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VIGNETO
La vite silvestre
è una pianta
spontanea dioica,
presente nei boschi
e nelle foreste di
tutte le regioni
del Mediterraneo,
con andamento
lianoso, che cresce
prevalentemente
negli ambienti
umidi o lungo
i corsi d’acqua
e utilizza come
sostegno gli alberi
ad alto fusto.
44
VVQ NUMERO DUE - MARZO DUEMILA17
C’
èunluogoin
Maremma
dove l’arche-
ologia si stu-
dia non sol-
tanto nei siti
e negli sca-
vi ma anche nelle popolazioni
viventi di vite silvestre, relitti
della viticoltura dei nostri an-
tenati Etruschi.
La valle dell’Albegna nei pressi di Scansa-
no (Grosseto) è stata oggetto di ricerche di
archeobotanica che hanno portato a rico-
struire i processi di domesticazione secon-
daria della vite e le relazioni genetiche tra
le viti selvatiche coltivate dagli Etruschi e
i vitigni toscani.
Marco Firmati,archeologoseneserespon-
sabile del Museo archeologico della vite e
del vino di Scansano, ci ha accompagnato
alla scoperta delle lambruscaie, le piante di
Vitis vinifera subsp. silvestris che cresco-
no in forma selvatica lungo i corsi d’acqua,
arrampicate agli alberi e che, insieme ai ri-
trovamenti archeologici consentono di ri-
costruire la storia della viticoltura etrusca.
Le tre fasi della domesticazione
La Vitis vinifera è la sola specie europea
del genere Vitis (nelle Americhe al contra-
rio le specie presenti sono molte e diverse)
ed è presente nel nostro continente con due
sottospecie, una forma spontanea, la Vitis
vinifera silvestris, e una forma coltivata
derivante dal processo di domesticazione
della prima, la Vitis vinifera sativa.
Lavitesilvestreèunapiantaspontaneadio-
ica, presente nei boschi e nelle foreste di
tutte le regioni del Mediterraneo, con anda-
mento lianoso, che cresce prevalentemen-
te negli ambienti umidi o lungo i corsi d’ac-
qua. Essa utilizza come sostegno gli alberi
ad alto fusto, dei quali raggiunge con la par-
te aerea e con i frutti le cime poste anche a
diversi metri di altezza.
La differenziazione delle due sottospecie è
avvenuta con l’intervento dell’uomo nella
sua prima azione di miglioramento geneti-
co basata sulla scelta del fenotipo: si parla
di protodomesticazione e successivamen-
te di domesticazione primaria. Per la vite
questi due processi hanno avuto luogo, se-
condo le teorie più accreditate, tra il VI e il
IV millennio a.C. nelle regioni del Caucaso
edell’AsiaMinore.Graziealladomesticazio-
ne primaria e, in seguito, alla selezione e al-
la fissazione dei caratteri utili, hanno avuto
origine la nuova sottospecie V. vinifera sa-
tiva e quindi i primi vitigni, con piante er-
mafrodite e con grappoli e acini più grandi.
Ma poiché la Vitis vinifera silvestris cre-
sce da sempre in tutto il Mediterraneo, nei
secoli altre popolazioni si sono interessate
al suo frutto e hanno avviato processi pa-
ralleli sebbene successivi, detti di domesti-
In Maremma le radici
del vino toscano?ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI Consulente R&S
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VVQ NUMERO DUE - MARZO DUEMILA17
cazione secondaria, nei quali è plausibile
che siano avvenute sovrapposizioni, ibrida-
zioni e trasferimento di caratteri con pian-
te già domesticate e trasportate con i com-
merci tra le diverse regioni.
Le origini dei vitigni
dell’Italia centrale
Nelle regioni tirreniche e in Etruria il pro-
cesso di domesticazione della vite silvestre
avviene più tardi, tra il III e il I millennio
a.C., mentre è intorno all’VIII secolo che,
con l’importazione dalla Grecia e dalla Ma-
gna Grecia dei primi vitigni già domesti-
cati e della cultura del vino e del simpo-
sio, si afferma una forma più strutturata di
viticoltura. Al vino locale, il temetum, già
prodotto dagli Etruschi dal frutto delle viti
silvestri, si vanno ad affiancare nuove pro-
duzioni di qualità, destinate spesso all’e-
sportazione, ottenute dalle varietà greche
importate. Non è difficile ipotizzare che a
questopuntointervengaunprocessodimi-
glioramento e trasferimento dei nuovi ca-
ratteri anche nelle popolazioni locali di Vi-
tis, con l’ibridazione e l’innesto delle due
sottospecie.
