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TRITTICO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA




Venezia,Gallerie dell’ Accademia.

Tempera su tavola, misure 86 x113 cm, con ornati in pastiglia dorata.

Togliendo la cornice ottocentesca d’imitazione è stata messa in luce tutta la superficie
della tavola nella quale si notano, oltre a molte prove di pennello sui bordi, alcuni tratti in
basso di colore non alterato dalle verniciature e dalla luce.
Il trittico mostra al centro la Madonna della Misericordia, che ha sul petto, entro una
mandorla, il Bimbo benedicente e sotto al manto vari fedeli inginocchiati: a destra San
Giovanni Evangelista, a sinistra San Giovanni Battista.
I quadrilobi superiori mostrano l’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele a sinistra e la
Vergine Maria a destra, a mezza figura.
In basso a sinistra la scritta non originale

                        1436 IACHOMELLO DE FLOR PENSE.

che almeno in parte potrebbe corrispondere all’autentica posta forse sulla cornice.
La Madonna della Misericordia è il nome di un iconografia cristiana ricorrente nell’arte,
legata alla protezione di Maria.
La Vergine è raffigurata in piedi, in grandi dimensioni, mentre allarga il proprio mantello
ad accogliervi al di sotto i fedeli inginocchiati, simbolo dell’accoglienza, sotto cui, stretta
al suo grembo, trova rifugio l’Umanità. Si tratta di un retaggio dell’epoca medievale,
detto della “protezione del mantello”, che le nobildonne altolocate potevano concedere
ai perseguitati e bisognosi d’aiuto. Ciò consisteva appunto nel dare loro simbolico riparo
sotto il proprio mantello considerato inviolabile.
I fedeli sono gerarchicamente più piccoli e sono disposti a sinistra e a destra, lasciando
un ideale posto al centro per l'osservatore.
Due figure femminili inginocchiate ai lati, sul lato sinistro una suora dalla tonaca nera, sul
lato destro una giovane suora con un manto bianco e un cappuccio nero, fanno pensare
che si possano riferire alla committenza.
Gesù bambino in mandorla siede su un arcobaleno, simbolo dell’alleanza tra Dio e
l’Uomo. L’intermediazione era testimoniata da un’antica invocazione per la Vergine
Maria, che ha avuto origine in Etiopia, che la nominava come “l’Arca dell’Alleanza”.
Le figure dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista ribadiscono questo legame.
San Giovanni Battista, conosciuto come il precursore, con il suo gesto indica la croce e
l’agnello mistico, che regge in mano al posto del bastone da eremita, come Colui che si
deve seguire ossia il Cristo: come per l’arcangelo Gabriele vi è una missione di annuncio.
San Giovanni Evangelista, qui ritratto in una versione invecchiata, è raffigurato con il
Libro del Vangelo, che richiama la sua attività di predicatore e diffusore della parola
divina.
L’immagine del culto mariano si diffuse in tutta Europa e nei paesi di religione cristiana.
Di particolare devozione fu l’attributo di Madonna della Mercede, dato alla Madre di
Gesù, con cui i cattolici sovente la invocano.
L’origine del culto è fatta risalire al I° agosto 1218, festa di San Pietro in Vincoli, quando
il fondatore dei Mercedari Pietro Nolasco ebbe una visione della santissima Vergine, la
quale si fece conoscere come la Mercede (Misericordia) e lo esortò a fondare un Ordine
religioso avente come fine principale quello di riscattare i cristiani finiti in schiavitù.
La penisola iberica al tempo era dominata dai Musulmani e i pirati saraceni rapivano
molte persone portandole come schiavi in Nordafrica.
L’ordine fu fondato nel 1218 nella Cattedrale di Barcellona, con l’appoggio del re
Giacomo il Conquistatore e il consenso di San Raimondo di Peñafort.
La devozione si diffuse dapprima in Spagna, in seguito in Francia e in Italia, e la
memoria della Madonna della Mercede è collocata dalla Chiesa Cattolica il 24 settembre.
L’iconografia ebbe successo particolare presso le confraternite medievali e rinascimentali,
tra cui le confraternite della Misericordia, e anche dopo la Controriforma il soggetto
continuò a godere di un largo seguito, per le sue evidenti connotazioni devozionali.
Uno dei più antichi affreschi sul tema della Madonna della Misericordia si ha a Firenze,
nella Loggia del Bigallo (appartenente appunto ad una confraternita), attribuita alla
cerchia di Bernardo Daddi, nel 1340 circa, interpretabile anche come una figura
allegorica per via della mitria vescovile (forse la Sacerdotissa justitiae).




