria di Sidret el Balik a Sabratha, in Rend. Pont. Acc. LIII-LIV, 1981-82
(1984), pp. 271-282 (e si veda anche Sabratha, in E.A.A. II, Suppl. V, 1997, pp. 47-52).
68
Aurugemma 1962, pp. 97; Romanelli 1922, pp. 25; Marchiori 1940, pp. 22.
44
Incassato fra il banco e l’apertura sul cortile si trova un pesante
tramezzo, appoggiato alla parete, largo solo cm 75. Forse un pilastro su
cui poggiava lo stipite di qualcosa di mobile, visto che la parete è tagliata
da un solco profondo cm 8 e largo da cm 4 a 12. La figura di un
lampadoforo occupa la facciata in quasi tutta la sua lunghezza.
Il dipinto poggia su uno zoccolo con effetto marmo alto cm 40.
La figura, alta m 1,27 e larga m 0,55 è nel suo insieme discretamente
conservata. Un fascione rosso-bruno, su fondo giallino, incornicia il
riquadro all’interno del quale si trova il lampadoforo. Nella parte
superiore, un arco ribassato vuole suggerire una nicchia, sul fondo della
quale forse pendeva un velo, come indicherebbe una decorazione a
festoncino orizzontale rosso-bruno con orlo a dente di sega, con alle
estremità bende di colore verde e tre fiori che vi si affacciano. Sul lato
destro vi è una rosa dal lunghissimo gambo verde da cui pende una
fettuccia ondulata. La figura, resa di prospetto con le gambe di profilo,
avanza verso destra. Sotto la tunica, che sembra ondeggiare in una grande
piega, le gambe sono appena tratteggiate. Tracce di pieghe si intravedono
anche all’altezza dell’addome. La tunica, dalle lunghe maniche strette al
polso, è ornata in basso e sul petto da larghe strisce di colore rosso-bruno,
poco sopra l’orlo la ravvivano due cerchi di cm 13 di diametro sempre di
colore rosso-bruno. Le pieghe e i lembi del mantello giallo ocra, che dalla
testa ricadevano sulle spalle, spiccano sul bianco sporco della tunica. La
testa è molto rovinata. Della faccia, dall’incarnato rosa-bruno si intravede
l’occhio destro. I capelli lunghi e ricci, piuttosto bassi sulla fronte,
scendevano sulle spalle.
Nella mano destra regge una grossa fiaccola color ocra, alta cm
41 che termina con un’alta fiamma rosso-bruna. Una fettuccia la avvolge
a spirale e tracce di decorazioni si intravedono sul sostegno e ai due lati.
45
La mano che impugna la fiaccola, per errore prospettico, non
presenta le dita di dorso; dita che sono sottili e allungatissime.
La prospettiva non corretta anche delle gambe e dei piedi fa
pensare a un pittore di cultura popolare a cui potrebbe avvicinarsi il
quadro della parete di fronte con Adamo ed Eva.
Questa figura ricorda quella dei lampadofori della tomba di
Aelia Arisuth sempre a Gargaresh69
o dei giovanetti della domina di
Piazza Armerina70
.
Un arbusto verde si intravede davanti alla gamba destra e
davanti alla fiaccola restano tracce di steli verdi.
In alto, sul fascione di riquadro, sono ancora visibili poche
lettere di una breve iscrizione dipinta a pennellate bianche sottilissime,
2) La parete settentrionale
La parete a Nord nella parte bassa era decorata a effetto marmo.
Delle sue decorazioni però rimane soltanto la parte posteriore di una
figura di leone.
3) La parete occidentale
La parete occidentale, anche se molto danneggiata, è senza
dubbio la più importante, in quanto conserva i resti delle pitture più
significative dell’ipogeo.
Partendo dalla parte a Sud dello stibadion abbiamo tre riquadri
verticali larghi circa m 0,515, seguiti da tre quadri larghi esattamente il
doppio. Una fascia larga cm 8 delimita i riquadri e la parete rispetto al
soffitto. Gli archi ribassati, dipinti dopo, davano alla parete l’aspetto di un
portico a colonne. Tratto decorativo assolutamente nuovo nella pittura e
69
Di Vita 1978.
70
Aurigemma 1962, pp.95-98; Romanelli 1922, pp. 21-32; Marchiori 1940, pp. 18-22.
46
nei mosaici della Tripolitania, ma che appare poi di frequente nei
sarcofagi cristiani intorno al 34071
.
Uno dei tre riquadri ad archi, quello più meridionale è andato
completamente perduto; del secondo, che raffigurava un lampadoforo,
restano solo piccole tracce della fiaccola, tenuta nella mano sinistra, e
molto simile a quella del lampadoforo della parete opposta. Del terzo
resta la metà inferiore, essendo andata distrutta quasi completamente la
metà superiore .
La figura, che tiene fra le mani un grande oggetto a punta, è
rappresentata di prospetto, piedi e calzari, a suola bassa, sono disegnati
con cura. Indossa una tunica a maniche lunghe e strette al polso, che
scende rigida e dritta, con profonde pieghe verticali rese dalle tonalità di
colori che vanno dal giallo al bruno. All’altezza delle ginocchia è ornata
da due cerchi simmetrici bruno-scuro, sovradipinti a strisce nere sulle
quali un cerchio bianco racchiude una decorazione geometrica realizzata
con sottilissime pennellate. Un sottile orlo scuro orna la fine veste.
Il centro della figura è l’oggetto rosso scuro, a forma di cono,
una grande anfora a punta, non di produzione locale. Delle mani che la
reggono è rimasta solo la sinistra, grossolanamente disegnata nella sua
stretta attorno all’oggetto. Sotto la veste trasparente si vedono le gambe
ben delineate in scuro, colore che in questo ipogeo non distingue solo le
figure maschili; infatti, lo stesso colore viene usato anche per Eva.
E’probabile che si tratti della figura di un servo che reca il vino
per il banchetto, così come i compagni portavano le fiaccole per
illuminare il luogo72
.
Ai piedi del portatore d’anfora, nello spazio lasciato libero dalla
figura, tre fiori, disposti su tre piani diversi, poggiano su una larga fascia
71
Romanelli 1925, p. 27.
72
Al Nems – Abu Hamed 1978, p.80.
47
bruno-rosa che si alza ad angolo con il piede destro. Nel lato opposto un
corto cono oscuro, con la sua punta, tocca quasi l’orlo della veste.
Fascia e cono sembrano proiettare l’ombra del personaggio,
forse nel tentativo di dare spazialità all’immagine. Questa maniera
simbolica di rendere le ombre dei personaggi con cenni decorativi è
frequente nei mosaici di Piazza Armerina, dove però la superiore qualità
stilistica raggiunge un effetto più naturale.
E’opportuno sottolineare che molti degli elementi presenti in
questa figura compaiono nei dipinti di Piazza Armerina, ad esempio la
tunica a maniche lunghe e strette ed i cerchi.
La qualità stilistica del portatore d’anfora, anche se mediocre è
certamente superiore a quella del lampadoforo.
Il fascione verticale che separa il portatore d’anfora dal primo
dei tre quadrati che seguono, indica la fine della serie degli elementi
architettonici.
La superficie della parete è piuttosto danneggiata e, per larghi
tratti, la pittura è scomparsa, ma questo primo quadro resta il più leggibile
dei tre che la decoravano.
Su un campo largo m 1,01 e alto m 1,08 troviamo Adamo ed
Eva ai lati dell’ albero sul cui tronco si avvolge a spirale un grosso
serpente.
L’albero è il centro della composizione. Ai suoi lati si
affiancano in rapporto proporzionale, Adamo, alto m 0,82 ed Eva di 4
centimetri più bassa. Il tronco, ben visibile, si alza poco sopra le loro
spalle e si apre in più rami simmetrici, la cui chioma è andata del tutto
perduta. Esso è disegnato con movimento sinuoso, quasi a sottolineare il
peso del grande serpente di colore scuro sfumante in rosso, alto m 0,72,
che lo avvolge interamente. Le spire, tranne la penultima in alto, per
un errore prospettico, sono integralmente visibili. Il corpo ad archi scuri
48
su fondo chiaro è punteggiato di bianco. Dalla bocca aperta esce una
lunga lingua biforcuta. La testa è rivolta verso Eva. I due, che hanno già
commesso il peccato, coprono la loro nudità tenendo con le mani una
larga foglia verde sul sesso.
Sul fondo giallino della parete, la figura di Eva, meglio
conservata, è disegnata con linee di contorno bruno-scure, decise,
fluide e prive di angoli. Le gambe e le braccia sono lunghe, il busto
stretto rispetto al bacino, le dita affusolate, molto allungate e riunite a
punta, come nella immagine di Aelia Arisuth della tomba vicina. Forse
una specie di firma di bottega o espressione decorativa di maestranze di
identica estrazione73
.
Della testa rimangono i capelli che dal collo, piegati ad angolo,
salgono soprala testa: un’ acconciatura denominata a “elmo ” usata fino
al 340 e che insieme a quella a “ turbante ”, di uso frequente intorno al
325, è presente nei mosaici di Piazza Armerina74
.
I capelli di Adamo, tagliati corti, formano una spessa
calotta e si ricongiungono a una barba sottile. Barba e capelli sembrano
ricci, forse a indicare un’ origine straniera del personaggio.
Della figura di Adamo rimane ben poco. La composizione
deriva forse da un modello legato al naturalismo della tradizione
ellenistico-romana.
Le due figure sono prospetticamente impostate verso il centro
della raffigurazione, rappresentato dall’albero della scienza, sul cui
tronco si avvolge il serpente. Presentate frontalmente e sullo stesso
piano dell’albero, non danno l’idea di una collocazione nello spazio, a
parte quel piccolo accenno nel profilo della metà inferiore del corpo di
Eva.
73
Romanelli 1925, p.23; Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80.
74
Di Vita 1978, p. 223; Taha Bakir 1968, pp.197-198; Al Nems – Abu Hamed 1978. P. 80.
49
Del riquadro successivo, forse l’ingresso di Gesù a
Gerusalemme non è rimasto quasi niente : la testa e il collo di un asino, il
contorno del viso, quasi di prospetto, e le spalle del suo cavaliere.
L’animale è delineato con molta cura. Nel muso si intravedono
le froge, larghe per lo sforzo, e la bocca leggermente aperta sotto la
pressione delle briglie. La naturale vivacità dell’asino non deve
meravigliare. Nel mondo nord - africano vi era una lunga tradizione di
dipinti di animali, confermata anche in Tripolitania nel periodo fra il 325
e il 35075
, cui va attribuito questo ipogeo.
Alle spalle del cavaliere, a destra di chi guarda, si indovinano i
contorni della testa e del petto di un’altra figura.
In alto, negli ultimi 28 centimetri, un fascione rosso- bruno
racchiudeva, separandola dal campo figurativo, una lunga iscrizione, di
cui sono rimasti un piccolo frammento e delle lettere.
Il terzo e ultimo riquadro è il più interessante, sia da un
punto di vista pittorico che di stile, e sembrerebbe un modello di
miniatura.
La metà sinistra, dove accadeva qualcosa o vi era qualcuno,
verso cui guardavano le tre figure rimaste è andata perduta.
Le tre figure76
sembrano affacciarsi all’aperto come uscendo
da una tenda finta, sorretta a destra dalla fascia che chiude il quadro,
dalla quale l’ ultima figura è come se uscisse solo a metà, e, in alto dalla
larga fascia rosa- bruno posta orizzontalmente sopra le loro teste.
La prima è una figura d’ uomo dalla ricca capigliatura riccia
e corta, folta barba e baffi leggeri. Veste una tunica a maniche strette,
decorata da una banda sul petto e un ampio mantello agganciato alla
75
Baramki 1966-67, pp. 242; Bakir 1968, p. 198.
76
Sulla descrizione delle figure si vedano: Romanelli 1925, p.23; Baramki 1966-67, pp. 242; Al
Nems- Abu Hamed 1978, p. 80; Di Vita 1978, p. 223; Bakir 1968, pp.197-198; Al Nems – Abu
Hamed 1978, p. 80.
50
spalla destra da una borchia. Il braccio destro è leggermente alzato e
proteso in avanti come in un gesto di saluto, il sinistro scende lungo il
corpo, l’avambraccio, leggermente piegato verso il basso, sporge dal
mantello.
La mano sinistra reggeva qualcosa dietro la quale passavano le
aste di tre lance appoggiate alla spalla sinistra.
Sicuramente si trattava di un capo sia civile che militare, come
fanno pensare l’abbigliamento, gli oggetti e l’atteggiamento.
Queste figure sono costruite secondo la tradizione ellenistico -
romana, caratterizzata dai toni di colore, da ombreggiature e linee che
formano volumi, da un tratto quasi impressionistico che non
impedisce di scorgere nell’uomo gli occhi, le sopracciglia, la bocca
socchiusa e il naso.
La spiccata plasticità e la naturalezza differenziano questo
gruppo dalle altre figure esaminate, comprese quelle di Adamo ed Eva.
La spazialità è resa con molta efficacia dalla posizione delle
figure, una dietro l’altra e la terza che sembra uscire dal fascione come
da una tenda.
Su un piano leggermente arretrato segue una figura femminile.
Essa appare come personaggio di primo piano, per dimensioni,
portamento, ricchezza dell’ acconciatura e del vestito, forse la sposa del
capo.
Sulla tunica intima, orlata alla base del collo, veste una stola
decorata da una frangia color ocra e sopra di essa un’ altra sopravveste
scollata, orlata da larghe bande colorate. La mano sinistra regge il
mantello.
Velature ocra e rosa scuro insieme a ritocchi bruni danno vita al
volto, mentre pennellate scure su fondo giallino riproducono i capelli. La
testa è molto rovinata, si vede bene il mento rotondo, la bocca chiusa e il
51
naso dritto, all’ orecchio destro pende un orecchino. L’acconciatura del
tipo a “ turbante ”, nella sua variante più ricca, si alza sulla testa a forma
di torre. Il tipo di orecchino a goccia è molto comune nei mosaici
africani di IV secolo77
.
Alle spalle della domina la figura dell’ancella, nascosta in
parte dal fascione del riquadro, occupa il poco spazio rimanente. Il volto
è distrutto. La testa ricorda quella di Eva con i capelli che scendono
fino al collo. Essa, in movimento in avanti, sembra guardare le figure
che la precedono o qualcosa che attirava l’attenzione di tutti.
La qualità stilistica di questo gruppo è, sotto l’aspetto pittorico,
la più importante. Le figure sono rese con tecnica “ impressionistica ”,
ma con tratti decisi e cura del dettaglio. La loro plasticità e naturalezza
ricordano le figure della catacomba romana di via Latina78
, così come
l’espressione grave del dominus, usata fino ai primi decenni del IV secolo
per indicare ricchezza interiore , ricorda la testa di Sansone della stessa
catacomba, dove ritorna anche lo stesso tipo di capigliatura e di barba79
.
Anche se la barba tornò in uso intorno al 350 è evidente che,
trattandosi non di personaggi reali, ma di scene bibliche, non veniva
seguita la moda80
.
Pure a Piazza Armerina compaiono personaggi con la barba
e abbondanti riccioli. I confronti con i mosaici di quella villa sono molto
importanti ai fini della datazione delle pitture dell’ipogeo di Ghargaresh.
Sopra le figure del terzo riquadro si trova una lunga iscrizione81
.
77
Baramki 1966-67, p. 241; Di Vita 1978,p. 238; Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80; Bakir 1978, p.
198.
78
Di Vita 1978, p. 238.
79
Di Vita 1978, p. 240.
80
Idem, p. 242.
81
Sulle iscrizione il prof. Di Vita fa un confronto con un’ iscrizione di Sabratha: Di Vita 1978, p. 246.
52
Datazione delle pitture della sala A
L’ ipogeo fu verosimilmente dipinto tra il 340 e il 35082
. A
questa conclusione conduce l’analisi dei dati relativi alle immagini, agli
stili e agli oggetti in esso presenti, messi poi a confronto con altre opere
o tombe. È evidente anche una certa affinità con le pitture romane di
via Latina, che si collocano tutte fra il 320 e il 350. I termini di
comparazione più significativi sono rappresentati dai mosaici di Piazza
Armerina e dagli affreschi della vicina tomba di Aelia Arisuth, dei quali
conosciamo con precisione la data della loro creazione. I mosaici di
Piazza Armerina risalgono al 310 e al 320-325 al più tardi, la tomba di
di Aelia Arisuth risale agli anni immediatamente successivi al 36583
.
Abbiamo già accennato alle somiglianze di stile e delle
iconografie tra queste tre opere : la presentazione frontale delle figure,
le arcate dipinte all’interno del riquadro, quasi a isolare le figure degli
attendenti, le ombre rese con cenni decorativi, tuniche a maniche lunghe
e strette, cerchi colorati che ravvivano le vesti, mani dalle dita lunghe e
affusolate, analogie che collocano le opere nello stesso arco di tempo.
L’ iscrizione dipinta della parete occidentale della sala A
Una lunghissima iscrizione latina, alta cm 28, occupava la
parte superiore dell’ultimo e penultimo riquadro della parete occidentale
della sala A.
Una fascia bruno - rosata incorniciava l’ iscrizione, come in un
cartiglio, separandola dalle figure. Il testo, forse più lungo del previsto,
costrinse il pittore a scrivere sul rifascio di base, nella parte finale verso
destra.
82
Idem, p. 243.
83
Idam, p. 243.
53
Di essa resta solo la parte sopra le tre figure e frammenti sparsi,
come quel piccolo “ medaglione ” ben leggibile del secondo riquadro
sopra l’asino.
Ogni tentativo di interpretazione è risultato vano.
I diversi colori usati fanno spiccare meglio alcune lettere.
La sua datazione può essere contenuta in uno spazio
temporale molto ampio compreso fra tutto il IV secolo e la prima metà
del V84
.
I materiali
I due capitelli a foglie lisce e gli altri resti in calcare sistemati nel
vano E, ma trovati nel cortile F , con il quale confina, provengono di
certo dalle antiche costruzioni del soprassuolo.
