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DOSSIER Stress e malattie infettive
Alessandro Pejrano - Psicologo Clinico, Tecnico di Laboratorio Chimico-biologico, socio SIPNEI Lombardia.
La manifestazione clinica da infezione del virus erpetico HSV-1, meglio
conosciuta come “febbre al labbro”, rappresenta l’esempio più noto di
relazione tra stress e sistema immunitario. Sappiamo, anche dall’esperienza
empirica e popolare, che l’Herpes Simplex di tipo I (labiale) compare più
facilmente in quei soggetti esposti a stimoli stressanti, sia essi emotivi che
fisici. Già pochi decenni dopo la scoperta di Koch nel 1876 e l’inizio della
microbiologia moderna, si iniziò ad attribuire importanza alle variabili
ambientali nella diade germe/ospite, ma fu solo a partire dalla seconda metà
del ‘900, e più precisamente negli anni ’70, che le variabili psicologiche
e più specificatamente emotive assunsero importanza.
Oggi ci si chiede più nello specifico, cosa moduli la vulnerabilità
dell’ospite agli agenti infettivi? La risposta è complessa
perché le variabili interessate sono quelle proprie della
Psiconeuroendocrinoimmunologia, ovvero interessano non
solo gli aspetti di natura immunitaria o microbiologica,
ma l’insieme dei correlati biologici -endocrini
enervosi-eilcomplessodellereazionipsicologiche
dell’ospite. Semplificando, possiamo affermare
che la vulnerabilità dell’individuo all’azione di
agenti infettivi (sia nella fase del contagio che
nel decorso della patologia) è data da tre grossi
cluster interconnessi tra loro, che si sommano alle
caratteristiche biologiche del patogeno:
1- La risposta immunitaria
2- La risposta biologica non immunitaria
3- La risposta psicologica
Parallelamente alle caratteristiche del germe
patogeno o opportunista, come il grado di
invasività e di infettività, ci si chiede fino a che
punto la patogenicità e la virulenza di un germe
siano facilitati dallo stress dell’ospite?
Non vi è dubbio che la risposta
immunitaria in senso depressivo indotta
dallo stress cronico, costituisca un fattore
facilitante nella patogenesi della malattia
infettiva e nel relativo quadro clinico.
Sebbene i processi patogenetici di molte malattie infettive, specialmente
di natura virale, non siano ancora del tutto chiare, è ormai assodato che
esiste una relazione tra la risposta immunitaria, sia umorale che cellulare,
e le risposte psicofisiologiche allo stress.
L’azione dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene sulle citochine
Una condizione protratta di stress (e protratta deve necessariamente
essere) determina, come sappiamo, una risposta che viene elicitata a livello
ipotalamo-ipofisi-surrene. La corteccia surrenale, stimolata dall’ACTH
dell’adenoipofisi, porta a sua volta ad una aumentata
secrezione di glicocorticoidi.
La massiccia liberazione di questi ormoni
determina un importante effetto sul sistema
immunitario, e non solo perché viene inibita
la risposta infiammatoria. L’atrofia del Timo,
infatti,indottadall’azionedeiglicocorticoidi
stessi, riduce l’attività di maturazione dei
timociti in linfociti, il che comporta
una minore immissione nel circolo
ematico di linfociti T e quindi un effetto
soppressore sull’immunità cellulo-
mediata. Inoltre l’immunosoppressione
stress-indotta, altera il quadro delle
citochine, sopprimendo parzialmente la
IL-12 attraverso un aumento della IL-4.
La prima gioca un ruolo fondamentale
nell’attività immunitaria contro
i virus e le cellule neoplastiche. Questa
citochina è liberata dai macrofagi
e induce le cellule NK e i linfociti T a
produrre maggiore interferone gamma (IFN-gamma),
la cui molecola ha a sua volta un’importantissima azione sui macrofagi
stessi poiché ne aumenta l’attività. Lo stress cronico riduce la IL-12 e il
relativo meccanismo potenziatore verso i macrofagi, contribuendo così
alla soppressione immunitaria. Questa infausta cascata biochimica è data
dall’azione della IL-4 che, oltre a ridurre parzialmente la IL-12, agisce anche
Lo stress, con i suoi ormoni, altera l’assetto del sistema immunitario esponendoci alle infezioni, ma nel caso di un
contagio grave già avvenuto e diagnosticato, alcuni processi psichici di difesa primaria come il diniego, determinano
un assetto psicologico ostile all’elaborazione emotiva della patologia, ostacolando un percorso di adattamento.