Celebre è la versione che tra il 1444 e il 1464 dipinse Piero della Francesca a Sansepolcro,
il Polittico della Misericordia, oggetto di innumerevoli copie e citazioni.




 Un'altra Madonna della Misericordia venne dipinta da Domenico Ghirlandaio nel 1472
circa, a Firenze, nella chiesa di Ognissanti, cappella Vespucci.
Autore e collocazione dell’ opera nella sua carriera artistica.

L’opera, attribuita a Jacobello del Fiore, nato a Venezia nel 1370 ca. e morto nel 1439, si
pone realizzata entro il primo ventennio del 1400, in un momento di tendenze, in terra
lagunare, di matrice gotica, che affidano l’espressività al valore incisivo della linea e alla
bellezza del colore schiarito, su una base formale ancora nettamente trecentesca, e che
sono condivise da vari artisti e in una serie di opere che si trovano lungo la costiera
adriatica.
L’elemento di novità, negli ultimi anni del primo e nei primi del secondo decennio fu la
prosecuzione della decorazione della sala del Maggior Consiglio, ad opera di maestri
giunti da fuori, come Gentile da Fabriano, Pisanello e Michelino da Besozzo.
L’arrivo in Venezia di Gentile da Fabriano in quegli anni è documentata dalla sua
iscrizione alla Scuola dei Mercanti di Santa Sofia e dal pagamento di una ancona, ora
perduta, e dalla attestazione che aveva dipinto in palazzo Ducale una battaglia navale.
Negli stessi anni è documentato a Venezia in qualità di miniatore per la famiglia Cornaro
Michelino da Besozzo, e forse anche lui attivo a Palazzo Ducale.
Segnali di attenzione ai nuovi modi gentiliani e alla sua abilità di modulare musicalmente
la linea furono colti a Venezia da personalità come Nicolò di Pietro e Zanino di Pietro.
Jacobello del Fiore nel Trittico con la Madonna della Misericordia tra i Santi Giovanni
Battista e Evangelista coglie ed interpreta le prolusioni di eleganza cifrata ed astratta e la
dolcezza dei volti da bambola e le ondulazioni lineari di Gentile, con la suggestione delle
soluzioni formali di Michelino. Le pose goticamente ancheggiate e i ricaschi delle pieghe
dei Santi sono segni dell’attenzione a Michelino, dove l’ombra scava linee profonde, con
risultati scultorei, così come nella veste della Madonna, dove riprende un modello
prezioso, con punzonature in oro.
 E’ un opera di grande vigore: le figure di committenti ai piedi della Madonna sono
tessute in una nervosità scattante di risalti, e realizzate con espressività piena di carattere.
La realizzazione dell’opera si pone quindi in una fase giovanile del pittore.
 Jacobello del Fiore, che appare per la prima volta citato in qualità di pittore e come
testimone in un atto rogato a Venezia nel 1400, si forma alla scuola del padre Francesco
del Fiore, che viene ricordato nella lapide come “sommo nell’arte della pittura”, uno dei
rappresentanti dello stile tardo gotico.
Probabilmente prima del 1412 ebbe legami di lavoro con la Signoria di Venezia e fu
legato alla decorazione della grande sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale tra il
1409 e il 1422: nel 1415 infatti dipingeva per la sala dell’Avogaria il grande Leone di San
Marco, tuttora ivi conservato. Nello stesso anno era nominato Gastaldo della
Confraternita dei pittori. Si può dedurre che egli fosse diventato personaggio di primo
piano nel campo artistico veneziano.
Il pittore è stato attivo tra Venezia, le Marche e l’Abruzzo: nelle Marche tra le opere sue
più importanti ricordiamo il Polittico di Santa Michelina (al Museo Civico di Pesaro,
proveniente dalla chiesa di San Francesco) e le Storie di Santa Lucia (alla Pinacoteca di
Fermo, provenienti dalla chiesa di Santa Lucia), in Abruzzo realizzò il Polittico di Cellino
(al Museo Nazionale d’Abruzzo, proveniente dalla cattedrale di Cellino Attanasio), la
predella dell’Ancona di San Giacomo (nel Museo Capitolare di Atri, un tempo nella
Concattedrale di Santa Maria Assunta di Atri), (l’attribuzione dei due interventi è ancora
incerta, propendendo per Lorenzo da Venezia) e il polittico di Teramo, per il Duomo
della città.
 Alla sua scuola si formarono Carlo Crivelli e Michele Giambono, rappresentante della
nuova generazione della pittura veneziana.

