XIII Lezione - Arabo G.Rammo @ Libera Accademia Romana
Tesi
1. Università degli Studi di Roma
“Sapienza”
Facoltà di Psicologia 2
Tesi di laurea:
Gli sbocchi occupazionali dei laureati in Psicologia2:
un’analisi sulla Specialistica e sul Vecchio Ordinamento
Relatore
Prof.ssa Katia Santomieri
Candidato
Marika Porcelli
910804
Anno accademico 2009/2010
2. A mia madre e a mio padre
che mi hanno sostenuto e appoggiato
dall’inizio della mia esistenza.
Al mio amore,
forza e centro gravitazionale del mio mondo.
2
3. Indice
ABSTRACT
CAPITOLO 1. GLI SBOCCHI OCCUPAZIONALI DEI LAUREATI: IL DIBATTITO
TEORICO …………………………………………………………………………………………..8
1.1 LA TRANSIZIONE SCUOLA - LAVORO …………………….................................................8
1.2 LE CARATTERISTICHE DELLA QUALITÀ DEL LAVORO ……………………………...14
1.3 CONCLUSIONI ………………………………………………………………………………..22
CAPITOLO 2. LE CARATTERISTICHE DEI LAUREATI ………………………………….24
2.1 ANALISI DI CONTESTO ……………………………………………………………………..24
2.2 ANALISI PER GRUPPI DISCIPLINARI ……………………………………………………..30
2.3 I LAUREATI IN PSICOLOGIA IN ITALIA ………………………………………………….33
CAPITOLO 3 LA QUALITA’ DEL LAVORO PER I LAUREATI IN PSICOLOGIA2 .…..38
3.1 METODOLOGIA ………………………………………………………………………………38
3.2 DESCRIZIONE DEL CAMPIONE ……………………………………………………………41
3.3 CARATTERISTICHE OCCUPAZIONALI …………………………………………………...44
3.3_1 ANALISI DELLE CORRISPONDENZE MULTIPLE ……………………………………..56
3.3_2 CLUSTER ANALYSIS ……………………………………………………………………..61
CAPITOLO 4 CONCLUSIONI ………………………………………………………………….66
BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………………….70
SITOGRAFIA …………………………………………………………………………………….72
3
4. ABSTRACT
Il lavoro di analisi dei dati di seguito presentato si inserisce all’interno di un progetto di ricerca più
ampio sugli sbocchi occupazionali dei laureati in Psicologia2, realizzato nell’ambito delle attività
dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della facoltà di Psicologia 2 (Cattedra di Sociologia del
Lavoro). La finalità della ricerca è stata quella di analizzare le caratteristiche degli impieghi,
verificare la coerenza del lavoro con il titolo acquisito, analizzare i tempi e le modalità di accesso al
mondo del lavoro e valutare la soddisfazione nei confronti del lavoro svolto.
Oggetto di questa tesi è la qualità del lavoro dei laureati all’uscita dall’Università. I dati raccolti
dall’indagine condotta sui laureati in Psicologia2 nell’anno accademico 2008/2009, consentono di
effettuare un confronto tra i laureati nei corsi del vecchio ordinamento e i primi laureati nei corsi
specialistici.
Il principale obiettivo dell’analisi è quello di indagare le caratteristiche dell’occupazione dei neo-
laureati e mettere in evidenza quali sono le principali dimensioni in grado di dar conto della qualità
del lavoro di questa categoria di lavoratori. In particolare, nell’analisi della qualità del lavoro si
terrà conto di alcune dimensioni principali: - condizione economica; - condizione occupazionale; -
efficacia del titolo conseguito nel lavoro svolto; - soddisfazione lavorativa.
L'analisi dei dati è stata condotta sui laureati nella specialistica e nel vecchio ordinamento,
rispettivamente 192 e 202, della facoltà di Psicolgia2-Sapienza nell'arco temporale 2002-2007. Le
principali tecniche di analisi utilizzate sono l’analisi delle frequenze e delle tavole di contingenza, il
chi², l’analisi delle corrispondenze multiple e la cluster analysis.
I risultati mettono in evidenza come la percentuale di laureati occupati è del 64,4% nella
specialistica di Psicologia2 e del 52,5% nel vecchio ordinamento di Psicologia2; questo dato sembra
al di sotto alle medie nazionali: il tasso di occupazione è pari al 73,8% per i laureati nella
specialistica e al 66,6% per i laureati nel vecchio ordinamento (dati Almalaurea).
Dall’analisi condotta emerge che i laureati nella specialistica sono “i più bravi” (in quanto i primi
laureati post-riforma), oltre che “i più veloci”, e presentano performance accademiche nettamente
superiori rispetto ai laureati del vecchio ordinamento.
Per quanto riguarda la qualità del lavoro l’analisi mette in evidenza come il 40,3% dei laureati della
specialistica ha un contratto di collaborazione, al contrario dei laureati pre-riforma che, nel 41,7%
dei casi, è occupato in un lavoro dipendente. I laureati di entrambi i corsi di laurea svolgono nella
maggior parte dei casi una professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione (43,1%
per la specialistica e 47% per il vecchio ordinamento).
4
5. Interessante notare i risultati emersi dall’incidenza della variabile “distanza dalla laurea” sulle
caratteristiche contrattuali dei laureati di Psicologia2: nella specialistica, con il passaggio da 1 a 2
anni ed oltre aumentano i contratti autonomi e dipendenti, diminuiscono i contratti atipici e aumenta
la possibilità di svolgere un lavoro a tempo pieno. Nel vecchio ordinamento, con il passaggio da 1 a
3 anni ed oltre dalla laurea c’è un netto aumento di contratti di collaborazione (da 18,8% ad un anno
a 39,4% a 3 anni dalla laurea).
Per entrambi i corsi di laurea la distanza dalla laurea incide sulla congruenza del lavoro svolto:
infatti, con il crescere della distanza aumentano le possibilità di trovare lavori congruenti, che
consentono di utilizzare in misura elevata le competenze universitarie.
Il reddito è una dimensione molto importante che contribuisce a definire la qualità di lavoro:
l’analisi rileva che i laureati Spec-Benessere e VO-Sviluppo hanno un guadagno mensile (da 450 a
850 euro/mese) che nella maggior parte dei casi si colloca al di sotto del livello di reddito
maggiormente percepito dai loro colleghi di Spec-Formazione e VO-Lavoro (da 850 a 1.250
euro/mese).
Per quanto riguarda la dimensione dell’efficacia, entrambi i corsi di laurea presentano percentuali
più elevate in corrispondenza delle categorie che indicano un’elevata efficacia della laurea (utilizzo
delle competenze universitarie, adeguatezza del titolo conseguito per il lavoro svolto, richiesta per
legge del titolo di studio ed efficacia stessa della laurea). Una differenza che si può rilevare riguarda
l’indirizzo Formazione della specialistica, per i quali, nella maggior parte dei casi, il titolo di studio
è richiesto per legge per svolgere l’attività lavorativa, mentre per gli altri gruppi la categoria
prevalente è “né richiesta ma utile”.
Dall’analisi delle corrispondenze multiple, emergono due dimensioni fattoriali che insieme
contribuiscono a definire la qualità del lavoro dei neo-laureati in Psicologia2: la prima dimensione
riguarda l’efficacia della laurea, “elevata efficacia vs bassa efficacia”, e la seconda dimensione
riguarda le caratteristiche del lavoro, “lavoro stabile vs lavoro precario”. Il primo fattore da conto di
tutte le caratteristiche sull’efficacia della laurea, sull’utilizzo della laurea, sull’adeguatezza della
laurea svolta, sulla richiesta della laurea per legge, sulla congruenza dell’ambito lavorativo con il
titolo conseguito e sulla tipologia professionale. Mentre, il secondo fattore da conto di tutte le
caratteristiche riguardanti l’occupazione dei laureati, ossia il reddito, la tipologia di lavoro, il tipo di
contratto, la durata e la soddisfazione lavorativa.
Infine, l’analisi dei cluster mette in evidenza la presenza di 4 gruppi così caratterizzati. I primi due
gruppi sembrano caratterizzare soprattuto i laureati nella specialistica:
5
6. 1- “I Migliori” (Spe-Form), che rappresentano il 39% del campione, hanno un lavoro di
elevata qualità e si collocano nel III quadrante del piano ortogonale. In questo primo gruppo
troviamo i laureati che svolgono un lavoro in cui la laurea che possiedono si rivela molto
adeguata. Infatti, per il lavoro che svolgono la laurea necessaria si rivela esclusivamente
quella che loro possiedono, il titolo viene richiesto per legge e si rivela molto efficace,
inoltre, le competenze universitarie vengono utilizzate in misura molto elevata nello
svolgimento del loro lavoro. Per quanto riguarda le caratteristiche del lavoro, questo primo
gruppo si caratterizza maggiormente per il fatto di lavorare a tempo pieno, di svolgere un
lavoro autonomo e di avere un reddito mensile elevato tra 851 a 1.250 euro mensili. In
definitiva, questi laureati si dichiarano abbastanza soddisfatti del lavoro che fanno. Per
quanto riguarda le caratteristiche relative alle esperienze lavorative pregresse e alle azioni di
ricerca, per questo gruppo sembra significativo il fatto di aver trovato un lavoro coerente in
un periodo successivo alla laurea e di aver intrapreso la ricerca di lavoro subito dopo il
conseguimento del titolo. L’occupazione trovata rappresenta, per questi laureati, il primo
ingresso nel mercato del lavoro, la prima esperienza lavorativa avuta dalla laurea al
momento dell’intervista.
2- “Gli Insoddisfatti” (Spe-Ben), che rappresentano il 30% del campione, si collocano nel II
quadrante del piano ortogonale. Per quanto riguarda le caratteristiche occupazionali, questo
gruppo si caratterizza prevalentemente per il fatto di lavorare con contratti di collaborazione,
con un orario ridotto, di svolgere professioni tecniche, nel terzo settore, a tempo determinato
e con una bassa retribuzione mensile (fino a 450 euro). Nonostante questi aspetti di
precarietà lavorativa, questo gruppo di laureati presente un lavoro congruente. In definitiva,
questi laureati si dichiarano poco soddisfatti del lavoro che fanno. Per quanto riguarda la
dimensione dell’efficacia della laurea, per questo gruppo il titolo conseguito non è richiesto
per l’attività lavorativa svolta anche se risulta necessario e le competenze universitarie
sembrano essere poco utilizzate.
