2. Novembre06
SOMMARIO
FREE, PAY, DEATH
Epolis e il giornalismo del futuro, in cerca d'autore
WAR OF WORDS: CONTESTOTOMIA
5
8
9
11
15
17
21
24
29
31
35
38
39
QUESTO NUMERO E’
STATO ARRESTATO,
PROCESSATO E
GIUDICATO COLPEVOLE:
SECONDINI
Francesco, Eugenio,
Giovanni
PERQUISE
Graziano Nani, Simone
Sbarbati, Benedetta
Raucci, Matteo Segni,
Edyta Dworak, Valeria
You, Alberto Puliafito e
Alberto Proietti
INTERCETTAZIONI
Laura Purple Palio e
Zite Zipel, con
Costanza, Marco e
Alessandro
AVVOCATI
Tutti i blogger di Blogo
PERIZIE GRAFOLOGICHE
DI COPERTINA
Camilla Porlezza (close
up, Internet point, NYC)
SERVIZI DEVIATI
Laurina, Federico,
Giaime, Roberta,
Francesca, Ciccina no,
Nero,
Perestrello&Pigneto
Crew, Climberz,
Bologna, Porseo,
Alfabecco
FALSARI
Gli pseudonimi che
infestano ogni dove
CORTE D’APPELLO
MarcelloP, MissBubs
GIURIA
I lettori e i
commentatori di Blogo
Permalink n.2 Novembre 2006
WAG MAGAZINE
Un universo di magazine indipendenti che si rivela al mondo
POLONIA NOUVELLE VAGUE
TEREKURA
Giappone anni ‘90: sesso random nei telephone club
ENTRARE SU MY SPACE... E USCIRNE
Il social network più famoso del mondo ormai è fuori controllo
LE PERVERSIONI DI CARTA
di Giovanni De Stefano
LIMITE A ZERO
Macchine, uomini e altre prossimità...
WIKIPOESIA
Un esperimento riuscito di creazione poetica collaborativa
IN CERCA DELL’AURA
La vita quotidiana, oltre l'arte ai tempi della sua riproducibilità tecnica
BLOGO IN LIBRERIA
A spasso tra gli scaffali con una torma di blogger scatenati
I FLICKERISMI MESSICANI DI VALERIA YOU
L’OROSCOPO DI MALAPARTE
3. LA POSTA
INBOX
Quest’oggi è Autoblog a fare gli
onori di casa: conosceremo
Smartista, animatore della
principale community di
autopartiti in Italia.
Smartista
Essenza del pregio, vive
una vita pettinata anche se
poco ordinata. Condivide la
sua passione house con la
cumpa e gli amici del blog.
Permalink n.2 Novembre 2006 2
Meglio un lurker o un troll? La
vita del community manager è
bella quando le mail alla
redazione arrivano da uno come
Smartista!
Ciao Moderators di Autoblog,
innanzitutto mi dovete scusare se ogni
tanto sono un po' indisciplinato sul
blog, ma tutti sembra ke ce l'hanno
con me e mi danno contro. Cmq nn
insulto + nessuno, grazie x nn
bannarmi +. Poi voglio dire ke il
vostro blog è molto divertente, perkè è
semplice e immediato da capire:
complimenti zii!!!! Io ho votato x voi
nel sondaggio del blog + bello!!!!
Smartista, in gergo Kobro,
spedisce le foto della sua Smart
Fortwo BRABUS, piuttosto nota
tra i lettori di Autoblog, e dice:
Vi descrivo un attimo la mia pikkola:
è una BRABUS leggermente
elaborata, ha 90/95 cavalli. Una
volta cn lei ho fatto i 160 all'ora. In
città nn ce n'è x nessuno: sguscio da
tutte le parti cn il massimo style e
savoir fair, e parkeggio dove voglio.
Ha i vetri fumè, 1 nuovo impianto hi-
fi (ke sembra fatto apposta x la
musica house), il doppio scariko
Brabus, il logo Brabus sul tappo della
benza. Poi ho i cerki Brabus da 17
pollici cn le ruote + larghe dietro per
sopportare la potenza. La pikkola ha
il turbo e la trazione posteriore: nn
dico ke può andare forte come
un'Audi S3, xrò nel suo piccolo
spakka. Tutti diranno ke nn ho la
maskerina originale: lo so, l'ho rotta
in 1 incidente e ci ho fatto montare
quella normale (x nn farmi sgamare
dai miei); sto aspettando quella
originale dal concessionario.
Davanti ad un simile atto
d’amore, Autoblog non ha
potuto esimersi da un’intervista,
piccola ma densa di passione e
vitalità sconclusionata..
Ciao Zio,
grazie per la email, complimenti
ancora per il sito e grazzissime ancora
per aver pubblikato la mia pikkola.
E' un'intervista questa? Grazie
allora, sono contento ke posso dire la
mia e rispondo a tutte le domande:
1. Autoblog.. nn mi ricordo + come
l'ho scoperto, forse cercavo in Google
qualke club dedicato alla Smartina o
alla Brabus e sono capitato lì..
