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TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA
TRA LE DUE GUERRE MONDIALI.
MODELLI, PROTAGONISTI, PROGETTI
di Alessandro Martini
Tutti gli istituti d’arte, dal teatro al museo, dalla galleria all’accademia
devono essere considerati come scuole, come luoghi cioè destinati non
solo alla cultura e molto meno alla curiosità, ma preparati per educare
il gusto e la sensibilità, per alimentare l’immaginazione, per tener desta
la meraviglia, per raffinare le doti più alte e potenti dell’anima. Così
l’arte, sottratta a speculazioni troppo mercantili e portata a contatto delle
moltitudini che ad essa come alla religione domandano un sovrumano
conforto, costituirà una delle fonti perenni di vita del popolo italiano.
Benito Mussolini, discorso alle associazioni artistiche, 20 maggio 1924
Il panorama dell’architettura teatrale italiana del primo Novecento –
nonostante le sporadiche pretese di innovazione e le fratture proposte da
figure e in contesti per lo più isolati per quanto “eccellenti” – mostra un
sostanziale continuità con quanto proposto dalla vicenda ottocentesca.
Vale ancora, per il maggior numero dei casi e per la gran parte del ven-
tennio tra le due guerre mondiali, quanto Daniele Donghi proponeva,
nel 1888, in vista della realizzazione di un nuovo teatro d’opera da lui
stesso progettato a Torino: la ricerca di «un teatro popolare, ma non
volendo rinunciare del tutto ai palchi, né volendo introdurre novità, che
non sarebbero state bene accolte, si è data alla sala la solita forma a ferro di
cavallo, e la si è composta di platea con barcacce, di un ordine di palchi
e di due gallerie ad anfiteatro»1
. Significative novità formali – soltanto
“suggerite” da Donghi – non vengono introdotte almeno fino a Nove-
1
D. Donghi (a cura di), Manuale dell’Architetto, volume II. La composizione architettonica.
Parte I. La distribuzione, Utet, Torino 1925, pp. 577-578 (i corsivi sono di chi scrive).
322 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
cento inoltrato, e il teatro all’italiana – con ordini di palchi sovrappo-
sti – permane come unico vero modello di riferimento tra anni Venti
e Trenta. Nonostante alcune soluzioni tipologicamente innovative, il
riferimento al teatro di tradizione è ancora ampiamente presente nella
gran parte dei progetti presentati nel 1937 al concorso per la ricostru-
zione del Teatro Regio di Torino, prima vera occasione di confronto
disciplinare, aperta a scuole e generazioni tra loro anche molto lontane.
L’unica importante novità del ventennio – che caratterizza sia le nuove
(rare) edificazioni sia i più diffusi e consistenti interventi di restauro e
riallestimento di sale storiche – è quella di un diffuso inserimento di
gallerie in sostituzione di ordini di palchi preesistenti, con l’obiettivo
insieme di migliorare la visuale degli spettatori e, soprattutto, di aprire
i teatri d’opera a un nuovo, più vasto pubblico. Piuttosto che sul fronte
dell’innovazione tipologica, la spinta propulsiva va quindi a tutto van-
taggio dell’aggiornamento nel campo delle strutture, degli impianti e
soprattutto della scenotecnica: tutte soluzioni che, introducendo nuove
condizioni oggettive, aprono a inedite possibilità espressive, modificano
l’ambiente sociale e influiscono sulle forme tradizionali dello spettacolo.
Dai primi anni del Novecento molte soluzioni progettuali in campo
architettonico sono ormai condivise dalle diverse modalità di rappresen-
tazione scenica. L’opera lirica, l’esclusività del cui pubblico tende man
mano a perdersi a partire dal secondo Ottocento, si apre al confronto
dialettico con la prosa, con la musica sinfonica e, soprattutto, con il
cinema (proprio l’arte narrativa che sta dimostrando di aver ereditato
più direttamente il patrimonio ideale e tecnico del melodramma, e che
del melodramma, proprio dai primi anni Venti, prende il posto nella
cultura di massa). Una storia dell’architettura teatrale per l’opera lirica
tra le due guerre deve, quindi, necessariamente guardare ai contributi
offerti dagli spettacoli di musica e di prosa, dal teatro popolare e di
massa, e sempre più dalla novità della proiezione e della fruizione del
prodotto cinematografico. A fronte di una evidente riduzione, in termini
strettamente quantitativi, dei teatri di nuova edificazione, si assiste inve-
ce all’impegno progettuale proprio sul fronte delle sale multifunzionali,
oltre che su quello del riadattamento di strutture storiche.
Il “teatro fascista” e i teatri italiani tra le due guerre mondiali
Sebbene la critica sia per lo più concorde nel ritenere che non vi sia
stato un “teatro fascista” espressione diretta del potere politico (e
323
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
dell’ideologia e dei valori da questo propugnati), ciò non significa
che il regime si sia disinteressato alle scene nazionali. È lo stesso
Mussolini a dichiarare: «Occorre che gli autori italiani in qualsiasi
forma d’arte o di pensiero si manifestino veramente e profondamente
interpreti del nostro tempo, che è quello della Rivoluzione fascista»2
.
Segno dell’acquisita coscienza dell’importanza propagandistica della
cultura e, quindi, anche del teatro, tra gli strumenti principali adottati
per l’organizzazione del consenso (così come della sua potenziale e
intrinseca «pericolosità»3
). Contro una “crisi” del teatro4
, sia lirico sia
di prosa, costantemente lamentata dagli operatori, il regime fascista è
fortemente impegnato a sostenere il sistema teatrale nazionale5
tramite
atti che portano dentro di sé i germi della “normalizzazione”. Fin
dal 1923 associazioni di scrittori, gestori di teatri, operatori, attori e
maestranze costituiscono la Corporazione nazionale del teatro; l’anno
successivo, a Milano, presentano la prima di una lunga serie di richie-
ste per interventi diretti del governo6
. Da qui l’inizio di quella fatale
2
Ma nel 1939 il Ministro della cultura popolare Dino Alfieri, parlando alla Camera
dei Fasci e delle Corporazioni, avrebbe dichiarato che nella produzione teatrale italiana
«al risultato quantitativo non ha corrisposto un pari risultato qualitativo, specialmente per
quanto riguarda l’auspicata nascita di un teatro drammatico che esprima i motivi ideali ed
i valori dello spirito fascista»; D. Alfieri, Il teatro italiano, in «Scenario», 6 (giugno 1939),
p. 247.
3
M. Biondi, A. Borsotti, Cultura e fascismo. Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio,
Firenze, Ponte alle Grazie, 1996, p. 265. Si veda: S. D’Amico, Storia del teatro drammatico, 4
voll., Milano, Garzanti 1950-58, vol. III., L’Ottocento e vol. IV, Il Teatro contemporaneo.
4
Lo stesso Mussolini lamenta l’assenza di una produzione teatrale fascista dai toni elevati
il 28 aprile 1933, al teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE
(Società Italiana Autori e Editori): «Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c’è,
ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va
considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L’aspetto spirituale concerne gli
autori: quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di massa, che possa
contenere 15 o 20 mila persone. La Scala rispondeva allo scopo quando un secolo fa la
popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione
è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano
le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo,
deve essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il largo respiro che
il popolo le chiede». Il discorso di Mussolini è riportato in R. Forges Davanzati, Mussolini
parla agli scrittori, in «Nuova Antologia», 3 (maggio-giugno 1933), p. 191.
5
Nel corso degli anni Trenta il regime interviene direttamente nel settore, attraverso
strumenti tra loro anche molto diversi, che vanno dalla promozione di grandi esperienze
teatrali di massa all’aperto – come i Carri di Tespi, teatri itineranti costituiti nel 1929
– fino a iniziative quali il Teatro delle Novità proposto dal Teatro Donizetti di Bergamo
(1937-73), passando per il IV Convegno della «Fondazione Alessandro Volta», dedicato a
«Il teatro drammatico» e presieduto da Luigi Pirandello (Roma, 8-14 ottobre 1934).
6
Sul fronte del sostegno pubblico alla nuova produzione, negli anni Trenta si segnalano
soprattutto casi come il Festival di Musica contemporanea alla Biennale di Venezia, a
partire dal 1930 e, dal 1937, il citato Teatro delle Novità di Bergamo.
324 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
politica di sussidi permanenti che caratterizzerà la politica fascista nel
campo della cultura e in particolare dell’attività teatrale. Nel 1930 è
istituita la Corporazione dello spettacolo; nel 1934 nasce l’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica; nel 1935 l’Ispettorato del Teatro alle
dipendenze del sottosegretariato di Stato per la Stampa e Propaganda.
Del 1936 è la legge che, sulla base di una visione del tutto pubblicistica
degli Enti lirici, consente l’apertura di nuove sale. Parallelamente, il
regime interviene da committente, direttamente oppure attraverso enti
pubblici e locali, a sostegno non soltanto della produzione drammatur-
gia, ma anche di un vasto processo di aggiornamento architettonico,
compiuto attraverso l’adeguamento delle sale esistenti e progetti (sep-
pur episodici) di nuove costruzioni. Anche numerosi soggetti privati
partecipano alla ridefinizione del panorama edilizio dei teatri italiani
e, in qualche significativo caso, anche nello specifico campo dei teatri
d’opera. Il tema dell’architettura teatrale, in particolare quella de-
stinata alle rappresentazioni liriche, non acquista, tuttavia, centralità
all’interno del confronto italiano tra le due guerre mondiali, dopo gli
altrettanto scarsi esempi dei primi anni del secolo.
Alla realizzazione dei nuovi modelli teatrali italiani sono coinvolte
molteplici discipline, dai diversi settori della musica (con la partecipa-
zione spesso diretta di compositori, direttori ed esecutori) ai professio-
nisti impegnati nel campo dell’allestimento scenico e della progettazio-
ne architettonica7
. La normativa (è del 1936 il decreto per disciplinare
la costruzione dei teatri e il loro adeguamento8
) è l’esito di un dibattito
che si sviluppa dai primi anni Venti e che è frutto diretto di indirizzi
espliciti della politica, non soltanto di quella culturale. Inevitabile,
quindi, che i teatri tra anni Venti e Quaranta rispondano direttamen-
7
Nel campo della manualistica, tra i volumi pubblicati nel corso degli anni Trenta, si
segnala in particolare: B. Moretti, Teatri. 39 esempi illustrati in 140 tavole con 130 piante e
disegni con notizie sulle vicende dell’architettura del teatro e appunti utili alla impostazione di
massima del progetto di un edificio o di una sala per spettacoli, Milano, Hoepli, 1936. Significati-
vamente, ai teatri affianca anche progetti e realizzazioni di cinematografi e sale multiuso.
8
Regio Decreto-legge 10 settembre 1936, n. 1946 «Norme per disciplinare la costruzione
dei teatri, l’adattamento di immobili a sale di spettacolo teatrale, e la concessione di licenze
per l’esercizio teatrale», che all’art. 1 recita: «L’autorizzazione per la costruzione di teatri o
l’adattamento di immobili a sale per spettacoli teatrali, per la destinazione di sale per proie-
zioni cinematografiche a teatri, per qualsiasi lavoro relativo alla costruzione, modificazione o
trasformazione di locali da destinarsi a teatri, nonché la concessione di nuove licenze di esercizio
teatrale sono subordinate al preventivo nulla osta del Ministro per la stampa e la propaganda».
L’art. 2 viene poi superato dalla Legge 30 1939, n. 2.100 «Modificazione della composizione
della Commissione per la disciplina dell’apertura di nuove sale cinematografiche» («Gazzetta
Ufficiale» n. 26, 01/02/1940).
325
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
te, seppur in misura anche sensibilmente diversa a seconda dei casi,
a esigenze e obiettivi espressi dal regime fascista. Nell’impegno della
committenza e dei progettisti nella realizzazione di impianti in luoghi
privi di strutture adeguate oppure ad adattare e aggiornare quanto
esistente, sulla base di nuove necessità tecniche e drammaturgiche, si
incontrano sia le esigenze e le richieste del pubblico, sia, soprattutto,
quelle delle maestranze: musicisti, compositori ma soprattutto registi
e direttori d’orchestra. Significativo, da questo punto di vista, è il
fatto che già nel primo decennio del secolo Arturo Toscanini, che
aveva bruscamente lasciato il Teatro alla Scala di Milano nel 1903,
vi ritorni nel 1909 soltanto alla condizione che (oltre al divieto dei
bis, da lui odiatissimi) si provveda a dotare la storica sala di una fossa
per l’orchestra. E, dopo la tappa americana al Metropolitan, sarebbe
nuovamente tornato nel 1918, da direttore artistico con pieni poteri,
per realizzare una radicale riforma del teatro, a partire dal suo appa-
rato scenico. Questi complessi e sostanziali interventi alle strutture
scaligere sono soltanto le prime di una serie di innovazioni del teatro
settecentesco progettato da Piermarini che si susseguiranno per tutto
il Novecento, con una particolare accelerazione a partire proprio dai
primi anni Trenta.
Teatri e teatri d’opera vecchi e nuovi: una prima catalogazione
Nel panorama italiano tra le due guerre mondiali coesistono in-
terventi episodici che per lo più non danno esito specificamente a
teatri lirici, ma piuttosto a edifici utilizzati per il teatro di prosa e/o
per il cinema: occasioni significative, comunque, di riflessione sul
“tipo” dell’edificio per spettacoli accessibile a un vasto pubblico,
così come indicato dallo stesso Mussolini. Tali processi di “demo-
cratizzazione” delle sale – e quindi anche dei teatri – si manifestano
ora in una nuova configurazione interna di edifici per altri versi
da considerarsi tradizionali, ora attraverso un articolato dibattito
che dai teatri all’aperto si apre al “teatro di massa”9
, in sintonia
9
Il tema, già espresso da Mussolini nei primi anni Trenta («Bisogna preparare il teatro
di masse, il teatro che possa contenere 15 o 20 mila persone», 1933), è sostenuto con
particolare vigore, tra agli altri, da Gaetano Ciocca. I testi maggiormente significativi sul
tema, pubblicati su «Quadrante» tra 1933 e 1934, sono riediti in: J. T. Schnapp (a cura
di), Gaetano Ciocca. Costruttore, inventore, agricoltore, scrittore, Milano, Skira, 2000. Il suo
«teatro di massa per 20mila persone» gode di un duraturo successo (A. Cassi Ramelli,
326 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
con quanto accade su scala internazionale, e addirittura al “teatro
globale”10
(fig. 1).
Episodico è il caso di edifici appositamente realizzati per l’opera
lirica e, significativamente, si tratta spesso di teatri di ridotte dimen-
sioni, realizzati in luoghi e da committenze non centrali nel siste-
ma italiano dell’epoca. A questi si aggiungono numerosi interventi
di riadattamento e adeguamento di strutture storiche, quali i grandi
teatri d’opera di tradizione sette-ottocentesca, da Bologna a Firenze
a Napoli: casi particolarmente importanti perché, proprio grazie alla
storia e al prestigio delle istituzioni coinvolte, costituiscono modelli di
riferimento per altre iniziative distribuite nell’intero paese. Ecceziona-
le, infine, è l’edificazione ex novo di un grande teatro d’opera, limitata
sostanzialmente al caso del concorso per il nuovo Teatro Regio di
Torino, bandito immediatamente dopo l’incendio del 1936: occasione
privilegiata, però, di confronto disciplinare, capace di dare conto di
obiettivi e strumenti a disposizione di progettisti tra loro anche molto
diversi per formazione e provenienza, da Torino a Milano a Roma,
da Annibale Rigotti a Giovanni Muzio.
L’analisi dei diversi casi propone chiavi di lettura differenti e di-
mostra la mancanza di modelli condivisi tra progettisti, addetti ai
lavori e committenti. Gli edifici realizzati, così come quelli oggetto di
interventi di restauro, riqualificazione e parziale riedificazione (esterna
e interna), illustrano criteri, esigenze ed esiti tra loro molto lontani,
che però consentono di porre in evidenza percorsi e obiettivi che
Edifici per gli spettacoli. Teatri – teatri di massa – cinema – auditori – radio e cinecentri, Milano,
Vallardi, 1945), e fornisce basi teoriche ad alcuni significativi esempi di teatri all’aperto
come quello nella Mostra d’Oltremare di Napoli (progetto di Giuseppe De Luca, 1940)
e come la cavea progettata da Ettore Sottsass sr a Torino nel complesso di Torino Espo-
sizioni (1936-38), in adiacenza al Teatro Nuovo con cui, inizialmente, condivide la torre
scenica e il palcoscenico. Soltanto l’anno prima, il tema del teatro all’aperto e quello del
teatro di massa aveva raggiunto un esito particolarmente significativo nel progetto per il
«Megateatro» a Roma di Luigi Vietti del 1935, ancora pubblicato a più di vent’anni di
distanza (R. Aloi, Architetture per lo spettacolo, Milano, Hoepli, 1958, p. LXI).
10
Significativi, da questo punto di vista, è il progetto per il Teatro mediterraneo a
Napoli (1940) nel cui interno Luigi Piccinato, secondo tendenze allora diffuse, prevede
un palcoscenico «avanzato» e «mobile», che permetta molteplici possibilità di utilizzo del
palco per l’opera lirica, per il dramma e la commedia, e per i concerti sinfonici (e non si
dimentichi l’influenza che anche in Italia ha il Totaltheater progettato nel 1926 da Walter
Gropius per il regista Erwin Piscator, certo più vicino al teatro wagneriano che al modello
dei teatri a palchi “all’italiana”). Questa compresenza di funzioni e tipologie diverse di
spettacolo è verificata, soprattutto, nelle piccole località di provincia, così come nei nuovi
edifici di committenza privata, in cui la pluralità di eventi e manifestazioni consente di
raggiungere l’obiettivo della riduzione e ottimizzazione dei costi di gestione.
327
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
contraddistinguono il dibattito tra le due guerre mondiali sulla base
di continuità e fratture rispetto tanto agli anni precedenti quanto a
quelli successivi. Primo fra tutti, emerge il carattere della cura (in
parte analoga, ma spesso più marcata, rispetto a quella riservata ai
teatri di prosa) rivolta all’inserimento dei teatri d’opera in un contesto
urbano, fatto di relazioni e gerarchie. In assoluta continuità e sintonia
con quanto viene realizzato nel corso del XIX secolo, il teatro d’opera
mantiene una propria centralità rispetto alla scala della città, della sua
identità e dei significati comunitari. La facciata è ciò che contraddi-
stingue l’immagine urbana dei nuovi teatri così come di quelli oggetto
di ricostruzioni esterne, spesso limitati al solo prospetto su piazza. È il
caso, a Roma, del Teatro Italia progettato da Angiolo Mazzoni11
nel
1925 (ma realizzato nel 1928-30): cuore del complesso destinato a
Dopolavoro ferroviario, costituisce anche il fulcro del nuovo quartiere
Nomentano, cui attribuisce una retorica dignità attraverso il magni-
loquente colonnato di ingresso (fig. 2). Analoga rilevanza urbanistica
assume il Teatro Manzoni di Pistoia che, nato nel Seicento per poi
subire una lunga serie di interventi interni ed esterni (tra cui a firma
di Antonio Bibiena nel 1755 e di Pietro Bernardini nel 1861), nel
1926 viene nuovamente ristrutturato su progetto di Luigi Manfredini.
Oltre all’ormai consueta sostituzione dei palchi a vantaggio di una
nuova galleria, ridisegna la facciata in chiave monumentale, dal piglio
fortemente scenografico grazie all’uso dell’ordine toscano e del grande
timpano spezzato (fig. 3).
A Grosseto una nuova facciata attribuisce, nel 1928, un inedito
ruolo urbano al Teatro degli Industri12
. A La Spezia, poi, è parti-
colarmente significativa la scelta di ricostruire il Teatro Civico13
del
1846 secondo un linguaggio di ispirazione Novecento, in assoluta
discontinuità con ciò che si fa negli stessi anni in altre località liguri,
come a Camogli o Chiavari (in cui si scegli di restaurare o rico-
struire, ma riproponendo il modello del teatro ottocentesco). Autore
della ricostruzione, conclusa nel 1933, è Franco Oliva14
, formatosi a
11
Cfr. Università degli Studi di Firenze – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di
Trento e Rovereto, Angiolo Mazzoni (1894-1979). Architetto ingegnere del Ministero delle Co-
municazioni, Atti del Convegno (Firenze, 13-15 dicembre 2001), Milano, Skira, 2003.
12
M. Innocenti, Il Teatro a Grosseto dal Salone delle Commedie al Teatro Comunale degli
Industri, Grosseto 1998.
13
F. Ragazzi, Teatri storici in Liguria, Genova, Sagep, 1991, pp. 157 sgg.; si veda anche:
P. Cevini, La Spezia, Genova, Sagep, 1984.
14
Si veda: A. Discovolo, Franco Oliva e l’arte del suo tempo, in «Memorie della Accade-
mia Lunigianense di scienze, lettere ed arti “Giovanni Cappellini”», La Spezia 1955; e P.
328 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
Torino alla scuola di Annibale Rigotti. Il nuovo edificio, nel pieno
del centro cittadino, assume rilevanti caratteri di rappresentanza, cui
contribuiscono le sculture in facciata di Augusto Magli. L’interno,
abbandonata la precedente organizzazione a palchi sovrapposti, ospi-
ta mille posti entro una sala rettangolare (platea, balconata, galle-
ria, loggione e alcuni palchi), funzionale anche alle rappresentazioni
di prosa e cinematografiche. Una cupola vetrata chiude l’ambiente
(figg. 4-5).