Per gli altri due gruppi sembra che la laurea non ha nessun impatto sugli sbocchi occupazionali
in quanto si tratta di persone che avevano già un lavoro (gli studi non incidono sulle opportunità
occupazionali). D’altra parte è importante evidenziare come le successive due cluster sono
anche le meno numerose.
3- “I Soddisfatti”, che rappresentano il 18,7% del campione, si collocano nel IV quadrante del
piano ortogonale. La laurea non è richiesta per l’attività lavorativa anche se risulta utile e le
competenze acquisite durante l’università risultano poco utilizzate. Per quanto riguarda le
6
7. caratteristiche occupazionali, questo terzo gruppo sembra contraddistinguersi per un’elevata
stabilità: contratto a tempo indeterminato, reddito molto elevato (da 1.251 a 1.850 euro al
mese)e lavoro a tempo pieno. I laureati appartenenti a questo gruppo si dichiarano molto
soddisfatti del lavoro che svolgono, nonostante sia un’occupazione incongruente. Inoltre,
risulta essere significativo lo svolgere al momento dell’intervista l’occupazione che avevano
prima della laurea.
4- “Gli intrappolati”, che rappresentano il 12,6% del campione, hanno un lavoro precario e la
laurea non è efficace per il tipo di lavoro ottenuto (completa assenza della qualità del lavoro)
e si collocano al I quadrante del piano ortogonale. Questo cluster si caratterizza per la totale
assenza dell’incidenza della dimensione dell’efficacia della laurea e la totale inutilità delle
competenze universitarie per il lavoro trovato, inoltre, il titolo non è richiesto né utile per
l’occupazione. Il lavoro svolto si dimostra incongruente con gli sbocchi professionali offerti
dall’indirizzo di studio. In definitiva, i laureati appartenenti a questo gruppo si dichiarano
per niente soddisfatti del lavoro che svolgono. Le tipologie professionali prevalenti per
questo gruppo sono: le professioni impiegatizie e le professioni qualificate nelle attività
commerciali e nei servizi. Per quanto riguarda le esperienze pregresse i laureati di questo
gruppo dichiarano di aver effettuato in precedenza lavori occasionali non attinenti al proprio
titolo di studio, in cui seguendo le indicazione della Franchi sono rimasti intrappolati.
7
8. CAPITOLO 1. Gli sbocchi occupazionali dei laureati: il dibattito teorico
1.1 LA TRANSIZIONE SCUOLA-LAVORO
Il tema della transizione scuola-lavoro è sempre stato motivo di dibattito fra gli studiosi. Da qualche
anno la maggior parte degli autori sono giunti alla stessa conclusione, ossia non si può più parlare di
un ingresso nel mondo del lavoro per i laureati netto e collocabile temporalmente, come accadeva
nell’era fordista. Attualmente è preferibile concepire la transizione dallo studio al lavoro come un
processo di progressivo avvicinamento tra scuola e lavoro che può prevedere tempi lunghi, battute
d’arresto, inversioni di rotta, periodi più o meno lunghi di sovrapposizione tra studio e lavoro
(Rostan 2005). La transizione dei giovani laureati è legata ad una fase di passaggio graduale e
caratterizzata maggiormente dalla flessibilità e dalla costruzione di strategie; questa fase di vita
sconosciuta è contraddistinta da adattamento e apprendimento.
Per le aziende il conseguimento degli studi universitari sembra essere una condizione necessaria ma
non sufficiente per il giovane che approda nel mondo del lavoro, in quanto non dispone in quel
momento di abilità e capacità compatibili con le caratteristiche del mercato del lavoro. Da ciò si può
dedurre la motivazione per cui nelle prime esperienze lavorative, il laureato accetti di buon grado un
lavoro al di sotto della propria formazione, e di conseguenza anche una retribuzione bassa. Il
giovane percepisce la propria mancanza di esperienza come un difetto da dover correggere prima di
poter ambire ad un lavoro intellettualmente e retributivamente all’altezza della propria formazione.
Quindi aspetti determinati nella scelta del primo lavoro sono un’ occupazione in grado di accrescere
il bagaglio formativo ed esperienziale del laureato, seppur andando incontro al fenomeno
dell’overeducation1.
Il percorso intrapreso dai giovani alla fine della carriera universitaria non è né semplice né lineare.
Il sentimento comune ad ogni neolaureato è il senso di incertezza, derivante dall’abbandono da
parte delle università al momento dell’entrata effettiva nel mondo del lavoro e soprattutto dalla
difficoltà di individuare con precisione, all’inizio della propria vita lavorativa, non solo gli sbocchi
professionale offerti dal corso di laurea2, ma anche le attitudini e gli obiettivi da perseguire. Per
quanto riguarda gli obiettivi, essi possono mutare: maturano le capacità e le competenze grazie
all’esperienza pratica nel mondo del lavoro, aumentano le informazioni di cui si dispone, ma
1
Con il termine overeducation viene generalmente indicato l'eccesso di istruzione dei lavoratori rispetto alla mansione
effettivamente svolta.
2
Le università al momento dell’iscrizione delle matricole descrivono poco chiaramente gli sbocchi professionali e i
curricula dei diversi corsi di laurea.
8
9. cambiano anche i desideri, si precisano meglio le preferenze e così modifica il progetto, a volte
anche radicalmente (Franchi 2005).
Si tratta di un cammino in cui si procede per tentativi e sperimentazioni, condizionato, oltre che
dalle aspettative ed esperienze, dalle risorse offerte dalla famiglia di origine, dalla rete di relazioni
sociali e dal contesto culturale.
Esistono diversi paradigmi che la letteratura utilizza per la transizione formazione-lavoro, inteso
come processo non pre-determinato. L’approccio strutturalista pone l’accento sui vincoli e sui
condizionamenti derivanti dalla famiglia di origine per quanto riguarda l’inserimento lavorativo. Il
bagaglio culturale e sociale della famiglia plasma gli orientamenti e le attitudini, le scelte
scolastiche e professionale dei giovani.
Mentre l’approccio razionalista, identificato col paradigma costi/benefici, pone l’accento sui calcoli
razionali compiuti dagli individui per prevedere i vantaggi e i costi delle alternative in gioco.
Entrambi i paradigmi si discostano dal concetto di transizione, in quanto sottovalutano sia
l’interazione tra aspettative ed esperienza, sia il ruolo dell’apprendimento che da essa deriva.
Una teoria in grado di spiegare in maniera corretta l’idea di transizione come fase di passaggio è
l’ipotesi delle carriere esterne. Essa ritiene che le variegate forme di lavoro instabile attraverso cui
passano i giovani all’uscita dalle università costituiscono tappe fondamentali, le quali portano verso
condizioni di lavoro via via più soddisfacenti e verso una concreta prospettiva di un’occupazione
dipendente a tempo indeterminato oppure di un lavoro autonomo ed effettivo. Quindi quest’ipotesi
risulta più adeguata per descrivere il passaggio tra scuola e lavoro nella fase attuale, poiché
sottolinea l’importanza di un percorso caratterizzato da spostamenti nel mercato del lavoro, con
passaggi attraverso differenti esperienze di lavoro e di formazione, il cui obiettivo è l’acquisizione
di competenze spendibili lavorativamente. Percorso che dovrebbe condurre ad una posizione
lavorativa soddisfacente (Franchi 2005).
La rapidità di ingresso nel mondo del lavoro è influenzata soprattutto dalla scelta dello studente di
proseguire o meno con una formazione post universitaria. Scelta effettuata per sopperire un senso di
inadeguatezza delle conoscenze acquisite all’università o per non rimanere inoccupato nel periodo
successivo il conseguimento del titolo di studio, o ancora perché indispensabile per esercitare una
determinata professione (come nelle facoltà di Medicina e Giurisprudenza).
L’indagine Almalaurea 2009 evidenzia su un campione di 161.568 laureati un tasso di occupazione 3
pari al 57,5% ad un anno dalla laurea. La quota di coloro che hanno partecipato ad un’attività di
formazione è pari al 37,6% del collettivo indagato, di cui più della metà occupato in attività di
3
Definizione Istat- Forze di lavoro = si considerano occupati tutti coloro che dichiarano di svolgere un’attività. Anche
di formazione, purchè retribuita.
9
10. tirocinio o pratica (12,5%) e stage in azienda (14,5%). Importante sottolineare la tipologia
lavorativa dei laureati ad 1 anno dalla laurea: il 43,5 % del totale ha un lavoro atipico 4, mentre il
39,3% ha un lavoro stabile5. Dati questi che supportano la teoria secondo cui i laureati subito dopo
la laurea accetterebbero condizioni contrattuali atipiche e con mansioni retributivamente al di sotto
di quanto sarebbe lecito attendersi da un lungo investimento in istruzione, in cambio di esperienza.
Uno studio condotto in Italia, Olanda e Stati Uniti (Bernardi, Gangl e Van de Werfhorst 2004)
analizza la correlazione tra velocità di ingresso nel mondo del lavoro e qualità del primo lavoro
ottenuto. L’analisi rileva l’esistenza di due modelli di transizione: 1) slow but good; 2) fast but bad.
Secondo gli autori un approdo posticipato alla stabilità lavorativa si assocerebbe ad una maggiore
coerenza tra lavoro e titolo di studio, ad un più elevato utilizzo delle competenze e ad una più
elevata soddisfazione (slow but good). Al contrario, un ingresso troppo affrettato porterebbe ad una
minore coerenza col titolo di studio ma ad una maggiore retribuzione a cinque anni dalla laurea
(fast but bad).
Inoltre, l’indagine ha messo in evidenza le varie differenze esistenti sui tempi di transizione al
primo lavoro e sulla qualità del primo lavoro nei tre paesi presi in considerazione.
Queste differenze possono imputate a diversi fattori: ai sistemi di istruzione, al mercato del lavoro
locale e ai diversi tipi di welfare6. L’indagine ha preso in esame questi paesi perché rappresentativi
di differenti transizioni scuola-lavoro. Per quanto riguardo i sistemi di istruzione è di grande
interesse il sistema di istruzione Olandese: esiste un sistema duale di istruzione, ossia un
apprendimento basato sulla formazione professionale, in cui gli studenti hanno la possibilità di
associare la “scuola vera e propria” con l’apprendimento di una professione. Mentre, negli Stati
Uniti e in Italia la formazione professionale è molto più debole: l’istruzione viene meno orientata al
mercato del lavoro.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro sono maggiormente facilitati i laureati americani. Il
sistema di istruzione americano è prevalentemente privato e permette una maggiore facilità
nell’ingresso lavorativo per i laureati, supportato proprio dalle stesse aziende che sovvenzionano le
4
Lavoro atipico rappresenta la somma delle modalità “tempo determinato”(21,2%), “collaborazione/consulenza”
(17,7%) e “altro contratto atipico” (4,7%).