Attribuzione e datazione.

Il carattere non originale della scritta che compare sul quadro ha reso spesso incerta la
critica davanti a questo dipinto. Così mentre il Cavalcaselle lo attribuiva a Jacobello,
identificandolo con la “Madonna” del 1436 indicata dal Lanzi presso Girolamo Manfrin,
altri studiosi glielo negarono (Adolfo Venturi per darlo alla scuola, il Testi ad un tardo
seguace di Lorenzo Veneziano influenzato da Jacobello) e ancora nel catalogo del 1924
esso viene elencato come “ignoto veneziano del secolo XIV”; ormai però l’attribuzione a
Jacobello è comunemente accettata.
Per la datazione si è generalmente d’accordo nel ritenere troppo avanzato il 1436
indicato nella scritta: il Pallucchini pensa che potrebbe essere erronea trascrizione di un
originale “1426”, mentre il Longhi, che vede nel dipinto un momento di particolare
avvicinamento di Jacobello all’arte di Gentile da Fabriano, l’arretra verso il 1415, e anche
il Coletti propende per un tempo abbastanza giovanile, come Mauro Lucco verso la fine
del secondo decennio del Quattrocento.




Provenienza.

Il dipinto proviene dal lascito di Girolamo Ascanio Molin, di antico casato veneziano e
figura di spicco nella vita politico-amministrativo della città. Egli raccolse una ricchissima
collezione di dipinti, monete, statue, manoscritti, libri, stampe e reperti naturalistici, che
con il suo testamento del 24 febbraio 1813, legò “ alla Comun di Venezia”.
Fortuna critica.

L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII
secolo, III, Bassano, 1795-96, p.15.
Guida per la reale accademia di Belle Arti in Venezia con alcune notizie riguardanti detto Stabilimento,
Venezia, 1832, p.15.
J.A. Crowe – G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy from the Fourteenth to the
Sixteenth Century, 1871, London, p.6.
M. Caffi, Giacomello del Fiore, pittore veneziano del sec. XV, in Archivio storico italiano, Serie 4°,
vol. 6°, Firenze,1880, pp. 402-413.
L. Testi, La storia della pittura veneziana. Parte prima: le Origini, I, Bergamo, 1909, pp.183-
184, 410-412.
A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La pittura del Quattrocento, parte VII, vol. I, Milano, 1911,
p. 198.
G. Gronau, voce Fiore Jacobello del, in THIEME BECKER, Allgemeines Lexicon der bildenden
Künstler, XI, Lipsia, 1915.
(G. Fiocco), Le Regie Gallerie dell’Accademia di Venezia. Catalogo a cura della Direzione, 1924,
Bologna, p.13.
R.Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, vol.VII, The Hague, Toronto,
1926, p. 350.
B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford, 1932, p. 270.
R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze, 1946, p. 50.
R. Pallucchini, Commento alla mostra di Ancona, in “Arte Veneta”, IV, Milano, 1950, pp.13-
14.
L. Coletti, Pittura Veneta del Quattrocento, Novara, 1953, p. XII.
R. Pallucchini, La pittura veneta del Quattrocento, Bologna, 1956, p.66.
G. Gamulin, L’altare di S. Giovanni Evangelista di Jacobello del Fiore a Omiŝali, in “Arte
Veneta,” XI, Milano,1957, p. 25.
S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte del secolo XVI,
Roma,1962, p. 29.
M. Lucco, La pittura nel veneto. Il Quattrocento, vol. I, Milano, 1989, p. 27.

