La grande muraglia di Genova è la più lunga fortificazione eretta in Europa a difesa di una città: oltre 19 chilometri. E per metà è tuttora esistente, nonostante il degrado
1. FORTIFICAZIONI - LA GRANDE MURAGLIA DI GENOVA
La grande muraglia di Genova è la più lunga fortificazione eretta in
Europa a difesa di una città: oltre 19 chilometri. E per metà è tuttora
esistente, nonostante il degrado. I genovesi la vollero nei primi decenni
del Seicento e investirono un milione di scudi per realizzarla, utilizzando
anche strutture difensive precedenti, che si scorgono ancora in alcune
zone urbane, soprattutto verso il mare e nel centro storico. La parte più
consistente, però, si arrampica sulle colline, interrotta da forti e torri. A
quel colossale sistema difensivo — formato da 49 bastioni, con garitte a
ogni angolo e con 8 porte di accesso — nei secoli seguenti si aggiunsero
altre costruzioni militari: per difendere Genova, ma anche per controllare
dall'alto quella città riottosa che nel 1815 il Congresso di Vienna aveva
assegnata al regno sabaudo. Una città orgogliosa e autonoma che
nell'aprile 1849 si sarebbe ribellata, finendo poi schiacciata dai raid dei
bersaglieri di La Marmora e dal bombardamento della marina inglese. Per
questo, ancora oggi, i Savoia non sono ben visti, da queste parti.
Quei forti avevano quindi una doppia funzione. Nei secoli furono
caserma, prigione, ospedale, luogo dove tenere le esecuzioni (è il caso del
Forte Castellaccio). Molti sono stati teatro di battaglie e di episodi della
Resistenza. Ognuno ha i propri fantasmi. La leggenda ne assegna ben tre
al Forte Sperone: sarebbero i protagonisti di un delitto insoluto del
Seicento (una pastorella violentata e uccisa da un misterioso individuo
accompagnato da un cane nero), che si aggirerebbero senza pace nella
2. zona. Da ogni zona della città si possono osservare alcune delle
costruzioni squadrate che si stagliano sulle cime delle colline. D'altra
parte è proprio la conformazione orografica del territorio, apertosul mare
e protetto dalle alture, a permetterlo. Le rappresentazioni cartografiche
mostrano il percorso originario delle mura: una grande "V" rovesciata (o
meglio, una sorta di pentagono irregolare), che saliva dalla Lanterna verso
nord, aveva il suo vertice nel Forte Sperone, sul monte Peralto,
ridiscendeva quindi costeggiando la vallata del Bisagno e si chiudeva
vicino all'attuale foce del torrente (più o meno dove oggi si trova la Fiera
internazionale). Una cinta muraria che seguiva i crinali coprendo un
dislivello di oltre 500 metri.
La "via dei forti" è diventata un'attrazione: alcuni possono essere
raggiunti in auto, la maggior parte percorrendo sentieri. Un trekking che
consente di guardare il mare in lontananza, da un lato, e le magre vallate
e il corso degli Appennini dall'altra. E regala grandi emozioni, nonostante
il sostanziale abbandono in cui quasi tutte le strutture sono state lasciate
(è dalla fine degli anni Ottanta che se ne discute il riutilizzo, anche a scopi
turistici). Se, come scrisse Goethe, "l'architettura è musica pietrificata", il
suono solenne, maestoso, ma anche ricco di invenzioni improvvise e
sorprendenti, di questi forti si fonde con l'essenziale musicalità della flora
mediterranea e, laggiù in basso, oltre la città, con la sinfonia cangiante del
mare e del cielo. Un ambiente in genere brullo, con presenze di castagneti
e di roverella, dove imperano, col carpino nero, cespugli di orniello, a
3. volte il leccio, pinastri e più facilmente arbusti di mirto, corbezzolo,
alatemo e cisto. Qua e là, a causa dei tagli e degli incendi, la collina
appare quasi nuda, come erosa, con cespugli di timo, di erica e di ginestra
spinosa. E, quand'è stagione, margherite (in particolare quella definita,
per via del colore, cupidone azzurro), barba di becco, alcune specie di
orchidee e altri fiori coraggiosi. Si avverte la presenza, tuttora, di pascoli e
tracce in muratura di un'epoca, neppure troppo lontana, in cui qui si
coltivava qualcosa. Le colline sono abitate: scoiattoli rossi, volpi, faine,
ricci, daini e famiglie di cinghiali disposte a scendere sempre più a valle e,
spesso, a entrare anche in città. E poi uccelli: se ne sono contate circa
sessanta specie, dal biancone alla poiana e al gheppio, dall'allocco alla
civetta e, fra quelli che prediligono il crepuscolo, il succiacapre, che vi si
installa fra primavera e autunno. Uno dei modi più suggestivi per visitare i
forti è con la ferroviaGenova-Casella, linea ferrata a scartamento ridotto
inaugurata nel 1929. Lunga oltre 24 chilometri, con tredici gallerie e quasi
metà del percorso in curva, corre a mezza costa nella val Bisagno e
raggiunge la valle Scrivia. Attualmente il trenino è fermo, schiacciato dal
profondo rosso dei bilanci dell'Azienda mobilità e trasporti. In alternativa,
dal centro città si può raggiungere il Righi, altura alle spalle della