Anche parte dei frammenti di orci e anfore, con rispettivi
coperchi, appartengono a tipi che vanno dal I al IV secolo d.C85
.
Nel sito sono stati trovati l’anfora funeraria ( enchytrismòs ) del
piccolo vano a Sud della sala A, del IV secolo, e l’altra ritrovata,
appoggiata orizzontalmente su blocchi di cava, nel vano C adibito alla
preparazione dei cibi che poi venivano serviti nella sala A. Questa
anfora con corpo cilindrico, probabilmente africana, risale alla fine del IV
secolo o agli inizi del V, periodo in cui cessò la frequentazione dell’
ipogeo, almeno come luogo in cui consumare pasti funebri. Nessun
altro frammento recuperato nello scavo è successivo a quest’ anfora.
Celebrazione e significato sociale del refrigerium
Non vi è dubbio che nell’ ipogeo di Adamo ed Eva si
consumassero pasti funebri in onore dei defunti della famiglia a cui
84
Idem p. 245-246.
85
Baramki 1966-67, p. 242; Di Vita 1978, p.247 (fig. 30'-31-32).
54
apparteneva l’ipogeo; ne è la prova lo stibadion con relativa mensa. Gli
stessi lampadofori e il portatore di anfora rappresentano gli attendenti
ai refrigeria, i banchetti funebri, che si celebravano nell’ ipogeo la sera.
Il vano C, aperto sul cortile e situato di fronte sala A bene
si adattava a cucina. Qui è stata ritrovata un’ anfora e tutti i frammenti
ritrovati nello scavo sono resti di anfore e orci in ceramica.
L’ uso delle libagioni e dei pasti consumati presso la tomba
persistette a lungo nell’Africa antica, come testimoniano scritti e fonti
archeologiche, quale l’ area sacro-funeraria di Sabratha86
,
contemporanea o poco più antica dell’ ipogeo di Adamo ed Eva.
Entrambe le opere attestano l’ abitudine del pasto commemorativo
presso le sepolture, comune a pagani e cristiani nella Tripolitania del IV
secolo87
.
Questa antica tradizione è provata dai vani degli ipogei
ellenistici di Alessandria, dalla stele di Timgad in Algeria, di età
imperiale, dove nelle tavole delle offerte sono raffigurati gli elementi
del refrigerium, dalla necropoli di Tipasa, sempre in Algeria88
, dall’
area funeraria di Sabratha e da questo stesso ipogeo.
Anche in Italia, a Pompei e nella necropoli di Porto all’ Isola
Sacra, si trovano sedili/letto per pasti funebri.
Gli esemplari dell’ Africa romana, Tipasa, Sabratha e
Ghargaresh, non sono più antichi del IV secolo, ma sono notevolmente
differenti fra loro.
In Tripolitania il triclinio non contiene i morti, a Tipasa servono,
invece, da letto e da sepoltura. In Tripolitania i letti a forma di sigma
sono collocati vicini alle tombe, ma in un’ area appositamente riservata,
86
Su questo tema si vedano:Di Vita 1997, pp.47-52.
87
Di Vita 1978, p. 251; Di Vita 1997; p. 50.
88
Di Vita 1978, p. 251; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 80
55
che costituisce l’ elemento più importante di tutto il complesso, ove
si svolgevano le cerimonie di profondo valore religioso.
Sabratha conserva l’ esempio più ricco e articolato di questo
tipo di monumento: nell’area dei triclini a forma di sigma, in stretta
connessione con i pasti comuni, fu risistemata una grande vasca in cui
l’acqua era portata da un canale.
Anche a Gargaresc, a poche decine di metri dall’ipogeo, nella
superficie sopra la cava, vi era un pozzo.
L’uso ricorrente di riunirsi in vani o anche in aree scoperte,
attrezzate per banchettare insieme in onore dei defunti, si diffonde in
Tripolitania nel IV secolo89
.
In questo pasto comune qualcuno vede un atto religioso con
forte peso sociale; forse non è esagerato vedere in questo nuovo modo di
praticare il culto dei morti il riflesso di un’ evoluzione nella vita sociale
cittadina.
La presenza al posto della piccola tavola, più antica, di triclini
dove potevano trovare posto un considerevole numero di persone, 32
in quelli di Sabratha, e il fatto che in alcuni casi, non soltanto i
familiari più stretti ma interi clan si riunivano con una certa periodicità
attorno alla tomba del o dei defunti in cui tutti si riconoscevano per
motivi di parentela o altro dà un valore diverso al pasto commemorativo
comune, forse un’occasione di incontro di gruppi di cittadini, socialmente
ed economicamente potenti, legati da vincoli di sangue o da altri
interessi90
. E’ noto che questi gruppi o associazioni, ebbero un grande
peso nella politica locale delle città africane e tutti praticavano l’uso del
pasto in comune o simposio.
89
Di Vita 1978, p. 252; Di Vita 1997; p. 51.
90
Di Vita 1978, p. 258.
56
Se si vuole capire a fondo, nel suo aspetto sociale, il
significato assunto dal refrigerium nelle città dell’ Africa romana, si
deve fare riferimento a complessi tipo l’area sacro - funeraria di
Sabratha o all’ ipogeo di Adamo ed Eva.
57
LA NECROPOLI DI FORTE (O TORRE) DELLA VITE
(FIGG. BD 1-119; DISEGNI BD 120-140; foto aeree BD 141-142)
La scoperta
Dopo lo sbarco a Tripoli, il 5 ottobre 1911, l’Amministrazione
italiana pensò di eseguire una serie di lavori pubblici quali la
sistemazione del porto e la creazione di un tronco ferroviario che avrebbe
collegato il molo alla Stazione centrale che sarebbe sorta nell’oasi a
Sud di Tripoli, nella zona di el- Hammangi91
.
Il tracciato del raccordo molo-stazione sarebbe passato tra la
scogliera a Nord- Nord/Ovest della città e la fortificazione urbana che
proteggeva la città dal “Forte Spagnolo” fino al “Forte della Vite” o
“Forte Nord-Ovest”.
Quest’ultimo forte alla base battuto dalle onde del mare, per cui
occorreva scavare un fossato per appoggiarvi i binari.
Il primo maggio 1912 durante i lavori di scavo del banco di roccia
arenaria su cui era stato costruito il Forte della Vite, vennero alla luce
le prime tombe del sepolcreto92
.
Questo banco di roccia arenaria, presente in tutta la zona
costiera vicino a Tripoli, più o meno resistente e che si taglia
facilmente anche per trarne materiale da costruzione, in età quaternaria
recente ha registrato un movimento di emersione con successiva
sovrapposizione di uno strato sabbioso con fossili terrestri, una
sommersione con sovrapposizione di uno strato sabbioso e infine una
riemersione della panchina arenareo-calcarea93
.
91
Simonete R., Le opere pubbliche della Tripolitania e della Cirenaica, Roma 1914, p. pp. 1-15;
Aurigemma 1958, p. 7; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 35; Romanelli 1916, p. 364.
92
Aurigemma 1958, p. 7; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 35.
93
Simonete 1914, p. 7-8; Aurigemma 1958, pp. 7-8.
58
Il “Forte della Vite”, “ Burj al-dalia” in arabo e Asmail Tabiasi per
i Turchi, molto probabilmente deve il nome alla presenza di una
pianta di vite cresciuta sulla parte alta del forte94
.
Il forte era conosciuto anche con il nome di Burj Sidi el-Haddar,
nome di un marabutto la cui tomba, ancora oggi venerata, si trova nelle
vicinanze del forte, e con il nome di Burj el-Ferrara, di cui non si
conosce l’ origine, certamente non araba95
.
L’ idrografo Giovanni Seller nella carta dei vari forti che pubblica
nel 1675 segna il forte con il n. 21 e lo indica come batteria di ponente (
The West Battery )96
.
Nello stesso periodo il francese, forse il provenzale Girard97
, che
raccoglieva gli elementi per la sua raccolta storica sul regno di Tripoli
di Barberia chiama il forte l’ Angle de la Giudeca ( l’Angolo della
Giudecca ) rivolto a Ovest verso la terra e a Nord verso il mare98
.
Nell’ Ottocento la denominazione più in uso è quella di “Forte
della Vite” e di “Forte Nord-Ovest”.
Le notizie ricavate dall’ Ufficio Fondiario di Tripoli, riferiscono
che nel periodo precedente l’occupazione italiana di Tripoli, nel 1882-
1883, il forte fu riadattato e rimesso in efficienza da Zekki pascià,
comandante della divisione militare turca di stanza a Tripoli.
La costruzione del forte si deve con molta probabilità a
Dorghũt pascià99
.
In tre vedute di Tripoli che sicuramente risalgono al
Cinquecento le mura appaiono differenti da come appaiono nel seicento
nel tratto della fortificazione dove sorse il Forte della Vite.
94
Aurigemma 1958, p. 7
95
Idem, p. 8.
96
Idem, p. 8; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 35.
97
Aurigemma 1926, p. 556.
98
Aurigemma 1958, p. 8.
99
Sulle fortificazione della città di Tripoli durante il commando di Dargut Pascia si vedano: A.A.,
Tripoli, città araba e la sua architettura, Tripoli 1993, pp. 195-264
59
Dall’età romana fino almeno al 1559 il muro urbano correva da
Oriente a Ponente attraverso una linea che proteggendo il promontorio su
cui è costruita la città rappresentava il congiungimento più breve tra
mare e mare . Dopo il 1559 le mura furono modificate e fu costruito il
Forte della Vite, come può dedursi da quanto scrisse il vescovo di
Catania Nicolò Maria Caracciolo100
il quale nel 1561, a seguito di una
imboscata tesa alla flotta siciliana da Dorghũt fu fatto prigioniero e
condotto a Tripoli dove rimase a lungo. Egli parla di una fortezza creata
sopra il monte di San Lazzaro che si trova dentro la città a ponente.
Il rinnovatore della fortificazione di Tripoli fu Dorghũt pascià e
fu lui a costruire il forte chiamato poi Forte della Vite. Durante i lavori
di costruzione furono rinvenute solo alcune delle tombe che furono
svuotate e poi riempite di terra e sassi. Questo spiega perché alcune
tombe furono trovate intatte e con tutte le suppellettili che vi erano state
collocate in antico e altre invece vuote o riempite di terra o sassi101
.
Il fatto che la necropoli si trovi all’ interno del recinto della città,
contrariamente a quanto prescritto dalla legge romana che vietava di
seppellire dentro la città, non esclude che sia una necropoli punico-
romana102
.
Non si sa molto delle condizioni giuridiche della città di Oea
prima della fine dell’età repubblicana. Essa fu fondata da coloni
siciliani misti ad africani dopo che erano state già fondate Leptis Magna
e Sabratha, ma non si sa nulla sui rapporti con questi empori. E’ certo
che in epoca repubblicana e durante l’impero di Tiberio Oea ebbe il
diritto di battere moneta, in cui figurano sia i simboli delle divinità
100
Sulle fortificazione della città di Tripoli in varie epoche si vedano: Aurigemma S., Le fortificazione
della città di Tripoli, in Notiziario Archeologico, Anno II. Fasc. I-II, Roma 1916, pp. 219-296; Amoora
A.A., Tripoli, città araba e la sua architettura, Tripoli 1993, pp. 195-264.
101
Aurigemma 1916, pp. 219-228; Aurigemma 1958, pp. 9-10;
102
Aurigemma 1958, p. 11.
60
protettrici Apollo e Minerva sia i ritratti di Augusto, di Tiberio e di
Livia103
.
Sicuramente Roma lasciò a queste citta una notevole
indipendenza e le leggi romane potevano non essere ancora in vigore in
questi territori dove vigevano verosimilmente leggi e costumi punici
anche riguardo alle sepolture.
A Leptis è stata rinvenuta una necropoli punica sotto l’area del
teatro, nel cuore della città sia in età punica che romano-imperiale104
.
Come già detto, il primo maggio 1912, furono scoperte le prime
sette tombe, mentre nei giorni e mesi successivi furono rinvenute altre
ventisette tombe.
Le tombe furono indicate con i numeri da uno a 34, seguendo
l’ ordine cronologico di rinvenimento105
.
Il 27 luglio 1912 fu rinvenuta intatta e provvista di abbondante
materiale archeologico la tomba n. 24106
. Fu così disposto di non
svuotarla e di assicurarne l’integrità con una lastra di chiusura di arenaria
e una solida porta di legno.
Il 26 novembre 1912 si constatò che durante la notte qualcuno,
entrato nella camera funeraria, aveva rimescolato una parte delle
suppellettili e asportato degli oggetti. La camera funebre fu sgombrata
e il materiale che aveva costituito il corredo della tomba fu portato la
sicuro.
Il 7 settembre 1912 una parete dello scavo franò portando alla
luce la tomba n. 35, una tomba a forno il cui corredo funerario fu in
parte travolto e schiacciato, e in parte rimase integro. Durante i
103
Sulla fondazione della città di Oea si vedano: Al Nems – Abu Hamed 1978, pp. 11-20; Amoora
1993, pp. 39-70.
104
Sulle nacropoli puniche a Leptis Magna si vedano: De Miro – Polito 1991.
105
Aurigemma 1958, pp. 13-15; Al Nems – Abu Hamed 1978, pp. 35-36 (figg. 8-13); Amoora 1993,
pp. 48-55 (figg. p.53-54).
106
Da segnalare che tutto il materiale archeologico è esposto al museo di Al Saray Al Hamra a Tripoli.
61
successivi lavori venne individuato l’accesso alla tomba 36 e qualche
elemento della 37 e dopo nove anni nell’estate del 1921 la 38 e la 39.
Il materiale archeologico recuperato dalle tombe del Forte della
Vite, integro o restaurato, fu presentato pubblicamente l’ 11 aprile 1919
all’ inaugurazione del primo Museo Archeologico della Libia107
. Il
Museo si trovava in un edificio, ora demolito, davanti al fronte sud-
ovest del Castello.
Il materiale archeologico del Forte della Vite fu spostato per ben
sette volte.
Nel 1930 venne trasferito all’interno del Castello e sistemato in
vetrine nei vani che un tempo erano stati occupati dall’harem dei
Caramanli108
. Nel 1935 fu sistemato provvisoriamente nella sala del
trono dei Caramanli. Nel 1937 la sala viene sacrificata per la creazione
di una strada, le vetrine vengono smontate e non più ricollocate e il
materiale collocato in scaffalature sistemate tra i pilastri di un grande
vano già sede della tipografia militare.
Non molto tempo dopo, i locali vengono sgomberati per riadibirli
a tipografia e il materiale trasportato in un padiglione della Fiera
Campionaria di Tripoli, inidoneo a contenerlo.
Per questo, adeguatamente imballato, viene riportato al Castello,
collocato in vani inaccessibili dentro robuste casse anche per proteggerlo
da eventuali attacchi bellici. Finita la guerra, nel 1948 alcune suppellettili
del Forte furono utilizzatE da ufficiali inglesi per essere esposti in un
piccolo museo archeologico e il resto del materiale insieme ad altri
reperti fu collocato in una vasta sala che si affaccia sul lato ovest della
veranda del Cortile Caramanli, dove rimase fino al 1954 quando fu
trasferito in un vano in prossimità del Cortiletto Spagnolo.
107
Sulla storia del primo museo archeologico di Tripoli si vedano: Bartoccini R., Guida del Museo di
Tripoli, Tripoli s.d.; Al Nems – Abu Hamed 1977: Al Nems M- Abu Hamed M., Guida del Museo
Archeologico (al Saray Al Hamra) di Tripoli, Tripoli 1977, pp. 33-41.
108
Aurigemma 1958, p. 15.
62
E’ ovvio che in tutti questi spostamenti sia avvenuta qualche
confusione o dispersione che ha reso difficile la ricognizione del
materiale sulla base degli appunti del 1912 e delle fotografie eseguite a
suo tempo. Nonostante ciò si è giunti a una descrizione abbastanza
soddisfacente del sepolcro.
Descrizione delle tombe109
Tomba n. 1
E’ una tomba a camera e a pianta rettangolare, scoperta nel
Cinquecento quando furono alzati i muri del forte. Essa venne rovistata
e poi riempita di terra.
Tomba n. 2
Fu tra le prime tombe110
venute alla luce da un pozzetto o
dromos scavato nell’arenaria si accedeva, attraverso una porta larga m
0,73 e alta m 0,64 a un vano, interamente ricavato nella roccia, a pianta
rettangolare, delle dimensioni di m 3,24 x m 2,86. Tre gradini portavano
alla camera funeraria; ai piedi della gradinata era scavata una fossa di
m 1,30 x 0,59 e profonda m 0.42. Le pareti, non proprio a filo,
presentano delle sporgenze.
Il tetto non è orizzontale ma a schiena d’asino.
Nella parete est, opposta all’ingresso, vi sono due nicchie ad arco e
altre due rettangolari si trovano nella parete nord, a sinistra entrando.
Le nicchie dovevano servire per collocarvi i vasi con le ceneri dei
defunti, i corredi e le offerte ai defunti.
109
Sulla descrizione della necropoli e le sue tombe si vedano: Aurigemma 1958, pp.19-63, pianta
generale della necropoli a p.36; Al Nems – Abu Hamed 1978, pp. 35-45; Romanelli 1916, pp. 364.
110
Aurigemma 1958, p. 19, fig. n. 2, p. 20.
63
La tomba, ubicata nelle immediate vicinanze del muro di
fondazione del forte, fu certamente scoperta nel Cinquecento durante la
sua costruzione e in quella occasione furono rimosse e disperse le
suppellettili. Ne è prova la mancanza della lastra d’arenaria che dal
pozzetto chiudeva l’ accesso alla tomba, la presenza di terra penetrata
nella camera funebre dopo l’individuazione della tomba e la presenza di
un foro praticato nella parete rocciosa, nello spigolo nord-ovest da cui
si penetrò in una tomba attigua, la n. 3, anch’essa spogliata di ogni
suppellettile.