5
Lavoro stabile rappresenta la somma delle modalità “autonomo” (8,6%) e “tempo indeterminato “ (30,8%).
6
Lo Stato sociale, conosciuto anche come welfare state (stato di benessere tradotto letteralmente dall'inglese), è un
sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini, aiutando
in particolar modo i ceti meno benestanti. Lo Stato sociale è un sistema che si propone di fornire servizi e garantire
diritti considerati essenziali per un tenore di vita accettabile: Assistenza sanitaria; Pubblica istruzione; Indennità di
disoccupazione, sussidi familiari; Accesso alle risorse culturali; Assistenza d'invalidità e di vecchiaia; Difesa
dell'ambiente naturale.
10
11. università. Quindi, negli Stati Uniti le persone con un elevato livello di istruzione riescono a trovare
più velocemente e facilmente un lavoro rispetto a persone con un basso livello di formazione.
L’Italia e l’Olanda in questo caso presentano la stessa situazione, ossia non esiste una sostanziale
differenza di velocità di transizione scuola-lavoro per coloro che hanno un titolo più elevato e
coloro che dichiarano un livello di istruzione più basso.
Per quanto riguarda il welfare di questi stati è interessante notare come Olanda e Stati Uniti si
pongono ai vertici di un ipotetica linea continua di livelli di welfare, mentre l’Italia si colloca al
centro del continuum. L’Olanda è senza dubbio il paese in cui i giovani laureati vengono aiutati
maggiormente dallo stato nella transizione scuola-lavoro. Infatti, il paese elargisce bonus pubblici ai
giovani, in forma di supporto reddituale e di sussidio per l’abitazione, permettendo loro una più
ponderata e “tranquilla” transizione verso il lavoro. Gli Stati Uniti, invece, non danno nessun
supporto e nessuna garanzia di stabilità ai giovani che lavorano. Il modello statunitense di sicurezza
sociale deriva da una visione del mondo molto corporate, risponde cioè a logiche imprenditoriali,
mercantili, di conseguenza i dipendenti non hanno protezioni elevate del posto di lavoro da parte
dello stato. Al contrario, l’Italia presenta un’alta protezione dei dipendenti a livello lavorativo;
infatti le misure politiche governative rendono molto difficile licenziare i lavoratori senza un
motivo più che valido. Tuttavia lo stato locale non supporta in nessun modo i giovani nella
transizione scuola-lavoro. Deficit colmato, nella maggior parte dei casi, dall’appoggio familiare,
che permette ai giovani laureati di decidere la velocità dei tempi di ingresso al primo lavoro.
Da questo quadro emerge che i tre paesi hanno modi diversi nel gestire il primo ingresso nel mondo
del lavoro dei laureati. Negli Stati Uniti esiste una velocità di ingresso nel mondo del lavoro per i
neolaureati molto elevata, a discapito però della qualità del lavoro (fast but bad). Questa situazione
è dovuta alla pressione di entrata esercitata dalle imprese che finanziano le università e al
consequenziale disinteresse presentato dallo stato. Mentre, sia l’Italia sia l’Olanda presentano un
approdo posticipato alla stabilità lavorativa, presentando una maggiore qualità del primo lavoro
(slow but good). Questo più lento approdo al lavoro è possibile nel primo caso grazie al sostegno a
lungo termine della famiglia, nel secondo caso ai sussidi destinati ai giovani dallo stato.
Il tema della stabilità e della precarietà lavorativa all’uscita dall’università viene affrontato anche
dalla Franchi (2005). L’autrice sottolinea il ruolo dei contratti a termine nella fase di ingresso nel
mondo del lavoro, cercando di capire se rappresentano un trampolino di lancio verso la stabilità o
una trappola che dà luogo ad un destino di precarietà. Non è possibile trarre conclusioni definitive
sull’influenza dei contratti a termine nel proseguo della carriera lavorativa, ma alcune evidenze
emergono. L’indagine relativa alle forze lavoro condotta dall’Istat rafforzano le ipotesi
11
12. pessimistiche di intrappolamento. Tra chi aveva avuto un lavoro dipendente a tempo determinato al
momento dell’intervista, un anno dopo la laurea, solo il 20% riesce a raggiungere un’occupazione
permanente, mentre quasi il 38% precipita nell’area della disoccupazione. Per contro, tra colo che
avevano iniziato a lavorare con un contratto a tempo indeterminato, a tre anni di distanza, ben
l’80% risulta avere lo stesso contratto (Istat in Franchi 2005).
Ricerche condotte su contesti locali giungono però a risultati differenti. Queste indagini sembrano
concordi nel mettere in luce tre fattori fondamentali di influenza in grado di determinare se i
contratti a termine siano uno strumento di passaggio verso un’occupazione stabile oppure
l’anticamera di una permanente condizione di precarietà: le caratteristiche del mercato del lavoro, la
tipologia dei contratti e il livello di scolarità dei soggetti.
In mercati del lavoro forti la flessibilità all’ingresso non determina una trappola destinata ad
incidere sul resto della carriera professionale degli individui (Seravalli 2001); bensì rappresenta una
riduzione dei costi di ingresso e di formazione dei giovani per le imprese senza andare ad intaccare
la stabilità occupazionale futura. Mentre, per le aree caratterizzate da alti tassi di disoccupazione
come il Mezzogiorno, il rischio che i contratti instabili diano luogo a forme di precarietà è
consistente.
La seconda variabile è rappresentata dalla tipologia dei contratti di ingresso. Le ricerche sono
concordi nel riconoscere che esiste una differente capacità dei diversi tipi di contratti atipici di
determinare esiti più o meno favorevoli in termini di stabilità. Le probabilità di trasformazione dei
contratti formativi (o di apprendistato) in contratti stabili sono assai elevate (Seravalli 2001): essi
rappresentano modalità di reclutamento di giovani associata ad una formazione on the job e sono
utilizzati per il risparmio dei costi di manodopera. I contratti per lavori stagionali presentano i rischi
più elevati e influenze negative a medio termine, in misura più elevata rispetto ad altri contratti a
tempo determinato (Booth in Franchi 2005): essi caratterizzano maggiormente il mercato del lavoro
femminile e il segmento della sottoccupazione che svolge attività di tipo stagionale in modo
“stabile” nel tempo.
La terza variabile rappresenta l’importanza del livello di scolarità dei soggetti nell’approdo ad un
lavoro stabile. Per i soggetti a scolarità elevata i lavori temporanei possono essere considerati
funzionali all’occupazione permanente (stepping stones), mentre per coloro con una bassa
scolarità i lavori temporanei sono più probabilmente dead end jobs (Franchi 2005).
Nei lunghi iter lavorativi intrapresi dai laureati i contratti a termine, che caratterizzano l’ingresso al
mondo del lavoro, non costituiscono trappole per la carriera professionale. I laureati sembrano in
grado di approfittare in misura maggiore della temporaneità dei rapporti di lavoro per entrare nel
mercato e per iniziare a costruire le basi per una futura posizione stabile.
12
13. La ricerca effettuata da Barbieri (2002), per conto della Camera di Commercio di Milano, ha
individuato le conseguenze sulle carriere individuali e sui processi di formazione professionale dei
laureati, di un eventuale ingresso nel mercato del lavoro in posizione instabile. L’indagine, che ha
riguardato solo il territorio lombardo, ha rilevato che un ingresso nel mercato del lavoro in posizioni
precarizzate non sembra avere effetti negativi sul proseguimento di carriera dei soggetti. La
particolare situazione della regione lombarda, in cui a livello lavorativo esiste un elevato turnover,
permette ai neolaureati di poter accettare, all’inizio della carriera lavorativa, un occupazione non
coerente con il proprio titolo di studio. Questa situazione è possibile grazie al forte dinamismo
economico presente nella regione e ciò consente ai giovani di potersi riposizionare lavorativamente
in una mansione più consona al proprio titolo di studio una volta acquisita esperienza nel mondo del
lavoro.
Uno studio condotto a livello internazionale da Rostan (2005),mette in evidenza la controtendenza
italiana e spagnola, rispetto al resto dell’Europa, di posticipare l’entrata nel mercato del lavoro a
favore di ulteriore formazione. Nei paesi mediterranei circa il 40% dei laureati nei 4 anni successivi
alla laurea si dedica esclusivamente ad ulteriori attività di studio o di preparazione professionale.
Mentre nei 4 anni dopo la laurea più del 70% dei laureati olandesi, austriaci, britannici, nord
irlandesi, finlandesi e norvegesi, e circa il 60% di quelli francesi e tedeschi hanno un lavoro stabile
(Dati CHEERS7). Nei paesi Europei, fatta eccezione per Italia e Spagna, i laureati si presentano nel
mondo del lavoro con esperienze lavorative pregresse ed effettuate durante il ciclo di studio.
Tendenza che velocizza il passaggio dall’università ad un posto di lavoro coerente e soddisfacente.
In conclusione, è necessario ribadire che non esistono percorsi rigidi e regole precise che
consentono ad un laureato all’uscita dall’università di trovare un lavoro coerente con il titolo di
studio conseguito.
1.2 LE CARATTERISTICHE DELLA QUALITA’ DEL LAVORO
Il tema della qualità del lavoro è un “problema” tutt’altro che emergente, da sempre esistito, e
contemporaneamente argomento molto dibattuto negli ultimi anni nella letteratura.
7
CHEER, Carrers after Higher Education a European Research Study, indagine campionaria sui laureati europei
condotta in Austria, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito.
13
14. Nell’ambito delle teorie organizzative classiche possiamo distinguere, entro fondamentali quadri di
riferimento, alcune teorie atte a spiegare in modo particolare la qualità del lavoro e la sua
evoluzione negli anni.
Importante ai fini di una migliore comprensione del nostro tema sono le teorie organizzative
proposte da Taylor (1975). In queste ipotesi cercò di “sistematizzare” gli aspetti essenziali della
qualità del lavoro e le condizioni fondanti tipici del lavoro industriale. Taylor ipotizzava che
attraverso lo studio scientifico del lavoro e la cooperazione tra dirigenza qualificata e operai
specializzati si potesse costituire un proficuo rapporto, in cui ambo le parti avrebbero potuto
ottenere vantaggi: supponeva l’esistenza di “una sola via migliore” per compiere una qualsiasi
operazione (one best way). Il suo metodo prevedeva lo studio accurato dei singoli movimenti
dell’operaio per poter ottimizzare il tempo di lavoro. In questo primo momento possiamo parlare
esclusivamente di “condizioni di lavoro”, e non di qualità del lavoro, in quanto ruolo, natura e tipo
di lavoro derivano dall’organizzazione scientifica e tutti gli elementi migliorativi sono concepiti e
definiti entro tale logica dominante. L’individuo viene considerato esclusivamente come homo
economicus, razionale e spinto da motivazioni unicamente economiche (La Rosa 1983).