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4 la vergine della misericordia pisanix

  • 1. TRITTICO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA Venezia,Gallerie dell’ Accademia. Tempera su tavola, misure 86 x113 cm, con ornati in pastiglia dorata. Togliendo la cornice ottocentesca d’imitazione è stata messa in luce tutta la superficie della tavola nella quale si notano, oltre a molte prove di pennello sui bordi, alcuni tratti in basso di colore non alterato dalle verniciature e dalla luce. Il trittico mostra al centro la Madonna della Misericordia, che ha sul petto, entro una mandorla, il Bimbo benedicente e sotto al manto vari fedeli inginocchiati: a destra San Giovanni Evangelista, a sinistra San Giovanni Battista. I quadrilobi superiori mostrano l’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine Maria a destra, a mezza figura. In basso a sinistra la scritta non originale 1436 IACHOMELLO DE FLOR PENSE. che almeno in parte potrebbe corrispondere all’autentica posta forse sulla cornice.
  • 2. La Madonna della Misericordia è il nome di un iconografia cristiana ricorrente nell’arte, legata alla protezione di Maria. La Vergine è raffigurata in piedi, in grandi dimensioni, mentre allarga il proprio mantello ad accogliervi al di sotto i fedeli inginocchiati, simbolo dell’accoglienza, sotto cui, stretta al suo grembo, trova rifugio l’Umanità. Si tratta di un retaggio dell’epoca medievale, detto della “protezione del mantello”, che le nobildonne altolocate potevano concedere ai perseguitati e bisognosi d’aiuto. Ciò consisteva appunto nel dare loro simbolico riparo sotto il proprio mantello considerato inviolabile. I fedeli sono gerarchicamente più piccoli e sono disposti a sinistra e a destra, lasciando un ideale posto al centro per l'osservatore. Due figure femminili inginocchiate ai lati, sul lato sinistro una suora dalla tonaca nera, sul lato destro una giovane suora con un manto bianco e un cappuccio nero, fanno pensare che si possano riferire alla committenza. Gesù bambino in mandorla siede su un arcobaleno, simbolo dell’alleanza tra Dio e l’Uomo. L’intermediazione era testimoniata da un’antica invocazione per la Vergine Maria, che ha avuto origine in Etiopia, che la nominava come “l’Arca dell’Alleanza”. Le figure dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista ribadiscono questo legame. San Giovanni Battista, conosciuto come il precursore, con il suo gesto indica la croce e l’agnello mistico, che regge in mano al posto del bastone da eremita, come Colui che si deve seguire ossia il Cristo: come per l’arcangelo Gabriele vi è una missione di annuncio. San Giovanni Evangelista, qui ritratto in una versione invecchiata, è raffigurato con il Libro del Vangelo, che richiama la sua attività di predicatore e diffusore della parola divina. L’immagine del culto mariano si diffuse in tutta Europa e nei paesi di religione cristiana. Di particolare devozione fu l’attributo di Madonna della Mercede, dato alla Madre di Gesù, con cui i cattolici sovente la invocano. L’origine del culto è fatta risalire al I° agosto 1218, festa di San Pietro in Vincoli, quando il fondatore dei Mercedari Pietro Nolasco ebbe una visione della santissima Vergine, la quale si fece conoscere come la Mercede (Misericordia) e lo esortò a fondare un Ordine religioso avente come fine principale quello di riscattare i cristiani finiti in schiavitù. La penisola iberica al tempo era dominata dai Musulmani e i pirati saraceni rapivano molte persone portandole come schiavi in Nordafrica. L’ordine fu fondato nel 1218 nella Cattedrale di Barcellona, con l’appoggio del re Giacomo il Conquistatore e il consenso di San Raimondo di Peñafort. La devozione si diffuse dapprima in Spagna, in seguito in Francia e in Italia, e la memoria della Madonna della Mercede è collocata dalla Chiesa Cattolica il 24 settembre. L’iconografia ebbe successo particolare presso le confraternite medievali e rinascimentali, tra cui le confraternite della Misericordia, e anche dopo la Controriforma il soggetto continuò a godere di un largo seguito, per le sue evidenti connotazioni devozionali.