Gli ormoni e la rappresentazione
psichica della malattia
PNEI NEWS | n. 2 Marzo Aprile 201312
sugli eosinofili il cui ruolo, come sappiamo, è determinante nelle parassitosi
e nelle reazioni allergiche dove si assiste ad una naturale eosinofilia.
In uno studio del 2007 (Cohen et. al.) su un gruppo di disoccupati,
si osservò che in questi soggetti, rispetto agli individui del gruppo di
controllo, si registravano dei livelli più bassi di Natural Killer, ma cosa
ben più sorprendente i livelli delle medesime cellule tendevano a risalire
contemporaneamente ad una ripresa dell’attività lavorativa.
Le alterazioni tessutali e psicologiche
I glicocorticoidi tuttavia, innescano una cascata di effetti non solo di natura
immunitaria, ma anche una risposta biologica di tipo non immunitario.
A livello metabolico, ad esempio, si ha un aumento del catabolismo proteico
nei tessuti, mentre a livello fisiologico si assiste ad un’alterazione a carico di
vari organi e apparati: come, ad esempio, a livello gastrico con una maggiore
secrezione di acido cloridrico e pepsina, o a livello cardio-circolatorio con un
aumento del volume sanguigno per la maggiore ritenzione di sodio e acqua,
oppure a livello epatico con una maggiore produzione di corpi chetonici.
Questa alterazione del substrato biologico sembrerebbe costituire
la primissima linea di suscettibilità dell’ospite verso alcuni patogeni.
Nel caso, ad esempio, del comune raffreddore, il cui agente eziologico
è costituito da vari tipi virus tra cui il più diffuso e conosciuto Rhinovirus,
vi è indubbiamente un’importante base di alterazione tissutale, legata
all’azione neurovegetativa sulla mucosa nasale e delle vie aeree superiori, che
permetterebbe al virus una più facile adesività e quindi infettività nell’ospite.
Parimenti importante nell’analisi dei fattori che ostacolano o facilitano la
patologia infettiva, sia nella fase del contagio, sia nella sua evoluzione, vi
è il processo psicologico che modula la “lettura” soggettiva di un evento
stressante. Il coping style, l’attribuzione cognitiva di significato agli eventi
e quindi la struttura di personalità, rappresentano un insieme di variabili
decisive nel processo infettivo, e questo avviene in due diverse modalità.
Nel caso di un contagio già avvenuto e diagnosticato, alcuni processi
psichici di difesa primaria come il diniego, determinano un assetto
psicologico ostile all’elaborazione emotiva della patologia, ostacolando un
percorso di adattamento. Il superamento del diniego o la sostituzione di
credenze patogene relative alla malattia infettiva con spiegazioni realistiche,
costituiscono la base per impedire che si inneschi un meccanismo di rifiuto
che porta frequente ad una cattiva compliance nella terapia farmacologica
e quindi indirettamente sul decorso clinico.
Un approccio egodistonico alla malattia ed una compromissione del senso
di integrità corporea e quindi dell’autostima, costituiscono un substrato
ideale ad alterazioni dell’umore e alla patologia depressiva. Una situazione
stressante divenuta cronica per una non corretta gestione
emotiva di patologie non curabili quali l’HIV o l’Epatite C,
complicherebbe il meccanismo di soppressione immunitaria.
In questi pazienti, infatti, la patologia infettiva costituisce un
fattore di stress sociale e individuale, sebbene l’introduzione sul
mercato della terapia antiretrovirale per l’HIV e della più recente
e ancora sperimentale terapia senza interferone per l’Epatite
C, abbiano notevolmente ridotto i tassi di mortalità e quindi
l’incidenza degli stressor psicosociali.