Ma quanto del patrimonio genetico delle vi-
ticoltivatedagliEtruschièancorapresente
nelle varietà dell’Italia centrale e in modo
particolare della Toscana? E come è pos-
sibile rispondere a questa domanda con la
ricerca e la caratterizzazione delle popola-
zioni di silvestris ancora presenti?
Tra scienza e archeologia
Larispostaèstatacercataindueprogettidi
ricerca archeobotanica realizzati a partire
dal 2004 - Vinum e il successivo Archeo-
Vino - che hanno visti impegnati gli arche-
ologi, i botanici e i genetisti dell’Università
di Siena (in una prima fase del progetto è
stata coinvolta anche l’Università di Mila-
no), la Soprintendenza per i Beni Archeolo-
gici della Toscana, il civico Museo Archeo-
logico e della Vite e del Vino di Scansano e
lo studio tecnico Gambassi e Zorzi di Siena.
Le lambruscaie, i luoghi dove si concentra-
no le popolazioni di viti silvestri, sono ben
presenti alle popolazioni locali, che hanno
spesso continuato a raccoglierne fino a po-
chi decenni fa i frutti spontanei. Sono gli
anziani di Scansano e degli altri paesi del-
la Maremma ad aver guidato nel progetto
gli archeologi e i botanici, segnalando le vi-
ti che di generazione in generazione hanno
continuato a crescere nei boschi che fian-
cheggiavano i loro poderi.
La prima mappatura delle popolazioni di
viti silvestri presenti in tutto il territorio
dell’Etruria meridionale metteva in evi-
denza la maggiore concentrazione di pian-
te, oggi allo stato selvatico, nei pressi dei
siti archeologici dove erano testimoniate
anche le attività inerenti alla produzione
di vino.
Il valore dell’isolamento
In modo particolare emergevano le peculia-
rità delle popolazioni vegetali che fiancheg-
giano gli affluenti del bacino del fiume Al-
begna. Insieme agli insediamenti etruschi
- presenti in una valle che oggi appare iso-
lata ma che rappresentava fino al Medioevo
un’importante arteria di comunicazione e
di trasporto, che scendendo lungo il fiume
conduceva al porto di Talamone e a quel-
li dell’Arcipelago toscano - si sono scoperte
pianpianoevidenzediquellacheeraunave-
ra e propria filiera vitienologica del passato.
“A partire dal 2004 - racconta Marco Fir-
mati - grazie anche alle segnalazioni di tan-
te persone, abbiamo individuato un bacino
corrispondente alle valli del torrente San-
guinaio e degli altri affluenti settentrionali
di destra dell’Albegna nel quale si è conser-
vata una straordinaria quantità di viti sil-
vestri. È proprio l’isolamento che ha segui-
to il periodo di attività e fioritura agricola e
commerciale della zona ad aver favorito la
conservazione delle lambruscaie nelle loro
forme più antiche”.
L’analisi del genotipo di queste piante ha
evidenziato una differenziazione rispetto
alle popolazioni selvatiche dovuta alla pres-
sione antropica e l’avvio di un processo che
fa dello Scansanese un sito di domestica-
zione secondaria.
“La domanda che si sono fatti archeologi e
botanici di fronte a queste evidenze è sta-
ta: se queste viti adesso allo stato selvatico
in una valle del tutto isolata non sono esat-
tamente viti silvestri, come e quando sono
diventate così?”, continua Firmati. Sono i
ritrovamenti archeologici e la storia degli
Etruschi e delle loro interazioni con gli al-
tri popoli ad aiutare a dare una risposta.
La zona dello Scansanese diviene in epo-
ca etrusca un’area di produzione del vino,
un’attività che porta ricchezza ai signori
etruschi della zona, come testimoniano le
tombe delle Necropoli di Poggio Marcuc-
cio e Magliano, ricche di vasellame utiliz-
zato nel simposio, e l’insediamento fortifi-
cato di Ghiaccio Forte. Ma all’industria del
vino si collegano altre attività come la pro-
duzione di anfore e corredi da simposio e
la loro esportazione.
