2. GIP Tribunale Roma 4 aprile 2003
• I protocolli rivolti a «procedimentalizzare» la formazione e l'attuazione delle
decisioni dell'ente, ove vengano adottati successivamente al verificarsi dell'illecito,
devono eliminare le carenze organizzative che hanno determinato il reato.
• Non è idonea l'indicazione, quale componente dell'organismo di vigilanza, di un
soggetto già responsabile delle procedure del sistema ISO 9001 e della sicurezza
all'interno della società.
• E’ opportuno inserire nel modello organizzativo una disposizione che preveda una
deliberazione a maggioranza qualificata del consiglio di amministrazione per
apportare modifiche del modello stesso.
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3. GIP Tribunale Milano 27 aprile 2004
• Il soggetto apicale non trascina nella responsabilità l’Ente solo nell’ipotesi in cui si
possa provare che egli abbia frustrato con l’inganno l’intero sistema decisionale e
di controllo della società.
• La società ha un obbligo di scoprire ed eliminare tempestivamente le situazioni di
rischio e di eliminare le carenze organizzative mediante l’adozione e l’attuazione di
modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
• Non è sufficiente, al fine di evitare l’applicazione delle misure interdittive in sede
cautelare, il codice etico e di condotta.
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4. Tribunale di Milano, sezione per il riesame, 28
ottobre 2004
• L’efficacia di un modello organizzativo dipende quindi dalla sua idoneità in concreto
ad elaborare meccanismi di decisione e di controllo tali da eliminare o ridurre
significativamente l’area del rischio di responsabilità, ed ovviamente l’efficacia è da
collegarsi all’efficienza degli strumenti idonei non solo a sanzionare eventuali
illeciti, ma anche ad identificare le “aree di rischio” nell’attività della società …
nonché le “sintomatologie da illecito”, quali indubbiamente sono l’esistenza di
condotte riconducibili alla frode fiscale, o alle false comunicazioni sociali e,
soprattutto, la presenza di “fondi neri”, ritenuti a tutta evidenza dei red flag (ossia
situazioni a cui normalmente si connette la commissione di reati).
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5. II
• Non è certo un caso che sia le U.S. Sentencing Guidelines, sia le linee guida emanate dalle
associazioni di categoria italiane prevedano come essenziale e imprescindibile l’assoluta
trasparenza della contabilità quale presupposto indispensabile per la efficace attuazione di
un modello idoneo a prevenire la commissione di reati (così ad esempio nel modello
organizzativo di Enel del 2002 si prevede che qualunque omaggio a pubblici funzionari pur
appartenenti a paesi in cui l’elargizione di doni rappresenti una prassi diffusa debba essere
documentato in modo adeguato per consentire le prescritte verifiche): è infatti evidente
che in mancanza di trasparenza contabile qualunque modello di controllo verrebbe
ad essere assolutamente svuotato di reale significato e di efficacia ed avrebbe
esclusivamente il valore di una “raccomandazione” solo formale all’osservanza di un
codice etico di comportamento, con la conseguenza di privare di ogni efficacia e
significato l’adesione dei singoli paesi alle convenzioni internazionali suddette.
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6. GIP Tribunale Milano 20 settembre 2004
• L'individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi reati
presuppone un'analisi approfondita della realtà aziendale con l'obiettivo di
individuare le aree che risultano interessate dalle potenziali casistiche di reato.
• È altresì necessaria un'analisi delle possibili modalità attuative dei reati stessi.
Questa analisi deve sfociare in una rappresentazione esaustiva di come i reati
possono essere attuati rispetto al contesto operativo interno ed esterno in cui opera
l'azienda.
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7. II
• In questa analisi dovrà necessariamente tenersi conto della storia dell'ente - cioè delle sue
vicende, anche giudiziarie, passate - e delle caratteristiche degli altri soggetti operanti nel
medesimo settore.
• Questa analisi consente di individuare - sulla base di dati storici - in quali momenti della vita
e della operatività dell'ente possono più facilmente inserirsi fattori di rischio; quali siano
dunque i momenti della vita dell'ente che devono più specificamente essere parcellizzati e
procedimentalizzati in modo da potere essere adeguatamente ed efficacemente controllati:
ad esempio il momento della presentazione delle offerte per gli enti che partecipano ad
appalti pubblici; i contatti con la concorrenza; la costituzione di ATI; le modalità di
esecuzione degli appalti; l'analisi delle attribuzioni a soggetti esterni di consulenze (con
particolare riguardo al costo ed alla effettività delle stesse), la gestione delle risorse
economiche, le movimentazioni di denari all'interno del gruppo ecc.