Autoblog x me è un divertimento:
ammetto ek nn mi intendo molto di
motori, xrò amo la mia Smart e mi
piace prendere parte a tutti i ommenti,
ke molte volte sono molto accesi e
combattuti. Mi fanno ridere tutti i
wannabee ke si scannano per le
makkine italiane/tedeske, soprattutto
gli alfisti vs gli audisti e i fiattisti
contro i vwisti. Io nn mi skiero, x
carità, e provoko qua e là.. ahahah
2. Io vado in uny (allo Iulm) ma nn
frequento, quindi quando sono a casa
a fare nulla (quindi quasi sempre
eheh) ho sempre il computer acceso, su
msn/Skype e ovviamente Autoblog.
Certe volte passo gli interi pomeriggi
attaccato a commentare gli articoli..
in camera mia, magari rimango in
pijama fino a pranzo, ke vita house..
devo fare 1 po' di sport sennò
m'ingrasso...
3. Quando mi insultano la pikkola
Brabussina un po' mi scaldo, ma
tanto lo so ke tutti hanno invidia, e
quindi dopo un po' mi diverto a
provocare. Credo ke a tutti rosiki ke
una makkina piccolina come la mia
possa andare così veloce.
4. La mia Brabussina ha un ruolo
fondamentale nella mia vita sociale e
sentimentale... quante storye legate a
lei.. quando esco di sera cn lei sono
sicuro (e pure i miei cumpa lo sono)
ke sarà una gran-serata. Cn lei tutte
le porte dei locali fashion sono sempre
aperte: i gorilla ormai mi conoscono
e mi stimano, e mi fanno parkeggiare
davanti al locale.. ke storya poi
quando mi vedono scendere... tutte le
tipe (ke io kiamo shampiste)
impazziscono!!! La mia ex amava la
mia pikkola.
Ciao zio, HOUSE ET STYLE
FOR ME AND FORTWO!
Smartista
++++++++++++++++++
Come dice Filippo: “La vita è
proprio bella... grazie di esistere
Smartista!”
4. FORME DEL COMUNICARE
Pay&press apolidi, profezie e
incognite: il giornalismo del
futuro è in cerca d'autore.
di Eugenio Orsi
L'Economist è
un settimanale
talmente
autorevole, in
Europa, che
neppure al nostro ex-premier
Berlusconi riusciva di ignorarne
le posizioni - dato notevole,
considerando che non si è
trattato spesso di posizioni
propriamente a suo favore. E se
l'Economist titola con una
profezia del tipo "i giornali
moriranno nel 2043" (servizio di
copertina, ultima settimana di
agosto), non è detto che ciò sia
vero, ma è certo che tutti ne
parleranno a lungo.
Così, nelle redazioni dei
quotidiani e riviste che, dal
canto loro, desiderino
sopravvivere al 2043, le
polemiche e i "si salvi chi può"
si sono sprecati. Ma la domanda
è rimasta intatta: nel prossimo
futuro si prepara una crisi tanto
nera per i quotidiani? Davvero,
nelle edicole, non troveremo più
giganti come La Repubblica, Il
Corriere, il Sole 24 Ore e il New
York Times? E' presto per dirlo,
ma è chiaro che una morsa sta
stringendo il mercato: Internet,
da un lato, e stampa gratuita
dall'altro. L'enorme forza della
Grande Rete è un fatto ormai
assodato (per il 2007 è previsto
uno storico sorpasso della
pubblicità online sulla
televisione, almeno sul
fondamentale mercato
anglosassone), mentre sono un
po' meno chiari e scontati i
segni di fibrillazione che
provengono dalla galassia dei
freepress, il cui potenziale non è
ancora del tutto chiaro.
Prendendo il caso italiano,
EugenioOrsi
Sogna di fare un
documentario sul
funanbolismo, mentre
impara a fumare la pipa.
Per il resto setaccia le
strade di Roma per conto
di 06blog, tra baracchini,
monumenti dimenticati e
truffatori da quattro soldi
Permalink n.2 Novembre 2006 3
quando nel 2000 venne
distribuita a Milano la prima
copia di Metro, si avvertì in un
primo momento un certo,
malcelato, spauracchio; ma poi
tutti si calmarono, perché si capì
in fretta che nel nuovo millennio
la "quality press" non avrebbe
accusato il colpo dai neo-
giornali, distribuiti a piene mani
davanti alle fermate dei tram. Re
e principi di Rcs ed Espresso
tornarono a dormire sonni
tranquilli, con questo pensiero:
la freepress allarga
semplicemente il bacino di
lettori, in una fascia dove prima
lettori non c'erano. Chi sfogliava
Metro (e, in seguito, City e
Leggo) lo faceva per ingannare
15 minuti e 4 fermate di
metropolitana: nel caso in cui
non fosse stato già lettore di
Repubblica, non l'avrebbe letta
comunque, dopo; e, nel caso
FREE,
PAY,
DEATH
5. contrario, sarebbe passato come
sempre in edicola, con 90
centesimi alla mano. La stampa
era salva.
Quello che invece non era
chiaro - nei primi anni 2000 - è
che i freepress come Metro (il
gigante svedese), City (gruppo
Rcs) o Leggo (gruppo
Messaggero-Caltagirone), non
appartengono che ad una prima
generazione di stampa gratuita.
Un modello redditizio, ma in
fondo innocuo. L'epopea della
lotta fra qualità, gratuità e la
loro possibile convivenza, non è
affatto conclusa.