Analoghi i casi in Piemonte, ancora sul fronte dei teatri di uso
misto, del Civico Teatro Faraggiana a Novara, frutto di un radicale
restauro (Eugenio Faludi, 1935) del precedente edificio, che ne ha
modificato l’organismo e «mutato del tutto l’aspetto esteriore»15
; e
del Teatro civico di Susa, realizzato su progetto di Otto Maraini nel
1937-3816
.
L’edificio teatrale non sembra invece assumere uno specifico rilie-
vo nella gran parte delle città di nuova fondazione realizzate durante
il ventennio: né in quelle di diretta iniziativa pubblica, né in quelle
attribuibili a committenza variamente privata. È pur vero, però, che
nel caso di Torviscosa (Ud), la città-fabbrica edificata dalla Snia-
Viscosa in Friuli Venezia Giulia nel 1938-39 (anni dopo, quindi, la
conclusione della guida di Riccardo Gualino del gruppo), un teatro
viene realizzato (il progetto è di Giuseppe De Min, autore dell’intero
piano urbanistico) e gli viene anche attribuito un notevole rilievo sia
dimensionale, sia nell’equilibrio urbanistico della cittadina, affacciato
sull’esedra d’accesso allo stabilimento. A fianco del teatro viene realiz-
zato il ristoro-dopolavoro: elementi che, insieme all’assenza della casa
del fascio, certificano la relativa libertà decisionale di una committenza
privata rispetto a quella statale. Non così si può dire nella gran parte
delle città di fondazione nelle varie regioni del regno, dove, nell’as-
senza quasi generalizzata di edifici teatrali, il favore viene di norma
riservato al cinematografo. Così avviene a Guidonia (1936-37), con
l’edificio del cinema sulla Piazza del Municipio (oggi Matteotti), se-
guito in successione dalla locanda-albergo, dalla banca e dall’ufficio
Cevini, La Spezia cit., capitolo La cultura figurativa e architettonica del Novecento. «L’Eroica»
e Franco Oliva, pp. 148-158.
15
B. Moretti, Teatri cit., p. 5.
16
A. Bruno jr, Otto Maraini architetto-artista, Torino, Celid, 2004; V. Benotto, I. Giar-
dina, L. Testa, Il Teatro civico di Susa e l’opera di Otto Maraini, Tesi di laurea, Politecnico
di Torino, Facoltà di Architettura, a.a. 1996-97, relatore Carla Bartolozzi, Micaela Viglino
Davico.
329
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
postale di Giorgio Calza Bini e opposto al palazzo del comune. E
così avviene anche a Littoria (Latina), con il cinema dell’Aquila del
1933 (O. Frezzotti e C. Savoia); e ad Aprilia, con il cinematografo
decentrato nella via dei Lauri, oggi entrambi demoliti. A Sabaudia
(L. Piccinato, G. Cancellotti, A. Scalpelli e E. Montuori, 1933-34),
il teatro convive con il cinema nell’edificio del dopolavoro, affacciato
sulla piazza della Rivoluzione. Interessante è il caso dei teatri realizzati
nelle colonie italiane in Africa17
: si pensi al teatro di Asmara18
del 1920
circa, che si affianca al cinema Roma; o a quello del cinema-teatro
Berenice di Bengasi, nel progetto di Marcello Piacentini e Luigi Pic-
cinato (1927-28). Ben altro rilievo assume l’edificio teatrale nei piani
urbanistici per i nuovi interventi nelle isole del Dodecaneso, dal 1912
Isole italiane dell’Egeo19
. A Rodi, in particolare, Arnaldo Bernabiti
realizza nel 1936-37 il Teatro Giacomo Puccini20
che, coerentemente
17
Si veda, per una panoramica recente e per la relativa bibliografia e riferimenti archi-
vistici: G. Gresleri, P. G. Massarenti, Architettura italiana d’oltremare. Atlante iconografico,
Bologna, Bonomia University Press, 2008.
18
E. Denison, Ren, Y. Guang, N. Gebremedhin, Asmara: Africa’s Secret Modernist City,
Londra, Merrell, 2007.
19
Per una lettura dell’architettura nel Dodecaneso durante l’occupazione italiana, si
veda in particolare: S. Martinoli, E. Perotti (a cura di), Architettura coloniale italiana nel
Dodecaneso 1912-1943, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 1999; si veda inol-
tre: F. Fasolo, Architetture mediterranee egee. Disegnate da Furio Fasolo architetto, Roma,
Danesi, 1943; E. Papani Dea, La dominazione italiana e l’attività urbanistica ed edilizia nel
Dodecaneso, in «Storia Urbana» (numero dedicato all’Urbanistica nelle colonie. Dodecaneso,
Libia ed Etiopia), III, 8 (maggio-agosto 1979), pp. 3-47; L. Ciacci, Rodi italiana 1912-1923.
Come si inventa una città, Venezia, Marsilio, 1991; F. I. Apollonio, Architettura e città nel
Dodecaneso, in G. Gresleri, P. G. Massarenti, S. Zagnoni (a cura di), Architettura italiana
d’Oltremare 1870-1940, catalogo della mostra (Gam, Bologna, 1993-94), Venezia, Marsilio,
1993, pp. 313-321; L. Ciacci, Il Dodecaneso e la costruzione della Rodi italiana, in La pre-
senza italiana nel Dodecaneso tra il 1912 e il 1948. La ricerca archeologica. La conservazione.
Le scelte progettuali, catalogo delle mostre omonime (Rodi, 1993; Roma 1996), Catania,
Edizioni del Prisma, 1993, pp. 273-284; V. Colonas, Italian Architecture in the Dodecanese
Islands (1912-1943), Atene, Olkos, 2002; G. Gresleri, P. G. Massarenti, Architettura italiana
d’oltremare, cit., 2008, pp. 283-318.
20
I lavori, avviati durante l’amministrazione del governatore Mario Lago, sono poi
conclusi durante il mandato di Cesare Maria De Vecchi. L’edificio non corrisponde alle
aspettative della città, a causa dell’imponenza della massa muraria e delle scarse concessioni
alla leggerezza e alle decorazioni architettoniche: negli stessi anni, d’altra parte, lo stesso
Albergo delle Rose veniva spogliato delle sue decorazioni per assumere anch’esso «mole di
linea maschia e serena» («Messaggero di Rodi», 8 maggio 1937), cui contribuisce pesan-
temente il diffuso utilizzo per il rivestimento in intonaco che imita «le mura cavalleresche
in pietra di Lindo» (ibid.). Il riferimento espliciti all’architettura storica locale è soprattutto
evidente in facciata, ispirata al modello della Porta Marina. Inaugurato nel 1937 con la
Madama Butterfly di Giacomo Puccini (da cui l’intitolazione), il teatro capace di 1.200
posti diviene da subito il cuore della vita mondana di Rodi, ospitando spettacoli d’opera,
di prosa e cinematografici.
330 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
accolto nel piano regolatore disegnato nel 1926 da Florestano Di Fau-
sto, chiude il lato occidentale del “foro Littorio”, dominato nel suo
lato lungo dal Municipio e sul lato opposto dal palazzo delle Forze
armate (fig. 6). Allo stesso Bernabiti, e al medesimo torno di anni
(1936-38), si deve il cinema-teatro Roma realizzato a Portolago, città
di fondazione (l’attuale Lakki) sulla vicina isola di Leros. In questo
caso il teatro (anche cinema) definisce addirittura i limiti della piazza
principale della città. A fianco sorge l’albergo, con cui costituisce un
unico complesso edilizio, ma è la sagoma del teatro, espressionistica-
mente disegnata in forma di prua di nave, a segnare l’affaccio a mare
del nuovo capoluogo (figg. 7-8).
Un aspetto che caratterizza la progettazione di numerosi edifici
teatrali del periodo è quello della conservazione dei caratteri tipolo-
gici e distributivi del teatro di tradizione ottocentesco (sala a ferro
di cavallo, ordini sovrapposti di palchi) piegati, però, ai processi di
“democratizzazione” e di apertura al “teatro di massa”, per lo più
perseguiti attraverso la sostituzione di ordini di palchi con gallerie.
Da analoghi obiettivi ed esigenze derivano anche sperimentazioni nel
campo dell’aggiornamento della scenotecnica, sempre condotte, come
detto, in rapporto con altre tipologie di spettacolo, dalla prosa al ci-
nema. Considerata la predominanza di spettacoli leggeri, compreso il
teatro dialettale, è nei teatri aperti a utilizzi “misti” che si manifesta con
maggiore evidenza la spinta più innovativa e tipologicamente originale
di questi anni. Il teatro realizzato da Giovanni Muzio nel 1933, all’in-
terno al complesso per esposizioni e spettacoli del Palazzo dell’Arte di
Milano, è espressamente «destinato a spettacoli d’arte sperimentale»21
.
È uno dei casi maggiormente diffusi dalla pubblicistica dell’epoca, ma
altri interventi sorgono nel territorio italiano, più o meno significativi
e influenti dal punto di vista della capacità di proporre nuovi modelli
tipologici e soluzioni tecniche.
Numericamente limitati, ma capaci di esprimere esigenze e di
sintetizzare ambizioni ed esiti concreti, sono poi i casi di teatri uti-
lizzati in modo preponderante per l’attività musicale, e per quella
lirica in particolare: per questa ragione particolarmente attenti alle
caratteristiche di acustica e di visibilità. Lo storico edificio del Teatro
Lirico di Milano subisce due successivi interventi, a opera prima di
21
B. Moretti, Teatri cit., p. 1.
331
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
Eugenio Faludi nel 193222
, poi nel 1939 di Antonio Cassi Ramelli23
,
che promuove una vera e propria ricostruzione, dettata da richieste
di maggiore visibilità e di aumento dei posti disponibili (figg. 9-10).
(fig. 2). La nuova sala, con l’ardita galleria, risponde perfettamente
alle esigenze e agli obiettivi della progettazioni nello specifico settore
dei teatri lirici, già espressi proprio da Faludi, e proprio in relazio-
ne ai suoi progetti milanesi: «Rimodernare un teatro antico significa
proporsi di creare un ambiente nuovo che soddisfi alle esigenze ed ai
criteri d’oggi, attuare, per la sala, il principio fondamentale del teatro
moderno che vuole soppressa ogni separazione sociale e il teatro per le
masse»24
. Se – nella maggior parte dei numerosi casi diffusi nell’intero
territorio italiano, in cui l’esclusiva destinazione all’opera lirica lascia
spazio alla pluralità di attività, spettacoli e visioni – l’obiettivo è la
sostenibilità economica della sala e della sua gestione, queste nuove
priorità obbligano a una rinnovata ricerca nel campo di allestimenti e
di soluzioni tecniche flessibili e adattabili alle diverse attività previste.
In tutti questi teatri – siano essi riallestimenti di strutture storiche
vincolate alla propria configurazione a ordini di palchi sovrapposti,
oppure siano di nuova, completa o parziale riedificazione – il tema
centrale all’attenzione dei progettisti non è quello della visibilità da
parte del pubblico, che determina un condizionamento soltanto per le
sale di grandi dimensioni, quanto piuttosto quello della resa acustica.
Lo studio della corretta visione del palcoscenico da parte di tutti gli
spettatori costituisce un problema essenzialmente di “forma”, contra-
riamente al tema dell’acustica su cui vengono coinvolti e intervengono
professionisti specializzati.
Proprio una più diretta e maggiormente perseguita coerenza e
consequenzialità tra visione, acustica e resa architettonica e strutturale
è all’origine di quei teatri che, sebbene con frequenza enormemente
inferiore rispetto alla stagione ottocentesca, nascono tra anni Venti e
Trenta per essere specificamente destinati allo spettacolo d’opera. Si
tratta di edifici che sorgono spesso in contesti periferici dal punto di
vista geografico e culturale, laddove ancora non erano state soddisfatte
esigenze e richieste della committenza e del pubblico.
22
E. Faludi, Rimodernamento di Teatri Milanesi. Il Teatro Lirico. Il Teatro Excelsior, in
«Rassegna di Architettura», VI, 4 (aprile 1934), pp. 144-150.
23
A. Cassi Ramelli, Ricostruzione del Teatro Lirico, in «Rassegna di Architettura», XI, 10
(ottobre 1939), pp. 445-474.
24
E. Faludi, Rimodernamento di Teatri Milanesi cit., p. 144.
332 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
Inaugurato nel 1926 con la rappresentazione di «La cena delle
beffe» di Umberto Giordano, il Teatro Nuovo di Ferrara25
è progettato
dall’ingegnere Sesto Boari il quale, insieme al fratello Adamo – a lungo
impegnato all’estero, in particolare a Città del Messico dove disegna il
Teatro Nacional – realizza una sala con pianta a campana e due ordini
di gallerie decorate con stucchi e rilievi tardo Liberty, in cui inserisce
la “curva fonica Boari”, esito di studi sull’acustica dei maggiori teatri
europei e non immemore della tradizione teatrale ferrarese.
Un progetto particolarmente ambizioso si conclude in Puglia,
regione già ricca di un articolato sistema teatrale storico ma anche
impegnata in un’attardata fase novecentesca, come ben dimostra la
realizzazione nei primi anni del secolo del Petruzzelli di Bari. A San
Severo (Fg) viene realizzato una teatro appositamente per l’opera,
uno dei maggiori della regione, affidato al disegno di uno dei più
celebrati architetti “ufficiali”, Cesare Bazzani26
. Erede del Real Bor-
bone, struttura da oltre 400 posti inaugurata nel 1819 e chiusa nel
1927 (a sua volta erede del primo teatro pubblico cittadino, quello
settecentesco del Decurionato), il Teatro comunale del Littorio di San
Severo27
(questa la sua prima denominazione) viene avviato nel 1929
e concluso nel 1936. È per dimensioni il terzo teatro pugliese, dopo
il Petruzzelli e il Politeama Greco di Lecce. «Sono anche orgoglioso
come pugliese che la mia S. Severo possa glorificarsi di possedere uno
dei teatri più belli e moderni che vanti l’Italia», scrive il compositore
Umberto Giordano il 4 dicembre 1937 (figg. 11-12).
Il Teatro Cilea di Reggio Calabria viene realizzato in varie riprese
su progetto degli ingegneri Domenico De Simone, funzionario del
Ministero dei Lavori Pubblici, e Laviny, grazie all’allora ministro Giu-
25
R. C., Teatro Nuovo, lo spettacolo inaugurale, in «Gazzetta Ferrarese», 4 gennaio 1926;
S. M. Bondoni (a cura di), Teatri storici in Emilia-Romagna, Bologna, Istituto per i beni
culturali della Regione Emilia-Romagna, 1982, pp. 224-225; L. Bortolotti (a cura di),
Le stagioni del teatro. Le sedi storiche dello spettacolo in Emilia-Romagna, Bologna, Grafis,
1995, p. 165.
26
M. Giorgini, V. Tocchi, Cesare Bazzani. Un Accademico d’Italia, Milano-Perugia,
Electa-Editori Umbri Associati, 1988.
27
Sul teatro si veda: F. Giuliani, Il teatro a San Severo. Dal Real Borbone al Verdi, San
Severo, Felice Miranda Editore, 1989 (1997); M. Cristallo, Teatri di Puglia, Bari, Mario
Adda Editore, 1993, pp. 87-97; E. d’Angelo, Un secolo di teatro a Sansevero. Il Real Bor-
bone (1819-1927), Foggia, MusicArte, 2007; Id., I teatri pubblici di Sansevero dal Settecento
ai giorni nostri. L’antica passione teatrale e musicale in un grande centro della Capitanata, in
«Fogli di periferia», XVII, 1-2 (2007), pp. 73-85. Si veda inoltre: F. Giuliani, San Severo
nel Novecento. Storia, fatti e personaggi di un Secolo, San Severo, Felice Miranda Editore,
1999; E. Antonacci (a cura di), San Severo città d’arte. Nel segno di Dioniso, Foggia, Claudio
Grenzi Editore, 2006.
333
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
seppe De Nava e al sindaco Giuseppe Valentino (alla guida della città
già durante gli anni della ricostruzione dopo il terremoto del 1908). I
modelli dichiarati sono quelli massimi della tradizione italiana, il San
Carlo di Napoli per l’interno e la Scala di Milano per l’immagine
esterna28
. L’inaugurazione avviene anch’essa a più riprese, tra 1937 e
1946 (figg. 13-14).
Il teatro all’italiana e la sfida della modernità:
aggiornamento tecnico e tecnologico dal Costanzi di Roma
alla Scala di Milano
Parallelamente, durante l’intero ventennio si susseguono gli interventi
sui grandi teatri d’opera nazionali, per lo più di impianto ottocentesco
e realizzati in perfetta corrispondenza con le esigenze di socializza-
zione e autorappresentazione della società borghese dell’epoca. Gli
interventi condotti nei primi decenni del Novecento riguardano, a
fianco di una graduale apertura a un pubblico più vasto (attraverso
la realizzazione di gallerie spesso in sostituzione di ordini di palchi,
già avviate all’inizio del secolo come al Regio di Torino), soprattutto
nel campo delle componenti tecniche, volte a un aggiornamento ora
degli impianti di sicurezza, ora, invece, dei sistemi a servizio dello
spettacolo (in particolare per quanto attiene il complesso della torre
di scena). È proprio nel campo dell’adeguamento dei teatri storici
di tradizione, infatti, che si manifesta una più specifica attenzione
ai temi della scenotecnica e un più dichiarato interesse a quanto si
sta producendo in ambito internazionale. Tra anni Venti e Trenta
i lavori coinvolgono la gran parte dei maggiori teatri storici italiani,
da Roma a Firenze, spesso a completamento di progetti avviati o
soltanto previsti in chiusura del secolo precedente: la nuova facciata
di Piacentini per l’Opera di Roma, già Teatro Costanzi; la riqualifi-
cazione del settecentesco Teatro comunale di Bologna29
e dell’otto-
centesco Teatro comunale di Firenze; la riplasmazione completa di
tutti gli spazi per il pubblico della Scala di Milano, fino ai lavori agli
impianti scenici del San Carlo di Napoli. Gli interventi riguardano,
28
G. Tripepi, Il rifacimento del Teatro Comunale Francesco Cilea, Reggio Calabria, Comune
di Reggio Calabria, 1964, p. 8.
29
Si veda: R. Verti, Il Teatro Comunale di Bologna, Milano, Electa, 1998; sul progetto
originario, si veda anche: C. Ricci, I Bibiena, architetti teatrali, Milano, Alfieri e Lacroix,
1915.
334 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
di norma, tre problemi principali: l’aumento della capacità della sala
(come detto, spesso in un’ottica di “democratizzazione” del teatro
di tradizione) e il miglioramento della visibilità, ottenuta per lo più
attraverso l’introduzione delle gallerie a parziale sostituzione dei palchi
storici; l’agevolazione della circolazione del pubblico (dagli accessi
alle comunicazioni interne, fino alle vie di sfollamento); e, infine, il
miglioramento degli impianti in funzione delle nuove esigenze della
rappresentazione, tra cui l’introduzione della fossa per l’orchestra e di
inedite soluzioni per il palcoscenico, con l’obiettivo di raggiungere un
maggior rendimento, «diminuendo – come auspica Eugenio Faludi, di-
rettamente coinvolto in numerosi progetti di trasformazione – le spese
di esercizio»30
. «Questa della tirannia e della insufficienza corrente dei
nostri palcoscenici non può tornare che di danno al necessario incre-
mento della regia e della scenografia moderna»31
, chiarisce Antonio
Cassi Ramelli nel 1938.
Nel 1930 il Comune di Firenze decide di ristrutturare comple-
tamente l’edificio ottocentesco del Politeama (Telemaco Bonajuti,
1861-62), affidandone la ricostruzione ad Alessandro Giuntoli e Au-
relio Cetica, rispettivamente capo dell’Ufficio edilizia del Comune e
autore del progetto architettonico esecutivo. Si interviene sulla sala,
sia nelle logge sia nella gradinata, diminuendo il numero dei posti
a sedere, ingrandendo la fossa per l’orchestra e fornendo al nuovo
Teatro Comunale i più aggiornati meccanismi scenici. La sala riapre
il 22 aprile 1933: nell’ambito del primo Maggio Musicale Fiorentino,
Vittorio Gui dirige il «Nabucco» di Verdi.
Nel 1931 il Teatro Comunale di Bologna, realizzato tra 1756 e
1761 su progetto di Antonio Galli-Bibiena, è vittima di un incendio
che distrugge la scena: Umberto Rizzi, architetto del Comune, realizza
nel 1933 la facciata fino ad allora rimasta incompiuta e ricostruisce
strutture e immagine interna, sul modello del precedente teatro “al-
l’antica”. Riapre il 14 novembre 1935 con la «Norma» di Vincenzo
Bellini.
Anche il Teatro Donizetti di Bergamo (già Teatro Riccardi, inau-
gurato nel 1791 su progetto di A. Messeni, poi riedificato da A. Pia
nel 1897) è protagonista di un vasto piano di rinnovamento, previ-
30
E. Faludi, Rimodernamento di teatri milanesi cit., p. 144.
31
A. C. R. [A. Cassi Ramelli], presentazione in L. L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e
pannelli mobili del Teatro alla Scala di Milano, in «Rassegna di Architettura», XII, 6 (giugno
1940), p. 189.
335
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
sto attraverso un concorso pubblico (1934) per il suo adeguamento
interno. L’obiettivo32
, anche in questo caso, è quello di soddisfare
le nuove esigenze del pubblico e, soprattutto, di adeguare l’edificio
alle novità della scenotecnica. Le modifiche previste dai concorrenti
premiati33
, in alcuni casi piuttosto consistenti (soprattutto per quanto
riguarda i volumi del foyer, i palchi della sala e gli spazi sotterranei da
adibirsi a nuovi ambienti per le rappresentazioni), non trovano però
attuazione (fig. 15).
