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GLI INIZI DELLA FILOSOFIA E DELLA SCIENZA ARABA 
ll movimento islamico si trovò fin dai primi anni dopo l'egira (622) e la morte di Maometto (632) di 
fronte al problema della espansione politica e religiosa. In pochi anni, sotto il califfato di Omar 
(634-644), vennero conquistati l'Egitto, la Siria, le terre dell'impero persiano. Con la successiva 
dinastia omeiade le truppe musulmane si spinsero nel Turkestan, in direzione dell'India, ed in 
Spagna, dove crollò il regno visigoto; esse vennero fermate dagli imperatori della dinastia isaurica 
quando erano quasi giunte a Costantinopoli, e da Carlo Martello a Poitiers in Francia nel 732. 
Valendosi di dottrine provenienti dall'ebraismo e dal cristianesimo, oltre che di culti e concezioni 
proprie della penisola arabica, l'islamismo, esposto da Maometto nel Corano, aveva una teologia 
semplice, basata sulla esistenza di un dio unico (Allah), sulla vita ultraterrena e sulla credenza nel 
profeta. Malgrado ciò fin dai primi anni dispute politico-teologiche, basate sul ritenere autentiche o 
meno alcune parti del Corano, divisero il mondo arabo, ed alla ortodossia sunnita si oppose il 
movimento sciita che, per alcune teorie, si avvicinava al culto persiano della luce. 
Nell'impero conquistato dagli arabi si mescolavano già da tempo le tendenze culturali più diverse; 
ad esempio in Persia si era venuta consolidando, sotto la protezione dei Sassanidi (la dinastia 
deposta appunto nel 640), una fiorentissima scuola filosofico-scientifica, nella quale confluivano 
parecchi elementi dell'antica cultura ellenica con influenze della cultura indiana. I nuovi 
conquistatori si fecero ben presto eredi di tali tendenze, e si può asserire che per alcuni secoli, 
mentre il livello generale degli studi declinava rapidamente in occidente, la filosofia e la scienza 
greche abbiano trovato una nuova vita nel mondo musulmano. 
La maggior fioritura intellettuale islamica si ebbe con la dinastia degi Abassidi, che si 
impadronirono del califfato nel 750. Famiglia di tradizione persiana, e perciò particolarmente 
sensibile ai valori della cultura, gli Abassidi trasportarono la capitale a Bagdad dove nell'828 venne 
istituito un importante osservatorio astronomico (nel quale lavorarono e insegnarono per lungo 
tempo valentissimi studiosi) e nell'832 venne fondata, ad opera del califfo Al-Mamun, una vera 
scuola di traduttori, che si trasformò poi in università. L'istituzione ebbe una vita gloriosa per quasi 
quattro secoli, ma risentì del progressivo indebolimento dell'impero musulmano, dovuto sia 
all'autonomia di importanti regioni (gli emirati di Spagna, dell'Africa settentrionale, d'Egitto), sia 
all'invasione dei turchi Selgiucidi che nel 1055 si impossessarono del califfato. L'università di 
Bagdad ricevette il colpo finale con l'invasione dei mongoli, che saccheggiarono e distrussero la 
città nel 1258. 
Fra l'VIII ed il X secolo furono tradotte in arabo le opere che venivano studiate nelle tarde scuole di 
Alessandria e della Siria, Dapprima i traduttori, per lo più cristiani, si valsero di versioni siriache, 
ma in seguito essi si rivolsero direttamente agli originali greci, elaborando, per merito del 
nestoriano Hunain (fine del IX secolo), dei criteri filologici di notevole livello. Loro merito è anche 
la creazione della lingua filosofica e scientifica araba, la cui precisa terminologia tecnica ha 
influenzato profondamente le lingue scientifiche moderne. 
I filosofi arabi, che non conoscevano il greco, poterono così avere familiarità con Plotino e con 
Galeno (alcune delle sue opere ci sono oggi conservate solo nella traduzione araba), con il Corpus 
ippocratico, con Euclide e Tolomeo, con gli scritti ermetici e perfino con alcuni dialoghi di Platone 
(il Timeo, la Repubblica, le Leggi); il loro interesse si accentrò soprattutto sul pensiero di 
Aristotele, che conobbero sia nelle opere originali sia attraverso i commentari dei neoplatonici 
(Filopono), di Temistio e di Alessandro di Afrodisia. 
Il primo pensatore arabo di rilevante importanza fu Al-Kindi, morto a Bagdad verso l'873, che 
scrisse un gran numero di commenti ad Aristotele. Al-Kindi interpretò l'intelletto attivo come 
qualcosa di unico per tutti gli uomini, e vide l'avvicinarsi a dio come fine ultimo della filosofia. 
Notevoli in Al-Kindi sono anche gli interessi scientifici, che abbracciano la matematica e la fisica, 
la musica e la medicina, l'astrologia e la geografia. 
All'inizio del secolo seguente insegnò a Bagdad un altro importante pensatore, Al-Farabi (morto nel 
950) famoso anche come matematico e come medico. Come Al-Kindi, anche Al-Farabi scrisse
molti commenti ad Aristotele, che interpretò in maniera neoplatonica, tentando di accomunare il 
pensiero dello stagirita a quello di Platone. Egli cercò anche di conciliare la ricerca filosofica con la 
religione dell'Islam; ed interpretò l'intelletto agente come unico e separato dalle singole anime, pur 
senza identificarlo con dio. La metafisica di Al-Farabi pone dio come essere necessario 
completamente libero, la cui esistenza non si aggiunge all'essenza ma si identifica con essa. Dio non 
può produrre che essere eterni, e crea l'intelletto primo. Questo a sua volta genererà il secondo 
intelletto e così via fino all'intelletto che genera il mondo sublunare, che è completamente 
contingente. 
AVICENNA. 
Con l'XI secolo la filosofia araba giunse al suo periodo aureo. Agli inizi del secolo; fra il 980 ed il 
1036, visse Avicenna (Ibn Sina). Nato a Bukhara, di cui suo padre era governatore, Avicenna si 
occupò di ogni genere di studi, oltre che di politica (fu egli stesso visir di Hamadan e di Ispahan), e 
fu famoso soprattutto come medico. Il suo Canone di medicina, che era studiato e pubblicato ancora 
in pieno Cinquecento, si ispirava alla teoria ippocratica degli umori, ed era di un'esemplare 
chiarezza per la esposizione della diagnosi e delle cure delle maggiori malattie allora conosciute. 
Principalmente nell'Ashi-shifa (La guarigione), una specie di grande enciclopedia filosofica, 
Avicenna diede un'interpretazione e rielaborazione generale del peripatetismo, sotto l'influenza dei 
commenti neoplatonici e dei motivi mistici della tradizione araba. Egli stesso dichiara che 
nell'aristotelismo non è racchiusa l'intera verità; questa consiste invece nell'identificazione mistica 
dell'essenza divina con la suprema sfera celeste: tesi contenuta nel trattato La filosofia orientale, che 
rimase sconosciuto in occidente. Merita di venire ricordato che quattro parti dell' Ash-shifa erano 
dedicate alle discipline del quadrivio; di particolare importanza quella che trattava di aritmetica 
nella quale -- sulla scia già aperta da Ben-Musa -- veniva ampiamente illustrata l'estrema utilità 
della scrittura decimale dei numeri (vi si esponeva fra l'altro la prova del 9). 