Il quality-establishment dovrà
ora confrontarsi con la free
press di seconda generazione
(negli Stati Uniti sono già
arrivati alla terza), che in Italia è
appena nato con il pay & press
di Epolis. La formula di
distribuzione e la tipologia dei
contenuti in questo caso sono
pensati con uno scopo preciso:
puntare dritto alla stampa
mainstream; starle dietro,
sottrarle lettori, mercato,
investimenti pubblicitari. E,
certo, Sole 24 Ore e Corriere
hanno smesso di stare a
guardare e si sono buttati in uno
spazio ancora aperto: quello dei
freepress pomeridiani. Il
Corriere con un tabloid che
anticipa le notizie dell'indomani;
il Sole grazie un prodotto
generalista, con un occhio di
riguardo per i temi economici.
Nemmeno Repubblica sta a
guardare, e non è un mistero
che stia preparandosi al lancio.
Non so dire se la crisi di vendite
che attraversano i vecchi media
sia strutturale, e se la gratuità
(con l'inquietante incognita della
perdita di qualità) sia veramente
ciò che ci aspetta. Ma fra queste
febbricitanti novità e rincorse ho
provato almeno a porre un
primo punto fermo, cercando di
capire il funzionamento di
questo nuovo e misterioso
Epolis. Ha fatto notizia, a
settembre, per essere uscito
contemporaneamente a Roma e
Milano (ma era già presente in
molte città più piccole del nord
Italia), e perché si è presentato
con l'originale formula del pay
& press: lo si regala nei bar, ma
lo si compra pure, a 50
centesimi, in edicola.
Ho scambiato due chiacchiere e
qualche cappuccino con quello
che credevo essere il
caporedattore romano, Fabio
Albertelli. Ma già su questo mi
sbagliavo: il caporedattore di
Roma non sta a Roma, ma a
Cagliari, in Sardegna, sede
centrale di tutta Epolis.
DDuunnqquuee lleeii nnoonn èè iill
ccaappoorreeddaattttoorree ee aannzzii nnoonn cc''èè
nneemmmmeennoo uunnaa rreeddaazziioonnee nnee'' aa
RRoommaa,, nnee'' aa MMiillaannoo,, cchhee
iinnvveeccee èè aa CCaagglliiaarrii.. IInnssoolliittoo
ppeerr ddeeii qquuoottiiddiiaannii llooccaallii......
Sono giornalista invitato, infatti. Ci
riuniamo in teleconferenza con il desk
di Cagliari la mattina con il viva
voce, si fa il punto della situazione e
via, si parte per la giornata di lavoro.
Per quanto riguarda i numeri a
Roma lavorano 6 giornalisti full time
più tutti i collaboratori. I giornalisti
sono molto giovani, con una media di
26 anni.
TTeelleellaavvoorroo......
Certo, è una formula che supera la
TheVanishing
Newspaper
L'Economist ha rilanciato e
accreditato la teoria sulla
fine del giornalismo di
Philip Meyer.
Permalink n.2 Novembre 2006 4
vita di redazione, luoghi dove si crea
un'abitudine mentale a lavorare
troppo con i lanci della agenzie di
stampa. Con questa formula il
giornalista può anche impaginare il
proprio pezzo, usando la gabbia
prescelta. Una volta salvata, il desk
lo licenzia ed è pronto per la stampa.
CCeerrttoo cchhee ssaarràà uunn bbeell
rriissppaarrmmiioo ppeerr ll''eeddiittoorree..
Il telelavoro non è stato scelto come
opzione di risparmio. E' una scelta
forte, mettersi in redazione significa
spesso sedersi, investire sul telelavoro
significa investire maggiormente sulla
professionalità dei giornalisti. Non
sono certo i costi di una redazione a
fare la differenza. Il giornalista in
questo modo ha le antenne accese 24
ore, non si spegne quando esce dalla
redazione. C'è chi lo chiama
Metro, City e Leggo sono la
prima generazione di stampa
gratuita. Un modello redditizio,
ma in fondo innocuo...
FORME DEL COMUNICARE
6. Permalink n.2 Novembre 2006 5
sfruttamento, questione di punti di
vista... E poi il telelavoro ha rimesso i
giornalisti per la strada, a contatto
con il territorio.
UUnn tteerrrriittoorriioo cchhee aa vvooii
iinntteerreessssaa ppaarrttiiccoollaarrmmeennttee.. LLaa
ccrroonnaaccaa llooccaallee sseemmbbrraa eesssseerree iill
vvoossttrroo oobbiieettttiivvoo pprriinncciippaallee..
Sì, noi siamo, o almeno veniamo
percepiti, come un giornale che dà voce
alla provincia. Il maggior successo di
Epolis a Roma è fuori dalle mura,
siamo un giornale che dà voce alla
periferia. Riusciamo ad arrivare ad
un 70/80% di produzione propria.
La free press di seconda generazione
innesta un processo di fidelizzazione
simile da un giornale tradizionale.
Riceviamo e curiamo tantissima
corrispondenza, i lettori intervengono
commentano, riusciamo ad avere un
rapporto diretto con la gente perché
facciamo cose originali, cerchiamo di
toccare quei temi che i grandi giornali
non toccano più.
L'idea della localizzazione
ovviamente non è nuova, risale ad una
visione di Mattei. Ma è il modo che è
inedito, perchè l'inizativa non viene
calata partendo dal nazionale e
arrivando al locale (con costi enormi),
ma partendo dal locale con
l'ambizione di arrivare al nazionale.