Il Teatro dell’Opera di Roma, nato su progetto di Achille Sfon-
drini (1878-80) come Teatro Costanzi (dal nome dell’impresario che
lo gestisce fino alla morte nel 1926 quando, acquistato dal Comune,
viene ribattezzato Teatro Reale dell’Opera), subisce sostanziali modi-
ficazioni sia interne sia esterne a opera di Marcello Piacentini34
. Primo
in Italia, il teatro si dota nel 1927 di un palcoscenico mobile, costituito
di 24 plance idrauliche. L’anno seguente si realizza un quarto ordine
di palchi, già previsto nel progetto di Sfondrini. Il 27 febbraio il teatro
dà inizio all’attività nella sua nuova gestione pubblica con la rappresen-
tazione del «Nerone», l’opera postuma di Arrigo Boito rappresentata
quattro anni prima alla Scala di Milano e poi a Torino (anche in quei
casi proprio l’allestimento di questo titolo aveva richiesto consistenti
adeguamenti alla strutture sceniche). Nel 1958, Piacentini torna al
Teatro dell’Opera per progettare la nuova facciata (fig. 16). A Napoli
alla fine degli anni Venti il San Carlo è protagonista di interventi so-
prattutto di tipo impiantistico, significativamente compiuti nell’ambito
32
«Una sala a ferro di cavallo con scarse risorse di visibilità almeno nelle curve che
convergono al boccascena, cinque ordini di palchi e di gallerie basse e fitte di colonnine,
pochi disimpegni, scomode scale, direi quasi malsicuri alcuni rami della struttura portante
quasi esclusivamente lignea. Ecco la parte passiva del problema – oggi comune ed urgente
forse per nove decimi delle sale teatrali che ha lascito in Italia il nostro Ottocento», cfr. A.
Cassi Ramelli, Il concorso per la sistemazione del Teatro Donizzetti a Bergamo, in «Rassegna
di Architettura», XI, 5 (maggio 1939), p. 220. Cassi Ramelli è anche membro della giuria
del concorso.
33
I premio a ingg. Giacomo Paganoni e Leone Vassali; II premio ex aequo ad arch. A.
Bregonzio e ingg. Catani e Invernizzi; e arch. Cesare Perelli; III premio a arch. Ettore Ricotti
e ing. Antonio Ricotti; cfr. A. Cassi Ramelli, Il concorso per la sistemazione del Teatro Donizzetti
cit., pp. 220-227; Il concorso per la sistemazione del Teatro G. Donizetti in Bergamo, in «L’archi-
tettura italiana», XXXIV, n. 6 (giugno 1939), pp. 175-181. Il teatro sarà poi effettivamente
restaurato soltanto tra 1958 e 1961, su progetto di Luciano Galmozzi e Pino Pizzigoni con
Eugenio Mandelli.
34
Allo stesso Piacentini si deve anche il precedente progetto, pubblicato e diffuso nel
1923, per il «Nuovo Teatro Massimo di Roma»: segnale di una totale sfiducia nelle pos-
sibilità di trasformare adeguatamente il vecchio Costanzi. Cfr. M. Piacentini, Studi per il
Teatro Massimo di Roma, Roma, Sansaini, 1923.
336 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
di una consistente serie di interventi “di regime”35
che coinvolgono le
diverse istituzioni culturali cittadine (fig. 17). Il Teatro alla Scala di
Milano, realizzato su progetto di Giuseppe Piermarini nel 1776 per
conto dall’Arciduca Ferdinando e riconosciuto modello di teatro “di
tradizione”, è oggi in gran parte esito di una diffusa riconfigurazione
novecentesca, che ha riguardato strutture, decorazioni, impianti e,
più complessivamente, l’immagine stessa dell’edificio con cui oggi si
presenta al pubblico. Dopo gli interventi compiuti nel primo decennio
del secolo – nel 1907 vengono portate a compimento la prima galle-
ria, smantellando i 24 palchi rimanenti del quinto ordine su cui già
si era intervenuti nel 1891, e la fossa d’orchestra, voluta da Arturo
Toscanini; del 1909 è la riforma del loggione con la realizzazione della
seconda galleria –, la proprietà dei palchi passa nel 1921 dai privati
al Comune di Milano36
e il teatro viene costituito in Ente autonomo
(forma istituzionale che conserva fino al 1997, anno del passaggio a
fondazione). L’affermazione dell’identità assolutamente “municipale”
della Scala – da cui le crescenti risorse e le energie destinate dai privati
al “proprio” teatro – si manifesta in anni che sono profondamente
segnati dal ruolo di Toscanini che, da direttore musicale, promuo-
ve un progetto artistico fondato sul rinnovamento delle consuetudini
esecutive. Alla nuova architettura istituzionale corrisponde un gene-
rale riassetto del teatro con la ristrutturazione del palcoscenico – che
consente di accogliere allestimenti più impegnativi e di moltiplicare il
numero delle recite – e modifiche agli adiacenti Casino Reale e Casino
Ricordi, ai corridoi, ai servizi sanitari, al guardaroba, ai locali delle
masse artistiche, agli impianti di illuminazione e ai magazzini per le
scene. Nel 1930 vengono ancora una volta riverniciati i parapetti dei
palchi e delle gallerie e rinnovata la doratura in porporina degli ornati
in cartapesta dei parapetti stessi. Il rivestimento delle pareti interne dei
palchi viene unificato, sostituendo con un damasco rosso di seta gli
svariati rivestimenti precedentemente adottati in autonomia dai diversi
proprietari dei palchi: «la dominante “rossa” della Scala si consolida
proprio negli anni ’30»37
, tanto da costituire ancora oggi l’immagine
35
Alto Commissario per la Città e Provincia (a cura di), Napoli. Le opere del regime dal
settembre 1925 al giugno 1930, Napoli, Francesco Giannini & figli, 1930, pp. 237-254.
36
Su questa fase, fino ai lavori di restauro condotti su progetto di Mario Botta tra 2000
e 2004, si veda: C. Di Francesco (a cura di), Il Teatro alla Scala. La Magnifica Fabbrica,
Milano, Electa, 2005, e in particolare, C. Fontana, La Scala nella sua veste istituzionale,
pp. 20-25.
37
E. Fabbri, Una storia della fabbrica, cit., p. 39.
337
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
contemporanea (ma assunta come “storica”) della Scala. Il radicale
rinnovamento del teatro rispetto al teatro ottocentesco (che già ave-
va in parte negato l’edificio piermariniano) si deve all’ingegner Luigi
Lorenzo Secchi, funzionario interno del Comune di Milano, che viene
incaricato nel 193238
di assumere la progettazione e la direzione tecni-
co-artistica della Scala39
. A lui, che del teatro affidatogli si autodefini-
sce «innovatore e ricostruttore»40
(ma anche progettista e manutentore,
oltre che gestore attento agli aspetti economico-finanziari), si deve la
gran parte dell’attuale architettura degli spazi di servizio e di quelli per
il pubblico. Nel suo articolato e organico intervento di uniformazione
stilistica, compiuto fra 1932 e 1972, Secchi procede lungo un doppio
binario. Da una parte, si muove sulla base di considerazioni essenzial-
mente “stilistiche”, con l’obiettivo prioritario di rendere il teatro più
“consono”, in senso estetico prima ancora che funzionale, allo spirito
del suo tempo (cioè alla borghesia del ’900), alle sue esigenze, alle
sue abitudini e al gusto mutato; così trascurando e spesso negando il
valore storico e materiale della fabbrica, e la sua stessa “autenticità”41
.
Dall’altra parte, dopo i danni bellici dell’agosto 1943, riconosce il
valore formale e simbolico della sala – fin dagli anni Trenta l’unica
parte dell’edificio di Piermarini a cui, insieme con la facciata, Secchi
attribuisca un valore monumentale – e procede alla sua ricostruzione
secondo un rigoroso spirito “filologico”. Secchi alterna così interventi
di innovazione – sulla base di scelte “di necessità”, assunte anche in
maniera disinvolta laddove ritiene che non esistano vincoli «di rispetto
artistico» – ad altri di conservazione, secondo un concetto di ripri-
stino ove, dichiara, «fosse stato possibile avere traccia del passato»42
.
In entrambi i casi, sempre guidato dal criterio di continuità con la
preesistenza43
, ma senza alcuna necessità di una rigorosa distinzione
38
Il 1932 è anche l’anno in cui assume la direzione della Scala Jenner Mataloni, primo so-
vrintendente affiancato dal direttore Victor De Sabata. A loro, così come a Secchi, si deve la
grande qualità, vivacità e autonomia, in campo sia artistico sia gestionale, dimostrata dal teatro
durante gli anni difficili del fascismo.
39
Sull’opera di Secchi, si veda soprattutto L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala.
Architettura. Tradizione. Società, Milano, Electa, 1977; e, inoltre, F. Armani (a cura di),
La Scala 1946-1956, Milano, Edizioni della Scala, 1956; e il recente E. Susani (a cura di),
Milano dietro le quinte. Luigi Lorenzo Secchi, Milano, Electa, 1999.
40
L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala cit., p. 165.
41
E. Fabbri, Una storia della fabbrica. Dall’Unità d’Italia all’ultimo decennio del Novecento,
in Il Teatro alla Scala. La Magnifica Fabbrica cit., pp. 39-40.
42
L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala cit., p. 165.
43
L. Scazzosi, Il “ricostruttore” del teatro alla Scala, in Milano dietro le quinte cit., p.
163.
338 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
tra questa e i nuovi interventi (come prescritto, tra l’altro, dalla Carta
italiana del Restauro approvata proprio nel 1932). La continuità “sti-
listica” legittima la scelta, tra i primi interventi significativi (1933-34),
di sostituire le scale in beola, realizzate da Piermarini per accedere al
loggione, con nuove scale in cemento armato (fig. 18).
Preceduto dalla rasatura a gesso dei corridoi che occulta gli in-
tonaci a finto marmo, Secchi presenta nel 1936 il progetto, vistato
da Marcello Piacentini44
, per la costruzione del ridotto al livello dei
palchi: un nuovo vasto salone colonnato in marmo bianco di Pietra-
santa che accorpa ambienti e corridoi preesistenti. In perfetta analogia
e a distanza di un ventennio, nel 1955 Secchi progetta il nuovo foyer
(ridotto di platea), che cancella la suddivisione degli ambienti al piano
terreno ancora risalente al progetto di Piermarini, e nel 1957 il nuovo
ridotto delle gallerie (figg. 19-20).
È lui stesso a indicarne ragioni e obiettivi: «Il nuovo atrio di accesso
ha sostituito, con una nota di gaia eleganza, il disadorno corridoio di
un tempo […]; al fine di mantenere tutta la sua armonia all’ambiente
scaligero l’architettura si è intonata, nella struttura e nella decorazione,
allo stile impero, sia pure vagliato attraverso una sensibilità libera-
mente moderna»45
. Il tutto, condotto attraverso una «unitarietà di stile
con la grande sala»46
, organicamente perseguita lungo quasi un qua-
rantennio di successivi interventi, condotti alla scala sia architettonica
sia degli arredi completamente ridisegnati «in quello stile neoclassico
detto anche “nuovo impero”»47
. Alla Scala si realizzano anche quelle
innovazioni tecniche, come e più di quanto non sia stato possibile
negli altri grandi teatri d’opera nazionali: dagli apparati scenici al pal-
coscenico, dall’impianto di sollevamento a quello elettrico, fino alle
luci e ai servizi48
. L’innovazione più significativa, esito ultimo di una
44
Ivi, p. 169 e 184, n. 37.
45
L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala cit., p. 165.
46
Ibid.
47
Ivi, p. 172.
48
Le trasformazioni architettoniche non si limitano al solo teatro ma anche a porzioni attigue,
già nei primi anni Trenta ritenute strettamente funzionali al soddisfacimento delle esigenze del
pubblico. Il Caffè del Teatro, posto sotto il porticato del Casino Ricordi adiacente al teatro,
viene completamente riallestito da Ferdinando Reggiori nel 1931-32 (G. Marussig, Il Caffè del
Teatro dell’arch. Ferdinando Peggiori, in «Rassegna di Architettura», IV, 5, 15 maggio 1932, pp.
217-222). Il 1913, anno di inaugurazione del Museo teatrale alla Scala sul primo nucleo della
Collezione Sambon, è anche l’anno dello “scandalo” dell’affitto del piano terreno dell’adiacente
Casino Ricordi al Calzaturificio di Varese, “deplorevole offesa al decoro cittadino”: parte dei
muri portanti sono sostituiti con colonne in ghisa e il cortile viene coperto con ferro e vetro. Il
tutto confluisce nel progetto del 1931 di Reggiori per il nuovo ristorante caffetteria Biffi.
339
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
serie di interventi analoghi in altre strutture italiane e internazionali,
è la trasformazione del vecchio palcoscenico, già adeguato da Cesare
Albertini nel 192149
ma tuttora «in legno, a due palchi fissi sovrap-
posti, impostati sui settecenteschi piloni portaguide»50
. Per quanto a
conoscenza delle innovazioni tecnologiche e delle diverse soluzioni
possibili, Secchi dimostra un’estrema cautela – relativa sia agli aspetti
tecnici sia a quelli economici e di manutenzione degli impianti – che
lo porta ad optare per la soluzione a ponti mobili, «perché assai più
pratica di quella girevole [...]; né si credette opportuno adottare il
palcoscenico a piani sovrapposti [...] perché il complesso edilizio della
Scala, nonostante tutti gli accorgimenti posti in atto per ringiovanirlo,
tradisce talvolta gli anni che ha, e certe riforme, troppo radicali, non
le può sopportare»51
. Analogamente, nella ricerca del sistema di mo-
vimentazione meccanica viene scartato quello «ad argani, a tamburo,
a vite od a cremagliera»52
, a vantaggio di un sistema idraulico a stan-
tuffi «con l’esclusione di qualsiasi comando elettrico diretto»53
. Così
modificato l’impianto sette-ottocentesco del palcoscenico, Secchi «ha
messo in grado il Teatro alla Scala di avere possibilità sceniche pari
alle possibilità liriche»54
(figg. 21-24).
Il nuovo Teatro Regio di Torino: il concorso e il confronto
sulla nuova architettura teatrale
È però con il concorso di ricostruzione del Teatro Regio di Torino
che il dibattito sul “nuovo” teatro lirico novecentesco trova finalmente
l’occasione per svilupparsi appieno in ambito disciplinare (e non solo),
49
C. Albertini, Il rinnovamento del Teatro alla Scala di Milano, Milano, Stucchi, Ceretti
e C., 1921, estratto da «Il Giornale dell’Associazione nazionale degli architetti italiani»,
II, 6-7 e 8 (15 maggio-1 giugno 1921); si veda anche V. Ferrari, Il Teatro della Scala nella
vita e nell’arte dalle origini ad oggi, Milano, Libr. Ed. Politecnica-C. Tamburini, 1922.
Albertini è impegnato alla Scala in quanto Direttore dell’Ufficio Edilità e Urbanesimo
del Comune di Milano.
50
L. L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del teatro alla Scala, dattiloscritto
per Id., Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala di Milano cit. (conservato
presso Politecnico di Milano, Fondo Luigi Lorenzo Secchi, busta B27 Palcoscenico A); cfr.
L. Scazzosi, Il “ricostruttore” del teatro alla Scala cit., p. 164. Si veda anche Il palcoscenico
del Teatro alla Scala: storia, documenti, progetti, Milano, Milano per la Scala, 1997.
51
L. L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala cit., p. 189.
52
Ivi, p. 190.
53
Ivi, p. 191.
54
Ivi, p. 192.
340 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
attraverso un significativo confronto tra modelli e opzioni possibili,
grazie alla partecipazione di progettisti italiani appartenenti a scuole e
generazioni differenti. La ricostruzione del vecchio Teatro Regio – che,
commissionato da Carlo Emanuele III a Filippo Juvarra e realizzato
da Benedetto Alfieri nel 1740, è quasi completamente distrutto da un
incendio nel 1936 – consente anche di portare il tema dell’architettura
teatrale all’attenzione del più vasto pubblico e del dibattito politico e
istituzionale, che si esercita lungamente sul significato e sugli obiettivi
di un teatro “moderno”, “democratico” e, insieme, “monumentale”
nel solco della tradizione cittadina. Proprio i gravi disaccordi, oltre che
le difficoltà finanziarie dell’epoca, posticipano l’effettiva ricostruzione
dell’edificio fino al celebrato progetto di Carlo Mollino e Marcello
Zavelani Rossi, inaugurato soltanto nel 1973 (fig. 25).
L’inizio del secolo produce numerose e significative migliorie al
teatro55
, diversamente tese all’aggiornamento tecnologico delle strut-
ture e all’aumento della capienza: scelte entrambe destinate al raffor-
zamento dell’accresciuta “popolarità”, di cui il teatro è protagonista.
Nel 1901 il Regio viene chiuso dalla Commissione di vigilanza per
le sue precarie condizioni. Dopo lunghe riflessioni sull’opportunità e
le modalità dell’eventuale edificazione di un nuovo teatro cittadino
(più vasto e soprattutto più “accessibile”), nel 1904 vengono infine
affidati consistenti lavori di ristrutturazione a Ferdinando Cocito – a
cui si deve, in particolare, l’ampliamento del palcoscenico e il miglio-
ramento delle vie d’accesso e di fuga – e, per le parti decorative, a
Giorgio Ceragioli. Nella sala rinnovata gli ultimi due ordini di palchi
sono sostituiti da tre gallerie, tali da portare la capienza complessiva
a circa 3.000 spettatori. La veste maggiormente “popolare” del tea-
55
Sul Teatro Regio di Torino nel Novecento si veda: A. Brizio, Storia e rinascita del teatro,
in Il nuovo Teatro Regio di Torino, numero speciale di «Atti e Rassegna Tecnica della Società
degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», n.s., XXVII, 9-10 (settembre-ottobre 1973),
pp. 1-15; A. Basso (a cura di), Storia del Teatro Regio di Torino, 4 voll., Torino, Cassa di
Risparmio di Torino, 1976-88, in particolare vol. IV, L. Tamburini, L’architettura dalle
origini al 1936, 1983, pp. 179-182; e L. Tamburini, La via del ritorno, in A. Basso (a cura
di), Il nuovo Teatro Regio di Torino Torino, Cassa di Risparmio di Torino, 1991, pp. 3-21;
L. Tamburini, La ricostruzione, in A. Basso (a cura di), L’arcano incanto. Il Teatro Regio di
Torino 1740-1990, Milano, Electa, 1991, pp. 688-697. Si veda inoltre, per questioni non
strettamente architettoniche, E. Fubini, La musica a Torino: tra conservazione e innovazione,
in V. Castronovo, N. Tranfaglia, R. Gabetti et alii, Torino tra le due guerre, Torino, Città
di Torino, Assessorato per la Cultura, Musei civici, 1978, pp. 228-243; G. R. Morteo, Il
teatro: specchi e miti di una città, ivi, pp. 228-243; G. Pestelli, La musica a Torino. 1919-35,
in F. Mazzini, V. Castronovo, R. Gabetti et alii, Torino 1920-1936 cit.; L. Tamburini, I
teatri di Torino. Storia e cronache, Torino, Edizioni dell’Albero, 1966.
341
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
tro torinese diviene specchio dei cambiamenti sociali in corso. Ma
l’intervento strutturale di maggiore consistenza prima dell’incendio
del 1936 è quello del 1924 per la nuova torre di scena, inaugurata
il 21 marzo 1925 da Arturo Toscanini che – salvo quattro concerti
nella stagione 1904-05 – mancava dal Regio dal 1898. L’opera rap-
presentata, con un allestimento di estrema complessità e sfarzo alla
presenza delle autorità politiche locali e nazionali, è il «Nerone» di
Arrigo Boito: il medesimo spettacolo con cui si era inaugurata l’anno
precedente la Scala di Milano (anche in quel caso, dopo consisten-
ti modifiche alle scene), e con cui sarebbe stato riaperto il Teatro
Reale dell’Opera di Roma nel 1928, dopo gli interventi condotti da
Piacentini (fig. 26).
Nella notte fra l’8 e il 9 febbraio 1936, mentre è in cartellone
«Liolà» di Giuseppe Mulè, si sviluppa l’incendio che distrugge «com-
pletamente» – come certifica la «Relazione di Perizia» stilata il 31 marzo
1937 dalla Società Reale Mutua Assicurazioni per il Municipio – «il
palcoscenico, con tutti gli scenari, le attrezzature, i meccanismi e gli
impianti relativi, la sala del pubblico con i palchi, compreso il Palco
Reale, le gallerie e l’arredamento relativo. Distrutte pure le ricche
decorazioni, le pitture, gli stucchi, le dorature ecc. rese inservibili le
strutture in ferro di sostegno del soffitto della sala e del sovrastante
tetto»56
. Risultano analogamente «avariate» le strutture di cemento ar-
mato del palcoscenico, le murature interne e gli orizzontamenti dei
locali adiacenti. I muri perimetrali dell’edificio, benché parzialmente
sopravvissuti, sono pericolanti e devono essere abbattuti.