Come già Al-Farabi, Avicenna distingue nettamente fra dio, essere necessario in cui si identificano 
essenza ed esistenza, e le cose create solamente possibili, in cui l'essenza non implica affatto 
l'esistenza. Un'ampia gerarchia di tipo neoplatonico procede da dio al mondo, attraverso una serie di 
intelligenze motrici. Anche il mondo è eterno e incorruttibile, in quanto la sua causa è eterna: 
l'affermazione coranica per cui il mondo creato sarebbe posteriore nel tempo all'intelligenza 
creatrice, vale solo per coloro che non sanno comprendere; in verità il mondo è solo meno sublime, 
perché meno vicino a dio. Coerentemente al riconoscimento del carattere necessario dell'essere, 
Avicenna difese la possibilità di prevedere il futuro attraverso lo studio degli astri. 
Nell'ambito del problema della conoscenza infine Avicenna ritenne l'intelletto agente unico e 
superiore agli intelletti passivi dei singoli uomini, ed affermò che gli universali esistono ante rem, in 
dio, come idee; in re, come forme sostanziali delle singole cose; post rem, nell'uomo, come concetti 
ricavati per astrazione dall'esperienza. 
IL MISTICISMO DI AL-GHAZALI 
Alla diffusione delle dottrine aristoteliche nel mondo islamico reagì, alla fine del secolo, Al-Ghazali 
(1058-1111), anch'egli di origine orientale. La sua polemica, rivolta particolarmente contro Al- 
Farabi ed Avicenna, è esposta ne. trattato La disiruione dei filosofi. Egli si dimostra preoccupato 
soprattutto di salvare l'indipendenza di dio, compromessa dall'idea dell'assoluta necessità del mondo 
e della sua eternità. Con un'aspra critica del principio di causalità egli afferma che la volontà divina 
è assolutamente libera ed imprevedibile. 
E' interessante notare come la polemica di Al-Ghazali sia condotta sempre con metodo strettamente 
razionale, mettendo in luce la debolezza della ragione e la sua inapplicabilità ai problemi che 
esulano dal campo della dimostrazione. La sua critica sfocia così in un generale scetticismo verso le 
conquiste della ragione, che si concilia però con la fiducia mistica nei dogmi della fede.
AVEMPACE 
In seguito la metafisica neoplatonica di Avicenna venne ripresa in senso mistico da Avempace (Ibn 
Bagiah), filosofo e scienziato arabo-spagnolo, morto nel 1138. Ad Avempace più che il movimento 
discendente da dio al mondo interessò quello ascendente dell'anima a dio, che egli espose nel 
trattato Sul regime del solitario. Le teorie mistiche di Avempace furono sviluppate da Abubacer 
(Abu Bckr Ibn Tufail), medico-filosofo dei califfi di Granada, morto nel 1185. Il protagonista del 
suo romanzo mistico Il vivente, figlio del vigilante è libero da ogni influenza sociale, nasce dalla 
terra e vive in un'isola deserta. 
AVERROE' 
Il maggiore filosofo della tradizione musulmana è Averroè (Ibn Rushd), nato a Cordova nel 1126, e 
morto nel 1198 nel Marocco, dopo aver subito persecuzioni ed esser stato esiliato per il suo 
atteggiamento di pensatore libero dalla ortodossia della tradizione religiosa. Dopo avere studiato fin 
da giovane il diritto e la medicina (scrisse una famosa enciclopedia medica dal titolo Liber 
universalis de medicina), egli si dedicò soprattutto alla filosofia aristotelica. l suoi commenti ad 
Aristotele lo resero famoso in tutta la posteriore filosofia occidentale come il « commentatore » per 
eccellenza. In questi commenti egli si propose di ritornare al significato vero dell'opera dello 
stagirita, che egli riteneva « la più alta perfezione umana », e da cui si erano distaccate le 
interpretazioni di Al-Farabi e di Avicenna. Pur rimanendo egli pure impregnato di motivi 
neoplatonici, la sua fedeltà ad Aristotele lo portò, nel suo commento all'Almagesto, a respingere 
l'astronomia tolemaica e la teoria degli epicicli e degli eccentrici. 
All'opera di Al-Ghazali, La distrazione dei filosofi, ed a coloro che, in nome della pura fedeltà al 
Corano, si opponevano alle pretese della filosofia, Averroè oppose l'opera La distruzione della 
distruzione dei filosofi, ove cercò di dimostrare che rivelazione e filosofia, muovendosi in piani 
diversi, non possono contraddirsi. La filosofia ha però un compito più elevato, quasi di religione, 
per gli uomini intellettualmente più preparati. Dio non è arbitrio assoluto, come afferma il 
misticismo di Al-Ghazali, ma principio di razionalità. 
Opponendosi ad Avicenna, che concepiva il mondo come una serie di essenze, emananti una 
dall'altra, Averroè riteneva che le sostanze individuali siano la realtà, e che l'essenza non abbia una 
realtà distaccata dall'individuo. Gli individui reali, ordinati da un identico fine, sarebbero composti 
di materia e forma, potenza ed atto. La forma pertanto non sarà, come per Avicenna, derivata da una 
forma esterna, separata, l'intelletto agente o dator formarum; non occorre in realtà introdurre nulla 
di esterno nella materia, ma solo farla passare dalla potenza all'atto. Ciò presuppone che la causa di 
questo sia già in atto, fino ad arrivare alla causa prima, atto puro. Il mondo è per Averroè eterno 
perché il principio del suo movimento, dio, è eterno ; ma il movimento non giunge al mondo 
sublunare direttamente dal motore immobile. Questo infatti muoverà il cielo delle stelle fisse, ed il 
movimento si propagherà via via per i vari cieli intermedi. 
Anche la conoscenza non è che un passaggio dalla potenza all'atto, dalle immagini dei sensi ai 
concetti. Ma l'intelletto materiale non può giungere ai concetti se non è illuminato dall'intelletto 
agente, il quale fa sì che « i concetti intelligibili in potenza passino in atto ». L'« intelletto materiale 
» illuminato dall'« intelletto agente » viene da Averroè chiamato « intelletto acquisito ». Per 
Averroè l'intelletto agente è sostanza separata unica per tutti gli uomini. Anche l'intelletto materiale 
non è individuale ma unico, e si diversifica nei vari individui solo perché sono particolari le 
immagini che riceve dai sensi. In questa dottrina è evidente la negazione dell'immortalità 
individuale, per affermare l'immortalità e la stabilità dell'inte lletto e della scienza. 
La filosofia di Averroè è per alcuni punti, quali ad esempio l'eternità del mondo e la negazione 
dell'immortalità dell'individuo, assai lontana dalla predicazione coranica. Come giungere ad una
conciliazione? Averroè afferma che la predicazione del Corano ha una validità letterale per gli 
incolti, mentre la filosofia studia il senso nascosto di tale rivelazione. La ricerca filosofica deve 
rimanere strettamente riservata allo scienziato, in modo da non portare confusione ed eresie fra il 
popolo, ma deve avere uno sviluppo pieno e libero, rinunciando ad ogni compromesso con la 
religione popolare. 
