1. Rassegna dei valori, temi e dilemmi sfidanti per la
sinistra contemporanea
Dino Bertocco
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2. Presentazione (1, 2) - slide 11, 12 -
Reimpaginare la Storia con i giovani – slide 13 -
L’attiva impoliticita’ dei giovani – slide 14 -
I giovani vanno ascoltati e coinvolti – slide 15 -
Il senso del dialogo intergenerazionale – slide 16 -
Identita’, cultura e memoria storica – slide 17 -
Il potere delle identita’ – slide 18 -
Le radici dell’io – slide 19 -
Il giudizio di Taylor sulla contemporaneita’ (1, 2) – slide 20, 21 -
La trappola della nostalgia – slide 22 -
Yuval Levin spiega che il messaggio di Trump più che essere populista è un messaggio «desolato e
nostalgico» - slide 23 -
Esercizio ad una lettura critica della contemporaneita’ – slide 24 -
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3. Le tracce e la costruzione di identita’ - slide 25 -
La suggestione ideologica e l’intelligenza critica – slide 26 -
Remo Bodei: «La Rivoluzione francese è finita, gli intellettuali non servono più, ma la vita è ricerca
della ragione» (1, 2, 3) - slide 27, 29, 29 -
De Mauro, l’intellettuale pubblico – slide 30 -
Il senso perduto della storia - slide 31 -
Abbiamo ancora bisogno della storia? - slide 32 -
Ripensare con sincerita’ l’italia - slide 33 -
Quando lo storico rilegge (anche) la sua esperienza - slide 34 -
La ragione dell'incredibile silenzio sull'ultimo libro di Galli della Loggia (1, 2) - slide 35, 36 -
L’identita’ difficile nel romanzo italiano dell’Ottocento - slide 37 -
Riconoscerci parlandoci - slide 38 -
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4. Il cammino dell’emancipazione - slide 39 -
Gap culturale e problema storico di classe dirigente - slide 40 -
L’italia alla ricerca del principe - slide 41 -
Cercasi élite disperatamente per cittadini insoddisfatti di chi li sta rappresentando (un libro per
comprenderne le ragioni) (1,2) - slide 42, 43 -
Cercasi egemonia culturale: sara’ il Volta buono? (la mission della fondazione renziana) - slide 44 -
Nuove egemonie. In che senso la reinvenzione dell’Europa può arrivare dall’Italia - slide 45 -
Un sistema politico logorato - slide 46 -
La Costituzione «impossibile» - slide 47 -
La crisi di sistema che attanaglia il paese - slide 48 -
La frattura che debilita il paese - slide 49 -
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5. Un problema storico-culturale di ceto politico locale - slide 50 -
Le mani (pulite?) sulla politica - slide 51 -
L’asimmetria Magistratura – Rappresentanza politica - slide 52 -
Il peso del corporativismo - slide 53 -
Il peso dei privilegi - slide 54 -
La fenomenologia della casta diffusa (che sopravvive beatamente) - slide 55 -
Il peso della corruzione - slide 56 -
La «corrutela» un male antico (leggi «Democrazia ideale e democrazia reale» di Francesco De Sanctis)
- slide 57 -
L’insorgenza dei populismi nostrani: Bossi & Grillo - slide 58 -
Eppure la «mano pubblica» puo’ fare bene - slide 59 -
Percio’ la Politica ha bisogno dello sguardo lungo - slide 60 -
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6. ….e di liberare una visione regolatrice - slide 61 -
Ma i partiti sono in un vicolo cieco - slide 62 -
…con effetti nocivi sulla governance - slide 63 -
Un ritratto (con molti scattti) - slide 64 -
Una testimonianza professionale (e pessimista) dall’esterno - slide 65 -
Lavori in corso per riformare il partito - slide 66 –
Ossimoro, pregiudizio o constatazione? – slide 67 -
La visione nostalgica dell’eterno ritorno - slide 68 -
I conti con la nuova cittadinanza digitale - slide 69 -
Il PD ed il congresso che non c’e’ - slide 70 -
Cassese: tutti si fanno sentire nessuno discute - slide 71 -
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7. I contributi alla rigenerazione del PD - slide 72 -
Il deleterio complesso dei migliori - slide 73 -
La sindrome da sinistrati - slide 74 -
Ci siamo persi nella Terza via…. - slide 75 -
La madre «di sinistra» e’ sempre incinta di: ribelli, Cicisbei, pavoncelli e coatti - slide 76 -
Nell’album di famiglia - slide 77 -
Progressisti su Marte (i dubbi semantici E. Galli della Loggia) - slide 78 -
…ed «en marche» in Europa - slide 79 –
No, però, «verso l’estremo» - slide 80 -
Sinistra europea cercasi - slide 81 -
Temi e dilemmi della democrazia contemporanea - slide 82 -
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8. David Ragazzoni: Leader sì, ma di che genere? - slide 83 -
Partito personale addio - slide 84 -
Nuovo modello di leadership (1, 2,) – slide 85, 86 -
Leadership emergente (1, 2) - slide 87, 88 -
La (prima) stagione renziana (1, 2) - slide 89, 90 -
Evitare il mnemonicidio - slide 91 -
Ripartire dal civismo - slide 92 -
1974: sotto la cenere dei movimenti…. - slide 93 -
Il prezioso lascito di Todorov - slide 94 -
Da tradurre in opere… - slide 95 -
Ripensando (ed estendendo) la cittadinanza politica - slide 96 -
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9. ….ed aprendoci al sentimento della condivisione - slide 97 -
….esprimendoci con un nuovo protagonismo (nella sfera ampliata della liberta’) - slide 98 -
Non possiamo non dirci europei - slide 99 -
E con una cittadinanza «molteplice» - slide 100 -
Uno sguardo disincantato - slide 101 -
Benedetta globalizzazione (1, 2) - slide 102, 103 -
Crescita, disuguaglianza e malessere - slide 104 -
Valutare con ottimismo razionale - slide 105 -
La crescita, in ogni caso, continuera’ - slide 106 -
Innovazione tecnologica? Non abiamo ancora visto niente - slide 107 -
Inarrestabile la connettivita’ nel mondo - slide 108 -
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10. Una fluttuazione che amplifica le possibilita’ di cambiamento - slide 109 -
Ma, nel tumultuoso avanzamento c’e’ chi corre e chi resta indietro - slide 110 -
Dilatazione e focalizzazione - slide 111 -
La fine dell’uguaglianza? - slide 112 -
No, ma bisogna reimparare l’alfabeto - slide 113 -
Il lavoro faticoso di interpretazione dei dati - slide 114 -
Educazione alla cittadinanza terrestre - slide 115 -
Ed ora la sfida più importante (opportunita’ per tutti) - slide 116 -
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11. Le slide che compongono questa Presentazione rappresentano la continuazione e
l’estensione della riflessione avviata con l’articolo pubblicato in:
http://www.dinobertocco.it/congresso-pd-aria-e-idee-nuove-dai-circoli-al-nazareno/
Con esse mi propongo di dare un contributo alla riflessione e discussione
programmatiche avviate con l’Assemblea del Lingotto che prodotto non solo una positiva
“ricarica sentimentale”, ma anche un Documento congressuale ricco, risultante sia
dall’apporto congiunto di esperti e militanti sia dalle indicazioni che la concreta
sperimentazione della strategia riformista è stata realizzata nei mille giorni del governo
Renzi.
Esso, il documento, per quanto ben formulato e pur affrontando con un linguaggio fresco
ed efficace i molti temi dell’agenda politica, richiama esplicitamente l’esigenza di
approfondimento e, su talune questioni cruciali, presenta ampi margini di integrazione
ed arricchimento.
Già nell’ambito del dibattito congressuale in corso e di quello – contiguo - che si svolge
all’interno delle componenti politiche fuoriuscite dal PD che continuano imperterrite
nell’opera di denigrazione della leadership renziana, sono emersi interrogativi che
esigono repliche e puntualizzazioni.
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12. Molti dei “dubbi e rimproveri” e parecchie delle “recriminazioni ex post” che si ascoltano e si
leggono in questo periodo sono sicuramente determinati da un mix di fraintendimenti e
strumentalizzazioni che possono essere compresi ed interpretati solo se si scava sulle diverse
matrici ideologico-culturali e sui diversificati orizzonti ideali che hanno, finora, orientato la
variegata platea di dirigenti, militanti, amministratori, parlamentari impegnati nell’esperienza
decennale del Partito Democratico.
Per questa ragione la successione delle slide è particolarmente finalizzata ad esplorare (attraverso
considerazioni, commenti, indicazioni bibliografiche, link ad articoli e documenti in rete) gli
argomenti di carattere storico-culturale che fanno da sfondo alle polemiche che caratterizzano la
tribolata vita della sinistra italiana e che, verosimilmente, condizioneranno la maturazione ed il
consolidamento del futuro centrosinistra.
Nella Presentazione non mancano i giudizi, ma il format e la scelta dei temi esposti sono
prioritariamente tesi ad alimentare la riflessività e la consapevolezza delle tensioni e delle vere e
proprie fratture politico-culturali che gravano sulla governance di un Partito che si trova ad
esercitare enormi responsabilità in un contesto politico-istituzionale e scio-economico il cui
degrado non è stato ancora pienamente focalizzato da molta parte della nomenclatura partitica.
L’unilateralità e lo schematismo dell’impostazione sono da un lato necessitati, ma dall’altro
rappresentano un’occasione, per quanti lo riterranno utile, di suggerire chiavi di lettura,
correzioni, smentite, valutazioni critiche che aiutino a comprendere meglio “i valori, temi e
dilemmi sfidanti per la sinistra contemporanea”.
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13. In un appassionato discorso per il
conferimento delle lauree tenuto al
Kenyon College il 21 maggio 2005,
David F. Wallace iniziò l’intervento con
l’impiego di una storiella dal sapore
parabolico: i protagonisti sono due
giovani pesci che nuotano e a un certo
punto incontrano un pesce anziano che
va nella direzione opposta, fa un cenno
di saluto e dice:”Salve ragazzi. Com’è
l’acqua?” I due pesci giovani nuotano
un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa:
”Che cavolo è l’acqua?” (David F.
Wallace, Questa è l’acqua – Einaudi
2009)
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14. Documento Preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2018)sul
tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”:
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2017/01/13/0021/00050.html#ITA
Le illusioni di Obama sui millenials, una generazione «altruista» che sta rottamando il liberalismo
L’insospettabile ingenuità dei nativi digitali (Federico Rampini):
http://www.dinobertocco.it/linsospettabile-ingenuita-dei-nativi-digitali/
L’identità politica dei giovani a metà tra l’Io e il Noi. Tra i Millennials che nei sondaggi preferiscono
Corbyn e Sanders è in attoun nuovo orientamento: sono sensibili all’etica e attenti alla collettività
(Mauro Magatti):
http://www.corriere.it/opinioni/16_febbraio_12/identita-politica-giovani-corbyn-sanders-tendenze-
sondaggi-be90dd0a-d0ed-11e5-9819-2c2b53be318b.shtml
DOXA - Corriere economia 28 novembre 2016: oggi il 76 % degli italiani è convinto che i giovani
avranno nel prossimo futuro una posizione sociale ed economica peggiore di quella dei propri genitori
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15. Intervento di Anna Ascani Assemblea
PD 18.12.2016
http://www.unita.tv/focus/assemblea-pd-
intervento-di-anna-ascani/
Intervista ad Anna Ascani:
http://quozientegiovani.it/2017/02/01/an
na-ascani-i-giovani-vanno-ascoltati-e-
coinvolti-nei-processi-decisionali/#_ftn1
The danger of deconsolidation
http://www.journalofdemocracy.org/sites/
default/files/Foa%26Mounk-27-3.pdf
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16. Che età abbiamo? Quanti più argomenti si avanzano per affrontare
questo interrogativo in apparenza semplice, tanto più risulta difficile
trovare una risposta. Infatti, la nostra crescita avviene
simultaneamente in ambiti differenti: da un punto di vista biologico,
psicologico, sociale; cresciamo anche nella sfera più generale di una
cultura, all’interno di una storia che ci precede e che ci sopravvivrà.