La fase immediatamente successiva all’incendio prevede, tra le
diverse opzioni contemplate, anche una ricostruzione «completamente
libera» del teatro, sulla medesima area del Regio distrutto oppure su
un’area differente; poi, ci si orienta verso una ricostruzione del teatro
storico, con ordini sovrapposti di palchi, gallerie e palco reale: solu-
zione “in analogia” con il teatro precedente la quale, sebbene sia poi
soggetta a ripetute modifiche, condiziona l’intero iter di progettazione
del nuovo edificio, almeno fino alla differente soluzione adottata da
Mollino.
56
«Società Reale Mutua Assicurazioni. Polizza n. 136243 – Agenzia di Torino Ditta
Assicurata: Municipio di Torino. Teatro Regio. Periti: dr. Ing. Annibale Taccone per la
soc. Reale Mutua, cav. Arch. Ing. Paolo Musso per la Ditta Assicurata. Torino, 31 marzo
1937-XV», documento allegato in L. Tamburini, L’architettura dalle origini al 1936 cit.,
pp. 499-502. Sull’incendio si veda anche: V. Mazzonis, L’incendio (9 febbraio 1936), in Il
Teatro Regio di Torino, Torino, Eada, 1970, pp. 194-196.
342 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
Il concorso di primo grado per la ricostruzione del Regio, bandito
nel 193757
, prevede uno «studio di massima, inteso a indicare l’im-
postazione strutturale e la disposizione dei vari elementi», oltre allo
studio del palcoscenico. Partecipano 27 progetti, di cui 10 accedono
alla seconda fase, per cui è prevista la consegna degli elaborati il 3
novembre 193758
. Tra i non selezionati, il progetto di Arrigo Tedesco
Rocca ed Enrico Pellegrini59
, mentre saranno esclusi dal secondo grado
Annibale e Giorgio Rigotti e Rivetti-Ventura «per occupazione di area
superiore a quella prescritta dal bando di concorso»60
(fig. 27-29).
Tra i requisiti richiesti per la nuova sala, «il carattere di regalità
proveniente dalla tradizione del vecchio teatro, dalla sua posizione e
destinazione, dal suo stesso organismo concepito ancora nella forma
ibrida che aveva assunto dopo gli ultimi adattamenti con palchi e galle-
rie amplissime»61
. Soprattutto, il Comune di Torino sembra chiedere,
almeno nella prima fase di concorso, non un teatro “qualunque”, bensì
«il teatro “Regio”, così come doveva risorgere dalle ceneri di quello
incendiato, con la sua tradizione fastosa e mondana»62
. Il bando preve-
de una grande sala, inizialmente destinata a 3.500 spettatori (il Regio
di Cocito del 1904, con le nuove gallerie, raggiungeva i 3.000 posti
a sedere), poi ridotti a 2.700 tra primo e secondo grado. Questione
che appare da subito centrale è quella dell’inserimento nel contesto di
piazza Castello e della “zona di comando” sabauda, oltremodo signi-
ficativo dal punto di vista dell’identità architettonica e della memoria
civica. Al proposito, Emilio Zanzi scrive sulla «Gazzetta del Popolo»:
«Il teatro, legato com’è, forma e colore, alla vecchia piazza, piacerà ai
57
Il concorso viene deliberato il 21 dicembre 1936, approvato dalla Prefettura il 30 gennaio
dell’anno successivo e pubblicato il 4 febbraio, con scadenza il 4 giugno. L’iter del concorso e
i suoi risultati sono seguiti dalla stampa nazionale: si veda, in particolare, Il concorso per la rico-
struzione del teatro Regio a Torino, in «Rassegna di Architettura», X, 2 (febbraio 1938), pp. 62-76;
e Concorso per la ricostruzione del Teatro Regio a Torino, in «L’Architettura italiana», XXXIII, 1
(gennaio 1938), pp. 38-41; Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio a Torino, ivi, XXXIII,
3 (marzo 1938), pp. 75-105.
58
Nel marzo 1938 «L’Architettura italiana» diretta da Armando Melis, la rivista torinese
che più di tutte segue il lungo iter del concorso, lo definisce «veramente eccezionale per
numero di concorrenti, bellezza di elaborati e ricchezza di premi»; Il concorso per la rico-
struzione del Teatro Regio a Torino, ivi, p. 75.
59
Il progetto dei due architetti è diffusamente illustrato in Il concorso di primo grado per la
ricostruzione del Teatro Regio di Torino. Progetto degli architetti Arrigo Tedesco Rocca ed Enrico
Pellegrini, in «L’Architettura italiana», XXXII, 9 (settembre 1937), pp. 272-284.
60
Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio di Torino, in «L’Architettura italiana»,
XXXIII, 3 (marzo 1938), p. 78.
61
Ivi, p. 76.
62
Ivi, p. 84.
343
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
torinesi per la sua piemontesità di stile [...]. Non sarà un teatro, come si
dice, novecentesco quale potrebbe sorgere in una città tutta nuova»63
.
Si aggiunge poi il problema, scrive in questo caso Marziano Bernardi
su «La Stampa», «di tener conto di certe tradizionali abitudini del
popolo torinese, ed anche di alcuni motivi sentimentali per i quali
ad un teatro alquanto aulico ed in un certo senso veramente regale
difficilmente sarebbe stato consentito di nascere in veste che radi-
calmente spezzasse e rivoluzionasse tali abitudini e tali sentimenti»64
.
L’intero dibattito successivo – non soltanto disciplinare, ma allargato
alle istituzioni, alla stampa nazionale e locale e all’opinione pubblica
– corre sul doppio binario di questi temi; analogamente, le valutazioni
della giuria65
mirano a soddisfare le medesime esigenze di “rispetto”
insieme del contesto – fino a considerare «postulato irrinunciabile»66
la conservazione della continuità dei portici lungo piazza Castello – e
del carattere aulico della sala precedente. Inevitabilmente, questi sono
i criteri a cui si ispira l’intero processo di valutazione del concorso,
tra primo e secondo grado. Alla seconda fase risultano premiati, con
100.000 lire, Aldo Morbelli e Robaldo Morozzo della Rocca67
(con
l’ingegnere A. Momo saranno poi vincitori nel 1936 del concorso per il
teatro Nuovo di Verona68
): cosicché ancora Bernardi può commentare
63
E. Zanzi, Il nuovo «Regio», in «Gazzetta del Popolo», 24 dicembre 1937.
64
M. Bernardi, Come sarà ricostruito il Teatro Regio di Torino, in «La Stampa», 24 di-
cembre 1937.
65
La Commissione giudicatrice, composta tra gli altri da Virgilio Marchi e Vittorio Ballio
Morpurgo (oltre a rappresentanti politici e istituzionali; cfr. Il concorso per la ricostruzione
del Teatro Regio cit., p. 80), dichiara di essersi dedicata all’esame di quei progetti «che
meglio rispondono alle varie esigenze di un grande teatro sotto il profilo della visibilità,
del funzionamento dei servizi di palcoscenico, della facilità degli accessi e infine della più
efficace e nobile espressione artistica», e di essere ben cosciente della «difficoltà di innestare
la moderna sala a gradinate su tradizionale vaso a palchetti» (ibid.).
66
L. Tamburini, La via del ritorno, cit., p. 9.
67
Il materiale di concorso è parzialmente conservato presso l’Archivio Aldo Morbelli di
Torino. Si veda inoltre: G. Manfredi, Il Teatro Regio, in «Rassegna Municipale Torino»,
XVII, 12 (1937), pp. 3-24. Sulle vicende dell’area, fino al progetto di Carlo Mollino del
1965, si veda: M. Comba, Un teatro nell’Accademia Militare: quarant’anni di ricostruzione del
Regio di Torino, in «Quaderni storici», XLII, n. 2, agosto 2007, pp. 517-548; sul progetto
di Mollino: B. Astolfi, L. Bruno, M. Comba, P. Napoli, C. Olmo, Il fantasma del Regio,
in S. Pace (a cura di), Carlo Mollino architetto 1905-1973. Costruire la modernità, catalogo
della mostra (Torino, 12 ottobre 2006-7 gennaio 2007), Milano, Electa, 2006, pp. 177-
213; si veda inoltre Il nuovo Teatro Regio di Torino, numero speciale di «Atti e Rassegna
Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», n.s., XXVII, 9-10
(settembre-ottobre 1973).
68
G. Morbelli, Aldo Morbelli architetto a Torino, 1903-1963, in «Atti e Rassegna Tecnica
della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», XXXVIII, 6 (dicembre 2003),
pp. 193-214.
344 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
che «l’abilità degli architetti vincitori è consistita appunto nel presen-
tare un progetto che, pur ricco di spunti originali, pure aperto a cor-
renti moderne specialmente nei particolari, mentre risulta tipicamente
torinese si può definire un progetto di conciliazione»69
. Due premi da
20.000 lire vanno a Ottorino Aloisio e al gruppo costituito da Ettore
Sottsass sr, Umberto Cuzzi e Emilio Pifferi; un premio da 15.000
lire al gruppo di Giovanni Muzio70
e dell’ing. C. B. Negri; premio da
15.000 lire al gruppo di Ezio Lorenzelli e Ettore Tam «per i particolari
studi di acustica e le soluzioni specifiche trovate». Nessun premio, ma
rimborso delle spese, per gli altri partecipanti (figg. 30-38).
Il progetto Morbelli-Morozzo della Rocca risulta il prediletto della
giuria che apprezza l’intero complesso delle scelte adottate, a partire
dalla cura dell’inserimento nel contesto monumentale di piazza Castel-
lo, mentre gli «altri concorrenti demarcano invece la sopraelevazione
del palcoscenico in forma di massiccia altana più o meno elevata»71
.
In particolare, la sala di Morbelli e Morozzo della Rocca mostra il
chiaro riferirsi all’antica pianta a ferro di cavallo del precedente Tea-
tro Regio, sebbene appaia maggiormente svasata, con due ordini di
palchi (compreso il palco reale su doppio ordine, come nella vecchia
sala) e due di gallerie che, insieme alla platea, accolgono 3.423 posti
complessivi (di cui ben 2.242 nelle gallerie) (fig. 39-47).
Il progetto vincitore è corredato dalle gouaches di Enrico Paulucci:
un altro artista del Gruppo dei Sei di Torino coinvolto in un grande
progetto di architettura teatrale. Analogamente, Sottsass, Cuzzi e Pif-
feri chiamano a collaborare alle decorazioni Felice Casorati, “maestro”
del Gruppo. Più di un decennio prima era stata la volta di Gigi Chessa,
chiamato dall’industriale, collezionista e mecenate Riccardo Gualino
ad allestire gli interni del Teatro di Torino, esito della trasformazione
dell’ottocentesco Teatro Scribe (Carlo Charbonnet e Daniele Ruffi-
noni, 1925)72
.
69
M. Bernardi, Come sarà ricostruito il Teatro Regio di Torino, cit.
70
Già nel 1928, Muzio progetta la sala da concerti di Milano, non realizzata; del 1932-33
è il Palazzo dell’Arte al parco Sempione di Milano, con il Teatro dell’Arte. Nessun progetto
specifico, però, dedicato al teatro d’opera è prodotto prima della partecipazione al concorso
torinese. Cfr. F. Irace, Giovanni Muzio 1893-1982. Opere, Milano, Electa, 1994.
71
Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio cit., p. 80.
72
A Gualino negli stessi anni si deve un’intensa attività nel campo della gestione di nuovi
spazi teatrali, dal teatrino privato realizzato nella residenza cittadina di via Galliari da Felice
Casorati e Alberto Sartoris (1924) alla nuova sala della villa collinare, disegnata dai Busiri
Vici nel 1928. Sull’argomento, si rimanda a: A. Martini, L’impegno privato e la passione
pubblica, dall’Europa all’Italia. Riccardo Gualino tra teatro, musica e danza, 1923-1931, in
345
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
Dopo l’affidamento dell’incarico il 6 giugno 1938 a Morbelli e
Morozzo della Rocca, la consegna del progetto definitivo al Servizio
Tecnico di Lavori Pubblici il 16 novembre e l’approvazione da parte
del Consiglio Superiore dei LL.PP del 12 aprile 1939, il primo ago-
sto avviene la consegna dei lavori all’impresa Bonomi e Federici di
Roma. L’ultimazione del cantiere è annunciata per il febbraio 1942.
Sospesi i lavori durante gli anni del conflitto, il primo, nuovo grande
teatro lirico progettato in Italia tra le due guerre mondiali non vede
la luce. In seguito a difficoltà, polemiche, ritardi e ben sette varianti,
l’ultima delle quali nel 1962 (il 25 settembre 1963 viene addirittura
posta la prima pietra e avviato il cantiere), il progetto di Morbelli e
Morozzo della Rocca viene definitivamente abbandonato nel 196373
.
Carlo Mollino è prima coinvolto come membro di una commissione
tecnica di revisione del precedente progetto (insieme con Ottorino
Aloisio, Mario Dezzutti, Armando Melis, Giovanna Battista Ricci e
Vittorio Viale74
), per poi essere definitivamente incaricato del nuovo
Teatro il 31 maggio 1965. Il nuovo Regio non risponderà se non in
minima parte al precedente progetto Morbelli-Morozzo della Rocca,
nato nel pieno del dibattito tra le due guerre. Ormai il teatro d’ope-
ra, la sua percezione pubblica e le sue caratteristiche tecniche sono
profondamente mutate rispetto alla fase precedente. La nuova sala di
Mollino mantiene la continuità sinuosa di quella di Morbelli, abolendo
però quasi interamente la suddivisione sociale a vantaggio di un’in-
differenziata platea, segno del (preteso) nuovo carattere democratico
dei teatri degli anni Sessanta e Settanta.
S. Santini, L. Mozzoni (a cura di), Architettura dell’Eclettismo. Il rapporto tra l’architettura
e le arti (1930-1960), Napoli, Liguori, 2009, pp. 105-138.
73
Città di Torino, Ufficio Tecnico de Lavori Pubblici, Dis. I, Ricostruzione del Teatro
Regio, planimetrie del Teatro Regio e sue variazioni 1936 e 1956.
74
Sulla partecipazione di Viale, allora direttore dei Musei civici torinesi, al dibattito
sulla ricostruzione del Regio si veda: Archivio dei Musei civici di Torino (AMCT), SCD
10. 1955 «Corrispondenza del Direttore».
346 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
1. Gaetano Ciocca, progetto di un teatro di massa per 20mila spettatori: 10.636 in
platea, 9.599 in quattro gallerie sovrapposte; da A. Cassi Ramelli, Edifici per gli spet-
tacoli. Teatri – teatri di massa – cinema – auditori – radio e cinecentri, Milano, Vallardi,
1945.
347
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
2. Roma. Il Teatro Italia progettato da Angiolo Mazzoni nel 1925, cuore del nuovo
quartiere Nomentano a Roma; cartolina d’epoca, collezione privata.
348 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
3. Pistoia. La nuova facciata del Teatro Manzoni di Luigi Manfredini, 1926; cartolina
d’epoca, collezione privata.
349
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
4. La Spezia. Il Teatro Civico, progettato da Franco Oliva e concluso nel 1933, è
destinato a rappresentazioni liriche, di prosa e cinematografiche; fotografia di Ales-
sandro Martini (2007).
350 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
5. La Spezia. Ricostruzione della sala del 1846, il Teatro Civico sostituisce alla pre-
cedente organizzazione a palchi sovrapposti un sistema di platea, balconata, galleria,
loggione e palchi; da F. Ragazzi, Teatri storici in Liguria, Genova, Sagep, 1991.
351
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
6. Rodi (Grecia). Il Teatro Giacomo Puccini di Arnaldo Bernabiti, 1936-37; fotografia
d’epoca, collezione privata.
7. Portolago (attuale Lakki, nell’isola di Leros, Grecia). Il cinema-teatro Roma realiz-
zato da Arnaldo Bernabiti, 1936-38; fotografia d’epoca, Archivio Storico della Città
di Lakki.
352 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
8. Portolago. Il cine-teatro Roma, cuore della città di fondazione; fotografia d’epoca,
Archivio Storico della Città di Lakki.
9. Milano. La sala del Teatro Lirico dopo gli interventi del 1932 su progetto di
Eugenio Faludi; da E. Faludi, Rimodernamenti di Teatri Milanesi: il Teatro Lirico e il
Teatro Excelsior, in «Rassegna di Architettura», VI, 12 (aprile 1934).
353
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
10. Milano. La sala del Teatro Lirico, dopo la ricostruzione del 1939 su progetto di
Antonio Cassi Ramelli; da A. Cassi Ramelli, Ricostruzione del Teatro Lirico, in «Ras-
segna di Architettura», XI, 10 (ottobre 1939).
354 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
11. San Severo (Fg). Cesare Bazzani, il nuovo Teatro Comunale del Littorio (ora
Verdi), 1925-36: realizzato appositamente per l’opera lirica, è uno dei maggiori della
regione; da M. Giorgini, V. Tocchi, Cesare Bazzani. Un Accademico d’Italia, Milano-
Perugia, Electa-Editori Umbri Associati, 1988.
12. San Severo (Fg). Vista interna del Teatro Comunale, con i tre ordini di plachi
sovrapposti e le due gallerie superiori; cartolina postale, collezione privata.
355
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
13. Reggio Calabria. Il Teatro comunale Francesco Cilea viene realizzato in varie
riprese su progetto di Domenico De Simone e Laviny, e inaugurato nel 1931; cartolina
postale, collezione privata.
14. Reggio Calabria. La sala del Teatro comunale Francesco Cilea a fine anni Trenta,
prima delle trasformazioni degli anni Sessanta (arch. Guido Tripepi); da G. Tripepi,
Il rifacimento del Teatro Comunale Francesco Cilea, Reggio Calabria, Comune di Reggio
Calabria, 1964.
356 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
15. Bergamo. La sala del Teatro Donizetti nel progetto di A. Bregonzio, II premio
ex aequo nel concorso del 1934, con le due gallerie che sovrastano il doppio ordine
di palchi; da A. Cassi Ramelli, Il concorso per la sistemazione del Teatro Donizzetti a
Bergamo, in «Rassegna di Architettura», XI, 5 (maggio 1939).
16. Roma. Marcello Piacentini, nuova facciata per il Teatro Reale dell’Opera, già
Teatro Costanzi, 1927.
357
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
17. Napoli. Le nuove strutture di copertura della torre scenica nel Teatro San Carlo;
da Napoli. Le opere del regime dal settembre 1925 al giugno 1930, Napoli, Francesco
Giannini & figli, 1930.
358 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
18. Milano. La nuova scala di accesso al loggione del Teatro alla Scala, realizzata da
Luigi Lorenzo Secchi nel 1933-34 in sostituzione della precedente in beola, su pro-
getto di Giuseppe Piermarini a fine Settecento; in L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro
alla Scala. Architettura, Tradizione, Società, Milano, Electa, 1977.
359
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
19. Milano. Il foyer al piano terreno del Teatro alla Scala (ridotto di platea) realizzato
nel 1955 su progetto di Secchi; ivi.
360 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
20. Milano. Il nuovo ridotto dei palchi del Teatro alla Scala (in basso), progettato da
Secchi nel 1936: una ampio salone colonnato in sostituzione dei precedenti ambienti
(in alto); ivi.
361
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
21. Milano. La pianta del palcoscenico del Teatro alla Scala con l’indicazione dei
sei ponti e dei sette travi portarivetti del nuovo palcoscenico a ponti e panelli mobili
realizzato alla fine della stagione 1938 da Secchi; da L.L. Secchi, Il palcoscenico a
ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala di Milano, in «Rassegna di Architettura»,
XII, 6 (giugno 1940).
22. Milano. Una sezione di un ponte mobile a tre elementi sfalsati, parallela al boc-
cascena, del nuovo palcoscenico del Teatro alla Scala; ivi.
362 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
23. Modello di palcoscenico mobile adottato per il Convention Hall di Philadelphia;
da B. Moretti, Teatri. 39 esempi illustrati [...], Milano, Hoepli, 1936.
24. Schemi dei palcoscenici per la Festpielhaus di Bayreuth e per il Teatro Reale di
Roma; ivi.
363
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
25. Torino. La sala del Teatro Regio, 10 marzo 1932: la configurazione interna mostra
le modifiche di Ferdinando Cocito (1904), con le tre gallerie sovrapposte al doppio
ordine di palchi; Archivio Storico del Teatro Regio di Torino.
364 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
26. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. Sala; Archivio Morbelli, Torino.
27. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto Annibale e Giorgio
Rigotti. Facciata; da «L’Architettura italiana», XXXIII, 3 (marzo 1938).
365
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
28. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto Annibale e Giorgio
Rigotti. Vista della sala; ivi.
29. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto Annibale e Giorgio
Rigotti. Sezione longitudinale; ivi.
366 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
30. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto O. Aloisio. Facciata
su piazza Castello; ivi.
367
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
31. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto O. Aloisio. Vista
della sala; ivi.
368 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
32. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Sottsass sr, U.
Cuzzi e E. Pifferi. Facciata “A”; ivi.
33. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Sottsass sr, U.
Cuzzi e E. Pifferi. Facciata “B”; ivi.
369
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
34. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Sottsass sr, U.
Cuzzi e E. Pifferi. Vista della sala; ivi.
35. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto G. Muzio e C. B.
Negri. Facciata, ivi.
370 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
36. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto G. Muzio e C. B.
Negri. Vista della sala; ivi.
371
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
37. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Lorenzelli e E.
Tam. Facciata; ivi.
38. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Lorenzelli e E.
Tam. Vista della sala; ivi
372 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
39. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Mo-
rozzo della Rocca. Facciata “A” con i portici tamponati; Archivio Morbelli, Torino.
40. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Mo-
rozzo della Rocca. Facciata “B” con i portici liberi; Archivio Morbelli, Torino.
