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Evoluzione organizzativa nelle Agenzie
Esperienze in atto e riflessioni circa l’utilità di possibili convergenze
all’indomani della legge 132/2016
Luca Marchesi
Direttore Generale ARPA FVG, Vice Presidente SNPA, Presidente AssoARPA
Pescara, 12 dicembre 2017
• Foto articolo
UN.I.D.E.A.
unideaweb.it
B.E.A. n. 2/2017
con l’aggiunta di alcuni
inserti video SDA Bocconi
Un tema dimenticato
• (1) Come sono organizzate oggi le ARPA/APPA e (2) come si stanno riorganizzando (se
lo stanno facendo …) dopo la legge 132/2016?
• Non solo capire soluzioni e modelli, micro e macro organizzativi, per il singolo Ente,
che – gestendone i professionisti – migliorino efficienza, efficacia, economicità,
quantità e qualità dell’azione, dei prodotti e dei servizi …
• … ma ricercare meccanismi, processi e modelli «di sistema», che sono
principalmente modalità di relazione, «tra pari», per rispondere come SNPA
• È irragionevole immaginare che 22 Enti diversi, chiamati dalla legge a interloquire in
maniera strutturata, per costruire un Sistema che vuol essere uno dei fondamentali
Servizi del Paese, possano pensare di farlo senza interrogarsi su quali siano le forme
e i processi organizzativi più consoni a favorire tali compiti e interrelazioni.
Lo studio ONOG 2003
La prima e unica analisi degli aspetti organizzativi nelle ARPA/APPA:
• Primo Rapporto di benchmarking di ONOG, edito da APAT nel 2003 (Riccardo
Guolo, Luca Marchesi, Manila Marcuccio, Gianluca Piazza, Angelo Tanese, Pietro
Testaì)
• GdL di 32 altri dirigenti e funzionari di 11 Agenzie
• Il Cap. 3 (curato da Angelo Tanese, con contributi e supporto di Stefania Borghini
e Michele Petrelli, Arpalazio)
• http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/manuali-e-linee-guida/1b0-
rapporto-benchmarking-le-agenzie-ambientali-a
Due elementi principali
• apparente omogeneità dei modelli macro organizzativi, secondo uno schema
tripartito in “Direzione Generale”, “Amministrativa” e “Tecnica/Scientifica”
• schema che “clonava” quello delle ASL, confermando la subalternità culturale del
neonato Sistema rispetto al SSN; si tratta infatti di una “derivata” sostanzialmente
acritica di una storia da cui è tuttora difficile affrancarsi: molte Organizzazioni
pubbliche di servizi anche in campo ambientale hanno strutture (a cominciare dalle
cosiddette “C-suite”) differenti e/o più articolate
• altrettanto costante appariva il modello di organizzazione territoriale
dipartimentale articolato in ambiti territoriali coincidenti con i confini
amministrativi delle Province
• il modello, che garantiva legami col territorio e presidio locale, portava fin da allora con
sé inefficienze e duplicazioni e spingeva già da allora a riflettere sui centri di
riferimento e sull’uso coordinato delle risorse su base regionale
Variabilità dei modelli rispetto ai territori (1/2)
• Al di là degli elementi di omogeneità apparente, emergeva una forte
eterogeneità sostanziale dei modelli organizzativi, dovuta
principalmente ai contenuti e ai posizionamenti gerarchici molto
differenti che assumevano, da contesto a contesto, strutture
apparentemente denominate in maniera analoga
• La “Direzione Tecnica” ad esempio poteva essere una struttura di
“staff” con semplice ruolo di coordinamento e indirizzo rispetto alle
“line” dipendenti dal Direttore generale; o viceversa poteva essere
struttura gerarchicamente sovraordinata alle strutture operative,
centrali o territoriali, oppure solo ad alcune di esse
Variabilità dei modelli rispetto ai territori (2/2)
• Una notevole eccezione a questo schema era rappresentata dal modello a
matrice Settori – Dipartimenti in Lombardia, dove non era presente
Direzione Tecnica né Direzione Amministrativa. La Lombardia aveva anche
un Presidente e un Consiglio di Amministazione, sul modello di ANPA, e il