Ciononostante i cosiddetti stress buffer, quale il coping style,
rappresentano un importante ostacolo ad un decadimento
immunitario il cui processo patogenetico ricalcherebbe
quanto sopra esposto. Secondo le ricerche di Theorell (1995),
ad un maggiore e migliore sostegno sociale del soggetto HIV
positivo, si accompagnerebbe una minore deplezione dei CD4
(la sottopopolazione linfocitaria alla quale si lega la proteina
gp120 del virus), ma la correlazione tra fattori psicosociali ed
evoluzione della malattia sono ancora oggi oggetto di importanti
ricerche, poiché non è chiaro fino a che punto le variabili
sociali costituiscano un co-fattore eziologico della sindrome da
immunodeficienza acquisita.
Lasciando da parte il tema scottante dell’HIV per le implicazioni assai
complesse e intimamente psiconeuroendocrinoimmunologiche, è assodato
che la rappresentazione psichica degli eventi moduli la risposta immunitaria
e i correlati biologici indotti dal neurovegetativo, attivando o meno l’asse
HPA, a prescindere che vi sia stato un contagio con un germe patogeno.
Tuttavia, è importante evidenziare che proprio l’attivazione neurovegetativa
prima, e quella dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene poi, rappresenta un
complesso fattore facilitante l’infettività di un germe nell’ospite, sia
attraverso la modifica tissutale (indotta dall’ortosimpatico) che migliora
l’adesività del patogeno alle mucose, sia mediante una riduzione linfocitaria
per l’azione endocrina sul Timo e delle citochine sui macrofagi.
Bibliografia
Borràs X. Efectos del estrés psicológico en la respuesta linfocitaria a los mitógenos.
Anuario de Psicología, Barcelona 1994.
Bottaccioli F. Il sistema immunitario: la bilancia della vita. Tecniche Nuove,
Milano 2008.
Grandi S. (a cura di) Manuale di Psicosomatica. Il Pensiero Scientifico
Editore, Roma 2011.
Iamandescu I.B. Elemente de psihosomatică generală şi aplicată. Edidura
InfoMedica. Bucureşti, 1999.
Moroni M. Malattie Infettive, Elsevier- Masson, Milano 2008.
Theorell T. et al. Social support and the development of immune function
in human immunodeficiency virus infection. Psychosom Med. 1995 Jan-
Feb;57(1):32-6
F. Bottaccioli, Psiconeuroendocrinoimmunologia, Milano 2005
13PNEI NEWS | n. 2 Marzo Aprile 2013

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  • 1. DOSSIER Stress e malattie infettive Alessandro Pejrano - Psicologo Clinico, Tecnico di Laboratorio Chimico-biologico, socio SIPNEI Lombardia. La manifestazione clinica da infezione del virus erpetico HSV-1, meglio conosciuta come “febbre al labbro”, rappresenta l’esempio più noto di relazione tra stress e sistema immunitario. Sappiamo, anche dall’esperienza empirica e popolare, che l’Herpes Simplex di tipo I (labiale) compare più facilmente in quei soggetti esposti a stimoli stressanti, sia essi emotivi che fisici. Già pochi decenni dopo la scoperta di Koch nel 1876 e l’inizio della microbiologia moderna, si iniziò ad attribuire importanza alle variabili ambientali nella diade germe/ospite, ma fu solo a partire dalla seconda metà del ‘900, e più precisamente negli anni ’70, che le variabili psicologiche e più specificatamente emotive assunsero importanza. Oggi ci si chiede più nello specifico, cosa moduli la vulnerabilità dell’ospite agli agenti infettivi? La risposta è complessa perché le variabili interessate sono quelle proprie della Psiconeuroendocrinoimmunologia, ovvero interessano non solo gli aspetti di natura immunitaria o microbiologica, ma l’insieme dei correlati biologici -endocrini enervosi-eilcomplessodellereazionipsicologiche dell’ospite. Semplificando, possiamo affermare che la vulnerabilità dell’individuo all’azione di agenti infettivi (sia nella fase del contagio che nel decorso della patologia) è data da tre grossi cluster interconnessi tra loro, che si sommano alle caratteristiche biologiche del patogeno: 1- La risposta immunitaria 2- La risposta biologica non immunitaria 3- La risposta psicologica Parallelamente alle caratteristiche del germe patogeno o opportunista, come il grado di invasività e di infettività, ci si chiede fino a che punto la patogenicità e la virulenza