Osservati attraverso queste prospettive, molti aspetti dell’epoca
contemporanea sembrerebbero suggerire che siamo più vecchi che mai;
al contrario, Robert Pogue Harrison ritiene che stiamo diventando
sempre più giovani: nelle nostre concezioni, nella mentalità, nei
comportamenti. Viviamo, insomma, in un’era di giovinezza. Spaziando
brillantemente attraverso le culture e la storia, la filosofia e la
letteratura, questo libro ripercorre i modi in cui gli spiriti della
giovinezza e della vecchiaia hanno interagito tra loro dall’antichità
fino ai nostri giorni. Harrison mutua dal linguaggio scientifico il
concetto di neotenia, ossia il mantenimento di caratteristiche giovanili
anche nell’età adulta, e lo estende all’ambito culturale, sostenendo che
l’impulso giovanile è essenziale per sviluppare un indirizzo innovativo
nel campo della cultura e per mantenere viva la genialità. Al tempo
stesso, tuttavia, la giovinezza – che Harrison vede protrarsi come mai
prima d’ora – non può fare a meno, per compiere la sua opera, della
stabilità e della saggezza dei più vecchi e delle istituzioni: «Se il genio
libera le novità del futuro, la saggezza eredita i lasciti del passato,
rinnovandoli nel tempo stesso in cui li tramanda». Vincitore negli Stati
Uniti del prestigioso Bridge Award nel 2015, L’era della giovinezza è
una inebriante, raffinatissima escursione, ricca di idee e di spunti, che
solo una penna acuta come quella di Robert Pogue Harrison poteva
concepire. Un libro da cui nessuno che sia alle prese con la diffusa
ossessione della giovinezza potrà prescindere.
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17. “Ci sono persone che pensano che la cosa più importante e pratica di un uomo è ancora
la sua visione del mondo» Gilbert Keith Chesterton
Stiamo vivendo una sorta di decadenza del sentimento storico, quando non addirittura
uno spiccato sentimento antistorico
Fare i conti con il naufragio delle identità: «Dobbiamo abbandonare la retorica della
diversità e sposare quella dei diritti di base. La sinistra deve smetterla con i bagni
transgendere e ricominciare a parlare di solidarietà» (Mark Lilla):
https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20161204/281603830085758
Reazionario o protestatario il populismo ha due facce (Maurizio Ferrera e Luis
Moreno):
https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20161218/281655369720227
Destra batte sinistra 2-0. I liberisti creano i poveri, i populisti ne cavalcano l’ira e gli
eredi della socialdemocrazia non toccano palla (Michele Salvati):
https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20161127/281547995497176
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18. Castells analizza la politica della società
globale in rete nel XXI secolo: il terrorismo
islamico e il nuovo unilateralismo americano;
le mobilitazioni no global e la crisi mondiale
del neoliberismo. Alla perdita di senso
provocata dall'istantaneità dei flussi
finanziari e mediatici, le comunità umane
reagiscono riaffermando aspetti della propria
identità e rivendicando col conflitto spazi e
agibilità politica e culturale nel mondo
globalizzato. Alla spinta democratica si
contrappone l'azione dei fondamentalismi
religiosi, in guerra totale contro una civiltà
cosmopolita di cui desiderano l'estinzione.
Questo scenario globale sempre più caotico
produce la crisi di legittimità della politica: lo
stato-nazione non garantisce più né sicurezza
né benessere, mentre il dibattito democratico
tende a svuotarsi per essere assorbito dallo
spazio dei media
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19. Obiettivo del libro è quello di spogliare l'immagine
moderna dell'io dall'artificialità che spesso le deriva
da un approccio privo di spessore storico, per
restituirle tutta la pregnanza culturale e morale che
ad essa è propria, facendone il punto d'incontro delle
infinite dimensioni di cui è intessuta la vicenda
umana. Per dare conto della ricchezza e della
complessità storica dell'idea moderna di io, l'autore
ne ripercorre la genesi dimostrando come essa è
emersa da immagini precedenti dell'identità umana.
I personaggi e le svolte che scandiscono l'itinerario
tracciato da Taylor sono gli stessi di cui è intessuta la
storia della filosofia. Ma alla definizione di uomo
moderno hanno contribuito anche autori lontani
dalla filosofia vera e propria
Il perno di Radici dell’io. La costruzione dell’identità
moderna è quindi l’uomo inteso come «animale che si
autointerpreta» e che va colto nella sua dimensione
storica, nella sua trama relazionale, nelle circostanze
in cui è «gettato»
Dino Bertocco 19
20. Charles Taylor osserva con preoccupazione «l’avanzata del lato sbagliato della questione
dell’identità», dove per lato sbagliato intende il fronte che va da Donald Trump a Vladimir Putin
passando per Marine Le Pen e Geert Wilders. E’ una coalizione trasversale ed eterogenea tenuta
insieme da una comune concezione particolarista: «Assistiamo a una serie di battaglie nella
società globale fra identità particolari, anguste e sospettose verso l’altro e un altro tipo di
identità che trae beneficio dalla connessione con l’altro. Contrariamente a quanto pensano i
fautori dell’individualismo liberale, la società democratica acuisce il bisogno di identità
collettive, la gente ha bisogno di essere parte di qualcosa di più grande: il problema è ridefinire
l’identità in modi che sono compatibili con l’apertura all’alterità»
Di fronte alla deflagrazione della questione identitaria sullo scenario geopolitico, Taylor si sforza
di inquadrare l’uomo «così com’è», per utilizzare impropriamente un’espressione della scuola
fenomenologica. E questo uomo «può essere osservato più compiutamente in uno schema
antropologico e politico in cui l’apertura all’altro è possibile». Il filosofo non s’adagia sulla
contrapposizione manichea e obamiana che divide la storia nella sponda giusta e in quella
sbagliata, dove in fondo i giusti sono quelli che accettano lo schema del liberalismo e gli sbagliati
tutti gli altri, ma naviga con cautela alla ricerca di una terza via, quella dell’identità dialogica,
dove l’io scopre se stesso all’interno di una trama di relazioni
Dino Bertocco 20
21. Dobbiamo cercare di capire perché invece sta avendo successo il paradigma dell’identità come ripiegamento, chiusura
e contrapposizione. Sono certamente in atto forze storiche profondissime e difficili da indagare, che hanno a che fare
con la condizione dell’uomo moderno, ma queste sono potenziate da ragioni di tipo economico. Nella rust belt o fra gli
operai francesi ci sono moti di reazioni e malcontento che ci dicono che, fra le altre cose, l’occidente non ha fatto
abbastanza per contrastare gli effetti della crisi finanziaria del 2008. Molti che hanno subìto gli effetti peggiori di
quella crisi ora si sentono dimenticati, esclusi. Queste considerazioni impongono, a un primo livello, risposte di tipo
politico, ma più in profondità c’è la questione della concezione della nostra identità, che è aperta e dialogica, oppure
chiusa e autoreferenziale
L’idea del progresso come destino ineluttabile è sempre stata un’illusione, e la democrazia è stata anche molto
arrogante in questo: se c’è una cosa che questo momento politico mostra è che un sistema democratico non garantisce
nemmeno la sua stessa sopravvivenza, figurarsi la sua affermazione come stadio finale della storia. Taylor fa alcuni
esempi dell’eccesso di fiducia accordata allo schema liberale e democratico: «Abbiamo delegato la formazione della
nostra identità a meccanismi globali e impersonali che hanno mostrato parecchi effetti collaterali. Gli accordi
commerciali internazionali, ad esempio, in linea di principio vanno nella direzione dell’apertura ma nei fatti
avvantaggiano le grandi corporation. In modo analogo, l’idea della ‘mano invisibile’ e dell’autoregolamentazione dei
mercati è molto pericolosa, ma Adam Smith lo sapeva bene, e nei suoi scritti è molto più cauto nel presentare le sue
teorie di come lo rappresentiamo. Il mercato è una cosa buona che ha dato tanta prosperità, ma i giudizi morali delle
persone devono essere la base della società, non il funzionamento, anche efficiente, di un meccanismo impersonale».
«Gli assoluti che il liberalismo vuole incarnare rivelano un’implicita concezione dell’uomo che è falsa e riduttiva: l’io è
concepito come un agente astorico, pura capacità di azione e scelta, ma così le distinzioni fra persone si perdono». Il
mondo identitario dei Trump e dei Putin va letto dunque sullo sfondo della grande disillusione liberale: «Credere che
un ordine liberale possa infine arrivare a riconciliare gli esseri umani è terribile».
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22. “The Fractured Republic:
Renewing America’s ocial
Contract in the Age of
Individualism”: è un libro che si
colloca nel filone di Robert
Putnam e Charles Murray, che
con i loro saggi – “OurKids” e
“Coming Apart” – hanno
spiegato com’è cambiata la
società americana, e quali
risposte dovrebbe offrire la
politica.
Dino Bertocco 22
23. La politica americana è intrappolata nella nostalgia, filtra il mondo attuale con gli occhi umidi, lasciandosi cullare dal
ricordo – dal rimpianto – di un gigantesco “com’eravamo”. I liberal sono nostalgici dell’uguaglianza economica degli anni
50 e 60, mentre la destra rimpiange una comunanza culturale che oggi non ritrova più. Quella era l’età della coesione e
del consolidamento, “l’ideale inconsapevole di un’America di successo”, scrive Brooks, e oggi che frammentazione e
decentralizzazione hanno avuto la meglio – come dimostrano i grafici presenti nel saggio di Levin, nonché l’avanzata di
movimenti che disperdono voti, aspirazioni e speranze in mille pezzi – regna lo spaesamento. Come nella vita, di fronte
alla confusione, ci si rifugia nel passato, la nostalgia diventa un sospiro permanente, e la realtà si trasforma in uno
specchio che non riflette più nulla di riconoscibile. Secondo Levin, la politica della nostalgia sta tradendo gli americani
del XXI secolo, perché i partiti spesso non riconoscono quanto sia cambiata l’America, l’individualismo e la
liberalizzazione hanno avuto un costo in termini di solidarietà, coesione, ordine sociale: abbiamo più possibilità di
scelta, ma questo comporta una minore stabilità, una minore unità. I leader politici vanno a caccia dei colpevoli, e li
ritrovano nelle banche, negli immigrati, o in quelli che Donald Trump chiama, senza fronzoli, “morons”, imbecilli. Ma
secondo Levin, la frammentazione della vita del paese deve essere affrontata sfruttando la potenza di una nazione
dinamica, differente al suo interno, decentralizzata. Il revival americano, di cui si sente la necessità dopo tanti saggi e
tante politiche incentrate sul declino, riparte dalle comunità, dalle iniziative locali, da un processo dal basso verso l’alto
reso virtuoso dal fatto che, a livello micro, sei costretto a guardare in faccia i destinatari delle tue scelte. Si sente
riecheggiare la “Big Society” che i conservatori britannici lanciarono anni fa, concetto potente di rinascita culturale che
non è mai stato sufficientemente spiegato da poter sfociare in azioni concrete. In un passaggio del suo libro Levin
spiega che il messaggio di Trump più che essere populista è un messaggio “desolato e nostalgico”. Con l’ascesa di questo
candidato repubblicano si segna “la fine disastrosa di un’epoca” intrappolata nella nostalgia di un passato remoto e
incentrata – a differenza del populismo in senso stretto che pensa che l’establishment sia troppo potente – sulla
debolezza del sistema centrale, sulla debolezza della politica. Secondo Levin i conservatori sono più titolati a liberarsi
dalla trappola della nostalgia, in quanto i liberal sono fieri del loro istinto nostalgico, ma per farlo è necessario iniziare
dal basso, rimettendo assieme così, occhi negli occhi, i pezzi di una cultura nazionale spezzata.Dino Bertocco 23
24. Jan Assman, LA MEMORIA CULTURALE. Scrittura, ricordo e identità politica nelle
grandi civiltà antiche
Loredana Sciolla, SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI
Raymond Aron, L’OPPIO DEGLI INTELLETTUALI
Antonio Gramsci, GLI INTELLETTUALI
Pierluigi Battista, I CONFORMISTI. L’estinzione degli intellettuali d’Italia
Alberto Asor Rosa, IL GRANDE SILENZIO. Intervista sugli intellettuali
Edmondo Berselli, VENERATI MAESTRI. Operetta immorali sugli intellettuali
d’Italia
Alfonso Berardinelli, CHE INTELLETTUALE SEI?