L’economista Argyris (1960, in La Rosa 1983) evidenzia, a partire dalla definizione delle
caratteristiche proprie dell’individuo nell’età adulta (indipendenza, responsabilizzazione,
orientamento alla costruzione del proprio futuro, ecc..), come la logica aziendale taylorista tende a
mantenere l’uomo ad uno stadio infantile e pre-adulto. Con la parcellizzazione, la determinazione
rigida dei compiti e con la dominanza del modello gerarchico, gli individui sono portati ad una
condizione passiva e subordinata che pregiudica la loro integrità psico-fisica.
La crisi del taylorismo (fine anni Sessanta – inizio anni Settanta) si coniuga con lo sviluppo di un
“unico” approccio teorico che a partire dal movimento delle human relation passa attraverso le
teorie motivazionali e di Job.
Con questi nuovi approcci al mondo lavorativo, le condizioni di lavoro iniziano ad essere
considerate non solo per gli aspetti tecnico-strumentali e per la loro correlazione con fattori fisici
(fatica, ritmi, parcellizzazione del lavoro) e ambientali, ma anche per le dimensioni psicologiche e
relazionali. In questa prospettiva si focalizza l’attenzione sul contenuto specifico del lavoro e sulla
possibilità data al lavoratore di utilizzare in modo autonomo le proprie capacità, determinando così
non solo motivazione positiva, quindi prestazioni migliori, ma soprattutto una crescita individuale
nel senso dell’autorealizzazione, fattore mancante e assai sottovalutato nel taylorismo. Dunque non
si può più parlare di “condizioni di lavoro”, come con la teoria precedentemente analizzata, bensì di
“qualità del posto di lavoro”.
14
15. Due ulteriori approcci teorici hanno cercato di arricchire l’accezione di “qualità del posto di lavoro”
e in qualche modo hanno contribuito e accelerato un più compiuto passaggio al concetto di “qualità
del lavoro”: l’approccio ergonomico e l’approccio socio-tecnico proposto dal Tavistock Institute8.
Murrell (1967) definiva l’ergonomia come l’adattamento del lavoro all’uomo. Lo scopo
dell’ergonomia è quello di aumentare l’efficienza dell’attività umana; essa dovrebbe permettere di
minimizzare il costo per il lavoratore, in particolare togliendo quelle caratteristiche della
progettazione che sono causa di inefficienza e dovrebbe interessarsi alla ricerca del benessere
umano. Un aspetto che caratterizza questa teoria è la sua natura scientifico-applicativa: nasce con lo
scopo di affrontare e risolvere problemi concreti, per migliorare in modo significativo la salute e il
benessere degli individui. Tre concetti rappresentano al meglio i contenuti e l’evoluzione
dell’approccio ergonomico. L’interdisciplinità: orientamento che racchiude al suo interno
conoscenze e strumenti metodologici provenienti da differenti settori disciplinari, e attraverso la
loro interazione si trovano risposte razionali alle problematiche dell’uomo e del lavoro nelle sue
diverse componenti. Il concetto di lavoro: estende i suoi campi di ricerca e di intervento allo studio
del sistema uomo-ambiente-macchina (o uomo-ambiente-prodotto),a partire dall’originaria visione
ergonomica circoscritta alla valutazione e risoluzione del benessere della postazione lavorativa e del
microambiente di lavoro. L’adattamento del lavoro all’uomo: sottolinea un radicale ribaltamento
di prospettiva nello studio delle attività umane; questo concetto inverte significativamente il
rapporto tra uomo e macchina: l’uomo diviene la variabile indipendente e non più un “supporto
meccanico” alla macchina. Oggi l’obiettivo originario di adattare il lavoro all’uomo si è
ulteriormente allargato, in quanto si cerca di garantire l’usabilità dei sistemi attraverso metodi di
studio e di intervento. Tali metodi devono essere in grado di valutare e progettare l’efficienza e
l’affidabilità dei sistemi nei quali si svolgono le attività dell’uomo. Ne deriva una attenzione
prioritaria per un nuovo modo di progettare impianti che abbiano come implicazioni la diversa
progettazione organizzativa e dell’ambiente; tutto ciò si fonda sulla convinzione che la tecnologia è
modificabile e quindi va trasformata per consentire condizioni di lavoro migliori.
Con l’approccio ergonomico non possiamo ancora parlare esattamente di qualità del lavoro, bensì di
condizioni / qualità del posto di lavoro, anche se maggiormente centrato sul benessere del
lavoratore. L’orientamento che prende in considerazione in maniera sistematica la qualità del lavoro
è quello socio-tecnico del Tavistock Institute. Tale approccio prende in considerazione sia gli
aspetti tecnici e tecnologici del lavoro, che gli aspetti sociali e psicologici delle situazioni
8
E’ un istituto di ricerca fondato in Inghilterra alla fine della seconda guerra mondiale da specialisti di varie discipline e
fonda il proprio metodo sulla ricerca-azione. Tra i membri fondatori della Tavistock Institute risultano importati: il
presidente dell’istituto Trist, lo psicoanalista Bion, il socio analista Elliot Jacques, gli analisti Tommy Wilson e Harold
Bridger.
15
16. lavorative, con l’obiettivo di affrontare insieme e in una visione sistemica i fattori del lavoro.
Inoltre, pone l’attenzione e cerca di valorizzare il lavoro svolto in gruppo, o meglio nei piccoli
gruppi, accentuando le potenzialità dei soggetti tramite la collaborazione con i colleghi; questa
collaborazione deve avvenire in condizioni determinate e favorevoli, condizioni che l’impresa deve
preoccuparsi di realizzare e garantire, in quanto fattori influenti la stessa produttività e
concorrenzialità aziendale. I requisiti necessari per rendere la vita lavorativa migliore sono
l’uguaglianza a livello remunerativo e contrattuale per tutti i membri di uno stesso gruppo, e una
consistente indipendenza e autocontrollo nello svolgimento del proprio lavoro.
Dal quadro storico appena descritto si evince che la qualità del lavoro non può essere definita
attraverso un unico parametro; in essa sono individuabili diverse dimensioni, che corrispondono a
differenti bisogni manifestati dai lavoratori. Gallino (1976) individua 4 dimensioni per
rappresentare il concetto di qualità del lavoro:
1) Dimensione ergonomica, in cui vengono inclusi tutti i bisogni psico-fisici dell’uomo
connessi al lavoro, in termini di integrità psico-fisica e psicologica del lavoratore (quali
ambienti spaziosi, luminosi, sani, movimenti agevoli, ritmi adattabili, ecc..);
2) Dimensione della complessità, corrisponde ai bisogni di impegno nelle difficoltà, di
creatività, di accumulazione dell’esperienza lavorativa e di tendenziale continuo
accrescimento di formazione professionale (problem solving);
3) Dimensione dell’autonomia, corrisponde al bisogno di autodeterminazione delle regole da
seguire per svolgere le attività assegnate all’individuo o al gruppo e per realizzare un
determinato scopo produttivo (problem solving, problem setting);
4) Dimensione del controllo, bisogno di partecipare alle decisioni riguardanti i diversi aspetti
della produzione, assumendo responsabilità di gestione, di indirizzo e di strategia.
A queste quattro dimensioni Gallino (in La Rosa 1983) ne aggiunge una quinta, ossia la dimensione
economica, che corrisponde ad un bisogno di sussistenza, legata alla retribuzione e alla sicurezza
del posto di lavoro. Questa dimensione è stata per molto tempo l’unico aspetto preso in
considerazione dagli studiosi nella definizione di qualità del lavoro.
Secondo Gallino (in La Rosa 1983), “un lavoro di elevata qualità sarà un lavoro che per ciascuna
dimensione presenta proprietà atte a soddisfare in elevata misura i relativi bisogni”.
16
17. Nel 2001 il Consiglio europeo di Stoccolma propone di inserire la qualità del lavoro tra gli obiettivi
della Strategia Europea per l’occupazione9.
Il concetto di qualità del lavoro risulta di grande interesse nel dibattito europeo rispetto alle
politiche sociali e del mercato del lavoro. Porre l’accento sulla qualità nell’agenda per la politica
sociale della Commissione dell’Unione Europea significa sostenere la modernizzazione, garantire la
complementarietà dinamica e positiva delle politiche economiche e sociali ed affrontare su tali basi
le sfide della globalizzazione, dell’allargamento e delle rapide evoluzioni tecnologiche, sociali e
demografiche. La promozione della qualità del lavoro costituisce pertanto un fattore determinante
per il raggiungimento degli obiettivi di un’offerta di opportunità di lavoro sia quantitativamente che
qualitativamente migliori (more and better job).
Secondo la Commissione Europea, la qualità del lavoro non significa solo considerare le
opportunità di impiego retribuito, ma anche le caratteristiche di tale impiego. A tal proposito si
prendono in considerazione: le caratteristiche oggettive del posto di lavoro, le caratteristiche del
lavoratore, la sintonia tra le caratteristiche specifiche del lavoratore e i requisiti per svolgere
quell’attività, e la valutazione soggettiva di tali caratteristiche da parte del lavoratore.
Da un punto di vista più operativo la Commissione propone una serie precisa di indicatori relativi a
10 dimensioni essenziali della qualità del lavoro: qualità intrinseca del lavoro, qualifiche,
formazione lungo l’intero arco della vita e carriera professionale, parità di trattamento di uomini e
donne, protezione della salute e della sicurezza sul lavoro, integrazione tramite il lavoro e accesso al
mercato del lavoro, organizzazione del lavoro e equilibrio tra vita professionale e sfera privata,
dialogo sociale e partecipazione dei lavoratori, diversificazione e non discriminazione, risultati
economici generali e produttività.
L’organismo dell’Unione Europa che monitora costantemente il miglioramento negli anni delle
condizioni di vita e di lavoro è l’Eurofound, altrimenti chiamata Fondazione di Dublino10.
Durante il Consiglio europeo di primavera del 2005, i leader europei hanno posto la crescita e
l’occupazione al centro dell’agenda politica europea. La strategia di Lisbona rivista prevede, tra i
suoi obiettivi chiave, una migliore qualità del lavoro, una maggiore produttività e un livello di
occupazione più alto.
