SlideShare a Scribd company logo
1 of 36
Download to read offline
071
ago
22
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale – Pubblicazione Informativa No Profit
mondosanpa
formazione
Tradizione e innovazione
pag.4
raccontami
52 storie
Occhi verdi
pag.16
dipende da noi
esperienze
Mai più senza dimora
pag.26
dipendenze
attualità
Cannabis, dati e dibattito
pag.30
Sono tanti i ragazzi del settore della ristorazione che hanno
la possibilità di intraprendere un percorso di formazione nei
riconosciuti ristoranti di SP.accio e Vite dove gli standard sono
elevati e l’attenzione alla qualità è di altissimo livello
La ricerca
dell’eccellenza
1
controcopertina
la
illustrazione di Giovanni Boschini
1
Sperodinonvedertisoffrire.
Sperocheturiescaarialzartiognivolta,
chetuvogliasempredareilmeglio
echenontichiuderaidinuovo.
Nonvogliopiùvedertipiangere
chiusainquellastanza,
nonvogliopiùscapparedicasa
néperdimenticare,népernontornare.
Escusasequandostavimalenonerolì.
Scusasenonhopiantoconte.
Scusaperlarabbia,perituoisensidicolpa
eperilmalechemisonofatto.
Bambinaavvoltadallepieghedeltempo,
portosicurochesemprem’attende…
…Mamma.
Senzaquestiocchiriescoavedere
latuasperanzachenonmorivamai,
chemihainsegnatodovefosselavita
anchementre fuggivo.
-
Fede
DIRETTORE RESPONSABILE
Silvia Mengoli
smengoli@sanpatrignano.org
REDAZIONE
Giorgia Gianni
ggianni@sanpatrignano.org
Federico Tossani
ftossani@sanpatrignano.org
Giovanni Boschini, Giovanni Ponzelli,
Ivana Livic, Zaccaria Nassim
HANNO COLLABORATO
Lorenzo Stella, Cristina Lonigro,
Valentina Lisi, Fede, Filippo, MaBe, F., Ivana
PROGETTO GRAFICO
Massimo Cillo
IMPAGINAZIONE
Michela Guerra
FOTOGRAFIE
Gabriele Bertoni, Alex Nasser, Giovanni Boschini,
Archivio WeFree, Archivio San Patrignano,
iStock by Getty Images
COPERTINA
Archivio San Patrignano
ILLUSTRAZIONI
Archivio iStock by Getty Images,
Giovanni Boschini
IMPIANTI E STAMPA
Grafiche San Patrignano
CONFEZIONE E SPEDIZIONE
Legatoria Timbrificio Universo snc
via B. Buozzi, 38 - Ravenna
REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE
Comunità San Patrignano Soc. Coop. Sociale
Via San Patrignano, 53 - 47852 Coriano (RN)
Tel. 0541 362111 - Fax 0541 759799 (redazione)
Fax 0541 756604 (amministr.)
DONOR CARE SAN PATRIGNANO
Via S.Patrignano, 53 - 47852 Rimini
Tel. 0541 362247 - Fax 0541 756108
donorcare@sanpatrignano.org
INTERNET
www.sanpatrignano.org
REGISTRAZIONE
Tribunale di Rimini N. 255 del 9/4/1984
CHIUSO IN TIPOGRAFIA
il 27.07.2022
TIRATURA
12.000 copie
mondosanpa
Ascoltare per crescere
di Giovanni Ponzelli
Dare valore al futuro
di Giovanni Boschini
Il saluto a Piero e Vanni
a cura dell'ufficio stampa
raccontami
52 storie
Il coraggio di avere paura
di Filippo
52 storie
Quella piccola finestra di legno
di Valentina Lisi
Una scelta diversa
di F.
Con parole mie
Sentirmi vera, sentirmi viva
di Ivana
Giù la maschera
Non nasconderti più
a cura della redazione
Ora reagisco
a cura della redazione
dipende da noi
Attraverso le nostre storie
a cura di Federico Tossani
rubriche
La controcopertina
Illustrazione di Giovanni Boschini
Promemoria
a cura della redazione
1
LEGGESULLAPRIVACY
Informativaaisensidegliart.13-14delGDPR(GeneralDataProtectionRegulation)2016/679
Idatipersonalifornitisonotrattatiperl’inviodelSanpaNewsediulterioriinformazionisu
progetti, eventi, invio di materiale informativo per iniziative di sensibilizzazione e attività
diraccoltafondidellaComunitàSanPatrignano,nonchéperelaborazioniditipostatistico.
Il conferimento dei dati è facoltativo ma necessario per l’espletamento del servizio di
cui sopra. Titolare del Trattamento è Comunità San Patrignano Soc. Coop Sociale. Il
trattamento sarà espletato sia mediante l’utilizzo di strumenti manuali e/o informatici.
I dati personali non saranno oggetto di diffusione. Potrà esercitare i diritti di cui all’art. 15
delReg.UE2016/679(diaccessoaidati,diottenernelarettifica,cancellazioneolimitazione
del trattamento, di opporsi al trattamento, diritto alla portabilità dei dati, di revocare
il consenso, di proporre reclamo all’autorità di controllo-Garante Privacy) scrivendo a
Comunità San Patrignano Soc. Coop. Sciale, via San Patrignano n. 53- 47853 Coriano
(RN), oppure al Responsabile del Trattamento (Dott. Nicola Cecchi) alla mail: sistemi_
informativi@sanpatrignano.org. I dati verranno conservati per il periodo necessario al
perseguimento delle finalità indicate nell’informativa e/o per le tempistiche di legge in
materiaamministrativa,contabileefiscaleecomunquenonoltre10annidallaraccolta.
9
6
10
12
3
18
21
22
24
25
28
promemoria
3
a cura della redazione
Lunedì 27 giugno l’assemblea dei soci ha
eletto Vittoria Pinelli nuova presidente
della Comunità San Patrignano, succedendo ad
Alessandro Rodino Dal Pozzo che per ragioni
personali, pur restando all’interno del CDA della
Comunità, ha dovuto lasciare l’incarico. Vittoria,
a San Patrignano dal 1982, ha da sempre seguito
l’ufficio accoglienza, prendendosi cura dell’ingresso
e del reinserimento di centinaia di ragazze e ragazzi.
“È un ruolo che affronto con grande senso di
responsabilità per portare a compimento il
progetto iniziato in questi anni. Personalmente,
pur essendo una figura operativa, sono lusingata
da questo ruolo e mi sento di dire che si tratta di
un coronamento non della mia attività lavorativa,
ma della mia vita. Sono arrivata molto giovane e
qui ho trovato la mia famiglia allargata, composta
da tante persone a cui voglio bene e che mi
permettono di vivere una vita piena e serena.
Sono veramente felice di essere la prima donna a
ricoprire questo incarico e nonostante gli impegni
che il ruolo prevede, manterrò sempre quel contatto
con i ragazzi, le famiglie, e i genitori di chi ha
bisogno di aiuto che è fondamentale per me e la
ragione per cui esiste la Comunità”.•
Cucina e formazione
La nuova
presidente
'Bethany Williams: Alternative System’ è la mostra
che il Design Museum dedica alla stilista londinese
che unisce moda e impresa sociale, glamour e solidarietà.
Ogni capo realizzato dal suo marchio nasce infatti dalla
collaborazione con realtà svantaggiate, case famiglia,
centri di recupero, fra cui San Patrignano, utilizzando
materiali di scarto. Alla comunità viene poi donata una
parte del ricavato dalle vendite. Da alcune collaborazioni
nascono inoltre progetti artistici con importanti
connotazioni sociali: la mostra espone, per esempio, capi
di abbigliamento su cui sono state stampate parti delle
lettere che le ragazze di San Patrignano si sono scambiate
con le detenute della prigione di HMP Downview di
Londra. Durante la collaborazione con lo studio di
Bethany Williams le donne sono state invitate a tenere
una corrispondenza per riflettere su cosa significa per
loro il cambiamento. •
Da San Patrignano
alle passerelle
Termina ad agosto il corso di Produzione Pasti, tenuto
dagli chef Raffaele Liuzzi e Cristina Lunardini e
finanziato dal Fondo Sociale Europeo – Regione Emilia
Romagna. Il corso ha coinvolto 12 ragazzi e ragazze
della Comunità, con un totale di 300 ore di formazione,
240 di lezione teorica e 60 di stage, svolte proprio nel
settore cucina della Comunità. Al termine del percorso
di formazione, i dodici ragazzi riceveranno un attestato
di “cuoco addetto alla produzione pasti”, spendibile in
luoghi di preparazione come ospedali o grandi mense. •
mondosanpa
4
testo di Giorgia Gianni
Condividere la passione
per il cibo e fare scoprire la
genuinità dei prodotti frutto
dell’impegno dei ragazzi
di San Patrignano. È la
filosofia di Vite, l’agriturismo
gastronomico aperto dal 2008
sulle colline della Comunità,
tra il mare Adriatico e
l’appennino
spiega Arianna Merlo, responsabile
sociale e gestionale del ristorante
—. Si tratta di giovani che in passato
hanno già lavorato nella ristorazione
o che ne hanno appreso i segreti nel
percorso a San Patrignano. La briga-
ta di cucina e lo staff del ristorante
vedono l’inserimento di ragazzi che,
dopo avere ripreso gli studi e avere
conseguito la maturità alberghiera
durante il percorso di recupero a San
Patrignano, hanno ora l’opportunità
di perfezionarsi come aiuto cuochi
e camerieri in sala”. A loro nei fine
settimana si uniscono altri ragazze
e ragazzi che frequentano la sezione
di scuola alberghiera distaccata nella
Comunità. I clienti di Vite spesso ve-
dranno impegnate in cucina e in sala
più persone di quante solitamente
possono esserci in un ristorante, ma
senza il loro brulicare fra i tavoli e la
loro voglia di imparare, il ristorante
non avrebbe senso di esistere.
Vite è un luogo di grande ispirazione
per creare e reinventare costante-
mente piatti unici e di grande con-
tenuto. Le materie prime della filiera
di San Patrignano sono alla base del
menù e garantiscono altissima quali-
tà, dalle carni agli ortaggi, dalla norci-
neria fino ai formaggi agli oli. In cuci-
na la volontà è quella di unire nuove
idee a ingredienti di prossimità. Una
filosofia che unisce stagionalità au-
tentica e i prodotti provenienti o dalla
filiera della Comunità o accurata-
mente selezionati fra le migliori realtà
n luogo essenziale per la
formazione delle ragazze
e dei ragazzi in percorso
di recupero: a Vite i gio-
vani provenienti dai settori cucina,
forno e ospitalità possono mettersi
alla prova in una realtà della ristora-
zione in cui gli standard sono elevati
e l’attenzione alla qualità è massima.
Accanto allo chef Davide Pontorie-
re, al sous chef Marco Celentano e al
maître Leonardo Di Franco, i ragazzi
osservano, imparano, mettono in pra-
tica le competenze apprese.
“Attualmente sono una decina i ra-
gazzi e le ragazze della Comunità
nel settore rappresentato da Vite —
U
Tradizione
e innovazione
5
agroalimentari. “Nel piatto si ritrova la
sinergia con il territorio e l’amore per
la materia prima, trattata con rispet-
to, delicatezza e semplicità — spiega
lo chef Davide Pontoriere —. I nostri
piatti prendono vita dalla libertà di
proporre abbinamenti inediti, vivaci,
che parlano di San Patrignano e di ra-
gazzi che in cucina vogliono mettersi
in gioco”.
Il menù di Vite segue il ciclo delle
stagioni e viene aggiornato periodi-
camente, unendo tradizione e inno-
vazione nel lavorare in chiave con-
temporanea le tipicità del territorio e
altre eccellenze. Sarà possibile ritro-
vare quindi grandi classici del risto-
rante, come la “Pappa al pomodoro”
o il “Risotto Vite”, insieme a proposte
di una cucina diversa da quella abi-
tuale, capace di inventarsi, giocare e
restare solidamente ancorata alle ori-
gini e accessibile, in cui i piatti hanno il
sapore del comfort food e la fragran-
te vivacità dei prodotti di filiera.
Grande attenzione è posta natural-
mente anche alla scelta dei vini, pro-
venienti dalla cantina della Comunità
e dai migliori produttori vitivinicoli,
che vengono abbinati ai piatti del
menù per espressione varietale e ca-
rattere regionale, a completamento
armonioso della filosofia di cucina.
I ragazzi e le ragazze della Comunità
che durante il percorso di recupero
fanno formazione a Vite hanno l’op-
portunità non solo di confrontarsi con
lo chef e i professionisti della brigata
di cucina, ma anche con altri cuochi di
fama che il ristorante ospita periodi-
camente per serate “a quattro mani”.
Sono arrivati nel ristorante di San Pa-
trignano, tra gli altri, chef come Carlo
Cracco o Gennaro Esposito della Tor-
re del Saracino. Stretto il rapporto an-
che con prestigiose cantine italiane,
protagoniste di serate a tema in cui i
vini si abbinano ai piatti che traggono
ispirazione dal territorio e dalla ricer-
ca dell’eccellenza nella materia prima,
per fare apprezzare tutta la dinamica
creatività della cucina di Vite.
Nel piatto si ritrova la
sinergia con il territorio
e l’amore per la materia
prima, trattata con
rispetto, delicatezza e
semplicità.
I nostri piatti prendono
vita dalla libertà di
proporre abbinamenti
inediti, vivaci, che
parlano di San
Patrignano e di ragazzi
che in cucina vogliono
mettersi in gioco”
—
chef Davide Pontoriere
6
Ascoltare
per crescere
Costruire il proprio
futuro aiutando gli
altri. Come è stato
fatto con noi. Per
ridare un futuro a chi
non lo vede più
ll’ultima spiaggia: ecco
dove ero arrivata”. Silvia
ha 38 anni ed è originaria
di Vittorio Veneto, in pro-
vincia di Treviso. “Dalle mie parti, San
Patrignano è vista proprio così: il po-
sto dove arrivi quando per te non c’è
più niente da fare, dove devi restare
perché non ce la fai a vivere nella vita
‘normale’, quella fuori”.
Figlia unica di genitori operai, fino ai
15 anni tutto sembra andare bene.
“Poi improvvisamente, un giorno ho
notato qualcosa che era sempre sta-
to lì ma non aveva mai catturato la
mia attenzione”, ci spiega Silvia. “Un
gruppetto di ragazzi che si ritrovava
nel parcheggio di fronte casa mia.
Ho pensato che fossero dei fighi e
ho immediatamente voluto conqui-
stare uno di loro, che poi è diventato
il mio primo ragazzo”. Insieme a lui
scopre le canne e soprattutto l’eroina.
Fu un amore a prima vista, racconta
Silvia: “Avevo fumato canne per poco
tempo, quello che provai fu talmente
intenso che immediatamente mi resi
conto che non avrei più potuto farne
a meno”.
In quel momento, Silvia stava fre-
quentando le scuole superiori, con
risultati più che soddisfacenti: “Sono
mondosanpa
testo di Giovanni Ponzelli
A
7
occupazioni saltuarie che puntual-
mente dopo qualche tempo decide-
vo di lasciare perché a causa del mio
comportamento arrivavo immanca-
bilmente sull’orlo del licenziamento.
E così via, una dopo l’altra. Ogni tan-
to poi, quando mi riducevo davvero
male, mi rifugiavo in una comunità
solo per il tempo necessario a rimet-
termi in piedi, fin quando ero in grado
di risalire su quella giostra”.
A un certo punto poi entra in scena
qualcos’altro: “A 29 anni ho scoper-
to la cocaina e tutto cambiò ancora
aspetto. Ogni facciata si distrusse,
stavo fuori per giorni, mi andavo a
infilare in situazioni da cui mio padre
puntualmente doveva tirarmi fuori; lui
e la mamma hanno sempre creduto
che potessi in qualche modo farcela
a riprendermi”.
Dopo l’ennesimo insuccesso in co-
munità, il SERT le comunica che non
avrebbe più contribuito finanziaria-
mente al suo recupero; a quel punto,
le viene consigliata San Patrignano.
Era l’ottobre del 2017.
Viene accolta nel settore della Cu-
cina. All’inizio non ha la forza di fare
niente, neanche di reagire. Con il
tempo però, e con le responsabilità,
il suo carattere egocentrico e sempre
teso ad avere di più inizia a mostrarsi:
“Dopo un anno non riuscivo a capi-
re cosa dovevo fare; quanta fatica ho
fatto per iniziare a condividere, io che
avevo sempre e solo pensato a me
stessa”. In seguito le cose peggiora-
no: “A due anni non solo non avevo
capito ma addirittura, sentendomi in-
calzata dai miei responsabili che vole-
vano che andassi avanti, iniziai anche
a rispondere, ad arrabbiarmi. Arrivai a
volermene andare”.
Finché un giorno, in cucina “ero sola
davanti a un lavello a pulire pomo-
dorini, arrabbiata con tutti e tutto. E
dentro di me mi dissi: ‘Silvia, cosa ti
costa cercare di capire cosa cercano
di dirti?’. Cercai di essere più umile
e mettermi finalmente in ascolto”.
Da quel giorno, qualcosa scattò: “Il
mio egoismo è solo un ricordo, ho
scoperto quanto sia ricca e gratifi-
cante l’esperienza della condivisione
e dell’aiutare gli altri. Addirittura sto
pensando di costruire il mio futuro in
base ad essa”.
Silvia infatti a San Patrignano si è
iscritta all’università telematica per
laurearsi in Scienze dell’Educazione e
poter così trasformare quella che ha
scoperto essere la sua vocazione in
un lavoro, possibilmente qui a Sanpa:
“È qui che tutto è cambiato per me,
quindi spero di poter arrivare a conti-
nuare a fare qui ciò che è stato fatto
con me: ridare un futuro a chi non lo
vede più”.
sempre stata molto brava a scuola,
frequentavo un istituto tecnico per il
turismo; i miei genitori cominciarono
però a sospettare che qualcosa non
andasse e a modo loro cercarono di
intervenire”.
La situazione andò avanti per qual-
che tempo finché una mattina il pa-
dre aprendo una porta nel momento
sbagliato la scopre mentre si sta per
fare ed insieme si ritrovano prima
ad andare al SERT e poi, addirittura
nella stessa mattinata, Silvia approda
in Comunità. Ha solo 17 anni. Sarà la
prima di una serie: “Non sono mai ri-
uscita a concludere un percorso. Ne-
gli anni della mia tossicodipendenza
sono entrata e uscita tante volte dalle
comunità; inoltre, la prima volta mi ri-
trovai con persone anche molto più
grandi di me da cui io, avida di espe-
rienze, mi feci condizionare”. Per que-
sto Silvia, pur riuscendo grazie alla
disponibilità dei suoi insegnanti a fi-
nire la scuola, immediatamente dopo
lascia la comunità. Riesce comunque
a diplomarsi.
“Mi iscrissi addirittura all’università
ma studiare non era assolutamente
tra i miei obiettivi: avevo sete di espe-
rienze”, ammette. “Lasciai dunque
gli studi e cominciai a lavorare: tutte
Il mio egoismo
è solo un
ricordo, ho scoperto
quanto sia ricca
e gratificante
l’esperienza della
condivisione e
dell’aiutare gli altri.
Addirittura sto
pensando di costruire
il mio futuro in base
ad essa”
8
al 2008 il ristorante piz-
zeria di San Patrignano è
sia la vetrina dei prodotti
enogastronomici e ar-
tigianali della Comunità, sia il banco
di prova dei ragazzi e delle ragazze
in percorso, in cui la ricerca dell’eccel-
lenza va di pari passo con la ricerca di
serenità e futuro.
Oggi sono 20 i giovani in percorso e
formazione a SP.accio per riprendere
in mano la propria vita, mentre altri
otto sono stati inseriti al lavoro al ter-
mine del percorso di recupero. In cu-
cina, sotto l’attenta guida dello chef,
imparano a preparare specialità ispi-
rate allo street food o raffinati piatti
in equilibrio tra tradizione e creativi-
tà, pizze gourmet, deliziosi dessert
e pasticceria. La pasta madre della
pizzeria è amorevolmente tramanda-
ta e curata dai ragazzi. Gli ingredien-
ti di ogni piatto, i formaggi, i salumi,
la chianina, le verdure, il vino e l’olio
provengono dai campi e allevamenti
di San Patrignano, oppure da picco-
Per molti ragazzi, in questi
anni, il forno a legna, la
cucina e la sala di SP.accio
sono stati la prima tappa
di un percorso verso la
maturità e l’equilibrio. Per
alcuni hanno rappresentato
anche il trampolino verso la
realizzazione professionale
D
Laricerca
dell'eccellenza
li produttori certificati e presidi slow
food.
Anche gli arredi interni del ristoran-
te, le decorazioni, l’oggettistica, le
lavorazioni in legno, ferro e metallo,
e i tessili per la tavola sono curati e
realizzati artigianalmente dai ragazzi
del Design Lab della Comunità. Nello
shop di SP.accio si trova tutto ciò che
a San Patrignano si produce, coltiva,
lavora e affina: vino, formaggi e salu-
mi, prodotti da forno, articoli di abbi-
gliamento, pelletteria o fiori freschi.
Questa estate a SP.accio sono tornati
inoltre gli aperitivi fra gli ulivi “Sotto le
fresche frasche”, un’ulteriore occasio-
ne, per i ragazzi, per mettersi alla pro-
va con i clienti esterni. Nella cornice
dell’uliveto vista mare che circonda il
ristorante, tutti giorni dalle 18 vengo-
no allestiti originali salottini open air
con pallet di recupero e grandi cusci-
ni. Per il pubblico, partecipare “Sot-
to le fresche frasche” significa fare
un’esperienza gastronomica e umana
unica, passando una serata speciale
all’insegna del relax e del gusto. L’a-
peritivo propone creative pizze stira-
te, ricchi taglieri, ottime birre artigia-
nali, freschissimi cocktail e tradizionali
vini del territorio.
D
a cura della redazione
mondosanpa
9
on riesco a spiegare
quanto sia bello aver
conseguitoquestoobiet-
tivo, per me è una cosa
“enorme”, se così posso dire. Torno a
casa con la mia vita in mano, pronto
a mettermi in gioco. Il coronamen-
to del mio percorso è stato questo
diploma e averlo ottenuto con ‘cen-
to’ mi ripaga certamente di tutti gli
sforzi fatti. Ricordo le notti passate
in bianco e i pianti. Ammetto che più
di una volta mi sono sentito profon-
damente frustrato, sono spesso au-
tocritico e perfezionista”. Mattia ha
ventidue anni, è un ragazzo molto
profondo, che prima di esprimere un
concetto pensa molto, ascolta chi ha
di fronte.
Ora che ha terminato il percorso a
San Patrignano è pronto. Sta per
tornare a casa sua, in provincia di
Sondrio, desideroso di iniziare una
nuova vita, con tante aspettative e
l’ansia di riuscire a realizzare qual-
cosa che possa riempire la sua vita.
“Non ho mai capito quale potesse
essere la strada giusta per me, quel-
lo che mi avrebbe soddisfatto piena-
mente fino in fondo. Come me, sono
tanti i ragazzi che a San Patrignano
hanno riscoperto il valore delle pic-
cole cose, dei sacrifici e che, grazie
anche alla possibilità di riprendere
gli studi o iniziarli da zero, hanno ora
trovato un obiettivo da raggiungere.
Questa esperienza mi ha cambiato
e profondamente motivato, ora so
di avere tutte le carte in regola per
dare valore al mio futuro, sentirmi
soddisfatto e rendere orgogliosa la
mia famiglia”.
Con la fine di un altro
anno scolastico è
arrivato il tanto atteso
momento della maturità.
A raccontarci la sua
esperienza è Mattia,
diplomatosi con cento in
Servizi Socio-Sanitari
Dare valore al futuro
Quest’anno sono
trentuno i ragazzi e le
ragazze della Comunità di San
Patrignano ad aver conseguito
con successo il diploma di
maturità. Di questi, dodici
lo hanno ottenuto in Servizi
Socio-Sanitari all'I.P.S. Versari
Macrelli di Cesena, sedici nella
Ristorazione all'I.P.S.S.E.O.A. S.
Savioli di Riccione e tre come
odontotecnici presso l’I.P.S.I.A.
G. Benelli di Pesaro. Il Centro
Studi della Comunità ha visto,
inoltre, undici studenti di
terza superiore conseguire la
qualifica nell’ambito della
Ristorazione e due ragazzi
del Centro Minore maschile
ottenere la Licenza Media
presso l’I.C.O. di Ospedaletto in
provincia di Rimini.
Traguardi
importanti
N
testo di Giovanni Boschini
sanpa
mondo
10
mondosanpa
mondosanpa
a cura dell'ufficio stampa
San Patrignano ha dato il
proprio commosso addio a
Piero Prenna e Vanni Laghi.
Una cerimonia toccante
per salutare insieme i due
responsabili della comunità,
spentisi a poca distanza di
tempo l’uno dall’altro
iero e Van-
ni, con il
loro operato, il loro esempio
e il loro grande cuore, han-
no lasciato un segno indelebile in tut-
ti coloro che hanno avuto la fortuna
di incontrarli nel proprio percorso di
vita. Lo hanno ricordato con emozio-
ne le testimonianze di alcune ragaz-
ze in percorso.
“Quando Vanni ti guardava, vedevi
la sua anima, la sua capacità di esse-
re in connessione con gli altri. E nei
suoi abbracci sentivi un grande sen-
so di protezione e sapevi che tutto
sarebbe andato bene. Vanni rimarrà
P
sempre con
noi. Gli siamo
riconoscenti
e cercheremo
di vivere e ri-
trasmettere gli
stessi valori”.
“La vita da un
giorno all’al-
tro si prende
ciò che vuole. Sarà difficile abituar-
si all’assenza di Piero. Ricorderemo
tutti i pranzi fatti insieme, i suoi mille
racconti, i consigli che sapeva sem-
pre darci. Per ognuno aveva sempre
una parola. Nei suoi occhi e nei suoi
gesti si poteva vedere quanto fosse
forte la sua anima. Resterai sempre
nei nostri cuori, ciao Piero”.
Nell’omelia, don Fiorenzo ha traccia-
to un parallelo fra i percorsi di ricer-
ca di Ulisse e Abramo e i cammini di
vita di Piero e Vanni. “Nella nostra
cultura occidentale abbiamo due
Il saluto a
		 Piero e Vanni
11
miti, due percorsi straordinari: il mito
di Ulisse e il mito di Abramo, com-
plementari l’uno con l’altro. Ulisse
è la ricerca, l’avventura, la voglia di
scoprire, sapendo che questo com-
porta tanti accidenti di percorso. Ma
ciò che aiuta Ulisse a realizzare com-
pletamente la sua vita è il ritorno a
Itaca, a casa. L’andare fuori, il cerca-
re, per poi ritornare dentro se stessi,
dentro la propria realtà. Il cammino
di Sanpa è davvero questo: il ricono-
scimento di un’esigenza dell’uomo di
scoprire, di conoscere, come hanno
fatto Vanni e Piero, e poi accorgersi
di qualcosa di molto più bello e pro-
fondo dentro di noi: Itaca, la propria
realtà, la propria centralità, il proprio
essere. Il ritorno a casa”.
“Abramo è un andare, ma non per
ritornare – ha proseguito don Fio-
renzo - bensì per credere a quella
passione, a quella voce che per Ulis-
se era Itaca, per Abramo è la vita, la
realizzazione. E’ fantastico avere una
fede che fa percorrere queste strade,
questa realtà, e si fida
non tanto di sé, quan-
to piuttosto di quella
verità che dentro di
noi continuamente ci
fa vedere le cose in
maniera diversa. Abra-
mo va, ottiene tutto
ciò che gli serve per
realizzare la propria
vita. E’ il mito di anda-
re, fidandosi”.
“Quello che i nostri
amici Piero e Vanni ci
regalano – ha conclu-
so – e che ognuno di
noi può regalare all’altro, è proprio
questa consapevolezza che soltan-
to nell’accoglierci gli uni con gli altri,