Direttore generale era un Direttore esecutivo privo dei poteri di
amministrazione ordinaria e straordinaria e di legale rappresentanza
• Un’altra eccezione significativa era rappresentata da Arpalazio, con il
Direttore generale Organo monocratico ma affiancato da due Vicedirettori
• In altri casi vi erano eccezioni «di fatto» come la Sicilia, che non ha avuto
per anni né DTS né DA, pur essendo gli stessi previsti dalla legge
• Altre Regioni (Lazio, Campania, Calabria) hanno riflettuto negli anni sul
modello con CdA o su una aziendalizzazione più spinta (Molise, Calabria)
Le evoluzioni del primo decennio
• Negli anni 2000, molti sono stati i tentativi di superare i limiti intrinseci ai primi
modelli organizzativi, in particolare i limiti di efficienza e di qualità provocati dalla
frammentazione e dalla duplicazione delle funzioni svolte in segmenti organizzativi
“ereditati” dai Servizi Sanitari Regionali
• In questo, si rileva una consonanza con la tendenza della P.A. italiana a passare da
modelli (sia istituzionali sia organizzativi) di divisionalizzazione/specializzazione,
tipici degli anni ‘90, a modelli improntati al re-impacchettamento e a un ritorno al
«centralismo», caratteristici degli anni 2000
• In Veneto, Liguria, Emilia R., FVG, Piemonte e Lombardia hanno cominciato a
vedere la luce strutture organizzative con ambito di competenza a base regionale,
nate secondo due diverse modalità:
• da servizi territoriali già “unificati” (come è il caso dei Dipartimenti/Settori
regionali di “Sicurezza del suolo” e di “Idrometeorologia”, altrimenti
diversamente denominati a seconda delle Agenzie)
• ovvero per aggregazione di strutture provinciali già esistenti sotto un’unica
regia (è questo il caso delle strutture laboratoristiche, in particolare di chimica
analitica, ma anche di radioprotezione e di biologia ambientale)
Una rilettura di tutto ciò, dallo
«spacchettamento» alla «ri-centralizzaizone»
• Raffaella Saporito SDA Bocconi (prima parte)
fino al minuto 9.20 ca.
• Dal 2012, introduzione di un modello di “direzione strategica aziendale” più ampio e
articolato con una struttura macro-organizzativa da un lato più contratta (dieci Direzioni
apicali, rispetto alle finanche ventuno degli anni precedenti) dall’altro assolutamente
“flat” (a riporto diretto del Direttore generale)
• Meccanismi di coordinamento variabili a seconda delle necessità, ma comunque
presidiati da tre (e non due) “direzioni centrali” trasversali anch’esse a riporto del
Direttore generale: una Direzione Amministrazione, una Direzione Ricerca, Sviluppo e
Innovazione e una Direzione Operations
• Quest’ultima era l’elemento più innovativo, assumendo – in un modello di chiara
ispirazione aziendalista – la responsabilità dei risultati operativi e della “produzione”
dell’intera Agenzia
• Forte focalizzazione del modello macro-organizzativo così disegnato rispetto alla mission
dell’Agenzia, così come definita dalle leggi - dello Stato e della Regione - e con richiami
alle funzioni della legge 132/2016, pur essendo all’epoca la medesima ancora in stato di
gestazione.
L’esperienza di ARPA Lombardia (1/2)
• In questo contesto (focalizzazione sulla mission), spiccano la distinzione tra controlli e
monitoraggi, il ruolo del laboratorio come “service” di processo e la chiara
perimetrazione di una Area organizzativa unificata a presidio del Rischio naturale
• Regionalizzazione di alcuni servizi operativi anche tematici e territoriali (meteorologia,
climatologia, rischio geologico, servizio idrografico, ma anche alcuni altri storicamente
dipartimentali, come i controlli qualitativi sulle acque superficiali e sotterranee, le
aziende a rischio…) nonché dei laboratori (chimica, fisica, biologia, radioprotezione), con
la costituzione di centri di riferimento a servizio dell’intero territorio regionale.