SSìì ssaa cchhee ii ggiioorrnnaallii ddeevvoonnoo
eesssseerree lleettttii nneeggllii aammbbiieennttii
ggiiuussttii ppeerr eesssseerree iinnfflluueennttii,, ee llaa
ffrreeeepprreessss sseemmbbrraa aavveerree ppooccaa
pprreessaa nneeii ssaalloottttii ddeellllaa
ppoolliittiiccaa......
Seguendo molto quanto il territorio, il
Palazzo dovrà occuparsi di noi sempre
di più, Epolis è già entrato nelle
mazzette dei politici. Regione e
Comune si confrontano già con noi.
Abbiamo aperto Epolis seguendo le
controversie delle cartolarizzazioni.
Da questo punto in avanti la
discussione si fa vaga, allusiva.
Fra le righe capisco che Epolis
potrebbe raccogliere il frutto di
tante redazioni locali, e in futuro
diventare un grosso free press di
terza generazione. Non si
sbilancia Fabio Albertelli, questo
caposervizio virtuale, giornalista
sperimentale cresciuto nella
tradizione di quella generazione
che ha imparato il mestiere fra
lo stadio e la cronaca nera
consumando con ortodossia i
"tacchi delle scarpe". Ma una
cosa è però certa e la sa si
capisce dallo stile del suo appeal.
Il 2047 non lo coglierà
impreparato: lui ci sarà con la
sua cravatta pesantemente fuori
moda fin dal 2006, ma avanti.
DagliUsaiFreepress
diterzagenerazione
The Examiner vuole rubare
lettori colti e sofisticati al
Washington Post. La
formula in Italia e? inedita
FORME DEL COMUNICARE
7. TUTORIAL: CONTESTOTOMIA
Permalink n.2 Novembre 2006 6
Imparare la
neolingua, perchè
l’italiano morirà
Ottobre ha visto nascere un
lemma molto particolare, dice
l’inglese Thought Signals.
“Un lettore del blog di David
Pogue sembra aver coniato la
parola Contestotomia. Si usa
quando un'azienda cita
recensioni dei propri prodotti in
maniera selettiva, cambiando il
senso del discorso con
l'omissione del contesto in cui
appariva la frase citata.
di Urbano
Qui l'offesa arrivava da un
manager di Microsoft, che
citava, in una lista di discussione
interna, una recensione di
Internet Explorer.
>Ecco cosa ne dice la gente...
>
>"Se non avete mai usato altro
che Explorer, non riuscirete a
togliervi il sorriso dalle labbra."
>
>-David Pogue, NY Times"
Ed ecco il paragrafo nel
contesto originale:
"Se non avete mai usato altro
che Explorer, non riuscirete a
togliervi il sorriso dalle labbra.
Ma vicino a rivali come Firefox,
Opera e Safari, Internet
Explorer 7 è tutto una rincorsa
e un rappezzo. Alcune delle sue
'nuove' funzionalità sono
disponibili da anni agli utenti
degli altri browser."
Urbano
Docente di bon ton e
grande conoscitore di
neologismi, ha lavorato alla
Gazzetta dello Sport, alla
Settimana Enigmistica e in
passato per Super
Trottolino delle Edizioni
Bianconi di Milano.
8. WAG MAG
EDITORIA DIGITALE WAG MAGAZINE
Freshcut.it ci porta a conoscere
i creativi di Wag, pdf magazine
italiano di arti visive.
ispirazione. Parlo delle webzines
(non chiedete cosa siano mentre
ne state leggendo una): prodotti
editoriali ideati da giovani
creativi con tanta voglia di fare,
che pubblicano ciò che a loro
piace veramente, senza alcun
condizionamento, per farlo
arrivare a quanti più lettori è
possibile.
In questo numero vi parlo di
WAG MAGAZINE, webzine in
formato flash da sfogliare
direttamente online grazie ad un
usatissimo script che permette
di girare i pixel pagina dopo
pagina, proprio come quelle di
carta. WAG è opera di un
gruppo di artisti molto attivi in
diversi campi delle arti visive, e
capitanati da Robert Rebotti,
conosciuto in rete anche con lo
pseudonimo di JackLaMotta e
Luca Marchettoni. A coadiuvarli
ci sono, tra gli altri, personaggi
del livello di Valentina
Cameranesi e Mimmo Manes.
Un bel gruppo di big per
quanto riguarda l'arte in rete,
dunque, riunitisi per
confezionare un trimestrale di
livello veramente alto.
Arrivato alla sua quarta uscita,
WAG ospita ad ogni numero un
bel gruppo di artisti più o meno
esordienti provenienti da svariati
paesi ed operanti in vari settori
della comunicazione visiva e
della letteratura. In questo caso i
testi sono in inglese, per
raggiungere un numero
potenziale di lettori il più alto
possibile: una politica che ha
dato i suoi frutti, visto che ad
ogni nuovo numero ecco
apparire il marchio WAG (che
ha uno stile che ricorda un po' il
logo di una vecchia automobile
made in USA o di un frigorifero
anni '50) sui blog e i siti della
design community di mezzo
mondo. Interessato a saperne di
più, anche e soprattutto perché
il mondo delle webzines è ormai
iil mio passatempo principale,
ho raggiunto la redazione di
WAG via mail con un po' di
domande.