Dal 1990, l’indagine europea sulle condizioni di lavoro (European Working Conditions Survey),
realizzata ogni cinque anni dalla Fondazione, rappresenta uno strumento di informazione
9
La strategia europea per l'occupazione è stata elaborata per incoraggiare lo scambio di informazioni e la riflessione
comune tra tutti gli Stati membri Europei, allo scopo di trovare insieme soluzioni e buone pratiche che possano
contribuire a creare un maggior numero di posti di lavoro e di migliore la qualità in ogni paese.
10
Istituito dal Consiglio Europeo (regolamento (CEE) n.1365/75 del 26 maggio 1975) per contribuire alla pianificazione
e progettazione di migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa.
17
18. approfondita sul tema della qualità del lavoro. Il quarto rapporto Eurofound (2005) riporta le
interviste effettuate alla fine del 2005 che ha coinvolto complessivamente circa 30.000 lavoratori di
31 paesi11. Scopo dell’indagine è tracciare un quadro esaustivo di come i lavoratori europei
percepiscono e valutano la propria vita lavorativa e le proprie condizioni di lavoro. Per fare ciò
l’indagine prende in considerazione una vasta gamma di argomenti, tra cui: i rischi fisici, l’orario di
lavoro, l’organizzazione del lavoro, l’occupabilità, la soddisfazione del lavoro, l’impatto sulla
salute, l‘assenteismo, la sostenibilità del lavoro, l‘equilibrio tra vita e lavoro, le violenze e le
molestie, il rendimento lavorativo, l‘opportunità di apprendimento. Proprio quest’ultimo concetto
risulta essere molto importante per una percezione di qualità del lavoro maggiore. Negli ultimi anni,
la Commissione Europea ha evidenziato l’importanza del lifelong learning (inteso sia formalmente
attraverso il training organizzato dalle imprese o da enti di formazione, sia informalmente
attraverso il learning on–the-job), quale strumento ottimale per aumentare la qualità lavorativa. In
una società della conoscenza, caratterizzata da un concetto del lavoro sempre più dinamico,
l’individuo deve munirsi di conoscenze e competenze al fine di diventare un knowledge worker in
grado di assumere un ruolo attivo nel mercato del lavoro; queste conoscenze dovrebbero essere
garantite e messe a disposizione dalle aziende. Dal 1998, nell’UE vi è stato un marcato aumento
della partecipazione degli adulti all’istruzione e alla formazione. I tassi di partecipazione variano
considerevolmente in base alla fascia di età, al sesso e al livello di istruzione. I lavoratori più
giovani e le donne beneficiano di una formazione maggiore; il 25% degli uomini di età compresa tra
i 30 e 49 anni ha conseguito una formazione retribuita dal suo datore di lavoro, contro il 20% di
coloro con più di 50 anni. I lavoratori con livello di istruzione elevato ricevono più formazione: il
41% dei lavoratori con istruzione elevata contro il 10% di quelli con istruzione primaria negli ultimi
12 mesi dalla somministrazione del questionario.
In Italia, l’Isfol12 ha condotto un’indagine sulla qualità del lavoro13 (2002) sulla base di un campione
rappresentativo di 2.000 occupati, avendo come principale richiamo metodologico la “Third
European survey on working conditions 2000” della European Foundation for the improvement of
living and working conditions. L’assunto di base di questa indagine è che il concetto di qualità del
lavoro non può prescindere da quello di benessere del lavoratore. Il questionario utilizzato è stato
11
L’indagine è stata svolta nei 25 Stati membri dell’Unione Europea, nei due paesi candidati all’adesione (Bulgaria e
Romania) e in Croazia, Turchia, Svizzera e Norvegia.
12
Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, è un ente pubblico di ricerca. Svolge e
promuove attività di studio, ricerca e sperimentazione, documentazione valutazione, informazione, consulenza e
assistenza tecnica per lo sviluppo della formazione professionale, delle politiche sociali e del lavoro.
13
L’indagine “La qualità del lavoro in Italia” (2002) è stato effettuata su soggetti di età non inferiore ai 16 anni,
appartenenti alla categoria degli occupati (secondo la definizione fornita da Eurostat per l’indagine sulle Forze lavoro)
tra i componenti delle famiglie inserite negli elenchi telefonici dei comuni italiani.
18
19. elaborato al fine di indagare una molteplicità di dimensioni che possono concorrere a definire la
qualità del lavoro. Pur ispirandosi allo strumento utilizzato nell’indagine europea, se ne discosta per
diversi motivi. Innanzitutto, la tecnica di rilevazione utilizzata nell’indagine dell’Eurofound è
l’intervista face–to-face, mentre nell’indagine italiana è l’intervista telefonica; inoltre, l’indagine
Isfol mostra la necessità di utilizzare uno strumento maggiormente adeguato a cogliere alcune
specificità dell’occupazione italiana, quale il fenomeno dei “lavori atipici”.
Le tematiche rilevate sono: caratteristiche familiari e socio-anagrafiche; descrizione del lavoro e del
posto di lavoro; orari e ritmi di lavoro; reddito; conciliazione tra lavoro e impegni familiari e
sociali; caratteristiche dell’ambiente fisico del lavoro; margini di autonomia e grado di controllo;
caratteristiche relazionali; complessità e ambiente di lavoro; formazione e aggiornamento;
soddisfazione del lavoro.
Concetto molto importante per le ricerche effettuate a livello nazionale e internazionale è senza
dubbio la soddisfazione espressa dai lavoratori, in quanto misura diretta della qualità del lavoro. Il
tema della soddisfazione è stata approfondita all’interno dell’indagine Isfol sul benessere dei
lavoratori. In particolare, agli intervistati sono state poste domande circa il grado di soddisfazione
per il proprio lavoro nel complesso.
La tabella 2 riporta i risultati della ricerca per quanto riguarda il livello di soddisfazione del proprio
lavoro. Il 39% dei lavoratori è molto soddisfatto, poco più della metà è abbastanza soddisfatto, il
6,9% poco soddisfatto e solo il 2,6 % è insoddisfatto. I lavoratori più soddisfatti sono le donne
(43,5%) e i giovanissimi con meno di 30 anni (40,8%); i soggetti appartenenti alle altre classi d’età
presentano una distribuzione analoga alla media. Il titolo di studio appare come una variabile
importante nel contributo al livello di soddisfazione: all’aumentare del livello di istruzione
aumentano le probabilità di percepire un’elevata soddisfazione nei confronti del proprio
lavoro, ciò risulta in linea con la rilevazione effettuata dall’Eurofound. Tale variabile è correlata
alla professione svolta e, infatti, si osserva una relazione positiva tra il livello professionale e la
probabilità di essere molto soddisfatti. Gli individui maggiormente soddisfatti sono i lavoratori in
possesso di una laurea (45,4%), mentre i più insoddisfatti sono coloro in possesso di una licenza
media (4,6%). L’area della piena soddisfazione per la tipologia di professione viene occupata, in
ordine decrescente, dalle professioni intellettuali, scientifiche ed elevata specializzazione (55,7%),
dalle professioni tecniche (47,9%) e dai legislatori, dirigenti e imprenditori (44,0%). Invece, i
maggiormente insoddisfatti sono i conduttori/assemblatori di impianti e macchinari (7,8%) e le
professioni non qualificate (5,2%). Altro fattore fortemente discriminante nell’analisi della
soddisfazione degli occupati è la tipologia di lavoro. Quasi la metà dei lavoratori autonomi (48,2%)
19
20. si definiscono molto soddisfatti del proprio lavoro, contro poco più di un terzo dei lavoratori
dipendenti (35,6%).
Tabella 2: Soddisfazione del proprio lavoro per sesso, età, area geografica, titolo di studio,
professione e tipo d lavoro. Anno 2002 (Valori Percentuali)
Molto Abbastanza Poco Per nulla Totale
Sesso
Maschio 36,3 53,9 7,1 2,7 100,0
Femmina 43,5 47,6 6,5 2,4 100,0
Classi d’età
16-29 anni 40,8 49,0 8,2 2,0 100,0
30-49 anni 38,6 51,7 7,0 2,7 100,0
50 anni ed oltre 38,6 53,4 5,3 2,7 100,0
Area geografica
Nord ovest 47,9 44,9 5,5 1,7 100,0
Nord est 38,1 54,3 5,4 2,1 100,0
Centro 35,5 55,6 5,5 3,4 100,0
Sud ed isole 32,9 53,5 10,4 3,2 100,0
Titolo di studio
Nessun titolo/licenza elementare 38,8 47,0 10,8 3,4 100,0
Medie 32,6 54,5 8,3 4,6 100,0
Diploma 41,1 50,8 6,7 1,5 100,0
Laurea 45,4 50,5 2,4 1,7 100,0
Professione
Legislatori, dirigenti, imprenditori 44,0 47,8 3,8 4,5 100,0
Professioni intellettuali, scientifiche ed elevata specializ. 55,7 41,1 1,9 1,2 100,0
Professioni tecniche 47,9 45,9 5,4 0,9 100,0
Impiegati 34,0 54,7 9,2 2,1 100,0
Professioni qualificate in attività commerciali/servizi 34,5 51,9 10,2 3,3 100,0
Operai specializzati di agricoltura e pesca 49,5 31,8 16,9 1,8 100,0
Artigiani e operai specializzati 33,3 59,1 7,5 0,1 100,0
Conduttori/assemblatori di impianti/macchinari 22,2 56,4 13,5 7,8 100,0
Professioni non qualificate 20,6 69,0 5,2 5,2 100,0
Forze armate 26,1 67,7 6,2 0,0 100,0
Tipo di lavoro
Di pendente 35,6 54,5 7,6 2,3 100,0
Autonomo 48,2 43,5 4,9 3,3 100,0
Totale 39,0 51,6 6,9 2,6 100,0
Fonte: Isfol.
L’indagine Isfol ha preso in esame anche alcuni aspetti specifici caratterizzanti l’occupazione per
spiegare al meglio la soddisfazione dei lavoratori, e quindi la qualità del lavoro. Essi sono:
a. soddisfazione per gli orari e i ritmi di lavoro :il 77,8% si ritiene soddisfatto;
b. soddisfazione per la percezione di stabilità del posto di lavoro: la quasi totalità dei
lavoratori, 83,9%, si sente sicuro del luogo in cui lavora;
c. soddisfazione per il reddito: il 63,3% asserisce di percepire un guadagno equo alle proprie
aspettative;
d. soddisfazione per l’opportunità di realizzazione personale e professionale: il 76,5% degli
occupati si sente realizzato sul lavoro;
20
21. e. soddisfazione per le prospettive future nell’ambiente di lavoro: il 57,7 % si sente soddisfatto
sotto questo punto di vista.