nel morire alle nostre inquietudini e
paure possiamo cogliere nell’altro la
bellezza e la verità che ci riempie di
forza, di gusto nell’andare, nel riper-
correre questo cammino, nel ritrova-
re la vita. Siamo consapevoli che da
ogni errore possiamo imparare tanto
e cominciare a essere diversi, per un
mondo migliore. Ogni condivisione,
ogni saluto, ogni momento come
questo diventa un fermento nuovo
di vita. Vanni e Piero hanno semi-
nato, adesso è il tempo del raccol-
to dell’offerta e del dono che questi
due amici hanno fatto. Grazie Vanni,
grazie Piero, grazie a ciascuno di voi
che fatica ogni giorno per ritornare
a Itaca dentro se stesso, e che cer-
ca di avere dentro di sé quella forza,
quella fede che ha guidato loro due
a percorrere questo cammino”.
Piero e Vanni, con
il loro operato, il
loro esempio e il loro
grande cuore, hanno
lasciato un segno
indelebile in tutti
coloro che hanno
avuto la fortuna di
incontrarli nel proprio
percorso di vita.
Lo hanno ricordato
con emozione le
testimonianze di
alcune ragazze in
percorso
12
raccontami 52 storie
Il coraggio
di avere paura
Presta attenzione a ciò
che ti circonda. Spesso
le tue idee arrivano dal
paesaggio, dalle cose e
dalle persone che hai
intorno. Quello che
viviamo ci permette
di dare una forma alle
nostre emozioni, ai
ricordi belli e dolorosi che
abbiamo, trasformandoli
in pensieri, frasi e parole
che magari hanno vagato
per anni dentro di noi
amminavamo per il viale
principale senza guardar-
ci. C’era il sole, era una
giornata tiepida, piacevo-
le. Eravamo soli su questa strada: io,
mio padre e mio fratello. I raggi di
sole filtravano tra le fronde degli al-
beri, mentre una brezza tiepida sof-
fiava appena, facendoci sentire leg-
geri. Mi sentivo sicuro, era la prima
volta che riuscivo a stare con la mia
famiglia in questo modo. Niente bot-
te, niente pianti, né urla. Nessun silen-
zio pesante, non dovevamo per forza
dirci qualcosa, per fare finta di stare
bene.
C
13
Non era la prima volta che rivedevo la
mia famiglia, avevo già affrontato
questo argomento con loro. Ero stato
chiaro nel dirgli che la colpa era mia,
totalmente. Ne ero consapevole: ero
io ad essermi drogato, non loro. An-
che quando ero piccolo sapevo bene
dove potevano portare le mie scelte;
adesso che la droga non attutiva più
niente, poi, ero spesso preda dei sen-
si di colpa, per quello che avevo fatto
nei momenti in cui ero disperato. Ho
passato tanti anni a farmi male, senza
mai pensare che anche le persone in-
torno a me soffrivano. Con le mie
azioni le facevo stare ancora peggio,
proprio perché mi volevano bene
come nessun altro e volevano ad
ogni costo che io non soffrissi, o
quantomeno che riuscissi a chiedere
aiuto. Eppure vedevo che, nonostan-
te le mie parole, loro continuavano in
qualche modo a sentirsi in colpa, si
chiedevano cosa avessero sbagliato
nei miei confronti.
In quel giorno di primavera inoltrata,
io, mio padre e mio fratello ci siamo
seduti su una panchina nascosta, in
quel viale enorme dove non c’era
nessuno. Sembrava un sogno e un
paradosso. Era un posto perfetto per
parlare, calmo e aperto ma anche
isolato. Era tutto troppo bello per
uno come me. “Posso chiederti una
cosa?”. “Dimmi papà, certo che puoi”.
“Vorrei che mi spiegassi cos’è che ti
ha fatto più male, quando eri picco-
lo”.
Era sempre così mio padre: diretto,
sicuro di sé. Con quella voce calma
che ti spiazza, che ti dà l’illusione che
lui sappia tutto, o quantomeno che
riesca a trovare sempre una soluzio-
ne ad ogni tuo problema. Mio fratello
D’un tratto però arriva a tutti lo stes-
so pensiero. Stiamo camminando in
una comunità, oggi è il giorno del mio
invito. Una giornata dedicata a noi, al
nostro rapporto, una volta ogni quat-
tro mesi. Per quanto lo si possa pren-
dere alla leggera, come fosse una
giornata di vacanza e gioia, il giorno
dell’invito è un momento in cui dob-
biamo affrontare delle questioni tra
noi. Tra circa un anno e mezzo torne-
rò a casa, probabilmente. Nessuno lo
impone eppure tutti, nello stesso mo-
mento, ci sentiamo in dovere di chie-
derci cosa ci sia stato di sbagliato.
Perché alla fine sono finito nel mon-
do della droga? E soprattutto, cosa
deve fare ciascuno di noi per evitare
che questo possa succedere di nuo-
vo?
14
mi guarda. Ormai siamo grandi, an-
che lui vuole sapere, vuole capire. E in
uno sguardo capisco che anche lui
sta provando quello che sento io. Lui
ha passato le stesse cose. Non ci sia-
mo parlati per anni e alla fine abbia-
mo preso due strade molto diverse,
eppure ci capiamo senza nemmeno
parlarci. Hanno tutto il diritto di avere
delle risposte ma a me non piace par-
lare del passato. Non perché mi fa
soffrire, non è solo quello. Spiegare il
perché di quello che ho fatto, sareb-
be come dare un senso alla strada
che mi ha portato qui oggi. E non c’è
nessun motivo che possa giustificar-
lo. “Fammi un favore, dimmelo e ba-
sta. Rimarrà qui, non ne parleremo
più. Solo questa volta”. “Cosa vuoi
sapere esattamente? Cosa ho passa-
to di brutto, mentre facevo quella
vita?”.
“Voglio sapere quello che vuoi dirmi.
Quello che veramente hai dentro, che
ti ha fatto male. So che per te è diffi-
cile ma prova a capirmi, io non mi
sono mai dato pace fino in fondo.
Forse questo mi aiuterebbe. Non far-
lo per chiedermi scusa, fallo per aiu-
tarmi, e non preoccuparti di quanto
mi farà male. Quello è un problema
nostro, di me e tuo fratello che ti vo-
gliamo bene. Tu diccelo e basta, se
riesci. Se puoi”.
Quello che mi ha sempre allontanato
dalle persone ‘normali’, per così dire,
è sempre stato questo. Tutti pensano
che i rimorsi dei tossici siano, magari,
le volte che hanno rischiato di morire,
o le cose che sono arrivati a fare. Sen-
za quel muro di gomma tra me e il
mondo, ovvero le sostanze, mi sono
vergognato molto ripensando a tutti
i soldi che ho rubato, ai danni che ho
causato con le macchine che ho di-
strutto, le cose che ho venduto, alla
violenza subìta e inferta quando sta-
Mio padre ha stretto
i denti, sapevo che
avrebbe voluto
chiederci scusa. Non
serviva, non doveva.
Mio fratello mi ha
guardato, ognuno
ha visto se stesso
nell’altro
52 storie
15
vo per strada, nelle piazze o in uno di
quei posti marci e dimenticati. Ma è
davvero una scusa per stare male, un
fantoccio a cui addossare la colpa del
malessere. Spesso nel passato ho
cercato apposta qualcosa che giusti-
ficasse tutto lo schifo che mi facevo,
tutta la solitudine che avevo dentro.
Avevo già raccontato queste scene ai
miei compagni di stanza. Quella pic-
cola parte di me, però, quei momenti
che mi facevano tanta paura, avevo
deciso di tenerli nascosti, di non met-
terli in gioco con nessuno. Era pro-
prio questo che mi stava chiedendo
papà. La realtà è che ci vuole tanto
coraggio per provare quella paura.
Forse per questo ho deciso di parla-
re, quel giorno. O forse è stato grazie
a mio padre. Perché non capivo come
facesse, proprio lui, a voler portare la
luce in quell’unico cassetto che vole-
vo lasciare chiuso, dentro di me. Mi
sentivo stupido, ma volevo dirlo. Ad
alta voce.
“È stato il silenzio che mi ha fatto
male, papà. Perché non capivo che tu
avessi i debiti e dovessi lavorare fino
a sera, non sapevo che mamma fosse
caduta in depressione. E in fondo
nemmeno mi interessava. Io tornavo
a casa da scuola e sentivo solo silen-
zio. Sapevo che in frigo c’erano i cor-
don bleau, quelle maledette croc-
chette al formaggio che dovevo
scaldarmi al microonde. Sentivo
mamma chiusa in camera, voi eravate
tutti da qualche parte, a fare qualco-
sa. E io non volevo starci a casa da
solo. Non volevo restare lì a ripensare
a quelli di terza che mi picchiavano,
né ai miei compagni di classe e al loro
modo di guardarmi. Al fatto che non
piacessi a nessuno, perché in fondo
ero uno sfigato. Non volevo parlarne,
sfogarmi con qualcuno, non volevo
affrontare il problema. Volevo solo
andarmene. Volevo uscire, stare con
qualcuno, fare qualcosa e magari di-
vertirmi. Volevo avere una cazzo di
scusa per non pensare, per non sen-
tirmi stupido nel ricordare quando
ero piccolo, quando vivevamo tutti
insieme nella casa grande dei nonni
ed eravamo felici. Non ero più picco-
lo, quindi non potevo permettermi di
pensare a ‘ste robe. Più ci pensavo e
più mi sentivo stupido. Così volevo
uscire, volevo spaccare le cose, fare
casino, e per farlo andava bene qua-
lunque cosa. Volevo solo imparare a
non pensare alle cose che mi faceva-
no soffrire. Volevo imitare qualcuno
che mi sembrava invincibile, per capi-
re come si faceva a diventare grandi,
a non pensare più a queste cagate”.
“Sai Fili, io ci penso ancora, mi fa an-
cora male. Sarà che sono tuo fratello
ma ci penso eccome a tutto questo.
E anche se non mi sono mai drogato
io queste cose non le ho mai dette a
nessuno, una soluzione non l’ho an-
cora trovata, io sto male tutti i giorni”.
Non so come si mettono a posto
queste situazioni. Non so a chi sia
giusto dare la colpa, non so come vi-
vono le famiglie normali. In quel mo-
mento non capivo nemmeno se fossi
pazzo. Sapevo solo che volevo bene
a entrambi, e tanto. Guardavo mio
fratello, poi ci siamo guardati tutti e
tre. Mio padre ha stretto i denti, sape-
vo che avrebbe voluto chiederci scu-
sa. Non serviva, non doveva. Mio fra-
tello mi ha guardato, ognuno ha visto
se stesso nell’altro. “È mio fratello”,
pensavo. Forse è una frase stupida, a
me quel pensiero faceva piangere,
perchè stavo per perderlo. Non sono
cose che si possono spiegare. Non
saprei come si fa a creare, questo luo-
go e questo tempo. Ho provato per
una vita a dire queste parole ma non
hanno mai avuto senso, né dentro la
mia testa né fuori dalla mia bocca.
Non esisteva senso di colpa, in quel
momento. Non c’era rancore, nessu-
na parola in più da aggiungere. C’era-
no solo tre persone che si abbraccia-
vano in silenzio, stringendosi forte,
come se avessero di nuovo paura di
perdersi. Filippo
16
raccontami 52 storie
Occhi
verdi
ei rimasta con noi tutto il pomeriggio, a bere e a fu-
mare. Parlammo di musica e di serate in discoteca.
Io avevo appena iniziato ad andare a ballare. Era-
no gli anni d’oro dell’hardstyle e dell’hardcore. Poi ti
sei tolta gli occhiali, ricordo benissimo quel momento. Per la
prima volta vidi i tuoi occhi, due enormi occhi verdi, un po’
arrossati dall’erba. Quello sguardo mi rimase impresso nella
mente. Parlai di te ad un amico, sapevo che ti conosceva,
dovevo trovare il modo di rivederti. Passarono mesi prima
che ciò accadesse. Settembre 2006, apertura del ‘Due’ di
Cigliano. Ero in cerca di pastiglie e mi portarono da una ra-
gazza che ne aveva da vendere. Eri tu. Restammo insieme
tutta la notte e ritornai a casa con te. Da quella notte i nostri
destini si incrociarono in un vortice di eccessi. Ormai l’uso
di cocaina ed eroina era diventato quotidiano. Tutti i giorni
si andava nei boschi a caricare e in zona tutti ci lasciavano i
soldi per procurare loro la droga. Insieme a te mi sentivo im-
portante. Per un sacco di tempo avere la droga in tasca non
fu mai un problema. Ci arrestarono. Fu la prima volta ed era-
vamo insieme. Io fui rilasciato perché minorenne e perché la
droga l’avevi tutta
tu. Per tutti i mesi
dei domiciliari non
ci fu occasione di
vederci e io do-
vetti trovare nuo-
ve strade per non
rimanere a corto
S
Ci siamo conosciuti in un pomeriggio d’estate
grazie ad un amico comune. Sei arrivata al
parco con la tua decapottabile nera. Ricordo
che indossavi un paio di occhiali da sole molto
grandi che ti coprivano il viso e una minigonna
mozzafiato
17
di sostanze. Quell’episodio fu l’inizio
della fine del nostro rapporto. Dopo
l’arresto le persone si allontanarono
da te, avevi perso gran parte del giro.
L’unica cosa per cui ti cercavano, me
compreso in fin dei conti. Sapevo di
piacerti, l’ho sempre saputo, ho fat-
to perno sui tuoi sentimenti tante e
tante volte per ottenere quello che
volevo. Ti ho usata, ti ho illusa. Mi fa-
cevo regalare eroina per venire a letto
con te, per stare in tua compagnia e
quando la droga finiva, io sparivo. Lo
sapevo io e lo sapevi anche tu. In fon-
do andava bene a tutti e due. Nel giro
di pochi mesi sei tornata a spacciare.
Tornarono i clienti, i soldi e io ormai
non servivo più. Le nostre strade si
divisero. Tu ti davi agli spacciatori in
cambio di droga, io avevo iniziato a
bucarmi. Era il 2011 e io ero entrato
nella prima comunità. Ci siamo rivisti
dopo quattro anni. Riconobbi la tua
macchina nel parcheggio del bosco,
bussai al finestrino. Fu uno shock ve-
derti in quello stato. Non sembravi
neanche tu, la droga ti aveva mangia-
to viva, i tuoi capelli e i tuoi bellissimi
occhi verdi erano solo ricordi. Restai
con te tutto il pomeriggio. Mi raccon-
tasti di tutte le cose brutte che ti era-
no capitate, eri stanca di stare male,
di essere usata e abbandonata dalle
persone. Mi sentivo in colpa, mi ver-
gognavo di fronte al tuo dolore. Non
ci perdemmo più di vista, nonostante
vivessimo due vite differenti ci si in-
contrava spesso nei soliti posti, con la
solita gente a condividere disperazio-
ne e siringhe. L’ultima volta che ti vidi
fu poco prima di iniziare a frequentare
l’associazione che mi avrebbe aiutato
ad entrare a San Patrignano. Passasti
a prendermi in stazione per portarmi
a prendere la roba. Non lo sapevo, ma
quelli sarebbero stati gli ultimi mo-
menti che avremmo condiviso. Erava-
mo due morti viventi, schiacciati dal
peso di tutti i nostri errori. Io vivevo
in macchina e tu in una casa occu-
pata da emarginati e spacciatori che
abusavamo di te per qualche pera al
giorno. Prima di salutarci mi hai dato
una foto: 2007, eravamo insieme, belli
e sorridenti. I tuoi occhi erano lumi-
nosi, come la prima volta che ti ave-
vo incontrata. Non li rividi mai più. Ho
scoperto solo un mese fa che non ci
sei più. Ti hanno trovata distesa su un
prato, in mezzo ad un bosco. Non si
sa da quanto tempo eri lì. Finalmente
è arrivata la pace anche per te. Quan-
to avrei voluto sapere che anche tu
eri riuscita ad aggiustare la tua vita!
Ma non ce l’hai fatta. Eri troppo fra-
gile e avevi perso le speranze. Sono
stato tanto male, quando ho saputo
della tua scomparsa. Rabbia, tristez-
za, sensi di colpa. Penserò a te ogni
volta che mi capiterà di perdermi di
nuovo dentro a dei meravigliosi occhi
verdi. MaBe
Prima di salutarci
mi hai dato una
foto: 2007, eravamo
insieme, belli e
sorridenti. I tuoi
occhi erano luminosi,
come la prima
volta che ti avevo
incontrata. Non li
rividi mai più.
Ho scoperto solo un
mese fa che
non ci sei più
18
raccontami 52 storie
Sono le 11.45. Apro gli occhi, guardo fuori dal finestrino e vedo che sotto di me c’è un lembo
di terra che costeggia il lago Vittoria. Mancano circa venti minuti all’atterraggio. L’aereo sta
iniziando a scendere. Sudo, mi fanno male le gambe, avrei bisogno di stenderle, ma i sedili sono
troppo attaccati. Ho lo stomaco vuoto, è da ieri che non mangio, mi sento debole
ra poco arriverò a Enteb-
be: si trova in Uganda. Io
sono originaria di lì. Il mio
villaggio dista un bel po’ di
chilometri dall’aeroporto, penso che
noleggeremo una jeep per arrivarci.
Questa è l’ennesima volta che mia
madre decide di mandarmi dai miei
parenti: succede quando non riesco
a disintossicarmi da sola. Nella clini-
ca dove sono stata prima di partire
le hanno consigliato due cose per
farmi riprendere: o una comunità
terapeutica o un’esperienza forte.
Solo così sarei riuscita a smettere
una volta per tutte. Secondo i miei,
era meglio la seconda ipotesi: cosa
poteva esserci di più forte se non
qualche mese in un villaggio dell’U-
ganda? A me alla fine andava me-
Quella piccola
finestra di legno
F
testo di Valentina Lisi
19
glio, non vedevo l’ora di starmene
lontana da casa per qualche mese!
In più sono sempre stata molto le-
gata alla mia terra, mi sentivo più a
casa lì che con i miei.
Mia madre non ha mai portato avan-
ti la tradizione africana in casa ma,
nonostante ne abbia sempre sof-
ferto, non riesco ancora a fargliene
una colpa; solo mia nonna lo faceva,
raccontandomi vecchi aneddoti e
ripresentandomene tutti i giorni gli
usi e i costumi. D’altronde, lei fu la
prima donna di colore ad andare in
giro per Firenze con gli abiti tipici
del nostro villaggio! Abuoli – il suo
nome dell’anima - non si è mai ver-
gognata delle nostre origini. Ed è
per questo che l’ho sempre stimata.
Adesso sono le 16.30. Finalmente
siamo arrivati al villaggio. Il viaggio
non è stato dei migliori, la strada
dissestata mi ha provocato ancora
più dolori alla schiena di quando
sono partita. Eccoli tutti lì ad aspet-
tarmi, saranno una cinquantina di
persone. Mi vengono incontro, non
capisco molto di quello che mi sta
succedendo intorno. Ho caldo, vor-
rei solo stendermi sul letto e dormi-
re. E invece mi guardo in giro: tutti
quei colori, quegli abiti stupendi, è
pieno di bambini che urlano e rido-
no intorno alla mia jeep, gente da
ogni parte che mi offre frutta. Mi
stavano aspettando!
Passano i giorni, e scopro che lì gli
psicofarmaci posso averli pagando.
Splendida notizia.
Ma l’astinenza si sta facendo sem-
pre più forte. Non riesco nemmeno
a scendere dal letto, non so come
fare a procurarmeli. Cosa m’inven-
to adesso? Panico. L’unica cosa che
posso fare è mettermi a letto e ve-
dere se riesco a stare meglio. Chiu-
do un attimo gli occhi ma vengo
svegliata da rumori. Chi sono tutte
queste persone che vengono verso
la mia capanna ridendo? Mio cugi-
no si avvicina al letto e mi fa sapere
che nel giro di qualche ora verranno
a trovarmi parenti da tutta l’Ugan-
da. Hanno saputo del mio arrivo,
hanno lasciato tutto e sono partiti.
Qui sono fatti così. La famiglia so-
pra ogni cosa. Richiudo gli occhi, mi
addormento di nuovo. Li riapro. Mi
trovo accerchiata da una trentina di
persone, gente che fa avanti e indie-
tro dalla mia stanza, lasciano cose,
mi accarezzano le mani e la faccia,
mi baciano. Io però sono bloccata,
inerte, in un bagno di sudore.
Mi addormento, esausta.
Non ho più molti ricordi dei giorni a
venire, so solo che ho passato circa
un mese chiusa lì dentro. Rifletten-
doci, sono stata catapultata in una
realtà completamente differente
dalla mia, dove i miei parenti, senza
nemmeno conoscermi, hanno subi-
to accettato me e la mia condizio-
ne, non facendomi mancare cure e
attenzioni. Io l’astinenza l’avevo già
provata, ma stavolta quella da Fen-
tanyl era stata veramente forte. Le
poche volte che riuscivo ad alzar-
mi dal letto, sentivo e vedevo tutto
da quella piccola finestra di legno:
bambini che si rincorrevano ridendo,
scalzi e sporchi, donne che cucina-
vano pollo e riso su grandi fuochi e
uomini che facevano avanti e indie-
tro con grandi cestini di viveri. Sulle
loro facce, nonostante non avesse-
ro niente, non ho mai visto segnali
di scontento. Io invece, abituata ad
avere tutto, ero ridotta a stare in un
Mia madre non ha
mai portato avanti la
tradizione africana in
casa ma, nonostante ne
abbia sempre sofferto,
non riesco ancora a
fargliene una colpa;
solo mia nonna lo
faceva, raccontandomi
vecchi aneddoti e
ripresentandomene
tutti i giorni gli usi e i
costumi
20
raccontami 52 storie
letto, non riuscendo a godere di tut-
to quello che avevo.
Tutta quella situazione mi faceva
soffrire: da una parte ero contenta
di essere lì, con la mia gente. Dall’al-
tra, invece, mi pesava non essere lu-
cida, mi faceva stare male. Ho sem-
pre cercato di fare da ponte tra la
cultura italiana e quella africana, ma
la condizione in cui ero non mi ave-
va permesso di entrarci in contatto.
Ora sono a San Patrignano, da cir-
ca un anno e mezzo: l’ultima volta
che mi hanno messo davanti ad una
scelta, non ho scelto l’Africa ma la
comunità. Adesso sto meglio, ma la
mia testa non fa altro che pensare a
quell'esperienza: e vengo inondata
da una grande malinconia.
Avrei potuto prendere tanti spunti
dalle persone che ho conosciuto in
quei mesi: quelle persone amano la
vita, basta un niente per farli sorri-
dere, e non sanno cosa vuol dire la
parola giudizio. Nel villaggio non
esiste il diverso, c’è unione, siamo
tutti una grande famiglia. Lì ho tro-
vato una solidarietà e un amore mai
visto prima, ma la cosa più impor-
tante è che ho respirato la libertà di
poter uscir fuori senza dovermi cu-
rare del giudizio degli altri.
Tutto questo, fino ad allora, non l’a-
vevo mai provato.
Ho passato tutta la mia infanzia a
scontrarmi con i pregiudizi e con il
peso di avere un colore della pelle
diverso dagli altri; non riuscivo a
capire le mie origini, non mi senti-
vo né italiana né africana, e questo
mi ha portato a soffrire sempre di
grandi crisi d’identità. Dentro di me
ho sempre sentito un grande vuoto,
che negli anni non sono mai riuscita
a colmare se non con la droga e con
l’alcool. Non sopportavo più la real-
tà che mi circondava. E tutte
le volte che mi ripromette-
vo di smettere,
al rientro dall’U-
ganda, la sostan-
za tornava con prepoten-
za a fare da padrona.
I ricordi di tutti quei viag-
gi erano sempre più vividi
ogni volta ma non abba-
stanza forse da farmi cam-
biare la mia visione di vita: io,
infatti, al contrario della mia gente,
la mia vita la odiavo. Ma ora è tutto
diverso.
Ora sono a San
Patrignano, da circa
un anno e mezzo:
l’ultima volta che mi
hanno messo davanti
ad una scelta, non ho
scelto l’Africa ma la
comunità
21
i trovavo spesso a
decidere la cosa sba-
gliata, nonostante
avessi un figlio. Lo
avevamo voluto tanto, io e la mia
compagna. Sperando di trovare nel-
la meraviglia di una vita nuova e solo
nostra, la spinta per rinascere anche
noi. Non fu così, almeno per me. Lei
ce l’ha fatta. È diventata una brava
e bellissima mamma. L’ho vista in
qualche foto sul telefono che il mio
compagno di cella non dovrebbe
avere. Anche il suo uomo mi sembra
bello, con un sorriso sano e innamo-
rato, mi sembra una persona così
responsabile che non mi riesce pro-
prio di essere geloso e sono troppo
stanco per essere invidioso, non ne
avrei il diritto poi. Io sono solo uno
che sbircia frammenti di vita felice in
una cella di un carcere, ancora a fare
scelte sbagliate perché se mi vedes-
se un secondino sarebbe un gran ca-
sino sia per me che per il mio com-
pagno di cella. Io no, non sono mai
diventato un padre. Mi vergogno, mi
dispiace ma sono troppo vigliacco
per guardare in faccia i miei fallimen-
ti e troppo rassegnato per sperare
che ci sia qualcosa a cui aggrap-
parmi per cambiare le cose. Non so
come si possa guardare il bicchiere
mezzo pieno in una situazione come
la mia, forse il mio bicchiere me lo
sono venduto, o svenduto tempo fa.
M
Nella sua testa alcune cose risuonavano in una maniera strana, non voleva sapere se fossero reali.
La sua soluzione l’aveva trovata, bastava usare qualsiasi tipo di droga possibile. La vita, in questa
maniera, gli appariva più sopportabile. Tra le varie voci che aveva dentro qualcuna era buona, ma
se hai già trovato una soluzione perché cambiare?
Una sceltadiversa
Di sicuro adesso ho tutto il tempo
di riflettere ma spesso mi sembra
di averci già riflettuto abbastanza
mentre continuo a girare calendari.
Quanti dovrò girarne ancora perché
cambi davvero qualcosa? Non parlo
di scontare una pena, intendo cam-
biare ed essere diversi per riuscire
ad avere il sorriso sano e innamora-
to, come quell’uomo in quella foto,
che guarda la madre di mio figlio.
Eppure mi sento bene. O meglio mi
illudo che sia così. Sono dentro ad
una scatola, come quei contenitori
sigillati che si tengono dentro al fri-
gorifero nell’angolo in fondo e non
fanno uscire odori indesiderati che
altrimenti contaminerebbero il resto.
In carcere siamo nascosti in un an-
golo in fondo, sigillati nei nostri erro-
ri. Sto riflettendo tanto. Voglio guar-
dare il bicchiere mezzo pieno, voglio
godermi ogni giorno del calendario,
senza lasciarli andare via, cancellati
da crocette di inchiostro consumato.
In Comunità accadrà qualcosa, me
lo sento. Riuscirò ad essere diverso,
a pensare cose belle e a camminare
leggero. F.
In Comunità accadrà
qualcosa, me lo sento.
Riuscirò ad essere
diverso, a pensare cose
belle e a camminare
leggero
22
raccontami con parole mie
o sempre provato emo-
zioni forti e intense, fin
da bambina. Mi perdevo
osservando cose diver-
se dagli altri e sentivo che spesso
non mi capivano e non condivide-
vano con me i loro pensieri. Erano
assorbiti da altro: dalle scarpe che
Luisa aveva comprato, dal lavoro
dei genitori di Francesco, dall’ulti-
H
Un concerto d’estate, sotto le stelle. In un borgo bellissimo e suggestivo della Toscana.
Mi guardavo attorno commossa, incantata da tanta bellezza. Ero piccola ma ricordo ancora quella
emozione. Mi era entrata dentro, come tante altre del resto
mo discorso che Paola aveva fatto a
Chiara. Iniziai a sentirmi sbagliata e
inadeguata, non mi sentivo parte di
niente, non mi sentivo considerata.
Odiavo il mio essere così sensibile,
il mio modo di vivere e sentire tutto
