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Resoconto seminario interno sul sistema nazionale di valutazione del 2 luglio 2019
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Resoconto Seminario interno sul “Sistema Nazionale di Valutazione”
Il 2 luglio presso la Sala “Salvo Merlo” della sede nazionale della FLC CGIL si è
tenuto il seminario interno sul “Sistema Nazionale di Valutazione: facciamo il
punto”. L’incontro è stato articolato in due momenti specifici:
1- al mattino la discussione ha interessato il Sistema Nazionale di Valutazione
(SNV);
2- Di pomeriggio si è discusso il rapporto fra il lavoro di ricerca dell’INVALSI
e l’inerzia del decisore politico.
All’incontro sono intervenute 40 persone, rappresentanti di diversi territori.
Gli interventi nella discussione sono stati 10 al mattino e 7 al pomeriggio.
L’intervento introduttivo di Massimiliano De Conca ha ricordato che la
valutazione e l’autovalutazione sono processi intrinseci e determinanti per
l’autonomia scolastica (come definiti dall’art.21 della L.59/1997 e dal successivo
Dpr 275/1999) perché ne garantiscono l’efficacia sottraendola alla
autoreferenzialità; inoltre è stato brevemente ricostruito il quadro normativo nel
quale nasce e si inserisce il SNV, con particolare riferimento alla legge 258/99,
al Dpr 80/2013, alla direttiva ministeriale 11 del 2014 ed alle motivazioni che
hanno spinto la FLC CGIL ad impugnarli fin dal primo momento.
Oggi non è in vigore nessuna direttiva, perché l’ultima, che doveva coprire il
triennio 2016-19 (poi giustamente ridotta a biennio 2017-19) non è mai stata
emanata. Vige quanto invece si trova al punto 9 dell’atto di indirizzo del Ministro
Bussetti.
L’introduzione si è conclusa ricordando in prospettiva futura la possibile
istituzione, prevista nelle bozze di Intesa sull’autonomia differenziata, di sistemi
di valutazione delle scuole a carattere regionale che potrebbero avere una forte
ricaduta sul reclutamento del personale.
Inoltre è stato ricordato che è in discussione un DDL Semplificazioni che ha fra
gli obiettivi quello di accorpare Invalsi, Indire ed Anvur, all’interno del MIUR,
soluzione anche in questo caso fortemente osteggiata dalla FLC CGIL perché
farebbe perdere l’elemento di terzietà confondendo il committente della
valutazione con l’ente valutatore, dunque il soggetto e l’oggetto della
valutazione.
La relazione di Giuseppe Bagni (CIDI), che pure è ritornata su alcuni punti della
relazione introduttiva, si è focalizzata su alcuni aspetti specifici che di seguito
sono così riassunti:
1- Le prove Invalsi oggi forniscono dei dati che non influenzano le decisioni
politiche: in questo senso si configurano come uno spreco, una rilevazione
inutile perché ininfluenti;
2- Nelle scuole è molta l’ostilità e la diffidenza nei confronti delle prove Invalsi
perché manca quell’elemento di trasparenza sulla metodologia (esempio i
fattori di neutralizzazione del contesto per la misurazione del valore
aggiunto e la metodologia statistica del cheating), ma anche di
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condivisione e partecipazione, dunque è percepita come una attività
imposta dall’alto. Bagni richiama, come esempio opposto, l’esperienza di
ADAS (Archivio Decimologico per l’Autovalutazione delle Scuole) che aveva
visto un alto coinvolgimento dei docenti e delle scuole nella definizione
degli strumenti e delle finalità di valutazione.
3- Sussistono perplessità sulle due anime dell’Invalsi, quella di spinta
psicometrica che porta alla esasperazione della misurazione, trascurando
anche la trasparenza sui metodi, e quella invece pedagogica che vuole
valutare per migliorare. A questo proposito si ricorda che in nessun atto
fondativo né l’Invalsi né il SNV sono nati con lo scopo di fornire valutazioni
sugli individui.