373
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
41. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. Pianta a piano terra del progetto “A” e del progetto “B”;
Archivio Morbelli, Torino.
374 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
42. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. Pianta dell’interrato e del primo ordine dei palchi; Archivio
Morbelli, Torino.
375
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
43. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. Sezione longitudinale; da G. Manfredi, Il Teatro Regio, in
«Rassegna Municipale Torino», XVII, 12 (1937).
376 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
44. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Mo-
rozzo della Rocca. Ridotto. Gouache di Enrico Paulucci; Archivio Morbelli, Torino.
377
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
45. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. Sala. Gouache di Enrico Paulucci; ivi.
378 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO
46. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. L’atrio e la saletta per concerti. Gouaches di Enrico Paulucci;
da S. Manfredi, Il Teatro Regio, cit.
379
TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
47. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R.
Morozzo della Rocca. Palco. Gouache di Enrico Paulucci; ivi.

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  • 1. TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI. MODELLI, PROTAGONISTI, PROGETTI di Alessandro Martini Tutti gli istituti d’arte, dal teatro al museo, dalla galleria all’accademia devono essere considerati come scuole, come luoghi cioè destinati non solo alla cultura e molto meno alla curiosità, ma preparati per educare il gusto e la sensibilità, per alimentare l’immaginazione, per tener desta la meraviglia, per raffinare le doti più alte e potenti dell’anima. Così l’arte, sottratta a speculazioni troppo mercantili e portata a contatto delle moltitudini che ad essa come alla religione domandano un sovrumano conforto, costituirà una delle fonti perenni di vita del popolo italiano. Benito Mussolini, discorso alle associazioni artistiche, 20 maggio 1924 Il panorama dell’architettura teatrale italiana del primo Novecento – nonostante le sporadiche pretese di innovazione e le fratture proposte da figure e in contesti per lo più isolati per quanto “eccellenti” – mostra un sostanziale continuità con quanto proposto dalla vicenda ottocentesca. Vale ancora, per il maggior numero dei casi e per la gran parte del ven- tennio tra le due guerre mondiali, quanto Daniele Donghi proponeva, nel 1888, in vista della realizzazione di un nuovo teatro d’opera da lui stesso progettato a Torino: la ricerca di «un teatro popolare, ma non volendo rinunciare del tutto ai palchi, né volendo introdurre novità, che non sarebbero state bene accolte, si è data alla sala la solita forma a ferro di cavallo, e la si è composta di platea con barcacce, di un ordine di palchi e di due gallerie ad anfiteatro»1 . Significative novità formali – soltanto “suggerite” da Donghi – non vengono introdotte almeno fino a Nove- 1 D. Donghi (a cura di), Manuale dell’Architetto, volume II. La composizione architettonica. Parte I. La distribuzione, Utet, Torino 1925, pp. 577-578 (i corsivi sono di chi scrive).
  • 2. 322 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO cento inoltrato, e il teatro all’italiana – con ordini di palchi sovrappo- sti – permane come unico vero modello di riferimento tra anni Venti e Trenta. Nonostante alcune soluzioni tipologicamente innovative, il riferimento al teatro di tradizione è ancora ampiamente presente nella gran parte dei progetti presentati nel 1937 al concorso per la ricostru- zione del Teatro Regio di Torino, prima vera occasione di confronto disciplinare, aperta a scuole e generazioni tra loro anche molto lontane. L’unica importante novità del ventennio – che caratterizza sia le nuove (rare) edificazioni sia i più diffusi e consistenti interventi di restauro e riallestimento di sale storiche – è quella di un diffuso inserimento di gallerie in sostituzione di ordini di palchi preesistenti, con l’obiettivo insieme di migliorare la visuale degli spettatori e, soprattutto, di aprire i teatri d’opera a un nuovo, più vasto pubblico. Piuttosto che sul fronte dell’innovazione tipologica, la spinta propulsiva va quindi a tutto van- taggio dell’aggiornamento nel campo delle strutture, degli impianti e soprattutto della scenotecnica: tutte soluzioni che, introducendo nuove condizioni oggettive, aprono a inedite possibilità espressive, modificano l’ambiente sociale e influiscono sulle forme tradizionali dello spettacolo. Dai primi anni del Novecento molte soluzioni progettuali in campo architettonico sono ormai condivise dalle diverse modalità di rappresen- tazione scenica. L’opera lirica, l’esclusività del cui pubblico tende man mano a perdersi a partire dal secondo Ottocento, si apre al confronto dialettico con la prosa, con la musica sinfonica e, soprattutto, con il cinema (proprio l’arte narrativa che sta dimostrando di aver ereditato più direttamente il patrimonio ideale e tecnico del melodramma, e che del melodramma, proprio dai primi anni Venti, prende il posto nella cultura di massa). Una storia dell’architettura teatrale per l’opera lirica tra le due guerre deve, quindi, necessariamente guardare ai contributi offerti dagli spettacoli di musica e di prosa, dal teatro popolare e di massa, e sempre più dalla novità della proiezione e della fruizione del prodotto cinematografico. A fronte di una evidente riduzione, in termini strettamente quantitativi, dei teatri di nuova edificazione, si assiste inve- ce all’impegno progettuale proprio sul fronte delle sale multifunzionali, oltre che su quello del riadattamento di strutture storiche. Il “teatro fascista” e i teatri italiani tra le due guerre mondiali Sebbene la critica sia per lo più concorde nel ritenere che non vi sia stato un “teatro fascista” espressione diretta del potere politico (e
  • 3. 323 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI dell’ideologia e dei valori da questo propugnati), ciò non significa che il regime si sia disinteressato alle scene nazionali. È lo stesso Mussolini a dichiarare: «Occorre che gli autori italiani in qualsiasi forma d’arte o di pensiero si manifestino veramente e profondamente interpreti del nostro tempo, che è quello della Rivoluzione fascista»2 . Segno dell’acquisita coscienza dell’importanza propagandistica della cultura e, quindi, anche del teatro, tra gli strumenti principali adottati per l’organizzazione del consenso (così come della sua potenziale e intrinseca «pericolosità»3 ). Contro una “crisi” del teatro4 , sia lirico sia di prosa, costantemente lamentata dagli operatori, il regime fascista è fortemente impegnato a sostenere il sistema teatrale nazionale5 tramite atti che portano dentro di sé i germi della “normalizzazione”. Fin dal 1923 associazioni di scrittori, gestori di teatri, operatori, attori e maestranze costituiscono la Corporazione nazionale del teatro; l’anno successivo, a Milano, presentano la prima di una lunga serie di richie- ste per interventi diretti del governo6 . Da qui l’inizio di quella fatale 2 Ma nel 1939 il Ministro della cultura popolare Dino Alfieri, parlando alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, avrebbe dichiarato che nella produzione teatrale italiana «al risultato quantitativo non ha corrisposto un pari risultato qualitativo, specialmente per quanto riguarda l’auspicata nascita di un teatro drammatico che esprima i motivi ideali ed i valori dello spirito fascista»; D. Alfieri, Il teatro italiano, in «Scenario», 6 (giugno 1939), p. 247. 3 M. Biondi, A. Borsotti, Cultura e fascismo. Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, 1996, p. 265. Si veda: S. D’Amico, Storia del teatro drammatico, 4 voll., Milano, Garzanti 1950-58, vol. III., L’Ottocento e vol. IV, Il Teatro contemporaneo. 4 Lo stesso Mussolini lamenta l’assenza di una produzione teatrale fascista dai toni elevati il 28 aprile 1933, al teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE (Società Italiana Autori e Editori): «Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c’è, ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L’aspetto spirituale concerne gli autori: quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di massa, che possa contenere 15 o 20 mila persone. La Scala rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le chiede». Il discorso di Mussolini è riportato in R. Forges Davanzati, Mussolini parla agli scrittori, in «Nuova Antologia», 3 (maggio-giugno 1933), p. 191. 5 Nel corso degli anni Trenta il regime interviene direttamente nel settore, attraverso strumenti tra loro anche molto diversi, che vanno dalla promozione di grandi esperienze teatrali di massa all’aperto – come i Carri di Tespi, teatri itineranti costituiti nel 1929 – fino a iniziative quali il Teatro delle Novità proposto dal Teatro Donizetti di Bergamo (1937-73), passando per il IV Convegno della «Fondazione Alessandro Volta», dedicato a «Il teatro drammatico» e presieduto da Luigi Pirandello (Roma, 8-14 ottobre 1934). 6 Sul fronte del sostegno pubblico alla nuova produzione, negli anni Trenta si segnalano soprattutto casi come il Festival di Musica contemporanea alla Biennale di Venezia, a partire dal 1930 e, dal 1937, il citato Teatro delle Novità di Bergamo.
  • 4. 324 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO politica di sussidi permanenti che caratterizzerà la politica fascista nel campo della cultura e in particolare dell’attività teatrale. Nel 1930 è istituita la Corporazione dello spettacolo; nel 1934 nasce l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica; nel 1935 l’Ispettorato del Teatro alle dipendenze del sottosegretariato di Stato per la Stampa e Propaganda. Del 1936 è la legge che, sulla base di una visione del tutto pubblicistica degli Enti lirici, consente l’apertura di nuove sale. Parallelamente, il regime interviene da committente, direttamente oppure attraverso enti pubblici e locali, a sostegno non soltanto della produzione drammatur- gia, ma anche di un vasto processo di aggiornamento architettonico, compiuto attraverso l’adeguamento delle sale esistenti e progetti (sep- pur episodici) di nuove costruzioni. Anche numerosi soggetti privati partecipano alla ridefinizione del panorama edilizio dei teatri italiani e, in qualche significativo caso, anche nello specifico campo dei teatri d’opera. Il tema dell’architettura teatrale, in particolare quella de- stinata alle rappresentazioni liriche, non acquista, tuttavia, centralità all’interno del confronto italiano tra le due guerre mondiali, dopo gli altrettanto scarsi esempi dei primi anni del secolo. Alla realizzazione dei nuovi modelli teatrali italiani sono coinvolte molteplici discipline, dai diversi settori della musica (con la partecipa- zione spesso diretta di compositori, direttori ed esecutori) ai professio- nisti impegnati nel campo dell’allestimento scenico e della progettazio- ne architettonica7 . La normativa (è del 1936 il decreto per disciplinare la costruzione dei teatri e il loro adeguamento8 ) è l’esito di un dibattito che si sviluppa dai primi anni Venti e che è frutto diretto di indirizzi espliciti della politica, non soltanto di quella culturale. Inevitabile, quindi, che i teatri tra anni Venti e Quaranta rispondano direttamen- 7 Nel campo della manualistica, tra i volumi pubblicati nel corso degli anni Trenta, si segnala in particolare: B. Moretti, Teatri. 39 esempi illustrati in 140 tavole con 130 piante e disegni con notizie sulle vicende dell’architettura del teatro e appunti utili alla impostazione di massima del progetto di un edificio o di una sala per spettacoli, Milano, Hoepli, 1936. Significati- vamente, ai teatri affianca anche progetti e realizzazioni di cinematografi e sale multiuso. 8 Regio Decreto-legge 10 settembre 1936, n. 1946 «Norme per disciplinare la costruzione dei teatri, l’adattamento di immobili a sale di spettacolo teatrale, e la concessione di licenze per l’esercizio teatrale», che all’art. 1 recita: «L’autorizzazione per la costruzione di teatri o l’adattamento di immobili a sale per spettacoli teatrali, per la destinazione di sale per proie- zioni cinematografiche a teatri, per qualsiasi lavoro relativo alla costruzione, modificazione o trasformazione di locali da destinarsi a teatri, nonché la concessione di nuove licenze di esercizio teatrale sono subordinate al preventivo nulla osta del Ministro per la stampa e la propaganda». L’art. 2 viene poi superato dalla Legge 30 1939, n. 2.100 «Modificazione della composizione della Commissione per la disciplina dell’apertura di nuove sale cinematografiche» («Gazzetta Ufficiale» n. 26, 01/02/1940).
  • 5. 325 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI te, seppur in misura anche sensibilmente diversa a seconda dei casi, a esigenze e obiettivi espressi dal regime fascista. Nell’impegno della committenza e dei progettisti nella realizzazione di impianti in luoghi privi di strutture adeguate oppure ad adattare e aggiornare quanto esistente, sulla base di nuove necessità tecniche e drammaturgiche, si incontrano sia le esigenze e le richieste del pubblico, sia, soprattutto, quelle delle maestranze: musicisti, compositori ma soprattutto registi e direttori d’orchestra. Significativo, da questo punto di vista, è il fatto che già nel primo decennio del secolo Arturo Toscanini, che aveva bruscamente lasciato il Teatro alla Scala di Milano nel 1903, vi ritorni nel 1909 soltanto alla condizione che (oltre al divieto dei bis, da lui odiatissimi) si provveda a dotare la storica sala di una fossa per l’orchestra. E, dopo la tappa americana al Metropolitan, sarebbe nuovamente tornato nel 1918, da direttore artistico con pieni poteri, per realizzare una radicale riforma del teatro, a partire dal suo appa- rato scenico. Questi complessi e sostanziali interventi alle strutture scaligere sono soltanto le prime di una serie di innovazioni del teatro settecentesco progettato da Piermarini che si susseguiranno per tutto il Novecento, con una particolare accelerazione a partire proprio dai primi anni Trenta. Teatri e teatri d’opera vecchi e nuovi: una prima catalogazione Nel panorama italiano tra le due guerre mondiali coesistono in- terventi episodici che per lo più non danno esito specificamente a teatri lirici, ma piuttosto a edifici utilizzati per il teatro di prosa e/o per il cinema: occasioni significative, comunque, di riflessione sul “tipo” dell’edificio per spettacoli accessibile a un vasto pubblico, così come indicato dallo stesso Mussolini. Tali processi di “demo- cratizzazione” delle sale – e quindi anche dei teatri – si manifestano ora in una nuova configurazione interna di edifici per altri versi da considerarsi tradizionali, ora attraverso un articolato dibattito che dai teatri all’aperto si apre al “teatro di massa”9 , in sintonia 9 Il tema, già espresso da Mussolini nei primi anni Trenta («Bisogna preparare il teatro di masse, il teatro che possa contenere 15 o 20 mila persone», 1933), è sostenuto con particolare vigore, tra agli altri, da Gaetano Ciocca. I testi maggiormente significativi sul tema, pubblicati su «Quadrante» tra 1933 e 1934, sono riediti in: J. T. Schnapp (a cura di), Gaetano Ciocca. Costruttore, inventore, agricoltore, scrittore, Milano, Skira, 2000. Il suo «teatro di massa per 20mila persone» gode di un duraturo successo (A. Cassi Ramelli,
  • 6. 326 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO con quanto accade su scala internazionale, e addirittura al “teatro globale”10 (fig. 1). Episodico è il caso di edifici appositamente realizzati per l’opera lirica e, significativamente, si tratta spesso di teatri di ridotte dimen- sioni, realizzati in luoghi e da committenze non centrali nel siste- ma italiano dell’epoca. A questi si aggiungono numerosi interventi di riadattamento e adeguamento di strutture storiche, quali i grandi teatri d’opera di tradizione sette-ottocentesca, da Bologna a Firenze a Napoli: casi particolarmente importanti perché, proprio grazie alla storia e al prestigio delle istituzioni coinvolte, costituiscono modelli di riferimento per altre iniziative distribuite nell’intero paese. Ecceziona- le, infine, è l’edificazione ex novo di un grande teatro d’opera, limitata sostanzialmente al caso del concorso per il nuovo Teatro Regio di Torino, bandito immediatamente dopo l’incendio del 1936: occasione privilegiata, però, di confronto disciplinare, capace di dare conto di obiettivi e strumenti a disposizione di progettisti tra loro anche molto diversi per formazione e provenienza, da Torino a Milano a Roma, da Annibale Rigotti a Giovanni Muzio. L’analisi dei diversi casi propone chiavi di lettura differenti e di- mostra la mancanza di modelli condivisi tra progettisti, addetti ai lavori e committenti. Gli edifici realizzati, così come quelli oggetto di interventi di restauro, riqualificazione e parziale riedificazione (esterna e interna), illustrano criteri, esigenze ed esiti tra loro molto lontani, che però consentono di porre in evidenza percorsi e obiettivi che Edifici per gli spettacoli. Teatri – teatri di massa – cinema – auditori – radio e cinecentri, Milano, Vallardi, 1945), e fornisce basi teoriche ad alcuni significativi esempi di teatri all’aperto come quello nella Mostra d’Oltremare di Napoli (progetto di Giuseppe De Luca, 1940) e come la cavea progettata da Ettore Sottsass sr a Torino nel complesso di Torino Espo- sizioni (1936-38), in adiacenza al Teatro Nuovo con cui, inizialmente, condivide la torre scenica e il palcoscenico. Soltanto l’anno prima, il tema del teatro all’aperto e quello del teatro di massa aveva raggiunto un esito particolarmente significativo nel progetto per il «Megateatro» a Roma di Luigi Vietti del 1935, ancora pubblicato a più di vent’anni di distanza (R. Aloi, Architetture per lo spettacolo, Milano, Hoepli, 1958, p. LXI). 10 Significativi, da questo punto di vista, è il progetto per il Teatro mediterraneo a Napoli (1940) nel cui interno Luigi Piccinato, secondo tendenze allora diffuse, prevede un palcoscenico «avanzato» e «mobile», che permetta molteplici possibilità di utilizzo del palco per l’opera lirica, per il dramma e la commedia, e per i concerti sinfonici (e non si dimentichi l’influenza che anche in Italia ha il Totaltheater progettato nel 1926 da Walter Gropius per il regista Erwin Piscator, certo più vicino al teatro wagneriano che al modello dei teatri a palchi “all’italiana”). Questa compresenza di funzioni e tipologie diverse di spettacolo è verificata, soprattutto, nelle piccole località di provincia, così come nei nuovi edifici di committenza privata, in cui la pluralità di eventi e manifestazioni consente di raggiungere l’obiettivo della riduzione e ottimizzazione dei costi di gestione.
  • 7. 327 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI contraddistinguono il dibattito tra le due guerre mondiali sulla base di continuità e fratture rispetto tanto agli anni precedenti quanto a quelli successivi. Primo fra tutti, emerge il carattere della cura (in parte analoga, ma spesso più marcata, rispetto a quella riservata ai teatri di prosa) rivolta all’inserimento dei teatri d’opera in un contesto urbano, fatto di relazioni e gerarchie. In assoluta continuità e sintonia con quanto viene realizzato nel corso del XIX secolo, il teatro d’opera mantiene una propria centralità rispetto alla scala della città, della sua identità e dei significati comunitari. La facciata è ciò che contraddi- stingue l’immagine urbana dei nuovi teatri così come di quelli oggetto di ricostruzioni esterne, spesso limitati al solo prospetto su piazza. È il caso, a Roma, del Teatro Italia progettato da Angiolo Mazzoni11 nel 1925 (ma realizzato nel 1928-30): cuore del complesso destinato a Dopolavoro ferroviario, costituisce anche il fulcro del nuovo quartiere Nomentano, cui attribuisce una retorica dignità attraverso il magni- loquente colonnato di ingresso (fig. 2). Analoga rilevanza urbanistica assume il Teatro Manzoni di Pistoia che, nato nel Seicento per poi subire una lunga serie di interventi interni ed esterni (tra cui a firma di Antonio Bibiena nel 1755 e di Pietro Bernardini nel 1861), nel 1926 viene nuovamente ristrutturato su progetto di Luigi Manfredini. Oltre all’ormai consueta sostituzione dei palchi a vantaggio di una nuova galleria, ridisegna la facciata in chiave monumentale, dal piglio fortemente scenografico grazie all’uso dell’ordine toscano e del grande timpano spezzato (fig. 3). A Grosseto una nuova facciata attribuisce, nel 1928, un inedito ruolo urbano al Teatro degli Industri12 . A La Spezia, poi, è parti- colarmente significativa la scelta di ricostruire il Teatro Civico13 del 1846 secondo un linguaggio di ispirazione Novecento, in assoluta discontinuità con ciò che si fa negli stessi anni in altre località liguri, come a Camogli o Chiavari (in cui si scegli di restaurare o rico- struire, ma riproponendo il modello del teatro ottocentesco). Autore della ricostruzione, conclusa nel 1933, è Franco Oliva14 , formatosi a 11 Cfr. Università degli Studi di Firenze – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Angiolo Mazzoni (1894-1979). Architetto ingegnere del Ministero delle Co- municazioni, Atti del Convegno (Firenze, 13-15 dicembre 2001), Milano, Skira, 2003. 12 M. Innocenti, Il Teatro a Grosseto dal Salone delle Commedie al Teatro Comunale degli Industri, Grosseto 1998. 13 F. Ragazzi, Teatri storici in Liguria, Genova, Sagep, 1991, pp. 157 sgg.; si veda anche: P. Cevini, La Spezia, Genova, Sagep, 1984. 14 Si veda: A. Discovolo, Franco Oliva e l’arte del suo tempo, in «Memorie della Accade- mia Lunigianense di scienze, lettere ed arti “Giovanni Cappellini”», La Spezia 1955; e P.