ciò che mi circondava. Volevo essere
un’altra, volevo essere diversa. Quan-
do mi capitava di conoscere bambini
simili a me, restavo sorpresa, incre-
dibilmente confortata nel sapere
che altri sentivano le cose come le
sentivo io. Alla fine non riuscivamo
a proteggerci abbastanza dalla forza
delle nostre emozioni e soprattutto
dalla prepotenza di chi non le prova-
va. Ci allontanavamo comunque, alla
ricerca di qualcosa che riempisse il
nostro desiderio di conoscere, di me-
ravigliarci. A volte era troppo. Spes-
Sentirmi vera,
sentirmiviva
23
so troppo poco. Soprattutto per me.
All’età di quindici anni ho iniziato ad
avvertire sempre più frequentemen-
te un senso di insoddisfazione, inca-
pacità, vuoto. Andavo benissimo a
scuola ma non mi bastava. Avevo le
mie amicizie ma non mi bastavano.
Anche l’amore della mia famiglia non
mi bastava. Era sempre nel cuore
quell’inquietudine che mi portava ad
altro. Ero alla ricerca di soluzioni che
fossero totali, assolute. Mi gettai nel
sapere e ampliai la mia cultura leg-
gendo, spaziando dalla filosofia alla
fisica; il vuoto restava. Provai con lo
sport ma oltre alle sensazioni e all’a-
drenalina delle prime volte non c’e-
ra nulla. Tentai di trovare pace nelle
camminate in mezzo ai boschi, pro-
vai a seguire dei gruppi che si riface-
vano alle dottrine orientali ma resta-
vo delusa. Anche con gli amici, con i
rapporti c’era sempre qualcosa che
mi infastidiva, mi sentivo lontana, mi
sentivo sola. Dopo l’entusiasmo per
la novità e lo slancio iniziale, tornava
la tristezza. Avevo il deserto dentro.
Per curiosità e capriccio provai le
sostanze. Quando compresi che mi
aiutavano a superare tutto non le ho
più abbandonate. Non credevo più in
niente e la leggerezza che mi procu-
ravano mi faceva dimenticare il peso
che mi portavo dentro. Erano per me
l’unica dolcezza in mezzo a quell’a-
marezza. Ero in grado grazie a loro
di sopportare tutto, di vivere e stare
nel mezzo di ogni situazione, stato
d’animo, emozione. Mi sembrava di
muovermi agile e leggera tra esseri
e cose, di non essere più attaccabi-
le. Se un mio compagno di classe
mi prendeva in giro ci restavo male,
sì, ma le sostanze mi proteggevano
creandomi uno scudo, una coraz-
za d’indifferenza. Allo stesso tempo
però, mi toglievano completamen-
te la capacità di provare emozioni
per qualsiasi cosa: se un mio amico
condivideva con me il racconto di
un viaggio, di un’esperienza nuova,
sorridevo e cercavo di dimostrarmi
partecipe. La verità era che non me
ne importava niente. Apatica e in-
differente avevo rinunciato alla mia
sensibilità, al lato profondo e uma-
no che mi apparteneva. Ero incredi-
bilmente distante da tutto e sopra
ogni cosa, ero lontanissima da me
stessa. Mi ero procurata un’aneste-
sia prolungata, sicuramente per non
dover affrontare la sofferenza, ma
il prezzo era troppo alto. Se non si
sente il dolore non si sente la gioia,
né l’entusiasmo e neanche la felicità
e la pienezza. Semplicemente non si
è vivi. La vita, la vita vera non è di-
stanza dalle proprie emozioni e dai
propri sentimenti, non è neanche un
tentativo di controllarle e gestirle
quelle emozioni e quei sentimenti,
ma è la capacità di starci nel mezzo,
di affrontarle con consapevolezza e
coscienza. E con responsabilità. La
libertà comporta responsabilità fa-
ticose, altrimenti non si è liberi. Sto
imparando a vivere, a trovare il mio
valore nella capacità di essere me
stessa in relazione agli altri. Custodi-
sco gelosamente pensieri, emozioni,
sensazioni, sentimenti, e la mia diver-
sità, consapevole che in ciascuno di
noi risiede un infinito valore. La vita
in comune mi insegna che quanto
più discendo in me stessa tanto più
trovo gli altri e quanto più mi apro
agli altri tanto più approfondisco me
stessa. Questo significa vivere. Una
vita ricca. Una vita vera. Ivana
Come un bambino,
avvertivo nel mio
cuore due sentimenti
contradditori:
l'orrore della vita e
l'estasi della vita”
—
Charles Baudelaire
24
raccontami
Non nasconderti più
a cura della redazione
Risponde Margherita,	
decorazioni
ual è la tua canzone prefe-
rita?
“Anima Fragile” di Vasco.
Quando eri piccola come ti immagi-
navi di essere da grande?
Mi immaginavo sposata, con dei figli e
un bel lavoro.
Qual è la tua più grande paura?
Invecchiare e trovarmi gli armadi aper-
ti di notte.
Qual è il tuo piatto preferito?
Gamberoni.
Come ti immagini tra dieci anni?
Una donna realizzata, con un bel lavo-
ro e un appartamento mio da cui nes-
suno mi può sbattere fuori.
Oggi riesci ad accettarti per quello
che sei?
Sì e sono fiera della donna che sto di-
ventando.
Cosa ti fa stare veramente bene?
Il mio lavoro, stare con le persone, aiu-
tarle. Voglio restituire quello che han-
no dato a me.
Qual è la qualità che preferisci in una
persona?
La sincerità o la dolcezza.
Qual è la cosa che ti manca di più in
Comunità? E perché?
Avere una vita normale, con i miei figli
e una casa tutta mia.
Q
raccontami giù la maschera
Continuare ogni giorno a fare quello
che mi appassiona senza mollare mai.
E sorridere di più!
In cosa ti senti diversa da prima?
Riesco finalmente ad esprimermi e a
parlare con le persone, riesco a non
essere più una ragazzina, ma una don-
na matura.
Qual è il tuo ricordo più bello in as-
soluto?
La nascita dei miei figli.
Se oggi potessi fare un viaggio, dove
andresti?
A New York.
Se potessi incontrare te stessa da
piccola cosa le diresti?
Non nasconderti più. Parla, non isolarti.
Il tuo motto?
Vivi ogni giorno come se fosse l’ulti-
mo.•
Qual è la cosa che ti mancherà quan-
do uscirai? E perché?
Il lavoro che sto facendo e il rapporto
con le ragazze. Sono entrambe delle
passioni per me.
La prima cosa che hai riscoperto in
Comunità?
L’assenza di giudizio e il fatto che nes-
suno ti chiede niente in cambio per
quello che fa per te.
Cosa significa per te “Tempo speso
bene”?
Quando faccio le cose dando il mas-
simo.
Qual è la prima persona che vorresti
vedere o sentire, appena uscirai da
San Patrignano?
I miei figli.
Cosa puoi fare più di quello che fai
oggi, per essere migliore?
25
Risponde Giovanni,	
coltivazioni
ual è la tua canzone preferi-
ta?
Non ne ho una sola...!!
Quando eri piccolo come ti immagi-
navi di essere da grande?
Uno studioso.
Qual è il tuo piatto preferito?
Riso biryani.
Come ti immagini tra dieci anni?
Non penso al futuro. Vivo il presente.
Oggi riesci ad accettarti per quello
che sei?
Sì.
Cosa ti fa stare veramente bene?
Spegnere la mente e sentire.
Elenca di te tre pregi e tre difetti
Pazienza, generosità, empatia/ severi-
tà, complicatezza, negatività.
Qual è la qualità che preferisci in una
persona?
La spontaneità.
Qual è la cosa che ti manca di più in
Comunità e perché?
Passeggiare, perché mi fa sentire libe-
ro.
Qual è la cosa che ti mancherà quan-
do uscirai? E perché?
Non è più questione di ‘uscire’ o meno.
Qui c’è un’intensità di vita che altrove
non esiste.
La prima cosa che hai riscoperto in
Comunità?
La lucidità.
Cosa significa per te ‘tempo speso
bene’?
Tempo vissuto.
Qual è la prima persona che vorresti
vedere o sentire appena uscirai da
San Patrignano?
I miei zii.
Cosa puoi fare di più di quello che fai
oggi per essere migliore?
Crescere nella consapevolezza.
In che cosa ti senti diverso da prima?
Ora reagisco.
Qual è il tuo ricordo più bello?
Non ne ho uno in particolare.
Se oggi potessi fare un viaggio, dove
andresti?
Nella foresta pluviale.
Se potessi incontrare te stesso da
piccolo cosa gli diresti?
Goditi l’età che hai.
Il tuo motto?
Gli uomini si stringono la propria rete
attorno. I leoni (gli uomini della Via)
fanno a pezzi la propria gabbia.
(Maestro Sufi Sana’i, XII sec.)
Quale pensi sia stato il tuo più gran-
de problema, nel corso della tua
vita?
Aver vissuto come se fossi una vittima
delle cose.•
Ora reagisco
Q
26
dipende da noi
Mai più senza
dimora
Niente senzatetto entro
il 2030. È l’obiettivo della
rete europea “Housing
First”. Alla base del piano di
azione un nuovo approccio:
inutile portare cibo e
coperte, il primo intervento
deve essere l’offerta di un
alloggio
mpegnata in tutta Europa
nell’offerta di percorsi di in-
clusione per clochard, la rete
“Housing First” si è rafforza-
ta anche in Italia, dove forte dei ri-
sultati raggiunti con i primi progetti
avviati in alcune città, ha lanciato un
manifesto in sette punti che segna
la via per risolvere la condizione di
migliaia di senzatetto nel prossimo
decennio. Promosso in Italia dalla
Federazione Italiana Organismi per
le Persone Senza Dimora, il network
Housing First Italia (NHFI) è una rete
di organizzazioni pubbliche e priva-
te che da anni lavorano nel settore
della Homelessness e che dal 2014
portano avanti progetti abitativi per
persone senza dimora, investendo
risorse, professionisti e competen-
ze in un approccio che si allontana
dal classico assistenzialismo offerto
ai senzatetto nel corso dell’ultimo
secolo.
Nata negli Usa ma ormai diffusa an-
che nei paesi europei, specialmente
in Finlandia con ottimi risultati, la
pratica Housing First capovolge il
percorso per decenni proposto nel
sostegno ai senza fissa dimora. Se
prima infatti la casa veniva offerta al
termine di un percorso di inclusio-
ne sociale che passava da diverse
fasi di assistenzialismo tra dormi-
torio, ricerca del lavoro e gruppi di
sostengo, nell’approccio Housing
First la casa viene garantita prima di
tutto, come primo aggancio e come
I
a cura di Cristina Lonigro
27
principale strumento per sostene-
re l’inserimento nella società. Con
Housing First l’inserimento abitativo
è quindi immediato e non legato a
trattamenti terapeutici o inserimenti
lavorativi.
I risultati dei progetti lanciati negli
scorsi anni sembrano dare ragio-
ne al nuovo approccio. Con questo
schema la Finlandia che è riuscita a
ridurre drasticamente il numero de-
gli homeless e secondo Samara Jo-
nes, coordinatrice dell’Housing First
Europe Hub, Housing First è l’unico
approccio basato sull’evidenza che
ha dimostrato di aiutare gli utenti dei
servizi a mantenere con successo i
loro affitti nel 70-90 per cento dei
casi. Anche i primi esperimenti com-
piuti in Italia sono incoraggianti. Tra
2017 e 2019 la rete di organizzazioni
per l’Housing First ha accolto 420
persone: nove su dieci hanno man-
tenuto la casa e il 23 per cento ha
raggiunto una completa autonomia.
L’immediata offerta dell’alloggio è
sicuramente la chiave del metodo,
che consente di raggiungere più
facilmente e motivare le persone in
difficoltà. I responsabili dei progetti
hanno infatti evidenziato come mol-
ti dei clochard che non accettavano
le tradizionali forme di assistenza,
dal the caldo alle coperte distribu-
ite la sera o l’offerta di un posto in
dormitorio, di fronte alla proposta di
un alloggio privato accettano di es-
sere aiutati. È quanto riportato an-
che dagli operatori di Bologna, dove
questa pratica innovativa viene spe-
rimentata dal 2012 dalla cooperativa
Piazza grande.
Un metodo efficace che oggi po-
trebbe riuscire a fare la differenza
grazie ai fondi del Piano nazionale
di ripresa e resilienza, che destina
infatti 450 milioni di euro per assi-
stere almeno 25mila persone senza
dimora per almeno sei mesi entro il
2026. Un obiettivo raggiungibile se-
condo la Federazione lavorando su
due fronti: da un lato la costruzio-
ne di centri di assistenza con servizi
importanti come quelli sanitari, di
ristorazione, distribuzione postale,
mediazione culturale, consulenza,
orientamento al lavoro, consulenza
legale, distribuzione di beni, dall’al-
tro proprio l’Housing First, per il
quale sarebbero previsti duecento-
cinquanta interventi.
28
dipende da noi
testo di Federico Tossani
importantissimo spiegare bene
a chi visita questo posto il senso
profondo dietro a ogni cosa. A
San Patrignano è tutto bello, tutti
sorridono e si abbracciano, eppure siamo
qui a lottare ogni giorno contro le parano-
ie, la sofferenza. Non è facile da realizzare,
figurati trasmetterlo a dei ragazzi di sedici
anni. Quello che faccio io è raccontare chi
sono e quello che sto vivendo in questo
luogo, che per me è magico».
Da poco più di tre anni Daniele fa parte
del settore ospitalità. Entrato a diciannove
anni, a fine percorso è ancora molto giova-
ne. Come altri ragazzi di San Patrignano ha
avuto un’opportunità particolare e impor-
tante: collabora con il progetto di preven-
zione WeFree, il suo compito è quello di
accompagnare a San Patrignano i ragazzi
delle scuole, per conoscere questa realtà.
Un compito che è stato per lui una grande
responsabilità e uno strumento di crescita
personale.
«I ragazzi che incontro sono poco più pic-
coli di me, mi ascoltano molto quando li
accompagno e mi fanno sempre tante do-
mande. È importante raccontare la quo-
tidianità di Sanpa, la gente non sa come
funziona questo posto, molte persone
mi hanno detto che dopo la visita hanno
Il contatto con la sofferenza e la rinascita ma anche l’opportunità di uno
scambio alla pari basato sui racconti, su episodi di vita. Un dialogo tra i
ragazzi di San Patrignano e gli studenti delle scuole che, spesso, porta a nuovi
punti di vista e sviluppi sorprendenti
Attraverso le nostre storie
È
29
cambiato totalmente opinione, sia
rispetto alla Comunità che ad alcu-
ne dinamiche che non riguardano
solo la tossicodipendenza ma la vita
in generale. Questo mi ha dato una
grande carica, mi ha fatto anche
credere di più in me stesso. Since-
ramente – spiega Daniele – io non
sono qui a dare consigli o a fare la
morale, io parlo di me, della mia sto-
ria, di come sono finito qui. È sem-
pre così che racconto San Patrigna-
no, attraverso quello che ho vissuto
e quello che ha dato a me questo
posto. Dopo aver mangiato tutti in-
sieme nella grande sala da pranzo si
va tutti nel teatro per fare un dibat-
tito basato proprio sulle nostre sto-
rie. Per me quello è il momento più
emozionante».
Le visite delle scuole sono svolte
nell’ambito del progetto di preven-
zione WeFree. La giornata è strut-
turata in due momenti: la mattina si
visitano i settori formativi, raccon-
tati dagli stessi ragazzi, mentre nel
pomeriggio si svolge un’attività di
prevenzione assieme ai ragazzi del-
la Comunità che, attraverso le loro
storie, spiegano come siano arrivati
in Comunità e il lavoro che svolgo-
no ogni giorno per tornare a vivere
davvero.
«È stato difficile per me entrare in
Comunità a 19 anni. Ero arrabbiato
con il mondo e i primi tempi non
pensavo nemmeno di aver bisogno
di una mano. Solo con il tempo ho
capito l’importanza del lavoro che
dovevo fare su me stesso, sul mio
carattere e sulle mie emozioni. Fin
da piccolo – racconta – mi sono
sempre sentito meno degli altri, sfi-
gato, brutto. La droga e gli atteg-
giamenti erano delle scorciatoie e
delle ‘maschere’ che ho indossato
per sopravvivere, anche se poi ho
rischiato grosso. A San Patrignano,
attraverso il rapporto con gli altri e
il lavoro quotidiano, ho imparato ad
accettarmi, o meglio a valorizzarmi.
Ho imparato a chiedere una mano, a
prendermi delle responsabilità. Rac-
contando quello che ho vissuto pen-
so di trasmettere bene l’importanza
che ho dato a questo posto, che per
me è magico e terribile. Dove sono
stato male come un cane, poi ho ri-
trovato me stesso. Quest’opportu-
nità mi ha fatto capire tante cose,
sia del mio percorso a Sanpa che di
quello della mia vita, cioè del per-
ché ho deciso di fare quelle scelte.
Magari raccontandolo attraverso la
mia storia, qualcuno di questi ragaz-
zi sceglierà un’altra strada, dicendo
proprio “io vado dall’altra parte”».
A questo punto abbiamo chiesto a
Daniele che consiglio avrebbe dato
al “se stesso” all'età di sedici anni.
«Eh, ero una bella testa calda! –
esclama ridendo – Diciamo che gli
parlerei di me, delle scelte che ho
fatto. Gli direi di parlare con le per-
sone che gli stanno vicino, perché
non è vero che non ti capisce nes-
suno, non è vero che i problemi che
pensi di avere ce li hai solo tu anzi,
li hanno altre persone molto simili ai
tuoi se non uguali, quindi parlane,
parlane tanto. Che a fidarsi a volte
ci si fa male, ma stare da solo è peg-
gio. Vivendo con chi ti vuole bene
invece, si riesce ad affrontare qualsi-
asi cosa. E soprattutto è bellissimo.
È una cosa che non ha prezzo».
Ero arrabbiato con il
mondo e i primi tempi
non pensavo nemmeno
di aver bisogno di una
mano. Solo con il tempo
ho capito l’importanza
del lavoro che dovevo
fare su me stesso, sul
mio carattere e sulle
mie emozioni
30
dipendenze
testo di Lorenzo Stella
Cannabis,
Mentre infuriano le polemiche sulla legge, la Relazione al
Parlamento fornisce i nuovi dati sulla percezione e sul consumo
di questa sostanza, che si conferma la più diffusa in ambito
giovanile. Centomila gli adolescenti a rischio
a “Relazione Annuale al Parlamento sul Fenomeno
delle Tossicodipendenze in Italia” del 2022 contie-
ne i dati dello studio ESPAD®Italia rilevati nel 2021,
che confermano la cannabis come sostanza mag-
giormente consumata dai giovanissimi. Nello scorso anno,
il 23,7% degli studenti tra i 15 e i 19 anni riferisce di averla
consumata almeno una volta nella vita, il 17,7% di averlo fat-
to nell’ultimo anno e il 10,2% nell’ultimo mese. Inoltre, il 2,5%
degli studenti riporta un utilizzo per 20 o più volte nel mese
antecedente. In generale, il consumo cresce con l’età (dal
4,9% dei 15enni al 26,8% dei 19enni) e sono soprattutto i
maschi ad esserne coinvolti.
Tra gli studenti che hanno consumato cannabis nella pro-
pria vita, l’età di prima assunzione è soprattutto quella tra
i 15 e i 16 anni (51,7%), ma circa un terzo l’ha provata prima
dei 14 (31,4%). Tra coloro che ne hanno consumato nel 2021,
la maggioranza (il 59,7%) lo ha fatto meno di 10 volte, oltre
un quarto del campione ne ha fatto però uso in 20 o più oc-
casioni, sempre con percentuali più alte tra i ragazzi. Inoltre,
quasi uno su dieci dei consumatori ha assunto almeno un’al-
tra sostanza illegale. Infine, circa un terzo degli studenti che
ha usato cannabis nel 2021 lo fa abitualmente in compagnia.
L
In sintesi, si tratta di un consumo dif-
fuso, di frequenza varia, prevalente-
mente maschile e “sociale”, con una
quota non irrilevante di poliassun-
zione. Ma anche “low cost”. Tra gli
studenti che hanno consumato tale
sostanza nel mese antecedente, in-
fatti, la maggior parte dichiara di non
avere speso nulla (40,9%), anche se
quasi un quarto ha speso più di 30
euro. Tra questi ultimi ragazzi, qua-
si la metà ha utilizzato abitualmente
cannabis con gli amici, percentuale
che raggiunge il 90,2% tra chi ne ha
fatto uso per almeno 20 volte nell’ul-
timo mese. La “canna” è insomma un
modo per stare assieme, un modo
“facile” in tutti i sensi. Quasi un ter-
zo degli studenti non ha infatti alcun
problema a reperirla, quota che cre-
sce al 69,3% tra chi ne ha consumato
nel corso del 2021.
i dati e il dibattito
31
I luoghi dove procurarsene? In stra-
da (64,4%), presso uno spacciatore
(60,3%) e a casa di amici (39,9%).
Ben il 72,6% degli adolescenti affer-
ma di conoscere un posto dove po-
trebbe trovarla facilmente: la mag-
gior parte si rivolgerebbe al mercato
della strada e presso uno spacciato-
re, senza differenze di genere. Le ra-
gazze affermano in percentuale su-
periore di poter reperire la sostanza
a casa di amici (44,9%; M=36,1%) e in
discoteca (21,9%; M=18,5%), mentre i
maschi indicano in quota superiore
la scuola (23,5%; F=20,8%), manife-
stazioni pubbliche come i concerti
(17,1%; F=14,5%) e ricorrerebbero a
Internet (13,6%; F=8,5%).
Tanta apparente disinvoltura stri-
de però con un altro dato: il rischio
associato al consumo non è del tut-
to ignorato dagli studenti che, con
percentuali diverse fino al 49,1%, ri-
tengono sia molto o abbastanza ri-
schioso utilizzare cannabis. Tra i non
consumatori la percentuale dei con-
sapevoli sale fino al 55,5%. La perico-
losità della sostanza è percepita ma
non basta a mantenere la distanza:
circa 102.000 studenti italiani hanno
dichiarato un uso di cannabis defini-
bile “a rischio” nel 2021, cioè il 22,3%
di coloro che l’hanno consumata
almeno una volta nell’anno. Tale sti-
ma è stata effettuata mediante il
test Cannabis Abuse Screening Test
(CAST), un questionario validato e
standardizzato dall’European Mo-
nitoring Centre for Drugs and Drug
Addiction (EMCDDA) al fine di indi-
viduare gli adolescenti che potreb-
bero necessitare di sostegno proprio
per problemi relazionali causati dal
consumo della sostanza o per la dif-
Secondo l’ultima rilevazione
del 2021, il 23,7% degli studenti
(613mila ragazzi), ha riferito uso
di cannabis almeno una volta nella
vita (M=26,5%; F=20,9%); il 17,7%,
458mila 15-19enni, l’ha usata nel
corso dell’ultimo anno (M=20%;
F=15,4%); 264mila ragazzi (10,2%)
l’hanno utilizzata durante i
30 giorni precedenti lo studio
(M=11,9%; F=8,5%).
Gli studenti che riferiscono un uso
frequente nel mese antecedente
la compilazione del questionario,
ossia 20 o più volte, sono 64mila,
pari al 2,5% (M=3,5%; F=1,4%).
(Fonte Cnr-Ifc, Istituto di
fisiologia clinica)
32
dipendenze
La Relazione
ficoltà di smettere o ridurne l’uso.
Questa quota è abbastanza stabi-
le dal 2013 e interessa soprattutto
maschi (24,9% contro il 18,9% delle
studentesse). Fra questi studen-
ti bisognosi di supporto si trova,
comprensibilmente, la percentua-
le maggiore di quanti affermano di
procurarsi facilmente la cannabis
(82,9%) e di consumarne frequente-
mente (49,7%). Questi adolescenti si
caratterizzano purtroppo anche per
un maggiore consumo di sostanze
legali: bevono alcolici tutti i giorni
o quasi, nel corso dell’ultimo mese
hanno praticato binge drinking e si
sono ubriacati; sono forti fumatori,
con almeno 11 sigarette al giorno nel
corso dell’ultimo anno, e hanno utiliz-
zato psicofarmaci senza prescrizio-
ne medica nel mese antecedente la
compilazione del questionario. Tutti
questi comportamenti sono riferiti
sempre in quota superiore rispetto ai
consumatori “non a rischio”.
Gli studenti con un profilo di con-
sumo di cannabis “a rischio” si ca-
ratterizzano inoltre per mettere in
atto comportamenti a rischio dopo
l’assunzione di sostanze psicoattive:
danneggiamenti, scommesse d’az-
zardo, spese abituali senza il control-
lo dei genitori (45 euro la settimana)
e guida di mezzi propri (o passaggi
su mezzi altrui con conducenti sot-
to alterazione). Questi giovanissimi
consumatori hanno avuto problemi
con le Forze dell’Ordine, i genitori, gli
amici e gli insegnanti; hanno rapporti
sessuali non protetti; sono stati coin-
volti in risse e seria maltrattamenti a
qualcuno; hanno perso tre giorni di
scuola negli ultimi 30 senza motivo.
Anche la spesa di denaro per l’acqui-
sto della sostanza nell’ultimo mese
distingue i due gruppi di consuma-
tori: tra quelli “non a rischio” il 70,3%
(contro il 24,6%) non ha speso nulla,
mentre tra quelli “a rischio” il 17,3% ha
speso da 11 a 30 euro (contro 7,9%) e
il 43,4% li ha superati (contro il 6,1%).
Infine, l’abitudine di consumare la
sostanza in compagnia degli amici è
riferita maggiormente dai consuma-
tori “a rischio” (76,1% contro 24,9%) e
tra chi la riferisce il 58,5% dice di farlo
quasi ogni giorno (contro il 17,6%).
Un quadro senza dubbio allarmante.
Vi sono però alcune caratteristiche
che possono essere considerate in
un certo senso “protettive” rispetto
al consumo di cannabis “a rischio”,
come l’essere soddisfatti di se stes-
si e del rapporto con gli altri, avere
genitori che sanno con chi e dove i
figli trascorrono il sabato sera e che
li fanno sentire sostenuti affettiva-
mente; pratica settimanale di attivi-
tà sportive, hobby e un buon rendi-
mento scolastico.
L
a ministra per le Politiche Giovanili, Fabiana Dadone, ha trasmesso la
Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze
in Italia: frutto del lavoro di coordinamento del Dipartimento per le
Politiche Antidroga, si compone di 7 parti in 10 capitoli. La Relazione tratta de:
il mercato delle sostanze, i dati sui sequestri, sulle variazioni di prezzo e sulle
analisi delle sostanze sequestrate, le strategie mirate alla riduzione dell'offerta
e le denunce penali per i reati droga-correlati, la diffusione e le tendenze di
consumo nella popolazione, le attività di prevenzione, i servizi di trattamento
delle persone dipendenti, i danni correlati al consumo, le attività promosse dal
Dipartimento e i lavori della VI Conferenza Nazionale sulle Dipendenze.
Il Dipartimento ha l'ausilio dell'Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr.
Il trend degli ultimi 20
anni evidenzia, dopo un
calo delle prevalenze sino
al 2011, una ripresa e una
sostanziale stabilizzazione
dal 2015 sino al 2020, anno
nel quale si è rilevata una
flessione probabilmente
legata alla pandemia e alla
metodologia utilizzata.
Nel 2021 si è osservata
una generale diminuzione
per i consumi nella vita e
nell’anno, torna invece a
salire il consumo nel mese o
frequente
SANPA News - Agosto 2022
SANPA News - Agosto 2022