Tomba n. 3
Una volta individuata si scoprì l’accesso alla tomba anche dal
suo antico pozzetto. Il vano, ricavato come sempre dalla roccia
arenaria, è a pianta111
rozzamente rettangolare di dimensioni m 3,10 x
m 2,60. Anche queste pareti presentano sporgenze ed il tetto si incurva a
volta. Anche qui, ai piedi dei tre gradini che portano alla camera
funeraria, vi è una fossa rettangolare di disimpegno, fornita di un
gradino. Una lastra di arenaria, ancora in situ chiudeva la porta.
Anch’essa, come la precedente, fu rovistata, ma ci sono chiari segni che
vi era stato praticato il doppio rito della inumazione e della cremazione.
Un defunto era stato deposto sul ripiano lungo la parete nord e un
altro lungo la parete est, dove furono raccolti frammenti di una cassetta
di piombo con ossa bruciate. Sul ripiano sud furono raccolti un
melograno in gesso, frammenti di ciotole e una piccola ampolla di
terracotta.
111
Aurigemma 1958, p. 19, fig. n. 3, p. 21.
64
Tomba n. 4
La tomba n. 4112
fu scoperta, insieme alle prime tre, il primo
maggio 1912, durante il lavori di scavo per la posa dei binari, prima che
fosse avvertita la Sovraintendenza agli scavi e fosse stabilito un servizio
di guardia al fine di evitare qualsiasi manomissione.
La tomba a differenza della 2 e 3 ha il pozzetto d’accesso a levante
e non a ponente della camera funeraria. La lastra di arenaria che
fungeva da chiusura alla tomba era applicata direttamente alla bocca dell’
apertura di ingresso.
L’interno appare lavorato con regolarità, le pareti, il ripiano e la
volta, leggermente arcuata, sono rifiniti a piccoli colpi di scalpello. La
pianta, sempre rettangolare, misura m 2,20 x m 1,95 , alta m 0,95. I
gradini della fossa di disimpegno sono due.
Anche questa, che doveva contenere molte anfore, vasi e cassette
di piombo fu manomessa e molti arredi asportati. Si è trovata solo una
grande quantità di ossa combuste sparse per tutto il ripiano di fondo.
Tomba n. 5
Alla tomba n. 5113
si accede da un pozzetto che serviva di accesso
anche alla tomba n. 11. La camera funeraria ha una forma quasi quadrata
di m 2,09 x m 2,06, alta m 0,90. Alla fossa di disimpegno si scende da un
solo scalino di m 0,35. La lastra di chiusura misurava m 0,51 x m 0,51
con un spessore di 12 cm. Anche questa è stata sicuramente manomessa;
è comunque stata recuperata una grande anfora di forma all’incirca
cilindrica, alta m 0,99, e terminante a punta. Sulla spalla vi era dipinto in
rosso un numero e un nome di incerta lettura.
112
Aurigemma 1958, p. 21, fig. n. 4, p. 22.
113
Aurigemma 1958, p.24, fig. n. 5, p. 24.
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Tesi di dottorato_studio_storico-_archeologico_dei_siti_di_

  • 1. 1 Università degli Studi di Macerata Dottorato di Ricerca (ciclo XXV) in “Archeologia Romana nel Maghreb e in Cirenaica”. Tesi di Dottorato Studio storico-archeologico dei siti di epoca romana e bizantina nel territorio di Tripoli (Oea) Relatori: Prof. Emerito Antonino Di Vita Prof. Nicola Bonacasa Dottorando: Mohamed Faraj El Faloos
  • 2. 2 Al mio maestro professore Antonino Di Vita, che dedicando tutto se stesso alla Libia, da lui amata come una seconda terra, ha aperto tanti occhi alla bellezza.
  • 3. 3 Ringraziamenti Per l'elaborazione di questa ricerca basata essenzialmente sulla documentazione storiche e sull'esperienza diretta, mi sono giovato della dotta e amichevole e cooperazione di numerosi studiosi e conoscitore del territtorio Libico. Percio' intendo esprimere il mio senso di profonda gratitudine: al Professor Antonino di Vita, cui devo l'ispirazione di questa ricerca; al Professor Nicola Bonacasa che mi ha seguito e incoraggiato dopo la scomparsa del caro Antonino, non posso dimenticare la prof.ssa Maria Antonietta Rizzo per la sua gentile collaborazione alla correzione e redazione di questa ricerca, tutti i membri della commissione del dottorato che mi sono stati vicini durante il periodo della guerra che ha colpito il mio paese. Un grazie al dott. Arch. Khalil Abdel Hadi per avermi sostenuto durante la ricerca fornendomi suggermenti e matteriale prezioso, grazie anche alla dottoresse Norma Bruna Alba e Lucia Alba per il loro aiuto. Ringrazio anche tutti i colleghi del Dipartimento alle Antichità per il loro sostegno, in particolare dott. Mustafa Al Turjman, dott.ssa Weam Sasi e il dott. Ramadan Al Shibani, Karima Jubran per avermi aiutato nella raccolta del matteriale storico.
  • 4. 4 Indice Premessa p. 4 Introduzione p. 5 Capitolo I Inquadramento storico-geografico della Libia p. 11 Capitolo II Le necropoli della Tripolitania p. 31 1 - Necropoli fenicio-puniche p. 31 2 - Necropoli punico-romane p. 34 3 - Necropoli tardo-romane p. 35 4 - Necropoli cristiane p. 35 Capitolo III Le necropoli di Tripoli La necropoli di Gargaresc p. 37 L’ipogeo di Adamo ed Eva p. 37 - La scoperta p. 37 - Descrizione del complesso p. 38 - I materiali P. 50- Celebrazione e significato sociale del refrigerium p. 50 La necropoli di Forte (o Torre) della Vita p. 54 - La scoperta p. 54 - Descrizione delle tombe p. 59 - Tipologia delle tombe p. 72 - I corredi p. 74 - Il rito funerario p. 75 - La cronologia p. 78
  • 5. 5 La necropoli di Bab Ben Ghashir p. 80 - La scoperta - Descrizione delle tombe p. 80 Rinvenimenti nella zona di Gurgi p. 83 La necropoli di Tariq Al Shat (lungo mare ) – Busetta p. 89 Le necropoli di recente scoperta La necropoli bizantina nell’area della Scuola d’arte e mestieri p. 91 - La scoperta p. 91 - Tipologia delle tombe p. 92 - I materiali p. 94 - La cronologia p. 94 La tomba di Ghiran - La scoperta p. 96 - Tipologia p. 96 - La cronologia p. 97 Capitolo IV Le fornaci La fornace di Hay Al Andalus p. 98 - La scoperta p. 98 - Descrizione delle strutture p. 98- L’officina p. 100 La fornace di Sidi Abdel Jalil p. 101 - La scoperta p. 101 - Descrizione delle strutture p. 101 - Altre scoperte nel sito p. 103
  • 6. 6 - La cronologia p. 103 Capitolo V La tomba dei fedeli di Mitra (o di Aelia Arisuth) p. 104 - La scoperta p. 104 - Tipologia della tomba e descrizione delle pitture p. 105 Capitolo VI L'arco di Marco Aurelio e il tempio al Genio della Colonia p. 115 - Le vicende della scoperta p. 115 - L’arco: il modello architettonico p. 119 - Il tempio al Genio della Colonia p. 126 - Sistemazione dell’area e restauri Capitolo VII Conclusioni p. 135 Capitolo VIII Catalogo delle fotografie storiche presenti nell’Archivio p. 145 del Dipartimento alle Antichità B) Catalogo dei disegni e rilievi storici presenti nell’Archivio p. 177 del Dipartimento alle Antichità BIBLIOGRAFIA p. 261
  • 7. 7 Premessa Lo spunto per la presente ricerca mi fu suggerito dal nostro compianto Maestro Antonino Di Vita, che ha lavorato in Libia dagli inizi degli anni ‘60 del secolo scorso (tra il 1962 e il 1965 fu Adviser per le antichità della Tripolitania) fino alla sua scomparsa avvenuta alla fine di ottobre del 2011. Certamente il professor Di Vita era uno dei pochi archeologi di grande esperienza che conosceva perfettamente tutte le vicende archeologiche di questo territorio. Infatti a lui va il merito di tante scoperte eccezionali, oltre allo studio e al restauro di tanti siti sia a Sabratha che a Leptis Magna e nella stessa Tripoli. Basterebbe citare il restauro dell’Arco Settimio Severo1 a Leptis Magna, il restauro e l’anastilosi del Mausoleo punico-ellenistico B di Sabratha, e il restauro dell’area sacro-funeraria a cielo aperto di Sidret el Balik2 sempre a Sabratha. 1 Su questo argomento si vedano, Di Vita A. , La ricostruzione dell'arco dei Severi a Leptis Magna, in Quaderni di ArcheologiaLib. 7, 1974, pp.12-13. 2 A tale proposito si vedano: Di Vita A. ., L'area sacro-funeraria di Sidret el Balik a Sabratha, in Rend. Pont. Acc. LIII-LIV (1981-82), 1984, pp. 271-282 (e si veda anche Sabratha, in E.A.A. II, Suppl. V, 1997, pp. 47-52). Di Vita A. - L. Brecciaroli Taborelli L., Le necropoli di Sabratha, in Annali Fac. Lettere Macerata, pp. 11-42 e Di Vita A., L’ipogeo di Adamo ed Eva a Gargaresh , in Atti del IX Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Roma 1975, 2, Città del Vaticano 1978, pp. 199- 256.
  • 8. 8 Introduzione L’idea iniziale di questa ricerca era quella di creare una carta archeologica che includesse tutti i siti risalenti all’epoca romano- bizantina presenti nella città di Tripoli e del suo territorio. Nel portare avanti il lavoro decidemmo insieme di allargare la ricerca alla catalogazione di tutta la documentazione storica presente negli archivi del Dipartimento alle Antichità di Tripoli, a suo tempo raccolta dagli studiosi italiani durante la prima metà del secolo scorso. Purtroppo, tale materiale solo in parte qui presentato, era rimasto inedito, quasi dimenticato e lasciato all’ incuria del tempo per quasi un secolo, senza nessuna attenzione o interesse da parte delle autorità preposte alla sua salvaguardia Per questo ritenni utile procedere innanzitutto alla catalogazione e organizzazione di tale materiale. Il problema più grosso da affrontare era quello di mettere in relazione i disegni e le fotografie, trovati negli archivi e identificati, con una precisa collocazione topografica, visto che la maggior parte dei siti erano stati cancellati per sempre dal frenetico sviluppo urbano della città di Tripoli. Ma nonostante queste oggettive difficoltà, pur con l’aiuto del compianto professor Di Vita e pur rileggendo attentamente tutte la documentazione e le vecchie pubblicazioni dell’epoca, sono riuscito a individuare e collocare sulla carta topografica soltanto alcuni di tali siti. Certamente, le vecchie pubblicazioni hanno avuto un ruolo importante nella contestualizzazione dei siti oggetto di questa ricerca; grazie alla presenza della vecchia biblioteca (italiana), sita nella sede del Dipartimento alle Antichità, creata dagli studiosi italiani negli anni ‘30, sono riuscito a scoprire libri e riviste di inestimabile valore storico e archeologico, che mi hanno permesso non solo di scoprire la collocazione
  • 9. 9 esatta di molti siti, che finora erano sconosciuti, ma anche di poter individuare molti corredi funerari allora scavati, e finora completamente dimenticati nei magazzini del Dipartimento alle Antichità, o abbandonati visto che non era possibile risalire alla loro provenienza. Con questa ricerca ho potuto ricollocare in una carta molti siti ed ho potuto ricontestualizzare molti dei corredi funerari. Inoltre, è stato possibile arrivare alla creazione di un data-base comprendente tutti i dati, i rilievi e le fotografie storiche riguardanti sia lo scavo, che i contesti dei materiali rinvenutivi e le loro tipologie. Nel corso del lavoro è emerso che gran parte del materiale archeologico risulta abbastanza ben conservato anche se era stato abbandonato per decenni nei magazzini, dal momento gli archeologi che dalla fine dell’’800 si sono occupati in modo sistematico dello studio del patrimonio monumentale greco–romano, hanno rivolto la loro attenzione principalmente alle grandi città e agli edifici di carattere religioso e civile, e solo marginalmente si sono occupati delle necropoli e dei materiali ceramici. Pertanto, una buona parte di tali siti non è stata mai oggetto di studi specifici trattandosi di tipologie architettoniche cosiddette “minori” spesso sottovalutate, rispetto alle grandi creazioni dell’architettura civile o sacra. L’area presa in esame è molto vasta e comprende diverse tipolologie di edifici sparsi in tutto in territorio dell’antica Oea: oltre al ben noto arco di marco Aurelio, sono venuti alla luce in scavi per lo più occasionali, fornaci, tratti di abitato, residenze con vari apprestamenti, quali frantoi, condotte idriche, cisterne, ma soprattutto tombe di diverse età e tipologie, spesso decorate con interessanti affreschi, etc. La nostra attenzione si è concentrata, in particolare, sulla tipologia delle necropoli e degli edifici civili. La scelta è stata determinata dalla possibilità di poter contribuire, in senso critico, ad ampliare le nostre
  • 10. 10 conoscenze sulla città, includendo siti finora totalmente sconosciuti agli studiosi: città che si è sviluppata, soprattutto dopo Zama e dopo che le città di Tripolitania, libere atque immunes, divennero dei ricchi empori. Ha contribuito a questa ricerca il fatto che l’archivio del Dipartimento ci ha concesso l’accesso a moltissimi disegni e rilievi inediti e a fotografie finora sconosciute agli studiosi di archeologia che operano in Libia I rilievi completi e i disegni particolareggiati di molte tombe appartenenti a necropoli scoperte negli anni ‘30, ci hanno permesso dunque di restituire un panorama preciso delle numerose necropoli che un tempo circondavano la città e che sono state fagocitate dallo sviluppo urbanistico della Tripoli moderna. In modo particolare il nostro studio ha interessato le necropoli situate lungo le coste della Tripolitania, che delimitano a Nord il territorio di Tripoli. Come è noto, le vie per il trasporto delle merci attraverso la Libia lungo le coste del Mediterraneo e attraverso le vie carovaniere dal dal fondo del deserto risalivano al Mediterraneo erano ben conosciute e ampiamente praticate da età molto antica, almeno dall’VIII-VII sec. a.C., e forse prima. E queste direttrici da sempre utilizzate per i traffici commerciali furono frequentate da mercanti diretti verso tutti i paesi che si affacciano sul Mediteraneo (Vicino Oriente, Anatolia, Cipro, Grecia, Italia, Iberia) 3 . Per dare ospitalità, rifugio e protezione a questi commercianti, furono dunque incrementate, e spesso costruite ex novo, una serie di approdi, poi “stazioni”, e alla fine veri e propri insediamenti, in alcuni casi anche assai imponenti, il cui elemento principale era costituito dal porto, all’interno 3 Su questo tema si vedano:Aldwyb M, Traduzione del Libro XVII di Strabone, Benghazi 1992, p. 112.; di Antonino è Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti che venne iniziato nel 217 d.C. Venne stampato per la prima volta nel 1521 e, dopo molte ristampe, è attuale ancora oggi.
  • 11. 11 del quale trovavano posto altre infrastrutture, quali magazzini, posti di ristoro e di soggiono, terme, latrine, stalle per gli animali da trasporto e fiere, ecc. La realtà archeologica oggetto di questo studio, limitata come già detto però al periodo romano e bizantino, risulta di grande interesse proprio per la complessità delle tematiche storiche che sottintendono. Lo studio della necropoli di Gargaresh ad esempio ci ha permesso di evidenziare i problemi relativi all’origine e alla diffusione dei modelli architettonici qui adottati, attraverso un’attenta rilettura dei dati storici poco noti, e di proporre una soluzione al dibattuto inquadramento cronologico di Oea, città peraltro conosciuta pochissimo4 . Inoltre, é stata eseguita anche un’attenta analisi topografica che ha sollevato una serie di questioni, soprattutto quale fosse la struttura dell’impianto urbano originario dell’antica Oea, attuale Tripoli, e del suo porto. Le fonti storiche arabe, unitamente alle descrizioni che si devono agli storici e ai viaggiatori occidentali5 che hanno visitato la città nei secoli passati, costituiscono un documento importante per lo studio di alcuni monumenti, quali l'Arco di Marco Aurelio o le necropoli del Faro e della Torre della Vite, e per la ricostruzione della loro vita. Il rilievo della tomba dei fedeli di Mitra ha consentito di acquisire elementi utili per un confronto con altre strutture analoghe, precedenti o coeve, presenti nella regione tripolitana, permettendo di dimostrare, previa verifica del materiale utilizzato e le tecniche edilizie adottate, che le analogie tipologiche e strutturali sono il frutto di tendenze culturali diffuse in questa area dell’Africa settentrionale; e lo studio dei corredi in 4 Sulla nascità della città si vedano: Al Nems ed Abu Hamed 1975, pp. 9-32; Indisha A., Storia politica e economica della Tripolitania, Tripoli 1993, pp.13-125.
  • 12. 12 essa rinvenuti ha permesso una più puntuale collocazione cronologica del monumento.