  • 8. 328 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO Torino alla scuola di Annibale Rigotti. Il nuovo edificio, nel pieno del centro cittadino, assume rilevanti caratteri di rappresentanza, cui contribuiscono le sculture in facciata di Augusto Magli. L’interno, abbandonata la precedente organizzazione a palchi sovrapposti, ospi- ta mille posti entro una sala rettangolare (platea, balconata, galle- ria, loggione e alcuni palchi), funzionale anche alle rappresentazioni di prosa e cinematografiche. Una cupola vetrata chiude l’ambiente (figg. 4-5). Analoghi i casi in Piemonte, ancora sul fronte dei teatri di uso misto, del Civico Teatro Faraggiana a Novara, frutto di un radicale restauro (Eugenio Faludi, 1935) del precedente edificio, che ne ha modificato l’organismo e «mutato del tutto l’aspetto esteriore»15 ; e del Teatro civico di Susa, realizzato su progetto di Otto Maraini nel 1937-3816 . L’edificio teatrale non sembra invece assumere uno specifico rilie- vo nella gran parte delle città di nuova fondazione realizzate durante il ventennio: né in quelle di diretta iniziativa pubblica, né in quelle attribuibili a committenza variamente privata. È pur vero, però, che nel caso di Torviscosa (Ud), la città-fabbrica edificata dalla Snia- Viscosa in Friuli Venezia Giulia nel 1938-39 (anni dopo, quindi, la conclusione della guida di Riccardo Gualino del gruppo), un teatro viene realizzato (il progetto è di Giuseppe De Min, autore dell’intero piano urbanistico) e gli viene anche attribuito un notevole rilievo sia dimensionale, sia nell’equilibrio urbanistico della cittadina, affacciato sull’esedra d’accesso allo stabilimento. A fianco del teatro viene realiz- zato il ristoro-dopolavoro: elementi che, insieme all’assenza della casa del fascio, certificano la relativa libertà decisionale di una committenza privata rispetto a quella statale. Non così si può dire nella gran parte delle città di fondazione nelle varie regioni del regno, dove, nell’as- senza quasi generalizzata di edifici teatrali, il favore viene di norma riservato al cinematografo. Così avviene a Guidonia (1936-37), con l’edificio del cinema sulla Piazza del Municipio (oggi Matteotti), se- guito in successione dalla locanda-albergo, dalla banca e dall’ufficio Cevini, La Spezia cit., capitolo La cultura figurativa e architettonica del Novecento. «L’Eroica» e Franco Oliva, pp. 148-158. 15 B. Moretti, Teatri cit., p. 5. 16 A. Bruno jr, Otto Maraini architetto-artista, Torino, Celid, 2004; V. Benotto, I. Giar- dina, L. Testa, Il Teatro civico di Susa e l’opera di Otto Maraini, Tesi di laurea, Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura, a.a. 1996-97, relatore Carla Bartolozzi, Micaela Viglino Davico.
  • 9. 329 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI postale di Giorgio Calza Bini e opposto al palazzo del comune. E così avviene anche a Littoria (Latina), con il cinema dell’Aquila del 1933 (O. Frezzotti e C. Savoia); e ad Aprilia, con il cinematografo decentrato nella via dei Lauri, oggi entrambi demoliti. A Sabaudia (L. Piccinato, G. Cancellotti, A. Scalpelli e E. Montuori, 1933-34), il teatro convive con il cinema nell’edificio del dopolavoro, affacciato sulla piazza della Rivoluzione. Interessante è il caso dei teatri realizzati nelle colonie italiane in Africa17 : si pensi al teatro di Asmara18 del 1920 circa, che si affianca al cinema Roma; o a quello del cinema-teatro Berenice di Bengasi, nel progetto di Marcello Piacentini e Luigi Pic- cinato (1927-28). Ben altro rilievo assume l’edificio teatrale nei piani urbanistici per i nuovi interventi nelle isole del Dodecaneso, dal 1912 Isole italiane dell’Egeo19 . A Rodi, in particolare, Arnaldo Bernabiti realizza nel 1936-37 il Teatro Giacomo Puccini20 che, coerentemente 17 Si veda, per una panoramica recente e per la relativa bibliografia e riferimenti archi- vistici: G. Gresleri, P. G. Massarenti, Architettura italiana d’oltremare. Atlante iconografico, Bologna, Bonomia University Press, 2008. 18 E. Denison, Ren, Y. Guang, N. Gebremedhin, Asmara: Africa’s Secret Modernist City, Londra, Merrell, 2007. 19 Per una lettura dell’architettura nel Dodecaneso durante l’occupazione italiana, si veda in particolare: S. Martinoli, E. Perotti (a cura di), Architettura coloniale italiana nel Dodecaneso 1912-1943, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 1999; si veda inol- tre: F. Fasolo, Architetture mediterranee egee. Disegnate da Furio Fasolo architetto, Roma, Danesi, 1943; E. Papani Dea, La dominazione italiana e l’attività urbanistica ed edilizia nel Dodecaneso, in «Storia Urbana» (numero dedicato all’Urbanistica nelle colonie. Dodecaneso, Libia ed Etiopia), III, 8 (maggio-agosto 1979), pp. 3-47; L. Ciacci, Rodi italiana 1912-1923. Come si inventa una città, Venezia, Marsilio, 1991; F. I. Apollonio, Architettura e città nel Dodecaneso, in G. Gresleri, P. G. Massarenti, S. Zagnoni (a cura di), Architettura italiana d’Oltremare 1870-1940, catalogo della mostra (Gam, Bologna, 1993-94), Venezia, Marsilio, 1993, pp. 313-321; L. Ciacci, Il Dodecaneso e la costruzione della Rodi italiana, in La pre- senza italiana nel Dodecaneso tra il 1912 e il 1948. La ricerca archeologica. La conservazione. Le scelte progettuali, catalogo delle mostre omonime (Rodi, 1993; Roma 1996), Catania, Edizioni del Prisma, 1993, pp. 273-284; V. Colonas, Italian Architecture in the Dodecanese Islands (1912-1943), Atene, Olkos, 2002; G. Gresleri, P. G. Massarenti, Architettura italiana d’oltremare, cit., 2008, pp. 283-318. 20 I lavori, avviati durante l’amministrazione del governatore Mario Lago, sono poi conclusi durante il mandato di Cesare Maria De Vecchi. L’edificio non corrisponde alle aspettative della città, a causa dell’imponenza della massa muraria e delle scarse concessioni alla leggerezza e alle decorazioni architettoniche: negli stessi anni, d’altra parte, lo stesso Albergo delle Rose veniva spogliato delle sue decorazioni per assumere anch’esso «mole di linea maschia e serena» («Messaggero di Rodi», 8 maggio 1937), cui contribuisce pesan- temente il diffuso utilizzo per il rivestimento in intonaco che imita «le mura cavalleresche in pietra di Lindo» (ibid.). Il riferimento espliciti all’architettura storica locale è soprattutto evidente in facciata, ispirata al modello della Porta Marina. Inaugurato nel 1937 con la Madama Butterfly di Giacomo Puccini (da cui l’intitolazione), il teatro capace di 1.200 posti diviene da subito il cuore della vita mondana di Rodi, ospitando spettacoli d’opera, di prosa e cinematografici.
  • 10. 330 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO accolto nel piano regolatore disegnato nel 1926 da Florestano Di Fau- sto, chiude il lato occidentale del “foro Littorio”, dominato nel suo lato lungo dal Municipio e sul lato opposto dal palazzo delle Forze armate (fig. 6). Allo stesso Bernabiti, e al medesimo torno di anni (1936-38), si deve il cinema-teatro Roma realizzato a Portolago, città di fondazione (l’attuale Lakki) sulla vicina isola di Leros. In questo caso il teatro (anche cinema) definisce addirittura i limiti della piazza principale della città. A fianco sorge l’albergo, con cui costituisce un unico complesso edilizio, ma è la sagoma del teatro, espressionistica- mente disegnata in forma di prua di nave, a segnare l’affaccio a mare del nuovo capoluogo (figg. 7-8). Un aspetto che caratterizza la progettazione di numerosi edifici teatrali del periodo è quello della conservazione dei caratteri tipolo- gici e distributivi del teatro di tradizione ottocentesco (sala a ferro di cavallo, ordini sovrapposti di palchi) piegati, però, ai processi di “democratizzazione” e di apertura al “teatro di massa”, per lo più perseguiti attraverso la sostituzione di ordini di palchi con gallerie. Da analoghi obiettivi ed esigenze derivano anche sperimentazioni nel campo dell’aggiornamento della scenotecnica, sempre condotte, come detto, in rapporto con altre tipologie di spettacolo, dalla prosa al ci- nema. Considerata la predominanza di spettacoli leggeri, compreso il teatro dialettale, è nei teatri aperti a utilizzi “misti” che si manifesta con maggiore evidenza la spinta più innovativa e tipologicamente originale di questi anni. Il teatro realizzato da Giovanni Muzio nel 1933, all’in- terno al complesso per esposizioni e spettacoli del Palazzo dell’Arte di Milano, è espressamente «destinato a spettacoli d’arte sperimentale»21 . È uno dei casi maggiormente diffusi dalla pubblicistica dell’epoca, ma altri interventi sorgono nel territorio italiano, più o meno significativi e influenti dal punto di vista della capacità di proporre nuovi modelli tipologici e soluzioni tecniche. Numericamente limitati, ma capaci di esprimere esigenze e di sintetizzare ambizioni ed esiti concreti, sono poi i casi di teatri uti- lizzati in modo preponderante per l’attività musicale, e per quella lirica in particolare: per questa ragione particolarmente attenti alle caratteristiche di acustica e di visibilità. Lo storico edificio del Teatro Lirico di Milano subisce due successivi interventi, a opera prima di 21 B. Moretti, Teatri cit., p. 1.
  • 11. 331 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI Eugenio Faludi nel 193222 , poi nel 1939 di Antonio Cassi Ramelli23 , che promuove una vera e propria ricostruzione, dettata da richieste di maggiore visibilità e di aumento dei posti disponibili (figg. 9-10). (fig. 2). La nuova sala, con l’ardita galleria, risponde perfettamente alle esigenze e agli obiettivi della progettazioni nello specifico settore dei teatri lirici, già espressi proprio da Faludi, e proprio in relazio- ne ai suoi progetti milanesi: «Rimodernare un teatro antico significa proporsi di creare un ambiente nuovo che soddisfi alle esigenze ed ai criteri d’oggi, attuare, per la sala, il principio fondamentale del teatro moderno che vuole soppressa ogni separazione sociale e il teatro per le masse»24 . Se – nella maggior parte dei numerosi casi diffusi nell’intero territorio italiano, in cui l’esclusiva destinazione all’opera lirica lascia spazio alla pluralità di attività, spettacoli e visioni – l’obiettivo è la sostenibilità economica della sala e della sua gestione, queste nuove priorità obbligano a una rinnovata ricerca nel campo di allestimenti e di soluzioni tecniche flessibili e adattabili alle diverse attività previste. In tutti questi teatri – siano essi riallestimenti di strutture storiche vincolate alla propria configurazione a ordini di palchi sovrapposti, oppure siano di nuova, completa o parziale riedificazione – il tema centrale all’attenzione dei progettisti non è quello della visibilità da parte del pubblico, che determina un condizionamento soltanto per le sale di grandi dimensioni, quanto piuttosto quello della resa acustica. Lo studio della corretta visione del palcoscenico da parte di tutti gli spettatori costituisce un problema essenzialmente di “forma”, contra- riamente al tema dell’acustica su cui vengono coinvolti e intervengono professionisti specializzati. Proprio una più diretta e maggiormente perseguita coerenza e consequenzialità tra visione, acustica e resa architettonica e strutturale è all’origine di quei teatri che, sebbene con frequenza enormemente inferiore rispetto alla stagione ottocentesca, nascono tra anni Venti e Trenta per essere specificamente destinati allo spettacolo d’opera. Si tratta di edifici che sorgono spesso in contesti periferici dal punto di vista geografico e culturale, laddove ancora non erano state soddisfatte esigenze e richieste della committenza e del pubblico. 22 E. Faludi, Rimodernamento di Teatri Milanesi. Il Teatro Lirico. Il Teatro Excelsior, in «Rassegna di Architettura», VI, 4 (aprile 1934), pp. 144-150. 23 A. Cassi Ramelli, Ricostruzione del Teatro Lirico, in «Rassegna di Architettura», XI, 10 (ottobre 1939), pp. 445-474. 24 E. Faludi, Rimodernamento di Teatri Milanesi cit., p. 144.
  • 12. 332 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO Inaugurato nel 1926 con la rappresentazione di «La cena delle beffe» di Umberto Giordano, il Teatro Nuovo di Ferrara25 è progettato dall’ingegnere Sesto Boari il quale, insieme al fratello Adamo – a lungo impegnato all’estero, in particolare a Città del Messico dove disegna il Teatro Nacional – realizza una sala con pianta a campana e due ordini di gallerie decorate con stucchi e rilievi tardo Liberty, in cui inserisce la “curva fonica Boari”, esito di studi sull’acustica dei maggiori teatri europei e non immemore della tradizione teatrale ferrarese. Un progetto particolarmente ambizioso si conclude in Puglia, regione già ricca di un articolato sistema teatrale storico ma anche impegnata in un’attardata fase novecentesca, come ben dimostra la realizzazione nei primi anni del secolo del Petruzzelli di Bari. A San Severo (Fg) viene realizzato una teatro appositamente per l’opera, uno dei maggiori della regione, affidato al disegno di uno dei più celebrati architetti “ufficiali”, Cesare Bazzani26 . Erede del Real Bor- bone, struttura da oltre 400 posti inaugurata nel 1819 e chiusa nel 1927 (a sua volta erede del primo teatro pubblico cittadino, quello settecentesco del Decurionato), il Teatro comunale del Littorio di San Severo27 (questa la sua prima denominazione) viene avviato nel 1929 e concluso nel 1936. È per dimensioni il terzo teatro pugliese, dopo il Petruzzelli e il Politeama Greco di Lecce. «Sono anche orgoglioso come pugliese che la mia S. Severo possa glorificarsi di possedere uno dei teatri più belli e moderni che vanti l’Italia», scrive il compositore Umberto Giordano il 4 dicembre 1937 (figg. 11-12). Il Teatro Cilea di Reggio Calabria viene realizzato in varie riprese su progetto degli ingegneri Domenico De Simone, funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, e Laviny, grazie all’allora ministro Giu- 25 R. C., Teatro Nuovo, lo spettacolo inaugurale, in «Gazzetta Ferrarese», 4 gennaio 1926; S. M. Bondoni (a cura di), Teatri storici in Emilia-Romagna, Bologna, Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, 1982, pp. 224-225; L. Bortolotti (a cura di), Le stagioni del teatro. Le sedi storiche dello spettacolo in Emilia-Romagna, Bologna, Grafis, 1995, p. 165. 26 M. Giorgini, V. Tocchi, Cesare Bazzani. Un Accademico d’Italia, Milano-Perugia, Electa-Editori Umbri Associati, 1988. 27 Sul teatro si veda: F. Giuliani, Il teatro a San Severo. Dal Real Borbone al Verdi, San Severo, Felice Miranda Editore, 1989 (1997); M. Cristallo, Teatri di Puglia, Bari, Mario Adda Editore, 1993, pp. 87-97; E. d’Angelo, Un secolo di teatro a Sansevero. Il Real Bor- bone (1819-1927), Foggia, MusicArte, 2007; Id., I teatri pubblici di Sansevero dal Settecento ai giorni nostri. L’antica passione teatrale e musicale in un grande centro della Capitanata, in «Fogli di periferia», XVII, 1-2 (2007), pp. 73-85. Si veda inoltre: F. Giuliani, San Severo nel Novecento. Storia, fatti e personaggi di un Secolo, San Severo, Felice Miranda Editore, 1999; E. Antonacci (a cura di), San Severo città d’arte. Nel segno di Dioniso, Foggia, Claudio Grenzi Editore, 2006.
  • 13. 333 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI seppe De Nava e al sindaco Giuseppe Valentino (alla guida della città già durante gli anni della ricostruzione dopo il terremoto del 1908). I modelli dichiarati sono quelli massimi della tradizione italiana, il San Carlo di Napoli per l’interno e la Scala di Milano per l’immagine esterna28 . L’inaugurazione avviene anch’essa a più riprese, tra 1937 e 1946 (figg. 13-14). Il teatro all’italiana e la sfida della modernità: aggiornamento tecnico e tecnologico dal Costanzi di Roma alla Scala di Milano Parallelamente, durante l’intero ventennio si susseguono gli interventi sui grandi teatri d’opera nazionali, per lo più di impianto ottocentesco e realizzati in perfetta corrispondenza con le esigenze di socializza- zione e autorappresentazione della società borghese dell’epoca. Gli interventi condotti nei primi decenni del Novecento riguardano, a fianco di una graduale apertura a un pubblico più vasto (attraverso la realizzazione di gallerie spesso in sostituzione di ordini di palchi, già avviate all’inizio del secolo come al Regio di Torino), soprattutto nel campo delle componenti tecniche, volte a un aggiornamento ora degli impianti di sicurezza, ora, invece, dei sistemi a servizio dello spettacolo (in particolare per quanto attiene il complesso della torre di scena). È proprio nel campo dell’adeguamento dei teatri storici di tradizione, infatti, che si manifesta una più specifica attenzione ai temi della scenotecnica e un più dichiarato interesse a quanto si sta producendo in ambito internazionale. Tra anni Venti e Trenta i lavori coinvolgono la gran parte dei maggiori teatri storici italiani, da Roma a Firenze, spesso a completamento di progetti avviati o soltanto previsti in chiusura del secolo precedente: la nuova facciata di Piacentini per l’Opera di Roma, già Teatro Costanzi; la riqualifi- cazione del settecentesco Teatro comunale di Bologna29 e dell’otto- centesco Teatro comunale di Firenze; la riplasmazione completa di tutti gli spazi per il pubblico della Scala di Milano, fino ai lavori agli impianti scenici del San Carlo di Napoli. Gli interventi riguardano, 28 G. Tripepi, Il rifacimento del Teatro Comunale Francesco Cilea, Reggio Calabria, Comune di Reggio Calabria, 1964, p. 8. 29 Si veda: R. Verti, Il Teatro Comunale di Bologna, Milano, Electa, 1998; sul progetto originario, si veda anche: C. Ricci, I Bibiena, architetti teatrali, Milano, Alfieri e Lacroix, 1915.
  • 14. 334 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO di norma, tre problemi principali: l’aumento della capacità della sala (come detto, spesso in un’ottica di “democratizzazione” del teatro di tradizione) e il miglioramento della visibilità, ottenuta per lo più attraverso l’introduzione delle gallerie a parziale sostituzione dei palchi storici; l’agevolazione della circolazione del pubblico (dagli accessi alle comunicazioni interne, fino alle vie di sfollamento); e, infine, il miglioramento degli impianti in funzione delle nuove esigenze della rappresentazione, tra cui l’introduzione della fossa per l’orchestra e di inedite soluzioni per il palcoscenico, con l’obiettivo di raggiungere un maggior rendimento, «diminuendo – come auspica Eugenio Faludi, di- rettamente coinvolto in numerosi progetti di trasformazione – le spese di esercizio»30 . «Questa della tirannia e della insufficienza corrente dei nostri palcoscenici non può tornare che di danno al necessario incre- mento della regia e della scenografia moderna»31 , chiarisce Antonio Cassi Ramelli nel 1938. Nel 1930 il Comune di Firenze decide di ristrutturare comple- tamente l’edificio ottocentesco del Politeama (Telemaco Bonajuti, 1861-62), affidandone la ricostruzione ad Alessandro Giuntoli e Au- relio Cetica, rispettivamente capo dell’Ufficio edilizia del Comune e autore del progetto architettonico esecutivo. Si interviene sulla sala, sia nelle logge sia nella gradinata, diminuendo il numero dei posti a sedere, ingrandendo la fossa per l’orchestra e fornendo al nuovo Teatro Comunale i più aggiornati meccanismi scenici. La sala riapre il 22 aprile 1933: nell’ambito del primo Maggio Musicale Fiorentino, Vittorio Gui dirige il «Nabucco» di Verdi. Nel 1931 il Teatro Comunale di Bologna, realizzato tra 1756 e 1761 su progetto di Antonio Galli-Bibiena, è vittima di un incendio che distrugge la scena: Umberto Rizzi, architetto del Comune, realizza nel 1933 la facciata fino ad allora rimasta incompiuta e ricostruisce strutture e immagine interna, sul modello del precedente teatro “al- l’antica”. Riapre il 14 novembre 1935 con la «Norma» di Vincenzo Bellini. Anche il Teatro Donizetti di Bergamo (già Teatro Riccardi, inau- gurato nel 1791 su progetto di A. Messeni, poi riedificato da A. Pia nel 1897) è protagonista di un vasto piano di rinnovamento, previ- 30 E. Faludi, Rimodernamento di teatri milanesi cit., p. 144. 31 A. C. R. [A. Cassi Ramelli], presentazione in L. L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala di Milano, in «Rassegna di Architettura», XII, 6 (giugno 1940), p. 189.