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8. III
• Solo una analisi specifica e dettagliata può consentire un adeguato e dinamico
sistema di controlli preventivi e può consentire di progettare «specifici
protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni
dell'ente in relazione ai reati da prevenire».
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9. GIP Tribunale Napoli, 26 giugno 2007
• Allorchè il reato sia commesso da un soggetto apicale, il requisito soggettivo
di responsabilità dell'ente può ritenersi soddisfatto, giacchè il vertice
rappresenta ed esprime la politica di impresa
• Non è ipotizzabile un termine di c.d. tolleranza in ordine all’adozione del
Modello organizzativo, decorso il quale si potrebbe ritenere negligente l’ente
collettivo.
• Lo stato di disorganizzazione o di non adeguata ed efficace organizzazione
rendono l’ente pericoloso nell'ottica cautelare
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10. II
• L'oggetto della verifica rimessa al Giudice è, dunque, duplice, essendo necessaria
una valutazione sull'idoneità del modello e cioè sulla completezza, esaustività e
specificità delle sue previsioni, in punto di individuazione e tipizzazione delle misure
di organizzazione e di controllo, nonché sull'efficacia della sua attuazione, sulla
concreta misurazione dei presidi predisposti alla realtà effettuale ed operativa.
• La prima indagine va svolta sul modello, sul suo contenuto dichiarativo e descrittivo;
la seconda, comportando la valutazione di circostanze fattuali concrete, necessita di
ulteriori elementi e dati di natura obiettiva, alla cui emersione, nella fase del giudizio
ovvero nella fase incidentale della cautela, deve provvedere il soggetto su cui
incombe il relativo onere dimostrativo e cioè lo stesso ente che subisce il rischio
sostanziale del mancato accertamento
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11. III
• I modelli, in quanto strumenti organizzativi della vita dell'ente, devono
qualificarsi per la loro concreta e specifica efficacia e per la loro dinamicità:
essi devono scaturire da una visione realistica ed economica dei fenomeni
aziendali e non esclusivamente giuridico-formale.
• Quelli adottati ex post, dopo la contestazione anche provvisoria dell'illecito,
non possono prescindere dalle concrete vicende che hanno visto
coinvolto l'ente ed anzi devono considerare seriamente i segnali di rischio che
tali concrete vicende hanno evidenziato.
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12. IV
• Per le aree di maggiore rischio, avuto riguardo alla prospettazione accusatoria, e cioè
quelle che dovevano essere oggetto di specifica considerazione volta a scongiurare
rischi, rispetto alle quali, cioè, già vi erano specifici indicatori di rischio
(partecipazione a trattative e a gare di pubblico appalto, ivi compresa la fase di
prequalifica; stipula dei contratti, selezione di subappaltatori durante la fase di
esecuzione dei lavori, produzione di documentazione attestante l'esecuzione del
contratto), non risultano previsioni specifiche, procedure esattamente determinate e
determinabili, regole individuate anche nella loro rigida sequenza e funzionalmente
dirette a garantire il conseguimento di precisi risultati.
• La necessaria applicazione di un rigido metodo protocollare è del tutto carente.
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13. GUP Tribunale Milano (17 novembre 2009)
• L’impostazione seguita nella valutazione del Modello
I - La verifica della preesistenza del Modello rispetto ai reati contestati
II - La verifica generale del contenuto del Modello
III - La verifica specifica dell’idoneità del Modello in relazione alla prevenzione del
reato de quo
IV - La verifica dell’esistenza di specifico presidio procedurale del rischio di
aggiotaggio
V - La verifica dell’idoneità della specifica procedura
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14. II
VI - La verifica dell’istituzione dell’Organismo di vigilanza
VII - La verifica dell’idoneità dell’Organismo di vigilanza
VIII - Il riscontro dell’elusione fraudolenta
Il GUP ha pronunciato sentenza di proscioglimento della società ai sensi
dell’art 6 del d.lg. 231.
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15. Appello Milano (18 giugno 2012)
• Considerazioni sull’idoneità
• L’elusione fraudolenta quale “frode interna”
• L’effettiva attuazione del Modello
E’ stato confermato il proscioglimento della società
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16. Cass., V, 30 gennaio 2014, n. 4677.
Alcune affermazioni importanti:
- La responsabilità dell’ente non risiede nel non aver impedito il reato ex articolo 40 c.p.
- Non è soluzione sufficiente sottoporre l’OdV alle dipendenze del Presidente del Consiglio di
Amministrazione
- La conformità alle linee-guida di categoria non vale a conferire ai Modelli il crisma della
incensurabilità
- Il giudice non deve seguire personali convincimenti o opinioni soggettive nella valutazione dei
Modelli.