« Secondo i filosofi le religioni sono necessarie perché guidano verso la saggezza in una direzione 
comune a tutti gli esseri umani; laddove la filosofia dirige alla conoscenza della felicità solo un 
certo numero di persone intelligenti, che devono apprendere la saggezza, le religioni mirano 
all'istruzione delle masse in genere... Perciò fa parte integrante dell'eccellenza del sapiente il non 
disprezzare le dottrine religiose in cui è cresciuto, spiegarle nelle più lontane contrade, comprendere 
che queste dottrine valgono soprattutto per i loro aspetti universali, non per i particolari, e che, se 
esprime un dubbio circa i principi religiosi in cui è cresciuto, o li spiega in contrasto con i profeti, 
scostandosi dal loro cammino, il sapiente merita più d'ogni altro di vedersi applicare la qualifica di 
miscredente, ed è degno di pena per mancanza di fede nella religione in cui è cresciuto. » 
Gli averroisti latini parleranno a questo proposito di « doppia verità », e manterranno un ossequio 
del tutto esteriore ai dogmi della religione, accanto alla costruzione di teorie filosofiche e 
scientifiche ormai del tutto razionalistiche. 
GLI ARABI E LA SCIENZA 
Gli arabi cominciarono nei secoli VIII-X a compiere una serie di traduzioni dei capolavori della 
scienza greca, che furono alla base della loro cultura scientifica. Una particolare attenzione essi 
portarono alla medicina che fu coltivata quasi da tutti i filosofi di cui si è parlato. Famoso medico fu 
soprattutto Al-Rhazes (865-925), di origine persiana come molti degli scienziati e dei filosofi 
dell'Islam. Oltre alla gigantesca enciclopedia medica, tradotta in latino nel XIII secolo col titolo cli 
Continens, è celebre il suo trattato sulla rosolia e sul vaiolo. 
Merito degli scienziati arabi è pure la radicale trasformazione dell'alchimia, che si proponeva di 
preparare un elisir di lunga vita e di mutare i più vili metalli in oro. Ancora profondamente 
influenzata dalle scienze occulte alessandrine è la prima opera araba di alchimia, tradotta in latino 
col titolo di Turba pbilosophorum (un dialogo i cui personaggi sono tutti filosofi presocratici), e 
composta verso la fine del IX secolo. A questo stesso periodo risalgono anche le opere di Geber 
(Gabir Ibn Hayyan), che per la teoria dei rapporti numerici - ogni corpo sarebbe l'espressione di un 
rapporto numerico di equilibrio delle « nature » che entrano nella sua composizione - è stato 
considerato un autentico precursore della chimica moderna. Geber si occupò tra l'altro dei metodi di 
raffinamento dei metalli, di preparazione dell'acciaio, di colorazione della seta, ed attribuì 
particolare importanza allo zolfo e al mercurio, che rappresenterebbero il fuoco e la liquidità. Ad un 
altro famoso alchimista arabo del XII secolo, Al-Khazini, spetta invece il merito di avere descritto 
una mirabile bilancia di precisione, mediante la quale egli determinò, con buona approssimazione, il 
peso specifico di una cinquantina di sostanze. Agli alchimisti arabi noi dobbiamo pure le 
indicazioni per la preparazione di alcuni importanti acidi, come l'acido solforico e l'acido nitrico, e 
la costruzione di alcuni essenziali strumenti di laboratorio (storte, alambicchi, ecc.). 
Questi pochi cenni possono bastare a dimostrarci come l'interesse degli arabi per le ricerche 
alchimistiche si inquadrasse direttamente nel loro interesse generale per tutto quanto riguardava la 
pratica; vedremo fra breve che un impegno pratico è riscontrabile perfino nelle loro indagini 
matematiche. Proprio esso sta alla base dei notevoli progressi che la civiltà araba realizzò in 
pressoché ogni campo della tecnica, e che si sforzò di introdurre sistematicamente nei paesi via via 
conquistati (è noto il grande incremento dell'irrigazione che i conquistatori arabi portarono in 
Spagna). 
Oltreché nella medicina, nell'alchimia e nella tecnologia, gli scienziati dell'Islam seppero
conquistarsi un posto eminente anche nella fisica vera e propria. 
Il maggior fisico musulmano fu Alhazen (Ibn Al-Hasan), vissuto in Egitto fra la fine del X secolo e 
l'inizio dell'XI. Egli fu autore di un celebre trattato di ottica, ben presto tradotto in latino con il titolo 
Opticae thesaurus, nel quale si trova per la prima volta descritta con esattezza la struttura 
dell'organo della vista con le sue parti fondamentali (umor acqueo, cristallino, cornea, retina). 
Alhazen dimostrò, fra l'altro, che i raggi visivi non partono dall'occhio per giungere all'oggetto 
luminoso, ma da quest'ultimo per giungere all'occhio. Se possiamo asserire che l'ottica geometrica 
fu creata dai greci, dobbiamo riconoscere che l'ottica fisiologica risale invece agli arabi e in 
particolare ad Alhazen. L'Opticae thesaurus sarà largamente utilizzato in occidente da Vitellione e 
da Ruggero Bacone, e sarà ancora attentamente studiato nel Cinquecento dal grande keplero. 
Un altro campo nel quale gli scienziati arabi si conquistarono altissimi meriti fu quello delle 
discipline matematico-astronomiche, ove seppero attingere preziosi insegnamenti tanto dal grande 
patrimonio accumulato dagli studiosi greci quanto dalle nuove idee provenienti dall'India. Anche se 
non raggiunsero quasi mai una produzione ad alto livello veramente originale, il solo fatto di avere 
assimilato e trasmesso due tradizioni scientifiche come quella greca e quella indiana, trovando 
spesso il modo di integrarle l'una con l'altra, costituisce un titolo di benemerenza che la storia della 
civiltà deve loro indiscutibilmente riconoscere. 
In arabo furono tradotte tutte le principali opere della matematica greca, ed anzi alcune di esse - 
come il commento di Pappo al libro X degli Elementi di Euclide ed alcune opere di Apollonio – si 
sono conservate solo nella versione araba. Per quanto riguarda i rapporti con la matematica indiana, 
basti ricordare che spetta agli arabi il merito di aver trasmesso alla civiltà occidentale l'uso della 
scrittura posizionale dei numeri in base dieci, ricavata appunto dalla scienza indiana, scrittura di cui 
gli arabi seppero immediatamente comprendere la grande utilità applicandola con successo anche ai 
calcoli necessari per la tenuta dei registri commerciali. 
Il califfo Al-Mamun, fondò nell'828 l'osservatorio astronomico di Bagdad. A questo califfo furono 
legate in particolare la persona e l'attività del grande matematico persiano Mohamed Ben-Musa Al- 
Khowarizmi, fiorito fra l'813 e l'833, generalmente riconosciuto come l'iniziatore della matematica 
araba. Ed infatti è proprio per incarico di Al-Mamun, che Ben-Musa scrisse i suoi tre più importanti 
trattati: una raccolta di tavole astronomiche, un trattato di aritmetica e uno di algebra. 