Dodici Apostati, DODICI CRITICI DELL’IDEOLOGIA ITALIANA
Una nuova cultura politica?
http://www.pandorarivista.it/articoli/una-nuova-cultura-politica/
Dino Bertocco 24
25. L’egittologo Jan Assman indaga le relazioni fra i tre temi del
ricordo, dell’identità e della perpetuazione culturale, cioè del
costituirsi della tradizione
Il manuale della prof. Sciolla fornisce un quadro unitario del campo
degli studi sociologici sulla fenomenologia dei processi culturali,
indagando i principali modelli in base ai quali tali fenomeni e processi
vengono compresi e spiegati
Dino Bertocco 25
26. Il conributo metodico e storico che conserva il
fascino di uno scrutatore appassionato e
partecipe della funzione degli intellettuali
Un documento fondamentale per contrastare le tentazioni che
spingono gli uomini intelligenti ad adottare le «idee stupide» per
abbreviare i processi del convincimento e della progettualità politica
Dino Bertocco 26
27. HTTP://WWW.REPUBBLICA.IT/CULTURA/2017/01/08/NEWS/REMO_BODEI_LA_RIVOLUZIONE_FR
ANCESE_E_FINITA_GLI_INTELLETTUALI_NON_SERVONO_PIU_MA_LA_VITA_E_RICERCA_DEL
LA_RAGIONE_-155612989/
(…) Bodei è un uomo mite che ha scritto un libro sull’ira. È un ateo che ha scritto un libro su Dio. Ed è anche un uomo
tutto di un pezzo che ha recentemente pubblicato Scomposizioni.
Come affronti le ragioni dell’avversario?
«Tentando di comprenderle. Il miglior modo per dialogare è cercare punti di contatto e dove non ci sono argomentare il
dissenso. Poi, sai, le prospettive possono cambiare e con esse le nostre convinzioni. Scrissi Scomposizioni trent’anni fa.
Ho aggiunto parti nuove. In misura del fatto che da allora la realtà è profondamente mutata».
Verso che direzione?
«La prima cosa che mi viene in mente è che l’epos di una società liquida sia tramontato. Stiamo riscoprendo la durezza
della crisi e la spigolosità della realtà. Come si fa a non tenerne conto?» E di che altro devi tener conto?
«Ti ricordo quello che diceva Francis Fukuyama una decina di anni fa: la storia è finita. La democrazia e il liberalismo
hanno vinto».
Fu un grande abbaglio.
« Niente è più sotto controllo. Le guerre si moltiplicano. La politica è un cumulo di macerie. La finanza spadroneggia. E
noi ci siamo consolati, tra ironia e desiderio, dicendo che il mondo era liquido, la società liquida, le parole liquide. Ti
pare che viviamo immersi in un bagno di acqua calda? L’unica cosa che si è davvero dissolta è il modello di
organizzazione sociale che aveva al centro la politica».
(…….)
Dino Bertocco 27
28. Cosa l’ha sostituita?
«Il mercato che, come si può vedere, è da tempo diventato una potenza autonoma. Mentre sul piano della democrazia si assiste al
tramonto della rappresentanza».
C’è il capo e ci sono le folle.
«Il fenomeno è tutt’altro che nuovo. E ha permesso la nascita dei totalitarismi. I quali hanno inventato la categoria del sublime
politico: un capo che la folla sente contemporaneamente molto lontano e molto vicino. A me ha sempre colpito che un tipetto come
Goebbels alla fin fine riuscisse a parafrasare in qualche modo Kant».
(……)
Se la situazione è come la descrivi, che cosa proponi?
«Non mi chiedere ricette: la figura dell’intellettuale critico, incisivo sul terreno civile e della politica ha perso importanza».
Vale anche per il filosofo?
«Non fa eccezione. Nel momento in cui uscivano dalla loro stanza e si chinavano ad analizzare la società e la politica — come
fecero Locke, gli illuministi, Kant, Hegel, Marx e nel Novecento Gramsci, Russell, Hannah Arendt — svolgevano una funzione di
riflessione e di critica intellettuale».
Perché questa funzione è venuta meno?
«Si è chiusa un’era, cominciata con la Rivoluzione francese: gli intellettuali non costituiscono più il polo di un’alleanza con le
masse per rovesciare insieme lo stato delle cose».
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29. È una crisi che fa parte del generale tramonto delle élite?
«Si sta andando verso un “mondo nuovo” più inquietante di quello che i nostri padri spirituali pensavano. Mi viene in
mente una frase di Keynes: “ L’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”. Siamo davanti a qualcosa che non ci
aspettavamo che accadesse».
(….)
Credi in Dio?
«Sono tranquillamente ateo. Ma capisco che in un mondo nel quale molte cose sfuggono la religione può essere una
forma di consolazione. Con Franco Fortini frequentammo per anni l’arcivescovado di Milano. Spesso si discuteva con il
Cardinal Martini e un giovane Ravasi, biblista agguerrito. Detto ciò sento molto il senso del sacro».
Che definizione ne daresti?
« Per me il sacro è lo stupore e l’inquietudine di essere in un mondo senza volerlo. Ho un corpo e contemporaneamente
vivo qualcosa che non mi appartiene del tutto. Mi sento ospite della vita e il sacro ne manifesta il rispetto e il timore».
E la filosofia cos’è per te?
«Per le cose che stiamo dicendo è una forma di igiene mentale; un aiuto a orientarsi nel mondo. È un insegnamento che
ho appreso da Gadamer quando studiai con lui a Heidelberg». (......)
Dino Bertocco 29
30. Una terza caratteristica di De Mauro come
intellettuale è quella così bene disegnata da
Antonio Gramsci in uno dei suoi Quaderni del
carcere: «Il modo di essere del nuovo
intellettuale [consiste] nel mescolarsi
attivamente alla vita pratica, come costruttore,
organizzatore, persuasore permanente». De
Mauro, convinto che la lingua sia in funzione
dell’eguaglianza dei cittadini e della loro
partecipazione al sistema politico, importante
per l’accesso non solo al sapere ma anche al
potere, come mezzo della democrazia, ha sempre
unito la teoria alla pratica, o cercando di
migliorare il linguaggio della burocrazia con
l’attività da lui svolta per il Codice di stile
amministrativo o riscrivendo la bolletta
dell’Enel o quale ministro dell’Istruzione
(Sabino Cassese)
http://www.corriere.it/cultura/17_aprile_01/tullio
-de-mauro-linguista-morto-ricordo-c8934662-
16e7-11e7-8391-fba9d6968946.shtml
Dino Bertocco 30
31. Trascurare la conoscenza del passato ci rende più vulnerabili e meno liberi (LA LETTURA/Corriere della Sera 31 dicembre
2016):
- Fulvio Cammarano: la storia è da tempo relegata alla funzione di un sia pure importante e diffuso passatempo, narrazione di
un passato che in quanto tale può essere fonte di nostalgia o repulsione, ma comunque senza rilevanza nella soluzione dei
problemi contemporanei
- David Armitage: per certi versi la storia è molto popolare, come mostrano i film, i romanzi e le fiction televisive di
ambientazione storica. Le pubblicazioni di storia rivolte ad un vato pubblico godono di ottima salute, almeno nel mondo di
lingua inglese….Ma paradossalmente questa fame di storia raccontata si accompagna a una crescente resistenza, perfino a
un’ignoranza, nei confronti della storia come risorsa critica per orientarsi nei nostri tempi problematici. L’ascesa del populismo, e
anche di alcune forme di autoritarismo, in Europa e negli Stati Uniti, è un importante segno di questa lacuna. Le generrazioni
che non hanno più memoria del periodo tra le due Guerre, della Grande Depressione o della Seconda guerra mondiale, sembrano
ripetere alcuni errori catastrofici del passato, che la storia potrebbe e dovrebbe insegnare a evitare…
http://www.corriere.it/la-lettura/16_dicembre_29/storia-conversazione-fulvio-cammarano-david-armitage-la-lettura-0b32852e-
cdd1-11e6-b7f4-62190597806c.shtml
La storia può avere un ruolo pubblicoma deve aggiornare i suoi linguaggi. Maurizio Ridolfi interviene sugli argomenti trattati
nell’intervista di Fulvio Cammarano a «la Lettura». La Public History, oltre i circuiti accademici, è la frontiera del futuro
http://www.corriere.it/la-lettura/16_luglio_18/storia-cammarano-ridolfi-giannuli-sissco-4513e18c-4cc8-11e6-b4d6-
1a2d124027e8.shtml
Dino Bertocco 31
32. …ed allora: come suscitare ancora interesse per la storia che
non si riduca a riportare tutto all’Europa e al suo passato? Le
narrazioni del passato non i dicono molto in merito alle radici
del nostro mondo globalizzato. Lo stesso vale per le
produzioni dell’industria del l’intrattenimento: dai videogiochi
a sfondo storico alle serie televisive che raramente prpongono
chiavi interpretative per comprendere il presente
Serge Gruzinski espone nel suo volume le ragioni di una
storia capace di far dialogare criticamente passato e presente
e il cui sguardo sia in grado di decentrarsi. Una storia globale,
che ci invita a riconsiderare da nuovi punti di vista una tappa
fondamentale per l’umanità: il Rinascimento
Con la conquista degli Oceani, attraverso la scoperta di altri
mondi, l’Europa prende coscienza di se stessa, gli orizzonti si
ampliano, le idee cominciano a circolare, mentre iniziano ad
articolarsi le prime reti commerciali mondiali. La storia di
questo cambiamento illumina, attraverso numerose
esperienze concrete, il presente multiforme in cui siamo
entrati con la globalizzazione
Dino Bertocco 32
33. Il Paese sta vivendo il momento giusto
per rivisitare criticamente i caratteri
originari (positivi e negativi) della storia
italiana: la crisi infatti afferisce ai molti
nodi e contraddizioni affrontati finora in
modo non risolutivo: il ruolo debordante
della politica e di uno Stato impiccione
ed ineffficiente, le grandi fratture
ideologico-culturali e territoriali, slanci e
fragilità nei rapporti con l’Europa e con
il mondo, il gravame di un passato di
arretratezze e divisioni…Il libro curato
da E. G. Della Loggia costituisce una
rassegna non esaustiva, ma
sicuramente efficace delle questioni con
cui fare i conti, affrontate con una
molteplicità di apporti culturali e
scientifici che offre una efficace chiave
interpretativa ed una convincente
visione d’insieme
Dino Bertocco 33
34. L’autore racconta come il
cambiamento/tradimento è stato vissuto,
iinterpretato e concettualizzato nella
recente storia politica italiana e,
ripercorrendo anche la sua stessa
esperienza e le molte polemiche che lo
hanno coinvolto nei principali passaggi
della vicenda ideologica del Paese, posa
uno sguardo severo sulla storia
intellettuale e culturale italiana, colta
nei suoi inconfessati cambiamenti di
fronte, le sue quasi sempre tacite abiure,
suoi pregiudizi, le sue bugie. Insomma
su tutto ciò che rende ancora difficili le
scelte di cambiamento…E tale
atteggiamento critico viene ricambiato
dall’omertoso silenzio di molta parte
dell’intellighenzia strapaesana
Dino Bertocco 34
35. HTTP://WWW.ILFOGLIO.IT/CULTURA/2017/04/01/NEWS/PERCHE-NESSUNO-PARLA-DELL-ULTIMO-LIBRO-DI-
GALLI-DELLA-LOGGIA-127879/
La ragione dell’incredibile silenzio sull’ultimo libro di
Galli della Loggia Nel novembre dell’anno scorso è
uscito (presso il Mulino) un importante libro di Ernesto
Galli della Loggia, Credere, tradire, vivere. Un viaggio
negli anni della Repubblica, ricco di analisi acute, che
inducono a rimeditare gli snodi essenziali della storia
della cosiddetta Prima Repubblica. Un libro
importante, ho detto. Ma un libro – ecco una cosa che
mi ha molto colpito – sul quale è scesa una coltre di
silenzio: nel senso che la grande stampa italiana lo ha
del tutto ignorato. Nessuna recensione, che io sappia:
né su Repubblica, né sulla Stampa, né sul Sole 24 Ore,
e via enumerando. Eppure i nostri grandi giornali si
affrettano a parlare anche di libri di scarso pregio. Nel
caso del libro di Galli, no: non vale la pena di spendere
su di esso nemmeno una parola (e si tratta di un’opera
di uno dei più autorevoli editorialisti del Corriere della
Sera!). Vale la pena di chiedersi: perché? Io ho un
sospetto: che il silenzio con cui il libro di Galli della
Loggia è stato punito sia dovuto al fatto che egli critica
a fondo la politica seguita dal Pci in Italia dal secondo
Dopoguerra in poi, e per converso mette in rilievo le
molte novità positive della politica di Craxi. Apriti
cielo! Chi osa criticare Enrico Berlinguer, depositario
della moralità politica? – continua -
Dino Bertocco 35
36. Ma l’autore ha la sfrontatezza di ricordare che nel 1984, intervistato a Mixer da Giovanni Minoli, alla domanda su chi fosse la
personalità internazionale cui andava la sua preferenza, Berlinguer rispose: Janos Kadar (nel 1984!); mentre in quegli anni
(ricorda il nostro autore) erano protagonisti sulla scena europea personaggi come Willy Brandt e Helmut Schmidt, François
Mitterrand e Olof Palme. Prima dell’avvento di Craxi alla segreteria del Psi, ricorda ancora Galli della Logia, il segretario
socialista De Martino dichiarò che non avrebbe mai più partecipato in modo organico ad alcun governo che non comprendesse
anche i comunisti. “Un’autocertificazione di subalternità di cui è difficile, credo, trovare un esempio analogo nell’intera storia
politica europea”. Molti anni dopo la caduta di Craxi, un intellettuale socialista lucidissimo, Luciano Cafagna (che non aveva mai
ceduto alle lusinghe del potere), scrisse che Craxi aveva avuto di mira fin dall’inizio una cosa “chiarissima e costantemente
presente: sostituire una leadership socialista ‘socialdemocratica’ a quella comunista che aveva prevalso per un intero periodo
storico nella sinistra italiana”. Galli della Loggia, citando questo giudizio di Cafagna, lo fa proprio, e aggiunge: “Con Craxi,
insomma, l’egemonia del Pci sulla sinistra italiana, fino ad allora incontrastata, anzi progressivamente accresciutasi, minacciava
di andare in frantumi e ciò avveniva – cosa massimamente insopportabile – per un processo nato all’interno della sinistra stessa.