circonvallazione a monte di Genova, per mezzo della funicolare che parte
da piazza della Zecca. Realizzata alla fine dell'Ottocento, copre circa 280
metri di dislivello su un tragitto di poco meno di un chilometro e mezzo,
per metà in galleria. Dal capolinea, nei pressi del quale si trova
l'Osservatorio astronomico, inizia il Parco delle Mura, che raccoglie buona
parte dei forti genovesi, raggiungibili seguendo una serie di sentieri. Dopo
la seicentesca Porta delle Chiappe e costeggiando la cinta difensiva, si
giunge al Castellaccio, che accoglieva ben 600 soldati; ingloba l'ottagonale
torre Specola e il bastione detto "quadrato delle forche" perché vi si
eseguivano le impiccagioni. Proseguendo in salita si arriva sulla sommità
del monte Peralto, dove si trovano l'importante Forte Sperone e,
piuttosto vicino, Forte Begato. Sono le due costruzioni sulle quali si è
4. maggiormente lavorato per un nuovo uso (spettacoli estivi, per esempio),
anche se l'abbandono sta in buona parte annullando gli interventi. Lo
Sperone ospitava stabilmente 300 soldati e 18 pezzi di artiglieria. Ha una
struttura complessa, su più livelli, con una piazza d'armi. Forte Begato, più
a ponente, si trova a un'altitudine lievemente inferiore e sovrasta il
quartiere di Rivarolo. Dallo Sperone si possono raggiungere, a nord, i forti
isolati Puin, Fratello Minore (perché in passato c'era anche un Fratello
Maggiore) e Diamante, dal quale si gode una vista mozzafiato. Il Puin
venne realizzato dai genieri del Regno di Sardegna ed è caratterizzato da
una torre quadrata e da una cinta esterna con una pianta quasi a stella.
Salendo ancora si giunge al Fratello Minore (a 622 metri), costruito
anch'esso agli inizi dell'Ottocento su uno dei cocuzzoli del monte Spino,
chiamato 'dei due fratelli", a dominare il quartiere di Bolzaneto. Si tratta
di una piccola struttura (ospitava una dozzina di soldati) con una torre
quadrata. Sull'altra vetta, lievemente più elevata, sorgeva il Fratello
Maggiore, demolito negli anni Trenta del Novecento. Durante l'assedio di
Genova del 1800, in questa zona si svolsero scontri con gli austriaci nei
quali rimase ferito a una gamba il poeta Ugo Foscolo, volontario con i
francesi. Di tomante in tornante si sale fino ai 667 metri del monte
Diamante, dove si erge l'omonimo forte, con la sua torre semicircolare a
guardia sia della Valpolcevera sia della Valbisagno. Edificato nella seconda
metà del Settecento e abbandonato nel 1914, è gravemente degradato.
Un intervento di restauro sarebbe necessario, almeno per rendere
giustizia alla sua posizione, davvero unica. Verso ponente, sulle alture di
Sampierdarena, si trovano invece i forti Belvedere, Crocetta e Tenaglia. Il
primo è il più vicino al mare; ne restano solo ruderi, perché l'area è stata
urbanizzata. Il Crocetta (a 145 metri di altitudine; piantapentagonale) e il
Tenaglia (a circa 215 metri) hanno un'origine seicentesca e furono
rinforzati dai Savoia. Sono stati abbandonati e un recupero reale è tutto
da venire.
5. Nel levante cittadino si trovano vari altri forti, che costituiscono il
cosiddetto sisbeina orientale. Il più elevato — a quota 560 metri — è
l'ottocentesco Rene Ratti o Monteratti, purtroppo completamente
abbandonato. Lungo 220 metri, sovrasta la Valbisagno dalla vetta di una
coroa parzialmente divorata da una profonda cava. Si trova in un punto
molto panoramico e, insieme con il più basso Forte Quezzi e con la Torre
Quezzi, guarda anche il quartiere definito "Biscione", dal nome di un
complesso di edilizia popolare degli anni Sessanta progettato dagli
architetti Daneri e Fuselli e caratterizzato dalla sinuosità della struttura
(da cui il nome). Per immaginare l'atmosfera del Quezzi si può leggere il
capitolo XVIII delle Confessioni d'un italiano di Ippolito Nievo. In sintesi
durante l'assedio austriaco del 1800, a Genova mancano i vivai. Grazie al
"sacrificio" di un povero gatto di casa, la Pisana si riprende e recupera
anche il suo umore binoso. Così, per svagarla, Carlino la conduce al Forte
Quezzi... Oggi per raggiungerlo occorre satire da largo Merlo, cercando
indicazioni che non sempre si trovano. Nella sua area è possibile
incontrare greggi di pecore. Sullo stesso crinale del Ratti, scendendo
gradualmente verso il mare, si trovano altri quattro forti: il settecentesco
Richelieu a oltre 400 metri sull'altura di Camaldoli; il coevo Forte Santa
Teda, raggiungibile in auto (si trova nel quartiere di San Fruttuoso, su una
collina alle spalle del grande ospedale San Martino); i forti San Martino e
San Giuliano. Il primo, realizzato per 300 soldati agli inizi dell'Ottocento
sulla collina di Papigliano, è completamente immerso nel tessuto urbano.
Il secondo è praticamente in riva al mare: fino al 1908,quando venne
tracciato corso Italia (vedere a pagina 132), si affacciava proprio sulle