• Dal punto di vista della dipartimentalizzazione, il superamento della coincidenza tra
ambito di competenza del Dipartimento e confine amministrativo rappresentato dal
territorio di competenza dell’Ente Provincia. Da questo punto di vista, i territori
provinciali sono stati accorpati a due a due sotto la responsabilità di un medesimo
Direttore, con la creazione di strutture operative o tematiche di norma bi-provinciali. Un
passo decisivo, anche se non definitivo, verso la rottura dello schema che prevedeva fino
ad allora la corrispondenza biunivoca Dipartimento-Provincia
L’esperienza di ARPA Lombardia (2/2)
L’esperienza di ARPA FVG 2015-2017
• Il contesto territoriale e organizzativo di dimensioni decisamente inferiori a
quelle lombarde - seppur caratterizzato da elementi di complessità del
tutto inediti, legati all’Autonomia e alla Specialità della Regione FVG,
nonché a elementi orogeografici peculiari e al posizionamento di confine -
ha consentito una più puntuale applicazione dei principi che avevano
ispirato l’esperienza di riorganizzazione elaborata in Lombardia nonché di
compiere un deciso passo in avanti nella direzione della semplificazione,
della focalizzazione sulla missione e della regionalizzazione dei servizi.
• Oggi ARPA FVG si configura come una struttura in cui tutte le diverse unità
organizzative si qualificano come vere e proprie “strutture regionali
multisito”, essendo così completamente superato l’ancoraggio
all’articolazione provinciale
Una dinamica storica da «leggere» nel Sistema
• Dallo «spacchettamento» alla «ricentralizzazione»
• Livello organizzativo ma anche, con la 132/2016, livello istituzionale
• Come si inquadra in questo schema il modello di Sistema definito
dalla legge 132/2016? Rispetto ad altri schemi ben più centralisti che
erano possibili e che erano stati pensati?
• Come impatta su questo l’esito del Referendum costituzionale dello
scorso anno?
Altre esperienze
Esperienze simili a quelle di Lombardia e FVG sono in corso, con alcune varianti, in ARPA
Lazio, ARPA Liguria, ARPA Basilicata (in esito all’accordo di collab. con Assoarpa)
In ARPA Umbria, a esito di percorso indipendente e differente, superamento della DT
“unica” a favore di un modello organizzativo “flat” con forme di coordinamento flessibili
Importante la condivisione di esperienze e la costruzione di identità collettiva
Tuttavia contesti organizzativi, economici e territoriali diversi richiedono adattamenti
Esiste un «modello ideale»? (1/3)
• Le Agenzie sono 21 e sono comunque ad oggi differenti:
• per territori (il mare, la montagna, i tessuti produttivi….)
• per dimensioni (i 10M di abitanti della Lombardia vs i 128k della VdA)
• numero di dipendenti (più di 1300 in Emilia, alcune decine in Molise)
• qualifica e competenze dei dipendenti (cursus sturiorum, numero dirigenti…)
• funzioni attribuite (alimenti, impiantistica, servizi meteoclima, servizi
idrografici, servizi geologici, energia, funzioni autorizzative…)
• I contesti sono differenti
• E come si innesta su questo ragionamento la dimensione di Sistema?