Allora e sempre questa sarebbe stata la sua vera colpa”. Craxi, dunque, come critico e avversario tenace dei miti (tutti fallaci) del
comunismo. Apriti cielo! Ma come osa Galli della Loggia riconoscere i meriti di Craxi? Craxi era un demonio, una canaglia, un
cialtrone (come lo definì il segretario di Berlinguer Tonino Tatò), Berlinguer, invece, era un santo. Ma ci sono altre cose assai
salutari nel bellissimo libro di Galli della Loggia, che urtano la communis opinio della quasi totalità degli intellettuali italiani.
Come quando egli ricorda che Altiero Spinelli, appena eletto come “indipendente di sinistra” nelle liste comuniste, affermò che il
“compromesso storico” era lo strumento più idoneo per superare niente di meno in tutte le democrazie europee il meccanismo
dell’al ternanza che ne caratterizzava il quadro politico-parlamentare. “Col gioco dell’al ternanza – scrisse Spinelli – i governi di
sinistra sono labili, o durano a lungo, come vediamo in Inghilterra e in Germania, ma a patto di mettere da parte ogni velleità
innovatrice e di limitarsi, praticamente, a gestire la società così com’è. […] L’alternanza è diventata sinonimo di impotenza
innovatrice e riformatrice”. Parola di Spinelli. Caspita, che liberale! O come quando Galli della Loggia ridimensiona fortemente
un altro “mostro sacro”, presentato di recente, in occasione della sua scomparsa, come uno dei padri della cultura italiana della
seconda metà del Novecento: Tullio De Mauro. L’autore ricorda che De Mauro, in un libro che raccoglieva i suoi scritti
giornalistici degli anni Settanta (Le parole e i fatti, Editori Riuniti, 1977), deprecava come una “forma di studio che fa diventare
‘amici del padrone’ […] lo studio come acquisizione individualistica di nozioni che consentono di emergere nella competizione
sociale”, ovvero “lo studio egoistico finalizzato al successo nella società borghese”, e definiva “inutili scorie registri, voti
individuali […] e in prospettiva le stesse pareti divisorie delle aule”. Vere e proprie idiozie (di sapore sessantottesco) che si stenta
a credere che siano state scritte. E altre perle si potrebbero citare (riportate nel libro di cui parliamo) di “il lustri maestri”. Caro
Ernesto Galli della Loggia, ma Lei come si permette?
Dino Bertocco 36
37. …le Confessioni, dunque, si offrono al lettore
come un’appassionata e luminosa profezia
nella quale passato e futuro sono gli elementi
di una relazione alchemica che trasforma
l’uno nell’altro, e vogliono essere il romanzo
del risorgimento dell’Italia prima che esso sia
avvenuto. A cose fatte il disegno che Nievo
aveva generosamente concepito, come un
sogno, apparirà tanto lontano dal vero da non
indicare un traguardo, quanto piuttosto
rinnovare illusioni e speranze ormai
definitivamente deluse dagli accadimenti, e
così oggi, centocinquant’anni dopo, siamo
ancora a fare i conti con un capolavoro
sconosciuto che pure è nostro come nessun
altro
(Cesare De Michelis, Corriere del Veneto, 22
gennaio 2017)
Dino Bertocco 37
38. L’indagine sulla lenta conquista collettiva
della conoscenza e dell’uso parlato della
lingua, in rapporto con le grandi tendenze
della società italiana postunitaria ha
significato e significa tuttora «guardare in
faccia» la realtà italiana
Il decrescente, ma persistente (e cangiante
nella sua espressione) analfabetismo, la
lenta e faticosa scolarizzazione, la prima
industrializzazione, le migrazioni interne e
l’urbanizzazione, la diffusione della
stampa, le scarse letture, la nascita e
l’incidenza di cinema, radio, televisione,
costituiscono il «calco» da cui partire per
leggere ed aggiornare la mappa socio-
culturale del Paese odierno, attraversato da
un mutamento di segno diverso, ma che ne
scopre le debolezze e criticità
Dino Bertocco 38
39. «Credo che sia ricorrente l’isolamento dei gruppi intellettuali
che cercano di diffondere diagnosi sull’arretratezza culturale
del paese. Ereditiamo una lungatradizione. E in questo filone
di denuncia troviamo persone molto diverse fra loro, il
comunista Antonio Gramsci, il liberalsocialista Guido
Calogero, il catttolico Lorenzo Milani.»
Tullio De Mauro ha riflettuto sullo stato della cultura diffusa
in Italia e ne definisce il significato in termini più ampi
rispetto ad accezioni troppo chiuse in ambiti umanistico-
letterari. Fra gli aspetti negativi c'è una arretratezza
strutturale verso cui, da un lato, le classi dirigenti dimostrano
scarsa attenzione (le politiche scolastiche e formative e i tassi
nazionali di alfabetizzazione ne sono una testimonianza
diretta), dall'altro, la società dei letterati, autorevole dal
punto di vista del suo prestigio sociale, è sempre stata
autoreferenziale (con pochi "eretici" al suo interno) e non
colma la distanza che la separa dal paese reale.
Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda,
ascolta, ma non capisce):
http://www.lastampa.it/2017/01/10/blogs/il-villaggio-quasi-
globale/il-per-cento-degli-italiani-analfabeta-legge-guarda-
ascolta-ma-non-capisce-
MDZVIPwxMmX7V4LOUuAEUO/pagina.html
Dino Bertocco 39
40. Giuseppe Gangemi – Giuseppe Zaccaria, PER UNA CLASSE DIRIGENTE
EUROPEA. Il futuro dei laureati di Scienze politiche
De Rita, INTERVISTA SULLA BORGHESIA – a cura di Antonio Galdo
Giulio Sapelli, CHI COMANDA IN ITALIA
Antonio Galdo, SARANNO POTENTI? Storia, declino e nuovi protagonisti della
classe dirigente italiana
Giuseppe De Rita - Antonio Galdo, L’ECLISSI DELLA BORGHESIA
Carlo Carboni, SOCIETA’ CINICA. Le classi dirigenti italiane nell’epoca
dell’antipolitica
Pietrangelo Buttafuoco, BUTTANISSIMA SICILIA. Dall’autonomia a Crocetta,
tutta una rovina
Dino Bertocco 40
41. Il potere in Italia è allo stato gassoso,
senza un centro e senza una
vertebrazione
E’ solo fondato sul denaro, quindi
instabile e non in grado di ottenere
una legitimazione
I partiti si sono trasformati in
strutture di dominio personalistiche
La solitudine è, quindi, la cifra di un
potere via via disgregantesi in
un’Italia sempre più frammentata
Dino Bertocco 41
42. Tempi di dannazione per “élite” ed
“elitismo” e boati di disgusto per chi
pronuncia quelle parole senza scherno e
senza rendere omaggio alle “masse”.
Questi sono gli anni della “casta” e della
diffusa repulsione che essa raccoglie nel
mondo. Eppure la risposta a questa
melmosa crisi delle “classi dirigenti”
(altro concetto ora infetto, un tempo
glorioso) potrebbe anche vedere una
rivincita delle teorie di Gaetano Mosca e
Vilfredo Pareto, italiani famosi nel
mondo per le rispettive teorie, della
“classe politica” e delle “élite”: una
minoranza di governanti al comando di
una maggioranza di governati.
Dino Bertocco 42
43. Eppure è chiaro a tutti i realisti democratici, da Joseph Schumpeter a Robert Dahl, da Norberto Bobbio a Giovanni
Sartori, passando per Lasswell, Aron, e arrivando fino alle generazioni successive dei Gianfranco Pasquino e Eva
Etzioni Halevy, che anche la democrazia prevede una minoranza ben organizzata che esercita il potere su una
maggioranza, che è, al confronto, sparsa e meno organizzata. L’atto stesso di votare è un gesto elitista che delega il
potere a una minoranza (Nadia Urbinati, Democrazia rappresentativa, Donzelli). L’idea di un governo diretto del
popolo, attraverso le assemblee o i referendum, o addirittura il “cervello sociale” della rete (Casaleggio), non sono più
che miti. Il “direttismo” (conio di Sartori) è una illusione perché suppone una competenza e una informazione dei
cittadini, possibili solo in situazioni ideal-tipiche
Il passaggio che ha creato lo sconquasso nelle relazioni tra governanti e governati è quello rappresentato dalla
esplosione di un fattore che era rimasto implicito nella teoria delle élite: il nazionalismo metodologico, l’area nazionale
statale in cui era concepito l’esercizio del potere. Lo sfondo era delimitato perché il potere aveva confini, era
“cartografico”, mentre la globalizzazione ha prodotto una deterritorializzazione, denazionalizzazione, una
fluidificazione del potere che lascia alle classi dirigenti “cartografiche” e alle loro campagne elettorali l’arduo compito
di reggere la marea in condizioni di impotenza. Hanno qui le radici vari processi degenerativi di un’epoca in cui
«ristabilire la visibilità delle frontiere serve a placare l’ansia». Muri ben radicati per terra sono la risposta, a volte
politica, a volte solo retorica, di fronte al libero fluttuare di forze che appaiono minacciose e incontrollate
Dino Bertocco 43
44. Dalla Rai alla nascita dell’Aspen renziano. Può il renzismo essere qualcosa di diverso dal
“nuovismo”? Discussione avviata dal Direttore del Foglio Claudio Cerasa
http://www.ilfoglio.it/politica/2016/02/19/news/puo-il-renzismo-essere-qualcosa-di-diverso-dal-
nuovismo-cercasi-egemonia-culturale-92907/
http://www.corriere.it/cultura/16_febbraio_22/egemonia-ha-bisogno-un-idea-necessario-restarle-
fedeli-af16a554-d8da-11e5-842d-faa039f37e46.shtml
http://www.ilfoglio.it/articoli/2016/02/25/news/ma-quale-egemonia-culturale-qui-ce-solo-una-
banale-lotta-di-potere-93128/
http://www.ilfoglio.it/politica/2016/02/22/news/puo-esistere-un-egemonia-del-renzismo-il-corriere-
risponde-al-foglio-92968/
Dino Bertocco 44
45. Al direttore - C’è un brutto film di qualche anno fa in cui Nicholas Cage cerca disperatamente di andar via da un villaggio infame del
Midwest e non ci riesce. Ogni volta che sembra che sia riuscito a metterselo alle spalle, succede qualcosa che lo riporta tra le quattro strade
impolverate di Red Rock. La politica italiana a Red Rock c’è rimasta per vent’anni. Sempre impantanata negli stessi dibattiti e nelle stesse
trincee, dalle riforme istituzionali all’articolo 18. Ora, si può pensare quello che si vuole degli ultimi due anni, ma è difficile negare che
siamo finalmente usciti dal villaggio. Basta questo per dire che siamo sull’orlo di una nuova egemonia culturale, l’ambizione che Claudio
Cerasa ha fin troppo generosamente attribuito a Volta in occasione dell’avvio delle nostre attività? A mio avviso no. Ma ciò non significa che
abbia ragione Ernesto Galli della Loggia quando, sul Corriere, ribatte a Cerasa che la classe dirigente attuale non produrrà mai
un’egemonia culturale perché “manca l’idea”, vale a dire la cornice d’insieme nella quale inquadrare le singole mosse per costruire un
percorso leggibile e coerente. A me sembra che sia vero esattamente il contrario. Certo, non esistono più le super-pillole teoriche di un
tempo. Quei manualetti delle istruzioni che contenevano tutte le domande e tutte le risposte. Però, rispetto al ventennio perduto della
Seconda Repubblica, una discontinuità forte, sul piano dell’“idea”, c’è. E consiste nella semplice volontà di puntare fino in fondo su un
modello italiano, culturale e produttivo, che ha una sua specificità e va riformato anche in profondità, ma per rafforzarlo, non per
omologarlo ad altri. In questo sta la differenza con gli ultimi vent’anni: quando Berlusconi tagliava i fondi alla cultura e cancellava la storia
dell’arte dalle scuole superiori e la sinistra, o i tecnici, pensavano che il legno storto italiano andasse raddrizzato per farlo aderire a
un’ideale di normalità importato dall’estero. Non dico che tutte le scelte compiute negli ultimi due anni siano coerenti con questo obiettivo,
ma una linea riconoscibile esiste. E lo dimostrano sia il grado di polarizzazione del dibattito pubblico italiano tra chi ci crede e chi no, sia i
toni con i quali la stampa di tutta Europa ha commentato il secondo anniversario del governo in carica. Un po’ dappertutto, i progressisti
sospesi tra l’immobilismo di Hollande e il ritorno al passato di Corbyn si chiedono se l’Italia non stia per caso producendo un’alternativa
sostenibile, capace di rimettere in movimento la società senza soccombere sotto i colpi dei movimenti populisti ed euroscettici. Ora è chiaro
che la risposta a questa domanda non c’è ancora. Però il fatto stesso che venga posta significa che esiste lo spazio per una scommessa. In
una fase di disorientamento su scala continentale, nella quale i vecchi centri di iniziativa politica e culturale hanno cessato di funzionare, ci
sono i margini per immaginare che un contributo decisivo alla reinvenzione dell’Europa venga dall’Italia? Non solo inin termini di governo,
ma anche di stimoli, di idee edi iniziative tangibili? Volta nasce per accompagnare questa scommessa. Si tratta di affrontare un’emergenza
culturale, più che di affermare una qualsiasi presunta egemonia. In un paese più abituato alle inaugurazioni che alle manutenzioni, solo il
tempo dirà se ne saremo stati capaci. Di una cosa, però, siamo certi. Anche in questo campo, i vecchi occhiali servono a poco. Chiunque pensi
che l’impatto di un movimento si misuri ancora in termini di manifesti e di riviste, di intellettuali organici e di manualetti di pret-à penser è
vittima di n’illusione ottica. L’importanza del lavoro culturale non è diminuita. Al contrario si è per molti versi accresciuta, ma segue oggi
percorsi completamente diversi, che bisogna avere il coraggio di esplorare senza pregiudizi. Altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi ancora
una volta sul sentiero mille volte battuto che conduce a Red Rock.
