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GIACOMO LEOPARDI
LE FASI DEL
PESSIMISMO LEOPARDIANO
Il pessimismo filosofico di
Leopardi ha le sue origini nel
materialismo del Settecento
(d'Holbach, sensismo di Condillac)
derivato diretto dal razionalismo
propugnato dall'illuminismo,
dall'atomismo greco e dal
pessimismo mostrato da alcuni
autori antichi, come Omero e
Lucrezio, con qualche influsso del
romanticismo.
Il pessimismo storico
Leopardi con gli anni allarga la sua riflessione, tendendo a valutare che la
felicità degli altri è solo apparente, che la vita umana non ha uno scopo
per il quale valga la pena di lottare, e che tutti gli uomini sono condannati
all'infelicità terrena. Afferma che essi vivevano in uno stato di felicità, per
quanto illusoria, solo nell'età primitiva, quando vivevano nello stato di
natura, non condizionati dall'incivilimento dovuto alla ragione, ma vollero
uscire da questo stato di beata ignoranza per mettersi alla ricerca del
vero.
Il pessimismo individuale prende forma quando Leopardi, fin da piccolo, si sente privo della gioia
di vivere che vede negli altri.
Questa contrapposizione emerge, ad esempio,
nel canto La sera del dì di festa
Le esperienze dell'adolescenza e della prima giovinezza lo
conducono a pensare che la vita sia stata spietata con lui,
ma che altri possono essere felici (pessimismo personale
o soggettivo, detto anche pessimismo psicologico).
La natura in Leopardi
«Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.» (A
se stesso, vv. 9-10)
«La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi.
Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno
ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli animali
non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno.» (Zibaldone)
Il pessimismo è "cosmico" perché il dolore colpisce ogni essere vivente, comprese piante e animali.
Il pessimismo cosmico
I Canti pisano-recanatesi o Grandi idilli (1828-1830)
Dopo alcuni anni di silenzio poetico Leopardi, durante
il soggiorno a Pisa nella primavera del 1828, riprese a
comporre versi. La nuova fase creativa continua anche
dopo il ritorno a Recanati e dà vita ad alcune delle
liriche più profonde e significative di Leopardi.
La poetica espressa in queste poesie è ancora idillica, e
la forma usata è la canzone libera, composta da un
numero vario di strofe di diversa lunghezza, in cui
settenari ed endecasillabi si alternano senza seguire
uno schema predeterminato, come pure le rime e le
assonanze.
LA TEORIA DELPIACERE
La teoria del piacere, derivata dal sensismo
degli illuministi francesi, nonché proveniente da
Lucrezio ed Epicuro, sostiene che l'uomo nella
sua vita tenda sempre a ricercare un piacere
infinito come soddisfazione di un desiderio
illimitato. Esso viene cercato soprattutto grazie
alla facoltà immaginativa dell'uomo che può
concepire le cose che non sono reali.
Questo pensiero trova massima espressione ne
«L’infinito».
L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da
tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati spazi di lá da quella,
e sovrumani silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo;
ove per poco il cor non si spaura.
E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei.
Cosí tra questa
immensitá s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da
tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati spazi di lá da quella,
e sovrumani silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo;
ove per poco il cor non si spaura.
E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei.
Cosí tra questa
immensitá s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito

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  • 3. Il pessimismo filosofico di Leopardi ha le sue origini nel materialismo del Settecento (d'Holbach, sensismo di Condillac) derivato diretto dal razionalismo propugnato dall'illuminismo, dall'atomismo greco e dal pessimismo mostrato da alcuni autori antichi, come Omero e Lucrezio, con qualche influsso del romanticismo.
  • 4. Il pessimismo storico Leopardi con gli anni allarga la sua riflessione, tendendo a valutare che la felicità degli altri è solo apparente, che la vita umana non ha uno scopo per il quale valga la pena di lottare, e che tutti gli uomini sono condannati all'infelicità terrena. Afferma che essi vivevano in uno stato di felicità, per quanto illusoria, solo nell'età primitiva, quando vivevano nello stato di natura, non condizionati dall'incivilimento dovuto alla ragione, ma vollero uscire da questo stato di beata ignoranza per mettersi alla ricerca del vero.
  • 5. Il pessimismo individuale prende forma quando Leopardi, fin da piccolo, si sente privo della gioia di vivere che vede negli altri. Questa contrapposizione emerge, ad esempio, nel canto La sera del dì di festa Le esperienze dell'adolescenza e della prima giovinezza lo conducono a pensare che la vita sia stata spietata con lui, ma che altri possono essere felici (pessimismo personale o soggettivo, detto anche pessimismo psicologico).
  • 6. La natura in Leopardi «Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.» (A se stesso, vv. 9-10) «La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno.» (Zibaldone) Il pessimismo è "cosmico" perché il dolore colpisce ogni essere vivente, comprese piante e animali. Il pessimismo cosmico
  • 7. I Canti pisano-recanatesi o Grandi idilli (1828-1830) Dopo alcuni anni di silenzio poetico Leopardi, durante il soggiorno a Pisa nella primavera del 1828, riprese a comporre versi. La nuova fase creativa continua anche dopo il ritorno a Recanati e dà vita ad alcune delle liriche più profonde e significative di Leopardi. La poetica espressa in queste poesie è ancora idillica, e la forma usata è la canzone libera, composta da un numero vario di strofe di diversa lunghezza, in cui settenari ed endecasillabi si alternano senza seguire uno schema predeterminato, come pure le rime e le assonanze.
  • 8. LA TEORIA DELPIACERE La teoria del piacere, derivata dal sensismo degli illuministi francesi, nonché proveniente da Lucrezio ed Epicuro, sostiene che l'uomo nella sua vita tenda sempre a ricercare un piacere infinito come soddisfazione di un desiderio illimitato. Esso viene cercato soprattutto grazie alla facoltà immaginativa dell'uomo che può concepire le cose che non sono reali. Questo pensiero trova massima espressione ne «L’infinito». L’infinito
  • 9. Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma, sedendo e mirando, interminati spazi di lá da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Cosí tra questa immensitá s’annega il pensier mio; e il naufragar m’è dolce in questo mare. L’infinito
  • 10. Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma, sedendo e mirando, interminati spazi di lá da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Cosí tra questa immensitá s’annega il pensier mio; e il naufragar m’è dolce in questo mare. L’infinito