Il primo va soprattutto menzionato perché l'autore vi fa uso, nella risoluzione dei triangoli, delle 
funzioni seno, coseno e tangente di un arco, invece di prendere in esame (come facevano gli 
astronomi greci) la sola corda dell'arco. Il secondo è importante perché spiega le operazioni 
aritmetiche elementari e le loro proprietà, facendo riferimento alla rappresentazione decimale dei 
numeri; i problemi trattati hanno per lo più un carattere pratico (sono problemi della vita comune, di 
tecnica commerciale, ecc.), ma proprio questo fatto sta alla base della rapida diffusione - anche in 
ambito non strettamente scientifico - del nuovo sistema di scritturazione numerica. Il terzo affronta i 
problemi caratteristici di quella parte della matematica che noi chiamiamo « algebra » elementare, 
la quale attinse il proprio nome per l'appunto dal titolo dell'opera di Ben-Musa: Al gebr al 
mukabala. Va sottolineato che dal nostro autore deriva pure il termine « algoritmo » (di uso comune 
nell'algebra moderna), la cui radice è legata al nome Al-Khowarizmi con cui i latini useranno 
indicare Ben-Musa (in realtà proprio con questo nome iniziava il titolo del suo trattato di 
aritmetica). Sappiamo che parecchi problemi algebrici erano già stati trattati dai matematici greci, 
ma la loro esposizione era svolta in termini sostanzialmente geometrici. Il nuovo modo di esporli e 
discuterli, usato dagli arabi, apre la via a una trattazione autonoma di essi, molto più generale e 
senza dubbio più agevole (perché basata su procedure regolate da leggi ben determinate): è la via 
che porterà all'algebra propriamente detta. 
Non ci sembra necessario soffermarci sui particolari progressi tecnici dei continuatori dell'algebra 
di Ben-Musa; aggiungeremo invece qualche parola sulle concezioni astronomiche degli arabi, più
direttamente collegate allo sviluppo generale del pensiero scientifico-filosofico. 
Va detto innanzitutto che a base dell'astronomia (come pure della geografia) dell'Islam dobbiamo 
collocare la traduzione di Tolomeo, a cui gli scienziati arabi aggiunsero nuovi calcoli ed 
osservazioni, che poterono compiere anche con gli importanti strumenti scientifici, come l 
'astrolabio, da essi inventati o perfezionati. 
Il maggiore astronomo del mondo arabo fu Albatenio (Al-Battani), vissuto in Mesopotamia 
all'inizio del X secolo. Pur professandosi discepolo di Tolomeo, egli fu studioso spesso originale, 
attento osservatore dei fenomeni celesti, fornito di notevole senso critico, e proprio perciò disposto - 
ove necessario - a correggere e aggiornare l'astronomia tolemaica. Nella trattazione matematica 
dell'astronomia preferì - distaccandosi dai greci — far uso, come già Ben-Musa, delle funzioni 
trigonometriche anziché della misurazione delle corde, e in tal modo diede un contributo decisivo 
alla diffusione della trigonometria nel senso moderno del termine. In base a precise osservazioni 
degli astri e delle loro orbite, compose nuove carte astronomiche e calcolò nuovamente la 
precessione degli equinozi. Le sue ricerche furono proseguite da Abril Wafa, vissuto nella seconda 
metà del X secolo, autore di un proprio Almagesto, profondo cultore di trigonometria sferica 
oltreché di quella piana. 
Nel secolo seguente, in Egitto l'astronomo Ibn Yunus registrò le osservazioni delle eclissi lunari e 
solari, e in Persia l'astronomo, filosofo, matematico e poeta Omar Khayyam operò un'importante 
riforma del calendario introducendo gli anni bisestili. 
Più geografo che astronomo fu invece Al-Biruni (973-1048), uno dei più grandi eruditi dell'Islam, 
che calcolò con molta esattezza la latitudine e la longitudine di varie località, e ci lasciò una 
preziosa descrizione di alcune parti dell'India. Nel campo degli studi di trigonometria va ricordato 
che Al-Biruni scrisse inizialmente un trattato basato unicamente sulla nozione di « corda » (usata, 
come sappiamo, dai greci). In opere successive mise a punto il rapporto fra tale nozione e quella di 
seno, illustrando criticamente i vantaggi di quest'ultima, come pure delle altre funzioni ad essa 
collegate (coseno, tangente, ecc.) nello sviluppo delle indagini trigonometriche. 
Al-Biruni fu inoltre valente studioso di algebra, nella quale affrontò alcuni problemi di terzo grado. 
Ebbe diversi discepoli che proseguirono e perfezionarono la sua opera. 
Va infine ricordato il forte interesse degli arabi per la storia della scienza, in particolare per la storia 
della matematica e più ancora per quella della medicina. Già alla fine del X secolo un libraio di 
Bagdad, Ibn An-Nadim, in un famoso elenco di tutti gli autori a lui noti e dei loro scritti, aveva dato 
numerose notizie storiche per ogni materia; verso la metà del secolo seguente Said Ben-Ahmad, un 
erudito di Toledo, scriverà una vera e propria storia della scienza, dando un interessantissimo 
quadro complessivo dell'attività scientifica, a lui nota, di indiani, persiani, caldei, greci, egiziani e 
arabi. 
Il dibattito filosofico moderno nel mondo arabo 
Attualmente, data la situazione sociale, le guerre e la presenza di governi oppressivi in buona parte 
dell’Oriente, gli uomini di cultura arabi sono sempre più rari rispetto al remoto passato, ma molti di 
essi, dal Marocco alla Siria, hanno riflettuto sulla crisi storica della società, di pensiero e forse 
anche di identità che imperversa nel mondo arabo-islamico in senso lato. Ognuno ha cercato di 
analizzarla da una prospettiva diversa che va a completare sempre più un quadro analitico e 
sociologico. Si passa infatti dalla volontà di comprendere il funzionamento della ragione araba e di 
determinare le condizioni del suo rinnovamento di Mohammed ʽAbd al-Jabri (1936-2010), 
all’approccio ipertestuale di Abdallah Laroui, nel voler paragonare l’Islam con vari punti nodali 
quali lo stato, la libertà e il concetto di modernità. In contrapposizione al primo autore si posiziona 
George Tarabishi, intellettuale siriano, che ha addirittura parlato di “opportunismo epistemologico”
di al-Jabri. Secolarismo è la sua parola chiave, sostenendo che l’Islam è soltanto una religione e che 
le pratiche sociali sono sempre state secolari. Teso a sostenere e a difendere il modernismo e 
l’illuminismo islamico, è poi Mohammed Arkoun (1928-2010), che tra Algeri e la Sorbona, ha 
riflettuto su come si possa ripensare l’Islam nel mondo contemporaneo, sempre in modo 
equilibrato. La maggior parte degli intellettuali arabi sembra comunque concordare su una serie di 
punti principali. Innanzitutto essi ritengono che dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il terzo 
mondo è man mano sprofondato in un baratro senza equilibrio sia da un punto di vista militare che 
politico. In secondo luogo, l’ordine politico nei paesi arabi ha raggiunto un livello di squilibrio e il 
margine di povertà si è allargato sempre più. Inoltre, l’avanzare della globalizzazione come 
fenomeno inevitabile, ha permesso alle correnti islamiste di guadagnare sempre più terreno, unendo 
però anche culturalmente il mondo arabo. Queste considerazioni comuni fanno però solo da sfondo 
ad un panorama assai variegato, che i vari intellettuali hanno dipinto con i loro studi e le loro idee 
innovative e di analisi critica. 