di un germe siano facilitati dallo stress dell’ospite? Non vi è dubbio che la risposta immunitaria in senso depressivo indotta dallo stress cronico, costituisca un fattore facilitante nella patogenesi della malattia infettiva e nel relativo quadro clinico. Sebbene i processi patogenetici di molte malattie infettive, specialmente di natura virale, non siano ancora del tutto chiare, è ormai assodato che esiste una relazione tra la risposta immunitaria, sia umorale che cellulare, e le risposte psicofisiologiche allo stress. L’azione dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene sulle citochine Una condizione protratta di stress (e protratta deve necessariamente essere) determina, come sappiamo, una risposta che viene elicitata a livello ipotalamo-ipofisi-surrene. La corteccia surrenale, stimolata dall’ACTH dell’adenoipofisi, porta a sua volta ad una aumentata secrezione di glicocorticoidi. La massiccia liberazione di questi ormoni determina un importante effetto sul sistema immunitario, e non solo perché viene inibita la risposta infiammatoria. L’atrofia del Timo, infatti,indottadall’azionedeiglicocorticoidi stessi, riduce l’attività di maturazione dei timociti in linfociti, il che comporta una minore immissione nel circolo ematico di linfociti T e quindi un effetto soppressore sull’immunità cellulo- mediata. Inoltre l’immunosoppressione stress-indotta, altera il quadro delle citochine, sopprimendo parzialmente la IL-12 attraverso un aumento della IL-4. La prima gioca un ruolo fondamentale nell’attività immunitaria contro i virus e le cellule neoplastiche. Questa citochina è liberata dai macrofagi e induce le cellule NK e i linfociti T a produrre maggiore interferone gamma (IFN-gamma), la cui molecola ha a sua volta un’importantissima azione sui macrofagi stessi poiché ne aumenta l’attività. Lo stress cronico riduce la IL-12 e il relativo meccanismo potenziatore verso i macrofagi, contribuendo così alla soppressione immunitaria. Questa infausta cascata biochimica è data dall’azione della IL-4 che, oltre a ridurre parzialmente la IL-12, agisce anche Lo stress, con i suoi ormoni, altera l’assetto del sistema immunitario esponendoci alle infezioni, ma nel caso di un contagio grave già avvenuto e diagnosticato, alcuni processi psichici di difesa primaria come il diniego, determinano un assetto psicologico ostile all’elaborazione emotiva della patologia, ostacolando un percorso di adattamento. Gli ormoni e la rappresentazione psichica della malattia PNEI NEWS | n. 2 Marzo Aprile 201312
  • 2. sugli eosinofili il cui ruolo, come sappiamo, è determinante nelle parassitosi e nelle reazioni allergiche dove si assiste ad una naturale eosinofilia. In uno studio del 2007 (Cohen et. al.) su un gruppo di disoccupati, si osservò che in questi soggetti, rispetto agli individui del gruppo di controllo, si registravano dei livelli più bassi di Natural Killer, ma cosa ben più sorprendente i livelli delle medesime cellule tendevano a risalire contemporaneamente ad una ripresa dell’attività lavorativa. Le alterazioni tessutali e psicologiche I glicocorticoidi tuttavia, innescano una cascata di effetti non solo di natura immunitaria, ma anche una risposta biologica di tipo non immunitario. A livello metabolico, ad esempio, si ha un aumento del catabolismo proteico nei tessuti, mentre a livello fisiologico si assiste ad un’alterazione a carico di vari organi e apparati: come, ad esempio, a livello gastrico con una maggiore secrezione di acido cloridrico e pepsina, o a livello cardio-circolatorio con un aumento del volume sanguigno per la maggiore ritenzione di sodio e acqua, oppure a livello epatico con una maggiore produzione di corpi chetonici. Questa alterazione del substrato biologico sembrerebbe costituire la primissima linea di suscettibilità dell’ospite verso alcuni patogeni. Nel caso, ad esempio, del comune raffreddore, il cui agente eziologico è costituito da vari tipi virus tra cui il più diffuso e conosciuto Rhinovirus, vi è indubbiamente un’importante base di alterazione tissutale, legata all’azione neurovegetativa sulla mucosa nasale e delle vie aeree superiori, che