Giuliano Da Empoli Presidente del Centro studi Volta
Dino Bertocco 45
46. Una Costituzione «impossibile»
La crisi di sistema che attanaglia il Paese
La frattura che debilita il Paese
Un problema storico-culturale di ceto politico locale
Le mani (pulite?) sulla politica
Il rapporto asimmetrico tra Magistratura e Ceto politico
Il peso del corporativismo
Il peso dei privilegi
La fenomenologia della casta diffusa
Il peso della corruzione
La «corrutela» un male antico
Le insorgenze populiste nostrane: Bossi & Grillo
Dino Bertocco 46
47. …l’Italia del dopoguerra ha così avuto un regime di assemblea, e
piuttosto che garantire diritti individuali, la costituzione è stata
usata per propagandare valori. Una distorsione in cui sonno
precipitati tutti i poteri costituzionali: il potere giudiziario è
diventato tutore della oralità; quello esecutivo è prigioniero non
– come nei sistemi parlamentari compiuti – della maggioranza
,ma dell’opposizione; il parlamento è sede di accordi corporativi,
non legislatore ma camera degli interessi…La crisi costituzionale
dell’Italia degli anni ‘90 (!!) ha dunque radici profonde, a cui può
far fronte solo una nuova assemblea costituente (‘95)
Dobbiamo augurarci che l’Europa non si sfasci perché se ciò
accadesse, mentre altre democrazie reggerebbero, la nostra
sarebbe a rischio. Anche per colpa di alcune indistruttibili (e
false) idee di senso comune propagandate da certa «cultura alta».
Mi riferisco alla cultura costituzionale italiana, e alla colpa di
molti dei suoi più illustri esponenti: avere avallato l’idea secondo
cui le democrazie non avrebbero bisogno di governi forti (secondo
questa concezione il governo forte sarebbe l’anticamera di un
regime autoritario). Una falsità: le democrazie muoiono, quando
arrivano i momenti davvero difficili, se i governi sono troppo
deboli per fronteggiare la sfida.
Angelo Panebianco: La polemica nei confronti dei
costituzionalisti
http://www.corriere.it/opinioni/17_marzo_13/grande-illusione-coalizioni-0fb07178-
0761-11e7-96f4-866d1cd6e503.shtml
Dino Bertocco 47
48. Per capire la crisi di sistema che sta vivendo
il nostro Paese occorre andare indietro nel
tempo, fino alle origini, ai nodi irrisolti
dell’intera vicenda storica nazionale. La
guerra civile ideologica che ha sempre
inquinato il raporto tra forze di governo e di
opposizione – dall’Italia liberale a quella
repubblicana – ha impedito il normale
avvicendamento tra due schieramenti stabili
e l reciproca legittimazione dei partiti cosicchè
il cambiamento è passato attraverso
traumatiche crisi di regime. Anche il primo
esempio di alternanza di governo, che ha
posto fine al ciclo storico dei regimi blocccati,
è avvenuto solo nel segno di una profonda
crisi di sistema. Crisi che si ripete oggi, a
distanza di venti anni, con il naufragio del
bipolarismo sorto dalle elezioni del 1994
Dino Bertocco 48
49. (……)
Secondo: nel Mezzogiorno la qualità delle istituzioni risulta in
generale più bassa. Tutte le province meridionali sono caratterizzate
da istituzioni deboli: il sud costa di più per pensioni di invalidità
(rimedio all’inoccupazione); le regioni e i comuni del sud hanno un
numero di dipendenti e una spesa per abitante superiori a quelli del
nord (e nonostante questo sono sotto – amministrate); il costo della
politica per abitante è maggiore nel sud (ciononostante le esigenze del
Mezzogiorno si fanno ascoltare meno a livello nazionale); le prefetture
del sud costano per abitante più di quelle del nord (nonostante ciò c’è
una evidente carenza di stato nel Mezzogiorno); le regioni del sud
pagano corrispettivi per posto-chilometro per trasporto molto più
elevati che quelle del nord (ma la dotazione di infrastrutture di
trasporto nel sud è palesemente inferiore a quella del nord). A causa di
questo divario di rendimento delle istituzioni, in larga misura
derivante dal loro “sfruttamento” individualistico, in contraddizione
con la loro missione di cura dell’interesse pubblico (conta il “posto”,
non la “funzione”), le risorse meridionali sono meno utilizzate.
Contrariamente al modello marxiano, sono le istituzioni che incidono
sull’economia, non viceversa: giustizia, sanità, sicurezza, ordine
pubblico influenzano sviluppo economico e benessere collettivo. Ci si
può chiedere se questa non sia anche responsabilità del pensiero
meridionalistico, che ha posto sempre l’accento sull’aspetto economico,
astraendolo dalle complessive condizioni di contesto, dall’ambiente
istituzionale e sociale.
dal discorso tenuto da Sabino Cassese, già giudice della Corte
costituzionale, alla “Assemblea nazionale sul Mezzogiorno”,
promossa da governo, regione e Unioncamere che ha avuto luogo
a Napoli lo scorso 12 novembre 2016
Dino Bertocco 49
50. La Sicilia delle tasse perdute
e dei soldi pubblici svaniti
http://www.corriere.it/opinioni/17_marzo_20/s
icilia-tasse-perdute-5eac2610-0cdd-11e7-
a6d7-4912d17b7d3e.shtml
L’affaire siciliano denunciato
dall’articolo di Paolo Mieli
L’impareggiabile Presidente
Crocetta nel teatro dei pupi
De Magistris, il sindaco guaglione
arruffapopolo
Il Presidente Emiliano, tra xilella,
Consorzi di bonifica, metanodotto e
Che Guevara
Dino Bertocco 50
51. …ancora una volta le posizioni polemiche
assunte dalle diverse parti ignorano la
centralità della sfera pubblica e la logica che
presiede al suo funzionamento. L’indignazione
da più parti precipitosamente espressa verso le
esternazioni del pm Gherardo Colombo si è
infatti esplicitamente riferita a unaconcezione
dello Stato democratico di tipo tradizionale, con
i tre poteri nettamente circoscritti, fra i quali il
potere giudiziario occupa un ruolo subordinato
perché non è espressione del consenso popolare,
inteso come consenso elettorale. Non si è
distinto dagli altri il consenso pubblico, o lo si è
considerato come mera anticipazione, o
appendice, del consenso eletorale; non invece,
com’è, istituzione che propone una sua logica
autonoma, in obbedienza alla quale i principali
soggetti pubblici, (….) si sono mossi e scontrati;
e dalla quale quindi si possono esercitare poteri
a volte più forti di quelli che si voglionno
eserrcitare sul fondamento dei numeri del
consenso elettorale
Dino Bertocco 51
52. L’intervento di Biagio De Giovanni al Lingotto:
https://www.youtube.com/watch?v=hlujFZXGabw
Fermare la magistratura militante. Chi tradisce quell’immagine di terzietà che il giudice
dovrebbe sempre preservare. Argomenti fuffa con cui i pm giustifcano il proprio protagonismo.
Catalogo:
http://www.ilfoglio.it/cronache/2016/05/13/fermare-la-magistratura-militante___1-v-141931-
rubriche_c976.htm
La contabilità di Mani pulite non dimostra la corruzione, ma il fallimento della rivoluzione per
via giudiziaria
http://www.ilfoglio.it/cronache/2017/02/20/news/mani-pulite-tangentopoli-i-numeri-di-un-
fallimento-121305/
La giustizia non va? Colpa dei politici (Carlo Nordio)
http://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/carlo_nordio_procura_venezia_pensione-2247000.html
Metodo «naming and shaming»
Dino Bertocco 52
53. Cosa frena lo sviluppo in Italia? Perché
cresciamo più lentamente dei nostri
partner europei? Per comprenderlo bisogna
focalizzare la trama della legislazione
italiana, nazionale e regionale, che soffoca
la concorrenza in Italia: una normativa
intricata che contrasta con le regole
antitrust e che alimenta i mille interessi
corporativi che bloccano l’economia del
nostro Paese, uno spaccato misconosciuto in
cui, accanto alle più note categorie «forti»,
proliferano privilegi e protezioni per
mestieri meno visibili e individuati
Solo una società ed un’economia più libere
cosituiscono il presupposto necessario ed
indispensabile per garantire la creazione di
maggiore ricchezza alle generazioni future
Dino Bertocco 53
54. Quello delle rendite perenni e spropositate, dei
vitalizi scandalosi e delle poltrone perpetue è il più
odioso dei vizi nazionali. Pubblici e privati: perché
chi entra nel circolo vizioso del potere burocratico
finisce per rimanervi felicemente intrappolato per
sempre. Ci sono dirigenti pubblici pressochè
inamovibili anche ben oltre la pensione, boiardi che
hanno portato al collasso aziende del parastato e
sono stati premiati con nuove poltrone di prestigio.
Ed un’infinita platea di personaggi che possono
contare su infinite prebende e inappellabili incarichi
a vita, a cui la politica garantisce sistemazioni eterne
con vitalizi da favola.
La colpa spesso è delle regole. Regole sbagliate,
assurde, scritte per un mondo che non c’è più o forse
non c’è mai stato. Regole che hanno spalancato un
abisso fra il Palazzo e il paese. Per rimettere in moto
l’Italia si deve ripartire da qui. Mettere in
discussione i privilegi eterni.
Dino Bertocco 54
55. Dal Corriere della Sera, 19.3.1017, Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella: Sprechi e tagli mancati
http://www.corriere.it/cronache/17_marzo_19/sprechi-tagli-mancati-1c7e9f78-0c1c-11e7-a9ee-
e937d2fc7af8.shtml
19,2 %: è il calo delle spese della Camera dal 2007 al 2017; sono passate dal 1053 milioni a 961 milioni
di euro
18 %: è il calo delle spese del Senato, passate da 582,2 milioni di euro nel 2007 a 532,5 mulioni nel
2017
13,2 %: è il calo delle spese del Quirinale dal 2018 al 2017; sono passate da 241,6 milioni a 236,8
milioni
I dipendenti alla Camera sono scesi da 1.839 a 1.170 ma il costo delle pensioni è salito a 267, 8 milioni
Il tetto degli stipendi: Renzi l’aveva fissato a 240.000 euro, ma è stato inteso al netto delle tasse
Le Province (per le quali la legge Delrio ha abolito il suffragio universale per l’elezione dei Consigli
provinciali)non hanno prodotto alcun risparmio bensì il caos organizzativo-gestionale
I consiglieri regionali inquisiti per l’uso disinvolto dei rimborsi hanno superato quota 500
I vitali dei parlametari restano un macigno impressionante: un euro di entrate undici di uscite
Dino Bertocco 55
56. Può sconcertare, ma è utile leggere la testimonianza di
un protagonista di primo piano di un settore strategico
quale la costruzione delle grandi opere, nella quale
vengono descritte le regole dell’illecito, come si sono
codificate, strutturate e diffuse a tutti i comparti
dell’economia.