More Related Content

Similar to SANPA News - Agosto 2022

MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...
MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...
MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...MAIS Onlus
 
MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"
MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"
MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"MAIS Onlus
 
Festa del Medico di Famiglia 2015 - Report finale
Festa del Medico di Famiglia 2015 - Report finaleFesta del Medico di Famiglia 2015 - Report finale
Festa del Medico di Famiglia 2015 - Report finaleGiuseppe Orzati
 
La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)
La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)
La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)Agnese Vellar
 
Il Corriere della scuola - Gennaio 2019
Il Corriere della scuola - Gennaio 2019Il Corriere della scuola - Gennaio 2019
Il Corriere della scuola - Gennaio 2019lorenacalcara67
 
Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso
Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso
Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso Susanna Bonora
 
Naturalizziamoci e i diritti dei bambini
Naturalizziamoci e i diritti dei bambiniNaturalizziamoci e i diritti dei bambini
Naturalizziamoci e i diritti dei bambiniCarlo Cremaschi
 
Ldb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica Buglioni
Ldb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica BuglioniLdb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica Buglioni
Ldb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica Buglionilaboratoridalbasso
 
Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14
Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14
Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14CSI PAVIA
 
Catalogo campi avventura 2013 - 6-11
Catalogo campi avventura 2013 - 6-11Catalogo campi avventura 2013 - 6-11
Catalogo campi avventura 2013 - 6-11Campi Avventura
 
Verso il 2020 dalla A alla Z
Verso il 2020 dalla A alla Z Verso il 2020 dalla A alla Z
Verso il 2020 dalla A alla Z labdemcalcinaia
 
CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20
CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20
CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20CSI PAVIA
 
IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1
IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1
IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1Fabio Russo
 
"IL TEATRO PITAGORICO"
"IL TEATRO PITAGORICO" "IL TEATRO PITAGORICO"
"IL TEATRO PITAGORICO" Davide Geraci
 
Programma salone-del-gusto-2014
Programma salone-del-gusto-2014Programma salone-del-gusto-2014
Programma salone-del-gusto-2014stefano scriboni
 
Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16
Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16
Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16CSI PAVIA
 

Similar to SANPA News - Agosto 2022 (20)

MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...
MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...
MAIS Onlus. Atti del Convegno 2012 "I giovani: il futuro del sostegno a dista...
 
MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"
MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"
MAIS Onlus - Atti del Convegno 2013 "Solidarietà ai tempi della crisi"
 
Bilancio sociale 2016 Emporio della Solidarietà Lecce
Bilancio sociale 2016 Emporio della Solidarietà LecceBilancio sociale 2016 Emporio della Solidarietà Lecce
Bilancio sociale 2016 Emporio della Solidarietà Lecce
 
Festa del Medico di Famiglia 2015 - Report finale
Festa del Medico di Famiglia 2015 - Report finaleFesta del Medico di Famiglia 2015 - Report finale
Festa del Medico di Famiglia 2015 - Report finale
 
La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)
La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)
La community di Gente del Fud (by Chiara Mondino)
 
07 nov dic 2011
07 nov dic 201107 nov dic 2011
07 nov dic 2011
 
Il Corriere della scuola - Gennaio 2019
Il Corriere della scuola - Gennaio 2019Il Corriere della scuola - Gennaio 2019
Il Corriere della scuola - Gennaio 2019
 
Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso
Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso
Progetto P.A.N.E. Pane Assieme Nessuno Escliuso
 
REPORT 2020 UNORA
REPORT 2020 UNORA REPORT 2020 UNORA
REPORT 2020 UNORA
 
Naturalizziamoci e i diritti dei bambini
Naturalizziamoci e i diritti dei bambiniNaturalizziamoci e i diritti dei bambini
Naturalizziamoci e i diritti dei bambini
 
Ldb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica Buglioni
Ldb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica BuglioniLdb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica Buglioni
Ldb Branded Entertainment_Edutainment a scuola - Federica Buglioni
 
Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14
Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14
Csi pavia notizie_n_39_del_04.11.14
 
Catalogo campi avventura 2013 - 6-11
Catalogo campi avventura 2013 - 6-11Catalogo campi avventura 2013 - 6-11
Catalogo campi avventura 2013 - 6-11
 
Verso il 2020 dalla A alla Z
Verso il 2020 dalla A alla Z Verso il 2020 dalla A alla Z
Verso il 2020 dalla A alla Z
 
CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20
CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20
CSI Pavia Notizie n.11 del 17.03.20
 
IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1
IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1
IL FUORICASA - Anno 1 Numero 1
 
"IL TEATRO PITAGORICO"
"IL TEATRO PITAGORICO" "IL TEATRO PITAGORICO"
"IL TEATRO PITAGORICO"
 
Programma salone-del-gusto-2014
Programma salone-del-gusto-2014Programma salone-del-gusto-2014
Programma salone-del-gusto-2014
 
Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16
Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16
Csi pavia notizie_n_18_del_10.05.16
 