Molto interessante risulta essere la domanda posta sul principale elemento di soddisfazione
derivante dal proprio lavoro. I lavoratori italiani traggono maggiore soddisfazione (Tabella 3) dal
clima dei rapporti interpersonali sul posto di lavoro (17,2%), dalla possibilità di realizzazione
professionale e personale (16%), dai guadagni offerti dall’occupazione (15,3%) e dalle prospettive
future di carriera o di ampliamento della propria attività (12,2%).
Tabella 3: Principale elemento di soddisfazione dei lavoratori per sesso, età, area geografica, titolo
di studio e tipo d lavoro (Valori Percentuali)
Orari e Auton Stabil Guad Clima Tipo di Realizz Prospe Ness Totale
ritmi omia ità agni rapporti lavoro azione ttive uno
Sesso
Maschi 7,8 9,8 10,3 18,0 13,3 5,1 14,8 13,6 7,3 100,0
Femmine 11,0 7,8 6,5 10,8 23,6 5,6 18,0 9,8 6,9 100,0
Classi di età
16-29 anni 6,6 5,7 5,8 18,1 26,4 6,5 12,8 14,2 3,9 100,0
30-49 anni 10,1 8,9 8,7 13,7 14,3 5,1 16,9 14,3 8,0 100,0
50 anni e + 8,4 12,6 11,9 17,2 16,4 4,5 16,7 4,7 7,6 100,0
Area geografica
Nord ovest
Nord est 7,5 8,4 7,8 18,3 14,4 6,2 16,9 16,5 4,1 100,0
Centro 8,4 8,6 6,3 12,1 20,8 4,6 17,4 14,2 7,6 100,0
Centro-Sud 11,1 9,3 10,2 13,2 17,7 4,7 15,3 10,0 8,3 100,0
9,7 9,9 10,8 16,2 16,9 5,2 14,5 7,7 9,2 100,0
Titolo di studio
Elementare/Nessun 9,9 7,3 8,0 31,6 11,3 4,6 10,6 5,0 11,7 100,0
titolo
Medie 9,6 6,7 10,2 21,6 14,3 6,4 12,9 10,9 7,3 100,0
Diploma 10,1 8,7 9,6 11,6 20,4 4,2 16,1 13,0 6,4 100,0
Laurea 3,6 16,1 3,7 6,9 14,8 6,7 24,9 16,1 7,2 100,0
Tipo di lavoro
Dipendente 8,9 7,5 9,5 13,7 19,9 5,7 16,7 11,8 6,2 100,0
Autonomo 9,3 13,2 7,0 19,7 9,8 4,0 14,0 13,4 9,5 100,0
Totale 9,0 9,0 8,8 15,3 17,2 5,2 16,0 12,2 7,1 100,0
Fonte: Isfol.
1.3 CONCLUSIONI
Partendo dalla definizione di qualità del lavoro rintracciata nella letteratura analizzata fino ad ora, è
possibile ampliare il costrutto di qualità, per poter cogliere la specificità dell’oggetto di analisi di
questa tesi: il lavoro dei neo laureati. Lo studio del lavoro dei giovani laureati non può prescindere
dall’analisi dell’impatto che il titolo di studio ha sulle possibilità occupazionali. In particolare,
l’analisi della qualità del lavoro dei laureati che entrano nel mercato del lavoro deve tener conto
delle seguenti dimensioni:
21
22. • Efficacia del titolo: in questa ricerca viene analizzata l’efficacia percepita e quindi l'opinione
dei laureati circa il possesso di un titolo più o meno efficace per il tipo di lavoro che
attualmente svolge14.
• Adeguatezza del bagaglio formativo dei laureati: analizzata attraverso la valutazione soggettiva del
laureato e l’analisi oggettiva della collocazione lavorativa raggiunta15.
• Utilizzo competenze: in che misura il laureato utilizza concretamente le competenze
acquisite durante il percorso formativo nello svolgimento del lavoro in cui è occupato.
• Utilizzo e richiesta della laurea nell’attuale lavoro: livello di necessità della laurea
conseguita nello svolgimento dell’attuale lavoro. Quattro possono essere le modalità di
risposta: la laurea viene richiesta per legge per poter praticare un determinato lavoro; la
laurea non viene richiesta per legge ma risulta necessaria per il lavoro svolto; la laurea non
viene richiesta per legge ma viene ritenuta utile dal laureato per il lavoro svolto; la laurea
non viene richiesta per legge e non risulta utile per il tipo di impiego che si ha.
• Soddisfazione del lavoro: analizza l’opinione generale dei laureati sulla soddisfazione
riguardo al lavoro svolto.
• Caratteristiche dell’occupazione attuale in termini di contratto, durata del contratto, tipologia
oraria, flessibilità dell’orario di lavoro, tipologia professionale, guadagno e settore in cui
opera l’azienda.
• Congruenza oggettiva: variabile ricostruita da noi partendo dalle risposte dei laureati sul tipo
di lavoro svolto e andando a confrontare se rientrava nel ventaglio degli sbocchi
occupazionali descritti nell’ordine degli studi di Psicologia2.
Una volta definito il costrutto di qualità del lavoro dei laureati, l’analisi condotta (vedi oltre) è stata
finalizzata allo studio delle caratteristiche occupazionali dei laureati e all’incidenza di alcuni fattori
sulla qualità del lavoro. In particolare, le dimensioni indagate fanno riferimento a:
14
Almalaurea, nella definizione di efficacia del titolo conseguito, prende in considerazione due aspetti: l’utilizzo delle competenze
acquisite durante gli studi e la necessità formale e sostanziale del titolo acquisito per il lavoro svolto. Cinque sono i livelli di
efficacia individuati: molto efficace, per gli occupati la cui laurea è richiesta per legge o di fatto necessaria, e che utilizzano le
competenze universitarie acquisite in misura elevata; efficace, per gli occupati la cui laurea non è richiesta per legge ma è comunque
utile e che utilizzano le competenze acquisite in misura elevata, oppure il cui titolo è richiesto per legge e che utilizzano le
competenze in misura ridotta; abbastanza efficace, per gli occupati la cui laurea non è richiesta per legge, ma di fatto è necessaria
oppure utile, e che utilizzano le competenze acquisite in misura ridotta; poco efficace, per gli occupati la cui laurea non è richiesta
per legge né utile in alcun senso e che utilizzano in misura ridotta le competenze acquisite, oppure il cui titolo non è richiesto ma
utile e che non utilizzano assolutamente le competenze acquisite; per nulla efficace, per gli occupati la cui laurea non è richiesta per
legge né utile in alcun senso, e che non utilizzano assolutamente le competenze acquisite.
15
L’adeguatezza del bagaglio formativo è stata indagata analizzando diverse variabili, alcune oggettive, come la
richiesta del titolo per il lavoro svolto e l’utilizzo delle competenze acquisite, e altre soggettive come il livello di
soddisfazione per il corso di laurea, l’adeguatezza del titolo per il lavoro svolto e l’efficacia percepita del titolo
conseguito.
22
23. • caratteristiche della famiglia di origine in termini di livello di istruzione e occupazione dei
genitori;
• caratteristiche del percorso formativo prima dell’iscrizione all’università in termini di tipo di
istruzione secondaria e voto di maturità;
• caratteristiche dell’esperienza universitaria in termini di corso di studi e indirizzo, voto agli
esami e voto di laurea, frequenza corsi, laurea fuori corso;
• distanza dalla laurea in anni;
• esperienze lavorative post-laurea.
23
24. CAPITOLO 2. Le caratteristiche dei laureati
In questo capitolo cercheremo di dare una visione completa delle caratteristiche dei laureati,
mettendo in evidenza il momento di ingresso nel mondo del lavoro. Per fare ciò utilizzeremo le
principali indagini condotte in Italia sui laureati da Istat e Almalaurea.
In particolare, nelle pagine che seguono si cercherà di descrivere le principali caratteristiche
occupazionali dei laureati italiani tenendo conto dei diversi tempi di ingresso nel mercato del lavoro
e dei diversi gruppi disciplinari; infine l’attenzione sarà rivolta all’analisi delle caratteristiche
occupazionale dei laureati in Psicologia a livello nazionale e a livello locale (nel contesto romano
dell’Università La Sapienza).
2.1 ANALISI DI CONTESTO
In Italia esistono diverse fonti di dati sugli sbocchi occupazionali dei laureati. Le indagini
maggiormente rilevanti, e che cercano di dare effettivamente una panoramica esauriente su questo
tema, vengono condotte dall’Istat e da Almalaurea.
L’ Istat, Istituto Nazionale di Statistica conduce due indagini di interesse per i laureati: la prima è
l’indagine sulle forze di lavoro (Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro), che fornisce le stime
ufficiali degli occupati e delle persone in cerca di lavoro e il cui obiettivo principale è quello di
ottenere informazioni sulla situazione lavorativa, sulla ricerca di lavoro e sugli atteggiamenti verso
il mercato del lavoro della popolazione in età lavorativa.
La seconda è l’indagine sugli sbocchi occupazionali dei laureati, molto pertinente per il nostro tema
e di cui parleremo di seguito in maniera approfondita: “Università e lavoro: orientarsi con la
statistica”, articolata in due parti. La prima prende in considerazione il percorso degli studenti dal
momento dell’immatricolazione a quello della laurea, nello specifico: numero di matricole, tipo di
corso intrapreso, distanza della sede universitaria scelta dalla località di residenza dei giovani, tasso
di abbandono, studenti fuori corso, grado di soddisfazione dei laureati per il corso concluso.
La seconda parte analizza i percorsi dei giovani dopo il conseguimento del titolo di studio, nel
particolare: gli sbocchi lavorativi per chi ha una laurea triennale o una laurea lunga, la coerenza tra
titolo acquisito e l’occupazione svolta, gli aspetti della soddisfazione verso il lavoro, il reddito
medio e il tipo di contratto.
Inoltre, all’interno è presente un opuscolo denominato “L’inserimento professionale dei laureati”,
facente parte del sistema integrato di rilevazione campionaria sulla transizione istruzione-lavoro,
che si pone l’obiettivo di analizzare, anche in ottica comparativa, il rendimento dei diversi titoli di
studio sul mercato del lavoro.