In sintesi Bagni ritiene l’Invalsi come uno strumento parziale, male applicato e
pertanto male compreso: è necessaria maggiore cultura della valutazione, con
la definizione di centri di ricerca anche all’interno delle scuole per ridurre il gap
fra l’oggetto da osservare e l’osservatore, per arrivare ad un valutazione
conversativa.
Resta il problema di fondo che chi valuta in questo momento non ha un’idea di
scuola, senza la quale non è possibile neppure definire cosa si vuole misurare,
ma si sta ragionando all’inverso, ovvero attraverso una misurazione di alcuni
aspetti del sistema si sta dettando la linea politica sull’intero sistema.
Al termine della relazione si apre la prima discussione, da cui emerge la
soddisfazione per aver aperto un dibattito mai affrontato così apertamente in
seno al gruppo dirigente della FLC CGIL e si vede la necessità di definire con
chiarezza la nostra posizione non solo sul SNV, ma anche sulla somministrazione
delle prove Invalsi. Inoltre si sottolinea come spesso il tema della valutazione
sia utilizzato come distrattore per nascondere problemi gravi dell’intero sistema
Istruzione, come la carenza di investimenti e di risorse: la valutazione è utilizzata
strumentalmente per introdurre principi di competizione in ambiti dove non è
necessaria. Per questo nel corso del dibattito emergono anche posizioni
fortemente critiche nei confronti dell’Invalsi, ritenuto da alcuni totalmente
inutile.
Nel pomeriggio è intervenuta Donatella Poliandri (ricercatrice Invalsi) che ha
ripreso la discussione del mattino sul ruolo dell’Invalsi all’interno del Sistema
Nazionale di Valutazione, sottolineando ancora una volta come, pur con i suoi
limiti, l’Invalsi non può avere responsabilità sui mancati miglioramenti dei
processi di apprendimento dal momento che i ruoli nei processi sono distinti. I
percorsi di valutazione delle scuole possono mostrare gli aspetti da migliorare e,
se ben interpretati, possono portare il decisore politico o amministrativo (locale
e nazionale) a compiere scelte di sostegno e discriminazione positiva delle
situazioni di difficoltà, ma tali percorsi non possono sostituirsi a queste scelte:
la valutazione è uno strumento e non un fine. All’Invalsi è chiesto di condurre
rilevazioni di dati a partire dagli esiti della ricerca educativa e valutativa più
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attuale e che negli ultimi anni all’Invalsi si è andata affinando anche grazie alla
creazione dei nuclei esterni di valutazione in supporto alla riflessione sui propri
punti di forza e di debolezza che deriva dal Rapporto di Autovalutazione (RAV)
che ciascuna scuola redige, integrando, in un quadro di riferimento comune
elaborato negli anni da Invalsi, attraverso sperimentazioni che hanno coinvolto
dal 2010 quasi 3000 istituzioni scolastiche, informazioni di tipo quantitativo (ad
esempio su dati strutturali delle scuole, come la presenza di biblioteche, o
relativamente alla dispersione scolastica) con informazioni di tipo qualitativo
(direttamente rilevate su campo attraverso interviste condotte dai nuclei con
genitori, insegnanti e studenti). Fra queste informazioni, gli esiti degli studenti
alle prove standardizzate Invalsi rappresentano solo uno degli aspetti considerati
rilevanti. Il modello del Sistema Nazionale di Valutazione italiano che vede come
prospettiva il miglioramento delle scuole e non un sistema di premi e punizioni,
è oggetto di studio da parte di diverse nazioni europee in quanto considerato
molto all’avanguardia perché si fonda sull’autovalutazione delle scuole volta
all’apprendimento organizzativo, rispetto alla quale la valutazione esterna,
condotta da nuclei perlopiù che si confrontano intersoggettivamente con essa,
rappresenta un confronto metodologico e di supporto. L’area mediterranea sta
rileggendo i sistemi anglosassoni di valutazione – fino ad ora dominanti - unendo
alla raccolta del dato, l’analisi e la definizione degli obiettivi, anche
l’accompagnamento degli esperti dell’Invalsi nella lettura e reinterpretazione dei
bisogni delle scuole, supportandole In questo modo l’Invalsi è entrato a contatto
con molte realtà scolastiche a volte sconosciute anche alla politica e
all’amministrazione locale e nazionale, facilitandone la valorizzazione Poliandri
sottolinea inoltre come le prove standard nazionali rappresentino uno strumento
di unificazione, perché mettono a nudo le diversità e forniscono spunti su cui
intervenire per realizzare un modello di scuola democratica ed inclusiva, in
un’ottica di equità Il problema è, Poliandri lo ribadisce, l’assenza di una volontà
politica che anziché lavorare in modo da ottenere questi importanti obiettivi,
risolvendo i problemi che affliggono le nostre scuole e che le diverse
informazioni, quantitative e qualitative, offerte dall’Invalsi ben mostrano, si
preoccupa di fare dell’Invalsi uno strumento di pressione e controllo, snaturando
perlopiù la sua natura di ente di ricerca. Per questo è necessario rendere ancora
più autonomo l’ente di ricerca, permettendogli di promuovere sempre più azioni
di supporto alle scuole, grazie a ricerche anche con esse condotte, e di
condivisione e diffusione dei modelli realizzati.