La prima cosa che ho scoperto è
che quella di WAG è una delle
redazioni più efficienti che abbia
mai visto: qualche decina di
minuti dopo aver inviato la mail,
eccomi arrivare il reply. Il tempo
SimoneSbarbati
Etnologo dell’editoria
indipendente, è la nostra
guida nei perversi meandri
di Macromedia e Adobe.
Permalink n.2 Novembre 2006 7
mmaginate di
essere all'edicola:
curiosate tra le
copertine, ne
adocchiate una e
iniziate a sfogliarla. E dentro,
incredibile, non ci sono
pubblicità, e nemmeno titoli
scritti a caratteri cubitali solo per
attirare la vostra attenzione. Al
contrario trovate tante belle
immagini, immagini che non
sembrano voler vendere
alcunché, e pochi testi, solo
quelli che servono, non delle
pagine riempite. Beh, se di
riviste così ne avete trovate...
beati voi! Io no. Almeno non su
carta, a parte qualche raro
esemplare che scompare sempre
dopo il primo numero. E' nelle
maglie della rete che dovete
cercare, di questi tempi, se
volete sfogliare qualcosa di
nuovo, di completamente libero,
oltre che gratuito, e di sicuro
pieno di stimoli e di fonti di
di Simone Sbarbati
9. paper pensate di usare
strumenti tipo Lulu.com?
Certo, ma non solo, anche Miu,
Chiara, Jane e forse anche Lèna!
;-) A parte gli scherzi, al
momento stiamo considerando
varie soluzioni e cercando di
spingere quanto più possibile le
uscite di wag. Valuteremo, di
volta in volta, quando arriverà
l'occasione, che tipo di criterio
adottare.
Progetti per il futuro?
Una Rivoluzione (ma non dirlo
a nessuno!)
Allora, mentre aspettiamo una
rivoluzione targata WAG (e
quindi cool al punto giusto!), vi
segnalo che il prossimo numero
del magazine è previsto per
dicembre e tutti gli artisti sono
invitati a partecipare. Io come
sempre me lo segno in agenda,
con la speranza che prima o poi
arrivino questi benedetti fogli
elettronici così da godermi le
mie webzines preferite anche in
bagno!
EDITORIA DIGITALE WAG MAGAZINE
di leggere ed invio un'altra mail
per ringraziarli. Neanche a dirlo,
pochi secondi dopo mi arriva
'grazie a te!'. Roba che con loro
non vale neanche la pena usare
un instant messenger!!!
Come è nata l'idea di WAG?
Dalla passione per la ricerca di
nuove espressioni e dalla
curiosità di osservare i percorsi
artistici e i passaggi propri degli
autori che seguiamo e
ammiriamo o impariamo a
conoscere. Lo staff, tra editori e
collaboratori, è composto di
alcuni tra i personaggi più attivi
nell'ambito della design
community italiana.
Come e quando avete deciso
di unirvi per produrre WAG?
WAG è nato circa 2 anni fa da
una chiacchierata tra Luca
Marchettoni e Robert Rebotti.
Poi, lungo la strada, amici,
colleghi e supporter si sono
aggiunti per darci una mano.
Come mai non avete scelto il
formato del magazine
puramente grafico,
scegliendodi usare l'inglese?
La scrittura è una forma di
comunicazione che ha a tutti gli
effetti pratiche e approcci visivi
e, in quanto tale, ci piaceva l'idea
che potesse trovare spazio
all'interno del magazine. WAG è
un progetto senza confini,
rivolto a chiunque. Per tale
motivo abbiamo scelto l'inglese:
volenti o nolenti è la lingua
universale che si parla in rete.
Vi siete ispirati ad altri
magazine quando avete
lavorato sul concept di WAG?
Sono molti i magazine che
apprezziamo ma nessuno ci ha
ispirato in modo particolare.
Il sito web di WAG, in
entrambe le versioni, è
comunque molto semplice e
diretto: secondo me trasmette
bene l'idea di un magazine
che si basa sui contenuti
piuttosto che sulla
confezione. Ogni numero è
un mix perfetto di contributi
di artisti conosciuti ed
apprezzati nel loro settore
(vedi Lello Voce, Blu &
Ericailcane, ecc...) e giovani
esordienti. Con che criterio
selezionate i lavori che vi
arrivano in redazione?
Scegliamo ciò che ci convince
maggiormente di volta in volta,
cercando di miscelare i
contenuti per creare l'alchimia
migliore in ogni numero.
Apprezziamo in particolar
modo l'originalità, la freschezza
e la forza espressiva ma teniamo
in considerazione anche la
tecnica ed il valore estetico puro
dei lavori da selezionare.
Sul sito dichiarate la volontà,
prima o poi, di lanciare una
versione su carta di WAG. La
domanda è proprio questa:
che distanza c'è, secondo voi,
a parte l'ovvia differenza di
supporto, tra magazine
digitali e cartacei?
Penso soprattutto ai contenuti,
all'interattività, ecc... La distanza
maggiore, secondo noi, è quella
costituita dalle risorse
economiche e logistiche
impiegate. Un magazine online è
agile, di facile divulgazione,
diretto ed immediato. Un
magazine cartaceo ha una
componente feticista legata al
piacere del tatto, del possesso
fisico del supporto e, se
parliamo di contenuti statici, è
sicuramente il mezzo migliore
da utilizzare. Speriamo di
trovare prima o poi un editore
per supportare una futura
evoluzione cartacea di WAG.