Marco Firmati
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VIGNETO
©RIPRODUZIONERISERVATA
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VVQ NUMERO DUE - MARZO DUEMILA17
Le indagini genetiche
Rita Vignani,ricercatricedell’Universitàdi
Siena e responsabile dello Spin-Off Serge-
Genomics,hacoordinatoinsiemea Monica
Scali una articolata ricerca sulle viti selva-
tiche dell’Italia Centrale. “Dal punto di vista
genetico-spiega-èstataseguitaunaproce-
duradiindagineclassicadicampionamento
in campo con prelievo di materiale fogliare,
estrazione di acidi nucleici e test identifica-
tivo con l’applicazione del metodo che, uti-
lizzando particolari sequenze o microsatel-
liti del Dna tipiche di ogni specie, permette
di stabilire l’identità di un individuo”.
Per la vite dagli anni ‘90 si utilizzano que-
ste tecniche, ci sono moltissime banche da-
ti e lo scambio tra laboratori è molto attivo.
Per lo studio sulle viti selvatiche della sot-
tospecie silvestris, in particolare, esistono
diversi gruppi come quelli di Milano, Pisa
e Siena, che si sono occupati di ricostruire
il quadro generale della variabilità genetica
dei centri di domesticazione secondaria nel
Mediterraneo.“Laprimapartedellostudio-
racconta ancora Rita Vignani - ha riguarda-
to la ricostruzione del profilo genetico sem-
plice e la caratterizzazione degli individui e
delle popolazioni di vite silvestre campiona-
te. In modo particolare si è visto che quelle
presenti nelle zone dell’Etruria Centrale so-
no popolazioni fortemente sottoposte a una
selezione genetica impressa dall’uomo, con
alcuni individui maschili o alcuni ermafro-
diti di tipo primordiale e altri, come la vi-
te coltivata, con una prevalenza di individui
femminilitraiqualilavariabilitàgeneticari-
sultava più elevata. Queste peculiarità sono
un indizio di quella che si può considerare
una deriva genetica rispetto alla specie, in
una popolazione che dal punto di vista evo-
lutivo, guidata dalla mano dell’uomo, ha se-
guito una strada diversa”.
Nella seconda fase del progetto lo studio si è
concentratosullevitipresentiinun’areapar-
ticolare, quella di Ghiaccio Forte, ed è stato
affrontato con i metodi della genetica di po-
polazione, una disciplina che indaga la pre-
senzaelafrequenzadideterminaticaratteri
(omeglioalleli)all’internodellepopolazioni.
“In questo approfondimento - specifica Vi-
gnani - siamo andati a studiare la frequen-
za di alcuni alleli in tre popolazioni mes-
se a confronto, quella delle viti selvatiche
di Ghiaccio Forte, la Vitis vinifera con 16
cultivar annoverate come viti di controllo e
quattro individui di Vitis non vinifera di al-
tra specie. Quello che è emerso è che nella
popolazione di Ghiaccio Forte vi sia un’insi-
stenza di alleli unici e peculiari che si tro-
vano associati solo in quelle viti, prova in-
diziaria di una deriva genetica. Vi sarebbe
cioè una tendenza a discostarsi dall’equili-
briodiHardy-Weimbergperilquale,inlinea
del tutto teorica, avendo ogni individuo la
stessa probabilità di riprodursi con gli altri,
all’interno di una popolazione, gli alleli non
si fissano ma rimangono ugualmente distri-
buiti rispondendo solo alle leggi di Mendel.
In realtà in tutte le popolazioni la frequen-
za allelica tende a scostarsi da questo equi-
librio teorico e in questo caso la fissazione
dialcunicaratteripuòesseredovutaall’ope-
rato dell’uomo, che in qualche modo avreb-
be esercitato una pressione selettiva a favo-
redegliindividuifemminiliomaggiormente
promettenti dal punto di vista tecnologico.
Inoltre alla fissazione di questi alleli parti-
colari potrebbero aver contribuito anche le
pratiche agronomiche di incrocio con mate-
riale proveniente anche da altre regioni, at-
traverso i commerci”.