  • 13. 13 Mappa Geografica della Libia (Istituto Geografico di Firenze)
  • 14. 14 CAPITOLO I INQUADRAMENTO STORICO- GEOGRAFICO DELLA LIBIA L’ Africa settentrionale per le sue caratteristiche fisiche etnografiche e storiche si presenta quasi come un’ isola, ed i suoi confini la racchiudono in un territorio a se stante isolato da una parte dall’Atlantico e dal Mediterraneo dall’altra dalla vasta zona della Grande Sirte e dal predeserto, non adatti alla coltivazione, terminando a sud con le steppe e le oasi del deserto 6 . La popolazione di questo vasto territorio forma etnograficamente una grande famiglia che si distingue nettamente dalle del sud e dagli indigeni dell’Egitto, anche se con questi ultimi ha forse avuto un tempo una comunanza d’origine. Ma mai questa popolazione, incalzata da Neri, Egiziani, Fenici, Greci, Romani, Arabi, Turchi, arrivò a un vero sviluppo politico ed a una piena civiltà7 . La conformazione geografica8 , la mancanza di un unico grande centro, le varie vicende politiche e sociali contribuirono a determinare una grande varietà di condizioni nei destini di quei paesi9 . Neanche ai tempi della potente Cartagine10 fu raggiunta una vera unità . Nonostante ciò, questi paesi dell’Africa settentrionale hanno 6 Colella 1912, pp. 5; Despois 1935, pp. 9-13. 7 Romanelli 1930, pp. 9-16. 8 Sulla conformazione geografica della Libia si vedano: Colella 1912, pp. 5-6; Despois J., Le Djebel Nefousa ( Tripolitaine), Paris 1935; Al Nems ed Abu Hamed 1975, pp. 9-10. 9 Colella 1912, p. 5. 10 Su questo tema si vedano: Colella 1912, pp. 6-7; Al Nems ed Abu Hamed 1975, pp. 11-16; Luigi L., La Grande Insurrezione Libica contro Cartagine del 241–237 a.C.: una storia politica e militare, Roma 1995; Bath T., Hannibal's Campaigns,. New York,1981; Shelby B., Late Carthaginian Child Sacrifice and sacrificial Monuments in their Mediterranean Context,. Sheffield 1991; G. et C. Picard, La vie quotidienne à Carthage au temps d'Hannibal, Paris 1958; Beschaouch A. , La légende de Carthage, Paris 1993; Carthage: uncovering the Mysteries and Splendors of Ancient Tunisia; Di Stefano, G., Cartagine romana e tardoantica, Pisa-Roma 2009.
  • 15. 15 richiamato l’attenzione degli storici e dei geografi fin dall’età antica, per cui possiamo seguirne le vicende per circa 2500 anni, puntando la nostra attenzione sul tratto di territorio che si estende fra l’ Egitto e la moderna Tunisia, quel territorio che tuttora indichiamo come Cirenaica e Tripolitania11 . Per la sua speciale posizione questo paese subì alternativamente l’influenza egiziana, fenicia, cartaginese, greca, romana, bizantina, araba, oltre a quella delle tribù indigene del deserto e a quella dei conquistatori provenienti dal mare. La Libia prima dei Greci e dei Romani Le notizie più antiche dei paesi e delle popolazioni delle coste settentrionali del continente africano, ad eccezione di scarsi documenti egiziani, ci vengono dagli scrittori greci e latini. La distruzione di Cartagine non ci consente di avere notizie di fonte fenicia. Sulle popolazioni della Libia, di quel territorio oggi indicato col nome di Tripolitania - regione compresa fra il mare e il deserto, composta da paesi molto diversi, separati da solitudini disabitate e addirittura non abitabili, si hanno notizie molto vaghe, specie per le epoche più remote. Nei monumenti egiziani della XVIII dinastia ricorrono spesso i nomi dei Lebou o Libou, insieme con quelli dei Thenu o Tamehu, denominazioni che indicavano piuttosto vagamente le popolazioni della costa settentrionale poste a Occidente dell’Egitto e pare che questi nomi rappresentino i Libii dei geografi e degli storici greci12 . 11 Su questo i monumenti di questo territorio si vedano : Romanelli 1930, pp. 1-109. 12 Boardmann J., I greci sui mari. Traffici e colonie, Firenze, 1986; Bonacasa N., Topografia e urbanistica, pp. 37- 49, in Bonacasa N – Ensoli S, Cirene, Milano 2000;Calame C:, Mithe, récit épique et histoire: le récit hérodotéen de la fondation de Cyrène, pp. 105-125, in Métamorphoses du mythe en
  • 16. 16 I Thenu e i Lebu appaiono come due popoli distinti. I primi più vicini all’Egitto e i secondi più a occidente. I Libou, gli uomini dell’Occidente, sono raffigurati con la pelle bianca, gli occhi azzurri, la barba e i capelli castani o biondi. Hanno i capelli ricci e la testa coperta da un copricapo simile a quello di alcune popolazioni odierne del Rif, alcuni adornati da due piume di struzzo. Portano un vestito aperto per tutta la lunghezza sul lato sinistro e annodato sulla spalla. Le braccia e le gambe sono ornate di tatuaggi e sono rappresentati come portanti doni ai Faraoni. Da queste figure e dalle poche notizie degli autori antichi, specialmente di Erodoto, si può dedurre che i Libou avessero raggiunto un certo grado di civiltà e avessero relazioni commerciali e politiche con altri popoli. Secondo l’Aurigemma13 la civiltà era affine a quella dei popoli dell’altra sponda del Mediterraneo e le relazioni dovevano svolgersi con gli stessi popoli delle isole mediterranee e dell’Europa meridionale. I Libou portano al Faraone gli stessi doni che nelle stesse pitture della XVIII dinastia sono recati dai Keftiu ( i Cretesi). Tali doni non appaiono come tributi di popoli vinti ma piuttosto come offerte di mercanti ai sovrani dei paesi con i quali si intendeva commerciare. Le conoscenze sui Libii e sulla civiltà libica si riducono a ben poche cose. Bart, Haimann e altri citano i recinti libici, ma di essi abbiamo solo poco più delle notizie e qualche diretta visione. E’ Grèce antique, Genève 1988; F. Chamoux F., Cyrène sous la monarchie des Battiades, Paris 1953; Ferrabino A., Ancora Cirene mitica, in Atti della Real Accademia di Torino, XLIX, Torino 1914; Laronde A., Cyrène et la Libye hellénistique. Libykai historiai de l’epoque républicaine au principat d’Auguste, Paris 1987; Pasquali G., Ancora Cirene mitica, Studi italiani di Archeologia classica 1915;Pugliese Carratelli G., Cirenaica, pp. 25-32, in Quaderni di archeologia della Libia. Cirene e i Libi, n.12, Roma 1976; Stucchi S., Prime tracce tardo-minoiche a Cirene: i rapporti della Libya con il mondo egeo, in Quaderni di Archeologia della Libia, V, Roma 1967; Stucchi S., Aspetti della precolonizzazione a Cirene, pp. 341-347, in Le origini dei greci. Dori e mondo egeo, a cura di D. Musti, Roma-Bari 1985. 13 Aurigemma 1943, pp.22.
  • 17. 17 comunque probabile che le regioni libiche siano state sede di una florida civiltà. La lingua libica era distinta dalle lingue semitiche14 , anche se aveva con esse tratti di somiglianza. I Libii avevano anche una scrittura ben diversa da quella egiziana. Le origini dei Libii La stirpe libica è antichissima, come dimostra la pietra lavorata nel Sahara e a nord dell’Atlante. Il suolo del Sahara racchiude una quantità immensa di punte di frecce in selce e utensili atti alla loro lavorazione, prova di frequentazione da parte di una popolazione numerosa che trovava in questi luoghi, che oggi sembrano destinati a una eterna sterilità, un clima favorevole alla vita15 . Dalle poche notizie che abbiamo si deduce che questi popoli avessero tratti facciali e colorazione della pelle, su per giù, come quelli degli abitanti dell’Europa meridionale. A Roma un libico non si distingueva facilmente da un romano. Le notizie delle fonti greche Erodoto16 circa 2500 anni fa usava il nome Libia in senso molto generico indicando tutta la regione situata tra l’Egitto e l’Oceano Atlantico. Egli conosceva il deserto libico e le sue oasi. Enumera diverse tribù libiche: gli Adimarchidi, i Giligammi che abitano a occidente, gli 14 Colella 1912, p.9. 15 Despois 1935, pp. 137. 16 Luciano Canfora, Erodoto, Tucidide, Senofonte. Letture critiche, Milano, 1975; Calame 1988, p.66; Pugliese 1976, p.25.
  • 18. 18 Asbiti che abitano nell’interno sopra Cirene, gli Auschisi al disopra di Barka e che si estendono fino agli Euesperidi. Nello stesso territorio si trovano i Cabali, i Nasamoni, gli Psilli. A Sud e nell’interno dei Nasamoni, in un territorio pieno di animali feroci stanno i Garamanti. Presso i Garamanti vi erano i Maci, i Gindani, i Lotofagi, gli Ausii. Al Nord si trovano i Macsi, gli Zauesi e i Ziganti. Oltre questa regione Erodoto sa poco; ha sentito raccontare che i Garamanti confinano con i Trogloditi dell’Etiopia e con gli Ataranti. Distingue le tribù in nomadi, stanziali o agricole. Le conoscenze sulle terre e sui popoli dell’Africa si amplieranno quando i Romani si spingeranno nell’interno e oltrepasseranno i limiti dello stesso deserto. La Libia e la civiltà minoica Nelle indagini storiche e archeologiche a proposito della Libia e dei suoi più antichi abitatori è di massima importanza il problema dei rapporti tra la civiltà dei paesi della Libia e la civiltà minoica e micenea17 , che ebbe la sua culla più antica nella isola di Creta, al centro del Mediterraneo e ugualmente distante dall’Africa, dall’Europa e dall’Asia. Le scoperte archeologiche e preistoriche potranno aprire la via alla soluzione delle origini della civiltà minoica. La teoria dell’origine indoeuropea di questa civiltà, che fioriva circa duemila anni avanti Cristo è stata assolutamente scartata. Storici, archeologi e antropologi si sono chiesti se il fulcro della diffusione di questa civiltà non possa essere stata l’Africa. 17 Calame 1988, pp. 105-125, in Métamorphoses du mythe en Grèce antique, Genève 1988; Chamoux 1953, pp.87-101; Ferrabino 1914, pp.55-61; Laronde 1987, pp. 44-56; Pasquali G., 1915, pp. 33- 46;Pugliese Carratelli, 1976, pp. 25-32;Stucchi 1967, pp.12-24; Stucchi 1985,341-347.
  • 19. 19 Evans e Mackenzie hanno supposto che gli Eteocretesi fossero una popolazione venuta dal Sud e precisamente dalla Cirenaica18 . A ogni modo è certo che fra i Cretesi e i Libici della Cirenaica ci fossero relazioni antichissime di carattere almeno commerciale. I primi stanziamenti fenici in Africa Pare che le popolazioni semitiche dell’ Asia abbiano avuto relazioni commerciali con gli abitanti delle coste della Libia e, dopo l’invasione dei Re pastori in Egitto, alcune tribù cananee avrebbero popolato le coste della grande e piccola Sirte. In epoche meno remote cominciarono estesi stanziamenti fenici19 sulle coste settentrionali dell’Africa. La grande immigrazione rese fenicia una gran parte dell’Africa settentrionale, così come poi nel Medio Evo la stessa divenne araba. I Fenici sottrassero agli indigeni la parte migliore del litorale settentrionale che offriva ampi sbocchi al commercio. Il più antico insediamento fenicio fu Utica, a cui seguirono Leptis20 ( Khoms), Oea ( Tripoli ), Sabratha, Cartagine e molte altri. Così i Fenici contesero una gran parte dell’Africa settentrionale all’influenza della civiltà greca. La Sirte maggiore segnò la separazione linguistica e politica dei due territori: a Est la Pentapoli di Cirene appartenne alla cultura greca e a ovest Leptis Magna divenne e rimase fenicia. Passeranno molti secoli prima che la potenza fenicia di Cartagine ceda il dominio del mare Mediterraneo alla potenza di Roma. Ma i Greci 18 Colella 1912, pp. 17-21; 19 Sui Fenici in Libia si vedano: De Miro E, Polito A., Leptis Magna (Dieci anni di scavi archeologici nell'area del Foro Vecchio, livelli fenici, punici e romani), in Quaderni di Archeologia della Libia 19, 1991, (contiene una vasta bibliografia sul argomento); Aquaro E, Aubet M, Fantar M.H., Insediamenti Fenici e punici nel Mediteraneo occidentale, Roma 1993. 20 De Miro - Polito 1991.
  • 20. 20 avranno fondato in Cirene21 la sede più splendida dell’ ellenismo sulle coste dell’ Africa ettentrionale dopo Alessandria d’Egitto. Le colonie greche Sin da tempi remoti esistevano contatti tra le coste della Grecia e dell’ Africa del Nord, come dimostra il culto di Posidone e di Atena introdotto in Libia in tempi assai remoti, soprattutto sulla Sirte Minore, il luogo più ricco di acqua presso la foce del lago Tritone. L’isola di Creta, per la sua posizione, costituì un ponte fra la Grecia e le coste della Libia22 . I pescatori cretesi raccontavano delle fertili contrade di quella regione, chiamata poi Cirenaica dalla colonia greca di Cirene. Fu per questo che i Therei, gli abitanti dell’odierna isola di Santorini, allora Thera, pressati dalla forte immigrazione dei coloni del Taigete, nel secolo VIII a.C., spinti dall’oracolo, guidati da Batto Eufemide, andarono a fondare una nuova colonia nei lidi della Libia. Dopo essere sbarcati nella isoletta di Platea, nell’odierno golfo di Bomba, si fermarono sulla costa, poi si spinsero sull’altipiano dove gli stessi Libii indicarono loro una fontana di acqua perenne e fondarono la città di Cirene, dedicandola ad Apollo e dandole il nome della ninfa Cirene. La fontana scorre da millenni celata da un bosco di salici, e per questo gli Arabi la chiamarono Ain Sciahat, fontana del salice. La fondazione di Cirene La città fu costruita presso la sorgente, ritrovo naturale delle popolazioni del deserto e delle genti che abitavano sulla costa. In breve 21 Colella 1912, pp. 23-25. 22 Idem pp. 26-27.
  • 21. 21 tempo i loro regolari incontri diedero vita a un mercato stabile e poi ad una vera e propria città. Costruita sopra due alture, che dai terrazzi del predeserto degradano verso il mare, acquistò in breve tempo grandissima importanza. Il suolo assai fertile produceva importanti prodotti naturali il famoso dei quali era il silfio23 , un arbusto da cui si ricavava un succo molto ricercato in tutta la Grecia come medicinale e come condimento dei cibi. Dissecato e impastato il succo veniva imballato entro sacchi e spedito. In molte immagini di vasi greci si vedono i re di Cirene che personalmente sovraintendono alla pesatura, all’imballaggio e alla vendita del silfio. Il suo commercio era monopolio esclusivo della casa regnante dei Battiadi. Difficile oggi identificare la natura di questa pianta già scomparsa all’epoca di Nerone24 . Per lungo tempo la piccola schiera dei Therei costituì fra i Libii il nocciolo dello stanziamento ellenico, ma pian piano l’elemento libico s’infiltrò nella colonia e verso il 576 essa, vedendosi minacciata dal pericolo di essere sopraffatta dall’elemento indigeno e perdere a poco a poco il suo carattere ellenico, si rivolse nuovamente all’ oracolo delfico. L’oracolo invitò altre popolazioni greche a stabilirsi a Cirene. Così fu tra loro diviso un territorio di considerevole estensione: i Libii furono ricacciati verso il deserto, nel luogo dell’ approdo sorse il porto di Apollonia25 , il territorio della città fu allargato notevolmente e collegato con i paesi limitrofi26 . 23Riguardo la pianta del Silfium si vedano: Laronde A., Le silphium sur les mannaie de Cyrène, in Scritti di antichità in memoria di Sandro Stucchi, 1. La Cirenaica. La Grecia e l'Oriente mediterraneo, Roma 1996, pp. 157-168; Tatman J.L, Silphium, Silver and Strife: A History of Kyrenaika and Its Coinage, in Celator 14. pp. 6-24; Luni M., Iconografia del silfio e realtà botanica, in Quaderni di Archeologia della Libia XVI, 2002, pp.351-362. 24 Laronde 1996, p. 163; Luni 2000, p. 361. 25 Laronde A., Apollonia de Cyrénaïque et son histoire. Neuf ans de recherches de la Mission archéologique française en Libye, in CRAI 1985, pp. 93-115; Laronde A., Prêtres d'Apollon à Cyrène au Ier siècle ap. J.C., in L'Africa romana. Atti del IV Convegno di studio, Sassari, 12-14 dicembre 1986, Sassari 1987, pp. 469-484; Laronde A., Première reconnaissance de la route grecque entre Cyrène et son port, Apollonia, in LibyaAnt 15-16, 1978-79, (1987), pp. 187-198. 26 Colella 1912, pp. 26-34.