Per l'eventuale versione on
Permalink n.2 Novembre 2006 8
10. PoloniaNouvelleVague
Fra fermenti vitali e finti
talenti precoci creati a tavolino,
la nuova creatività che viene
dal cuore dell'Europa
acendo
riferimento alla
posizione...
geograficamente
centrale della
Polonia in Europa, voglio
presentare il livello della
creativita' nelle nuove
generazioni. Sembra che l'attività
culturale sia molto vitale, e che i
suoi frutti abbiano un carattere
unico, non riferibile a nessun
altro ambito artistico europeo.
Resta il perché di un più stretto
legame tra gli artisti polacchi e
quelli dell'Europa dell'Est; da
ricercarsi nella storia dei Paesi in
questione.
Tuttavia, a differenza degli altri
Paesi in Polonia tutte le
iniziative si svolgono in maniera
istituzionale, molto di piu' che in
Italia, ovviamente. Sarà il clima
che rende meno caldi questi
incontri artistico-culturali (cioè
più ufficiali)?
La creatività in Polonia ha così
una dubbiosa esistenza. In
alcune città, non ci si può
lamentare: per esempio nella
capitale basta un po’ di ...
talento, di eccezionalità e si
possono salire i gradini della
carriera in ogni campo, anche
come giornalista, noto reporter
o copy writer.
Occorrono solamente tre o
quattro certificazioni di
conoscenza della lingua:
naturalmente un perfetto
inglese, il tedesco o il francese,
anche italiano e spagnolo vanno
bene; basteranno due lauree: per
esempio psicologia e sociologia
o economia.
Allora, si sta benissimo a
Warszawa. Ovviamente il più
bello è Krakow, qui succede di
tutto, i teatri più vari e disparati,
spettacoli, iniziative, concerti,
mostre, incontri. Qui, credetemi,
visto che proprio ora mi trovo
nella Biblioteca Jagiellonica di
Cracovia, tutti sono specialisti di
cultura, attori, musicisti,
scrivono qualcosa o hanno
appena pubblicato il loro primo
libro (o un racconto nella rivista,
una poesia – ha sempre il suo
peso); mancano invece gli
spettatori, perché tutti creano.
Degli altri centri culturali
polacchi vi dirò tra un attimo.
Viaggiando cogli occhi della
mente sulla mappa della Polonia,
punto subito su Poznan, città
molto moderna, in molti luoghi
già postmoderna (lo spiegherò),
poi vado a Wroclaw, Katowice,
Krakow, scivolo e cado su
Lublin, dove tutto è un po’
provinciale (e pure pretenzioso).
Poi c’è ancora Rzeszow, ma non
ricordo neanche vagamente
qualcosa di importante là. E' già
finita – bella montagna,
frontiera e amici slavi.
Edyta Dworak
Ha 24 anni da un
giorno, al momento
della stesura di
questo breve profilo.
Laureanda in
Filologia Polacca
all'Universita'
Cattolica di Lublino,
ha tale una passione
per l'Italia, fermo
restando l'amor
patrio, che ha
sintetizzato le sue
cittadinanze nel
nickname dietro cui
spesso si cela: Flawia.
Permalink n.2 Novembre 2006 9
di Edyta Dworak
GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
11. Per le azioni dei polacchi creativi
mi viene subito, "primus inter
pares", Wroclaw, che
ultimamente è un bel nido di
tale Andrzej Burszta, che là ha
fondato un vero rifugio dei
giovani talenti letterari: una casa
editrice e in generale il centro
che dà una certa qualità alla
nostra vita letteraria, animandola
e scuotendola ogni tanto: Biuro
Literackie Port Wroclaw.
Qui hanno posto gli incontri
con gli scrittori (conosciuti o
meno), i concerti dei gruppi
(che in Polonia sono ambiziosi)
– queste feste si chiamano
"festival di poesia". Ma poesia
mista a fagioli, birra, etc, etc. Ci
sono pure le cartoline cogli
scrittori, le t-shirts con i loro
volti – per quelli che non amano
leggere...
Il massimo della creatività è
stata rappresentata dall'inizio nei
corsi per i debuttanti – sognanti
lauro o Laura non di Petrarca,
ma almeno di Marcin Swietlicki,
il più famoso poeta polacco
(vivo, nato nel 1961).
Della precedente generazione
letteraria, che ha debuttato negli
anni '90, nel periodo dei grandi
cambiamenti politici in Polonia,
a parte Swietlicki, non è rimasto
nessuno.
I vecchi autori hanno lasciato un
campo da ricoltivare per creare,
questa volta, delle opere
finalmente significative.
Loro dopo le qualificazioni e
pagando un po’ possono
imparare dai veri poeti come
scrivere, che argomento
scegliere per la poesia, come
intitolare la raccolta. Alla fine –
se hanno imparato bene, il
premio sarà la pubblicazione
delle loro poesie – che fico! É
stata comunque una idea
squisita – anche se ha profanato,
secondo me, un po’ l’arte. I
letterati hanno così un po’ di
soldi, necessari per vivere, però
spesso vengono promossi degli
scrittori non particolarmente
bravi.