La parentela
con Canaiolo e Sangiovese
Le viti che attualmente crescono allo stato
selvatico a Ghiaccio Forte sarebbero quin-
di individui che nel tempo e in seguito a un
processo di reinselvatichimento seguito al-
la loro parziale domesticazione avrebbero
conservato caratteri peculiari e interessan-
ti, come ad esempio quello di resistenza alle
malattie (sono viti non innestate che hanno
superato indenni la crisi fillosserica).
Tra queste viti, anche alcuni individui con
una particolare affinità con due dei princi-
pali vitigni toscani, il Canaiolo e il Sangio-
vese, come spiega ancora la ricercatrice se-
nese: “Su 42 degli individui campionati, due
hanno mostrato una notevole similitudine
genetica (si parla di circa il 70% dell’intero
patrimonio genetico) rispettivamente con
il Canaiolo e il Sangiovese. Sebbene non si
conosca con esattezza il grado di parentela,
possiamo affermare che le piante primor-
diali di Ghiaccio Forte si trovino quindi nel-
la stessa linea genetica di due delle cultivar
più importanti per il germoplasma viticolo
della Toscana”. n
A completamento dei due progetti
Vinum e Archeo-Vino, l’Università
d Siena, il Comune di Scansano e
il Consorzio di Tutela del Morellino
di Scansano hanno avviato
la realizzazione di un vigneto
sperimentale (nella foto) per la
conservazione e l’osservazione dei
più interessanti tra i biotipi di vite
silvestre caratterizzati e al tempo
stesso per la riproduzione a scopo
dimostrativo e didattico delle
forme di allevamento del vigneto
etrusco. “Quando il vigneto sarà
in produzione abbiamo anche
previsto la realizzazione di un
vino”, spiega Marco Firmati.
“Una produzione che potrà essere
di interesse per noi archeologi,
per verificare con le tecniche
che abbiamo potuto desumere
dagli scavi come fosse il vino
prodotto dagli Etruschi, ma che
potrà rappresentare un potente
mezzo di promozione anche
per i produttori della zona e per
il Consorzio o un sito di studio
per gli agronomi per seguire e
caratterizzare il comportamento
vegetativo e la presenza di
caratteri di resistenza ai parassiti
delle piante”.
Il vigneto sperimentale sarà
inserito all’interno di un parco
archeologico e in un percorso di
trekking che porterà i visitatori
alla scoperta delle lambruscaie
selvatiche della valle del
Sanguinaio e del vigneto etrusco.
UNPARCOPERRIVIVERELAVITICOLTURAANTICA
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Vite selvatica etruschi_archeologia

  • 1. VIGNETO La vite silvestre è una pianta spontanea dioica, presente nei boschi e nelle foreste di tutte le regioni del Mediterraneo, con andamento lianoso, che cresce prevalentemente negli ambienti umidi o lungo i corsi d’acqua e utilizza come sostegno gli alberi ad alto fusto. 44 VVQ NUMERO DUE - MARZO DUEMILA17 C’ èunluogoin Maremma dove l’arche- ologia si stu- dia non sol- tanto nei siti e negli sca- vi ma anche nelle popolazioni viventi di vite silvestre, relitti della viticoltura dei nostri an- tenati Etruschi. La valle dell’Albegna nei pressi di Scansa- no (Grosseto) è stata oggetto di ricerche di archeobotanica che hanno portato a rico- struire i processi di domesticazione secon- daria della vite e le relazioni genetiche tra le viti selvatiche coltivate dagli Etruschi e i vitigni toscani. Marco Firmati,archeologoseneserespon- sabile del Museo archeologico della vite e del vino di Scansano, ci ha accompagnato alla scoperta delle lambruscaie, le piante di Vitis vinifera subsp. silvestris che cresco- no in forma selvatica lungo i corsi d’acqua, arrampicate agli alberi e che, insieme ai ri- trovamenti archeologici consentono di ri- costruire la storia della viticoltura etrusca. Le tre fasi della domesticazione La Vitis vinifera è la sola specie europea del genere Vitis (nelle Americhe al contra- rio le specie presenti sono molte e diverse) ed è presente nel nostro continente con due sottospecie, una forma spontanea, la Vitis vinifera silvestris, e una forma coltivata derivante dal processo di domesticazione della prima, la Vitis vinifera sativa. Lavitesilvestreèunapiantaspontaneadio- ica, presente nei boschi e