Proprio questo pensiero rivoluzionario porta spesso gli attuali uomini di cultura arabi a essere 
fortemente disprezzati dai conservatori, come nel caso di Hassan Hanafi, che ha creato un’idea di 
“sinistra islamica”, ma è stato accusato di eresia ed apostasia, e verso il quale è stata addirittura 
emanata una fatwa che lo condanna come tale.

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Uomini di cultura nel mondo arabo

  • 1. GLI INIZI DELLA FILOSOFIA E DELLA SCIENZA ARABA ll movimento islamico si trovò fin dai primi anni dopo l'egira (622) e la morte di Maometto (632) di fronte al problema della espansione politica e religiosa. In pochi anni, sotto il califfato di Omar (634-644), vennero conquistati l'Egitto, la Siria, le terre dell'impero persiano. Con la successiva dinastia omeiade le truppe musulmane si spinsero nel Turkestan, in direzione dell'India, ed in Spagna, dove crollò il regno visigoto; esse vennero fermate dagli imperatori della dinastia isaurica quando erano quasi giunte a Costantinopoli, e da Carlo Martello a Poitiers in Francia nel 732. Valendosi di dottrine provenienti dall'ebraismo e dal cristianesimo, oltre che di culti e concezioni proprie della penisola arabica, l'islamismo, esposto da Maometto nel Corano, aveva una teologia semplice, basata sulla esistenza di un dio unico (Allah), sulla vita ultraterrena e sulla credenza nel profeta. Malgrado ciò fin dai primi anni dispute politico-teologiche, basate sul ritenere autentiche o meno alcune parti del Corano, divisero il mondo arabo, ed alla ortodossia sunnita si oppose il movimento sciita che, per alcune teorie, si avvicinava al culto persiano della luce. Nell'impero conquistato dagli arabi si mescolavano già da tempo le tendenze culturali più diverse; ad esempio in Persia si era venuta consolidando, sotto la protezione dei Sassanidi (la dinastia deposta appunto nel 640), una fiorentissima scuola filosofico-scientifica, nella quale confluivano parecchi elementi dell'antica cultura ellenica con influenze della cultura indiana. I nuovi conquistatori si fecero ben presto eredi di tali tendenze, e si può asserire che per alcuni secoli, mentre il livello generale degli studi declinava rapidamente in occidente, la filosofia e la scienza greche abbiano trovato una nuova vita nel mondo musulmano. La maggior fioritura intellettuale islamica si ebbe con la dinastia degi Abassidi, che si impadronirono del califfato nel 750. Famiglia di tradizione persiana, e perciò particolarmente sensibile ai valori della cultura, gli Abassidi trasportarono la capitale a Bagdad dove nell'828 venne istituito un importante osservatorio astronomico (nel quale lavorarono e insegnarono per lungo tempo valentissimi studiosi) e nell'832 venne fondata, ad opera del califfo Al-Mamun, una vera scuola di traduttori, che si trasformò poi in università. L'istituzione ebbe una vita gloriosa per quasi quattro secoli, ma risentì del progressivo indebolimento dell'impero musulmano, dovuto sia all'autonomia di importanti regioni (gli emirati di Spagna, dell'Africa settentrionale, d'Egitto), sia all'invasione dei turchi Selgiucidi che nel 1055 si impossessarono del califfato. L'università di Bagdad ricevette il colpo finale con l'invasione dei mongoli, che saccheggiarono e distrussero la città nel 1258. Fra l'VIII ed il X secolo furono tradotte in arabo le opere che venivano studiate nelle tarde scuole di Alessandria e della Siria, Dapprima i traduttori, per lo più cristiani, si valsero di versioni siriache, ma in seguito essi si rivolsero direttamente agli originali greci, elaborando, per merito del nestoriano Hunain (fine del IX secolo), dei criteri filologici di notevole livello. Loro merito è anche la creazione della lingua filosofica e scientifica araba, la cui precisa terminologia tecnica ha influenzato profondamente le lingue scientifiche moderne. I filosofi arabi, che non conoscevano il greco, poterono così avere familiarità con Plotino e con Galeno (alcune delle sue opere ci sono oggi conservate solo nella traduzione araba), con il Corpus ippocratico, con Euclide e Tolomeo, con gli scritti ermetici e perfino con alcuni dialoghi di Platone (il Timeo, la Repubblica, le Leggi); il loro interesse si accentrò soprattutto sul pensiero di Aristotele, che conobbero sia nelle opere originali sia attraverso i commentari dei neoplatonici (Filopono), di Temistio e di Alessandro di Afrodisia. Il primo pensatore arabo di rilevante importanza fu Al-Kindi, morto a Bagdad verso l'873, che scrisse un gran numero di commenti ad Aristotele. Al-Kindi interpretò l'intelletto attivo come qualcosa di unico per tutti gli uomini, e vide l'avvicinarsi a dio come fine ultimo della filosofia. Notevoli in Al-Kindi sono anche gli interessi scientifici, che abbracciano la matematica e la fisica, la musica e la medicina, l'astrologia e la geografia. All'inizio del secolo seguente insegnò a Bagdad un altro importante pensatore, Al-Farabi (morto nel 950) famoso anche come matematico e come medico. Come Al-Kindi, anche Al-Farabi scrisse
  • 2. molti commenti ad Aristotele, che interpretò in maniera neoplatonica, tentando di accomunare il pensiero dello stagirita a quello di Platone. Egli cercò anche di conciliare la ricerca filosofica con la religione dell'Islam; ed interpretò l'intelletto agente come unico e separato dalle singole anime, pur senza identificarlo con dio. La metafisica di Al-Farabi pone dio come essere necessario completamente libero, la cui esistenza non si aggiunge all'essenza ma si identifica con essa. Dio non può produrre che essere eterni, e crea l'intelletto primo. Questo a sua volta genererà il secondo intelletto e così via fino all'intelletto che genera il mondo sublunare, che è completamente contingente. AVICENNA. Con l'XI secolo la filosofia araba giunse al suo periodo aureo. Agli inizi del secolo; fra il 980 ed il 1036, visse Avicenna (Ibn Sina). Nato a Bukhara, di cui suo padre era governatore, Avicenna si occupò di ogni genere di studi, oltre che di politica (fu egli stesso visir di Hamadan e di Ispahan), e fu famoso soprattutto come medico. Il suo Canone di medicina, che era studiato e pubblicato ancora in pieno Cinquecento, si ispirava alla teoria ippocratica degli umori, ed era di un'esemplare chiarezza per la esposizione della diagnosi e delle cure delle maggiori malattie allora conosciute. Principalmente nell'Ashi-shifa (La guarigione), una specie di grande enciclopedia filosofica, Avicenna diede un'interpretazione e rielaborazione generale del peripatetismo, sotto l'influenza dei commenti neoplatonici e dei motivi mistici della tradizione araba. Egli stesso dichiara che nell'aristotelismo non è racchiusa l'intera verità; questa consiste invece nell'identificazione mistica dell'essenza divina con la suprema sfera celeste: tesi contenuta nel trattato La filosofia orientale, che rimase sconosciuto in occidente. Merita di venire ricordato che quattro parti dell' Ash-shifa erano dedicate alle discipline del quadrivio; di particolare importanza