24
25. L’indagine condotta nel 2007 (pubblicata a Marzo 2009) permette di analizzare il processo di
transizione al mondo del lavoro dei laureati nei corsi lunghi16, escludendo le nuove lauree
specialistiche introdotte dalla riforma del 3+2. Sono stati intervistati in totale 47.300 giovani, di cui
26.570 laureati provenienti dai corsi lunghi, fornendo dati sulla condizione occupazionale ad un
anno e a tre anni dal conseguimento del titolo (Grafico1). In linea con quanto affermato in
letteratura (Franchi 2005, Cammelli e La Rosa 2004, Trombetti e Stanchi 2006), il numero di
laureati occupati aumenta con l’aumentare della distanza dall’acquisizione del titolo di laurea. Il
tasso di occupazione passa dal 30% per i laureati occupati al momento della laurea a quasi il 57%
per quelli ad un anno dalla laurea, per arrivare al 73% per i laureati a tre anni dalla laurea, con un
incremento superiore del 40%.
Grafico 1: Laureati 2004 occupati in attività lavorative retributive al momento della laurea, ad 1
anno e a 3 anni dalla laurea.
73,2%
80,0% 56,9%
60,0%
30,2%
40,0%
20,0%
0,0%
Laureati 2004
Occupati al momento della laurea Occupati ad 1 anno dalla laurea
Occupati a 3 anni dalla laurea
Fonte: Istat
Il totale degli occupati laureati in corsi lunghi a tre anni17 dal conseguimento del titolo di studio è il
73,2% (Tabella 1). A partire da questo dato medio possiamo notare come alcuni indirizzi di laurea
mostrino una maggiore opportunità di poter avere un lavoro stabile al momento dell’uscita dal
percorso universitario. Risultano essere maggiormente occupati i laureati del gruppo ingegneria,
con il 91% del totale occupato e di cui l’81,3% svolge un lavoro continuativo 18. A seguire, tra i più
16
L’Istat definisce i laureati in corsi lunghi quanti hanno conseguito una laurea tradizionale del vecchio ordinamento
(4-6 anni) o una laurea specialistica a ciclo unico del nuovo ordinamento (5-6 anni).
17
Abbiamo preso in considerazione i dati a tre anni dal conseguimento del titolo, in quanto l’Istat prende come
campione di riferimento i dati a tre anni per descrivere le condizioni occupazionali dei diversi gruppi di laurea.
18
Collaboratori coordinati e continuativi sono coloro che, pur risultando formalmente lavori autonomi prestano la
propria opera di consulenza o collaborazione per conto di un committente, operando prevalentemente (ma non
necessariamente) presso di esso e con i mezzi tecnici e organizzativi da questo predisposti. I lavoratori operano in forma
coordinata e continuativa nel tempo per una sola azienda o per un solo cliente. Hanno un rapporto di lavoro regolato da
un contratto di “collaborazione coordinata e continuativa”. A partire dal 2003, a seguito della Riforma sul lavoro (Legge
25
26. “fortunati”, ci sono i laureati nel gruppo chimico-farmaceutico, di cui risulta essere occupato il
78,6% e quasi la totalità dichiara di avere un lavoro stabile (73,7%); infine il 79,8% dei laureati del
gruppo economico statistico possiede un lavoro a tre anni dalla laurea, e ben il 65,7% afferma di
lavorare in modo continuativo.
Tabella 1: Laureati in corsi lunghi per condizione occupazionale a tre anni dal conseguimento del
titolo per gruppi di corsi (Anno 2007).Valori Percentuali.
LAVORANO NON LAVORANO
Totale Cercano lavoro Non cercano lavoro
di cui: svolgono un Totale di cui: svolgono attività
lavoro continuativo formativa retribuita
TOTALE 73,2 56,1 14,2 12,6 5,5
Gruppo scientifico 67,4 57,6 13,1 19,5 14,3
Gruppo chimico-faramceutico 78,6 73,7 9,3 12,2 8,4
Gruppo geo-biologico 60,2 46,7 20,2 19,6 13,7
Gruppo medico 36,4 24,2 3,9 59,7 52,5
Gruppo ingegneria 91,0 81,3 4,4 4,6 3,3
Gruppo architettura 88,1 63,0 8,2 3,7 0,6
Gruppo agrario 73,3 57,2 15,3 11,4 5,0
Gruppo economico-statistico 79,8 65,7 10,7 9,5 3,2
Gruppo politico-sociale 80,5 56,9 14,3 5,3 1,4
Gruppo giuridico 52,5 38,1 25,5 21,9 1,5
Gruppo letterario 75,5 48,6 17,1 7,4 2,5
Gruppo linguistico 78,8 62,1 14,9 6,3 2,9
Gruppo insegnamento 82,2 55,4 13,4 4,4 0,6
Gruppo psicologico 70,2 52,5 22,4 7,4 1,2
Gruppo ed.fisica 77,0 45,8 13,3 9,7 0,3
Fonte: Istat
In particolare, per quanto riguarda la tipologia contrattuale i laureati che possiedono un lavoro ma
hanno una minore stabilità e certezza del proprio posto lavorativo sono quelli del gruppo
insegnamento e del gruppo letterario, di cui rispettivamente più dell’80% e del 75% dichiara di
avere un lavoro ma solo il 55,4% e il 48,6% lo svolge in maniera durevole. Mostrano la stessa
situazione i laureati del gruppo politico-sociale (80,5% occupati ma solo il 56,9% in maniera
stabile) insieme a coloro che possiedono una laurea nel gruppo educazione fisica (77% occupati di
cui 45,8% svolge un lavoro continuativo). Per quanto riguarda il gruppo medico e giuridico la bassa
percentuale di occupati al termine degli studi (rispettivamente 24,2% e 38,1%) è imputabile alla
peculiarità dei percorsi post-lauream: a tre anni dalla laurea i medici sono ancora impegnati nelle
scuole di specializzazione, mentre i laureati in materie giuridiche stanno affrontando l’attività di
praticantato necessaria per sostenere l’esame di stato, posticipando così l’ingresso nel mondo del
lavoro. I laureati del gruppo psicologico si collocano in una posizione intermedia rispetto agli altri
Biagi), tra i collaboratori coordinati e continuativi sono inclusi i lavoratori a progetto
26
27. gruppi: il 52,5 % lavora in modo continuativo mentre un ulteriore 20% lavora in modo non
continuativo.
Il principale limite dell’Istat è la mancanza di confronto degli sbocchi professionali per singolo
Ateneo, infatti l’indagine prende in considerazione i gruppi disciplinari in modo molto generico.
Questo limite è superato nei dati Almalaurea. Gestita da un consorzio di atenei italiani con il
sostegno del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca (Miur), Almalaurea nasce con
l’intento di mettere in relazione aziende e laureati e di essere il punto di riferimento dall’interno
della realtà universitaria per tutti coloro che affrontano a vari livelli le tematiche degli studi
universitari, dell’occupazione e della condizione giovanile.
L’ indagine che Almalaurea conduce sui laureati si divide in due sezioni principali:
1) Profilo dei laureati: prende in esame il capitale umano proveniente dalle università e
costituisce un punto di riferimento per coloro che hanno interesse ad analizzare il sistema di
istruzione superiore italiano nei suoi diversi aspetti.
2) Condizione occupazionale dei laureati: monitora l’inserimento lavorativo dei laureati, ad uno,
a tre e a cinque anni dal conseguimento del titolo. È uno strumento fondamentale per valutare
l’efficacia esterna del sistema universitario e misurare “l’apprezzamento” del mondo del lavoro
nei confronti dei laureati. In questa seconda sezione si trovano 10 ambiti tematici: Collettivo
indagato; Formazione specialistica e post-lauream; Condizione occupazionale; Ingresso nel
mercato del lavoro; Caratteristiche dell’attuale lavoro; Caratteristiche dell’azienda; Guadagno;
Utilizzo e richiesta della laurea nell’attuale lavoro; Efficacia della laurea; Ricerca del lavoro.
L’indagine Almalaurea realizzata nel corso del 2009 (XII Indagine 2009, pubblicata a marzo 2010)
sulla condizione occupazionale ha coinvolto oltre 210mila laureati di 4919 università italiane. La
rilevazione ha riguardato, per il secondo anno consecutivo, tutti i laureati post-riforma dell’anno
solare 2008 (di primo e di secondo livello e specialistici a ciclo unico) che sono stati intervistati a
circa un anno dalla laurea. Sono stati coinvolti anche i laureati pre-riforma, in particolare quelli
delle sessioni estive degli anni 2006 e 2004 intervistati a tre e cinque anni dal conseguimento del
titolo.
Rispetto all’indagine dell’anno passato (XI Indagine 2008), l’attuale risulta di interesse maggiore in
quanto delinea un quadro occupazionale pienamente immerso nella crisi economica che, come
19
L’indagine sulla condizione occupazionale dei laureati a uno, tre e cinque anni dalla laurea è dovuta alla
collaborazione fra gli atenei di Bari, Basilicata, Bologna, Bolzano, Cagliari, Calabria, Camerino, Cassino, Catania,
Catanzaro, Chieti e Pescara, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, L’Aquila, LIUC Castellanza, Messina, Milano IULM,
Milano Vita-Salute San Raffaele, Modena e Reggio Emilia, Molise, Napoli Seconda Università, Padova, Parma,
Perugia, Perugia Stranieri, Piemonte Orientale, Reggio Calabria Mediterranea, Roma Campus Bio-medico, Roma Foro
Italico, Roma La Sapienza, Roma LUMSA, Roma Tre, Salento, Sannio, Sassari, Siena, Teramo, Torino, Torino
Politecnico, Trento, Trieste, Tuscia, Udine, Valle d’Aosta, Venezia Ca’ Foscari, Venezia IUAV, Verona.
27
28. hanno evidenziato recenti dati Istat ed Eurostat, sta penalizzando in Italia soprattutto la componente
giovanile della popolazione. Tutti i tipi di laurea (di primo e secondo livello, e specialistici a ciclo
unico) presentano una minore “probabilità”di sicura entrata nel mercato del lavoro: il tasso di
occupazione dei laureati di primo livello è sceso di quasi 7 punti percentuali (62,4% rispetto al
69,0% dell’anno precedente); tra i colleghi specialistici la contrazione è di oltre 7 punti percentuali
(45,5% contro il 52,9% dell’anno prima); tra gli specialistici a ciclo unico 20 è di oltre 5 punti
percentuali (37,2% contro il precedente tasso di 42,6%). I laureati specialistici a ciclo unico,
mostrano un tasso di occupazione inferiore alla media, a causa dell’elevata quota di chi prosegue la
propria formazione con attività necessarie alla libera professione (Grafico 2).
Grafico 2: Occupazione ad un anno dalla laurea (Valori percentuali).