nelle foreste di tutte le regioni del Mediterraneo, con anda- mento lianoso, che cresce prevalentemen- te negli ambienti umidi o lungo i corsi d’ac- qua. Essa utilizza come sostegno gli alberi ad alto fusto, dei quali raggiunge con la par- te aerea e con i frutti le cime poste anche a diversi metri di altezza. La differenziazione delle due sottospecie è avvenuta con l’intervento dell’uomo nella sua prima azione di miglioramento geneti- co basata sulla scelta del fenotipo: si parla di protodomesticazione e successivamen- te di domesticazione primaria. Per la vite questi due processi hanno avuto luogo, se- condo le teorie più accreditate, tra il VI e il IV millennio a.C. nelle regioni del Caucaso edell’AsiaMinore.Graziealladomesticazio- ne primaria e, in seguito, alla selezione e al- la fissazione dei caratteri utili, hanno avuto origine la nuova sottospecie V. vinifera sa- tiva e quindi i primi vitigni, con piante er- mafrodite e con grappoli e acini più grandi. Ma poiché la Vitis vinifera silvestris cre- sce da sempre in tutto il Mediterraneo, nei secoli altre popolazioni si sono interessate al suo frutto e hanno avviato processi pa- ralleli sebbene successivi, detti di domesti- In Maremma le radici del vino toscano?ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI Consulente R&S VQ_2017_002_INT@044-046.indd 44 27/02/17 09:54
  • 2. 45 VVQ NUMERO DUE - MARZO DUEMILA17 cazione secondaria, nei quali è plausibile che siano avvenute sovrapposizioni, ibrida- zioni e trasferimento di caratteri con pian- te già domesticate e trasportate con i com- merci tra le diverse regioni. Le origini dei vitigni dell’Italia centrale Nelle regioni tirreniche e in Etruria il pro- cesso di domesticazione della vite silvestre avviene più tardi, tra il III e il I millennio a.C., mentre è intorno all’VIII secolo che, con l’importazione dalla Grecia e dalla Ma- gna Grecia dei primi vitigni già domesti- cati e della cultura del vino e del simpo- sio, si afferma una forma più strutturata di viticoltura. Al vino locale, il temetum, già prodotto dagli Etruschi dal frutto delle viti silvestri, si vanno ad affiancare nuove pro- duzioni di qualità, destinate spesso all’e- sportazione, ottenute dalle varietà greche importate. Non è difficile ipotizzare che a questopuntointervengaunprocessodimi- glioramento e trasferimento dei nuovi ca- ratteri anche nelle popolazioni locali di Vi- tis, con l’ibridazione e l’innesto delle due sottospecie. Ma quanto del patrimonio genetico delle vi- ticoltivatedagliEtruschièancorapresente nelle varietà dell’Italia centrale e in modo particolare della Toscana? E come è pos- sibile rispondere a questa domanda con la ricerca e la caratterizzazione delle popola- zioni di silvestris ancora presenti? Tra scienza e archeologia Larispostaèstatacercataindueprogettidi ricerca archeobotanica realizzati a partire dal 2004 - Vinum e il successivo Archeo- Vino - che hanno visti impegnati gli arche- ologi, i botanici e i genetisti dell’Università di Siena (in una prima fase del progetto è stata coinvolta anche l’Università di Mila- no), la Soprintendenza per i Beni Archeolo- gici della Toscana, il civico Museo Archeo- logico e della Vite e del Vino di Scansano e lo studio tecnico Gambassi e Zorzi di Siena. Le lambruscaie, i luoghi dove si concentra- no le popolazioni di viti silvestri, sono ben presenti alle popolazioni locali, che hanno spesso continuato a raccoglierne fino a po- chi decenni fa i frutti spontanei. Sono gli anziani di Scansano e degli altri paesi del- la Maremma ad aver guidato nel progetto gli archeologi e i botanici, segnalando le vi- ti che di generazione in generazione hanno continuato a crescere nei boschi che fian- cheggiavano i loro poderi. La prima mappatura delle popolazioni di viti silvestri presenti in tutto il territorio dell’Etruria meridionale metteva in evi- denza la maggiore concentrazione di pian- te, oggi allo stato selvatico, nei pressi dei siti archeologici dove erano testimoniate anche le attività inerenti alla produzione di vino. Il valore dell’isolamento In modo particolare emergevano