quella che trattava di aritmetica nella quale -- sulla scia già aperta da Ben-Musa -- veniva ampiamente illustrata l'estrema utilità della scrittura decimale dei numeri (vi si esponeva fra l'altro la prova del 9). Come già Al-Farabi, Avicenna distingue nettamente fra dio, essere necessario in cui si identificano essenza ed esistenza, e le cose create solamente possibili, in cui l'essenza non implica affatto l'esistenza. Un'ampia gerarchia di tipo neoplatonico procede da dio al mondo, attraverso una serie di intelligenze motrici. Anche il mondo è eterno e incorruttibile, in quanto la sua causa è eterna: l'affermazione coranica per cui il mondo creato sarebbe posteriore nel tempo all'intelligenza creatrice, vale solo per coloro che non sanno comprendere; in verità il mondo è solo meno sublime, perché meno vicino a dio. Coerentemente al riconoscimento del carattere necessario dell'essere, Avicenna difese la possibilità di prevedere il futuro attraverso lo studio degli astri. Nell'ambito del problema della conoscenza infine Avicenna ritenne l'intelletto agente unico e superiore agli intelletti passivi dei singoli uomini, ed affermò che gli universali esistono ante rem, in dio, come idee; in re, come forme sostanziali delle singole cose; post rem, nell'uomo, come concetti ricavati per astrazione dall'esperienza. IL MISTICISMO DI AL-GHAZALI Alla diffusione delle dottrine aristoteliche nel mondo islamico reagì, alla fine del secolo, Al-Ghazali (1058-1111), anch'egli di origine orientale. La sua polemica, rivolta particolarmente contro Al- Farabi ed Avicenna, è esposta ne. trattato La disiruione dei filosofi. Egli si dimostra preoccupato soprattutto di salvare l'indipendenza di dio, compromessa dall'idea dell'assoluta necessità del mondo e della sua eternità. Con un'aspra critica del principio di causalità egli afferma che la volontà divina è assolutamente libera ed imprevedibile. E' interessante notare come la polemica di Al-Ghazali sia condotta sempre con metodo strettamente razionale, mettendo in luce la debolezza della ragione e la sua inapplicabilità ai problemi che esulano dal campo della dimostrazione. La sua critica sfocia così in un generale scetticismo verso le conquiste della ragione, che si concilia però con la fiducia mistica nei dogmi della fede.
  • 3. AVEMPACE In seguito la metafisica neoplatonica di Avicenna venne ripresa in senso mistico da Avempace (Ibn Bagiah), filosofo e scienziato arabo-spagnolo, morto nel 1138. Ad Avempace più che il movimento discendente da dio al mondo interessò quello ascendente dell'anima a dio, che egli espose nel trattato Sul regime del solitario. Le teorie mistiche di Avempace furono sviluppate da Abubacer (Abu Bckr Ibn Tufail), medico-filosofo dei califfi di Granada, morto nel 1185. Il protagonista del suo romanzo mistico Il vivente, figlio del vigilante è libero da ogni influenza sociale, nasce dalla terra e vive in un'isola deserta. AVERROE' Il maggiore filosofo della tradizione musulmana è Averroè (Ibn Rushd), nato a Cordova nel 1126, e morto nel 1198 nel Marocco, dopo aver subito persecuzioni ed esser stato esiliato per il suo atteggiamento di pensatore libero dalla ortodossia della tradizione religiosa. Dopo avere studiato fin da giovane il diritto e la medicina (scrisse una famosa enciclopedia medica dal titolo Liber universalis de medicina), egli si dedicò soprattutto alla filosofia aristotelica. l suoi commenti ad Aristotele lo resero famoso in tutta la posteriore filosofia occidentale come il « commentatore » per eccellenza. In questi commenti egli si propose di ritornare al significato vero dell'opera dello stagirita, che egli riteneva « la più alta perfezione umana », e da cui si erano distaccate le interpretazioni di Al-Farabi e di Avicenna. Pur rimanendo egli pure impregnato di motivi neoplatonici, la sua fedeltà ad Aristotele lo portò, nel suo commento all'Almagesto, a respingere l'astronomia tolemaica e la teoria degli epicicli e degli eccentrici. All'opera di Al-Ghazali, La distrazione dei filosofi, ed a coloro che, in nome della pura fedeltà al Corano, si opponevano alle pretese della filosofia, Averroè oppose l'opera La distruzione della distruzione dei filosofi, ove cercò di dimostrare che rivelazione e filosofia, muovendosi in piani diversi, non possono contraddirsi. La filosofia ha però un compito più elevato, quasi di religione, per gli uomini intellettualmente più preparati. Dio non è arbitrio assoluto, come afferma il misticismo di Al-Ghazali, ma principio di razionalità. Opponendosi ad Avicenna, che concepiva il mondo come una serie di essenze, emananti una dall'altra, Averroè riteneva che le sostanze individuali siano la realtà, e che l'essenza non abbia una realtà distaccata dall'individuo. Gli individui reali, ordinati da un identico fine, sarebbero composti di materia e forma, potenza ed atto. La forma pertanto non sarà, come per Avicenna, derivata da una forma esterna, separata, l'intelletto agente o dator formarum; non occorre in realtà introdurre nulla di esterno nella materia, ma solo farla passare dalla potenza all'atto. Ciò presuppone che la causa di questo sia già in atto, fino ad arrivare alla causa prima, atto puro. Il mondo è per Averroè eterno perché il principio del suo movimento, dio, è eterno ; ma il movimento non giunge al mondo sublunare direttamente dal motore immobile. Questo infatti muoverà il cielo delle stelle fisse, ed il movimento si propagherà via via per i vari cieli intermedi. Anche la conoscenza non è che un passaggio dalla potenza all'atto, dalle immagini dei sensi ai concetti. Ma l'intelletto materiale non può giungere ai concetti se non è illuminato dall'intelletto agente, il quale fa sì che « i concetti intelligibili in potenza passino in atto ». L'« intelletto materiale » illuminato dall'« intelletto agente » viene da Averroè chiamato « intelletto acquisito ». Per Averroè l'intelletto agente è sostanza separata unica per tutti gli uomini. Anche l'intelletto materiale non è individuale ma unico, e si diversifica nei vari individui solo perché sono particolari le immagini che riceve dai sensi. In questa dottrina è evidente la negazione dell'immortalità individuale, per affermare l'immortalità e la stabilità dell'inte lletto e della scienza. La filosofia di Averroè è per alcuni punti, quali ad esempio l'eternità del mondo e la negazione dell'immortalità dell'individuo, assai lontana dalla predicazione coranica. Come giungere ad una