  • 22. 22 Cirene fu il punto di partenza di una serie di colonie greche, come Barca ed Esperide27 e così Cirene sotto i Battiadi estendendosi su ampli terreni coltivabili, diffuse la civiltà greca in un tratto assai esteso della costa africana. Fu questa la nuova era di Cirene, cominciata col regno di Batto II, soprannominato “Felice”, e proseguita con Arcesilas II. I Libii respinti nel deserto chiamarono in loro aiuto ( 570 a.C ) il re dell’Egitto Apries, ma il suo esercito fu completamente distrutto dal re Batto. I Battiadi da questo momento divennero una grande potenza da annoverare tra quelle elleniche. Amasis, successore di Apries, stabilì con loro pace e alleanza e sposò una giovane principessa greca di Cirene28 . Le altre città greche Raggiunta ben presto una grande floridezza, Cirene diede il nome a tutta la regione intorno: la Cirenaica. Respinse i Libii nel deserto, tenne fronte all’Egitto e diffuse ampiamente la cultura greca. Diede i natali al filosofo Aristippo, al poeta Callimaco, a Eratostene29 , astronomo e geografo. Oggi della città rimangono imponenti rovine: numerosi resti di templi, quattro teatri, lo stadio, moltissime colonne e grandi mura di cinta di circa cinque chilometri di perimetro, che limitavano una parte dell’altipiano. Dal lato della pianura la città terminava con alcuni altopiani che la separavano da profondi burroni. 27 Sulle città Greche in Libia si vedano: Laronde 1985 ; Laronde A.: Cités, ports et campagnes de la Cyrénaïque gréco-romaine, in RA 1994, pp. 166-169. 28 Colella 1912, p. 25. 29 Idem, p. 26
  • 23. 23 Ma la cosa che più spettacolare sono le vaste necropoli30 che per alcuni chilometri circondano a Ovest, Est e Sud la città dei vivi. In questo nessuna città greca può esserle paragonata31 . E’ evidente che i popoli vicini e specialmente gli Egiziani esercitarono sui Greci di Cirene una notevole influenza, soprattutto nell’adozione di riti funerari, ad esempio nella sostituzione del rito incineratorio con quello inumatorio, che comportava il seppellimento in tombe quasi sempre scavate nei cigli rocciosi32 . In quel ripido pendio si aprono a migliaia grotte sepolcrali e l’altopiano finisce con dieci o dodici terrazzi divisi in gradinate, aventi ciascuna la sua fila di tombe, alcune monumentali in stile quasi egiziano, altre ornate di sculture e ornate con facciate a colonne, derivate dall’architettura greca, e spesso arricchite da policromia. La maggior parte delle tombe presentano camere sotterranee ricavate nella roccia calcarea. Sorse così una vasta città sotterranea alla cui costruzione contribuì la facilità con cui potevano essere bucate quelle rupi in morbido calcare, utilizzata poi per secoli. Verso la metà del VI secolo i Cirenesi fondarono Barca che ben presto divenne tanto potente da superare Cirene nella supremazia sul distretto occidentale. Fu la prima delle cinque città per cui a quel paese fu dato il nome di pentapoli33 . Cirene, Apollonia, Barca, Euesperides (detta poi Berenice), la moderna Bengasi e Tauchira, oggi detta Tocra dagli Arabi, costituirono dopo l’anno 321, cioè dopo la fine dell’impero di Alessandro Magno, una confederazione dipendente solo in parte dai Tolomei di Egitto. Presso il luogo oggi chiamato Muktar, anticamente detto le are dei Fileni, montagne di pietre indicano il confine fra il 30 Sulle necropoli della Cirenaica si vedano: Cassels J., The Cemeteries of Cyrene, in PBSR 23, pp. 1- 43. 31 Colella 1912, p. 26. 32 Idem, pp. 26-27. 33 Ghesleri A., Tripolitania e Cirenaicadai piu remoti tempi fino al presente, in Emporium, Bergamo 1911, pp. 379-396; Costa G., Tripoli e Pentapoli, in Atene e Roma 1912, pp.2-40.
  • 24. 24 territorio di Bengasi, e quindi l’antica Cirenaica e la Tripolitania. Storici e archeologi ritengono che in quel punto avvenne l’incontro dei giovani corridori di Cirene e di Cartagine, che partiti nello stesso giorno dai propri paesi dovevano fissare il confine dei due stati, Cirenaica e Cartagine, nel punto in cuì si sarebbero incontrati. I fratelli Fileni, campioni di Cartagine con la frode percorsero un tratto più lungo, posti di fronte alla scelta di ripetere la gara o morire sul luogo, preferirono morire e furono sotterrati vivi sotto quello che poi sarà l’ara dei Fileni e che segnò il limite fra i due stati34 . La conquista romana La parte orientale della Libia, quella confinante con l’Egitto subì l’influsso della civiltà greca sia prima di Alessandro Magno, come abbiamo visto, sia dopo, durante l’età ellenistica e fino alla conquista dell’Egitto da parte dei Romani: in tutto questo periodo l’influenza dell’Ellenismo Alessandrino fu enorme. La costa occidentale della Libia, occupata da colonie fenicie aveva sentito maggiormente l’influenza di Cartagine, il cui territorio del resto si estendeva per circa 2000 chilometri, dal confine con la Numidia fino al confine con la Cirenaica. Questa differenza di condizioni proseguì anche durante il dominio romano che interessò la Tripolitania35 subito dopo la conquista del territorio cartaginese mentre la Cirenaica passò di fatto sotto il dominio romano molto più tardi, nell’86 a.C. Venti anni dopo nel 66 a.C. la Cirenaica e l’isola di Creta formavano 34 Strabone nel libro XVII descrive l'Africa (Egitto e Libia). Il moderno Arco dei Fileni costruito al confine fra Tripolitania e Cirenaica fu progettato dall' arch. Florestano Di Fausto ed eretto nel 1937 per volontà di Italo Balbo. 35 Sul questo argomento si vedqno: Right J., History of Libya, London 1967, pp.43-53; Al Nems- Abu Hamed 1975, pp:18-24.
  • 25. 25 un’unica provincia di Roma, mentre la Numidia, l’Africa proconsolare e la Sirtica ne formavano un’altra. Anche sotto il dominio romano il possesso della Tripolitania non poteva ritenersi al sicuro dalle incursioni delle bellicose e irrequiete tribù interne del deserto, le tribù dei Garamanti. La difesa del litorale riusciva difficile ai Romani anche per la mancanza di catene montuose che separassero la zona costiera dall’interno. Di qui la necessità di una serie di spedizioni militari verso l’interno, che si spinsero fino all’ oasi di Cydamus, l’odierna Ghadames36 e fino a Garama-Jerma37 nel Fezzan , conquistando diversi territori, con guerre feroci e crudeli. Qualche tempo dopo l’imperatore Settimio Severo, di origini leptitaniebbe una cura particolare per la sua provincia e concesse una più forte difesa militare contro i barbari dell’interno. Poco si sa delle guerre combattute ai tempi di Augusto. Il dominio romano si consolidò sotto l’impero di Claudio. Furono fondate numerose colonie e aperte molte strade che collegavano le città interne. Le tre città principali della Sirte, Leptis, Oea e Sabrata godettero di una certa autonomia amministrativa e Settimio Severo concesse ai suoi cittadini l’ esenzione dell’imposta fondiaria38 . La civiltà romana nella Libia Dalla caduta di Cartagine fino all’invasione dei Vandali, cioè dal 146 a.C. al 439 d.C., l’Africa settentrionale fu fortemente romanizzata . Dall’ Egitto alla Mauritania Roma fece di tutta la costa 36 Su questa città si vedanono: Cuneo P., The Italian Architectural Mission for the Islamic period ( Tripoli –Ghadames), in Lib. Ant. New Series II, 1996, pp.206-210; Micara L., Missione Italiana per Lo Studio Dei Monumenti Architettonici di Periodo Islamico, in Lib.Ant.new series III, 1997, pp.297-300. 37 Su Garama e la storia del Fezzan si vedano: Mattingly D.J., The Archaeology of Fazzan: Volume 1 (Synthesis, London, 2003; Mattingly D.J., The Libyan Desert: Natural Resources and Cultural Heritage. Society for Libyan Studies, London (2006) ; Mattingly D.J The Archaeology of Fazzan. Volume 3, Excavations carried out by C.M. Daniels. London, 2010. 38 Di Vita A., Leptis Storia e Monumenti (articolo non pubblicato).
  • 26. 26 mediterranea dell’Africa un grande emporio commerciale, un vasto granaio. Da Alessandria, Cirene, Leptis Magna, Hippona, Utica, Cirta, dalla stessa Cartagine risorta, essi si spingevano verso il grande deserto, lasciando dappertutto tracce di vita e monumenti, segno di una meravigliosa operosità39 . Della Cirenaica e di Creta, come già detto, Roma fece una sola provincia. Le antiche città greche rifiorirono. Meravigliosi monumenti le abbellirono; acquedotti e cisterne fornivano l’acqua alla popolazione; reti stradali, che ancora si conservano, rendevano facili le comunicazioni, inespugnabili fortezze difendevano queste vie contro le incursioni dei Libii40 . Nella Tripolitania il commercio si esercitava attraverso tre grandi strade una che andava da Tacape (Gabes) a Cydamus (Ghadames), una seconda da Oea (Tripoli) al Fezzan, la terza da Leptis Magna all’oasi del Tibesti, dove ancora sono visibili alcune pietre miliari41 . La prosperità di cui godette la parte coltivata dell’Africa settentrionale risulta evidentissima dalla ricchezza delle rovine delle sue numerose città che mostrano resti di bagni, teatri, archi di trionfo, splendide tombe, edifici pubbli e privati di ogni specie. La cultura nell’ epoca romana L’Africa settentrionale fu dunque completamente romanizzata, ma le popolazioni italiche mantennero sempre una certa diffidenza per le popolazioni di origine africana. Nonostante il contributo dato dall’Africa alla letteratura latina: Apuleio, Sant’Agostino, Marco Cornelio Frontone, 39 Liverani M. s.d., I Garamanti e l’inizio del comercio trans – sahariano (articolo non pubblicato) 40 Khushaim A.F. 1975, "Nusus Libya" Libyan Text ( From: Heroduts, Strabo, Plinius Secundus, Diodorus Siculus, Procopius of Caesareas and Leo Africanus), Università di Tripoli 1975. 41 Su questa tema si vedano: Yusha' B.Q., Wathiq Ghadames al Tijariyya( documenti commerciale di Ghadames), Tripoli 1995.
  • 27. 27 Gaio Sulpicio Apollinare, Tertulliano, nomi che attestano come la cultura romana fosse largamente diffusa nei paesi dell’Africa mediterranea. Nella storia del cristianesimo l’Africa occupa un posto di primo piano, tanto che all’inizio le traduzioni dall’ebraico al latino furono quasi esclusivamente eseguite da autoriafricani42 . L’ invasione e il dominio dei Vandali Le condizioni della Tripolitania e della Cirenaica cominciarono a decadere alla fine IV secolo d.C. con la divisione dell’impero romano in Impero d’ Oriente e Impero di Occidente. I barbari delle zone interne approfittando della debolezza dell’impero ne assalirono le frontiere. Nonostante questa rapida decadenza, l’Africa settentrionale continuava ad avere una grande importanza per il vettovagliamento dell’Italia43 . L’ Africa fu divisa in sei province. La Provincia Tripolitana44 giungeva fino al confine dell’Egitto. Le tribù nomadi dell’interno minacciavano però il ricco paese con le loro scorrerie. La stessa Leptis Magna fu interessata dalle incursioni della tribù libica degli Austuriani. Anche i barbari della sponda europea del Mediterraneo avevano cominciato a porre piede sulla costa dell’Africa settentrionale. Nel III secolo corsari franchi depredarono le coste, nel IV secolo numerosi barbari erano stati arruolati nelle legioni romane, a Ippona vi erano molti Goti. Se nel 409 e nel 416 fallirono i tentativi dei visigoti Alarico e Valia, nel 422 i Vandali saccheggiarono la costa della Mauritania ponendo piede per la prima volta nel continente africano45 . 42 Al Nems- Abu Hamed 1975, pp. 18-22. 43 Sui i questo argomento si vedano: Colella 1912, pp. 41-63; Al Nems- Abu Hamed 1975, pp. 23-24; Khushim 1975, pp.185-193. 44 Colella 1912, p. 41. 45 Colella 1912, pp. 41-63; Al Nems- Abu Hamed 1975, pp. 23-24;Khushim 1975, p. 185-187; Wright J., pp. 65-91.
  • 28. 28 La fondazione del regno dei Vandali Il re Genserico si impadronisce di Cartagine le cui ribellioni vengono ferocemente represse, e piomba su tutti i paesi litoranei con una forza devastatrice. Nel 430 Ippona fu assediata e durante l’assedio morì il vescovo di Ippona Sant’Agostino. La guerra proseguì con alterne vicende. Un trattato di pace assegnò a Genserico la Tingitana, le due Mauritanie, la Numidia orientale, parte della Bizacena e della provincia proconsolare. Qualche anno dopo si impadronì anche di Cartagine, che divenne la capitale del regno vandalico. Iniziò un periodo di devastazione e ferocia. Molti abitanti furono uccisi, teatri e templi distruttii. Intorno alla metà del 400 una pace coi Vandali ampliava i possedimenti di Genserico in Africa, anche se pare sicuro che il dominio dei Vandali non fosse arrivato a possedere anche la Tripolitania. Il saccheggio di Roma e le lotte per la conquista dell’Africa Nel V secolo Genserico occupò la Tripolitania. Molte furono le trattative tra i due Imperi d’Oriente e di Occidente e Genserico, finché gli imperatori non concordarono un’ impresa comune per rientrare in possesso dei territori conquistati da Genserico. L’ attacco combinato stava per riuscire, ma nell’agosto del 468 i Vandali riconquistarono tutte le posizioni perdute. Circa 60 anni dopo l’imperatore Giustiniano e Belisario riconquistarono tutta l’Africa settentrionale46 . 46 idem
  • 29. 29 La morte di Genserico. L’ambiente e la vita dei Vandali L’imperatore Zenone47 concluse la cosidetta pace perpetua che doveva far cessare le ostilità fra Bisanzio e il re dei Vandali, ma che implicitamente riconosceva lo stato dei Vandali. La morte di Genserico nel 477, dopo 38 anni di regno su Cartagine, segnò l’inizio del decadimento del regno vandalico. Stabilitisi in un paese dal clima molto caldo, i Vandali si lasciarono andare con facilità. Popolo sensuale si deliziavano dei piaceri della mensa, avevano grande cura del proprio corpo, vestivano ricchi abiti e passavano le giornate fra mille divertimenti, caccia, ballo, musica. Abitavano ville con giardini e parchi ricchi di fontane e alberi, dove si abbandonavano ai piaceri del sesso. La corruzione dei costumi in Africa era superiore a quella di tutte le altre province e della stessa Roma. Qui, come però anche a Roma si eleggeva un tribunus voluptatum (un tribuno dei piaceri). Fu proprio questa corruzione a determinare la rovina del regno vandalico48 . La decadenza del regno vandalico Subito dopo la morte di Genserico diminuisce di molto la forza bellicosa dei Vandali. Le popolazioni indigene dei Berberi o dei Mori, cacciati dapprima nel deserto, costretti ad una crudele sottomissione, quando non fuggivano, passavano all’ offensiva, assalendo i territori vandalici, alternando successi e sconfitte. Con il re Unerico queste guerre di frontiera ebbero una sosta con la conseguenza che i Mori dell’antica Mauritania, stabilitisi alle pendici della catena dell’Aurasio si resero indipendenti dai Vandali. Nel 523 i Vandali subirono una grave sconfitta a opera del principe dei mori Kabaon nella 47 Khushim 1975, pp.187-191. 48 Khushim 1975, pp.185-193.
  • 30. 30 Tripolitania. Questi, approfittando della paura che i cavalli avevano dei cammelli, dei quali non sopportavano la vista e l’odore, scoprì la linea di difesa collocando i suoi numerosi cammelli che impaurirono e fecero impennare i cavalli dei vandali che nella fuga delle sanguinose e terribili perdite da parte dei mori. Ormai la sorte del regno vandalico era segnata . Giustiniano dopo aver stipulato la pace con i persiani, affidò a Belisario l’impresa d’Africa49 . La caduta del regno dei Vandali e il dominio bizantino Poco dopo l’inizio delle ostilità, Tripoli veniva consegnata ai Bizantini. In Tripolitania non vi erano truppe vandaliche e fu abbastanza facile impadronirsi di questa importante regione. Nel giugno del 533 Belisario iniziava l’impresa in condizioni favorevoli, condotta con poche forze ma con grande abilità. Resosi impossibile l’attacco dell’Africa dalla costa greca, sbarcò in Sicilia e spinse poi la flotta verso la costa africana in un punto non lontano da Cartagine, quindi sbarcò e mentre l’esercito doveva muovere via terra verso Cartagine, la flotta navigava lungo costa accompagnando la marcia delle truppe. S’impadronì di Syllectum ( l’odierna Salletto) avanzò fino a 70 stadi da Cartagine dove ebbe luogo una grande battaglia e 140 stadi a Sud-Ovest da Cartagine, presso Tricameron ebbe luogo il combattimento decisivo che pose fine al regno di Genserico. Nel 534 Belisario, tornato a Cartagine, organizzò il territorio secondo il modello della provincia romana. Il regno dei Vandali era finito; questo popolo scomparve senza lasciare traccia del suo passaggio. 49 Procopio di Cesarea, La guerra persiana (VI secolo): Istoria delle guerre persiane e vandaliche (traduzione di Giuseppe Rossi), Milano 1833, I, cap. XII, p. 432; Khushim 1975, pp.188-189.
  • 31. 31 Il governo di Bisanzio Dalla caduta del regno dei Vandali nel 533 fino alla conquista araba l’Africa settentrionale dall’Egitto fino all’ oceano Atlantico rimase per più di cent’anni sotto il dominio bizantino, il quale non lasciò molta memoria nei paesi occupati50 . I berberi aborigeni molto numerosi occupavano una vasta porzione di territorio che si estendeva dall’Atlantico ai deserti della Libia, dal Mediterraneo al Sudan (o paese dei negri). Questi Berberi o Mori, che avevano combattuto con molta ostinazione tutte le colonie greche e la dominazione cartaginese e romana non lasciarono tranquilli neanche i Bizantini, senza però riuscire ad abbatterli. Divisi e nemici fra loro inconciliabili, diversi di religione, mal si contrapponevano all’ordinata amministrazione della ricca provincia bizantina, alla sua disciplina militare, alle flotte e alle sue fortezze. Tale era la forza di questo governo che all’inizio del VII secolo il governatore d’Africa, Eraclio, occupò il trono di Costantinopoli51 . Fu in questo periodo che l’Impero fu assalito dagli Arabi. Periodo decisivo per la storia e i destini dell’Africa settentrionale, in quanto segna l’inizio del dominio dell’Islam. Dal quel periodo, attraverso infinite vicende, si compie la trasformazione profonda dello spirito e della coscienza di quei popoli. 50 Khushiam 1975, pp. 173-176. 51 Su questo argomento si vedano: Romanelli P., Basiliche e battisteri di età bizantina in Tripolitania, in Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina, Ravenna 1966, pp. 425-432;Wrigt J., pp. 65-81; Al Nems-Abu Hamed 1975, pp.24-26.
  • 32. 32 La posizione dei siti archeologici trattati in queata ricerca.
