Cassazione penale in tema di mancato pagamento iva
1. Cassazione Penale in tema di mancato pagamento IVA
Ultimamente si stanno susseguendo una serie di articoli concernenti la punibilità o meno degli
amministratori delle società che non abbiano provveduto, nei termini previsti dalla normativa
fiscale, al pagamento dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale.
Come noto, laddove l’imposta dovuta ecceda i 50.000,00 euro per anno, scatta il reato.
Recentemente, si è acceso il dibattito parlamentare al riguardo, posto che la delega fiscale aveva
previsto la cancellazione di tale reato e che lo stesso ministro interessato avevaribadito come la
norma avrebbe dovuto essere senz’altro modificata, risultando particolarmente severa nell’attuale
accezione.
Fatto sta che si ha sempre più spesso l’occasione di leggere talune interpretazioni personali, anche
autorevoli, che, seppure non del tutto fuorvianti, quanto meno contribuiscono ad acuire il clima di
confusione esistente e inducono spesso in false convinzioni i contribuenti, sulla base del generico
presupposto per cui, se l’impresa si trova in crisi di liquidità (caso, oggi, particolarmente
frequente), il reato non sussiste. Dobbiamo dire che, purtroppo, le cose non stanno esattamente
così.
Innanzitutto, occorre premettere che la normativa, per il momento, non ha subito alcuna
modifica; e, dunque, il reato resta tale e quale: se, dai dati esposti in dichiarazione, risulta che non
sono stati versati più di 50.000,00 euro d’IVA, si verifica un’ipotesi di reato, indipendentemente
dal fatto che, successivamente alla scadenza dei vari termini previsti dalle leggi tributarie per
adempiere, l’amministratore abbia ottenuto delle rateazioni sulla conseguente cartella esattoriale
e stia regolarmente ottemperando al pagamento delle relative rate.
Ciò premesso, occorre rilevare, senza peraltro voler entrare in tecnicismi di carattere giuridico-
penale che non mi competono, come, in determinati casi, vi sia una palese carenza dell’elemento
soggettivo, tale che, se adeguatamente provato da parte dell’amministratore il fatto che il
mancato versamento fosse,nella concreta fattispecie,dipeso solo da fatti a lui non imputabili e
avverso ai quali sussistesse una reale impossibilità di operare il pagamento, il mero dolo generico
non possa apparire sufficiente per condannare il reo (così si espressa anche la recente pronuncia
della Suprema Corte, N. 15176 del 3 aprile 2014, confermando la decisione del Tribunale di
Milano).
Da qui, però, ad affermare che ogni qualvolta esista una crisi di liquidità aziendale, non sia punibile
l’amministratore che omette di pagare l’IVA nei modi e nei termini anzidetti, ce ne passa… e
molto.
Occorre che siano assolutamente documentati, da parte dell’imputato, alcuni elementi
imprescindibili:
1) La crisi di liquidità aziendale;
2) Le operazioni di gestione effettuate dall’amministratore per cercare di far fronte ai
pagamenti (esempio: richieste di prestiti e affidamenti non accordati);
2. 3) Il fatto che i ricavi aziendali siano stati utilizzati per pagare stipendi dei dipendenti e altre
priorità gestionali, non per incamerare il proprio emolumento amministrativo o distribuire
rendite ai soci (anzi, nel caso assai comune delle nostre SRL in cui l’amministratore è spesso
anche socio, la circostanza che, al contrario, i soci abbiano utilizzato il proprio patrimonio
per fare versamenti in conto capitale e aiutare la società a far fronte al periodo di crisi);
4) Infine, come nell’esempio concernente la sentenza testé menzionata, la circostanza
basilare che l’IVA da versare, non sia stata in realtà incassata entro le date necessarie per
ottemperare al pagamento, perché i clienti non hanno provveduto a pagare: l’IVA, si sa, è
una partita di giro e non appartiene alla società che la incassa; ma questa la deve
conservare per poi versarla allo Stato. Quindi, laddove in effetti, l’IVA dichiarata faccia
riferimento a delle fatture di vendita il cui incasso non è avvenuto, verrebbe a mancare
quel dolo specifico che, a parere della Suprema Corte, non consente la condanna
dell’amministratore.
Siccome, però, la materia contabile nei suoi intrecci tra obblighi civilistici e fiscali non è spesso così
chiara, e diviene particolarmente ostico per l’amministratore fornire al riguardo adeguata prova,
come pure per il giudice poter accertare tale circostanza, non possiamo che unirci con forza al coro
di tutti coloro che auspicano un repentino intervento legislativo, peraltro – come detto – già
previsto, onde mettere riparo a una situazione oltremodo iniqua e coercitiva, indegna di uno stato
di diritto.