Report unora 2016
Report unora 2016 Report unora 2016
Report unora 2016
 

SANPA News - Agosto 2022

  • 1. 071 ago 22 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale – Pubblicazione Informativa No Profit mondosanpa formazione Tradizione e innovazione pag.4 raccontami 52 storie Occhi verdi pag.16 dipende da noi esperienze Mai più senza dimora pag.26 dipendenze attualità Cannabis, dati e dibattito pag.30 Sono tanti i ragazzi del settore della ristorazione che hanno la possibilità di intraprendere un percorso di formazione nei riconosciuti ristoranti di SP.accio e Vite dove gli standard sono elevati e l’attenzione alla qualità è di altissimo livello La ricerca dell’eccellenza
  • 2.
  • 3. 1 controcopertina la illustrazione di Giovanni Boschini 1 Sperodinonvedertisoffrire. Sperocheturiescaarialzartiognivolta, chetuvogliasempredareilmeglio echenontichiuderaidinuovo. Nonvogliopiùvedertipiangere chiusainquellastanza, nonvogliopiùscapparedicasa néperdimenticare,népernontornare. Escusasequandostavimalenonerolì. Scusasenonhopiantoconte. Scusaperlarabbia,perituoisensidicolpa eperilmalechemisonofatto. Bambinaavvoltadallepieghedeltempo, portosicurochesemprem’attende… …Mamma. Senzaquestiocchiriescoavedere latuasperanzachenonmorivamai, chemihainsegnatodovefosselavita anchementre fuggivo. - Fede
  • 4. DIRETTORE RESPONSABILE Silvia Mengoli smengoli@sanpatrignano.org REDAZIONE Giorgia Gianni ggianni@sanpatrignano.org Federico Tossani ftossani@sanpatrignano.org Giovanni Boschini, Giovanni Ponzelli, Ivana Livic, Zaccaria Nassim HANNO COLLABORATO Lorenzo Stella, Cristina Lonigro, Valentina Lisi, Fede, Filippo, MaBe, F., Ivana PROGETTO GRAFICO Massimo Cillo IMPAGINAZIONE Michela Guerra FOTOGRAFIE Gabriele Bertoni, Alex Nasser, Giovanni Boschini, Archivio WeFree, Archivio San Patrignano, iStock by Getty Images COPERTINA Archivio San Patrignano ILLUSTRAZIONI Archivio iStock by Getty Images, Giovanni Boschini IMPIANTI E STAMPA Grafiche San Patrignano CONFEZIONE E SPEDIZIONE Legatoria Timbrificio Universo snc via B. Buozzi, 38 - Ravenna REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Comunità San Patrignano Soc. Coop. Sociale Via San Patrignano, 53 - 47852 Coriano (RN) Tel. 0541 362111 - Fax 0541 759799 (redazione) Fax 0541 756604 (amministr.) DONOR CARE SAN PATRIGNANO Via S.Patrignano, 53 - 47852 Rimini Tel. 0541 362247 - Fax 0541 756108 donorcare@sanpatrignano.org INTERNET www.sanpatrignano.org REGISTRAZIONE Tribunale di Rimini N. 255 del 9/4/1984 CHIUSO IN TIPOGRAFIA il 27.07.2022 TIRATURA 12.000 copie mondosanpa Ascoltare per crescere di Giovanni Ponzelli Dare valore al futuro di Giovanni Boschini Il saluto a Piero e Vanni a cura dell'ufficio stampa raccontami 52 storie Il coraggio di avere paura di Filippo 52 storie Quella piccola finestra di legno di Valentina Lisi Una scelta diversa di F. Con parole mie Sentirmi vera, sentirmi viva di Ivana Giù la maschera Non nasconderti più a cura della redazione Ora reagisco a cura della redazione dipende da noi Attraverso le nostre storie a cura di Federico Tossani rubriche La controcopertina Illustrazione di Giovanni Boschini Promemoria a cura della redazione 1 LEGGESULLAPRIVACY Informativaaisensidegliart.13-14delGDPR(GeneralDataProtectionRegulation)2016/679 Idatipersonalifornitisonotrattatiperl’inviodelSanpaNewsediulterioriinformazionisu progetti, eventi, invio di materiale informativo per iniziative di sensibilizzazione e attività diraccoltafondidellaComunitàSanPatrignano,nonchéperelaborazioniditipostatistico. Il conferimento dei dati è facoltativo ma necessario per l’espletamento del servizio di cui sopra. Titolare del Trattamento è Comunità San Patrignano Soc. Coop Sociale. Il trattamento sarà espletato sia mediante l’utilizzo di strumenti manuali e/o informatici. I dati personali non saranno oggetto di diffusione. Potrà esercitare i diritti di cui all’art. 15 delReg.UE2016/679(diaccessoaidati,diottenernelarettifica,cancellazioneolimitazione del trattamento, di opporsi al trattamento, diritto alla portabilità dei dati, di revocare il consenso, di proporre reclamo all’autorità di controllo-Garante Privacy) scrivendo a Comunità San Patrignano Soc. Coop. Sciale, via San Patrignano n. 53- 47853 Coriano (RN), oppure al Responsabile del Trattamento (Dott. Nicola Cecchi) alla mail: sistemi_ informativi@sanpatrignano.org. I dati verranno conservati per il periodo necessario al perseguimento delle finalità indicate nell’informativa e/o per le tempistiche di legge in materiaamministrativa,contabileefiscaleecomunquenonoltre10annidallaraccolta. 9 6 10 12 3 18 21 22 24 25 28
  • 5. promemoria 3 a cura della redazione Lunedì 27 giugno l’assemblea dei soci ha eletto Vittoria Pinelli nuova presidente della Comunità San Patrignano, succedendo ad Alessandro Rodino Dal Pozzo che per ragioni personali, pur restando all’interno del CDA della Comunità, ha dovuto lasciare l’incarico. Vittoria, a San Patrignano dal 1982, ha da sempre seguito l’ufficio accoglienza, prendendosi cura dell’ingresso e del reinserimento di centinaia di ragazze e ragazzi. “È un ruolo che affronto con grande senso di responsabilità per portare a compimento il progetto iniziato in questi anni. Personalmente, pur essendo una figura operativa, sono lusingata da questo ruolo e mi sento di dire che si tratta di un coronamento non della mia attività lavorativa, ma della mia vita. Sono arrivata molto giovane e qui ho trovato la mia famiglia allargata, composta da tante persone a cui voglio bene e che mi permettono di vivere una vita piena e serena. Sono veramente felice di essere la prima donna a ricoprire questo incarico e nonostante gli impegni che il ruolo prevede, manterrò sempre quel contatto con i ragazzi, le famiglie, e i genitori di chi ha bisogno di aiuto che è fondamentale per me e la ragione per cui esiste la Comunità”.• Cucina e formazione La nuova presidente 'Bethany Williams: Alternative System’ è la mostra che il Design Museum dedica alla stilista londinese che unisce moda e impresa sociale, glamour e solidarietà. Ogni capo realizzato dal suo marchio nasce infatti dalla collaborazione con realtà svantaggiate, case famiglia, centri di recupero, fra cui San Patrignano, utilizzando materiali di scarto. Alla comunità viene poi donata una parte del ricavato dalle vendite. Da alcune collaborazioni nascono inoltre progetti artistici con importanti connotazioni sociali: la mostra espone, per esempio, capi di abbigliamento su cui sono state stampate parti delle lettere che le ragazze di San Patrignano si sono scambiate con le detenute della prigione di HMP Downview di Londra. Durante la collaborazione con lo studio di Bethany Williams le donne sono state invitate a tenere una corrispondenza per riflettere su cosa significa per loro il cambiamento. • Da San Patrignano alle passerelle Termina ad agosto il corso di Produzione Pasti, tenuto dagli chef Raffaele Liuzzi e Cristina Lunardini e finanziato dal Fondo Sociale Europeo – Regione Emilia Romagna. Il corso ha coinvolto 12 ragazzi e ragazze della Comunità, con un totale di 300 ore di formazione, 240 di lezione teorica e 60 di stage, svolte proprio nel settore cucina della Comunità. Al termine del percorso di formazione, i dodici ragazzi riceveranno un attestato di “cuoco addetto alla produzione pasti”, spendibile in luoghi di preparazione come ospedali o grandi mense. •
  • 6. mondosanpa 4 testo di Giorgia Gianni Condividere la passione per il cibo e fare scoprire la genuinità dei prodotti frutto dell’impegno dei ragazzi di San Patrignano. È la filosofia di Vite, l’agriturismo gastronomico aperto dal 2008 sulle colline della Comunità, tra il mare Adriatico e l’appennino spiega Arianna Merlo, responsabile sociale e gestionale del ristorante —. Si tratta di giovani che in passato hanno già lavorato nella ristorazione o che ne hanno appreso i segreti nel percorso a San Patrignano. La briga- ta di cucina e lo staff del ristorante vedono l’inserimento di ragazzi che, dopo avere ripreso gli studi e avere conseguito la maturità alberghiera durante il percorso di recupero a San Patrignano, hanno ora l’opportunità di perfezionarsi come aiuto cuochi e camerieri in sala”. A loro nei fine settimana si uniscono altri ragazze e ragazzi che frequentano la sezione di scuola alberghiera distaccata nella Comunità. I clienti di Vite spesso ve- dranno impegnate in cucina e in sala più persone di quante solitamente possono esserci in un ristorante, ma senza il loro brulicare fra i tavoli e la loro voglia di imparare, il ristorante non avrebbe senso di esistere. Vite è un luogo di grande ispirazione per creare e reinventare costante- mente piatti unici e di grande con- tenuto. Le materie prime della filiera di San Patrignano sono alla base del menù e garantiscono altissima quali- tà, dalle carni agli ortaggi, dalla norci- neria fino ai formaggi agli oli. In cuci- na la volontà è quella di unire nuove idee a ingredienti di prossimità. Una filosofia che unisce stagionalità au- tentica e i prodotti provenienti o dalla filiera della Comunità o accurata- mente selezionati fra le migliori realtà n luogo essenziale per la formazione delle ragazze e dei ragazzi in percorso di recupero: a Vite i gio- vani provenienti dai settori cucina, forno e ospitalità possono mettersi alla prova in una realtà della ristora- zione in cui gli standard sono elevati e l’attenzione alla qualità è massima. Accanto allo chef Davide Pontorie- re, al sous chef Marco Celentano e al maître Leonardo Di Franco, i ragazzi osservano, imparano, mettono in pra- tica le competenze apprese. “Attualmente sono una decina i ra- gazzi e le ragazze della Comunità nel settore rappresentato da Vite — U Tradizione e innovazione
  • 7. 5 agroalimentari. “Nel piatto si ritrova la sinergia con il territorio e l’amore per la materia prima, trattata con rispet- to, delicatezza e semplicità — spiega lo chef Davide Pontoriere —. I nostri piatti prendono vita dalla libertà di proporre abbinamenti inediti, vivaci, che parlano di San Patrignano e di ra- gazzi che in cucina vogliono mettersi in gioco”. Il menù di Vite segue il ciclo delle stagioni e viene aggiornato periodi- camente, unendo tradizione e inno- vazione nel lavorare in chiave con- temporanea le tipicità del territorio e altre eccellenze. Sarà possibile ritro- vare quindi grandi classici del risto- rante, come la “Pappa al pomodoro” o il “Risotto Vite”, insieme a proposte di una cucina diversa da quella abi- tuale, capace di inventarsi, giocare e restare solidamente ancorata alle ori- gini e accessibile, in cui i piatti hanno il sapore del comfort food e la fragran- te vivacità dei prodotti di filiera. Grande attenzione è posta natural- mente anche alla scelta dei vini, pro- venienti dalla cantina della Comunità e dai migliori produttori vitivinicoli, che vengono abbinati ai piatti del menù per espressione varietale e ca- rattere regionale, a completamento armonioso della filosofia di cucina. I ragazzi e le ragazze della Comunità che durante il percorso di recupero fanno formazione a Vite hanno l’op- portunità non solo di confrontarsi con lo chef e i professionisti della brigata di cucina, ma anche con altri cuochi di fama che il ristorante ospita periodi- camente per serate “a quattro mani”. Sono arrivati nel ristorante di San Pa- trignano, tra gli altri, chef come Carlo Cracco o Gennaro Esposito della Tor- re del Saracino. Stretto il rapporto an- che con prestigiose cantine italiane, protagoniste di serate a tema in cui i vini si abbinano ai piatti che traggono ispirazione dal territorio e dalla ricer- ca dell’eccellenza nella materia prima, per fare apprezzare tutta la dinamica creatività della cucina di Vite. Nel piatto si ritrova la sinergia con il territorio e l’amore per la materia prima, trattata con rispetto, delicatezza e semplicità. I nostri piatti prendono vita dalla libertà di proporre abbinamenti inediti, vivaci, che parlano di San Patrignano e di ragazzi che in cucina vogliono mettersi in gioco” — chef Davide Pontoriere
  • 8. 6 Ascoltare per crescere Costruire il proprio futuro aiutando gli altri. Come è stato fatto con noi. Per ridare un futuro a chi non lo vede più ll’ultima spiaggia: ecco dove ero arrivata”. Silvia ha 38 anni ed è originaria di Vittorio Veneto, in pro- vincia di Treviso. “Dalle mie parti, San Patrignano è vista proprio così: il po- sto dove arrivi quando per te non c’è più niente da fare, dove devi restare perché non ce la fai a vivere nella vita ‘normale’, quella fuori”. Figlia unica di genitori operai, fino ai 15 anni tutto sembra andare bene. “Poi improvvisamente, un giorno ho notato qualcosa che era sempre sta- to lì ma non aveva mai catturato la mia attenzione”, ci spiega Silvia. “Un gruppetto di ragazzi che si ritrovava nel parcheggio di fronte casa mia. Ho pensato che fossero dei fighi e ho immediatamente voluto conqui- stare uno di loro, che poi è diventato il mio primo ragazzo”. Insieme a lui scopre le canne e soprattutto l’eroina. Fu un amore a prima vista, racconta Silvia: “Avevo fumato canne per poco tempo, quello che provai fu talmente intenso che immediatamente mi resi conto che non avrei più potuto farne a meno”. In quel momento, Silvia stava fre- quentando le scuole superiori, con risultati più che soddisfacenti: “Sono mondosanpa testo di Giovanni Ponzelli A
  • 9. 7 occupazioni saltuarie che puntual- mente dopo qualche tempo decide- vo di lasciare perché a causa del mio comportamento arrivavo immanca- bilmente sull’orlo del licenziamento. E così via, una dopo l’altra. Ogni tan- to poi, quando mi riducevo davvero male, mi rifugiavo in una comunità solo per il tempo necessario a rimet- termi in piedi, fin quando ero in grado di risalire su quella giostra”. A un certo punto poi entra in scena qualcos’altro: “A 29 anni ho scoper- to la cocaina e tutto cambiò ancora aspetto. Ogni facciata si distrusse, stavo fuori per giorni, mi andavo a infilare in situazioni da cui mio padre puntualmente doveva tirarmi fuori; lui e la mamma hanno sempre creduto che potessi in qualche modo farcela a riprendermi”. Dopo l’ennesimo insuccesso in co- munità, il SERT le comunica che non avrebbe più contribuito finanziaria- mente al suo recupero; a quel punto, le viene consigliata San Patrignano. Era l’ottobre del 2017. Viene accolta nel settore della Cu- cina. All’inizio non ha la forza di fare niente, neanche di reagire. Con il tempo però, e con le responsabilità, il suo carattere egocentrico e sempre teso ad avere di più inizia a mostrarsi: “Dopo un anno non riuscivo a capi- re cosa dovevo fare; quanta fatica ho fatto per iniziare a condividere, io che avevo sempre e solo pensato a me stessa”. In seguito le cose peggiora- no: “A due anni non solo non avevo capito ma addirittura, sentendomi in- calzata dai miei responsabili che vole- vano che andassi avanti, iniziai anche a rispondere, ad arrabbiarmi. Arrivai a volermene andare”. Finché un giorno, in cucina “ero sola davanti a un lavello a pulire pomo- dorini, arrabbiata con tutti e tutto. E dentro di me mi dissi: ‘Silvia, cosa ti costa cercare di capire cosa cercano di dirti?’. Cercai di essere più umile e mettermi finalmente in ascolto”. Da quel giorno, qualcosa scattò: “Il mio egoismo è solo un ricordo, ho scoperto quanto sia ricca e gratifi- cante l’esperienza della condivisione e dell’aiutare gli altri. Addirittura sto pensando di costruire il mio futuro in base ad essa”. Silvia infatti a San Patrignano si è iscritta all’università telematica per laurearsi in Scienze dell’Educazione e poter così trasformare quella che ha scoperto essere la sua vocazione in un lavoro, possibilmente qui a Sanpa: “È qui che tutto è cambiato per me, quindi spero di poter arrivare a conti- nuare a fare qui ciò che è stato fatto con me: ridare un futuro a chi non lo vede più”. sempre stata molto brava a scuola, frequentavo un istituto tecnico per il turismo; i miei genitori cominciarono però a sospettare che qualcosa non andasse e a modo loro cercarono di intervenire”. La situazione andò avanti per qual- che tempo finché una mattina il pa- dre aprendo una porta nel momento sbagliato la scopre mentre si sta per fare ed insieme si ritrovano prima ad andare al SERT e poi, addirittura nella stessa mattinata, Silvia approda in Comunità. Ha solo 17 anni. Sarà la prima di una serie: “Non sono mai ri- uscita a concludere un percorso. Ne- gli anni della mia tossicodipendenza sono entrata e uscita tante volte dalle comunità; inoltre, la prima volta mi ri- trovai con persone anche molto più grandi di me da cui io, avida di espe- rienze, mi feci condizionare”. Per que- sto Silvia, pur riuscendo grazie alla disponibilità dei suoi insegnanti a fi- nire la scuola, immediatamente dopo lascia la comunità. Riesce comunque a diplomarsi. “Mi iscrissi addirittura all’università ma studiare non era assolutamente tra i miei obiettivi: avevo sete di espe- rienze”, ammette. “Lasciai dunque gli studi e cominciai a lavorare: tutte Il mio egoismo è solo un ricordo, ho scoperto quanto sia ricca e gratificante l’esperienza della condivisione e dell’aiutare gli altri. Addirittura sto pensando di costruire il mio futuro in base ad essa”
  • 10. 8 al 2008 il ristorante piz- zeria di San Patrignano è sia la vetrina dei prodotti enogastronomici e ar- tigianali della Comunità, sia il banco di prova dei ragazzi e delle ragazze in percorso, in cui la ricerca dell’eccel- lenza va di pari passo con la ricerca di serenità e futuro. Oggi sono 20 i giovani in percorso e formazione a SP.accio per riprendere in mano la propria vita, mentre altri otto sono stati inseriti al lavoro al ter- mine del percorso di recupero. In cu- cina, sotto l’attenta guida dello chef, imparano a preparare specialità ispi- rate allo street food o raffinati piatti in equilibrio tra tradizione e creativi- tà, pizze gourmet, deliziosi dessert e pasticceria. La pasta madre della pizzeria è amorevolmente tramanda- ta e curata dai ragazzi. Gli ingredien- ti di ogni piatto, i formaggi, i salumi, la chianina, le verdure, il vino e l’olio provengono dai campi e allevamenti di San Patrignano, oppure da picco- Per molti ragazzi, in questi anni, il forno a legna, la cucina e la sala di SP.accio sono stati la prima tappa di un percorso verso la maturità e l’equilibrio. Per alcuni hanno rappresentato anche il trampolino verso la realizzazione professionale D Laricerca dell'eccellenza li produttori certificati e presidi slow food. Anche gli arredi interni del ristoran- te, le decorazioni, l’oggettistica, le lavorazioni in legno, ferro e metallo, e i tessili per la tavola sono curati e realizzati artigianalmente dai ragazzi del Design Lab della Comunità. Nello shop di SP.accio si trova tutto ciò che a San Patrignano si produce, coltiva, lavora e affina: vino, formaggi e salu- mi, prodotti da forno, articoli di abbi- gliamento, pelletteria o fiori freschi. Questa estate a SP.accio sono tornati inoltre gli aperitivi fra gli ulivi “Sotto le fresche frasche”, un’ulteriore occasio- ne, per i ragazzi, per mettersi alla pro- va con i clienti esterni. Nella cornice dell’uliveto vista mare che circonda il ristorante, tutti giorni dalle 18 vengo- no allestiti originali salottini open air con pallet di recupero e grandi cusci- ni. Per il pubblico, partecipare “Sot- to le fresche frasche” significa fare un’esperienza gastronomica e umana unica, passando una serata speciale all’insegna del relax e del gusto. L’a- peritivo propone creative pizze stira- te, ricchi taglieri, ottime birre artigia- nali, freschissimi cocktail e tradizionali vini del territorio. D a cura della redazione mondosanpa
  • 11. 9 on riesco a spiegare quanto sia bello aver conseguitoquestoobiet- tivo, per me è una cosa “enorme”, se così posso dire. Torno a casa con la mia vita in mano, pronto a mettermi in gioco. Il coronamen- to del mio percorso è stato questo diploma e averlo ottenuto con ‘cen- to’ mi ripaga certamente di tutti gli sforzi fatti. Ricordo le notti passate in bianco e i pianti. Ammetto che più di una volta mi sono sentito profon- damente frustrato, sono spesso au- tocritico e perfezionista”. Mattia ha ventidue anni, è un ragazzo molto profondo, che prima di esprimere un concetto pensa molto, ascolta chi ha di fronte. Ora che ha terminato il percorso a San Patrignano è pronto. Sta per tornare a casa sua, in provincia di Sondrio, desideroso di iniziare una nuova vita, con tante aspettative e l’ansia di riuscire a realizzare qual- cosa che possa riempire la sua vita. “Non ho mai capito quale potesse essere la strada giusta per me, quel- lo che mi avrebbe soddisfatto piena- mente fino in fondo. Come me, sono tanti i ragazzi che a San Patrignano hanno riscoperto il valore delle pic- cole cose, dei sacrifici e che, grazie anche alla possibilità di riprendere gli studi o iniziarli da zero, hanno ora trovato un obiettivo da raggiungere. Questa esperienza mi ha cambiato e profondamente motivato, ora so di avere tutte le carte in regola per dare valore al mio futuro, sentirmi soddisfatto e rendere orgogliosa la mia famiglia”. Con la fine di un altro anno scolastico è arrivato il tanto atteso momento della maturità. A raccontarci la sua esperienza è Mattia, diplomatosi con cento in Servizi Socio-Sanitari Dare valore al futuro Quest’anno sono trentuno i ragazzi e le ragazze della Comunità di San Patrignano ad aver conseguito con successo il diploma di maturità. Di questi, dodici lo hanno ottenuto in Servizi Socio-Sanitari all'I.P.S. Versari Macrelli di Cesena, sedici nella Ristorazione all'I.P.S.S.E.O.A. S. Savioli di Riccione e tre come odontotecnici presso l’I.P.S.I.A. G. Benelli di Pesaro. Il Centro Studi della Comunità ha visto, inoltre, undici studenti di terza superiore conseguire la qualifica nell’ambito della Ristorazione e due ragazzi del Centro Minore maschile ottenere la Licenza Media presso l’I.C.O. di Ospedaletto in provincia di Rimini. Traguardi importanti N testo di Giovanni Boschini sanpa mondo
  • 12. 10 mondosanpa mondosanpa a cura dell'ufficio stampa San Patrignano ha dato il proprio commosso addio a Piero Prenna e Vanni Laghi. Una cerimonia toccante per salutare insieme i due responsabili della comunità, spentisi a poca distanza di tempo l’uno dall’altro iero e Van- ni, con il loro operato, il loro esempio e il loro grande cuore, han- no lasciato un segno indelebile in tut- ti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarli nel proprio percorso di vita. Lo hanno ricordato con emozio- ne le testimonianze di alcune ragaz- ze in percorso. “Quando Vanni ti guardava, vedevi la sua anima, la sua capacità di esse- re in connessione con gli altri. E nei suoi abbracci sentivi un grande sen- so di protezione e sapevi che tutto sarebbe andato bene. Vanni rimarrà P sempre con noi. Gli siamo riconoscenti e cercheremo di vivere e ri- trasmettere gli stessi valori”. “La vita da un giorno all’al- tro si prende ciò che vuole. Sarà difficile abituar- si all’assenza di Piero. Ricorderemo tutti i pranzi fatti insieme, i suoi mille racconti, i consigli che sapeva sem- pre darci. Per ognuno aveva sempre una parola. Nei suoi occhi e nei suoi gesti si poteva vedere quanto fosse forte la sua anima. Resterai sempre nei nostri cuori, ciao Piero”. Nell’omelia, don Fiorenzo ha traccia- to un parallelo fra i percorsi di ricer- ca di Ulisse e Abramo e i cammini di vita di Piero e Vanni. “Nella nostra cultura occidentale abbiamo due Il saluto a Piero e Vanni
  • 13. 11 miti, due percorsi straordinari: il mito di Ulisse e il mito di Abramo, com- plementari l’uno con l’altro. Ulisse è la ricerca, l’avventura, la voglia di scoprire, sapendo che questo com- porta tanti accidenti di percorso. Ma ciò che aiuta Ulisse a realizzare com- pletamente la sua vita è il ritorno a Itaca, a casa. L’andare fuori, il cerca- re, per poi ritornare dentro se stessi, dentro la propria realtà. Il cammino di Sanpa è davvero questo: il ricono- scimento di un’esigenza dell’uomo di scoprire, di conoscere, come hanno fatto Vanni e Piero, e poi accorgersi di qualcosa di molto più bello e pro- fondo dentro di noi: Itaca, la propria realtà, la propria centralità, il proprio essere. Il ritorno a casa”. “Abramo è un andare, ma non per ritornare – ha proseguito don Fio- renzo - bensì per credere a quella passione, a quella voce che per Ulis- se era Itaca, per Abramo è la vita, la realizzazione. E’ fantastico avere una fede che fa percorrere queste strade, questa realtà, e si fida non tanto di sé, quan- to piuttosto di quella verità che dentro di noi continuamente ci fa vedere le cose in maniera diversa. Abra- mo va, ottiene tutto ciò che gli serve per realizzare la propria vita. E’ il mito di anda- re, fidandosi”. “Quello che i nostri amici Piero e Vanni ci regalano – ha conclu- so – e che ognuno di noi può regalare all’altro, è proprio questa consapevolezza che soltan- to nell’accoglierci gli uni con gli altri, nel morire alle nostre inquietudini e paure possiamo cogliere nell’altro la bellezza e la verità che ci riempie di forza, di gusto nell’andare, nel riper- correre questo cammino, nel ritrova- re la vita. Siamo consapevoli che da ogni errore possiamo imparare tanto e cominciare a essere diversi, per un mondo migliore. Ogni condivisione, ogni saluto, ogni momento come questo diventa un fermento nuovo di vita. Vanni e Piero hanno semi- nato, adesso è il tempo del raccol- to dell’offerta e del dono che questi due amici hanno fatto. Grazie Vanni, grazie Piero, grazie a ciascuno di voi che fatica ogni giorno per ritornare a Itaca dentro se stesso, e che cer- ca di avere dentro di sé quella forza, quella fede che ha guidato loro due a percorrere questo cammino”. Piero e Vanni, con il loro operato, il loro esempio e il loro grande cuore, hanno lasciato un segno indelebile in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarli nel proprio percorso di vita. Lo hanno ricordato con emozione le testimonianze di alcune ragazze in percorso