  • 33. 33 CittaCoordinateSito archeologicoNo TripoliN 33 53 47.81 E 13 11 59.54 Tomba di Tariq al shat1 TripoliN 32 52 10.15 E 13 11 41.49 Necropoli di Bab ben Gisher2 TripoliN 32 52 58.52 E 13 10 17.99 Necropoli della Forte (o Torre) delle Vite 3 TripoliN 32 53 59.58 E 13 10 33.14 Arco di Marco Aurelio4 TripoliN 32 51 57.15 E 13 06 56.74 Sito di Gargaresc (Hai Al athar)5 TripoliN 32 52 36.53 E 13 08 30.61 Fornace di Hai Al andalus6 TripoliN 32 51 46.14 E 13 06 08.76 Tomba dei Fedeli di Mitra7 TripoliN 32 53 29.91 E 13 01 56.28 Necropoli bizantina nella Scuola di Arti e mestieri 8 TripoliN 32 50 47.74 E 13 03 26.36 Tomba di Ghiran9 TripoliN 32 50 37.60 E 13 01 29.16 Fornace di Sidi Abduljalil 10 Le cordinate dei siti trattate in questa ricerca.
  • 34. 34 CAPITOLO II LE NECROPOLI DELLA TRIPOLITANIA Nella fascia nord - ovest della Libia, corrispondente al territorio della Tripolitania ed in particolare nei dintorni di Tripoli, sono state scoperte decine e decine di necropoli risalenti a epoche e civiltà diverse. Il loro numero e la varietà dei manufatti ivi rinvenuti dimostrano che in questa zona si avvicendarono, per un lungo arco di tempo, diverse culture. Infatti sono proprio le svariate forme, le tipologie e la ricchezza delle decorazioni presenti nelle tombe attestate in queste necropoli che testimoniano lo straordinario sviluppo urbano, economico e sociale degli insediamenti della provincia romana. Le necropoli della Tripolitania presentano tombe dalle forme e caratteristiche tali che consentono di individuare precise tipologie e di ricollegarle alle diverse culture e alle diverse epoche in cui hanno avuto origine. Ed inoltre di studiare le modalità dei riti funerari. 1 - LE NECROPOLI FENICIO- PUNICHE I luoghi di sepoltura ascrivibili al periodo fenicio- punico sono in assoluto le necropoli più antiche presenti in Tripolitania. Esse risalgono al periodo che va dal IV secolo avanti Cristo fino alla prima metà del I secolo dopo Cristo52 . 52 Caputo 1977, pp. 119-124; Di Vita – Brecciaroli 1967, pp. 11-42; Di Vita 1967, pp. 121-142; Di Vita 1970-71, III-IV; Di Vita 1978 , pp. 199-256; Di Vita 1984, pp. 858-877, tavv. 140-146; Di Vita 1997, pp. 271-282 (e si veda anche Sabratha in E.A.A. II, Suppl. V, 1997, pp. 47-52).
  • 35. 35 Le tombe presenti in questo tipo di necropoli sono quasi esclusivamente tombe di famiglia costruite in modi differenti: si tratta di tombe sotterranee o in gran parte costruite o direttamente scavate nella roccia, poi intonacate e abbellite con pitture i cui cicli decorativi indicano chiaramente lo stato sociale ed economico del defunto. Di solito la tomba era composta da una camera generalmente quadrata, con il lato che poteva variare da uno a due metri, mentre la profondità poteva arrivare anche a due metri in modo che la copertura non dovesse poi sporgere dal terreno. In alcuni casi si trattava di sepolture sontuose, monumentali, veri e propri mausolei, costruiti a forma di torre, ad uso certamente degli abitanti che appartenevano strati più elevati della popolazione, come nel caso del tomba di Adamo e Eva a Ghargaresh. Nelle tombe appartenenti alle necropoli di questo periodo l’ingresso principale era rivolto ad Est; a esso si poteva accedere attraverso una piccola scala che immetteva in un corridoio da cui si dipartivano i vari ambienti. Quest’ultimi di solito erano costituiti da tre o quattro camere, spesso però aggiunte in periodi diversi, come del resto testimoniano le diverse modalità di sepoltura e la varietà dei corredi funerari. L’accesso alla tomba è generalmente possibile attraverso un ingresso a pozzo di cm. 70/80 di diametro. Le camere funerarie presentano spesso banchine e nicchie per le deposizioni. Molti ipogei hanno due o più camere comunicanti fra loro. Il numero degli ambienti funerari varia da un minimo di uno a un massimo, rilevato nella regione in esame, di quattro camere. Molto vasta è la documentazione relativa ai rinvenimenti dei contenitori in cui le ceneri venivano poste. Generalmente venivano deposte entro urne litiche. Fino all’ultimo quarto del I secolo d. C. vi è
  • 36. 36 un uso generalizzato di piccole urne rettangolari in calcare e prive di decorazione; in qualche caso, come documentato, sono stati usati contenitori di forma simile ma realizzati in terracotta o in piombo. Sporadicamente sono state usate come urne cinerarie delle anfore fittili od olle di vetro53 . Sulle urne di pietra è spesso iscritto il nome del defunto, in punico e, circa a partire dalla fine del I secolo d. C., in latino. Dalla fine dell’età flavia, alle semplici cassette cominciarono ad affiancarsi urne a forma di vaso, in calcare, marmo e, in casi eccezionali, in alabastro54 . Le iscrizioni sui contenitori continuano ad essere in latino. Questi documenti epigrafici forniscono importanti informazioni sull’evoluzione dell’onomastica, oltre che sull’uso della lingua. Analizzando le modalità con cui avveniva il rito dell’incinerazione e l’accuratezza della loro esecuzione si possono osservare usi particolari. In molte tombe, per esempio, è testimoniata l’usanza di conservare in anfore fittili i residui non umani del rogo funebre, ossia i resti di quegli oggetti, come il letto funebre o recipienti di vetro con offerte bruciate insieme al corpo. Accanto alle sepolture venivano deposti poi numerosi oggetti di corredo: ceramiche, vetri, oggetti in osso e in metallo. I materiali, in particolare le ceramiche, assumono grande importanza e sono fondamentali ai fini della determinazione cronologica dei contesti. 53 Di Vita 1997, pp. 271-282. 54 Si confronti: G. Di Vita-Evrard et alii, L’ipogeo dei Flavi a Leptis Magna presso Gasr Gelda, in LibAnt, n.s. 2, 1996, pp. 85-133 e G. Di Vita-Evrard et alii, Une tombe hypogée de la necropoli occidentale:Laurentii ou Claudii?, in LibAnt, n.s., 3, 1997, pp. 119-137
  • 37. 37 L’analisi del corredo funerario e la qualità degli oggetti rinvenuti forniscono poi interessanti indicazioni sulla distribuzione della ricchezza e sul prestigio dei defunti, e come la ricchezza veniva ostentata ai fini del raggiungimento di un prestigio sociale. Spesso gli oggetti e i materiali usati provengono da altre aree del Mediterraneo: Grecia, Iberia, Asia Minore. Essi testimoniano i contatti con altre civiltà e forniscono indicazioni essenziali sui rapporti commerciali che nell’antichità interessarono le coste della Tripolitania. 2 – LE NECROPOLI PUNICO-ROMANE Le necropoli di quest’epoca sono in genere molto simili alle precedenti, costruite fra la fine del I secolo a. C. e la fine del II secolo d. C. e sono caratterizzate dal fatto che il loro utilizzo continuò fino alla fine del III secolo, ma con modalità di sepoltura diverse55 . Le camere funerarie erano sotterranee, e al loro interno si accedeva attraverso un piccolo ingresso situato a Est e collegato a una scala che immetteva in un ambiente assai limitato. Generalmente la camera funeraria era costituita da uno spazio di forma rettangolare di circa m 1,30 x 2,00 e l’altezza era di poco superione a m 1,50. In esse si rinvengono spesso banchine e nicchie per deporvi le urne di incinerazione, di forme e dimensioni diverse. Con la diffusione del Cristianesimo, questi usi nel IV secolo esso vennero totalmente abbandonati. 55 Bartoccini 1928-1929, pp. 103-106.
  • 38. 38 L’uso di questo tipo di necropoli è ancora di chiara influenza punica. I Cartaginesi, giunti a dominare la Tripolitania, diffondono la loro civiltà e i modelli architettonici propri del loro ambito geografico e cronologico. 3 – LE NECROPOLI TARDO-ROMANE Le strutture funerarie presenti nelle necropoli risalenti a quest’ epoca sono di solito caratterizzate da una fossa di forma rettangolare grosso modo delle stesse dimensioni del defunto, o poco più grandi; in esse il defunto veniva seppellito con le braccia distese lungo i fianchi. In alcuni casi il defunto era deposto in una cassa di legno, come testimoniano i ritrovamenti di chiodi, all’interno delle deposizioni. La tomba veniva ricoperta di pietre fino alla superficie. In alcuni casi però il corpo veniva posto in una grande anfora con il suo corredo funerario56 . 4 – LE NECROPOLI CRISTIANE Questo tipo di necropoli si diffuse in Tripolitania a partire dal IV secolo quando incominciò a diffondersi in forma più o meno segreta, il Cristianesimo. Le caverne e le lunghe, strette e tortuose cave, situate vicino alla grandi città, fuori dalle mura, erano il luogo ideale per nascondersi. Le sepolture erano molto semplici. Il defunto veniva seppellito in una piccola fossa coperta da una lastra di pietra o di 56 Di Vita 1978, pp. 199-256.
  • 39. 39 marmo con sopra inciso il nome e l’età e, in alcuni casi, simboli religiosi come la croce, il ramo d’ ulivo o la colomba57 . 57 S. AURIGEMMA, L 'area cimiteriale cristiana di Ain Zara presso Tripoli di Barberia, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Roma, 1932.
  • 40. 40 LA NECROPOLI DI GARGARESH (FIGG. GH 1-77; DISEGNI GH 78-88; FOTO AEREA GH 89) L’IPOGEO DI ADAMO ED EVA La scoperta A circa dieci chilometri dal centro dell’antica Oea sulla strada che collega la città di Tripoli con la città di Zuara, a qualche centinaio di metri dal mare, la presenza di uno spesso e compatto strato di arenaria, portò all’apertura, già nell’antichità, di grandi cave che si estendono in senso longitudinale per alcuni chilometri. Lo sviluppo urbanistico del territorio le ha ormai distrutte, a eccezione di una58 . Nel 1965 fu infatti casualmente rinvenuto a Gargaresh, sobborgo occidentale dell’odierna Tripoli, un monumento funerario59 , chiamato, per le pitture più significative in esso ritrovate, di spiccato carattere cristiano, l’Ipogeo di Adamo ed Eva60 . La cava non era a cielo aperto, ma coperta da un tetto il cui spessore oscillava in genere fra m 1,50 e m 3 a seconda della compattezza della arenaria. La diversa consistenza dello strato condizionava lo scavo dando così origine a una serie di corridoi, spiazzi e piccoli recessi che potevano essere facilmente trasformati in vani61 . L’ipogeo cristiano fu collocato nella parte in cui il tetto aveva uno spessore limitato, pari a m 1,50 - 1,80, così fu facile ricavare una corte scoperta, all’incirca quadrata, e, ai lati di essa, sistemare a vani i 58 Baramki 1966-67, p. 241; Di Vita 1978, p. 199. 59 Baramki 1966-68; Di Vita 1978, p.199. 60 Secondo il Prof. Baramki (op. cit. p.242) questa scoperta viene considerata una delle scoperte piu' importanti essendo la raffigurazione di Adamo ed Eva inusuale in quel epoca.. 61 Baramki 1966-67, pp.242; Di Vita 1978, 199.
  • 41. 41 vuoti della cava, ottenendo un insieme ipogeico che ricorda le tombe a peristilio delle necropoli ellenistiche di Alessandria62 . L’accesso alla corte avveniva probabilmente tramite scale rimovibili, non essendovi traccia di scale scolpite nella roccia. Descrizione del complesso Attorno alla corte scoperta, partendo da sinistra verso destra in direzione nord, si trovano quattro vani : A, B, C, D. Il vano D è un piccolo recesso di circa m 1,40 con un piano a circa 50 cm sul suolo della corte. Esso era certamente adibito a sepoltura essendovi stati rinvenuti i resti di un individuo adulto. E’, inoltre, possibile che sul piano vi fossero stati costruiti altri loculi. Data la sua ampiezza limitata se ne può dedurre che i morti venissero inumati in posizione rannicchiata. In un piccolo vano di fronte al D è stata deposta, all’angolo sud- ovest, una anfora funeraria. Si tratta di un grosso contenitore di tipo punico e di produzione locale, risalente al III - IV secolo; esemplari simili si trovano nel magazzino del museo di Tripoli. Potrebbe trattarsi di una sepoltura aggiunta63 . Anche il piccolo vano B, ottenuto dalla chiusura di un corridoio della cava, fu adoperato per altre deposizioni64 . Fra i vani B e D, di fronte al vano A, si trova il vano C. Esso è aperto sulla corte, di cui costituisce un’appendice, e verosimilmente fu adibito alla preparazione di tutto quanto necessario per i banchetti funebri. In esso non si trovano tracce di sepolture così come non se ne trovano nel vano A. 62 Baramki, p. 242; Di Vita 1978, p.200; 63 Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80; 64 Idem p.80
  • 42. 42 Il vano A lungo m 7,75 x 3,10 e alto 2,15 è l’ambiente più grande e più importante del complesso. In corrispondenza della larga apertura sulla corte lunga m 3,20, nell’angolo sud - ovest , fu sistemato un banco quadrato di circa m 2,60 di lato e alto m 0,60. Il banco sembra essere stato concepito come sedile / divano o stibadion, sul quale si sdraiavano i commensali. Questo fa pensare alla parte finale del suo lato nord che forma un profondo semicerchio, che gli conferisce la forma a sigma, nonché i due soli blocchi rimasti, collocati al centro della fila più alta, in leggera pendenza verso Sud. Di fronte al centro del semicerchio è stata ritrovata una mensa, sul cui piano si appoggiavano i commensali. Come mensa è stato usato un pezzo di colonna calcarea con incisi nella parte superiore quattro solchi concentrici allo scopo di non fare scivolare i piatti che venivano posati su di essa, qualora questi avessero avuto alla base un anello o anelli in rilievo, come spesso avevano molti piatti65 . Il piano superiore del sedile o stibadion66 doveva essere rivestito da intonaco, come di certo erano rivestite da intonaco dipinto la parte frontale e le pareti al di sopra di esso. Di queste decorazioni non è però rimasto niente. Il pavimento era fatto di un sottile battuto di calce posato su una massa di sabbia e di detriti ricavati dalla lavorazione dell’antica cava. La decorazione dipinta della sala A Le pareti della sala A presentano ancora diverse decorazioni. 65 Baramki 1966-67, p. 242; Di Vita 1978, p. 207. 66 Di Vita 1978, p. 208.
  • 43. 43 1) La parete orientale. Addossato a questa parete vi è un bancone lungo m 1,40, largo e alto circa m 0,70 costituito da blocchi riempiti per cm 15 da sabbia, terra e detriti di lavorazione e incassato nel corridoio che si estendeva dal vano A al B. Nel ripiano superiore si trova un rialzo di cm 3, largo circa cm 20 fatto di frammenti di lastre di marmo e rivestito di intonaco. Tutto il piano era intonacato e dipinto con grossi boccioli rosso-bruni a tulipano, con il peduncolo corto, forse boccioli di rose, simili a quelli che decorano i fianchi dei sedili o stibadion e le mensae dell’area sacro – funeraria della prima metà del IV secolo ritrovati a Sabratha67 . Di questi boccioli, dalla forma meno raffinata ne è rimasto uno solo. La facciata principale è incorniciata da una fascia rosso-bruno larga cm 3/5, che racchiude una decorazione a effetto marmo ottenuta accostando cerchi grandi e irregolari, macchie, sbavature e zig-zag in rosso-bruno su fondo giallo scuro. Delle due facciate laterali quella a Sud era decorata sempre a effetto marmo, ma su fondo bianco-crema ravvivato da brevi pennellate grigio-bruno, come si usava, anche se meno comunemente, in Tripolitania nel IV secolo68 ; le decorazioni della facciata nord sono andate perdute. Il banco aveva sicuramente una sua funzione, forse di sedile, certamente non fu usato come cassa funeraria. Delle decorazioni tra questo e la parete restano poche tracce di fascioni. 67 Di Vita, L'area sacro-funeraria di Sidret el Balik a Sabratha, in Rend. Pont. Acc. LIII-LIV, 1981-82 (1984), pp. 271-282 (e si veda anche Sabratha, in E.A.A. II, Suppl. V, 1997, pp. 47-52). 68 Aurugemma 1962, pp. 97; Romanelli 1922, pp. 25; Marchiori 1940, pp. 22.
  • 44. 44 Incassato fra il banco e l’apertura sul cortile si trova un pesante tramezzo, appoggiato alla parete, largo solo cm 75. Forse un pilastro su cui poggiava lo stipite di qualcosa di mobile, visto che la parete è tagliata da un solco profondo cm 8 e largo da cm 4 a 12. La figura di un lampadoforo occupa la facciata in quasi tutta la sua lunghezza. Il dipinto poggia su uno zoccolo con effetto marmo alto cm 40. La figura, alta m 1,27 e larga m 0,55 è nel suo insieme discretamente conservata. Un fascione rosso-bruno, su fondo giallino, incornicia il riquadro all’interno del quale si trova il lampadoforo. Nella parte superiore, un arco ribassato vuole suggerire una nicchia, sul fondo della quale forse pendeva un velo, come indicherebbe una decorazione a festoncino orizzontale rosso-bruno con orlo a dente di sega, con alle estremità bende di colore verde e tre fiori che vi si affacciano. Sul lato destro vi è una rosa dal lunghissimo gambo verde da cui pende una fettuccia ondulata. La figura, resa di prospetto con le gambe di profilo, avanza verso destra. Sotto la tunica, che sembra ondeggiare in una grande piega, le gambe sono appena tratteggiate. Tracce di pieghe si intravedono anche all’altezza dell’addome. La tunica, dalle lunghe maniche strette al polso, è ornata in basso e sul petto da larghe strisce di colore rosso-bruno, poco sopra l’orlo la ravvivano due cerchi di cm 13 di diametro sempre di colore rosso-bruno. Le pieghe e i lembi del mantello giallo ocra, che dalla testa ricadevano sulle spalle, spiccano sul bianco sporco della tunica. La testa è molto rovinata. Della faccia, dall’incarnato rosa-bruno si intravede l’occhio destro. I capelli lunghi e ricci, piuttosto bassi sulla fronte, scendevano sulle spalle. Nella mano destra regge una grossa fiaccola color ocra, alta cm 41 che termina con un’alta fiamma rosso-bruna. Una fettuccia la avvolge a spirale e tracce di decorazioni si intravedono sul sostegno e ai due lati.