Durante la discussione del pomeriggio gli interventi hanno sottolineato
l’assenza di una cultura della valutazione all’interno delle scuole, ma anche la
forte distanza che separa il lavoro dell’Invalsi da quello delle scuole, per cui è
necessario ripartire da modelli partecipativi e da un maggior coinvolgimento
delle scuole nelle politiche della valutazione. In più di un intervento si è ricordato
l’enorme lavoro svolto dalle scuole con i progetti pilota della fine degli anni ’90,
i cui effetti anche metodologicamente sembrano essersi dispersi: è venuta a
mancare quell’idea di condivisione e di interrelazione fra l’ente di ricerca e le
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scuole, che fanno oggi dell’Invalsi, nella percezione degli addetti ai lavori, un
ente intrusivo. La percezione generale è che deve essere avviata una forte
consequenzialità fra l’analisi dei dati dell’Invalsi e le decisioni politiche, perché
altrimenti i test Invalsi non hanno nessuna funzione e continuano ad essere
vissuti come una sovrastruttura che appesantisce il lavoro delle scuole.
Permangono poi perplessità sulla somministrazione delle prove ad alunni con
disturbi specifici degli apprendimenti.
Francesco Sinopoli, nelle sue conclusioni, ha ribadito il metodo di lavoro con
cui si è pensato al seminario, ovvero un primo appuntamento per poter dare vita
ad una discussione che dall’interno deve poi aprirsi all’esterno. Da questo
dibattito scaturirà un documento che verrà sottoposto agli organismi statutari
dedicati a definire la linea politica. Si tratta di una grande opportunità che ci
permette, in una totale assenza di discussione, di riportare il tema della
valutazione nei posti di lavoro ed assumere una posizione chiara su tutte le
implicazioni che si determineranno dalla declinazione del tema.
Si tratta di dare forma ad una riflessione collettiva sui dati e sulla loro policy,
mai fatta prima.
Relativamente ai temi discussi Sinopoli ritorna a ribadire la nostra responsabilità
in un momento politico particolarmente complesso che sta preparando un
intervento importante sulla valutazione e sul sistema nazionale di valutazione
che si vuole trasformare in una leva di controllo di governo. Sulla valutazione
esistono culture diverse, ma alla fine deve prevalerne una che porti verso un
sistema democratico, che significa fornire alla scuola un sistema di qualità.
Bisogna assumere una posizione laica e intransigente: abbiamo bisogno di dati
che non devono servire per i meccanismi fallimentari della school choice, ma
devono portare a scelte di miglioramento.
Il compito della FLC CGIL nei prossimi mesi è di approfondire le conoscenze sulla
valutazione e sulla cultura della valutazione, di aprire una discussione pubblica
anche attraverso un evento nazionale. Al termine di questo percorso di
conoscenza potremo elaborare una piattaforma da discutere negli organismi
politici del sindacato che porti ad un documento di riferimento che riassuma la
nostra posizione in modo chiaro e coerente con il nostro percorso politico e
sindacale.