Perché in Polonia non si possa
diventare solamente un’artista –
uno dei laureati del concorso di
poesia descritto sopra, mi ha
detto una volta: «Non trovo
lavoro [laureato in filosofia],
parto per l'Inghilterra, quando
torno pubblicherò un libro da
far mancare il fiato». Non credo
proprio.. evidentemente non
potrebbe contare sulla vita
culturale in Europa; anche se si
tengono numerosi festival
internazionali della poesia,
sembra che dappertutto regni
famoso "Slam Poetry".
Proprio un’idea da bestseller –
ecco quello che ci vuole. I lettori
purtroppo non sono per niente
prevedibili. Così si fa un cerchio
– perché in Polonia leggono
Permalink n.2 Novembre 2006 10
pochi, ad alcuni sembra di
leggere e di capirne un po’, lo
stesso vale per la scrittura.
Ancora qualche anno fa i
giovani facevano salti di gioia
quando il loro
libretto–canzoniere veniva
pubblicato (in cento esemplari
dal locale centro culturale), e
tutto finiva lì. Adesso ci sono
più case editrici, soprattutto la
già menzionata Port Wroclaw,
delle riviste letterarie polacche –
che spesso hanno purtroppo
12. GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
Permalink n.2 Novembre 2006 11
esempio fa giuria del premio più
prestigioso in Polonia per gli
artisti, chiamato Nike, e loro
hanno voluto ricordarci il
talento di Maslowska. Loro
hanno deciso di premiare
Maslowska. E noi di nuovo
dobbiamo comprarla, parlarne,
odiarla ed invidiarla.
Qui un’altra conferma della
creatività – i libri di Maslowska
sono stati messi in scena nei
teatri – piuttosto con delle
difficoltà e gran fiasco, ma
sempre più frequenti sono state
le rivisitazioni in spettacoli
normali. Verrà pure fatto un
film dal suo libro, cosa che non
riesco ad immaginare. Si, è una
star che dà da mangiare agli altri.
Nel caso di Maslowska che,
sorridendo con la smorfia alla
Winnie the Pooh, supplica in tv
di non leggerla più, la verità è
che lei ci teneva tanto tanto a
restare scrittrice (le sue prime
prove quando aveva 16 anni).
Allora dovrebbe essere trattata
col rispetto e criticismo adatto
ad una scrittrice, non ad una
sensazionale novità. Sicuramente
lei è stata la prima a far vedere
che si può guadagnare scrivendo
ed essendo giovane. Basta che
lei non cerchi di spiegare i
propri libri. Ha permesso pure
agli altri di imitarla e copiarla –
sia nello stile, sia nei
comportamenti...
La spiegazione della giuria del
premio Nike è stata quella che
pochi soldi per poter funzionare
seriamente (Studium e Ha.art a
Krakow) e il leggendario Pawel
Dunin-Wasowicz o Lampa.
Da poco (o nulla) famoso è
diventato il più grande
specialista della giovane prosa
polacca. Prima cercava
inutilmente di descrivere la
generazione dei letterati nati
dopo gli anni Sessanta, ora è
editore di Dorota Maslowska. E
qui due minuti di silenzio. Per
ritrovare il coraggio di scriverne.
Di Dorota Maslowska come
icona della cultura polacca,
l'eccezionale star – perché star
letteraria, un simbolo della
creatività pura è troppo difficile
scrivere. Lei stessa in questo
momento mi avrebbe guardato
in modo strano e col suo sorriso
furbetto e un po’ incurvato (di
cui non so l'origine) avrebbe
detto: «Non mi dire, oggi io,
domani io, ieri io, no, non era
cosi» (qui una parafrasi del
Diario di Witold Gombrowicz,
dio degli scrittori polacchi,
morto). In Italia è stato pure
pubblicato il suo libro Prendi
tutto, magari lo conosce
qualcuno? In somma: 100 mila
copie del primo libro vendute è
certo buon inizio; soprattuto
quando si ha solamente 19 anni
(lei è nata nel 1983). Dietro la
Maslowska c'è tutta l'ideologia
dei teenager ribelli, dell'eterno
"lasciatemi in pace” che ha
avuto come risultato proprio il
contrario. Perché il suo primo
libro è stato comprato da quasi
tutti – anche il capo di stato. Per
curiosità ovviamente: per
imparare la lingua volgare.
Invece il nuovo libro di
Maslowska, Il pavone della
Regina, pubblicato nel 2005,
non si è impadronito dei cuori
del popolo – ma degli scaffali
nelle librerie. Tutti ne hanno
avuto abbastanza; però per
fortuna da noi esiste ancora
l’elite culturale – che per
Loro hanno deciso di premiare
Maslowska.E noi di nuovo
dobbiamo comprarla, parlarne,
odiarla ed invidiarla.
13. Permalink n.2 Novembre 2006 12
Maslowska ha ridato la libertà
alla lingua, mirando contro la
cultura popolare. La storia,
molto simile, è quella del più
famoso giovane poeta polacco –
Jacek Dehnel, che deve la sua
fama all'indicazione del Nobel
polacco Czeslaw Milosz (morto
da pochi anni).