  • 45. 45 La mano che impugna la fiaccola, per errore prospettico, non presenta le dita di dorso; dita che sono sottili e allungatissime. La prospettiva non corretta anche delle gambe e dei piedi fa pensare a un pittore di cultura popolare a cui potrebbe avvicinarsi il quadro della parete di fronte con Adamo ed Eva. Questa figura ricorda quella dei lampadofori della tomba di Aelia Arisuth sempre a Gargaresh69 o dei giovanetti della domina di Piazza Armerina70 . Un arbusto verde si intravede davanti alla gamba destra e davanti alla fiaccola restano tracce di steli verdi. In alto, sul fascione di riquadro, sono ancora visibili poche lettere di una breve iscrizione dipinta a pennellate bianche sottilissime, 2) La parete settentrionale La parete a Nord nella parte bassa era decorata a effetto marmo. Delle sue decorazioni però rimane soltanto la parte posteriore di una figura di leone. 3) La parete occidentale La parete occidentale, anche se molto danneggiata, è senza dubbio la più importante, in quanto conserva i resti delle pitture più significative dell’ipogeo. Partendo dalla parte a Sud dello stibadion abbiamo tre riquadri verticali larghi circa m 0,515, seguiti da tre quadri larghi esattamente il doppio. Una fascia larga cm 8 delimita i riquadri e la parete rispetto al soffitto. Gli archi ribassati, dipinti dopo, davano alla parete l’aspetto di un portico a colonne. Tratto decorativo assolutamente nuovo nella pittura e 69 Di Vita 1978. 70 Aurigemma 1962, pp.95-98; Romanelli 1922, pp. 21-32; Marchiori 1940, pp. 18-22.
  • 46. 46 nei mosaici della Tripolitania, ma che appare poi di frequente nei sarcofagi cristiani intorno al 34071 . Uno dei tre riquadri ad archi, quello più meridionale è andato completamente perduto; del secondo, che raffigurava un lampadoforo, restano solo piccole tracce della fiaccola, tenuta nella mano sinistra, e molto simile a quella del lampadoforo della parete opposta. Del terzo resta la metà inferiore, essendo andata distrutta quasi completamente la metà superiore . La figura, che tiene fra le mani un grande oggetto a punta, è rappresentata di prospetto, piedi e calzari, a suola bassa, sono disegnati con cura. Indossa una tunica a maniche lunghe e strette al polso, che scende rigida e dritta, con profonde pieghe verticali rese dalle tonalità di colori che vanno dal giallo al bruno. All’altezza delle ginocchia è ornata da due cerchi simmetrici bruno-scuro, sovradipinti a strisce nere sulle quali un cerchio bianco racchiude una decorazione geometrica realizzata con sottilissime pennellate. Un sottile orlo scuro orna la fine veste. Il centro della figura è l’oggetto rosso scuro, a forma di cono, una grande anfora a punta, non di produzione locale. Delle mani che la reggono è rimasta solo la sinistra, grossolanamente disegnata nella sua stretta attorno all’oggetto. Sotto la veste trasparente si vedono le gambe ben delineate in scuro, colore che in questo ipogeo non distingue solo le figure maschili; infatti, lo stesso colore viene usato anche per Eva. E’probabile che si tratti della figura di un servo che reca il vino per il banchetto, così come i compagni portavano le fiaccole per illuminare il luogo72 . Ai piedi del portatore d’anfora, nello spazio lasciato libero dalla figura, tre fiori, disposti su tre piani diversi, poggiano su una larga fascia 71 Romanelli 1925, p. 27. 72 Al Nems – Abu Hamed 1978, p.80.
  • 47. 47 bruno-rosa che si alza ad angolo con il piede destro. Nel lato opposto un corto cono oscuro, con la sua punta, tocca quasi l’orlo della veste. Fascia e cono sembrano proiettare l’ombra del personaggio, forse nel tentativo di dare spazialità all’immagine. Questa maniera simbolica di rendere le ombre dei personaggi con cenni decorativi è frequente nei mosaici di Piazza Armerina, dove però la superiore qualità stilistica raggiunge un effetto più naturale. E’opportuno sottolineare che molti degli elementi presenti in questa figura compaiono nei dipinti di Piazza Armerina, ad esempio la tunica a maniche lunghe e strette ed i cerchi. La qualità stilistica del portatore d’anfora, anche se mediocre è certamente superiore a quella del lampadoforo. Il fascione verticale che separa il portatore d’anfora dal primo dei tre quadrati che seguono, indica la fine della serie degli elementi architettonici. La superficie della parete è piuttosto danneggiata e, per larghi tratti, la pittura è scomparsa, ma questo primo quadro resta il più leggibile dei tre che la decoravano. Su un campo largo m 1,01 e alto m 1,08 troviamo Adamo ed Eva ai lati dell’ albero sul cui tronco si avvolge a spirale un grosso serpente. L’albero è il centro della composizione. Ai suoi lati si affiancano in rapporto proporzionale, Adamo, alto m 0,82 ed Eva di 4 centimetri più bassa. Il tronco, ben visibile, si alza poco sopra le loro spalle e si apre in più rami simmetrici, la cui chioma è andata del tutto perduta. Esso è disegnato con movimento sinuoso, quasi a sottolineare il peso del grande serpente di colore scuro sfumante in rosso, alto m 0,72, che lo avvolge interamente. Le spire, tranne la penultima in alto, per un errore prospettico, sono integralmente visibili. Il corpo ad archi scuri
  • 48. 48 su fondo chiaro è punteggiato di bianco. Dalla bocca aperta esce una lunga lingua biforcuta. La testa è rivolta verso Eva. I due, che hanno già commesso il peccato, coprono la loro nudità tenendo con le mani una larga foglia verde sul sesso. Sul fondo giallino della parete, la figura di Eva, meglio conservata, è disegnata con linee di contorno bruno-scure, decise, fluide e prive di angoli. Le gambe e le braccia sono lunghe, il busto stretto rispetto al bacino, le dita affusolate, molto allungate e riunite a punta, come nella immagine di Aelia Arisuth della tomba vicina. Forse una specie di firma di bottega o espressione decorativa di maestranze di identica estrazione73 . Della testa rimangono i capelli che dal collo, piegati ad angolo, salgono soprala testa: un’ acconciatura denominata a “elmo ” usata fino al 340 e che insieme a quella a “ turbante ”, di uso frequente intorno al 325, è presente nei mosaici di Piazza Armerina74 . I capelli di Adamo, tagliati corti, formano una spessa calotta e si ricongiungono a una barba sottile. Barba e capelli sembrano ricci, forse a indicare un’ origine straniera del personaggio. Della figura di Adamo rimane ben poco. La composizione deriva forse da un modello legato al naturalismo della tradizione ellenistico-romana. Le due figure sono prospetticamente impostate verso il centro della raffigurazione, rappresentato dall’albero della scienza, sul cui tronco si avvolge il serpente. Presentate frontalmente e sullo stesso piano dell’albero, non danno l’idea di una collocazione nello spazio, a parte quel piccolo accenno nel profilo della metà inferiore del corpo di Eva. 73 Romanelli 1925, p.23; Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80. 74 Di Vita 1978, p. 223; Taha Bakir 1968, pp.197-198; Al Nems – Abu Hamed 1978. P. 80.
  • 49. 49 Del riquadro successivo, forse l’ingresso di Gesù a Gerusalemme non è rimasto quasi niente : la testa e il collo di un asino, il contorno del viso, quasi di prospetto, e le spalle del suo cavaliere. L’animale è delineato con molta cura. Nel muso si intravedono le froge, larghe per lo sforzo, e la bocca leggermente aperta sotto la pressione delle briglie. La naturale vivacità dell’asino non deve meravigliare. Nel mondo nord - africano vi era una lunga tradizione di dipinti di animali, confermata anche in Tripolitania nel periodo fra il 325 e il 35075 , cui va attribuito questo ipogeo. Alle spalle del cavaliere, a destra di chi guarda, si indovinano i contorni della testa e del petto di un’altra figura. In alto, negli ultimi 28 centimetri, un fascione rosso- bruno racchiudeva, separandola dal campo figurativo, una lunga iscrizione, di cui sono rimasti un piccolo frammento e delle lettere. Il terzo e ultimo riquadro è il più interessante, sia da un punto di vista pittorico che di stile, e sembrerebbe un modello di miniatura. La metà sinistra, dove accadeva qualcosa o vi era qualcuno, verso cui guardavano le tre figure rimaste è andata perduta. Le tre figure76 sembrano affacciarsi all’aperto come uscendo da una tenda finta, sorretta a destra dalla fascia che chiude il quadro, dalla quale l’ ultima figura è come se uscisse solo a metà, e, in alto dalla larga fascia rosa- bruno posta orizzontalmente sopra le loro teste. La prima è una figura d’ uomo dalla ricca capigliatura riccia e corta, folta barba e baffi leggeri. Veste una tunica a maniche strette, decorata da una banda sul petto e un ampio mantello agganciato alla 75 Baramki 1966-67, pp. 242; Bakir 1968, p. 198. 76 Sulla descrizione delle figure si vedano: Romanelli 1925, p.23; Baramki 1966-67, pp. 242; Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80; Di Vita 1978, p. 223; Bakir 1968, pp.197-198; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 80.
  • 50. 50 spalla destra da una borchia. Il braccio destro è leggermente alzato e proteso in avanti come in un gesto di saluto, il sinistro scende lungo il corpo, l’avambraccio, leggermente piegato verso il basso, sporge dal mantello. La mano sinistra reggeva qualcosa dietro la quale passavano le aste di tre lance appoggiate alla spalla sinistra. Sicuramente si trattava di un capo sia civile che militare, come fanno pensare l’abbigliamento, gli oggetti e l’atteggiamento. Queste figure sono costruite secondo la tradizione ellenistico - romana, caratterizzata dai toni di colore, da ombreggiature e linee che formano volumi, da un tratto quasi impressionistico che non impedisce di scorgere nell’uomo gli occhi, le sopracciglia, la bocca socchiusa e il naso. La spiccata plasticità e la naturalezza differenziano questo gruppo dalle altre figure esaminate, comprese quelle di Adamo ed Eva. La spazialità è resa con molta efficacia dalla posizione delle figure, una dietro l’altra e la terza che sembra uscire dal fascione come da una tenda. Su un piano leggermente arretrato segue una figura femminile. Essa appare come personaggio di primo piano, per dimensioni, portamento, ricchezza dell’ acconciatura e del vestito, forse la sposa del capo. Sulla tunica intima, orlata alla base del collo, veste una stola decorata da una frangia color ocra e sopra di essa un’ altra sopravveste scollata, orlata da larghe bande colorate. La mano sinistra regge il mantello. Velature ocra e rosa scuro insieme a ritocchi bruni danno vita al volto, mentre pennellate scure su fondo giallino riproducono i capelli. La testa è molto rovinata, si vede bene il mento rotondo, la bocca chiusa e il
  • 51. 51 naso dritto, all’ orecchio destro pende un orecchino. L’acconciatura del tipo a “ turbante ”, nella sua variante più ricca, si alza sulla testa a forma di torre. Il tipo di orecchino a goccia è molto comune nei mosaici africani di IV secolo77 . Alle spalle della domina la figura dell’ancella, nascosta in parte dal fascione del riquadro, occupa il poco spazio rimanente. Il volto è distrutto. La testa ricorda quella di Eva con i capelli che scendono fino al collo. Essa, in movimento in avanti, sembra guardare le figure che la precedono o qualcosa che attirava l’attenzione di tutti. La qualità stilistica di questo gruppo è, sotto l’aspetto pittorico, la più importante. Le figure sono rese con tecnica “ impressionistica ”, ma con tratti decisi e cura del dettaglio. La loro plasticità e naturalezza ricordano le figure della catacomba romana di via Latina78 , così come l’espressione grave del dominus, usata fino ai primi decenni del IV secolo per indicare ricchezza interiore , ricorda la testa di Sansone della stessa catacomba, dove ritorna anche lo stesso tipo di capigliatura e di barba79 . Anche se la barba tornò in uso intorno al 350 è evidente che, trattandosi non di personaggi reali, ma di scene bibliche, non veniva seguita la moda80 . Pure a Piazza Armerina compaiono personaggi con la barba e abbondanti riccioli. I confronti con i mosaici di quella villa sono molto importanti ai fini della datazione delle pitture dell’ipogeo di Ghargaresh. Sopra le figure del terzo riquadro si trova una lunga iscrizione81 . 77 Baramki 1966-67, p. 241; Di Vita 1978,p. 238; Al Nems- Abu Hamed 1978, p. 80; Bakir 1978, p. 198. 78 Di Vita 1978, p. 238. 79 Di Vita 1978, p. 240. 80 Idem, p. 242. 81 Sulle iscrizione il prof. Di Vita fa un confronto con un’ iscrizione di Sabratha: Di Vita 1978, p. 246.
  • 52. 52 Datazione delle pitture della sala A L’ ipogeo fu verosimilmente dipinto tra il 340 e il 35082 . A questa conclusione conduce l’analisi dei dati relativi alle immagini, agli stili e agli oggetti in esso presenti, messi poi a confronto con altre opere o tombe. È evidente anche una certa affinità con le pitture romane di via Latina, che si collocano tutte fra il 320 e il 350. I termini di comparazione più significativi sono rappresentati dai mosaici di Piazza Armerina e dagli affreschi della vicina tomba di Aelia Arisuth, dei quali conosciamo con precisione la data della loro creazione. I mosaici di Piazza Armerina risalgono al 310 e al 320-325 al più tardi, la tomba di di Aelia Arisuth risale agli anni immediatamente successivi al 36583 . Abbiamo già accennato alle somiglianze di stile e delle iconografie tra queste tre opere : la presentazione frontale delle figure, le arcate dipinte all’interno del riquadro, quasi a isolare le figure degli attendenti, le ombre rese con cenni decorativi, tuniche a maniche lunghe e strette, cerchi colorati che ravvivano le vesti, mani dalle dita lunghe e affusolate, analogie che collocano le opere nello stesso arco di tempo. L’ iscrizione dipinta della parete occidentale della sala A Una lunghissima iscrizione latina, alta cm 28, occupava la parte superiore dell’ultimo e penultimo riquadro della parete occidentale della sala A. Una fascia bruno - rosata incorniciava l’ iscrizione, come in un cartiglio, separandola dalle figure. Il testo, forse più lungo del previsto, costrinse il pittore a scrivere sul rifascio di base, nella parte finale verso destra. 82 Idem, p. 243. 83 Idam, p. 243.
  • 53. 53 Di essa resta solo la parte sopra le tre figure e frammenti sparsi, come quel piccolo “ medaglione ” ben leggibile del secondo riquadro sopra l’asino. Ogni tentativo di interpretazione è risultato vano. I diversi colori usati fanno spiccare meglio alcune lettere. La sua datazione può essere contenuta in uno spazio temporale molto ampio compreso fra tutto il IV secolo e la prima metà del V84 . I materiali I due capitelli a foglie lisce e gli altri resti in calcare sistemati nel vano E, ma trovati nel cortile F , con il quale confina, provengono di certo dalle antiche costruzioni del soprassuolo. Anche parte dei frammenti di orci e anfore, con rispettivi coperchi, appartengono a tipi che vanno dal I al IV secolo d.C85 . Nel sito sono stati trovati l’anfora funeraria ( enchytrismòs ) del piccolo vano a Sud della sala A, del IV secolo, e l’altra ritrovata, appoggiata orizzontalmente su blocchi di cava, nel vano C adibito alla preparazione dei cibi che poi venivano serviti nella sala A. Questa anfora con corpo cilindrico, probabilmente africana, risale alla fine del IV secolo o agli inizi del V, periodo in cui cessò la frequentazione dell’ ipogeo, almeno come luogo in cui consumare pasti funebri. Nessun altro frammento recuperato nello scavo è successivo a quest’ anfora. Celebrazione e significato sociale del refrigerium Non vi è dubbio che nell’ ipogeo di Adamo ed Eva si consumassero pasti funebri in onore dei defunti della famiglia a cui 84 Idem p. 245-246. 85 Baramki 1966-67, p. 242; Di Vita 1978, p.247 (fig. 30'-31-32).