Esiste un modello ideale? (2/3)
• Francesco Longo, SDA Bocconi
«Nuovi modelli organizzativi per le ARPA»
• Giovanni Fosti, SDA Bocconi
«Quali relazioni tra le ARPA per un SNPA»
Esiste un modello ideale? (3/3)
• L’idea di un modello-tipo ha punti di forza ma molti difetti
• Weber aveva torto: non è sempre necessaria omogeneità organizzativa
• Fondamentale è invece definire , in un «processo organizzativo»:
• mission e obiettivi (che non coincidono con le norme…)
• analizzare le competenze esistenti, definire e sviluppare quelle
necessarie
• processi di lavoro
• L’organigramma in qualche modo «segue», è auto-evidente e, a quel
punto, quasi poco importante
• Si definisce una logica di manutenzione organizzativa continua
Definire processi di convergenza
1. Integrazione professionale (formazione)
2. Apprendimento organizzativo (benchmarking)
3. Analisi dei modelli di performance management
4. Disegno di un sistema di «incentivi alla convergenza»
Il caso di ISPRA
• Per ragioni connesse alla sua storia, posizionamento geografico e
istituzionale, funzioni assegnate e nonostante la sua funzione di “hub” del
SNPA, ISPRA ha da sempre un modello organizzativo del tutto disallineato
rispetto a quelli delle Agenzie, nel vertice come nella micro-organizzazione
• Dapprima ANPA, poi APAT, poi ISPRA hanno avuto da sempre un modello
organizzativo di tipo divisionale, tutt'oggi solo parzialmente articolato
secondo le funzioni del “Catalogo delle prestazioni” elaborato dal Sistema,
con quattro direzioni apicali non chiaramente collegabili in relazioni di
biunivocità con la più parte dei modelli organizzativi delle Agenzie
regionali. Ciò ha generato talvolta, nel tempo, difficoltà di interlocuzione
• Un ulteriore elemento di complessità è rappresentato dal contratto
collettivo di lavoro applicato, EPR e non Sanità.
Logiche di Sistema
• Oggi la legge 132/2016 impone di ragionare in termini inter-istituzionali
• Raffaella Saporito, SDA Bocconi (seconda parte)
dal minuto 9.20 ca
Conclusioni
• Un contesto mutato richiede riflessioni differenti e decisioni conseguenti.
Oggi, dopo la legge 132/2016, il tema dello sviluppo organizzativo (di
Sistema e di Ente) è ineludibile
• C’è un problema di aggiornamento della conoscenza (attualizzare il
benchmarking) per conoscere e riconoscere le tendenze in atto
• Può essere utile definire cluster di Agenzie cui proporre modelli simili
• ISPRA e le Agenzie devono altresì coordinarsi per trovare formule e
processi organizzativi per offrire risposte collettive a bisogni sovraregionali,
con meccanismi di sussidiarietà e cooperazione ancora tutti da progettare
• C’è la necessità di allineare e sviluppare le competenze manageriali (in
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grazie

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Luca Marchesi, Direttore Generale ARPA FVG, Presidente AssoArpa, Vicepresidente SNPA

  • 1. Evoluzione organizzativa nelle Agenzie Esperienze in atto e riflessioni circa l’utilità di possibili convergenze all’indomani della legge 132/2016 Luca Marchesi Direttore Generale ARPA FVG, Vice Presidente SNPA, Presidente AssoARPA Pescara, 12 dicembre 2017
  • 2. • Foto articolo UN.I.D.E.A. unideaweb.it B.E.A. n. 2/2017 con l’aggiunta di alcuni inserti video SDA Bocconi
  • 3. Un tema dimenticato • (1) Come sono organizzate oggi le ARPA/APPA e (2) come si stanno riorganizzando (se lo stanno facendo …) dopo la legge 132/2016? • Non solo capire soluzioni e modelli, micro e macro organizzativi, per il singolo Ente, che – gestendone i professionisti – migliorino efficienza, efficacia, economicità, quantità e qualità dell’azione, dei prodotti e dei servizi … • … ma ricercare meccanismi, processi e modelli «di sistema», che sono principalmente modalità di relazione, «tra pari», per rispondere come SNPA • È irragionevole immaginare che 22 Enti diversi, chiamati dalla legge a interloquire in maniera strutturata, per costruire un Sistema che vuol essere uno dei fondamentali Servizi del Paese, possano pensare di farlo senza interrogarsi su quali siano le forme e i processi organizzativi più consoni a favorire tali compiti e interrelazioni.