  • 4. conciliazione? Averroè afferma che la predicazione del Corano ha una validità letterale per gli incolti, mentre la filosofia studia il senso nascosto di tale rivelazione. La ricerca filosofica deve rimanere strettamente riservata allo scienziato, in modo da non portare confusione ed eresie fra il popolo, ma deve avere uno sviluppo pieno e libero, rinunciando ad ogni compromesso con la religione popolare. « Secondo i filosofi le religioni sono necessarie perché guidano verso la saggezza in una direzione comune a tutti gli esseri umani; laddove la filosofia dirige alla conoscenza della felicità solo un certo numero di persone intelligenti, che devono apprendere la saggezza, le religioni mirano all'istruzione delle masse in genere... Perciò fa parte integrante dell'eccellenza del sapiente il non disprezzare le dottrine religiose in cui è cresciuto, spiegarle nelle più lontane contrade, comprendere che queste dottrine valgono soprattutto per i loro aspetti universali, non per i particolari, e che, se esprime un dubbio circa i principi religiosi in cui è cresciuto, o li spiega in contrasto con i profeti, scostandosi dal loro cammino, il sapiente merita più d'ogni altro di vedersi applicare la qualifica di miscredente, ed è degno di pena per mancanza di fede nella religione in cui è cresciuto. » Gli averroisti latini parleranno a questo proposito di « doppia verità », e manterranno un ossequio del tutto esteriore ai dogmi della religione, accanto alla costruzione di teorie filosofiche e scientifiche ormai del tutto razionalistiche. GLI ARABI E LA SCIENZA Gli arabi cominciarono nei secoli VIII-X a compiere una serie di traduzioni dei capolavori della scienza greca, che furono alla base della loro cultura scientifica. Una particolare attenzione essi portarono alla medicina che fu coltivata quasi da tutti i filosofi di cui si è parlato. Famoso medico fu soprattutto Al-Rhazes (865-925), di origine persiana come molti degli scienziati e dei filosofi dell'Islam. Oltre alla gigantesca enciclopedia medica, tradotta in latino nel XIII secolo col titolo cli Continens, è celebre il suo trattato sulla rosolia e sul vaiolo. Merito degli scienziati arabi è pure la radicale trasformazione dell'alchimia, che si proponeva di preparare un elisir di lunga vita e di mutare i più vili metalli in oro. Ancora profondamente influenzata dalle scienze occulte alessandrine è la prima opera araba di alchimia, tradotta in latino col titolo di Turba pbilosophorum (un dialogo i cui personaggi sono tutti filosofi presocratici), e composta verso la fine del IX secolo. A questo stesso periodo risalgono anche le opere di Geber (Gabir Ibn Hayyan), che per la teoria dei rapporti numerici - ogni corpo sarebbe l'espressione di un rapporto numerico di equilibrio delle « nature » che entrano nella sua composizione - è stato considerato un autentico precursore della chimica moderna. Geber si occupò tra l'altro dei metodi di raffinamento dei metalli, di preparazione dell'acciaio, di colorazione della seta, ed attribuì particolare importanza allo zolfo e al mercurio, che rappresenterebbero il fuoco e la liquidità. Ad un altro famoso alchimista arabo del XII secolo, Al-Khazini, spetta invece il merito di avere descritto una mirabile bilancia di precisione, mediante la quale egli determinò, con buona approssimazione, il peso specifico di una cinquantina di sostanze. Agli alchimisti arabi noi dobbiamo pure le indicazioni per la preparazione di alcuni importanti acidi, come l'acido solforico e l'acido nitrico, e la costruzione di alcuni essenziali strumenti di laboratorio (storte, alambicchi, ecc.). Questi pochi cenni possono bastare a dimostrarci come l'interesse degli arabi per le ricerche alchimistiche si inquadrasse direttamente nel loro interesse generale per tutto quanto riguardava la pratica; vedremo fra breve che un impegno pratico è riscontrabile perfino nelle loro indagini matematiche. Proprio esso sta alla base dei notevoli progressi che la civiltà araba realizzò in pressoché ogni campo della tecnica, e che si sforzò di introdurre sistematicamente nei paesi via via conquistati (è noto il grande incremento dell'irrigazione che i conquistatori arabi portarono in Spagna). Oltreché nella medicina, nell'alchimia e nella tecnologia, gli scienziati dell'Islam seppero
  • 5. conquistarsi un posto eminente anche nella fisica vera e propria. Il maggior fisico musulmano fu Alhazen (Ibn Al-Hasan), vissuto in Egitto fra la fine del X secolo e l'inizio dell'XI. Egli fu autore di un celebre trattato di ottica, ben presto tradotto in latino con il titolo Opticae thesaurus, nel quale si trova per la prima volta descritta con esattezza la struttura dell'organo della vista con le sue parti fondamentali (umor acqueo, cristallino, cornea, retina). Alhazen dimostrò, fra l'altro, che i raggi visivi non partono dall'occhio per giungere all'oggetto luminoso, ma da quest'ultimo per giungere all'occhio. Se possiamo asserire che l'ottica geometrica fu creata dai greci, dobbiamo riconoscere che l'ottica fisiologica risale invece agli arabi e in particolare ad Alhazen. L'Opticae thesaurus sarà largamente utilizzato in occidente da Vitellione e da Ruggero Bacone, e sarà ancora attentamente studiato nel Cinquecento dal grande keplero. Un altro campo nel quale gli scienziati arabi si conquistarono altissimi meriti fu quello delle discipline matematico-astronomiche, ove seppero attingere preziosi insegnamenti tanto dal grande patrimonio accumulato dagli studiosi greci quanto dalle nuove idee provenienti dall'India. Anche se non raggiunsero quasi mai una produzione ad alto livello veramente originale, il solo fatto di avere assimilato e trasmesso due tradizioni scientifiche come quella greca e quella indiana, trovando spesso il modo di integrarle l'una con l'altra, costituisce un titolo di benemerenza che la storia della civiltà deve loro indiscutibilmente riconoscere. In arabo furono tradotte tutte le principali opere della matematica greca, ed anzi alcune di esse - come il commento di Pappo al libro X degli Elementi di Euclide ed alcune opere di Apollonio – si sono conservate solo nella versione araba. Per quanto riguarda i rapporti con la matematica indiana, basti ricordare che spetta agli arabi il merito di aver trasmesso alla civiltà occidentale l'uso della scrittura posizionale dei numeri in base dieci, ricavata appunto dalla scienza indiana, scrittura di cui gli arabi seppero immediatamente comprendere la grande utilità applicandola con successo anche ai calcoli necessari per la tenuta dei registri commerciali. Il califfo Al-Mamun, fondò nell'828 l'osservatorio astronomico di Bagdad. A questo califfo furono legate in particolare la persona e l'attività del grande matematico persiano Mohamed Ben-Musa Al- Khowarizmi, fiorito fra l'813 e l'833, generalmente riconosciuto come l'iniziatore della matematica araba. Ed infatti è proprio per incarico di Al-Mamun, che Ben-Musa scrisse i suoi tre più importanti trattati: una raccolta di tavole astronomiche, un trattato di aritmetica e uno di algebra. Il primo va soprattutto menzionato perché l'autore vi fa uso, nella risoluzione dei triangoli, delle funzioni seno, coseno e tangente di un arco, invece di prendere in esame (come facevano gli astronomi greci) la sola corda dell'arco. Il secondo è importante perché spiega le operazioni aritmetiche elementari e le loro proprietà, facendo riferimento alla rappresentazione decimale dei numeri; i problemi trattati hanno per lo più un carattere pratico (sono problemi della vita comune, di tecnica commerciale, ecc.), ma