  • 14. 12 raccontami 52 storie Il coraggio di avere paura Presta attenzione a ciò che ti circonda. Spesso le tue idee arrivano dal paesaggio, dalle cose e dalle persone che hai intorno. Quello che viviamo ci permette di dare una forma alle nostre emozioni, ai ricordi belli e dolorosi che abbiamo, trasformandoli in pensieri, frasi e parole che magari hanno vagato per anni dentro di noi amminavamo per il viale principale senza guardar- ci. C’era il sole, era una giornata tiepida, piacevo- le. Eravamo soli su questa strada: io, mio padre e mio fratello. I raggi di sole filtravano tra le fronde degli al- beri, mentre una brezza tiepida sof- fiava appena, facendoci sentire leg- geri. Mi sentivo sicuro, era la prima volta che riuscivo a stare con la mia famiglia in questo modo. Niente bot- te, niente pianti, né urla. Nessun silen- zio pesante, non dovevamo per forza dirci qualcosa, per fare finta di stare bene. C
  • 15. 13 Non era la prima volta che rivedevo la mia famiglia, avevo già affrontato questo argomento con loro. Ero stato chiaro nel dirgli che la colpa era mia, totalmente. Ne ero consapevole: ero io ad essermi drogato, non loro. An- che quando ero piccolo sapevo bene dove potevano portare le mie scelte; adesso che la droga non attutiva più niente, poi, ero spesso preda dei sen- si di colpa, per quello che avevo fatto nei momenti in cui ero disperato. Ho passato tanti anni a farmi male, senza mai pensare che anche le persone in- torno a me soffrivano. Con le mie azioni le facevo stare ancora peggio, proprio perché mi volevano bene come nessun altro e volevano ad ogni costo che io non soffrissi, o quantomeno che riuscissi a chiedere aiuto. Eppure vedevo che, nonostan- te le mie parole, loro continuavano in qualche modo a sentirsi in colpa, si chiedevano cosa avessero sbagliato nei miei confronti. In quel giorno di primavera inoltrata, io, mio padre e mio fratello ci siamo seduti su una panchina nascosta, in quel viale enorme dove non c’era nessuno. Sembrava un sogno e un paradosso. Era un posto perfetto per parlare, calmo e aperto ma anche isolato. Era tutto troppo bello per uno come me. “Posso chiederti una cosa?”. “Dimmi papà, certo che puoi”. “Vorrei che mi spiegassi cos’è che ti ha fatto più male, quando eri picco- lo”. Era sempre così mio padre: diretto, sicuro di sé. Con quella voce calma che ti spiazza, che ti dà l’illusione che lui sappia tutto, o quantomeno che riesca a trovare sempre una soluzio- ne ad ogni tuo problema. Mio fratello D’un tratto però arriva a tutti lo stes- so pensiero. Stiamo camminando in una comunità, oggi è il giorno del mio invito. Una giornata dedicata a noi, al nostro rapporto, una volta ogni quat- tro mesi. Per quanto lo si possa pren- dere alla leggera, come fosse una giornata di vacanza e gioia, il giorno dell’invito è un momento in cui dob- biamo affrontare delle questioni tra noi. Tra circa un anno e mezzo torne- rò a casa, probabilmente. Nessuno lo impone eppure tutti, nello stesso mo- mento, ci sentiamo in dovere di chie- derci cosa ci sia stato di sbagliato. Perché alla fine sono finito nel mon- do della droga? E soprattutto, cosa deve fare ciascuno di noi per evitare che questo possa succedere di nuo- vo?
  • 16. 14 mi guarda. Ormai siamo grandi, an- che lui vuole sapere, vuole capire. E in uno sguardo capisco che anche lui sta provando quello che sento io. Lui ha passato le stesse cose. Non ci sia- mo parlati per anni e alla fine abbia- mo preso due strade molto diverse, eppure ci capiamo senza nemmeno parlarci. Hanno tutto il diritto di avere delle risposte ma a me non piace par- lare del passato. Non perché mi fa soffrire, non è solo quello. Spiegare il perché di quello che ho fatto, sareb- be come dare un senso alla strada che mi ha portato qui oggi. E non c’è nessun motivo che possa giustificar- lo. “Fammi un favore, dimmelo e ba- sta. Rimarrà qui, non ne parleremo più. Solo questa volta”. “Cosa vuoi sapere esattamente? Cosa ho passa- to di brutto, mentre facevo quella vita?”. “Voglio sapere quello che vuoi dirmi. Quello che veramente hai dentro, che ti ha fatto male. So che per te è diffi- cile ma prova a capirmi, io non mi sono mai dato pace fino in fondo. Forse questo mi aiuterebbe. Non far- lo per chiedermi scusa, fallo per aiu- tarmi, e non preoccuparti di quanto mi farà male. Quello è un problema nostro, di me e tuo fratello che ti vo- gliamo bene. Tu diccelo e basta, se riesci. Se puoi”. Quello che mi ha sempre allontanato dalle persone ‘normali’, per così dire, è sempre stato questo. Tutti pensano che i rimorsi dei tossici siano, magari, le volte che hanno rischiato di morire, o le cose che sono arrivati a fare. Sen- za quel muro di gomma tra me e il mondo, ovvero le sostanze, mi sono vergognato molto ripensando a tutti i soldi che ho rubato, ai danni che ho causato con le macchine che ho di- strutto, le cose che ho venduto, alla violenza subìta e inferta quando sta- Mio padre ha stretto i denti, sapevo che avrebbe voluto chiederci scusa. Non serviva, non doveva. Mio fratello mi ha guardato, ognuno ha visto se stesso nell’altro 52 storie
  • 17. 15 vo per strada, nelle piazze o in uno di quei posti marci e dimenticati. Ma è davvero una scusa per stare male, un fantoccio a cui addossare la colpa del malessere. Spesso nel passato ho cercato apposta qualcosa che giusti- ficasse tutto lo schifo che mi facevo, tutta la solitudine che avevo dentro. Avevo già raccontato queste scene ai miei compagni di stanza. Quella pic- cola parte di me, però, quei momenti che mi facevano tanta paura, avevo deciso di tenerli nascosti, di non met- terli in gioco con nessuno. Era pro- prio questo che mi stava chiedendo papà. La realtà è che ci vuole tanto coraggio per provare quella paura. Forse per questo ho deciso di parla- re, quel giorno. O forse è stato grazie a mio padre. Perché non capivo come facesse, proprio lui, a voler portare la luce in quell’unico cassetto che vole- vo lasciare chiuso, dentro di me. Mi sentivo stupido, ma volevo dirlo. Ad alta voce. “È stato il silenzio che mi ha fatto male, papà. Perché non capivo che tu avessi i debiti e dovessi lavorare fino a sera, non sapevo che mamma fosse caduta in depressione. E in fondo nemmeno mi interessava. Io tornavo a casa da scuola e sentivo solo silen- zio. Sapevo che in frigo c’erano i cor- don bleau, quelle maledette croc- chette al formaggio che dovevo scaldarmi al microonde. Sentivo mamma chiusa in camera, voi eravate tutti da qualche parte, a fare qualco- sa. E io non volevo starci a casa da solo. Non volevo restare lì a ripensare a quelli di terza che mi picchiavano, né ai miei compagni di classe e al loro modo di guardarmi. Al fatto che non piacessi a nessuno, perché in fondo ero uno sfigato. Non volevo parlarne, sfogarmi con qualcuno, non volevo affrontare il problema. Volevo solo andarmene. Volevo uscire, stare con qualcuno, fare qualcosa e magari di- vertirmi. Volevo avere una cazzo di scusa per non pensare, per non sen- tirmi stupido nel ricordare quando ero piccolo, quando vivevamo tutti insieme nella casa grande dei nonni ed eravamo felici. Non ero più picco- lo, quindi non potevo permettermi di pensare a ‘ste robe. Più ci pensavo e più mi sentivo stupido. Così volevo uscire, volevo spaccare le cose, fare casino, e per farlo andava bene qua- lunque cosa. Volevo solo imparare a non pensare alle cose che mi faceva- no soffrire. Volevo imitare qualcuno che mi sembrava invincibile, per capi- re come si faceva a diventare grandi, a non pensare più a queste cagate”. “Sai Fili, io ci penso ancora, mi fa an- cora male. Sarà che sono tuo fratello ma ci penso eccome a tutto questo. E anche se non mi sono mai drogato io queste cose non le ho mai dette a nessuno, una soluzione non l’ho an- cora trovata, io sto male tutti i giorni”. Non so come si mettono a posto queste situazioni. Non so a chi sia giusto dare la colpa, non so come vi- vono le famiglie normali. In quel mo- mento non capivo nemmeno se fossi pazzo. Sapevo solo che volevo bene a entrambi, e tanto. Guardavo mio fratello, poi ci siamo guardati tutti e tre. Mio padre ha stretto i denti, sape- vo che avrebbe voluto chiederci scu- sa. Non serviva, non doveva. Mio fra- tello mi ha guardato, ognuno ha visto se stesso nell’altro. “È mio fratello”, pensavo. Forse è una frase stupida, a me quel pensiero faceva piangere, perchè stavo per perderlo. Non sono cose che si possono spiegare. Non saprei come si fa a creare, questo luo- go e questo tempo. Ho provato per una vita a dire queste parole ma non hanno mai avuto senso, né dentro la mia testa né fuori dalla mia bocca. Non esisteva senso di colpa, in quel momento. Non c’era rancore, nessu- na parola in più da aggiungere. C’era- no solo tre persone che si abbraccia- vano in silenzio, stringendosi forte, come se avessero di nuovo paura di perdersi. Filippo
  • 18. 16 raccontami 52 storie Occhi verdi ei rimasta con noi tutto il pomeriggio, a bere e a fu- mare. Parlammo di musica e di serate in discoteca. Io avevo appena iniziato ad andare a ballare. Era- no gli anni d’oro dell’hardstyle e dell’hardcore. Poi ti sei tolta gli occhiali, ricordo benissimo quel momento. Per la prima volta vidi i tuoi occhi, due enormi occhi verdi, un po’ arrossati dall’erba. Quello sguardo mi rimase impresso nella mente. Parlai di te ad un amico, sapevo che ti conosceva, dovevo trovare il modo di rivederti. Passarono mesi prima che ciò accadesse. Settembre 2006, apertura del ‘Due’ di Cigliano. Ero in cerca di pastiglie e mi portarono da una ra- gazza che ne aveva da vendere. Eri tu. Restammo insieme tutta la notte e ritornai a casa con te. Da quella notte i nostri destini si incrociarono in un vortice di eccessi. Ormai l’uso di cocaina ed eroina era diventato quotidiano. Tutti i giorni si andava nei boschi a caricare e in zona tutti ci lasciavano i soldi per procurare loro la droga. Insieme a te mi sentivo im- portante. Per un sacco di tempo avere la droga in tasca non fu mai un problema. Ci arrestarono. Fu la prima volta ed era- vamo insieme. Io fui rilasciato perché minorenne e perché la droga l’avevi tutta tu. Per tutti i mesi dei domiciliari non ci fu occasione di vederci e io do- vetti trovare nuo- ve strade per non rimanere a corto S Ci siamo conosciuti in un pomeriggio d’estate grazie ad un amico comune. Sei arrivata al parco con la tua decapottabile nera. Ricordo che indossavi un paio di occhiali da sole molto grandi che ti coprivano il viso e una minigonna mozzafiato
  • 19. 17 di sostanze. Quell’episodio fu l’inizio della fine del nostro rapporto. Dopo l’arresto le persone si allontanarono da te, avevi perso gran parte del giro. L’unica cosa per cui ti cercavano, me compreso in fin dei conti. Sapevo di piacerti, l’ho sempre saputo, ho fat- to perno sui tuoi sentimenti tante e tante volte per ottenere quello che volevo. Ti ho usata, ti ho illusa. Mi fa- cevo regalare eroina per venire a letto con te, per stare in tua compagnia e quando la droga finiva, io sparivo. Lo sapevo io e lo sapevi anche tu. In fon- do andava bene a tutti e due. Nel giro di pochi mesi sei tornata a spacciare. Tornarono i clienti, i soldi e io ormai non servivo più. Le nostre strade si divisero. Tu ti davi agli spacciatori in cambio di droga, io avevo iniziato a bucarmi. Era il 2011 e io ero entrato nella prima comunità. Ci siamo rivisti dopo quattro anni. Riconobbi la tua macchina nel parcheggio del bosco, bussai al finestrino. Fu uno shock ve- derti in quello stato. Non sembravi neanche tu, la droga ti aveva mangia- to viva, i tuoi capelli e i tuoi bellissimi occhi verdi erano solo ricordi. Restai con te tutto il pomeriggio. Mi raccon- tasti di tutte le cose brutte che ti era- no capitate, eri stanca di stare male, di essere usata e abbandonata dalle persone. Mi sentivo in colpa, mi ver- gognavo di fronte al tuo dolore. Non ci perdemmo più di vista, nonostante vivessimo due vite differenti ci si in- contrava spesso nei soliti posti, con la solita gente a condividere disperazio- ne e siringhe. L’ultima volta che ti vidi fu poco prima di iniziare a frequentare l’associazione che mi avrebbe aiutato ad entrare a San Patrignano. Passasti a prendermi in stazione per portarmi a prendere la roba. Non lo sapevo, ma quelli sarebbero stati gli ultimi mo- menti che avremmo condiviso. Erava- mo due morti viventi, schiacciati dal peso di tutti i nostri errori. Io vivevo in macchina e tu in una casa occu- pata da emarginati e spacciatori che abusavamo di te per qualche pera al giorno. Prima di salutarci mi hai dato una foto: 2007, eravamo insieme, belli e sorridenti. I tuoi occhi erano lumi- nosi, come la prima volta che ti ave- vo incontrata. Non li rividi mai più. Ho scoperto solo un mese fa che non ci sei più. Ti hanno trovata distesa su un prato, in mezzo ad un bosco. Non si sa da quanto tempo eri lì. Finalmente è arrivata la pace anche per te. Quan- to avrei voluto sapere che anche tu eri riuscita ad aggiustare la tua vita! Ma non ce l’hai fatta. Eri troppo fra- gile e avevi perso le speranze. Sono stato tanto male, quando ho saputo della tua scomparsa. Rabbia, tristez- za, sensi di colpa. Penserò a te ogni volta che mi capiterà di perdermi di nuovo dentro a dei meravigliosi occhi verdi. MaBe Prima di salutarci mi hai dato una foto: 2007, eravamo insieme, belli e sorridenti. I tuoi occhi erano luminosi, come la prima volta che ti avevo incontrata. Non li rividi mai più. Ho scoperto solo un mese fa che non ci sei più
  • 20. 18 raccontami 52 storie Sono le 11.45. Apro gli occhi, guardo fuori dal finestrino e vedo che sotto di me c’è un lembo di terra che costeggia il lago Vittoria. Mancano circa venti minuti all’atterraggio. L’aereo sta iniziando a scendere. Sudo, mi fanno male le gambe, avrei bisogno di stenderle, ma i sedili sono troppo attaccati. Ho lo stomaco vuoto, è da ieri che non mangio, mi sento debole ra poco arriverò a Enteb- be: si trova in Uganda. Io sono originaria di lì. Il mio villaggio dista un bel po’ di chilometri dall’aeroporto, penso che noleggeremo una jeep per arrivarci. Questa è l’ennesima volta che mia madre decide di mandarmi dai miei parenti: succede quando non riesco a disintossicarmi da sola. Nella clini- ca dove sono stata prima di partire le hanno consigliato due cose per farmi riprendere: o una comunità terapeutica o un’esperienza forte. Solo così sarei riuscita a smettere una volta per tutte. Secondo i miei, era meglio la seconda ipotesi: cosa poteva esserci di più forte se non qualche mese in un villaggio dell’U- ganda? A me alla fine andava me- Quella piccola finestra di legno F testo di Valentina Lisi
  • 21. 19 glio, non vedevo l’ora di starmene lontana da casa per qualche mese! In più sono sempre stata molto le- gata alla mia terra, mi sentivo più a casa lì che con i miei. Mia madre non ha mai portato avan- ti la tradizione africana in casa ma, nonostante ne abbia sempre sof- ferto, non riesco ancora a fargliene una colpa; solo mia nonna lo faceva, raccontandomi vecchi aneddoti e ripresentandomene tutti i giorni gli usi e i costumi. D’altronde, lei fu la prima donna di colore ad andare in giro per Firenze con gli abiti tipici del nostro villaggio! Abuoli – il suo nome dell’anima - non si è mai ver- gognata delle nostre origini. Ed è per questo che l’ho sempre stimata. Adesso sono le 16.30. Finalmente siamo arrivati al villaggio. Il viaggio non è stato dei migliori, la strada dissestata mi ha provocato ancora più dolori alla schiena di quando sono partita. Eccoli tutti lì ad aspet- tarmi, saranno una cinquantina di persone. Mi vengono incontro, non capisco molto di quello che mi sta succedendo intorno. Ho caldo, vor- rei solo stendermi sul letto e dormi- re. E invece mi guardo in giro: tutti quei colori, quegli abiti stupendi, è pieno di bambini che urlano e rido- no intorno alla mia jeep, gente da ogni parte che mi offre frutta. Mi stavano aspettando! Passano i giorni, e scopro che lì gli psicofarmaci posso averli pagando. Splendida notizia. Ma l’astinenza si sta facendo sem- pre più forte. Non riesco nemmeno a scendere dal letto, non so come fare a procurarmeli. Cosa m’inven- to adesso? Panico. L’unica cosa che posso fare è mettermi a letto e ve- dere se riesco a stare meglio. Chiu- do un attimo gli occhi ma vengo svegliata da rumori. Chi sono tutte queste persone che vengono verso la mia capanna ridendo? Mio cugi- no si avvicina al letto e mi fa sapere che nel giro di qualche ora verranno a trovarmi parenti da tutta l’Ugan- da. Hanno saputo del mio arrivo, hanno lasciato tutto e sono partiti. Qui sono fatti così. La famiglia so- pra ogni cosa. Richiudo gli occhi, mi addormento di nuovo. Li riapro. Mi trovo accerchiata da una trentina di persone, gente che fa avanti e indie- tro dalla mia stanza, lasciano cose, mi accarezzano le mani e la faccia, mi baciano. Io però sono bloccata, inerte, in un bagno di sudore. Mi addormento, esausta. Non ho più molti ricordi dei giorni a venire, so solo che ho passato circa un mese chiusa lì dentro. Rifletten- doci, sono stata catapultata in una realtà completamente differente dalla mia, dove i miei parenti, senza nemmeno conoscermi, hanno subi- to accettato me e la mia condizio- ne, non facendomi mancare cure e attenzioni. Io l’astinenza l’avevo già provata, ma stavolta quella da Fen- tanyl era stata veramente forte. Le poche volte che riuscivo ad alzar- mi dal letto, sentivo e vedevo tutto da quella piccola finestra di legno: bambini che si rincorrevano ridendo, scalzi e sporchi, donne che cucina- vano pollo e riso su grandi fuochi e uomini che facevano avanti e indie- tro con grandi cestini di viveri. Sulle loro facce, nonostante non avesse- ro niente, non ho mai visto segnali di scontento. Io invece, abituata ad avere tutto, ero ridotta a stare in un Mia madre non ha mai portato avanti la tradizione africana in casa ma, nonostante ne abbia sempre sofferto, non riesco ancora a fargliene una colpa; solo mia nonna lo faceva, raccontandomi vecchi aneddoti e ripresentandomene tutti i giorni gli usi e i costumi
  • 22. 20 raccontami 52 storie letto, non riuscendo a godere di tut- to quello che avevo. Tutta quella situazione mi faceva soffrire: da una parte ero contenta di essere lì, con la mia gente. Dall’al- tra, invece, mi pesava non essere lu- cida, mi faceva stare male. Ho sem- pre cercato di fare da ponte tra la cultura italiana e quella africana, ma la condizione in cui ero non mi ave- va permesso di entrarci in contatto. Ora sono a San Patrignano, da cir- ca un anno e mezzo: l’ultima volta che mi hanno messo davanti ad una scelta, non ho scelto l’Africa ma la comunità. Adesso sto meglio, ma la mia testa non fa altro che pensare a quell'esperienza: e vengo inondata da una grande malinconia. Avrei potuto prendere tanti spunti dalle persone che ho conosciuto in quei mesi: quelle persone amano la vita, basta un niente per farli sorri- dere, e non sanno cosa vuol dire la parola giudizio. Nel villaggio non esiste il diverso, c’è unione, siamo tutti una grande famiglia. Lì ho tro- vato una solidarietà e un amore mai visto prima, ma la cosa più impor- tante è che ho respirato la libertà di poter uscir fuori senza dovermi cu- rare del giudizio degli altri. Tutto questo, fino ad allora, non l’a- vevo mai provato. Ho passato tutta la mia infanzia a scontrarmi con i pregiudizi e con il peso di avere un colore della pelle diverso dagli altri; non riuscivo a capire le mie origini, non mi senti- vo né italiana né africana, e questo mi ha portato a soffrire sempre di grandi crisi d’identità. Dentro di me ho sempre sentito un grande vuoto, che negli anni non sono mai riuscita a colmare se non con la droga e con l’alcool. Non sopportavo più la real- tà che mi circondava. E tutte le volte che mi ripromette- vo di smettere, al rientro dall’U- ganda, la sostan- za tornava con prepoten- za a fare da padrona. I ricordi di tutti quei viag- gi erano sempre più vividi ogni volta ma non abba- stanza forse da farmi cam- biare la mia visione di vita: io, infatti, al contrario della mia gente, la mia vita la odiavo. Ma ora è tutto diverso. Ora sono a San Patrignano, da circa un anno e mezzo: l’ultima volta che mi hanno messo davanti ad una scelta, non ho scelto l’Africa ma la comunità
  • 23. 21 i trovavo spesso a decidere la cosa sba- gliata, nonostante avessi un figlio. Lo avevamo voluto tanto, io e la mia compagna. Sperando di trovare nel- la meraviglia di una vita nuova e solo nostra, la spinta per rinascere anche noi. Non fu così, almeno per me. Lei ce l’ha fatta. È diventata una brava e bellissima mamma. L’ho vista in qualche foto sul telefono che il mio compagno di cella non dovrebbe avere. Anche il suo uomo mi sembra bello, con un sorriso sano e innamo- rato, mi sembra una persona così responsabile che non mi riesce pro- prio di essere geloso e sono troppo stanco per essere invidioso, non ne avrei il diritto poi. Io sono solo uno che sbircia frammenti di vita felice in una cella di un carcere, ancora a fare scelte sbagliate perché se mi vedes- se un secondino sarebbe un gran ca- sino sia per me che per il mio com- pagno di cella. Io no, non sono mai diventato un padre. Mi vergogno, mi dispiace ma sono troppo vigliacco per guardare in faccia i miei fallimen- ti e troppo rassegnato per sperare che ci sia qualcosa a cui aggrap- parmi per cambiare le cose. Non so come si possa guardare il bicchiere mezzo pieno in una situazione come la mia, forse il mio bicchiere me lo sono venduto, o svenduto tempo fa. M Nella sua testa alcune cose risuonavano in una maniera strana, non voleva sapere se fossero reali. La sua soluzione l’aveva trovata, bastava usare qualsiasi tipo di droga possibile. La vita, in questa maniera, gli appariva più sopportabile. Tra le varie voci che aveva dentro qualcuna era buona, ma se hai già trovato una soluzione perché cambiare? Una sceltadiversa Di sicuro adesso ho tutto il tempo di riflettere ma spesso mi sembra di averci già riflettuto abbastanza mentre continuo a girare calendari. Quanti dovrò girarne ancora perché cambi davvero qualcosa? Non parlo di scontare una pena, intendo cam- biare ed essere diversi per riuscire ad avere il sorriso sano e innamora- to, come quell’uomo in quella foto, che guarda la madre di mio figlio. Eppure mi sento bene. O meglio mi illudo che sia così. Sono dentro ad una scatola, come quei contenitori sigillati che si tengono dentro al fri- gorifero nell’angolo in fondo e non fanno uscire odori indesiderati che altrimenti contaminerebbero il resto. In carcere siamo nascosti in un an- golo in fondo, sigillati nei nostri erro- ri. Sto riflettendo tanto. Voglio guar- dare il bicchiere mezzo pieno, voglio godermi ogni giorno del calendario, senza lasciarli andare via, cancellati da crocette di inchiostro consumato. In Comunità accadrà qualcosa, me lo sento. Riuscirò ad essere diverso, a pensare cose belle e a camminare leggero. F. In Comunità accadrà qualcosa, me lo sento. Riuscirò ad essere diverso, a pensare cose belle e a camminare leggero
  • 24. 22 raccontami con parole mie o sempre provato emo- zioni forti e intense, fin da bambina. Mi perdevo osservando cose diver- se dagli altri e sentivo che spesso non mi capivano e non condivide- vano con me i loro pensieri. Erano assorbiti da altro: dalle scarpe che Luisa aveva comprato, dal lavoro dei genitori di Francesco, dall’ulti- H Un concerto d’estate, sotto le stelle. In un borgo bellissimo e suggestivo della Toscana. Mi guardavo attorno commossa, incantata da tanta bellezza. Ero piccola ma ricordo ancora quella emozione. Mi era entrata dentro, come tante altre del resto mo discorso che Paola aveva fatto a Chiara. Iniziai a sentirmi sbagliata e inadeguata, non mi sentivo parte di niente, non mi sentivo considerata. Odiavo il mio essere così sensibile, il mio modo di vivere e sentire tutto ciò che mi circondava. Volevo essere un’altra, volevo essere diversa. Quan- do mi capitava di conoscere bambini simili a me, restavo sorpresa, incre- dibilmente confortata nel sapere che altri sentivano le cose come le sentivo io. Alla fine non riuscivamo a proteggerci abbastanza dalla forza delle nostre emozioni e soprattutto dalla prepotenza di chi non le prova- va. Ci allontanavamo comunque, alla ricerca di qualcosa che riempisse il nostro desiderio di conoscere, di me- ravigliarci. A volte era troppo. Spes- Sentirmi vera, sentirmiviva