  • 4. Lo studio ONOG 2003 La prima e unica analisi degli aspetti organizzativi nelle ARPA/APPA: • Primo Rapporto di benchmarking di ONOG, edito da APAT nel 2003 (Riccardo Guolo, Luca Marchesi, Manila Marcuccio, Gianluca Piazza, Angelo Tanese, Pietro Testaì) • GdL di 32 altri dirigenti e funzionari di 11 Agenzie • Il Cap. 3 (curato da Angelo Tanese, con contributi e supporto di Stefania Borghini e Michele Petrelli, Arpalazio) • http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/manuali-e-linee-guida/1b0- rapporto-benchmarking-le-agenzie-ambientali-a
  • 5. Due elementi principali • apparente omogeneità dei modelli macro organizzativi, secondo uno schema tripartito in “Direzione Generale”, “Amministrativa” e “Tecnica/Scientifica” • schema che “clonava” quello delle ASL, confermando la subalternità culturale del neonato Sistema rispetto al SSN; si tratta infatti di una “derivata” sostanzialmente acritica di una storia da cui è tuttora difficile affrancarsi: molte Organizzazioni pubbliche di servizi anche in campo ambientale hanno strutture (a cominciare dalle cosiddette “C-suite”) differenti e/o più articolate • altrettanto costante appariva il modello di organizzazione territoriale dipartimentale articolato in ambiti territoriali coincidenti con i confini amministrativi delle Province • il modello, che garantiva legami col territorio e presidio locale, portava fin da allora con sé inefficienze e duplicazioni e spingeva già da allora a riflettere sui centri di riferimento e sull’uso coordinato delle risorse su base regionale
  • 6. Variabilità dei modelli rispetto ai territori (1/2) • Al di là degli elementi di omogeneità apparente, emergeva una forte eterogeneità sostanziale dei modelli organizzativi, dovuta principalmente ai contenuti e ai posizionamenti gerarchici molto differenti che assumevano, da contesto a contesto, strutture apparentemente denominate in maniera analoga • La “Direzione Tecnica” ad esempio poteva essere una struttura di “staff” con semplice ruolo di coordinamento e indirizzo rispetto alle “line” dipendenti dal Direttore generale; o viceversa poteva essere struttura gerarchicamente sovraordinata alle strutture operative, centrali o territoriali, oppure solo ad alcune di esse
  • 7. Variabilità dei modelli rispetto ai territori (2/2) • Una notevole eccezione a questo schema era rappresentata dal modello a matrice Settori – Dipartimenti in Lombardia, dove non era presente Direzione Tecnica né Direzione Amministrativa. La Lombardia aveva anche un Presidente e un Consiglio di Amministazione, sul modello di ANPA, e il Direttore generale era un Direttore esecutivo privo dei poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria e di legale rappresentanza • Un’altra eccezione significativa era rappresentata da Arpalazio, con il Direttore generale Organo monocratico ma affiancato da due Vicedirettori • In altri casi vi erano eccezioni «di fatto» come la Sicilia, che non ha avuto per anni né DTS né DA, pur essendo gli stessi previsti dalla legge • Altre Regioni (Lazio, Campania, Calabria) hanno riflettuto negli anni sul modello con CdA o su una aziendalizzazione più spinta (Molise, Calabria)
  • 8. Le evoluzioni del primo decennio • Negli anni 2000, molti sono stati i tentativi di superare i limiti intrinseci ai primi modelli organizzativi, in particolare i limiti di efficienza e di qualità provocati dalla frammentazione e dalla duplicazione delle funzioni svolte in segmenti organizzativi “ereditati” dai Servizi Sanitari Regionali • In questo, si rileva una consonanza con la tendenza della P.A. italiana a passare da modelli (sia istituzionali sia organizzativi) di divisionalizzazione/specializzazione, tipici degli anni ‘90, a modelli improntati al re-impacchettamento e a un ritorno al «centralismo», caratteristici degli anni 2000 • In Veneto, Liguria, Emilia R., FVG, Piemonte e Lombardia hanno cominciato a vedere la luce strutture organizzative con ambito di competenza a base regionale, nate secondo due diverse modalità: • da servizi territoriali già “unificati” (come è il caso dei Dipartimenti/Settori regionali di “Sicurezza del suolo” e di “Idrometeorologia”, altrimenti diversamente denominati a seconda delle Agenzie) • ovvero per aggregazione di strutture provinciali già esistenti sotto un’unica regia (è questo il caso delle strutture laboratoristiche, in particolare di chimica analitica, ma anche di radioprotezione e di biologia ambientale)
  • 9. Una rilettura di tutto ciò, dallo «spacchettamento» alla «ri-centralizzaizone» • Raffaella Saporito SDA Bocconi (prima parte) fino al minuto 9.20 ca.