permetterebbe al virus una più facile adesività e quindi infettività nell’ospite. Parimenti importante nell’analisi dei fattori che ostacolano o facilitano la patologia infettiva, sia nella fase del contagio, sia nella sua evoluzione, vi è il processo psicologico che modula la “lettura” soggettiva di un evento stressante. Il coping style, l’attribuzione cognitiva di significato agli eventi e quindi la struttura di personalità, rappresentano un insieme di variabili decisive nel processo infettivo, e questo avviene in due diverse modalità. Nel caso di un contagio già avvenuto e diagnosticato, alcuni processi psichici di difesa primaria come il diniego, determinano un assetto psicologico ostile all’elaborazione emotiva della patologia, ostacolando un percorso di adattamento. Il superamento del diniego o la sostituzione di credenze patogene relative alla malattia infettiva con spiegazioni realistiche, costituiscono la base per impedire che si inneschi un meccanismo di rifiuto che porta frequente ad una cattiva compliance nella terapia farmacologica e quindi indirettamente sul decorso clinico. Un approccio egodistonico alla malattia ed una compromissione del senso di integrità corporea e quindi dell’autostima, costituiscono un substrato ideale ad alterazioni dell’umore e alla patologia depressiva. Una situazione stressante divenuta cronica per una non corretta gestione emotiva di patologie non curabili quali l’HIV o l’Epatite C, complicherebbe il meccanismo di soppressione immunitaria. In questi pazienti, infatti, la patologia infettiva costituisce un fattore di stress sociale e individuale, sebbene l’introduzione sul mercato della terapia antiretrovirale per l’HIV e della più recente e ancora sperimentale terapia senza interferone per l’Epatite C, abbiano notevolmente ridotto i tassi di mortalità e quindi l’incidenza degli stressor psicosociali. Ciononostante i cosiddetti stress buffer, quale il coping style, rappresentano un importante ostacolo ad un decadimento immunitario il cui processo patogenetico ricalcherebbe quanto sopra esposto. Secondo le ricerche di Theorell (1995), ad un maggiore e migliore sostegno sociale del soggetto HIV positivo, si accompagnerebbe una minore deplezione dei CD4 (la sottopopolazione linfocitaria alla quale si lega la proteina gp120 del virus), ma la correlazione tra fattori psicosociali ed evoluzione della malattia sono ancora oggi oggetto di importanti ricerche, poiché non è chiaro fino a che punto le variabili sociali costituiscano un co-fattore eziologico della sindrome da immunodeficienza acquisita. Lasciando da parte il tema scottante dell’HIV per le implicazioni assai complesse e intimamente psiconeuroendocrinoimmunologiche, è assodato che la rappresentazione psichica degli eventi moduli la risposta immunitaria e i correlati biologici indotti dal neurovegetativo, attivando o meno l’asse HPA, a prescindere che vi sia stato un contagio con un germe patogeno. Tuttavia, è importante evidenziare che proprio l’attivazione neurovegetativa prima, e quella dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene poi, rappresenta un complesso fattore facilitante l’infettività di un germe nell’ospite, sia attraverso la modifica tissutale (indotta dall’ortosimpatico) che migliora l’adesività del patogeno alle mucose, sia mediante una riduzione linfocitaria per l’azione endocrina sul Timo e delle citochine sui macrofagi. Bibliografia Borràs X. Efectos del estrés psicológico en la respuesta linfocitaria a los mitógenos. Anuario de Psicología, Barcelona 1994. Bottaccioli F. Il sistema immunitario: la bilancia della vita. Tecniche Nuove, Milano 2008. Grandi S. (a cura di) Manuale di Psicosomatica. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2011. Iamandescu I.B. Elemente de psihosomatică generală şi aplicată. Edidura InfoMedica. Bucureşti, 1999. Moroni M. Malattie Infettive, Elsevier- Masson, Milano 2008. Theorell T. et al. Social support and the development of immune function in human immunodeficiency virus infection. Psychosom Med. 1995 Jan- Feb;57(1):32-6 F. Bottaccioli, Psiconeuroendocrinoimmunologia, Milano 2005 13PNEI NEWS | n. 2 Marzo Aprile 2013