le peculia- rità delle popolazioni vegetali che fiancheg- giano gli affluenti del bacino del fiume Al- begna. Insieme agli insediamenti etruschi - presenti in una valle che oggi appare iso- lata ma che rappresentava fino al Medioevo un’importante arteria di comunicazione e di trasporto, che scendendo lungo il fiume conduceva al porto di Talamone e a quel- li dell’Arcipelago toscano - si sono scoperte pianpianoevidenzediquellacheeraunave- ra e propria filiera vitienologica del passato. “A partire dal 2004 - racconta Marco Fir- mati - grazie anche alle segnalazioni di tan- te persone, abbiamo individuato un bacino corrispondente alle valli del torrente San- guinaio e degli altri affluenti settentrionali di destra dell’Albegna nel quale si è conser- vata una straordinaria quantità di viti sil- vestri. È proprio l’isolamento che ha segui- to il periodo di attività e fioritura agricola e commerciale della zona ad aver favorito la conservazione delle lambruscaie nelle loro forme più antiche”. L’analisi del genotipo di queste piante ha evidenziato una differenziazione rispetto alle popolazioni selvatiche dovuta alla pres- sione antropica e l’avvio di un processo che fa dello Scansanese un sito di domestica- zione secondaria. “La domanda che si sono fatti archeologi e botanici di fronte a queste evidenze è sta- ta: se queste viti adesso allo stato selvatico in una valle del tutto isolata non sono esat- tamente viti silvestri, come e quando sono diventate così?”, continua Firmati. Sono i ritrovamenti archeologici e la storia degli Etruschi e delle loro interazioni con gli al- tri popoli ad aiutare a dare una risposta. La zona dello Scansanese diviene in epo- ca etrusca un’area di produzione del vino, un’attività che porta ricchezza ai signori etruschi della zona, come testimoniano le tombe delle Necropoli di Poggio Marcuc- cio e Magliano, ricche di vasellame utiliz- zato nel simposio, e l’insediamento fortifi- cato di Ghiaccio Forte. Ma all’industria del vino si collegano altre attività come la pro- duzione di anfore e corredi da simposio e la loro esportazione. Marco Firmati VQ_2017_002_INT@044-046.indd 45 27/02/17 09:54
  • 3. VIGNETO ©RIPRODUZIONERISERVATA 46 VVQ NUMERO DUE - MARZO DUEMILA17 Le indagini genetiche Rita Vignani,ricercatricedell’Universitàdi Siena e responsabile dello Spin-Off Serge- Genomics,hacoordinatoinsiemea Monica Scali una articolata ricerca sulle viti selva- tiche dell’Italia Centrale. “Dal punto di vista genetico-spiega-èstataseguitaunaproce- duradiindagineclassicadicampionamento in campo con prelievo di materiale fogliare, estrazione di acidi nucleici e test identifica- tivo con l’applicazione del metodo che, uti- lizzando particolari sequenze o microsatel- liti del Dna tipiche di ogni specie, permette di stabilire l’identità di un individuo”. Per la vite dagli anni ‘90 si utilizzano que- ste tecniche, ci sono moltissime banche da- ti e lo scambio tra laboratori è molto attivo. Per lo studio sulle viti selvatiche della sot- tospecie silvestris, in particolare, esistono diversi gruppi come quelli di Milano, Pisa e Siena, che si sono occupati di ricostruire il quadro generale della variabilità genetica dei centri di domesticazione secondaria nel Mediterraneo.“Laprimapartedellostudio- racconta ancora Rita Vignani - ha riguarda- to la ricostruzione del profilo genetico sem- plice e la caratterizzazione degli individui e delle popolazioni di vite silvestre campiona- te. In modo particolare si è visto che quelle presenti nelle zone dell’Etruria Centrale so- no popolazioni fortemente sottoposte a una selezione genetica impressa dall’uomo, con alcuni individui maschili o alcuni ermafro- diti di tipo primordiale e altri, come la vi- te coltivata, con una prevalenza di individui femminilitraiqualilavariabilitàgeneticari- sultava più elevata. Queste peculiarità sono un indizio di quella che si può considerare una deriva genetica rispetto alla specie, in una popolazione che dal punto di vista evo- lutivo, guidata dalla mano dell’uomo, ha se- guito una strada diversa”. Nella seconda fase del progetto