Si può meglio comprendere come cattivo mercato e
cattiva politica si sono contaminati e reciprocamente
legittimati. Come si è saldato il sodalizio criminale tra
imprenditoria incapace e pubbblica amministrazione
incomptetente.
Ne risulta che «la corruzione è un reato ma è anche un
modello mentale, una struttura culturale»
E se il contrasto e la punizione del reato sono compito
della magistratura, il cambiamento del sistema compete
all’intera società: per necessità etica, senza dubbio, ma
soprattutto per convenienza econnomica…
Dove nasce la nostra corruzione (Ernesto G. Della
Loggia):
http://www.corriere.it/cultura/16_aprile_26/illegalita-
diffusa-8d1721f4-0b1b-11e6-9420-98e198fcd5e0.shtml
Dino Bertocco 56
57. I mali analizzati da De Sanctis sono riassumibili in uno, la «corruttela politica», che tutti gli altri genera e perpetua. Le
manifestazioni della malattia da lui descritte sono quelle proprie di una «democrazia recitativa», dove le istituzioni parlamentari
non sono animate da genuino spirito democratico.
Manifestazione della corruttela politica, al tempo di De Sanctis, è una vita pubblica ristretta «in gruppi più o memo numerosi,
più o meno attivi, secondo gli interessi che li tira» mentre la «grande maggioranza delle classi anche intelligenti non vi
partecipa», guarda «con cert’aria d’indifferenza, e quasi disprezzo gli uomini politici, quelli cioè che usano i diritti loro concessi
dallo Statuto, come se la politica fosse privilegio di pochi, e non dovere di tutti». In tale situazione di «atonia o indifferenza
politica», si formano consorterie che «sempre in nome del paese», mirano solo «a fare gli interessi di questa o quella consorteria.
Onde nasce che il paese non vede colà che centri di corruzione, e dopo i disinganni diviene scettico, indifferente e maldicente,
confondendo tutti in una sola condanna».
«Oramai - continuava De Sanctis - siamo giunti a questo, che non sappiamo più cosa è Destra e cosa è Sinistra, e cosa vogliamo e
dove andiamo». Cosicché «spesso vediamo un uomo mutare le sue idee e dire l’opposto da un dì all’altro, e non se ne vergogna lui
e nessuno se ne vergogna per lui». Da questa confusione, nascono governi con maggioranza legale, ma non reale: per essere reale,
cioè «una sincera espressione del paese», la maggioranza parlamentare deve avere «almeno queste due qualità, un sentimento
sviluppatissimo degli interessi generali, e l’opinione incontestata di moralità e d’incorruttibilità», perché il paese non solo vuole
una maggioranza «dove sia vivo il sentimento degli interessi generali, ma vuole moralità e incorruttibilità anche nei singoli
membri». Se invece il governo «cade in mano a quelli che sanno meglio lusingare le moltitudini», concludeva De Sanctis, «al di
sopra delle masse, e in nome delle masse, si forma uno strato di falsa democrazia, che le sfrutta, corrotta e corruttrice». Quando
ciò accade, governano «non le moltitudini e non le alte classi», ma una classe «che unisce insieme i vizi delle une e delle altre ed è
il peggiore elemento della società».
Da sincero amico della democrazia, nel primo degli articoli, De Sanctis aveva avvertito: «Forse il male è men grave che a me non
pare. Ma, piccolo o grande, il male c’è, e il primo metodo di cura è di riconoscerlo francamente».
Dalla recensione di Emilio Gentile, Il Sole 24 Ore Domenica, 26 marzo 2017
Dino Bertocco 57
58. La semplicità lessicale, popolare e dialettale agita contro
l’arroganza delle classi colte e urbane si trasforma nel suo
contrario: l’arroganza della semplicità
Per capire il successo del nuovo populismo digitale è necessario
seguire in parallelo il percorso di Grillo e l’evoluzione della
società italiana e dei media degli ultimi 20 anni
Dino Bertocco 58
59. Chi è l’imprenditore più prolifico? Chi
finanzia la ricerca che produce le tecnologie
più rivoluzionarie? Qual è il motore
dinamico di settori come la green economy,
le telecomunicazioni, le nanotecnologie, la
farmaceutica? Lo Stato. E’ lo Stato nelle
economie più avanzate, a farsi carico del
rischio di investimento iniziale all’origine
delle nuove tecnologie
Lo Stato imprenditore, soprattutto nella
memoria delle sue «disfunzioni» verificatesi
in Italia, rappresenta una contraddizione in
termini, una presenza ingombrante di cui si
pensa necessario disfarsi. Il libro della
Mazzuccato ci aiuta ad identificarne –
invece - la funzione utile e basilare per
generare una condizione di prosperità
futura
Dino Bertocco 59
60. Domanda: Nel libro Il popolo e gli dei Lei delinea il progressivo divorzio tra élites (politiche, economiche…) e popolo. In uno sguardo retrospettivo, con
riferimento al ruolo della politica e al suo rapporto con la società nella storia italiana del dopoguerra, Lei sembra riconoscere alla politica un ruolo
duplice. Da un lato un ruolo di accompagnamento e promozione dello sviluppo sociale e della crescita economica; dall’altro di essere all’origine, o
comunque di aver aggravato, alcune delle tendenze che stanno alla base di certi problemi della società italiana di oggi. Potrebbe chiarire meglio questa
complessa relazione?
De Rita: Torno agli anni Settanta, che un giorno qualcuno dovrà studiare meglio. Negli anni Settanta il ruolo della politica fu discusso a
lungo, anche perché tutto ribolliva intorno a noi: c’era la paura della pistolettata quando uscivi dal cancello, gli scioperi generali del 1969 e
poi del 1972. C’era un casino infernale. La politica che faceva, che doveva fare? Eppure c’era qualcosa di più profondo che stava accadendo,
anche rispetto al tema della fermezza contro il terrorismo.
Ci fu una lunga discussione tra Andreotti e Moro sulle loro rivistine politiche. Nella rivista dei morotei Moro scrisse che in una società
come quella degli anni Settanta, caratterizzata da capacità di movimento e sviluppo economico dato anche dalla piccola impresa, la politica
dovesse orientare i processi, accompagnarli verso un fine, dare loro un orientamento, una direzione. Con ciò si riaffermava l’idea morotea
del primato della politica: la politica deve guidare la società. Andreotti rispose, nel maggio del 1973, sulla sua rivista “Concretezza”, dicendo
invece che compito della politica non era quello di orientare la società ma solo di rassomigliarle, perché solo rassomigliandole si prendono i
voti.
Questo nodo non è mai stato risolto. I due hanno avuto destini diversi. Dopo la morte di Moro, quattro anni dopo, nessuno avrebbe preso il
suo ruolo ed ereditato la capacità morotea di fare disegni. Lo stesso Berlinguer non era nelle condizioni politiche di fare grandi disegni.
Andreotti, d’altra parte, continuava a rassomigliare alla società, non aveva alcun problema. Così siamo andati avanti con una politica che è
diventata sempre più simile alla società sino all’arrivo di Berlusconi e poi di Renzi, che avevano mostrato l’intenzione di restituire alla
politica un primato. Lo stesso Berlusconi disse di voler cambiare tutto e di fatto non ha cambiato niente. Però vi era una stanchezza diffusa
nei confronti di tutto il sistema precedente, dovuta all’idea che il tran tran andreottiano basato sul tentativo di assomigliare alla società
conducesse a una politica inerme e inerte. Assomigliando alla società non devi far nulla. Il consenso dato a Berlusconi nel 1993 e poi anche a
Renzi, nasceva dalla convinzione che fosse arrivato uno che si sarebbe ripreso la responsabilità di riorientare la società nel suo complesso.
Non saprei dire quanto questo sia possibile, o quanto questo sia in qualche modo passibile di un certo successo, ma ho forti dubbi al
riguardo. Alla fine si continua sempre ad assomigliare alla società. Per fare politica bisogna prima di tutto capire la società, ma se si vuole
dare un imprinting esterno ad essa, rivendicando un primato della politica, allora serve una politica delle riforme. Di tanto in tanto viene
rivendicato questo primato della politica ma poi questo proposito in genere fallisce.
Dino Bertocco 60
61. La politica italiana ha bisogno di un nuovo inizio, dopo essere
rimasta bloccata per vent’anni, a destra e a sinistra, a causa di
gruppi dirigenti invecchiati, screditati, più dediti
all’autoconservazione che a salvare il Paese dal declino. Il
cambiamento necessario, però, non può essere generato dalla
somma di speculari debolezza, né dall’antipolitica che la
assedia, ma da una nuova generazione di leader e attivisti
determinata a ridare forza e dignità alle istituzioni
democratiche creando finalmente le premesse di una normale
democrazia dell’alternanza. Con partiti non più drogati dal
finanziamento pubblico o da quello di qualche autocrate, aperti
alla partecipazione, capaci di raccogliere il pensiero di molti ed
alimentare processi decisionali all’insegna del pluralismo. Con
un Parlamento reso meno costoso e più forte dal superamento
del bicameralismo, con meno chiacchiere in Transatlantico e
più lavoro nelle Commissioni, indennità trasparenti secondo
standard europei, un sistema elettorale che consenta ai
cittadini di scegliere i singoli parlamentari e il primo Ministro.
Ma …..
….se il veleno del proporzionalismo iniettato dai giudici della
Corte Costituzionale entrasse in circolo, allora sì che, di fronte
alla moltiplicazione dei partiti e a un Parlamento incapace di
decidere, olti comincerebbero a dire che è meglio liberarrsi
della politica democratica invece di liberarla
Dino Bertocco 61
62. I partiti hanno compiuto uno sforzo titanico,
plurisecolare, per essere accettati, e una volta
affermatisi pienamente vedono sfumare i loro
prestigio, la loro credibilità, la loro considerazione.
Tanta fatica per arrivare al centro del sistema ed
esserne i legittimi protagonisti per poi crollare di
schianto travolti dalla perdita di contatto con la
società civile.
Fanno pensare anche a Leviatani ai quali sonno state
affidate sempre più funzioni, concessi sempre più
pooteri, lasciati sempre più ampi spazi di intervento.
Esseri giganteschi, se non proprio mostruosi, che in
preda ad una fagia di potere anno «colonizzato» la
società e drenato risorse pubbliche dallo Stato
diventandone parte più che controparte. Come sono
giunti a questo? Il loro vero peccato è che non
incarnano più gli ideali di passione e dedizione, di
impagno e convinzioni che sbandieravano come
connnaturati alla loro esistenza
Dino Bertocco 62
64. Pubblicato nel 2013 18 Autori specialisti
Il voto del 2013 ha – in ogni caso –
rappresentato una cesura politica che ha
evidenziato il nuovo volto non solo della
politica, ma anche della società italiana,
con una «destrutturazione» dell’assetto
complessivo del Paese che rappresenta un
autentico rebus per le scelte di tutti i
protagonisti della governance.