proprio questo fatto sta alla base della rapida diffusione - anche in ambito non strettamente scientifico - del nuovo sistema di scritturazione numerica. Il terzo affronta i problemi caratteristici di quella parte della matematica che noi chiamiamo « algebra » elementare, la quale attinse il proprio nome per l'appunto dal titolo dell'opera di Ben-Musa: Al gebr al mukabala. Va sottolineato che dal nostro autore deriva pure il termine « algoritmo » (di uso comune nell'algebra moderna), la cui radice è legata al nome Al-Khowarizmi con cui i latini useranno indicare Ben-Musa (in realtà proprio con questo nome iniziava il titolo del suo trattato di aritmetica). Sappiamo che parecchi problemi algebrici erano già stati trattati dai matematici greci, ma la loro esposizione era svolta in termini sostanzialmente geometrici. Il nuovo modo di esporli e discuterli, usato dagli arabi, apre la via a una trattazione autonoma di essi, molto più generale e senza dubbio più agevole (perché basata su procedure regolate da leggi ben determinate): è la via che porterà all'algebra propriamente detta. Non ci sembra necessario soffermarci sui particolari progressi tecnici dei continuatori dell'algebra di Ben-Musa; aggiungeremo invece qualche parola sulle concezioni astronomiche degli arabi, più
  • 6. direttamente collegate allo sviluppo generale del pensiero scientifico-filosofico. Va detto innanzitutto che a base dell'astronomia (come pure della geografia) dell'Islam dobbiamo collocare la traduzione di Tolomeo, a cui gli scienziati arabi aggiunsero nuovi calcoli ed osservazioni, che poterono compiere anche con gli importanti strumenti scientifici, come l 'astrolabio, da essi inventati o perfezionati. Il maggiore astronomo del mondo arabo fu Albatenio (Al-Battani), vissuto in Mesopotamia all'inizio del X secolo. Pur professandosi discepolo di Tolomeo, egli fu studioso spesso originale, attento osservatore dei fenomeni celesti, fornito di notevole senso critico, e proprio perciò disposto - ove necessario - a correggere e aggiornare l'astronomia tolemaica. Nella trattazione matematica dell'astronomia preferì - distaccandosi dai greci — far uso, come già Ben-Musa, delle funzioni trigonometriche anziché della misurazione delle corde, e in tal modo diede un contributo decisivo alla diffusione della trigonometria nel senso moderno del termine. In base a precise osservazioni degli astri e delle loro orbite, compose nuove carte astronomiche e calcolò nuovamente la precessione degli equinozi. Le sue ricerche furono proseguite da Abril Wafa, vissuto nella seconda metà del X secolo, autore di un proprio Almagesto, profondo cultore di trigonometria sferica oltreché di quella piana. Nel secolo seguente, in Egitto l'astronomo Ibn Yunus registrò le osservazioni delle eclissi lunari e solari, e in Persia l'astronomo, filosofo, matematico e poeta Omar Khayyam operò un'importante riforma del calendario introducendo gli anni bisestili. Più geografo che astronomo fu invece Al-Biruni (973-1048), uno dei più grandi eruditi dell'Islam, che calcolò con molta esattezza la latitudine e la longitudine di varie località, e ci lasciò una preziosa descrizione di alcune parti dell'India. Nel campo degli studi di trigonometria va ricordato che Al-Biruni scrisse inizialmente un trattato basato unicamente sulla nozione di « corda » (usata, come sappiamo, dai greci). In opere successive mise a punto il rapporto fra tale nozione e quella di seno, illustrando criticamente i vantaggi di quest'ultima, come pure delle altre funzioni ad essa collegate (coseno, tangente, ecc.) nello sviluppo delle indagini trigonometriche. Al-Biruni fu inoltre valente studioso di algebra, nella quale affrontò alcuni problemi di terzo grado. Ebbe diversi discepoli che proseguirono e perfezionarono la sua opera. Va infine ricordato il forte interesse degli arabi per la storia della scienza, in particolare per la storia della matematica e più ancora per quella della medicina. Già alla fine del X secolo un libraio di Bagdad, Ibn An-Nadim, in un famoso elenco di tutti gli autori a lui noti e dei loro scritti, aveva dato numerose notizie storiche per ogni materia; verso la metà del secolo seguente Said Ben-Ahmad, un erudito di Toledo, scriverà una vera e propria storia della scienza, dando un interessantissimo quadro complessivo dell'attività scientifica, a lui nota, di indiani, persiani, caldei, greci, egiziani e arabi. Il dibattito filosofico moderno nel mondo arabo Attualmente, data la situazione sociale, le guerre e la presenza di governi oppressivi in buona parte dell’Oriente, gli uomini di cultura arabi sono sempre più rari rispetto al remoto passato, ma molti di essi, dal Marocco alla Siria, hanno riflettuto sulla crisi storica della società, di pensiero e forse anche di identità che imperversa nel mondo arabo-islamico in senso lato. Ognuno ha cercato di analizzarla da una prospettiva diversa che va a completare sempre più un quadro analitico e sociologico. Si passa infatti dalla volontà di comprendere il funzionamento della ragione araba e di determinare le condizioni del suo rinnovamento di Mohammed ʽAbd al-Jabri (1936-2010), all’approccio ipertestuale di Abdallah Laroui, nel voler paragonare l’Islam con vari punti nodali quali lo stato, la libertà e il concetto di modernità. In contrapposizione al primo autore si posiziona George Tarabishi, intellettuale siriano, che ha addirittura parlato di “opportunismo epistemologico”
  • 7. di al-Jabri. Secolarismo è la sua parola chiave, sostenendo che l’Islam è soltanto una religione e che le pratiche sociali sono sempre state secolari. Teso a sostenere e a difendere il modernismo e l’illuminismo islamico, è poi Mohammed Arkoun (1928-2010), che tra Algeri e la Sorbona, ha riflettuto su come si possa ripensare l’Islam nel mondo contemporaneo, sempre in modo equilibrato. La maggior parte degli intellettuali arabi sembra comunque concordare su una serie di punti principali. Innanzitutto essi ritengono che dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il terzo mondo è man mano sprofondato in un baratro senza equilibrio sia da un punto di vista militare che politico. In secondo luogo, l’ordine politico nei paesi arabi ha raggiunto un livello di squilibrio e il margine di povertà si è allargato sempre più. Inoltre, l’avanzare della globalizzazione come fenomeno inevitabile, ha permesso alle correnti islamiste di guadagnare sempre più terreno, unendo però anche culturalmente il mondo arabo. Queste considerazioni comuni fanno però solo da sfondo ad un panorama assai variegato, che i vari intellettuali hanno dipinto con i loro studi e le loro idee innovative e di analisi critica. Proprio questo pensiero rivoluzionario porta spesso gli attuali uomini di cultura arabi a essere fortemente disprezzati dai conservatori, come nel caso di Hassan Hanafi, che ha creato un’idea di “sinistra islamica”, ma è stato accusato di eresia ed apostasia, e verso il quale è stata addirittura emanata una fatwa che lo condanna come tale.