  • 3. Uno dei più antichi affreschi sul tema della Madonna della Misericordia si ha a Firenze, nella Loggia del Bigallo (appartenente appunto ad una confraternita), attribuita alla cerchia di Bernardo Daddi, nel 1340 circa, interpretabile anche come una figura allegorica per via della mitria vescovile (forse la Sacerdotissa justitiae). Celebre è la versione che tra il 1444 e il 1464 dipinse Piero della Francesca a Sansepolcro, il Polittico della Misericordia, oggetto di innumerevoli copie e citazioni. Un'altra Madonna della Misericordia venne dipinta da Domenico Ghirlandaio nel 1472 circa, a Firenze, nella chiesa di Ognissanti, cappella Vespucci.
  • 4. Autore e collocazione dell’ opera nella sua carriera artistica. L’opera, attribuita a Jacobello del Fiore, nato a Venezia nel 1370 ca. e morto nel 1439, si pone realizzata entro il primo ventennio del 1400, in un momento di tendenze, in terra lagunare, di matrice gotica, che affidano l’espressività al valore incisivo della linea e alla bellezza del colore schiarito, su una base formale ancora nettamente trecentesca, e che sono condivise da vari artisti e in una serie di opere che si trovano lungo la costiera adriatica. L’elemento di novità, negli ultimi anni del primo e nei primi del secondo decennio fu la prosecuzione della decorazione della sala del Maggior Consiglio, ad opera di maestri giunti da fuori, come Gentile da Fabriano, Pisanello e Michelino da Besozzo. L’arrivo in Venezia di Gentile da Fabriano in quegli anni è documentata dalla sua iscrizione alla Scuola dei Mercanti di Santa Sofia e dal pagamento di una ancona, ora perduta, e dalla attestazione che aveva dipinto in palazzo Ducale una battaglia navale. Negli stessi anni è documentato a Venezia in qualità di miniatore per la famiglia Cornaro Michelino da Besozzo, e forse anche lui attivo a Palazzo Ducale. Segnali di attenzione ai nuovi modi gentiliani e alla sua abilità di modulare musicalmente la linea furono colti a Venezia da personalità come Nicolò di Pietro e Zanino di Pietro. Jacobello del Fiore nel Trittico con la Madonna della Misericordia tra i Santi Giovanni Battista e Evangelista coglie ed interpreta le prolusioni di eleganza cifrata ed astratta e la dolcezza dei volti da bambola e le ondulazioni lineari di Gentile, con la suggestione delle soluzioni formali di Michelino. Le pose goticamente ancheggiate e i ricaschi delle pieghe dei Santi sono segni dell’attenzione a Michelino, dove l’ombra scava linee profonde, con risultati scultorei, così come nella veste della Madonna, dove riprende un modello prezioso, con punzonature in oro. E’ un opera di grande vigore: le figure di committenti ai piedi della Madonna sono tessute in una nervosità scattante di risalti, e realizzate con espressività piena di carattere. La realizzazione dell’opera si pone quindi in una fase giovanile del pittore. Jacobello del Fiore, che appare per la prima volta citato in qualità di pittore e come testimone in un atto rogato a Venezia nel 1400, si forma alla scuola del padre Francesco del Fiore, che viene ricordato nella lapide come “sommo nell’arte della pittura”, uno dei rappresentanti dello stile tardo gotico. Probabilmente prima del 1412 ebbe legami di lavoro con la Signoria di Venezia e fu legato alla decorazione della grande sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale tra il 1409 e il 1422: nel 1415 infatti dipingeva per la sala dell’Avogaria il grande Leone di San Marco, tuttora ivi conservato. Nello stesso anno era nominato Gastaldo della Confraternita dei pittori. Si può dedurre che egli fosse diventato personaggio di primo piano nel campo artistico veneziano.