Il merito del libro è di fornire le schede
informative su tutte le questioni emerse e
persistenti e le chiavi di lettura per
affrontarle con un approccio più
consapevole, documentato e non
condizionato dalla chiacchiera social e
giornalistica schiacciata sulla cronaca
Dino Bertocco 64
65. Pubblicato nel 2017
L’autore insegna Storia delle dottrine politiche
all’Università di Bologna e dal 2013 è Parlamentare
(eletto nelle liste del PD, ora milita in SI)
Quello del Prof. Galli è un (efficace) racconto con lo
«sguardo di un intellettuale che si sforza di capire la
politica reale». Un’analisi che sceglie di gettare luce sulla
politica italiana con un mezzo ormai desueto e percio
provocatorio: non un tweet o un post su Facebook, ma un
libro. Dalla Camera dei Deputati, e con gli occhi del filosofo
della politica, egli esplora e spiega quattro anni di
legislatura, dalle elezioni politiche del 2013 al referendum
costituzionale del 2016. il ruolo crescente del Movimento 5
Stelle, la radicalizzazione della Lega di Salvini, l’avvento di
Renzi e la trasformazione del PD fino all’esito del
Referendum costituzionale sono le tappe di una narrazione
riflessiva che decifra la storia in tempo reale e unisce i fatti
in un percorso dotato di senso. E spiega perché la politica
sta andando incontro ad una profonda metamorfosi. Come
anche altri Paesi europei, secondo Galli l’Italia assomiglia
sempre meno ad una democrazia. Le istituzioni del sistema
rappresentativo rimangono apparentemente intatte,
mentre si svuotano della loro funzione e sono superate dal
ppulismo che viene sia dall’alto sia dal basso. La
democrazia si deforma così un una post-democrazia e
rischia di diventare una pseudodemocrazia
Dino Bertocco 65
66. Ossimoro, pregiudizio o constatazione?
La visione nostalgica dell’eterno ritorno
I conti con la nuova cittadinanza digitale
Il PD ed il congresso che non c’e’
Cassese: tutti si fanno sentire nessuno discute
I contributi alla rigenerazione del PD
Il deleterio complesso dei migliori
La sindrome da sinistrati
Ci siamo persi nella Terza via….
La madre «di sinistra» e’ sempre incinta di: ribelli, cicisbei, pavoncelli e coatti
Dino Bertocco 66
67. I partiti hanno compiuto uno sforzo titanico,
plurisecolare per essere accettati, e una volta
affermatisi pienamente vedono sfumare il
loro prestigio, la loro credibilità, la loro
considerazione. Tanta fatica per arrrivare al
centro del sistemaed esserne i legittimi
protagonisti per poi crollare di schianto
travolti dalla perdita di contatto con la
società civile. Fanno pensare anche a
Leviatani ai quali sono state afffidate sempre
più funzioni, concessi sempre più poteri,
lasciati sempre più spazi di intervento. Esseri
giganteschi, se non proprio mostruosi, che in
preda ad una fagia di potere hanno
«colonizzato» la società e drenato risorse
pubbliche dalo Stato diventandone parte più
che controparte. Come sono giunti a questo?
Il loro vero peccato è che non incarnano più
quegli ideali di passione e dedizione, di
impegno e convinzioni che hanno sbandierato
per molto tempo come connaturati alla loro
esistenza
Dino Bertocco 67
68. Più volte è stata annunciata la
scomparsa del partito come istituto
distintivo delle democrazie
cotemporanee. E molti analisti hanno
descritto le trasformazioni della politica
celebrando l’apparizione di nuovi attori
della società civile desttinati a occupare
lo spazio abbandonnato dalle grandi
organizzazioni di massa. In realtà, con
adatamenti e innovazioni, i partiti
hanno saputo resistere alle sfide del
mutamento sociale e per questa loro
attitudine alla metamorfosi essi
continuano ancora oggi a operare come
essenziali veicoli della politica. I
movimenti, i comitato, la rete, la
personalizzazione del potere d’altro
canto non riescono a durare nel tempo
come eficaci surrogati del partito.
Dino Bertocco 68
69. Prima la televisione, poi le nuove tecnologie digitali e
quindi i socialnetwork hanno sbaragliato le forme
tradizionali della rappresentanza e della
partecipazione politica, ridimensionando in modo
strutturale il ruolo dei tradizionali partiti di massa.
Con i loro smartphone i cittadini possono partecipare
al dibatttito e intervenire sulle scelte senza passare
attraverso i filtri, meccanismi, momenti
istituzionalizzati. Inevitabile per i nuovi leader
politici adottare espedienti comunicativi più idonei al
rapporto diretto con l’elettore, percorrendo le strade
dei nuovi sentiment per attrarre i voti e mantenere
vivo l’interesse per la proposta politica.
La politica tende inevitabilmente ad adattarsi al
senso comune e alle atmosfere dominanti che, nel
tempo presente, tendono a rendere più praticabile e
seducente lo stile populista che appare
inestricabilmente legato all’appello diretto al
cittadino.
In questo contesto i partiti politici richiedono sia una
reimpostazione organizzativa e digitale che una
reimpaginazione della loro funzione e del loro
rapporto con iscritti ed elettori
Dino Bertocco 69
70. FORSE chi ha immaginato l’architettura organizzativa del Pd ha rivolto il suo pensiero al “cavaliere inesistente” di Italo Calvino: una armatura vuota e per questo
perfetta. L’allegoria dello scrittore, affascinante nella sua fantasia, male si adatta però alla realtà della politica. Il Partito democratico presenta una anomalia
organizzativa che non ha pari tra i grandi partiti europei: non prevede un congresso nazionale. Se si cerca la parola congresso nel suo statuto lo si ritrova soltanto
per i livelli locali. Non è previsto un congresso nazionale dove si discutano, per giorni, le varie posizioni e si votino documenti e dirigenti.
Quella che viene chiamata convenzione nazionale non serve altro che a certificare il numero minimo di voti ottenuti nei circoli locali da ciascun candidato al fine di
accedere alle primarie. Tutto si riduce al momento delle primarie, al voto per un candidato. Di dibattiti corali e solenni nemmeno l’ombra. Eppure la storia dei partiti
è contrassegnata da momenti collettivi, teatri di scontri e svolte. Come separare l’accettazione della democrazia da parte della Spd tedesca dal “mitico” congresso di
Bad Godesberg? O il distacco del Pci dal comunismo? O ancora, il congresso di An a Fiuggi nel 1995? Sono momenti rituali, carichi di emotività e di passione politica,
dove vengono sanciti passaggi decisivi.
Tutto questo non può verificarsi nel Pd per la semplice ragione che il “congresso nazionale” non esiste, è un’araba fenice. Eppure si parla di questa entità mitica: in
realtà, siamo di fronte a un “congresso inesistente”. In nessun luogo i contendenti si incontreranno per presentare a una platea di delegati i loro programmi. E questo
nonostante che i partiti da cui nacque il Pd — Ds e Margherita — vedessero in questa assise il momento più importante della vita del partito. Nel 2007, infatti, alla
vigilia del congresso del Lingotto, come segnala una ricerca di Aldo Di Virgilio e Paola Bordandini, i delegati dei due partiti consideravano l’assise nazionale cruciale
per la definizione della linea politica e per la discussione delle mozioni, rispettivamente, nell’80-90 e nel 65-75 per cento dei casi.
Di tutto questo non c’è più traccia nel Pd. Il dibattito non ha una sede di partito dove esprimersi. Ogni candidato fa gara a sé, senza incontrarsi o scontrarsi con gli
altri aspiranti segretari. Tutto è rimandato alle primarie. Il partito è esautorato della sua funzione propria di scelta del leader. Ci penseranno i cittadini. La modalità
di scelta della leadership introduce tre problemi: la personalizzazione esasperata della competizione, la diminuzione dello spazio per la deliberazione collettiva e la
creazione del consenso, la sottovalutazione della democrazia delegata. Sono aspetti connessi e vanno tutti in una direzione, quella plebiscitaria, delle assemblee che
applaudono più o meno contente il vincitore, senza farsi distrarre da tanti discorsi. Questi problemi affiorano in molti partiti nelle democrazie occidentali. Ma non c’è
alcun gaudio nel mal comune. Lasciare briglia sciolta a queste tendenze significa fare il gioco dei populisti.
Il Pd non ha fatto tesoro dell’esperienza delle precedenti primarie quando le tensioni accumulate sono poi venute a galla con effetti dirompenti; non ha compreso che
solo un processo di scelta collettiva, magari divisiva ma non a scompartimenti stagni come accade ora quando i contendenti si incontreranno, semmai, solo in uno
studio tv, potrebbe ridurre il tasso di conflittualità interna. Difficile invocare serenità e condivisione quando il processo decisionale semina tempesta. Ma c’è
dell’altro. L’assenza di un momento collettivo, da sempre rappresentato dal congresso nazionale, non solo depaupera i membri del partito di una opportunità di
identificazione nel progetto della leadership, ma rende sempre più atomizzata la scelta politica. Le democrazie non vivono solo nel momento elettorale. Vivono se la
polis non è deserta, abbandonata perché è diventato inutile incontrarsi e confrontarsi. Perché basta un clic. Ogni passo, anche involontario, verso questa direzione
impoverisce la democrazia.
Dino Bertocco 70
71. I partiti erano i canali di trasmissione della domanda
politica dalla società civile allo Stato. Erano le scuole
dove si formava la classe politica e si selezionavano i
governanti. Ora sono diventati movimenti, reti che
cavalcano o formano gli umori della società civile, senza
guidarla verso obiettivi di medio o lungo termine. Una
volta la base dei partiti era amplissima: i tre maggiori
partiti nell’immediato secondo Dopoguerra avevano
circa 10 milioni di iscritti. Molti di questi si riunivano
nelle sedi locali per discutere. Ora gli iscritti, la base
dei partiti esistenti, si è rarefatta (sembra che il Pd non
abbia più di 400 mila iscritti). Non c’è lavoro collettivo.
Le persone sono “volti nella folla”, per ripetere il titolo
di un famoso libro americano di sociologia. La rete
permette di comunicare, ma è la rivincita
dell’individuo. Quello che una volta era un discorso da
bar, ora può avere una diffusione generale. La radio e i
giornali aprono “sportelli di dialogo” con ascoltatori e
lettori, dando spazio alla voce dell’individuo, non al
dibattito collettivo. Tutti si fanno sentire, nessuno
discute, mette a confronto le proprie idee, cerca di
convincere ed è pronto a farsi convincere.
Da il foglio 22 marzo 2017
Dino Bertocco 71
72. Valter Veltroni, E SE NOI DOMANI. L’Italia e la sinistra che vorrrei
Stefano Allievi, CHI HA UCCISO IL PD (e cosa si può fare per salvare quel che ne
resta)
Claudio Cerasa, LE CATENE DELLA SINISTRA
Fabrizio Barca, LA TRAVERSATA. Una nuova idea di partito e di governo
Fabrizio Barca - Piero Ignazi, IL TRIANGOLO ROTTO. Partiti, società e Stato
Goffredo Bettini, LA DIFFICILE STAGIONE DELLA SINISTRA. Impraticabilità di
campo?