- L’elusione fraudolenta non coincide con la “mera violazione” del Modello.
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17. II
• La procedura de qua avrebbe dovuto prevedere anche un check finale sul comunicato
approvato dagli apicali e non soltanto sulla bozza di comunicato formato dagli uffici
aziendali
• Queste le parole della Corte:
se all’organo di controllo (l’OdV n.d.r.) non fosse almeno concesso di esprimere una dissenting
opinion sul prodotto finito (rendendo in tal modo almeno manifesta la sua contrarietà al contenuto
della comunicazione, in modo da mettere in allarme i destinatari), è evidente che il modello
organizzativo non possa ritenersi atto ad impedire la consumazione di un tipico reato di
comunicazione, quale l’aggiotaggio.
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18. III
• La Corte annullava la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte
d’Appello di Milano.
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19. Trib. Milano, 4 febbraio 2013, n. 13976
Caso «Truffa Derivati»:
Sulla base di tali considerazioni non risultano nemmeno ipotizzabili profili di rilievo ai fini
della verifica della sussistenza delle cause di esclusione della responsabilità dell’ente di cui
all’art 6 d.lg. 231/2001: tutte le società ritenute responsabili hanno certamente adottato
modelli di organizzazione e di gestione idonei, in astratto, a prevenire fatti come quelli fin qui
considerati, ma, come si è visto, i modelli preesistenti non risultano aver avuto alcuna efficacia
preventiva ed appaiono (ad una lettura non superficiale) solo una attenta precostituzione
di alibi, al solo fine di garantire ai funzionari di grado superiore una specie di impunità per
quanto eventualmente commesso dai vari sellers o traders nella stipula dei contratti effettuati.
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20. II
Le procedure allora in vigore prodotte dalle difese non sono quindi in alcun modo da
ritenersi concretamente efficaci e, per loro struttura, non erano in alcun modo idonee
a impedire reati di truffa ai danni di enti pubblici, come quelli qui contestati.
In particolare, l’unica procedura in vigore al momento dei fatti di cui si tratta e che avrebbe
potuto avere qualche rilevanza in questo procedimento, è quella relativa al corretto
trattamento dei clienti ed alla loro classificazione, che tuttavia, pur sussistente, non indica
alcuna misura idonea a prevenire eventi illegittimi o comunque eventualità di scorretto
trattamento, mentre i codici etici contengono soltanto un generico divieto di fatti illeciti, non
seguito da alcuna procedura idonea al controllo e all’impedimento degli stessi.
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21. Casistica ex art 25-septies
• Tribunale Milano, 26 settembre 2014
• Tribunale Catania, 14 aprile 2016
Procedimenti per omicidio colposo in cantiere ferroviario.
Nel primo caso: esclusione del reato e, quindi, dell’illecito dell’ente.
Nel secondo caso assoluzione degli enti nonostante la condanna delle persone
fisiche.
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22. II
• In entrambi i casi è stato valorizzato il sistema di gestione della
sicurezza sul lavoro, certificato OHSAS 18001.
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23. III
• Tribunale Trani – sez. Molfetta, 11 gennaio 2010
I DVR non coincidono con (e non esauriscono) il Modello:
Essi non possono in alcun modo costituire un surrogato di un modello organizzativo e
gestionale, che è stato congegnato per scopi diversi, anche se mediatamente sempre a favore dei
lavoratori, e che per questo risulta strutturato normativamente con precipue ramificazioni
attuative, ben marcate e polivalenti.
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24. IV
• Anche Tribunale Lucca, 31 luglio 2017, ha evidenziato la centralità della
individuazione dei rischi ai fini dell’idoneità del Modello 231.
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25. Modello e sistemi di gestione
• Un sistema aziendale di gestione della qualità non è equipollente ad un Modello 231
(Cass., VI, 41768/2017):
In particolare, per quanto riguarda il profilo attinente all'insussistenza del modello
organizzativo, la sentenza impugnata ha rilevato che i modelli aziendali ISO 9001
non possono essere ritenuti equivalenti ai modelli richiesti dal d.lgs. n. 231 del
2001, perché non contenevano l'individuazione degli illeciti da prevenire
unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio delle violazioni del
modello e si riferivano eminentemente al controllo della qualità del lavoro nell'ottica
del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi
tutelati dai reati in materia ambientale.
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26. II
• E' stato confermato quanto già ritenuto nei precedenti gradi di giudizio.