  • 5. Il pittore è stato attivo tra Venezia, le Marche e l’Abruzzo: nelle Marche tra le opere sue più importanti ricordiamo il Polittico di Santa Michelina (al Museo Civico di Pesaro, proveniente dalla chiesa di San Francesco) e le Storie di Santa Lucia (alla Pinacoteca di Fermo, provenienti dalla chiesa di Santa Lucia), in Abruzzo realizzò il Polittico di Cellino (al Museo Nazionale d’Abruzzo, proveniente dalla cattedrale di Cellino Attanasio), la predella dell’Ancona di San Giacomo (nel Museo Capitolare di Atri, un tempo nella Concattedrale di Santa Maria Assunta di Atri), (l’attribuzione dei due interventi è ancora incerta, propendendo per Lorenzo da Venezia) e il polittico di Teramo, per il Duomo della città. Alla sua scuola si formarono Carlo Crivelli e Michele Giambono, rappresentante della nuova generazione della pittura veneziana. Attribuzione e datazione. Il carattere non originale della scritta che compare sul quadro ha reso spesso incerta la critica davanti a questo dipinto. Così mentre il Cavalcaselle lo attribuiva a Jacobello, identificandolo con la “Madonna” del 1436 indicata dal Lanzi presso Girolamo Manfrin, altri studiosi glielo negarono (Adolfo Venturi per darlo alla scuola, il Testi ad un tardo seguace di Lorenzo Veneziano influenzato da Jacobello) e ancora nel catalogo del 1924 esso viene elencato come “ignoto veneziano del secolo XIV”; ormai però l’attribuzione a Jacobello è comunemente accettata. Per la datazione si è generalmente d’accordo nel ritenere troppo avanzato il 1436 indicato nella scritta: il Pallucchini pensa che potrebbe essere erronea trascrizione di un originale “1426”, mentre il Longhi, che vede nel dipinto un momento di particolare avvicinamento di Jacobello all’arte di Gentile da Fabriano, l’arretra verso il 1415, e anche il Coletti propende per un tempo abbastanza giovanile, come Mauro Lucco verso la fine del secondo decennio del Quattrocento. Provenienza. Il dipinto proviene dal lascito di Girolamo Ascanio Molin, di antico casato veneziano e figura di spicco nella vita politico-amministrativo della città. Egli raccolse una ricchissima collezione di dipinti, monete, statue, manoscritti, libri, stampe e reperti naturalistici, che con il suo testamento del 24 febbraio 1813, legò “ alla Comun di Venezia”.
  • 6. Fortuna critica. L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, III, Bassano, 1795-96, p.15. Guida per la reale accademia di Belle Arti in Venezia con alcune notizie riguardanti detto Stabilimento, Venezia, 1832, p.15. J.A. Crowe – G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy from the Fourteenth to the Sixteenth Century, 1871, London, p.6. M. Caffi, Giacomello del Fiore, pittore veneziano del sec. XV, in Archivio storico italiano, Serie 4°, vol. 6°, Firenze,1880, pp. 402-413. L. Testi, La storia della pittura veneziana. Parte prima: le Origini, I, Bergamo, 1909, pp.183- 184, 410-412. A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La pittura del Quattrocento, parte VII, vol. I, Milano, 1911, p. 198. G. Gronau, voce Fiore Jacobello del, in THIEME BECKER, Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, XI, Lipsia, 1915. (G. Fiocco), Le Regie Gallerie dell’Accademia di Venezia. Catalogo a cura della Direzione, 1924, Bologna, p.13. R.Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, vol.VII, The Hague, Toronto, 1926, p. 350. B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford, 1932, p. 270. R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze, 1946, p. 50. R. Pallucchini, Commento alla mostra di Ancona, in “Arte Veneta”, IV, Milano, 1950, pp.13- 14. L. Coletti, Pittura Veneta del Quattrocento, Novara, 1953, p. XII. R. Pallucchini, La pittura veneta del Quattrocento, Bologna, 1956, p.66. G. Gamulin, L’altare di S. Giovanni Evangelista di Jacobello del Fiore a Omiŝali, in “Arte Veneta,” XI, Milano,1957, p. 25. S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte del secolo XVI, Roma,1962, p. 29. M. Lucco, La pittura nel veneto. Il Quattrocento, vol. I, Milano, 1989, p. 27.