Dino Bertocco 72
73. A quasi 10 anni dalla sua publicazione il
pmnphlet di Ricolfi resta una lettura
propedeutica per ogni tentativo di
liberare il «popolo di sinistra» dalle false
credenze e comode mitologie, retaggio
della vecchia subcultura comunista:
mancanza di rispetto per la verità,
attitudine a mascherare i fatti, la
tendenza ad orientare l’informazione in
funzione dell’interesse di parte. La
sinistra, per legittimare un’autentica
vocazione di forza di governo deve
rifiutare gli atteggiamenti presuntuosi
ed arroganti, da un lato, ed acquisire la
capacità di ascoltare ed intendere,
osservare il mondo senza filtri ideologici,
capire la società italiana frequentandola
assiduamente
Dino Bertocco 73
74. Edmondo Berselli ci ha lasciato in eredità uno
straordinario manuale di autocoscienza e
sopravvivenza dedicato a quei poveri disgraziati con la
vocazione a «restare minoranza permanente», con
l’alibi loro suggerito dagli scienziati che «si è di sinistra
per via del dna (c’è di mezzo un dannato gene
altruista): come dire che si è fessi per natura»! La prosa
corrosiva ed intonata al pessimismo era dedicata a
commentare amaramente la sonante sconfitta
elettorale del 2008, ma costituisce una sorta di diagnosi
impietosa utile e valida per tutte le stagioni perché
formula un’invocazione atualissima: «Ci vorrebbe una
cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe
almeno un’idea»…Ad osservare con disincanto le più
recenti vicende interne al Partito Democratico, ci si
sente ancor più grati all’intelligenza ed alla squisita
umanità di uno splendido emiliano a cui, la prematura
dipartita, ha se non altro evitato di assistere alle
ultime manifestazioni di tafazzismo che, con
preveggenza, ci ha aiutato ad interpretare e valutare:
«L’unica vera risorsa è l’ironia, che consente di dire a
noi stessi, per consolazione, come in un vecchio film di
Totò: - Sinistri si nasce. E anch’io, modestamente, lo
nacqui»
Dino Bertocco 74
75. L’intervento di Mauro Magatti al Lingotto:
https://www.youtube.com/watch?v=RO7AR7z84NI
Una sintesi da trovare tra crescita e democrazia
http://www.corriere.it/cultura/16_dicembre_04/sintesi-trovare-
16d189b8-b984-11e6-91a1-37861f72a51f.shtml
Nel tempo (della globalizzazione) la sinistra
neoprogressista è diventata la paladina di un progetto
che punta a tecnicizzare e burocratizzare porzioni
sempre più grandi della vita sociale e personale. su
questa via, essa ha finito con perdere contatto con la
società e le sue fatiche, producendo elites frede e
distaccate commbattendo solo battaglie di principio che
difendono un’idea di giustizia e uguaglianza astratta e
eramente procedurale, lontanissima dai bisogni reali
della genere. Semplicemente perché, come dice Slavoj
Zizek, «l’altro reale» – che è sempre brutto sporco e
cattivo – è di fatto rimosso e tenuto alla larga dietro la
coltre delle retoriche del politically correct. Una
sinistra che, raccogliendo i propri consensi ormai quasi
esclusivamente tra i cei medi istruiti e professiolizzati,
sembra non avere più alcuna idea di «popolo»
Dino Bertocco 75
77. Un libro che si rivela necessario per comprendere
l’Italia del NO, quella in cui fatica ad affermarsi una
cultura politica riformista; che spiega perché
abbiamo avuto il più grande Partito comunista
dell’Occidente e non è riuscita a mettere radici una
solida socialdemocrazia di tipo europeo
Vi emerge con nitidezza come, al di là della volontà di
uomini, partiti, elite intellettuali, spesso mossi da
sincere intenzioni di rinnovamento e di giustizia
sociale, il richiamo alla rivoluzione abbia avuto esiti
deleteri e abbia costituito un ostacolo rispetto
all’affermazione di una cultura politica
autenticamente democratica e riformista
Si tratta non di mera storiografia, bensì della
documentazione utile per dipanare alcuni dei temi e
dilemmi che angustiano il cosidetto Centroinistra ed
in particolare il Partito Democratico alla ricerca di
dotarsi di una cultura in grado di supportarne, in
una fase storica di profondo cambiamento, il progetto
per affrontare con efficacia le impegnative sfide della
contempporaneità
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78. Il fatto è che la Sinistra è nata ed è vissuta assai a lungo credendo che
il cammino della Storia fosse caratterizzato di per sé, seppure tra le
strettoie del capitalismo, da un elemento di Progresso (che voleva dire
rischiaramento delle menti, avanzata della ragione e della civiltà,
affermazione della libertà). E che proprio perciò prima o poi una tale
Storia all’insegna del Progresso si sarebbe conclusa con la vittoria
della Sinistra stessa, sua rappresentante per antonomasia. Ogni
novità — tecnologica, di costume, di mentalità — s’inseriva in questo
corso provvidenziale: da qui la sua tendenza a stare comunque dalla
parte del nuovo. Specialmente se tale novità non riguardava l’ambito
della fabbrica dove c’era sempre il sospetto che essa, invece, facesse gli
interessi del «padrone». Ma escluso questo caso, in generale la Sinistra
era convinta di non potere che essere comunque a favore di tutto ciò
che sapesse di rottura, di ampliamento della sfera individuale così
come di aumento dell’autodeterminazione collettiva, di non potere che
favorire la «democratizzazione» di qualunque istituzione. La Sinistra,
insomma, non poteva che cavalcare comunque l’onda dei tempi.
Solo che a un certo punto i tempi sono sembrati smentire tutte le
previsioni, e la Storia ha deviato dal suo corso. Il capitalismo ha
cominciato a funzionare con un numero sempre minore di operai, i
«padroni» sono diventati democratici, le vecchie idee sono state
mandate in soffitta senza problemi, il ceto medio da conservatore che
era si è mutato in «riflessivo», e il Progresso non ha incontrato più
ostacoli. Ha preso il comando e ha cominciato a dettare legge. Peccato
che la Sinistra però non riesca ad accorgersene: convinta addirittura
di intimorire qualcuno, essa pensa ancora di dirsi «progressista».
Proprio mentre contro il Progresso si ode dappertutto, sempre più
vicino e crescente, il rumore di confuse, paurose, rivolte.
http://www.corriere.it/cultura/17_marzo_09/progresso-declino-sinistra-
9f0535a8-0436-11e7-9858-d74470e8bbec.shtml
Dino Bertocco 78
79. E’ ancora possibile una proposta di sinistra riformatrice, europeista e, soprattutto, vincente? Per avere una risposta occorre partire da Parigi, e dalla
corsa sempre più lanciata di Emmanuel Macron, passato in poco tempo da outsider a cavallo su cui puntare nella prossima campagna elettorale. Con la
vittoria di Benoît Hamon nelle primarie del Partito socialista, ha prevalso un’idea di sinistra in netta discontinuità con l’azione riformista di Hollande, e
del governo guidato da Manuel Valls di cui era parte, fino all’anno scorso, Emmanuel Macron, ministro dell’Industria. C’è però da chiedersi quanto una
proposta di questo genere possa far breccia nel corpo elettorale: Hamon dice cose giuste su ecologia e lotta alle disuguaglianze, ma nelle sue parole
riecheggiano totem del passato (le 35 ore da portare a… 32) o idee ambiziose ma di molto dubbia fattibilità (come il reddito universale). Ecco perché
guardare a Macron. Perché la sua piattaforma è certamente di sinistra (anche se lui vuole andare oltre...), ma di una sinistra capace di fare i conti con la
realtà, di approvare riforme capaci di lottare contro le rendite, di dare più opportunità, di aumentare la competitività del paese, e soprattutto di non
rinchiudersi negli steccati ideologici del passato. Macron del resto ha indirettamente conteso e occupato, almeno in parte, proprio lo spazio politico di
Manuel Valls. Non stupisce allora che anche vari riformisti del Partito socialista guardino con inte resse proprio a Macron: stando ai sondaggi, è l’unico
in grado di potersela giocare con Fillon e Le Pen al ballottaggio. Hamon e il Ps viaggiano infatti tra il 10 e il 15 per cento: rischiamo cioè di avere
l’ulteriore riprova che l’autolesionismo di una sinistra che per cinque anni ha combattuto il proprio governo può servire a vincere delle primarie ma
molto probabilmente non paga nelle “secondarie”, cioè le presidenziali. Né a Parigi, né altrove… Ma c’è dell’altro. Macron sta conducendo una campagna
coraggiosa e innovativa, specie per i canoni francesi, basata su parole d’ordine quali liberalizzazioni (in un paese ancora chiuso e corporativo), Europa (in
un paese in cui il “sovranismo” di vario genere è sempre stato forte) e globalizzazione (da governare attraverso un’altra Ue, in un paese con crescenti
tendenze protezionistiche). E’ una sfida a testa alta alle politiche della paura e della chiusura, a chi vorrebbe erigere muri e frontiere e distruggere
l’Unione europea, pensando di tornare a un bel mondo che fu che, se mai c’è stato, certamente non tornerebbe. Più sovranismo nazionale per noi europei,
infatti, significa più povertà e meno opportunità per tutti. Possiamo recuperare sovranità solo insieme, con un’Unione migliore. Cosa c’è di interessante
per noi nella corsa di Macron? Due osservazioni su tutte. La prima: che la sinistra o è europeista e internazionalista o non è sinistra. Non credo sia
casuale che la sua campagna stia decollando: ogni volta che la sinistra sceglie di inseguire i populismi e i nazionalismi, finisce per sembrare la brutta
copia di qualcun altro, e si sa che gli elettori preferiscono l’originale. La seconda: quando la sinistra smette di fare i conti con la realtà, e dunque con una
chiara prospettiva di governo, è condannata alla semplice testimonianza. Vale a ogni latitudine: da Corbyn a Podemos, passando ovviamente per la
gauche de la gauche francese. Purtroppo, la tentazione di abbandonare il pragmatismo per tornare tra le braccia dell’ortodossia è forte in tutta la
sinistra europea. Però se Corbyn guida il Labour, se Podemos sopravanza il Psoe, se Hamon batte Valls, è perché la sinistra più radicale dimostra
comunque di aver capito l’inquietudine della nostra società. Sia le soluzioni della sinistra radicale, sia quelle degli estremisti di destra hanno un punto
di forza: dimostrano alla gente di aver capito le loro paure, le loro insicurezze, la loro sfiducia. Le soluzioni proposte forse non vanno lontano nella realtà.
Ma senza dubbio riavvicinano agli elettori. Invece la sinistra riformista in questi anni è sembrata allontanarsi o sottovalutare proprio quelle paure,
quelle insicurezze, quella sfiducia. La sfida per i riformisti è quella di dimostrare che le risposte radicali sono sbagliate, e che le giuste domande di
cambiamento, inclusione e sicurezza meritano risposte concrete: nuove protezioni per chi ha più bisogno, nuove opportunità per chi merita di più. E
sopratutto non deve incarnare il sistema immobile, ma il cambiamento possibile. La strada è lunga… En Marche.
Sandro Gozi, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Pd (lettera al Direttore del Foglio)
Dino Bertocco 79
80. La sinistra critica – scrivono gli autori – ha cercato di
ricompattarsi raffigurando il neo liberalismo come il proprio
nemico principale. In questo modo, si è immersa nella
configurazione ideologica dell’estrema destra e da quel
momento in poi la critica al neoliberismo è diventata una
critica alle società moderne e all’interno di quella
configurazione ideologica il tutto si è caricato di significati
nazionalisti
Questo slittamento ideologico ha permesso di trasformare la
critica al liberalismo economico in una critica al liberalismo
politico, alla socialdemocrazia, alla democrazia tout court. A
tal riguardo bisogna anche constatare che l’inflessione
nazionalista data alla critica del liberalismo dall’estrema
destra è stata ampiamente ripresa da intellettuali, giornalisti
e personalità politiche provenienti dalla sinistra, così che,
sempre più spesso, il riferimento a questa figura critica che
associa la stigmatizzazione del liberalismo e del potere della
finanza all’odio delle istituzioni europee della democrazia, alla
difesa del popolo nazionale, si trova ripreso da movimenti di
estrema sinistra che non si distinguono più dall’estrema
destra, se non per la loro attenzione compassionevole ai
migranti: residuo dell’antico internazionalismo proletario,
ormai finito nel dimenticatoio della storia
In sostanza, l’estrema sinistra attuale rimane passiva di
fronte a una situazione politica in cui è in posizione di
inferiorità, e rinunciando a dedicare attenzione al presente si
rivolge a un passato a cui non smette di dar lustro e a un
avvenire lontano che non si capisce bene come potrà realizzare
Dino Bertocco 80
81. Massimo D’Alema, NON SOLO EURO. Democrazia, lavoro, urguaglianza. Una nuova
frontiera per l’Europa
Enrico Letta, CONTRO VENTI E MAREE. Idee sull’Europa e sull’Italia
Uwe Heuser, MISTER SCHULZ IL BERSAGLIO SBAGLIATO – Corriere della Sera
Economia, 20 marzo 2017
Valerio Castronovo, IL PSOE SENZA BUSSOLA E SENZA LEADER.L’era Zapatero è
ormai un ricordo,Consensi del partito colati a picco – Il Sole 24 Ore 2 marzo 2017
Valerio Castronovo, ALLA SPD MANCA IL PRAGMATISMO DI SCHRÖDER – Il Sole
24 Ore, 1 febbraio 2017
Valerio Castronovo, REGNO UNITO. LA SINISTRA RADICALE. Quella spina nel
fianco del Labour in trincea, 1 febbraio 2017
Perché le critiche di D’Alema e Bersani a Renzi sono solo sfasciste. Parla Luciano
Pellicani (di sinistra italiana ed europea)
http://formiche.net/2014/09/05/renzi-bersani-pd-parla-pellicani/
Dino Bertocco 81
82. https://www.slideshare.net/dinobertocco1/temi-e-dilemmi-della-democrazia-contemporanea
https://www.slideshare.net/dinobertocco1/rigenerare-la-democrazia
http://tedxtalks.ted.com/video/La-prossima-democrazia-Rodolfo;search%3Atedxbologna
http://www.filosofia.rai.it/articoli/carlo-galli-internet-e-la-politica/18972/default.aspx
http://www.fondazionefeltrinelli.it/wp-content/uploads/2016/06/Democrazie-in-transizione-A-cura-di-
Nadia-Urbinati-1.pdf
Giovanni Sartori, DEMOCRAZIA. Che cosa è
Gustavo Zagrebelsky, IMPARARE LA DEMOCRAZIA
Nadia Urbinati, AI CONFINI DELLA DEMOCRAZIA
Ilvo Diamanti, DEMOCRAZIA IBRIDA
Raffaele Simone, COME LA DEMOCRAZIA FALLISCE
Gérald Bronner LA DEMOCRAZIA DEI CREDULONI
Sabino Cassese, LA DEMOCRAZIA ED I SUOI PROBLEMI
Dino Bertocco 82