62,4
PRIMO LIVELLO
69,0
45,5
Laureati
SPECIALISTICI
2008
52,9
Laureati
2007
37,2
SPECIALISTICI A CICLO UNICO
42,6
Fonte: Almalaurea
L’analisi delle caratteristiche del lavoro svolto conferma ulteriormente le difficoltà incontrate
nell’ultimo anno dai laureati post-riforma. La stabilità dell’impiego a 12 mesi dal titolo risulta in
calo per tutti i tipi di corso presi in esame, tranne per gli specialistici a ciclo unico, per i quali il
lavoro stabile è rimasto invariato al 36%. Per laureati di primo livello la contrazione è di 3 punti
percentuali (35,6% contro il 38,6% nel 2007), mentre per i colleghi specialistici è di 2 punti
percentuali (26% contro il 27,8% nel 2007) (Grafico 3).
Grafico 3: Attività lavorativa stabile ad un anno dalla laurea per tipo di corso (Valori percentuali).
20
Si tratta di architettura e ingegneria edile, farmacia e farmacia industriale, medicina e chirurgia, medicina veterinaria,
odontoiatria e protesi dentaria, nonché della laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza.
28
29. 35,5
PRIMO LIVELLO
38,6
26,1
SPECILISTICI Laureati
27,8 2008
Laureati
2007
36,3
SPECIALISTICI A CICLO UNICO
36,0
Fonte: Almalaurea
Fino a questo momento abbiamo preso in considerazione i dati relativi all’offerta e alla disponibilità
di laureati sul mercato del lavoro. I dati Excelsior (2009), invece, ci forniscono una panoramica
della domanda di laureati sul mercato del lavoro, ossia delle tipologie di laureati di cui le aziende
hanno maggiormente “bisogno”. Il primo bimestre 2010, rispetto al corrispondente periodo
dell’anno precedente, mostra un calo nelle richieste dei laureati del 31%; una contrazione della
domanda che coinvolge la quasi totalità dei percorsi di studio, anche quelli solitamente al vertice
dell’occupabilità. Complessivamente a contrarsi non è solo la domanda delle imprese per laureati
dei percorsi umanistico – sociali, come è noto ormai da anni, ma anche per laureati nel settore
economico – statistico (-30%), che hanno presentato una curva positiva nell’universo delle
assunzioni. Inoltre, a ridursi in maniera ancora maggiore è la domanda di ingegneri (-38%
complessivamente). In controtendenza, seppure su valori assoluti contenuti, la crescita della
domanda dei laureati del gruppo letterario (+24%) e di quello politico- sociale (+23%). Forse,
proprio la situazione di gravi crisi dell’occupazione (e del necessario sostegno a chi ne è colpito)
può spiegare l’inattesa crescita della domanda dei laureati del gruppo psicologico (+154%, ma su
valori assoluti molto ridotti).
2.2 ANALISI PER GRUPPI DISCIPLINARI
L’indagine Almalaurea ci permette di entrare nel dettaglio della condizione occupazionale dei
laureati. A differenza dei risultati Istat (vedi sopra), Almalaurea ci permette di avere un dato più
recente e quindi di contestualizzarlo nel particolare periodo in cui ci troviamo, nonché di tener
29
30. conto delle differenze tra laureati pre-riforma e post-riforma (triennale e specialistica). Il tasso di
occupazione dei laureati è pari a 59,9% per l’intero collettivo indagato. Vediamo nel dettaglio come
si differenziano a livello occupazionale i vari gruppi disciplinari (Grafico 4).
Grafico 4: Tasso di occupazione delle lauree lunghe per gruppi disciplinari ad 1 anno dalla laurea.
(Valori percentuali). Anno 2009
Fonte: Almalaurea
*2008
Le lauree con il migliore rendimento occupazionale sono quelle del gruppo ingegneria e medicina;
la prima presenta un tasso occupazionale pari all’87% per i laureati nei corsi pre-riforma e pari
all’89% per i laureati nella specialistica, mentre per medicina lavora ad un anno dalla laurea la quasi
totalità dei laureati nella specialistica (97,9%) e il 76% dei laureati nel vecchio ordinamento.
Seguono le lauree dei gruppi chimico-farmaceutico con un tasso superiore all’80% in entrambe le
tipologie di corso (vecchio ordinamento: 82,3% e specialistica: 80,9%) e le lauree economiche
statistiche (vecchio ordinamento: 70,5% e specialistica: 80,4%). Fino a questo punto i risultati
confermano la rilevazione effettuata dall’Istat nel 2007 sui laureati del 2004. L’indagine
Almalaurea 2009, evidenzia, inoltre, altri gruppi disciplinari che presentano un rendimento
occupazionale migliore, ossia le lauree in architettura che riescono a sfiorare l’80% dei laureati
occupati ad 1 anno dal conseguimento del titolo (vecchio ordinamento: 76,1% e specialistica: 79%)
e le lauree scientifiche (vecchio ordinamento: 68,5% e specialistica: 84,2%). Le lauree appartenenti
ai gruppi disciplinari giuridico e psicologico presentano le percentuali più basse a livello
occupazionale, probabilmente a causa del fatto che queste lauree danno un accesso ad una
professione solo dopo un ulteriore periodo di formazione.
Diverse tipologie di corso di laurea vengono, in genere, rappresentate da diverse tipologie
contrattuali (Grafico 5). I contratti atipici sembrano caratterizzare prevalentemente i laureati pre-
30
31. riforma ad una anno dalla laurea: quasi la metà del collettivo indagato è occupato in un lavoro non
stabile.
Grafico 5: Tipologia contrattuale del lavoro attuale ad 1 anno dalla laurea. (Valori percentuali).
Anno 2009
Fonte: Almalaurea
*2008
Andando ad analizzare il dato per gruppi disciplinari, notiamo che l’atipicità, nel vecchio
ordinamento è maggiormente presente nei gruppi disciplinari geo-biologico, insegnamento e
agrario. Nella specialistica, ad un anno dalla laurea, i contratti stabili sono presenti soprattutto nel
gruppo medico, che presenta percentuali irrisorie di laureati con contratti atipici. Mentre, il lavoro
non standard è presente soprattutto nei gruppi chimico-farmaceutico, geo-biologico, letterario,
linguistico e psicologico (Grafico 6).
Grafico 6: Tipologia contrattuale per gruppi disciplinari ad 1 anno dalla laurea. (Valori
percentuali). Anno 2009
31
32. Fonte: Almalaurea
*2008
Nota: STABILE (rappresenta la somma delle modalità autonomo e tempo indeterminato); ATIPICO (rappresenta la
somma delle modalità tempo determinato collaborazione/consulenza e altro contratto atipico).
Il lavoro precario che caratterizza le prime occupazioni dopo la laurea è destinato a ridursi in
maniera significativa col trascorrere del tempo e l’accumularsi di esperienze lavorative: al crescere
della distanza dalla laurea per i lavoratori del vecchio ordinamento aumenta l’incidenza dei contratti
stabili (a 5 anni interessa il 70% degli occupati). L’incremento di stabilità non interessa tutti i
laureati, piuttosto favorisce i laureati in ingegneria, economia e statistica (oltre l’80% degli
occupati), mentre interessa meno della metà dei laureati in materie letterarie. I dati sembrano
mostrare come la flessibilità sperimentata nei momenti immediatamente successivi all’uscita dal
sistema di istruzione non rappresenta una “trappola lavorativa”; piuttosto col passare degli anni e
l’arricchirsi delle esperienze lavorative aumentano le probabilità di trovare forme più stabili di
lavoro.
Infine, per quanto riguarda il guadagno mensile netto, ad un anno dalla laurea supera di poco i 1.000
euro per tutti i laureati (1.041 nel vecchio ordinamento e 1.007 nella triennale). Il dato è destinato a
32
33. migliorare con il passare del tempo, ma la velocità di crescita dei redditi dipende dal gruppo
disciplinare di appartenenza.
In definitiva, i dati mostrano come il gruppo psicologico presenta un tasso di occupazione più basso
rispetto agli altri gruppi ad un anno dalla laurea, gap che però sembra diminuire al crescere della
distanza dalla laurea. Inoltre, i laureati del gruppo psicologico, soprattutto nella specialistica e in
minor misura nel vecchio ordinamento, presentano una maggiore incidenza dei contratti atipici, ad
un anno dalla laurea.
2.3 I LAUREATI IN PSICOLOGIA IN ITALIA
L’obiettivo di questo paragrafo è di valutare gli effetti del percorso di studio sull’occupabilità e
sugli sbocchi professionali dei laureati, in relazione soprattutto ad alcuni aspetti della qualità del
lavoro svolto. Attraverso le indagini Almalurea (2009) presentiamo un’analisi di confronto delle
caratteristiche occupazionali dei laureati in psicologia, sia di tutte le facoltà italiane sia della facoltà
romana della Sapienza, con i valori medi del totale dei laureati italiani e con il totale dei laureati che
hanno conseguito il titolo all’Università “Sapienza” di Roma, distinguendoli nei corsi specialistica e
vecchio ordinamento.
Gli studenti della specialistica conseguono il titolo mediamente in 2,6 anni (nell’Ateneo romano in
3,1 anni) e all’età di 26,8 anni (27,4 per la Sapienza); gli studenti di Psicologia2 si discostano
leggermente dalla media italiana impiegando 2,8 anni per laurearsi ed uscendo dall’Università a
27,3 anni (Tabella 2). Gli studenti del vecchio ordinamento impiegano quasi il doppio degli anni
della durata legale degli studi per laurearsi (8,7 anni in Italia e 10 anni nell’ateneo romano); gli
studenti di Psicologia2 sono i più lenti nel prendere la laurea e di conseguenza escono in più tarda
età dall’Università (spendono 10,4 anni per terminare gli studi uscendo a 31,5 anni mediamente).
La percentuale di laureati che lavora dopo un anno dalla laurea è 73,8 se si considerano tutti i
laureati specialistici presenti in Italia, mentre è del 61,5% per gli psicologi della Sapienza, dato
nettamente superiore rispetto agli psicologi uscenti dalle altre facoltà di psicologia italiane (56,7%).
Gli studenti di Psicologia2 risultano essere nettamente favoriti rispetto al resto dei laureati in
psicologia, con due terzi dei dottori occupato dopo un anno dalla laurea. Questo vantaggio si può
spiegare mediante l’alta presenza di forme contrattuali atipiche (66,4%); mentre i laureati
specialistici italiani, ad un anno dal conseguimento del titolo, fanno registrare una maggiore
rilevanza dei contratti stabili (36,6%).
Tabella 2: Caratteristiche dei laureati e indicatori del mercato del lavoro ad 1 anno dalla laurea
(Valori Percentuali). Anno 2009
33