  • 15. 335 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI sto attraverso un concorso pubblico (1934) per il suo adeguamento interno. L’obiettivo32 , anche in questo caso, è quello di soddisfare le nuove esigenze del pubblico e, soprattutto, di adeguare l’edificio alle novità della scenotecnica. Le modifiche previste dai concorrenti premiati33 , in alcuni casi piuttosto consistenti (soprattutto per quanto riguarda i volumi del foyer, i palchi della sala e gli spazi sotterranei da adibirsi a nuovi ambienti per le rappresentazioni), non trovano però attuazione (fig. 15). Il Teatro dell’Opera di Roma, nato su progetto di Achille Sfon- drini (1878-80) come Teatro Costanzi (dal nome dell’impresario che lo gestisce fino alla morte nel 1926 quando, acquistato dal Comune, viene ribattezzato Teatro Reale dell’Opera), subisce sostanziali modi- ficazioni sia interne sia esterne a opera di Marcello Piacentini34 . Primo in Italia, il teatro si dota nel 1927 di un palcoscenico mobile, costituito di 24 plance idrauliche. L’anno seguente si realizza un quarto ordine di palchi, già previsto nel progetto di Sfondrini. Il 27 febbraio il teatro dà inizio all’attività nella sua nuova gestione pubblica con la rappresen- tazione del «Nerone», l’opera postuma di Arrigo Boito rappresentata quattro anni prima alla Scala di Milano e poi a Torino (anche in quei casi proprio l’allestimento di questo titolo aveva richiesto consistenti adeguamenti alla strutture sceniche). Nel 1958, Piacentini torna al Teatro dell’Opera per progettare la nuova facciata (fig. 16). A Napoli alla fine degli anni Venti il San Carlo è protagonista di interventi so- prattutto di tipo impiantistico, significativamente compiuti nell’ambito 32 «Una sala a ferro di cavallo con scarse risorse di visibilità almeno nelle curve che convergono al boccascena, cinque ordini di palchi e di gallerie basse e fitte di colonnine, pochi disimpegni, scomode scale, direi quasi malsicuri alcuni rami della struttura portante quasi esclusivamente lignea. Ecco la parte passiva del problema – oggi comune ed urgente forse per nove decimi delle sale teatrali che ha lascito in Italia il nostro Ottocento», cfr. A. Cassi Ramelli, Il concorso per la sistemazione del Teatro Donizzetti a Bergamo, in «Rassegna di Architettura», XI, 5 (maggio 1939), p. 220. Cassi Ramelli è anche membro della giuria del concorso. 33 I premio a ingg. Giacomo Paganoni e Leone Vassali; II premio ex aequo ad arch. A. Bregonzio e ingg. Catani e Invernizzi; e arch. Cesare Perelli; III premio a arch. Ettore Ricotti e ing. Antonio Ricotti; cfr. A. Cassi Ramelli, Il concorso per la sistemazione del Teatro Donizzetti cit., pp. 220-227; Il concorso per la sistemazione del Teatro G. Donizetti in Bergamo, in «L’archi- tettura italiana», XXXIV, n. 6 (giugno 1939), pp. 175-181. Il teatro sarà poi effettivamente restaurato soltanto tra 1958 e 1961, su progetto di Luciano Galmozzi e Pino Pizzigoni con Eugenio Mandelli. 34 Allo stesso Piacentini si deve anche il precedente progetto, pubblicato e diffuso nel 1923, per il «Nuovo Teatro Massimo di Roma»: segnale di una totale sfiducia nelle pos- sibilità di trasformare adeguatamente il vecchio Costanzi. Cfr. M. Piacentini, Studi per il Teatro Massimo di Roma, Roma, Sansaini, 1923.
  • 16. 336 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO di una consistente serie di interventi “di regime”35 che coinvolgono le diverse istituzioni culturali cittadine (fig. 17). Il Teatro alla Scala di Milano, realizzato su progetto di Giuseppe Piermarini nel 1776 per conto dall’Arciduca Ferdinando e riconosciuto modello di teatro “di tradizione”, è oggi in gran parte esito di una diffusa riconfigurazione novecentesca, che ha riguardato strutture, decorazioni, impianti e, più complessivamente, l’immagine stessa dell’edificio con cui oggi si presenta al pubblico. Dopo gli interventi compiuti nel primo decennio del secolo – nel 1907 vengono portate a compimento la prima galle- ria, smantellando i 24 palchi rimanenti del quinto ordine su cui già si era intervenuti nel 1891, e la fossa d’orchestra, voluta da Arturo Toscanini; del 1909 è la riforma del loggione con la realizzazione della seconda galleria –, la proprietà dei palchi passa nel 1921 dai privati al Comune di Milano36 e il teatro viene costituito in Ente autonomo (forma istituzionale che conserva fino al 1997, anno del passaggio a fondazione). L’affermazione dell’identità assolutamente “municipale” della Scala – da cui le crescenti risorse e le energie destinate dai privati al “proprio” teatro – si manifesta in anni che sono profondamente segnati dal ruolo di Toscanini che, da direttore musicale, promuo- ve un progetto artistico fondato sul rinnovamento delle consuetudini esecutive. Alla nuova architettura istituzionale corrisponde un gene- rale riassetto del teatro con la ristrutturazione del palcoscenico – che consente di accogliere allestimenti più impegnativi e di moltiplicare il numero delle recite – e modifiche agli adiacenti Casino Reale e Casino Ricordi, ai corridoi, ai servizi sanitari, al guardaroba, ai locali delle masse artistiche, agli impianti di illuminazione e ai magazzini per le scene. Nel 1930 vengono ancora una volta riverniciati i parapetti dei palchi e delle gallerie e rinnovata la doratura in porporina degli ornati in cartapesta dei parapetti stessi. Il rivestimento delle pareti interne dei palchi viene unificato, sostituendo con un damasco rosso di seta gli svariati rivestimenti precedentemente adottati in autonomia dai diversi proprietari dei palchi: «la dominante “rossa” della Scala si consolida proprio negli anni ’30»37 , tanto da costituire ancora oggi l’immagine 35 Alto Commissario per la Città e Provincia (a cura di), Napoli. Le opere del regime dal settembre 1925 al giugno 1930, Napoli, Francesco Giannini & figli, 1930, pp. 237-254. 36 Su questa fase, fino ai lavori di restauro condotti su progetto di Mario Botta tra 2000 e 2004, si veda: C. Di Francesco (a cura di), Il Teatro alla Scala. La Magnifica Fabbrica, Milano, Electa, 2005, e in particolare, C. Fontana, La Scala nella sua veste istituzionale, pp. 20-25. 37 E. Fabbri, Una storia della fabbrica, cit., p. 39.
  • 17. 337 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI contemporanea (ma assunta come “storica”) della Scala. Il radicale rinnovamento del teatro rispetto al teatro ottocentesco (che già ave- va in parte negato l’edificio piermariniano) si deve all’ingegner Luigi Lorenzo Secchi, funzionario interno del Comune di Milano, che viene incaricato nel 193238 di assumere la progettazione e la direzione tecni- co-artistica della Scala39 . A lui, che del teatro affidatogli si autodefini- sce «innovatore e ricostruttore»40 (ma anche progettista e manutentore, oltre che gestore attento agli aspetti economico-finanziari), si deve la gran parte dell’attuale architettura degli spazi di servizio e di quelli per il pubblico. Nel suo articolato e organico intervento di uniformazione stilistica, compiuto fra 1932 e 1972, Secchi procede lungo un doppio binario. Da una parte, si muove sulla base di considerazioni essenzial- mente “stilistiche”, con l’obiettivo prioritario di rendere il teatro più “consono”, in senso estetico prima ancora che funzionale, allo spirito del suo tempo (cioè alla borghesia del ’900), alle sue esigenze, alle sue abitudini e al gusto mutato; così trascurando e spesso negando il valore storico e materiale della fabbrica, e la sua stessa “autenticità”41 . Dall’altra parte, dopo i danni bellici dell’agosto 1943, riconosce il valore formale e simbolico della sala – fin dagli anni Trenta l’unica parte dell’edificio di Piermarini a cui, insieme con la facciata, Secchi attribuisca un valore monumentale – e procede alla sua ricostruzione secondo un rigoroso spirito “filologico”. Secchi alterna così interventi di innovazione – sulla base di scelte “di necessità”, assunte anche in maniera disinvolta laddove ritiene che non esistano vincoli «di rispetto artistico» – ad altri di conservazione, secondo un concetto di ripri- stino ove, dichiara, «fosse stato possibile avere traccia del passato»42 . In entrambi i casi, sempre guidato dal criterio di continuità con la preesistenza43 , ma senza alcuna necessità di una rigorosa distinzione 38 Il 1932 è anche l’anno in cui assume la direzione della Scala Jenner Mataloni, primo so- vrintendente affiancato dal direttore Victor De Sabata. A loro, così come a Secchi, si deve la grande qualità, vivacità e autonomia, in campo sia artistico sia gestionale, dimostrata dal teatro durante gli anni difficili del fascismo. 39 Sull’opera di Secchi, si veda soprattutto L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala. Architettura. Tradizione. Società, Milano, Electa, 1977; e, inoltre, F. Armani (a cura di), La Scala 1946-1956, Milano, Edizioni della Scala, 1956; e il recente E. Susani (a cura di), Milano dietro le quinte. Luigi Lorenzo Secchi, Milano, Electa, 1999. 40 L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala cit., p. 165. 41 E. Fabbri, Una storia della fabbrica. Dall’Unità d’Italia all’ultimo decennio del Novecento, in Il Teatro alla Scala. La Magnifica Fabbrica cit., pp. 39-40. 42 L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala cit., p. 165. 43 L. Scazzosi, Il “ricostruttore” del teatro alla Scala, in Milano dietro le quinte cit., p. 163.
  • 18. 338 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO tra questa e i nuovi interventi (come prescritto, tra l’altro, dalla Carta italiana del Restauro approvata proprio nel 1932). La continuità “sti- listica” legittima la scelta, tra i primi interventi significativi (1933-34), di sostituire le scale in beola, realizzate da Piermarini per accedere al loggione, con nuove scale in cemento armato (fig. 18). Preceduto dalla rasatura a gesso dei corridoi che occulta gli in- tonaci a finto marmo, Secchi presenta nel 1936 il progetto, vistato da Marcello Piacentini44 , per la costruzione del ridotto al livello dei palchi: un nuovo vasto salone colonnato in marmo bianco di Pietra- santa che accorpa ambienti e corridoi preesistenti. In perfetta analogia e a distanza di un ventennio, nel 1955 Secchi progetta il nuovo foyer (ridotto di platea), che cancella la suddivisione degli ambienti al piano terreno ancora risalente al progetto di Piermarini, e nel 1957 il nuovo ridotto delle gallerie (figg. 19-20). È lui stesso a indicarne ragioni e obiettivi: «Il nuovo atrio di accesso ha sostituito, con una nota di gaia eleganza, il disadorno corridoio di un tempo […]; al fine di mantenere tutta la sua armonia all’ambiente scaligero l’architettura si è intonata, nella struttura e nella decorazione, allo stile impero, sia pure vagliato attraverso una sensibilità libera- mente moderna»45 . Il tutto, condotto attraverso una «unitarietà di stile con la grande sala»46 , organicamente perseguita lungo quasi un qua- rantennio di successivi interventi, condotti alla scala sia architettonica sia degli arredi completamente ridisegnati «in quello stile neoclassico detto anche “nuovo impero”»47 . Alla Scala si realizzano anche quelle innovazioni tecniche, come e più di quanto non sia stato possibile negli altri grandi teatri d’opera nazionali: dagli apparati scenici al pal- coscenico, dall’impianto di sollevamento a quello elettrico, fino alle luci e ai servizi48 . L’innovazione più significativa, esito ultimo di una 44 Ivi, p. 169 e 184, n. 37. 45 L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala cit., p. 165. 46 Ibid. 47 Ivi, p. 172. 48 Le trasformazioni architettoniche non si limitano al solo teatro ma anche a porzioni attigue, già nei primi anni Trenta ritenute strettamente funzionali al soddisfacimento delle esigenze del pubblico. Il Caffè del Teatro, posto sotto il porticato del Casino Ricordi adiacente al teatro, viene completamente riallestito da Ferdinando Reggiori nel 1931-32 (G. Marussig, Il Caffè del Teatro dell’arch. Ferdinando Peggiori, in «Rassegna di Architettura», IV, 5, 15 maggio 1932, pp. 217-222). Il 1913, anno di inaugurazione del Museo teatrale alla Scala sul primo nucleo della Collezione Sambon, è anche l’anno dello “scandalo” dell’affitto del piano terreno dell’adiacente Casino Ricordi al Calzaturificio di Varese, “deplorevole offesa al decoro cittadino”: parte dei muri portanti sono sostituiti con colonne in ghisa e il cortile viene coperto con ferro e vetro. Il tutto confluisce nel progetto del 1931 di Reggiori per il nuovo ristorante caffetteria Biffi.
  • 19. 339 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI serie di interventi analoghi in altre strutture italiane e internazionali, è la trasformazione del vecchio palcoscenico, già adeguato da Cesare Albertini nel 192149 ma tuttora «in legno, a due palchi fissi sovrap- posti, impostati sui settecenteschi piloni portaguide»50 . Per quanto a conoscenza delle innovazioni tecnologiche e delle diverse soluzioni possibili, Secchi dimostra un’estrema cautela – relativa sia agli aspetti tecnici sia a quelli economici e di manutenzione degli impianti – che lo porta ad optare per la soluzione a ponti mobili, «perché assai più pratica di quella girevole [...]; né si credette opportuno adottare il palcoscenico a piani sovrapposti [...] perché il complesso edilizio della Scala, nonostante tutti gli accorgimenti posti in atto per ringiovanirlo, tradisce talvolta gli anni che ha, e certe riforme, troppo radicali, non le può sopportare»51 . Analogamente, nella ricerca del sistema di mo- vimentazione meccanica viene scartato quello «ad argani, a tamburo, a vite od a cremagliera»52 , a vantaggio di un sistema idraulico a stan- tuffi «con l’esclusione di qualsiasi comando elettrico diretto»53 . Così modificato l’impianto sette-ottocentesco del palcoscenico, Secchi «ha messo in grado il Teatro alla Scala di avere possibilità sceniche pari alle possibilità liriche»54 (figg. 21-24). Il nuovo Teatro Regio di Torino: il concorso e il confronto sulla nuova architettura teatrale È però con il concorso di ricostruzione del Teatro Regio di Torino che il dibattito sul “nuovo” teatro lirico novecentesco trova finalmente l’occasione per svilupparsi appieno in ambito disciplinare (e non solo), 49 C. Albertini, Il rinnovamento del Teatro alla Scala di Milano, Milano, Stucchi, Ceretti e C., 1921, estratto da «Il Giornale dell’Associazione nazionale degli architetti italiani», II, 6-7 e 8 (15 maggio-1 giugno 1921); si veda anche V. Ferrari, Il Teatro della Scala nella vita e nell’arte dalle origini ad oggi, Milano, Libr. Ed. Politecnica-C. Tamburini, 1922. Albertini è impegnato alla Scala in quanto Direttore dell’Ufficio Edilità e Urbanesimo del Comune di Milano. 50 L. L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del teatro alla Scala, dattiloscritto per Id., Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala di Milano cit. (conservato presso Politecnico di Milano, Fondo Luigi Lorenzo Secchi, busta B27 Palcoscenico A); cfr. L. Scazzosi, Il “ricostruttore” del teatro alla Scala cit., p. 164. Si veda anche Il palcoscenico del Teatro alla Scala: storia, documenti, progetti, Milano, Milano per la Scala, 1997. 51 L. L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala cit., p. 189. 52 Ivi, p. 190. 53 Ivi, p. 191. 54 Ivi, p. 192.
  • 20. 340 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO attraverso un significativo confronto tra modelli e opzioni possibili, grazie alla partecipazione di progettisti italiani appartenenti a scuole e generazioni differenti. La ricostruzione del vecchio Teatro Regio – che, commissionato da Carlo Emanuele III a Filippo Juvarra e realizzato da Benedetto Alfieri nel 1740, è quasi completamente distrutto da un incendio nel 1936 – consente anche di portare il tema dell’architettura teatrale all’attenzione del più vasto pubblico e del dibattito politico e istituzionale, che si esercita lungamente sul significato e sugli obiettivi di un teatro “moderno”, “democratico” e, insieme, “monumentale” nel solco della tradizione cittadina. Proprio i gravi disaccordi, oltre che le difficoltà finanziarie dell’epoca, posticipano l’effettiva ricostruzione dell’edificio fino al celebrato progetto di Carlo Mollino e Marcello Zavelani Rossi, inaugurato soltanto nel 1973 (fig. 25). L’inizio del secolo produce numerose e significative migliorie al teatro55 , diversamente tese all’aggiornamento tecnologico delle strut- ture e all’aumento della capienza: scelte entrambe destinate al raffor- zamento dell’accresciuta “popolarità”, di cui il teatro è protagonista. Nel 1901 il Regio viene chiuso dalla Commissione di vigilanza per le sue precarie condizioni. Dopo lunghe riflessioni sull’opportunità e le modalità dell’eventuale edificazione di un nuovo teatro cittadino (più vasto e soprattutto più “accessibile”), nel 1904 vengono infine affidati consistenti lavori di ristrutturazione a Ferdinando Cocito – a cui si deve, in particolare, l’ampliamento del palcoscenico e il miglio- ramento delle vie d’accesso e di fuga – e, per le parti decorative, a Giorgio Ceragioli. Nella sala rinnovata gli ultimi due ordini di palchi sono sostituiti da tre gallerie, tali da portare la capienza complessiva a circa 3.000 spettatori. La veste maggiormente “popolare” del tea- 55 Sul Teatro Regio di Torino nel Novecento si veda: A. Brizio, Storia e rinascita del teatro, in Il nuovo Teatro Regio di Torino, numero speciale di «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», n.s., XXVII, 9-10 (settembre-ottobre 1973), pp. 1-15; A. Basso (a cura di), Storia del Teatro Regio di Torino, 4 voll., Torino, Cassa di Risparmio di Torino, 1976-88, in particolare vol. IV, L. Tamburini, L’architettura dalle origini al 1936, 1983, pp. 179-182; e L. Tamburini, La via del ritorno, in A. Basso (a cura di), Il nuovo Teatro Regio di Torino Torino, Cassa di Risparmio di Torino, 1991, pp. 3-21; L. Tamburini, La ricostruzione, in A. Basso (a cura di), L’arcano incanto. Il Teatro Regio di Torino 1740-1990, Milano, Electa, 1991, pp. 688-697. Si veda inoltre, per questioni non strettamente architettoniche, E. Fubini, La musica a Torino: tra conservazione e innovazione, in V. Castronovo, N. Tranfaglia, R. Gabetti et alii, Torino tra le due guerre, Torino, Città di Torino, Assessorato per la Cultura, Musei civici, 1978, pp. 228-243; G. R. Morteo, Il teatro: specchi e miti di una città, ivi, pp. 228-243; G. Pestelli, La musica a Torino. 1919-35, in F. Mazzini, V. Castronovo, R. Gabetti et alii, Torino 1920-1936 cit.; L. Tamburini, I teatri di Torino. Storia e cronache, Torino, Edizioni dell’Albero, 1966.
  • 21. 341 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI tro torinese diviene specchio dei cambiamenti sociali in corso. Ma l’intervento strutturale di maggiore consistenza prima dell’incendio del 1936 è quello del 1924 per la nuova torre di scena, inaugurata il 21 marzo 1925 da Arturo Toscanini che – salvo quattro concerti nella stagione 1904-05 – mancava dal Regio dal 1898. L’opera rap- presentata, con un allestimento di estrema complessità e sfarzo alla presenza delle autorità politiche locali e nazionali, è il «Nerone» di Arrigo Boito: il medesimo spettacolo con cui si era inaugurata l’anno precedente la Scala di Milano (anche in quel caso, dopo consisten- ti modifiche alle scene), e con cui sarebbe stato riaperto il Teatro Reale dell’Opera di Roma nel 1928, dopo gli interventi condotti da Piacentini (fig. 26). Nella notte fra l’8 e il 9 febbraio 1936, mentre è in cartellone «Liolà» di Giuseppe Mulè, si sviluppa l’incendio che distrugge «com- pletamente» – come certifica la «Relazione di Perizia» stilata il 31 marzo 1937 dalla Società Reale Mutua Assicurazioni per il Municipio – «il palcoscenico, con tutti gli scenari, le attrezzature, i meccanismi e gli impianti relativi, la sala del pubblico con i palchi, compreso il Palco Reale, le gallerie e l’arredamento relativo. Distrutte pure le ricche decorazioni, le pitture, gli stucchi, le dorature ecc. rese inservibili le strutture in ferro di sostegno del soffitto della sala e del sovrastante tetto»56 . Risultano analogamente «avariate» le strutture di cemento ar- mato del palcoscenico, le murature interne e gli orizzontamenti dei locali adiacenti. I muri perimetrali dell’edificio, benché parzialmente sopravvissuti, sono pericolanti e devono essere abbattuti. La fase immediatamente successiva all’incendio prevede, tra le diverse opzioni contemplate, anche una ricostruzione «completamente libera» del teatro, sulla medesima area del Regio distrutto oppure su un’area differente; poi, ci si orienta verso una ricostruzione del teatro storico, con ordini sovrapposti di palchi, gallerie e palco reale: solu- zione “in analogia” con il teatro precedente la quale, sebbene sia poi soggetta a ripetute modifiche, condiziona l’intero iter di progettazione del nuovo edificio, almeno fino alla differente soluzione adottata da Mollino. 56 «Società Reale Mutua Assicurazioni. Polizza n. 136243 – Agenzia di Torino Ditta Assicurata: Municipio di Torino. Teatro Regio. Periti: dr. Ing. Annibale Taccone per la soc. Reale Mutua, cav. Arch. Ing. Paolo Musso per la Ditta Assicurata. Torino, 31 marzo 1937-XV», documento allegato in L. Tamburini, L’architettura dalle origini al 1936 cit., pp. 499-502. Sull’incendio si veda anche: V. Mazzonis, L’incendio (9 febbraio 1936), in Il Teatro Regio di Torino, Torino, Eada, 1970, pp. 194-196.