  • 10. • Dal 2012, introduzione di un modello di “direzione strategica aziendale” più ampio e articolato con una struttura macro-organizzativa da un lato più contratta (dieci Direzioni apicali, rispetto alle finanche ventuno degli anni precedenti) dall’altro assolutamente “flat” (a riporto diretto del Direttore generale) • Meccanismi di coordinamento variabili a seconda delle necessità, ma comunque presidiati da tre (e non due) “direzioni centrali” trasversali anch’esse a riporto del Direttore generale: una Direzione Amministrazione, una Direzione Ricerca, Sviluppo e Innovazione e una Direzione Operations • Quest’ultima era l’elemento più innovativo, assumendo – in un modello di chiara ispirazione aziendalista – la responsabilità dei risultati operativi e della “produzione” dell’intera Agenzia • Forte focalizzazione del modello macro-organizzativo così disegnato rispetto alla mission dell’Agenzia, così come definita dalle leggi - dello Stato e della Regione - e con richiami alle funzioni della legge 132/2016, pur essendo all’epoca la medesima ancora in stato di gestazione. L’esperienza di ARPA Lombardia (1/2)
  • 11. • In questo contesto (focalizzazione sulla mission), spiccano la distinzione tra controlli e monitoraggi, il ruolo del laboratorio come “service” di processo e la chiara perimetrazione di una Area organizzativa unificata a presidio del Rischio naturale • Regionalizzazione di alcuni servizi operativi anche tematici e territoriali (meteorologia, climatologia, rischio geologico, servizio idrografico, ma anche alcuni altri storicamente dipartimentali, come i controlli qualitativi sulle acque superficiali e sotterranee, le aziende a rischio…) nonché dei laboratori (chimica, fisica, biologia, radioprotezione), con la costituzione di centri di riferimento a servizio dell’intero territorio regionale. • Dal punto di vista della dipartimentalizzazione, il superamento della coincidenza tra ambito di competenza del Dipartimento e confine amministrativo rappresentato dal territorio di competenza dell’Ente Provincia. Da questo punto di vista, i territori provinciali sono stati accorpati a due a due sotto la responsabilità di un medesimo Direttore, con la creazione di strutture operative o tematiche di norma bi-provinciali. Un passo decisivo, anche se non definitivo, verso la rottura dello schema che prevedeva fino ad allora la corrispondenza biunivoca Dipartimento-Provincia L’esperienza di ARPA Lombardia (2/2)
  • 12. L’esperienza di ARPA FVG 2015-2017 • Il contesto territoriale e organizzativo di dimensioni decisamente inferiori a quelle lombarde - seppur caratterizzato da elementi di complessità del tutto inediti, legati all’Autonomia e alla Specialità della Regione FVG, nonché a elementi orogeografici peculiari e al posizionamento di confine - ha consentito una più puntuale applicazione dei principi che avevano ispirato l’esperienza di riorganizzazione elaborata in Lombardia nonché di compiere un deciso passo in avanti nella direzione della semplificazione, della focalizzazione sulla missione e della regionalizzazione dei servizi. • Oggi ARPA FVG si configura come una struttura in cui tutte le diverse unità organizzative si qualificano come vere e proprie “strutture regionali multisito”, essendo così completamente superato l’ancoraggio all’articolazione provinciale
  • 13. Una dinamica storica da «leggere» nel Sistema • Dallo «spacchettamento» alla «ricentralizzazione» • Livello organizzativo ma anche, con la 132/2016, livello istituzionale • Come si inquadra in questo schema il modello di Sistema definito dalla legge 132/2016? Rispetto ad altri schemi ben più centralisti che erano possibili e che erano stati pensati? • Come impatta su questo l’esito del Referendum costituzionale dello scorso anno?