  • 25. 23 so troppo poco. Soprattutto per me. All’età di quindici anni ho iniziato ad avvertire sempre più frequentemen- te un senso di insoddisfazione, inca- pacità, vuoto. Andavo benissimo a scuola ma non mi bastava. Avevo le mie amicizie ma non mi bastavano. Anche l’amore della mia famiglia non mi bastava. Era sempre nel cuore quell’inquietudine che mi portava ad altro. Ero alla ricerca di soluzioni che fossero totali, assolute. Mi gettai nel sapere e ampliai la mia cultura leg- gendo, spaziando dalla filosofia alla fisica; il vuoto restava. Provai con lo sport ma oltre alle sensazioni e all’a- drenalina delle prime volte non c’e- ra nulla. Tentai di trovare pace nelle camminate in mezzo ai boschi, pro- vai a seguire dei gruppi che si riface- vano alle dottrine orientali ma resta- vo delusa. Anche con gli amici, con i rapporti c’era sempre qualcosa che mi infastidiva, mi sentivo lontana, mi sentivo sola. Dopo l’entusiasmo per la novità e lo slancio iniziale, tornava la tristezza. Avevo il deserto dentro. Per curiosità e capriccio provai le sostanze. Quando compresi che mi aiutavano a superare tutto non le ho più abbandonate. Non credevo più in niente e la leggerezza che mi procu- ravano mi faceva dimenticare il peso che mi portavo dentro. Erano per me l’unica dolcezza in mezzo a quell’a- marezza. Ero in grado grazie a loro di sopportare tutto, di vivere e stare nel mezzo di ogni situazione, stato d’animo, emozione. Mi sembrava di muovermi agile e leggera tra esseri e cose, di non essere più attaccabi- le. Se un mio compagno di classe mi prendeva in giro ci restavo male, sì, ma le sostanze mi proteggevano creandomi uno scudo, una coraz- za d’indifferenza. Allo stesso tempo però, mi toglievano completamen- te la capacità di provare emozioni per qualsiasi cosa: se un mio amico condivideva con me il racconto di un viaggio, di un’esperienza nuova, sorridevo e cercavo di dimostrarmi partecipe. La verità era che non me ne importava niente. Apatica e in- differente avevo rinunciato alla mia sensibilità, al lato profondo e uma- no che mi apparteneva. Ero incredi- bilmente distante da tutto e sopra ogni cosa, ero lontanissima da me stessa. Mi ero procurata un’aneste- sia prolungata, sicuramente per non dover affrontare la sofferenza, ma il prezzo era troppo alto. Se non si sente il dolore non si sente la gioia, né l’entusiasmo e neanche la felicità e la pienezza. Semplicemente non si è vivi. La vita, la vita vera non è di- stanza dalle proprie emozioni e dai propri sentimenti, non è neanche un tentativo di controllarle e gestirle quelle emozioni e quei sentimenti, ma è la capacità di starci nel mezzo, di affrontarle con consapevolezza e coscienza. E con responsabilità. La libertà comporta responsabilità fa- ticose, altrimenti non si è liberi. Sto imparando a vivere, a trovare il mio valore nella capacità di essere me stessa in relazione agli altri. Custodi- sco gelosamente pensieri, emozioni, sensazioni, sentimenti, e la mia diver- sità, consapevole che in ciascuno di noi risiede un infinito valore. La vita in comune mi insegna che quanto più discendo in me stessa tanto più trovo gli altri e quanto più mi apro agli altri tanto più approfondisco me stessa. Questo significa vivere. Una vita ricca. Una vita vera. Ivana Come un bambino, avvertivo nel mio cuore due sentimenti contradditori: l'orrore della vita e l'estasi della vita” — Charles Baudelaire
  • 26. 24 raccontami Non nasconderti più a cura della redazione Risponde Margherita, decorazioni ual è la tua canzone prefe- rita? “Anima Fragile” di Vasco. Quando eri piccola come ti immagi- navi di essere da grande? Mi immaginavo sposata, con dei figli e un bel lavoro. Qual è la tua più grande paura? Invecchiare e trovarmi gli armadi aper- ti di notte. Qual è il tuo piatto preferito? Gamberoni. Come ti immagini tra dieci anni? Una donna realizzata, con un bel lavo- ro e un appartamento mio da cui nes- suno mi può sbattere fuori. Oggi riesci ad accettarti per quello che sei? Sì e sono fiera della donna che sto di- ventando. Cosa ti fa stare veramente bene? Il mio lavoro, stare con le persone, aiu- tarle. Voglio restituire quello che han- no dato a me. Qual è la qualità che preferisci in una persona? La sincerità o la dolcezza. Qual è la cosa che ti manca di più in Comunità? E perché? Avere una vita normale, con i miei figli e una casa tutta mia. Q raccontami giù la maschera Continuare ogni giorno a fare quello che mi appassiona senza mollare mai. E sorridere di più! In cosa ti senti diversa da prima? Riesco finalmente ad esprimermi e a parlare con le persone, riesco a non essere più una ragazzina, ma una don- na matura. Qual è il tuo ricordo più bello in as- soluto? La nascita dei miei figli. Se oggi potessi fare un viaggio, dove andresti? A New York. Se potessi incontrare te stessa da piccola cosa le diresti? Non nasconderti più. Parla, non isolarti. Il tuo motto? Vivi ogni giorno come se fosse l’ulti- mo.• Qual è la cosa che ti mancherà quan- do uscirai? E perché? Il lavoro che sto facendo e il rapporto con le ragazze. Sono entrambe delle passioni per me. La prima cosa che hai riscoperto in Comunità? L’assenza di giudizio e il fatto che nes- suno ti chiede niente in cambio per quello che fa per te. Cosa significa per te “Tempo speso bene”? Quando faccio le cose dando il mas- simo. Qual è la prima persona che vorresti vedere o sentire, appena uscirai da San Patrignano? I miei figli. Cosa puoi fare più di quello che fai oggi, per essere migliore?
  • 27. 25 Risponde Giovanni, coltivazioni ual è la tua canzone preferi- ta? Non ne ho una sola...!! Quando eri piccolo come ti immagi- navi di essere da grande? Uno studioso. Qual è il tuo piatto preferito? Riso biryani. Come ti immagini tra dieci anni? Non penso al futuro. Vivo il presente. Oggi riesci ad accettarti per quello che sei? Sì. Cosa ti fa stare veramente bene? Spegnere la mente e sentire. Elenca di te tre pregi e tre difetti Pazienza, generosità, empatia/ severi- tà, complicatezza, negatività. Qual è la qualità che preferisci in una persona? La spontaneità. Qual è la cosa che ti manca di più in Comunità e perché? Passeggiare, perché mi fa sentire libe- ro. Qual è la cosa che ti mancherà quan- do uscirai? E perché? Non è più questione di ‘uscire’ o meno. Qui c’è un’intensità di vita che altrove non esiste. La prima cosa che hai riscoperto in Comunità? La lucidità. Cosa significa per te ‘tempo speso bene’? Tempo vissuto. Qual è la prima persona che vorresti vedere o sentire appena uscirai da San Patrignano? I miei zii. Cosa puoi fare di più di quello che fai oggi per essere migliore? Crescere nella consapevolezza. In che cosa ti senti diverso da prima? Ora reagisco. Qual è il tuo ricordo più bello? Non ne ho uno in particolare. Se oggi potessi fare un viaggio, dove andresti? Nella foresta pluviale. Se potessi incontrare te stesso da piccolo cosa gli diresti? Goditi l’età che hai. Il tuo motto? Gli uomini si stringono la propria rete attorno. I leoni (gli uomini della Via) fanno a pezzi la propria gabbia. (Maestro Sufi Sana’i, XII sec.) Quale pensi sia stato il tuo più gran- de problema, nel corso della tua vita? Aver vissuto come se fossi una vittima delle cose.• Ora reagisco Q
  • 28. 26 dipende da noi Mai più senza dimora Niente senzatetto entro il 2030. È l’obiettivo della rete europea “Housing First”. Alla base del piano di azione un nuovo approccio: inutile portare cibo e coperte, il primo intervento deve essere l’offerta di un alloggio mpegnata in tutta Europa nell’offerta di percorsi di in- clusione per clochard, la rete “Housing First” si è rafforza- ta anche in Italia, dove forte dei ri- sultati raggiunti con i primi progetti avviati in alcune città, ha lanciato un manifesto in sette punti che segna la via per risolvere la condizione di migliaia di senzatetto nel prossimo decennio. Promosso in Italia dalla Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, il network Housing First Italia (NHFI) è una rete di organizzazioni pubbliche e priva- te che da anni lavorano nel settore della Homelessness e che dal 2014 portano avanti progetti abitativi per persone senza dimora, investendo risorse, professionisti e competen- ze in un approccio che si allontana dal classico assistenzialismo offerto ai senzatetto nel corso dell’ultimo secolo. Nata negli Usa ma ormai diffusa an- che nei paesi europei, specialmente in Finlandia con ottimi risultati, la pratica Housing First capovolge il percorso per decenni proposto nel sostegno ai senza fissa dimora. Se prima infatti la casa veniva offerta al termine di un percorso di inclusio- ne sociale che passava da diverse fasi di assistenzialismo tra dormi- torio, ricerca del lavoro e gruppi di sostengo, nell’approccio Housing First la casa viene garantita prima di tutto, come primo aggancio e come I a cura di Cristina Lonigro
  • 29. 27 principale strumento per sostene- re l’inserimento nella società. Con Housing First l’inserimento abitativo è quindi immediato e non legato a trattamenti terapeutici o inserimenti lavorativi. I risultati dei progetti lanciati negli scorsi anni sembrano dare ragio- ne al nuovo approccio. Con questo schema la Finlandia che è riuscita a ridurre drasticamente il numero de- gli homeless e secondo Samara Jo- nes, coordinatrice dell’Housing First Europe Hub, Housing First è l’unico approccio basato sull’evidenza che ha dimostrato di aiutare gli utenti dei servizi a mantenere con successo i loro affitti nel 70-90 per cento dei casi. Anche i primi esperimenti com- piuti in Italia sono incoraggianti. Tra 2017 e 2019 la rete di organizzazioni per l’Housing First ha accolto 420 persone: nove su dieci hanno man- tenuto la casa e il 23 per cento ha raggiunto una completa autonomia. L’immediata offerta dell’alloggio è sicuramente la chiave del metodo, che consente di raggiungere più facilmente e motivare le persone in difficoltà. I responsabili dei progetti hanno infatti evidenziato come mol- ti dei clochard che non accettavano le tradizionali forme di assistenza, dal the caldo alle coperte distribu- ite la sera o l’offerta di un posto in dormitorio, di fronte alla proposta di un alloggio privato accettano di es- sere aiutati. È quanto riportato an- che dagli operatori di Bologna, dove questa pratica innovativa viene spe- rimentata dal 2012 dalla cooperativa Piazza grande. Un metodo efficace che oggi po- trebbe riuscire a fare la differenza grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che destina infatti 450 milioni di euro per assi- stere almeno 25mila persone senza dimora per almeno sei mesi entro il 2026. Un obiettivo raggiungibile se- condo la Federazione lavorando su due fronti: da un lato la costruzio- ne di centri di assistenza con servizi importanti come quelli sanitari, di ristorazione, distribuzione postale, mediazione culturale, consulenza, orientamento al lavoro, consulenza legale, distribuzione di beni, dall’al- tro proprio l’Housing First, per il quale sarebbero previsti duecento- cinquanta interventi.
  • 30. 28 dipende da noi testo di Federico Tossani importantissimo spiegare bene a chi visita questo posto il senso profondo dietro a ogni cosa. A San Patrignano è tutto bello, tutti sorridono e si abbracciano, eppure siamo qui a lottare ogni giorno contro le parano- ie, la sofferenza. Non è facile da realizzare, figurati trasmetterlo a dei ragazzi di sedici anni. Quello che faccio io è raccontare chi sono e quello che sto vivendo in questo luogo, che per me è magico». Da poco più di tre anni Daniele fa parte del settore ospitalità. Entrato a diciannove anni, a fine percorso è ancora molto giova- ne. Come altri ragazzi di San Patrignano ha avuto un’opportunità particolare e impor- tante: collabora con il progetto di preven- zione WeFree, il suo compito è quello di accompagnare a San Patrignano i ragazzi delle scuole, per conoscere questa realtà. Un compito che è stato per lui una grande responsabilità e uno strumento di crescita personale. «I ragazzi che incontro sono poco più pic- coli di me, mi ascoltano molto quando li accompagno e mi fanno sempre tante do- mande. È importante raccontare la quo- tidianità di Sanpa, la gente non sa come funziona questo posto, molte persone mi hanno detto che dopo la visita hanno Il contatto con la sofferenza e la rinascita ma anche l’opportunità di uno scambio alla pari basato sui racconti, su episodi di vita. Un dialogo tra i ragazzi di San Patrignano e gli studenti delle scuole che, spesso, porta a nuovi punti di vista e sviluppi sorprendenti Attraverso le nostre storie È
  • 31. 29 cambiato totalmente opinione, sia rispetto alla Comunità che ad alcu- ne dinamiche che non riguardano solo la tossicodipendenza ma la vita in generale. Questo mi ha dato una grande carica, mi ha fatto anche credere di più in me stesso. Since- ramente – spiega Daniele – io non sono qui a dare consigli o a fare la morale, io parlo di me, della mia sto- ria, di come sono finito qui. È sem- pre così che racconto San Patrigna- no, attraverso quello che ho vissuto e quello che ha dato a me questo posto. Dopo aver mangiato tutti in- sieme nella grande sala da pranzo si va tutti nel teatro per fare un dibat- tito basato proprio sulle nostre sto- rie. Per me quello è il momento più emozionante». Le visite delle scuole sono svolte nell’ambito del progetto di preven- zione WeFree. La giornata è strut- turata in due momenti: la mattina si visitano i settori formativi, raccon- tati dagli stessi ragazzi, mentre nel pomeriggio si svolge un’attività di prevenzione assieme ai ragazzi del- la Comunità che, attraverso le loro storie, spiegano come siano arrivati in Comunità e il lavoro che svolgo- no ogni giorno per tornare a vivere davvero. «È stato difficile per me entrare in Comunità a 19 anni. Ero arrabbiato con il mondo e i primi tempi non pensavo nemmeno di aver bisogno di una mano. Solo con il tempo ho capito l’importanza del lavoro che dovevo fare su me stesso, sul mio carattere e sulle mie emozioni. Fin da piccolo – racconta – mi sono sempre sentito meno degli altri, sfi- gato, brutto. La droga e gli atteg- giamenti erano delle scorciatoie e delle ‘maschere’ che ho indossato per sopravvivere, anche se poi ho rischiato grosso. A San Patrignano, attraverso il rapporto con gli altri e il lavoro quotidiano, ho imparato ad accettarmi, o meglio a valorizzarmi. Ho imparato a chiedere una mano, a prendermi delle responsabilità. Rac- contando quello che ho vissuto pen- so di trasmettere bene l’importanza che ho dato a questo posto, che per me è magico e terribile. Dove sono stato male come un cane, poi ho ri- trovato me stesso. Quest’opportu- nità mi ha fatto capire tante cose, sia del mio percorso a Sanpa che di quello della mia vita, cioè del per- ché ho deciso di fare quelle scelte. Magari raccontandolo attraverso la mia storia, qualcuno di questi ragaz- zi sceglierà un’altra strada, dicendo proprio “io vado dall’altra parte”». A questo punto abbiamo chiesto a Daniele che consiglio avrebbe dato al “se stesso” all'età di sedici anni. «Eh, ero una bella testa calda! – esclama ridendo – Diciamo che gli parlerei di me, delle scelte che ho fatto. Gli direi di parlare con le per- sone che gli stanno vicino, perché non è vero che non ti capisce nes- suno, non è vero che i problemi che pensi di avere ce li hai solo tu anzi, li hanno altre persone molto simili ai tuoi se non uguali, quindi parlane, parlane tanto. Che a fidarsi a volte ci si fa male, ma stare da solo è peg- gio. Vivendo con chi ti vuole bene invece, si riesce ad affrontare qualsi- asi cosa. E soprattutto è bellissimo. È una cosa che non ha prezzo». Ero arrabbiato con il mondo e i primi tempi non pensavo nemmeno di aver bisogno di una mano. Solo con il tempo ho capito l’importanza del lavoro che dovevo fare su me stesso, sul mio carattere e sulle mie emozioni
  • 32. 30 dipendenze testo di Lorenzo Stella Cannabis, Mentre infuriano le polemiche sulla legge, la Relazione al Parlamento fornisce i nuovi dati sulla percezione e sul consumo di questa sostanza, che si conferma la più diffusa in ambito giovanile. Centomila gli adolescenti a rischio a “Relazione Annuale al Parlamento sul Fenomeno delle Tossicodipendenze in Italia” del 2022 contie- ne i dati dello studio ESPAD®Italia rilevati nel 2021, che confermano la cannabis come sostanza mag- giormente consumata dai giovanissimi. Nello scorso anno, il 23,7% degli studenti tra i 15 e i 19 anni riferisce di averla consumata almeno una volta nella vita, il 17,7% di averlo fat- to nell’ultimo anno e il 10,2% nell’ultimo mese. Inoltre, il 2,5% degli studenti riporta un utilizzo per 20 o più volte nel mese antecedente. In generale, il consumo cresce con l’età (dal 4,9% dei 15enni al 26,8% dei 19enni) e sono soprattutto i maschi ad esserne coinvolti. Tra gli studenti che hanno consumato cannabis nella pro- pria vita, l’età di prima assunzione è soprattutto quella tra i 15 e i 16 anni (51,7%), ma circa un terzo l’ha provata prima dei 14 (31,4%). Tra coloro che ne hanno consumato nel 2021, la maggioranza (il 59,7%) lo ha fatto meno di 10 volte, oltre un quarto del campione ne ha fatto però uso in 20 o più oc- casioni, sempre con percentuali più alte tra i ragazzi. Inoltre, quasi uno su dieci dei consumatori ha assunto almeno un’al- tra sostanza illegale. Infine, circa un terzo degli studenti che ha usato cannabis nel 2021 lo fa abitualmente in compagnia. L In sintesi, si tratta di un consumo dif- fuso, di frequenza varia, prevalente- mente maschile e “sociale”, con una quota non irrilevante di poliassun- zione. Ma anche “low cost”. Tra gli studenti che hanno consumato tale sostanza nel mese antecedente, in- fatti, la maggior parte dichiara di non avere speso nulla (40,9%), anche se quasi un quarto ha speso più di 30 euro. Tra questi ultimi ragazzi, qua- si la metà ha utilizzato abitualmente cannabis con gli amici, percentuale che raggiunge il 90,2% tra chi ne ha fatto uso per almeno 20 volte nell’ul- timo mese. La “canna” è insomma un modo per stare assieme, un modo “facile” in tutti i sensi. Quasi un ter- zo degli studenti non ha infatti alcun problema a reperirla, quota che cre- sce al 69,3% tra chi ne ha consumato nel corso del 2021. i dati e il dibattito
  • 33. 31 I luoghi dove procurarsene? In stra- da (64,4%), presso uno spacciatore (60,3%) e a casa di amici (39,9%). Ben il 72,6% degli adolescenti affer- ma di conoscere un posto dove po- trebbe trovarla facilmente: la mag- gior parte si rivolgerebbe al mercato della strada e presso uno spacciato- re, senza differenze di genere. Le ra- gazze affermano in percentuale su- periore di poter reperire la sostanza a casa di amici (44,9%; M=36,1%) e in discoteca (21,9%; M=18,5%), mentre i maschi indicano in quota superiore la scuola (23,5%; F=20,8%), manife- stazioni pubbliche come i concerti (17,1%; F=14,5%) e ricorrerebbero a Internet (13,6%; F=8,5%). Tanta apparente disinvoltura stri- de però con un altro dato: il rischio associato al consumo non è del tut- to ignorato dagli studenti che, con percentuali diverse fino al 49,1%, ri- tengono sia molto o abbastanza ri- schioso utilizzare cannabis. Tra i non consumatori la percentuale dei con- sapevoli sale fino al 55,5%. La perico- losità della sostanza è percepita ma non basta a mantenere la distanza: circa 102.000 studenti italiani hanno dichiarato un uso di cannabis defini- bile “a rischio” nel 2021, cioè il 22,3% di coloro che l’hanno consumata almeno una volta nell’anno. Tale sti- ma è stata effettuata mediante il test Cannabis Abuse Screening Test (CAST), un questionario validato e standardizzato dall’European Mo- nitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA) al fine di indi- viduare gli adolescenti che potreb- bero necessitare di sostegno proprio per problemi relazionali causati dal consumo della sostanza o per la dif- Secondo l’ultima rilevazione del 2021, il 23,7% degli studenti (613mila ragazzi), ha riferito uso di cannabis almeno una volta nella vita (M=26,5%; F=20,9%); il 17,7%, 458mila 15-19enni, l’ha usata nel corso dell’ultimo anno (M=20%; F=15,4%); 264mila ragazzi (10,2%) l’hanno utilizzata durante i 30 giorni precedenti lo studio (M=11,9%; F=8,5%). Gli studenti che riferiscono un uso frequente nel mese antecedente la compilazione del questionario, ossia 20 o più volte, sono 64mila, pari al 2,5% (M=3,5%; F=1,4%). (Fonte Cnr-Ifc, Istituto di fisiologia clinica)
  • 34. 32 dipendenze La Relazione ficoltà di smettere o ridurne l’uso. Questa quota è abbastanza stabi- le dal 2013 e interessa soprattutto maschi (24,9% contro il 18,9% delle studentesse). Fra questi studen- ti bisognosi di supporto si trova, comprensibilmente, la percentua- le maggiore di quanti affermano di procurarsi facilmente la cannabis (82,9%) e di consumarne frequente- mente (49,7%). Questi adolescenti si caratterizzano purtroppo anche per un maggiore consumo di sostanze legali: bevono alcolici tutti i giorni o quasi, nel corso dell’ultimo mese hanno praticato binge drinking e si sono ubriacati; sono forti fumatori, con almeno 11 sigarette al giorno nel corso dell’ultimo anno, e hanno utiliz- zato psicofarmaci senza prescrizio- ne medica nel mese antecedente la compilazione del questionario. Tutti questi comportamenti sono riferiti sempre in quota superiore rispetto ai consumatori “non a rischio”. Gli studenti con un profilo di con- sumo di cannabis “a rischio” si ca- ratterizzano inoltre per mettere in atto comportamenti a rischio dopo l’assunzione di sostanze psicoattive: danneggiamenti, scommesse d’az- zardo, spese abituali senza il control- lo dei genitori (45 euro la settimana) e guida di mezzi propri (o passaggi su mezzi altrui con conducenti sot- to alterazione). Questi giovanissimi consumatori hanno avuto problemi con le Forze dell’Ordine, i genitori, gli amici e gli insegnanti; hanno rapporti sessuali non protetti; sono stati coin- volti in risse e seria maltrattamenti a qualcuno; hanno perso tre giorni di scuola negli ultimi 30 senza motivo. Anche la spesa di denaro per l’acqui- sto della sostanza nell’ultimo mese distingue i due gruppi di consuma- tori: tra quelli “non a rischio” il 70,3% (contro il 24,6%) non ha speso nulla, mentre tra quelli “a rischio” il 17,3% ha speso da 11 a 30 euro (contro 7,9%) e il 43,4% li ha superati (contro il 6,1%). Infine, l’abitudine di consumare la sostanza in compagnia degli amici è riferita maggiormente dai consuma- tori “a rischio” (76,1% contro 24,9%) e tra chi la riferisce il 58,5% dice di farlo quasi ogni giorno (contro il 17,6%). Un quadro senza dubbio allarmante. Vi sono però alcune caratteristiche che possono essere considerate in un certo senso “protettive” rispetto al consumo di cannabis “a rischio”, come l’essere soddisfatti di se stes- si e del rapporto con gli altri, avere genitori che sanno con chi e dove i figli trascorrono il sabato sera e che li fanno sentire sostenuti affettiva- mente; pratica settimanale di attivi- tà sportive, hobby e un buon rendi- mento scolastico. L a ministra per le Politiche Giovanili, Fabiana Dadone, ha trasmesso la Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia: frutto del lavoro di coordinamento del Dipartimento per le Politiche Antidroga, si compone di 7 parti in 10 capitoli. La Relazione tratta de: il mercato delle sostanze, i dati sui sequestri, sulle variazioni di prezzo e sulle analisi delle sostanze sequestrate, le strategie mirate alla riduzione dell'offerta e le denunce penali per i reati droga-correlati, la diffusione e le tendenze di consumo nella popolazione, le attività di prevenzione, i servizi di trattamento delle persone dipendenti, i danni correlati al consumo, le attività promosse dal Dipartimento e i lavori della VI Conferenza Nazionale sulle Dipendenze. Il Dipartimento ha l'ausilio dell'Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr. Il trend degli ultimi 20 anni evidenzia, dopo un calo delle prevalenze sino al 2011, una ripresa e una sostanziale stabilizzazione dal 2015 sino al 2020, anno nel quale si è rilevata una flessione probabilmente legata alla pandemia e alla metodologia utilizzata. Nel 2021 si è osservata una generale diminuzione per i consumi nella vita e nell’anno, torna invece a salire il consumo nel mese o frequente