Tribunale Bari, 9 agosto 2013, La Fiorita
I Sistemi di gestione qualità, sicurezza, ambiente non coincidono con il Modello e non ne esauriscono il contenuto …
trattasi di “equivoco di fondo”
Anche Cass., II, 29 aprile 2016
(La Corte d’Appello) ribadiva inoltre l'irrilevanza a fini difensivi della certificazione ISO 9001 di cui l'azienda
era dotata, perché inerente in generale alla efficienza dell'azienda e non alle finalità di garanzia della legalità del
modello organizzativo prescritto dalla legge 231.
Quanto alle doglianze proposte dalla società condannata alla sanzione amministrativa, si deve ribadire la correttezza
di quanto ritenuto dai giudici di merito in relazione alla tipicità del modello di organizzazione dell'ente
a fini preventivi e la non surrogabilità dello stesso con certificazioni rilasciate ad altri fini.
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27. Paper compliance
• Corte di Cassazione, sezione VI, 17 marzo 2016 (ud. 12 febbraio 2016), n. 11442
La sentenza impugnata perviene al giudizio di inidoneità di tutte le cautele adottate a far data dal
2001 dalla (Y) s.p.a. - e quindi anche di quelle contenute nel modello -, evidenziandone le carenze,
consistite nella previsione di misure preventive solo «sulla carta» e nell'assenza di
alcun tipo di garanzia in grado di impedire o quanto meno rendere più difficile
la partecipazione dei rappresentanti della (Y) s.p.a. alla complessiva corruzione
attuata per aggiudicarsi i vari «treni» (quali il comitato di controllo, l'internal audit, ecc.).
Si tratta di un giudizio di fatto non affetto dai vizi denunciati, in quanto la sentenza impugnata non
ha tratto la prova dell'inidoneità del modello dalla mera commissione del reato di corruzione dai
rappresentanti dell'ente.
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28. II
• La Corte di appello, dopo aver esaminato le cautele organizzative apprestate e
averne stabilito la inidoneità, ha utilizzato quale argomento rafforzativo della
sussistenza della responsabilità dell'ente quello di aver adottato una politica
aziendale di mero formalismo cartolare («paper compliance policy»), come era
dato trarre dalla sistematica violazione da parte dei suoi responsabili della normativa
penale e dall'entità dei fondi impiegati nelle dazioni corruttive.
• Invero, nel caso in esame, dal giugno 2004 sino al dicembre 2004, nonostante
l'adozione del modello, si erano susseguite - senza alcuna soluzione di continuità
rispetto a quanto avvenuto in precedenza - le attività corruttive realizzate da (Y)
s.p.a. attraverso i suoi intermediari, che subivano una sospensione solo a seguito
dell'inizio delle investigazioni penali.
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29. Censura di indeterminatezza dell’art 6
• G.U.P. Tribunale di Milano (3 gennaio 2011)
Difesa:
L'assenza nell’esperienza giuridica italiana e nella prassi societaria di regole cautelari di condotta
non consente all'ente che intenda conformarsi alle prescrizioni del decreto di rinvenire adeguati
parametri normativi o giurisprudenziali per orientare le proprie scelte organizzative.
Parimenti il giudice, tradizionalmente estraneo per formazione e per esperienza
all’organizzazione di impresa ed alla governance aziendale, è privo di sicuri elementi di
valutazione per riconoscere l'adeguatezza del modello dopo la realizzazione del reato e,
pertanto, sarebbe inevitabilmente influenzato dalla distorsione cognitiva del post hoc, ergo propter
hoc (reato consumato ergo modello inadeguato).
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30. II
• Giudice:
Gli artt. 6 e 7 delineano un contenuto tipico dei Modelli e ciascun ente può mutuare le
prescrizioni organizzative di dettaglio dall'insieme della disciplina primaria e sub-
primaria di settore, dagli atti di autoregolamentazione vigenti e dalle linee
guida emanate dalle associazioni di settore.
Parimenti il giudice chiamato0 a delibare la idoneità di un modello organizzativo deve
far riferimento alla disciplina di un determinato settore con riferimento al tempo della
condotta criminosa in contestazione e verificare quali cautele organizzative siano state
adottate dall'ente per scongiurare un dato fatto criminoso e come le stesse in concreto
siano state attuate con riferimento al miglior sapere tecnico disponibile all'epoca.
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31. III
Il modello cautelare idoneo è, infatti, (come si desume, sul piano
metodologico, anche dal contenuto precettivo dell'art. 30 del d.lg. 81/2008)
quello forgiato dalle migliori conoscenze, consolidate e condivise nel
momento storico in cui è commesso l'illecito, in ordine ai metodi di
neutralizzazione o di minimizzazione del rischio tipico.
In tale prospettiva ermeneutica in cui acquista un rilievo estremamente
significativo il canone della esigibilità della legalità organizzativa, il giudice è non
già un produttore, bensì esclusivamente un consumatore di norme di
organizzazione.
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