  • 54. 54 apparteneva l’ipogeo; ne è la prova lo stibadion con relativa mensa. Gli stessi lampadofori e il portatore di anfora rappresentano gli attendenti ai refrigeria, i banchetti funebri, che si celebravano nell’ ipogeo la sera. Il vano C, aperto sul cortile e situato di fronte sala A bene si adattava a cucina. Qui è stata ritrovata un’ anfora e tutti i frammenti ritrovati nello scavo sono resti di anfore e orci in ceramica. L’ uso delle libagioni e dei pasti consumati presso la tomba persistette a lungo nell’Africa antica, come testimoniano scritti e fonti archeologiche, quale l’ area sacro-funeraria di Sabratha86 , contemporanea o poco più antica dell’ ipogeo di Adamo ed Eva. Entrambe le opere attestano l’ abitudine del pasto commemorativo presso le sepolture, comune a pagani e cristiani nella Tripolitania del IV secolo87 . Questa antica tradizione è provata dai vani degli ipogei ellenistici di Alessandria, dalla stele di Timgad in Algeria, di età imperiale, dove nelle tavole delle offerte sono raffigurati gli elementi del refrigerium, dalla necropoli di Tipasa, sempre in Algeria88 , dall’ area funeraria di Sabratha e da questo stesso ipogeo. Anche in Italia, a Pompei e nella necropoli di Porto all’ Isola Sacra, si trovano sedili/letto per pasti funebri. Gli esemplari dell’ Africa romana, Tipasa, Sabratha e Ghargaresh, non sono più antichi del IV secolo, ma sono notevolmente differenti fra loro. In Tripolitania il triclinio non contiene i morti, a Tipasa servono, invece, da letto e da sepoltura. In Tripolitania i letti a forma di sigma sono collocati vicini alle tombe, ma in un’ area appositamente riservata, 86 Su questo tema si vedano:Di Vita 1997, pp.47-52. 87 Di Vita 1978, p. 251; Di Vita 1997; p. 50. 88 Di Vita 1978, p. 251; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 80
  • 55. 55 che costituisce l’ elemento più importante di tutto il complesso, ove si svolgevano le cerimonie di profondo valore religioso. Sabratha conserva l’ esempio più ricco e articolato di questo tipo di monumento: nell’area dei triclini a forma di sigma, in stretta connessione con i pasti comuni, fu risistemata una grande vasca in cui l’acqua era portata da un canale. Anche a Gargaresc, a poche decine di metri dall’ipogeo, nella superficie sopra la cava, vi era un pozzo. L’uso ricorrente di riunirsi in vani o anche in aree scoperte, attrezzate per banchettare insieme in onore dei defunti, si diffonde in Tripolitania nel IV secolo89 . In questo pasto comune qualcuno vede un atto religioso con forte peso sociale; forse non è esagerato vedere in questo nuovo modo di praticare il culto dei morti il riflesso di un’ evoluzione nella vita sociale cittadina. La presenza al posto della piccola tavola, più antica, di triclini dove potevano trovare posto un considerevole numero di persone, 32 in quelli di Sabratha, e il fatto che in alcuni casi, non soltanto i familiari più stretti ma interi clan si riunivano con una certa periodicità attorno alla tomba del o dei defunti in cui tutti si riconoscevano per motivi di parentela o altro dà un valore diverso al pasto commemorativo comune, forse un’occasione di incontro di gruppi di cittadini, socialmente ed economicamente potenti, legati da vincoli di sangue o da altri interessi90 . E’ noto che questi gruppi o associazioni, ebbero un grande peso nella politica locale delle città africane e tutti praticavano l’uso del pasto in comune o simposio. 89 Di Vita 1978, p. 252; Di Vita 1997; p. 51. 90 Di Vita 1978, p. 258.
  • 56. 56 Se si vuole capire a fondo, nel suo aspetto sociale, il significato assunto dal refrigerium nelle città dell’ Africa romana, si deve fare riferimento a complessi tipo l’area sacro - funeraria di Sabratha o all’ ipogeo di Adamo ed Eva.
  • 57. 57 LA NECROPOLI DI FORTE (O TORRE) DELLA VITE (FIGG. BD 1-119; DISEGNI BD 120-140; foto aeree BD 141-142) La scoperta Dopo lo sbarco a Tripoli, il 5 ottobre 1911, l’Amministrazione italiana pensò di eseguire una serie di lavori pubblici quali la sistemazione del porto e la creazione di un tronco ferroviario che avrebbe collegato il molo alla Stazione centrale che sarebbe sorta nell’oasi a Sud di Tripoli, nella zona di el- Hammangi91 . Il tracciato del raccordo molo-stazione sarebbe passato tra la scogliera a Nord- Nord/Ovest della città e la fortificazione urbana che proteggeva la città dal “Forte Spagnolo” fino al “Forte della Vite” o “Forte Nord-Ovest”. Quest’ultimo forte alla base battuto dalle onde del mare, per cui occorreva scavare un fossato per appoggiarvi i binari. Il primo maggio 1912 durante i lavori di scavo del banco di roccia arenaria su cui era stato costruito il Forte della Vite, vennero alla luce le prime tombe del sepolcreto92 . Questo banco di roccia arenaria, presente in tutta la zona costiera vicino a Tripoli, più o meno resistente e che si taglia facilmente anche per trarne materiale da costruzione, in età quaternaria recente ha registrato un movimento di emersione con successiva sovrapposizione di uno strato sabbioso con fossili terrestri, una sommersione con sovrapposizione di uno strato sabbioso e infine una riemersione della panchina arenareo-calcarea93 . 91 Simonete R., Le opere pubbliche della Tripolitania e della Cirenaica, Roma 1914, p. pp. 1-15; Aurigemma 1958, p. 7; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 35; Romanelli 1916, p. 364. 92 Aurigemma 1958, p. 7; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 35. 93 Simonete 1914, p. 7-8; Aurigemma 1958, pp. 7-8.
  • 58. 58 Il “Forte della Vite”, “ Burj al-dalia” in arabo e Asmail Tabiasi per i Turchi, molto probabilmente deve il nome alla presenza di una pianta di vite cresciuta sulla parte alta del forte94 . Il forte era conosciuto anche con il nome di Burj Sidi el-Haddar, nome di un marabutto la cui tomba, ancora oggi venerata, si trova nelle vicinanze del forte, e con il nome di Burj el-Ferrara, di cui non si conosce l’ origine, certamente non araba95 . L’ idrografo Giovanni Seller nella carta dei vari forti che pubblica nel 1675 segna il forte con il n. 21 e lo indica come batteria di ponente ( The West Battery )96 . Nello stesso periodo il francese, forse il provenzale Girard97 , che raccoglieva gli elementi per la sua raccolta storica sul regno di Tripoli di Barberia chiama il forte l’ Angle de la Giudeca ( l’Angolo della Giudecca ) rivolto a Ovest verso la terra e a Nord verso il mare98 . Nell’ Ottocento la denominazione più in uso è quella di “Forte della Vite” e di “Forte Nord-Ovest”. Le notizie ricavate dall’ Ufficio Fondiario di Tripoli, riferiscono che nel periodo precedente l’occupazione italiana di Tripoli, nel 1882- 1883, il forte fu riadattato e rimesso in efficienza da Zekki pascià, comandante della divisione militare turca di stanza a Tripoli. La costruzione del forte si deve con molta probabilità a Dorghũt pascià99 . In tre vedute di Tripoli che sicuramente risalgono al Cinquecento le mura appaiono differenti da come appaiono nel seicento nel tratto della fortificazione dove sorse il Forte della Vite. 94 Aurigemma 1958, p. 7 95 Idem, p. 8. 96 Idem, p. 8; Al Nems – Abu Hamed 1978, p. 35. 97 Aurigemma 1926, p. 556. 98 Aurigemma 1958, p. 8. 99 Sulle fortificazione della città di Tripoli durante il commando di Dargut Pascia si vedano: A.A., Tripoli, città araba e la sua architettura, Tripoli 1993, pp. 195-264
  • 59. 59 Dall’età romana fino almeno al 1559 il muro urbano correva da Oriente a Ponente attraverso una linea che proteggendo il promontorio su cui è costruita la città rappresentava il congiungimento più breve tra mare e mare . Dopo il 1559 le mura furono modificate e fu costruito il Forte della Vite, come può dedursi da quanto scrisse il vescovo di Catania Nicolò Maria Caracciolo100 il quale nel 1561, a seguito di una imboscata tesa alla flotta siciliana da Dorghũt fu fatto prigioniero e condotto a Tripoli dove rimase a lungo. Egli parla di una fortezza creata sopra il monte di San Lazzaro che si trova dentro la città a ponente. Il rinnovatore della fortificazione di Tripoli fu Dorghũt pascià e fu lui a costruire il forte chiamato poi Forte della Vite. Durante i lavori di costruzione furono rinvenute solo alcune delle tombe che furono svuotate e poi riempite di terra e sassi. Questo spiega perché alcune tombe furono trovate intatte e con tutte le suppellettili che vi erano state collocate in antico e altre invece vuote o riempite di terra o sassi101 . Il fatto che la necropoli si trovi all’ interno del recinto della città, contrariamente a quanto prescritto dalla legge romana che vietava di seppellire dentro la città, non esclude che sia una necropoli punico- romana102 . Non si sa molto delle condizioni giuridiche della città di Oea prima della fine dell’età repubblicana. Essa fu fondata da coloni siciliani misti ad africani dopo che erano state già fondate Leptis Magna e Sabratha, ma non si sa nulla sui rapporti con questi empori. E’ certo che in epoca repubblicana e durante l’impero di Tiberio Oea ebbe il diritto di battere moneta, in cui figurano sia i simboli delle divinità 100 Sulle fortificazione della città di Tripoli in varie epoche si vedano: Aurigemma S., Le fortificazione della città di Tripoli, in Notiziario Archeologico, Anno II. Fasc. I-II, Roma 1916, pp. 219-296; Amoora A.A., Tripoli, città araba e la sua architettura, Tripoli 1993, pp. 195-264. 101 Aurigemma 1916, pp. 219-228; Aurigemma 1958, pp. 9-10; 102 Aurigemma 1958, p. 11.
  • 60. 60 protettrici Apollo e Minerva sia i ritratti di Augusto, di Tiberio e di Livia103 . Sicuramente Roma lasciò a queste citta una notevole indipendenza e le leggi romane potevano non essere ancora in vigore in questi territori dove vigevano verosimilmente leggi e costumi punici anche riguardo alle sepolture. A Leptis è stata rinvenuta una necropoli punica sotto l’area del teatro, nel cuore della città sia in età punica che romano-imperiale104 . Come già detto, il primo maggio 1912, furono scoperte le prime sette tombe, mentre nei giorni e mesi successivi furono rinvenute altre ventisette tombe. Le tombe furono indicate con i numeri da uno a 34, seguendo l’ ordine cronologico di rinvenimento105 . Il 27 luglio 1912 fu rinvenuta intatta e provvista di abbondante materiale archeologico la tomba n. 24106 . Fu così disposto di non svuotarla e di assicurarne l’integrità con una lastra di chiusura di arenaria e una solida porta di legno. Il 26 novembre 1912 si constatò che durante la notte qualcuno, entrato nella camera funeraria, aveva rimescolato una parte delle suppellettili e asportato degli oggetti. La camera funebre fu sgombrata e il materiale che aveva costituito il corredo della tomba fu portato la sicuro. Il 7 settembre 1912 una parete dello scavo franò portando alla luce la tomba n. 35, una tomba a forno il cui corredo funerario fu in parte travolto e schiacciato, e in parte rimase integro. Durante i 103 Sulla fondazione della città di Oea si vedano: Al Nems – Abu Hamed 1978, pp. 11-20; Amoora 1993, pp. 39-70. 104 Sulle nacropoli puniche a Leptis Magna si vedano: De Miro – Polito 1991. 105 Aurigemma 1958, pp. 13-15; Al Nems – Abu Hamed 1978, pp. 35-36 (figg. 8-13); Amoora 1993, pp. 48-55 (figg. p.53-54). 106 Da segnalare che tutto il materiale archeologico è esposto al museo di Al Saray Al Hamra a Tripoli.
  • 61. 61 successivi lavori venne individuato l’accesso alla tomba 36 e qualche elemento della 37 e dopo nove anni nell’estate del 1921 la 38 e la 39. Il materiale archeologico recuperato dalle tombe del Forte della Vite, integro o restaurato, fu presentato pubblicamente l’ 11 aprile 1919 all’ inaugurazione del primo Museo Archeologico della Libia107 . Il Museo si trovava in un edificio, ora demolito, davanti al fronte sud- ovest del Castello. Il materiale archeologico del Forte della Vite fu spostato per ben sette volte. Nel 1930 venne trasferito all’interno del Castello e sistemato in vetrine nei vani che un tempo erano stati occupati dall’harem dei Caramanli108 . Nel 1935 fu sistemato provvisoriamente nella sala del trono dei Caramanli. Nel 1937 la sala viene sacrificata per la creazione di una strada, le vetrine vengono smontate e non più ricollocate e il materiale collocato in scaffalature sistemate tra i pilastri di un grande vano già sede della tipografia militare. Non molto tempo dopo, i locali vengono sgomberati per riadibirli a tipografia e il materiale trasportato in un padiglione della Fiera Campionaria di Tripoli, inidoneo a contenerlo. Per questo, adeguatamente imballato, viene riportato al Castello, collocato in vani inaccessibili dentro robuste casse anche per proteggerlo da eventuali attacchi bellici. Finita la guerra, nel 1948 alcune suppellettili del Forte furono utilizzatE da ufficiali inglesi per essere esposti in un piccolo museo archeologico e il resto del materiale insieme ad altri reperti fu collocato in una vasta sala che si affaccia sul lato ovest della veranda del Cortile Caramanli, dove rimase fino al 1954 quando fu trasferito in un vano in prossimità del Cortiletto Spagnolo. 107 Sulla storia del primo museo archeologico di Tripoli si vedano: Bartoccini R., Guida del Museo di Tripoli, Tripoli s.d.; Al Nems – Abu Hamed 1977: Al Nems M- Abu Hamed M., Guida del Museo Archeologico (al Saray Al Hamra) di Tripoli, Tripoli 1977, pp. 33-41. 108 Aurigemma 1958, p. 15.
  • 62. 62 E’ ovvio che in tutti questi spostamenti sia avvenuta qualche confusione o dispersione che ha reso difficile la ricognizione del materiale sulla base degli appunti del 1912 e delle fotografie eseguite a suo tempo. Nonostante ciò si è giunti a una descrizione abbastanza soddisfacente del sepolcro. Descrizione delle tombe109 Tomba n. 1 E’ una tomba a camera e a pianta rettangolare, scoperta nel Cinquecento quando furono alzati i muri del forte. Essa venne rovistata e poi riempita di terra. Tomba n. 2 Fu tra le prime tombe110 venute alla luce da un pozzetto o dromos scavato nell’arenaria si accedeva, attraverso una porta larga m 0,73 e alta m 0,64 a un vano, interamente ricavato nella roccia, a pianta rettangolare, delle dimensioni di m 3,24 x m 2,86. Tre gradini portavano alla camera funeraria; ai piedi della gradinata era scavata una fossa di m 1,30 x 0,59 e profonda m 0.42. Le pareti, non proprio a filo, presentano delle sporgenze. Il tetto non è orizzontale ma a schiena d’asino. Nella parete est, opposta all’ingresso, vi sono due nicchie ad arco e altre due rettangolari si trovano nella parete nord, a sinistra entrando. Le nicchie dovevano servire per collocarvi i vasi con le ceneri dei defunti, i corredi e le offerte ai defunti. 109 Sulla descrizione della necropoli e le sue tombe si vedano: Aurigemma 1958, pp.19-63, pianta generale della necropoli a p.36; Al Nems – Abu Hamed 1978, pp. 35-45; Romanelli 1916, pp. 364. 110 Aurigemma 1958, p. 19, fig. n. 2, p. 20.
  • 63. 63 La tomba, ubicata nelle immediate vicinanze del muro di fondazione del forte, fu certamente scoperta nel Cinquecento durante la sua costruzione e in quella occasione furono rimosse e disperse le suppellettili. Ne è prova la mancanza della lastra d’arenaria che dal pozzetto chiudeva l’ accesso alla tomba, la presenza di terra penetrata nella camera funebre dopo l’individuazione della tomba e la presenza di un foro praticato nella parete rocciosa, nello spigolo nord-ovest da cui si penetrò in una tomba attigua, la n. 3, anch’essa spogliata di ogni suppellettile. Tomba n. 3 Una volta individuata si scoprì l’accesso alla tomba anche dal suo antico pozzetto. Il vano, ricavato come sempre dalla roccia arenaria, è a pianta111 rozzamente rettangolare di dimensioni m 3,10 x m 2,60. Anche queste pareti presentano sporgenze ed il tetto si incurva a volta. Anche qui, ai piedi dei tre gradini che portano alla camera funeraria, vi è una fossa rettangolare di disimpegno, fornita di un gradino. Una lastra di arenaria, ancora in situ chiudeva la porta. Anch’essa, come la precedente, fu rovistata, ma ci sono chiari segni che vi era stato praticato il doppio rito della inumazione e della cremazione. Un defunto era stato deposto sul ripiano lungo la parete nord e un altro lungo la parete est, dove furono raccolti frammenti di una cassetta di piombo con ossa bruciate. Sul ripiano sud furono raccolti un melograno in gesso, frammenti di ciotole e una piccola ampolla di terracotta. 111 Aurigemma 1958, p. 19, fig. n. 3, p. 21.
  • 64. 64 Tomba n. 4 La tomba n. 4112 fu scoperta, insieme alle prime tre, il primo maggio 1912, durante il lavori di scavo per la posa dei binari, prima che fosse avvertita la Sovraintendenza agli scavi e fosse stabilito un servizio di guardia al fine di evitare qualsiasi manomissione. La tomba a differenza della 2 e 3 ha il pozzetto d’accesso a levante e non a ponente della camera funeraria. La lastra di arenaria che fungeva da chiusura alla tomba era applicata direttamente alla bocca dell’ apertura di ingresso. L’interno appare lavorato con regolarità, le pareti, il ripiano e la volta, leggermente arcuata, sono rifiniti a piccoli colpi di scalpello. La pianta, sempre rettangolare, misura m 2,20 x m 1,95 , alta m 0,95. I gradini della fossa di disimpegno sono due. Anche questa, che doveva contenere molte anfore, vasi e cassette di piombo fu manomessa e molti arredi asportati. Si è trovata solo una grande quantità di ossa combuste sparse per tutto il ripiano di fondo. Tomba n. 5 Alla tomba n. 5113 si accede da un pozzetto che serviva di accesso anche alla tomba n. 11. La camera funeraria ha una forma quasi quadrata di m 2,09 x m 2,06, alta m 0,90. Alla fossa di disimpegno si scende da un solo scalino di m 0,35. La lastra di chiusura misurava m 0,51 x m 0,51 con un spessore di 12 cm. Anche questa è stata sicuramente manomessa; è comunque stata recuperata una grande anfora di forma all’incirca cilindrica, alta m 0,99, e terminante a punta. Sulla spalla vi era dipinto in rosso un numero e un nome di incerta lettura. 112 Aurigemma 1958, p. 21, fig. n. 4, p. 22. 113 Aurigemma 1958, p.24, fig. n. 5, p. 24.