  • 22. 342 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO Il concorso di primo grado per la ricostruzione del Regio, bandito nel 193757 , prevede uno «studio di massima, inteso a indicare l’im- postazione strutturale e la disposizione dei vari elementi», oltre allo studio del palcoscenico. Partecipano 27 progetti, di cui 10 accedono alla seconda fase, per cui è prevista la consegna degli elaborati il 3 novembre 193758 . Tra i non selezionati, il progetto di Arrigo Tedesco Rocca ed Enrico Pellegrini59 , mentre saranno esclusi dal secondo grado Annibale e Giorgio Rigotti e Rivetti-Ventura «per occupazione di area superiore a quella prescritta dal bando di concorso»60 (fig. 27-29). Tra i requisiti richiesti per la nuova sala, «il carattere di regalità proveniente dalla tradizione del vecchio teatro, dalla sua posizione e destinazione, dal suo stesso organismo concepito ancora nella forma ibrida che aveva assunto dopo gli ultimi adattamenti con palchi e galle- rie amplissime»61 . Soprattutto, il Comune di Torino sembra chiedere, almeno nella prima fase di concorso, non un teatro “qualunque”, bensì «il teatro “Regio”, così come doveva risorgere dalle ceneri di quello incendiato, con la sua tradizione fastosa e mondana»62 . Il bando preve- de una grande sala, inizialmente destinata a 3.500 spettatori (il Regio di Cocito del 1904, con le nuove gallerie, raggiungeva i 3.000 posti a sedere), poi ridotti a 2.700 tra primo e secondo grado. Questione che appare da subito centrale è quella dell’inserimento nel contesto di piazza Castello e della “zona di comando” sabauda, oltremodo signi- ficativo dal punto di vista dell’identità architettonica e della memoria civica. Al proposito, Emilio Zanzi scrive sulla «Gazzetta del Popolo»: «Il teatro, legato com’è, forma e colore, alla vecchia piazza, piacerà ai 57 Il concorso viene deliberato il 21 dicembre 1936, approvato dalla Prefettura il 30 gennaio dell’anno successivo e pubblicato il 4 febbraio, con scadenza il 4 giugno. L’iter del concorso e i suoi risultati sono seguiti dalla stampa nazionale: si veda, in particolare, Il concorso per la rico- struzione del teatro Regio a Torino, in «Rassegna di Architettura», X, 2 (febbraio 1938), pp. 62-76; e Concorso per la ricostruzione del Teatro Regio a Torino, in «L’Architettura italiana», XXXIII, 1 (gennaio 1938), pp. 38-41; Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio a Torino, ivi, XXXIII, 3 (marzo 1938), pp. 75-105. 58 Nel marzo 1938 «L’Architettura italiana» diretta da Armando Melis, la rivista torinese che più di tutte segue il lungo iter del concorso, lo definisce «veramente eccezionale per numero di concorrenti, bellezza di elaborati e ricchezza di premi»; Il concorso per la rico- struzione del Teatro Regio a Torino, ivi, p. 75. 59 Il progetto dei due architetti è diffusamente illustrato in Il concorso di primo grado per la ricostruzione del Teatro Regio di Torino. Progetto degli architetti Arrigo Tedesco Rocca ed Enrico Pellegrini, in «L’Architettura italiana», XXXII, 9 (settembre 1937), pp. 272-284. 60 Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio di Torino, in «L’Architettura italiana», XXXIII, 3 (marzo 1938), p. 78. 61 Ivi, p. 76. 62 Ivi, p. 84.
  • 23. 343 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI torinesi per la sua piemontesità di stile [...]. Non sarà un teatro, come si dice, novecentesco quale potrebbe sorgere in una città tutta nuova»63 . Si aggiunge poi il problema, scrive in questo caso Marziano Bernardi su «La Stampa», «di tener conto di certe tradizionali abitudini del popolo torinese, ed anche di alcuni motivi sentimentali per i quali ad un teatro alquanto aulico ed in un certo senso veramente regale difficilmente sarebbe stato consentito di nascere in veste che radi- calmente spezzasse e rivoluzionasse tali abitudini e tali sentimenti»64 . L’intero dibattito successivo – non soltanto disciplinare, ma allargato alle istituzioni, alla stampa nazionale e locale e all’opinione pubblica – corre sul doppio binario di questi temi; analogamente, le valutazioni della giuria65 mirano a soddisfare le medesime esigenze di “rispetto” insieme del contesto – fino a considerare «postulato irrinunciabile»66 la conservazione della continuità dei portici lungo piazza Castello – e del carattere aulico della sala precedente. Inevitabilmente, questi sono i criteri a cui si ispira l’intero processo di valutazione del concorso, tra primo e secondo grado. Alla seconda fase risultano premiati, con 100.000 lire, Aldo Morbelli e Robaldo Morozzo della Rocca67 (con l’ingegnere A. Momo saranno poi vincitori nel 1936 del concorso per il teatro Nuovo di Verona68 ): cosicché ancora Bernardi può commentare 63 E. Zanzi, Il nuovo «Regio», in «Gazzetta del Popolo», 24 dicembre 1937. 64 M. Bernardi, Come sarà ricostruito il Teatro Regio di Torino, in «La Stampa», 24 di- cembre 1937. 65 La Commissione giudicatrice, composta tra gli altri da Virgilio Marchi e Vittorio Ballio Morpurgo (oltre a rappresentanti politici e istituzionali; cfr. Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio cit., p. 80), dichiara di essersi dedicata all’esame di quei progetti «che meglio rispondono alle varie esigenze di un grande teatro sotto il profilo della visibilità, del funzionamento dei servizi di palcoscenico, della facilità degli accessi e infine della più efficace e nobile espressione artistica», e di essere ben cosciente della «difficoltà di innestare la moderna sala a gradinate su tradizionale vaso a palchetti» (ibid.). 66 L. Tamburini, La via del ritorno, cit., p. 9. 67 Il materiale di concorso è parzialmente conservato presso l’Archivio Aldo Morbelli di Torino. Si veda inoltre: G. Manfredi, Il Teatro Regio, in «Rassegna Municipale Torino», XVII, 12 (1937), pp. 3-24. Sulle vicende dell’area, fino al progetto di Carlo Mollino del 1965, si veda: M. Comba, Un teatro nell’Accademia Militare: quarant’anni di ricostruzione del Regio di Torino, in «Quaderni storici», XLII, n. 2, agosto 2007, pp. 517-548; sul progetto di Mollino: B. Astolfi, L. Bruno, M. Comba, P. Napoli, C. Olmo, Il fantasma del Regio, in S. Pace (a cura di), Carlo Mollino architetto 1905-1973. Costruire la modernità, catalogo della mostra (Torino, 12 ottobre 2006-7 gennaio 2007), Milano, Electa, 2006, pp. 177- 213; si veda inoltre Il nuovo Teatro Regio di Torino, numero speciale di «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», n.s., XXVII, 9-10 (settembre-ottobre 1973). 68 G. Morbelli, Aldo Morbelli architetto a Torino, 1903-1963, in «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», XXXVIII, 6 (dicembre 2003), pp. 193-214.
  • 24. 344 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO che «l’abilità degli architetti vincitori è consistita appunto nel presen- tare un progetto che, pur ricco di spunti originali, pure aperto a cor- renti moderne specialmente nei particolari, mentre risulta tipicamente torinese si può definire un progetto di conciliazione»69 . Due premi da 20.000 lire vanno a Ottorino Aloisio e al gruppo costituito da Ettore Sottsass sr, Umberto Cuzzi e Emilio Pifferi; un premio da 15.000 lire al gruppo di Giovanni Muzio70 e dell’ing. C. B. Negri; premio da 15.000 lire al gruppo di Ezio Lorenzelli e Ettore Tam «per i particolari studi di acustica e le soluzioni specifiche trovate». Nessun premio, ma rimborso delle spese, per gli altri partecipanti (figg. 30-38). Il progetto Morbelli-Morozzo della Rocca risulta il prediletto della giuria che apprezza l’intero complesso delle scelte adottate, a partire dalla cura dell’inserimento nel contesto monumentale di piazza Castel- lo, mentre gli «altri concorrenti demarcano invece la sopraelevazione del palcoscenico in forma di massiccia altana più o meno elevata»71 . In particolare, la sala di Morbelli e Morozzo della Rocca mostra il chiaro riferirsi all’antica pianta a ferro di cavallo del precedente Tea- tro Regio, sebbene appaia maggiormente svasata, con due ordini di palchi (compreso il palco reale su doppio ordine, come nella vecchia sala) e due di gallerie che, insieme alla platea, accolgono 3.423 posti complessivi (di cui ben 2.242 nelle gallerie) (fig. 39-47). Il progetto vincitore è corredato dalle gouaches di Enrico Paulucci: un altro artista del Gruppo dei Sei di Torino coinvolto in un grande progetto di architettura teatrale. Analogamente, Sottsass, Cuzzi e Pif- feri chiamano a collaborare alle decorazioni Felice Casorati, “maestro” del Gruppo. Più di un decennio prima era stata la volta di Gigi Chessa, chiamato dall’industriale, collezionista e mecenate Riccardo Gualino ad allestire gli interni del Teatro di Torino, esito della trasformazione dell’ottocentesco Teatro Scribe (Carlo Charbonnet e Daniele Ruffi- noni, 1925)72 . 69 M. Bernardi, Come sarà ricostruito il Teatro Regio di Torino, cit. 70 Già nel 1928, Muzio progetta la sala da concerti di Milano, non realizzata; del 1932-33 è il Palazzo dell’Arte al parco Sempione di Milano, con il Teatro dell’Arte. Nessun progetto specifico, però, dedicato al teatro d’opera è prodotto prima della partecipazione al concorso torinese. Cfr. F. Irace, Giovanni Muzio 1893-1982. Opere, Milano, Electa, 1994. 71 Il concorso per la ricostruzione del Teatro Regio cit., p. 80. 72 A Gualino negli stessi anni si deve un’intensa attività nel campo della gestione di nuovi spazi teatrali, dal teatrino privato realizzato nella residenza cittadina di via Galliari da Felice Casorati e Alberto Sartoris (1924) alla nuova sala della villa collinare, disegnata dai Busiri Vici nel 1928. Sull’argomento, si rimanda a: A. Martini, L’impegno privato e la passione pubblica, dall’Europa all’Italia. Riccardo Gualino tra teatro, musica e danza, 1923-1931, in
  • 25. 345 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI Dopo l’affidamento dell’incarico il 6 giugno 1938 a Morbelli e Morozzo della Rocca, la consegna del progetto definitivo al Servizio Tecnico di Lavori Pubblici il 16 novembre e l’approvazione da parte del Consiglio Superiore dei LL.PP del 12 aprile 1939, il primo ago- sto avviene la consegna dei lavori all’impresa Bonomi e Federici di Roma. L’ultimazione del cantiere è annunciata per il febbraio 1942. Sospesi i lavori durante gli anni del conflitto, il primo, nuovo grande teatro lirico progettato in Italia tra le due guerre mondiali non vede la luce. In seguito a difficoltà, polemiche, ritardi e ben sette varianti, l’ultima delle quali nel 1962 (il 25 settembre 1963 viene addirittura posta la prima pietra e avviato il cantiere), il progetto di Morbelli e Morozzo della Rocca viene definitivamente abbandonato nel 196373 . Carlo Mollino è prima coinvolto come membro di una commissione tecnica di revisione del precedente progetto (insieme con Ottorino Aloisio, Mario Dezzutti, Armando Melis, Giovanna Battista Ricci e Vittorio Viale74 ), per poi essere definitivamente incaricato del nuovo Teatro il 31 maggio 1965. Il nuovo Regio non risponderà se non in minima parte al precedente progetto Morbelli-Morozzo della Rocca, nato nel pieno del dibattito tra le due guerre. Ormai il teatro d’ope- ra, la sua percezione pubblica e le sue caratteristiche tecniche sono profondamente mutate rispetto alla fase precedente. La nuova sala di Mollino mantiene la continuità sinuosa di quella di Morbelli, abolendo però quasi interamente la suddivisione sociale a vantaggio di un’in- differenziata platea, segno del (preteso) nuovo carattere democratico dei teatri degli anni Sessanta e Settanta. S. Santini, L. Mozzoni (a cura di), Architettura dell’Eclettismo. Il rapporto tra l’architettura e le arti (1930-1960), Napoli, Liguori, 2009, pp. 105-138. 73 Città di Torino, Ufficio Tecnico de Lavori Pubblici, Dis. I, Ricostruzione del Teatro Regio, planimetrie del Teatro Regio e sue variazioni 1936 e 1956. 74 Sulla partecipazione di Viale, allora direttore dei Musei civici torinesi, al dibattito sulla ricostruzione del Regio si veda: Archivio dei Musei civici di Torino (AMCT), SCD 10. 1955 «Corrispondenza del Direttore».
  • 26. 346 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 1. Gaetano Ciocca, progetto di un teatro di massa per 20mila spettatori: 10.636 in platea, 9.599 in quattro gallerie sovrapposte; da A. Cassi Ramelli, Edifici per gli spet- tacoli. Teatri – teatri di massa – cinema – auditori – radio e cinecentri, Milano, Vallardi, 1945.
  • 27. 347 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 2. Roma. Il Teatro Italia progettato da Angiolo Mazzoni nel 1925, cuore del nuovo quartiere Nomentano a Roma; cartolina d’epoca, collezione privata.
  • 28. 348 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 3. Pistoia. La nuova facciata del Teatro Manzoni di Luigi Manfredini, 1926; cartolina d’epoca, collezione privata.
  • 29. 349 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 4. La Spezia. Il Teatro Civico, progettato da Franco Oliva e concluso nel 1933, è destinato a rappresentazioni liriche, di prosa e cinematografiche; fotografia di Ales- sandro Martini (2007).
  • 30. 350 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 5. La Spezia. Ricostruzione della sala del 1846, il Teatro Civico sostituisce alla pre- cedente organizzazione a palchi sovrapposti un sistema di platea, balconata, galleria, loggione e palchi; da F. Ragazzi, Teatri storici in Liguria, Genova, Sagep, 1991.
  • 31. 351 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 6. Rodi (Grecia). Il Teatro Giacomo Puccini di Arnaldo Bernabiti, 1936-37; fotografia d’epoca, collezione privata. 7. Portolago (attuale Lakki, nell’isola di Leros, Grecia). Il cinema-teatro Roma realiz- zato da Arnaldo Bernabiti, 1936-38; fotografia d’epoca, Archivio Storico della Città di Lakki.
  • 32. 352 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 8. Portolago. Il cine-teatro Roma, cuore della città di fondazione; fotografia d’epoca, Archivio Storico della Città di Lakki. 9. Milano. La sala del Teatro Lirico dopo gli interventi del 1932 su progetto di Eugenio Faludi; da E. Faludi, Rimodernamenti di Teatri Milanesi: il Teatro Lirico e il Teatro Excelsior, in «Rassegna di Architettura», VI, 12 (aprile 1934).
  • 33. 353 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 10. Milano. La sala del Teatro Lirico, dopo la ricostruzione del 1939 su progetto di Antonio Cassi Ramelli; da A. Cassi Ramelli, Ricostruzione del Teatro Lirico, in «Ras- segna di Architettura», XI, 10 (ottobre 1939).
  • 34. 354 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 11. San Severo (Fg). Cesare Bazzani, il nuovo Teatro Comunale del Littorio (ora Verdi), 1925-36: realizzato appositamente per l’opera lirica, è uno dei maggiori della regione; da M. Giorgini, V. Tocchi, Cesare Bazzani. Un Accademico d’Italia, Milano- Perugia, Electa-Editori Umbri Associati, 1988. 12. San Severo (Fg). Vista interna del Teatro Comunale, con i tre ordini di plachi sovrapposti e le due gallerie superiori; cartolina postale, collezione privata.
  • 35. 355 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 13. Reggio Calabria. Il Teatro comunale Francesco Cilea viene realizzato in varie riprese su progetto di Domenico De Simone e Laviny, e inaugurato nel 1931; cartolina postale, collezione privata. 14. Reggio Calabria. La sala del Teatro comunale Francesco Cilea a fine anni Trenta, prima delle trasformazioni degli anni Sessanta (arch. Guido Tripepi); da G. Tripepi, Il rifacimento del Teatro Comunale Francesco Cilea, Reggio Calabria, Comune di Reggio Calabria, 1964.
  • 36. 356 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 15. Bergamo. La sala del Teatro Donizetti nel progetto di A. Bregonzio, II premio ex aequo nel concorso del 1934, con le due gallerie che sovrastano il doppio ordine di palchi; da A. Cassi Ramelli, Il concorso per la sistemazione del Teatro Donizzetti a Bergamo, in «Rassegna di Architettura», XI, 5 (maggio 1939). 16. Roma. Marcello Piacentini, nuova facciata per il Teatro Reale dell’Opera, già Teatro Costanzi, 1927.
  • 37. 357 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 17. Napoli. Le nuove strutture di copertura della torre scenica nel Teatro San Carlo; da Napoli. Le opere del regime dal settembre 1925 al giugno 1930, Napoli, Francesco Giannini & figli, 1930.
  • 38. 358 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 18. Milano. La nuova scala di accesso al loggione del Teatro alla Scala, realizzata da Luigi Lorenzo Secchi nel 1933-34 in sostituzione della precedente in beola, su pro- getto di Giuseppe Piermarini a fine Settecento; in L. L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala. Architettura, Tradizione, Società, Milano, Electa, 1977.
  • 39. 359 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 19. Milano. Il foyer al piano terreno del Teatro alla Scala (ridotto di platea) realizzato nel 1955 su progetto di Secchi; ivi.
  • 40. 360 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 20. Milano. Il nuovo ridotto dei palchi del Teatro alla Scala (in basso), progettato da Secchi nel 1936: una ampio salone colonnato in sostituzione dei precedenti ambienti (in alto); ivi.
  • 41. 361 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 21. Milano. La pianta del palcoscenico del Teatro alla Scala con l’indicazione dei sei ponti e dei sette travi portarivetti del nuovo palcoscenico a ponti e panelli mobili realizzato alla fine della stagione 1938 da Secchi; da L.L. Secchi, Il palcoscenico a ponti e pannelli mobili del Teatro alla Scala di Milano, in «Rassegna di Architettura», XII, 6 (giugno 1940). 22. Milano. Una sezione di un ponte mobile a tre elementi sfalsati, parallela al boc- cascena, del nuovo palcoscenico del Teatro alla Scala; ivi.
  • 42. 362 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 23. Modello di palcoscenico mobile adottato per il Convention Hall di Philadelphia; da B. Moretti, Teatri. 39 esempi illustrati [...], Milano, Hoepli, 1936. 24. Schemi dei palcoscenici per la Festpielhaus di Bayreuth e per il Teatro Reale di Roma; ivi.
  • 43. 363 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 25. Torino. La sala del Teatro Regio, 10 marzo 1932: la configurazione interna mostra le modifiche di Ferdinando Cocito (1904), con le tre gallerie sovrapposte al doppio ordine di palchi; Archivio Storico del Teatro Regio di Torino.
  • 44. 364 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 26. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. Sala; Archivio Morbelli, Torino. 27. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto Annibale e Giorgio Rigotti. Facciata; da «L’Architettura italiana», XXXIII, 3 (marzo 1938).
  • 45. 365 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 28. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto Annibale e Giorgio Rigotti. Vista della sala; ivi. 29. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto Annibale e Giorgio Rigotti. Sezione longitudinale; ivi.
  • 46. 366 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 30. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto O. Aloisio. Facciata su piazza Castello; ivi.
  • 47. 367 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 31. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto O. Aloisio. Vista della sala; ivi.
  • 48. 368 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 32. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Sottsass sr, U. Cuzzi e E. Pifferi. Facciata “A”; ivi. 33. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Sottsass sr, U. Cuzzi e E. Pifferi. Facciata “B”; ivi.
  • 49. 369 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 34. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Sottsass sr, U. Cuzzi e E. Pifferi. Vista della sala; ivi. 35. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto G. Muzio e C. B. Negri. Facciata, ivi.
  • 50. 370 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 36. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto G. Muzio e C. B. Negri. Vista della sala; ivi.
  • 51. 371 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 37. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Lorenzelli e E. Tam. Facciata; ivi. 38. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto E. Lorenzelli e E. Tam. Vista della sala; ivi
  • 52. 372 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 39. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Mo- rozzo della Rocca. Facciata “A” con i portici tamponati; Archivio Morbelli, Torino. 40. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Mo- rozzo della Rocca. Facciata “B” con i portici liberi; Archivio Morbelli, Torino.
  • 53. 373 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 41. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. Pianta a piano terra del progetto “A” e del progetto “B”; Archivio Morbelli, Torino.
  • 54. 374 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 42. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. Pianta dell’interrato e del primo ordine dei palchi; Archivio Morbelli, Torino.
  • 55. 375 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 43. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. Sezione longitudinale; da G. Manfredi, Il Teatro Regio, in «Rassegna Municipale Torino», XVII, 12 (1937).
  • 56. 376 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 44. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Mo- rozzo della Rocca. Ridotto. Gouache di Enrico Paulucci; Archivio Morbelli, Torino.
  • 57. 377 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 45. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. Sala. Gouache di Enrico Paulucci; ivi.
  • 58. 378 ARCHITETTURA DELL’ECLETTISMO 46. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. L’atrio e la saletta per concerti. Gouaches di Enrico Paulucci; da S. Manfredi, Il Teatro Regio, cit.
  • 59. 379 TEATRI E TEATRI D’OPERA IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI 47. Torino. Concorso per il nuovo Teatro Regio, 1937. Progetto A. Morbelli e R. Morozzo della Rocca. Palco. Gouache di Enrico Paulucci; ivi.