lo studio si è concentratosullevitipresentiinun’areapar- ticolare, quella di Ghiaccio Forte, ed è stato affrontato con i metodi della genetica di po- polazione, una disciplina che indaga la pre- senzaelafrequenzadideterminaticaratteri (omeglioalleli)all’internodellepopolazioni. “In questo approfondimento - specifica Vi- gnani - siamo andati a studiare la frequen- za di alcuni alleli in tre popolazioni mes- se a confronto, quella delle viti selvatiche di Ghiaccio Forte, la Vitis vinifera con 16 cultivar annoverate come viti di controllo e quattro individui di Vitis non vinifera di al- tra specie. Quello che è emerso è che nella popolazione di Ghiaccio Forte vi sia un’insi- stenza di alleli unici e peculiari che si tro- vano associati solo in quelle viti, prova in- diziaria di una deriva genetica. Vi sarebbe cioè una tendenza a discostarsi dall’equili- briodiHardy-Weimbergperilquale,inlinea del tutto teorica, avendo ogni individuo la stessa probabilità di riprodursi con gli altri, all’interno di una popolazione, gli alleli non si fissano ma rimangono ugualmente distri- buiti rispondendo solo alle leggi di Mendel. In realtà in tutte le popolazioni la frequen- za allelica tende a scostarsi da questo equi- librio teorico e in questo caso la fissazione dialcunicaratteripuòesseredovutaall’ope- rato dell’uomo, che in qualche modo avreb- be esercitato una pressione selettiva a favo- redegliindividuifemminiliomaggiormente promettenti dal punto di vista tecnologico. Inoltre alla fissazione di questi alleli parti- colari potrebbero aver contribuito anche le pratiche agronomiche di incrocio con mate- riale proveniente anche da altre regioni, at- traverso i commerci”. La parentela con Canaiolo e Sangiovese Le viti che attualmente crescono allo stato selvatico a Ghiaccio Forte sarebbero quin- di individui che nel tempo e in seguito a un processo di reinselvatichimento seguito al- la loro parziale domesticazione avrebbero conservato caratteri peculiari e interessan- ti, come ad esempio quello di resistenza alle malattie (sono viti non innestate che hanno superato indenni la crisi fillosserica). Tra queste viti, anche alcuni individui con una particolare affinità con due dei princi- pali vitigni toscani, il Canaiolo e il Sangio- vese, come spiega ancora la ricercatrice se- nese: “Su 42 degli individui campionati, due hanno mostrato una notevole similitudine genetica (si parla di circa il 70% dell’intero patrimonio genetico) rispettivamente con il Canaiolo e il Sangiovese. Sebbene non si conosca con esattezza il grado di parentela, possiamo affermare che le piante primor- diali di Ghiaccio Forte si trovino quindi nel- la stessa linea genetica di due delle cultivar più importanti per il germoplasma viticolo della Toscana”. n A completamento dei due progetti Vinum e Archeo-Vino, l’Università d Siena, il Comune di Scansano e il Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano hanno avviato la realizzazione di un vigneto sperimentale (nella foto) per la conservazione e l’osservazione dei più interessanti tra i biotipi di vite silvestre caratterizzati e al tempo stesso per la riproduzione a scopo dimostrativo e didattico delle forme di allevamento del vigneto etrusco. “Quando il vigneto sarà in produzione abbiamo anche previsto la realizzazione di un vino”, spiega Marco Firmati. “Una produzione che potrà essere di interesse per noi archeologi, per verificare con le tecniche che abbiamo potuto desumere dagli scavi come fosse il vino prodotto dagli Etruschi, ma che potrà rappresentare un potente mezzo di promozione anche per i produttori della zona e per il Consorzio o un sito di studio per gli agronomi per seguire e caratterizzare il comportamento vegetativo e la presenza di caratteri di resistenza ai parassiti delle piante”. Il vigneto sperimentale sarà inserito all’interno di un parco archeologico e in un percorso di trekking che porterà i visitatori alla scoperta delle lambruscaie selvatiche della valle del Sanguinaio e del vigneto etrusco. UNPARCOPERRIVIVERELAVITICOLTURAANTICA VQ_2017_002_INT@044-046.indd 46 27/02/17 09:54