  • 14. Altre esperienze Esperienze simili a quelle di Lombardia e FVG sono in corso, con alcune varianti, in ARPA Lazio, ARPA Liguria, ARPA Basilicata (in esito all’accordo di collab. con Assoarpa) In ARPA Umbria, a esito di percorso indipendente e differente, superamento della DT “unica” a favore di un modello organizzativo “flat” con forme di coordinamento flessibili Importante la condivisione di esperienze e la costruzione di identità collettiva Tuttavia contesti organizzativi, economici e territoriali diversi richiedono adattamenti
  • 15. Esiste un «modello ideale»? (1/3) • Le Agenzie sono 21 e sono comunque ad oggi differenti: • per territori (il mare, la montagna, i tessuti produttivi….) • per dimensioni (i 10M di abitanti della Lombardia vs i 128k della VdA) • numero di dipendenti (più di 1300 in Emilia, alcune decine in Molise) • qualifica e competenze dei dipendenti (cursus sturiorum, numero dirigenti…) • funzioni attribuite (alimenti, impiantistica, servizi meteoclima, servizi idrografici, servizi geologici, energia, funzioni autorizzative…) • I contesti sono differenti • E come si innesta su questo ragionamento la dimensione di Sistema?
  • 16. Esiste un modello ideale? (2/3) • Francesco Longo, SDA Bocconi «Nuovi modelli organizzativi per le ARPA» • Giovanni Fosti, SDA Bocconi «Quali relazioni tra le ARPA per un SNPA»
  • 17. Esiste un modello ideale? (3/3) • L’idea di un modello-tipo ha punti di forza ma molti difetti • Weber aveva torto: non è sempre necessaria omogeneità organizzativa • Fondamentale è invece definire , in un «processo organizzativo»: • mission e obiettivi (che non coincidono con le norme…) • analizzare le competenze esistenti, definire e sviluppare quelle necessarie • processi di lavoro • L’organigramma in qualche modo «segue», è auto-evidente e, a quel punto, quasi poco importante • Si definisce una logica di manutenzione organizzativa continua
  • 18. Definire processi di convergenza 1. Integrazione professionale (formazione) 2. Apprendimento organizzativo (benchmarking) 3. Analisi dei modelli di performance management 4. Disegno di un sistema di «incentivi alla convergenza»
  • 19. Il caso di ISPRA • Per ragioni connesse alla sua storia, posizionamento geografico e istituzionale, funzioni assegnate e nonostante la sua funzione di “hub” del SNPA, ISPRA ha da sempre un modello organizzativo del tutto disallineato rispetto a quelli delle Agenzie, nel vertice come nella micro-organizzazione • Dapprima ANPA, poi APAT, poi ISPRA hanno avuto da sempre un modello organizzativo di tipo divisionale, tutt'oggi solo parzialmente articolato secondo le funzioni del “Catalogo delle prestazioni” elaborato dal Sistema, con quattro direzioni apicali non chiaramente collegabili in relazioni di biunivocità con la più parte dei modelli organizzativi delle Agenzie regionali. Ciò ha generato talvolta, nel tempo, difficoltà di interlocuzione • Un ulteriore elemento di complessità è rappresentato dal contratto collettivo di lavoro applicato, EPR e non Sanità.
  • 20. Logiche di Sistema • Oggi la legge 132/2016 impone di ragionare in termini inter-istituzionali • Raffaella Saporito, SDA Bocconi (seconda parte) dal minuto 9.20 ca
  • 21. Conclusioni • Un contesto mutato richiede riflessioni differenti e decisioni conseguenti. Oggi, dopo la legge 132/2016, il tema dello sviluppo organizzativo (di Sistema e di Ente) è ineludibile • C’è un problema di aggiornamento della conoscenza (attualizzare il benchmarking) per conoscere e riconoscere le tendenze in atto • Può essere utile definire cluster di Agenzie cui proporre modelli simili • ISPRA e le Agenzie devono altresì coordinarsi per trovare formule e processi organizzativi per offrire risposte collettive a bisogni sovraregionali, con meccanismi di sussidiarietà e cooperazione ancora tutti da progettare • C’è la necessità di allineare e sviluppare le competenze manageriali (in ottica non più solo di NPM ma di new public governance)