Anche se molti non credono alle
buone intenzioni di Milosz e nel
suo buon gusto. E come
Maslowska usa una lingua molto
volgare ed in somma banale, lui
cerca di essere un aristocrata
della poesia e della prosa (poco
fa è uscito il suo nuovo libro La
bambola). Tutti hanno scritto
del suo abito elegante, delle sue
capacità (laurea in una facoltà
letteraria). La prova della sua
creatività consiste nel saper
vendersi – nel condurre vari
incontri lirici con se stesso –
come laureato di un noto
premio per la poesia è ben visto
nelle biblioteche o nei centri
culturali dei vari paesi e paesini
in Polonia. Ed infine, non è
volgare, suona bene, sembra
difficile – un vero poeta, magari
l'ultimo poeta polacco.
Ed è anche una delle persone
associate con la "liberatura" o
“liternet” – cioè una specie di
letteratura esistente nell’internet.
Ho già sparlato di persone più
famose in Polonia negli ultimi
tempi. Perché o si è un
personaggio o si sa scegliere un
argomento valido – che decide
se l’arte si venderà e diventerà
popolare. Questa regola viene
confermata dai libri di Slawomir
Shuty (autore di un hipertekst,
un libro creato solo su internet)
e Dawid Kornaga, il copy writer
di Varsavia, l'autore dei racconti
osceni, è considerato dai molti
come un caso particolare
(almeno deviato, consigliato ai
sex shop). L'argomento - pure
molto vendibile - è tutto
sull'ambiente gay (come in
Polonia superficialmente tema
un po' tabù) – come sanno tutti
lettori del “Lubiewo” di Michal
Witkowski.
Io invece ammiro di più i centri
meno commercializzati, che non
cercano solamente i guadagni.
Cercano, invece, di esprimersi
tramite varie attività artistiche,
hanno anche il coraggio di
manifestare il proprio parere o
di contrapporsi alle idee
sbagliate che purtroppo
dobbiamo sopportare nel nostro
paese delle meraviglie. Penso ai
centri della cultura alternativa,
come Rozbrat a Poznan o De
Centrum a Bialystok dove si
organizzano mostre, concerti,
incontri e si può anche essere
ospitati – anche se è meglio
dormire con le scarpe indosso
per non perderle. Sul loro sito si
trovano articoli interessanti
contro la guerra, contro varie
guerre, contro i politici.
Anche se qui devo annotare una
trasformazione – le cerchie
punk o anarchiche spariscono e
non è solamente la morte per la
vecchiaia o per le malattie... La
generazione di oggi – durante la
discussione di qualche anno fa
chiamata “la generazione Nulla
(Generacja Nic)”, è la
generazione della musica hip
hop, che è un po’ più igienica in
paragone col punk, per fatto di
genere e di parere. Bisogna
ammettere che i testi hip hop
non sono cattivi – hanno fatto
uso della realtà condivisa dai
cantanti e dagli ascoltatori –
della noia, della vita vuota in
una città grigia e materialista.
Gli artisti segnalano spesso nei
testi l’amore per musica, la gioia
di cantare, magari grazie a
questo – non essendo del tutto
commerciali riescono a ridare
GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
MarcinSwietlicki
Il poeta polacco piu’
famoso, nato nel 1961.
La generazione Nulla, un po’ più
igienica in paragone col punk.
effetto della sincerità. Qui il
cerchio ritorna alla Regina, in
quanto il libro di Maslowska da
taluni è definito un poema colle
rime, da altri semplicemente un
testo hip hop. Infine: la
creatività non conta quanto il
gusto della popolazione, e così
la vera letteratura rimarrà per
sempre o quasi nei cassetti. E
tra qualcosa che è solamente
scioccante o scioccante perché
cosi buono – di certo sara il
primo ad essere venduto di più.
14. MONDO MISTERIOSO: TEREKURA
Permalink n.2 Novembre 2006 13
Terekura
I telephone club, antesignani
giapponesi delle chat di oggi.
pratiche: i terekura.
I terekura (contrazione di
terehon kurabu “telephone-
club”) sono locali, molto
numerosi nei quartieri a luci
rosse, che offrono al cliente una
minuscola stanza dotata di
telefono. Si paga una tariffa di
circa cinquanta centesimi al
minuto, ci si accomoda nello
stanzino e si aspetta che arrivi
una chiamata. Molte delle
ragazze che praticavano l’enjo
kÿsai adescavano i clienti grazie
a questo servizio: il gestore del
terekura metteva in contatto la
ragazza con l’utente che
aspettava nel cubicolo, i due
chiacchieravano un po’,
informandosi sulla rispettiva età
e eventualmente si davano un
appuntamento da qualche parte.
Il sistema è puttosto ingegnoso:
la ragazza sa che al terekura ci
sarà sempre qualcuno in attesa,
il gestore guadagna sia sulla
telefonata che sul tempo di
attesa (che può allungare a
piacimento evitando di passare
le chiamate), il cliente, chiuso
nel suo stanzino da qualche
parte in un quartiere a luci
rosse, lontano da casa e dal
posto di lavoro si garantisce il
suo riserbo e, se è un
frequentatore abituale del
terekura, è sicuro che il gestore
gli passerà più chiamate
possibile. Naturalmente il
gestore, che dopo lo scoppio del
fenomeno si trova sottoposto a
frequenti controlli di polizia,
avverte entrambi di evitare ogni
riferimento a eventuali
compensi. In questo modo i
telephone clubs, anche se di
fatto, facilitano una forma di
prostituzione, ufficialmente si
limitano a fornire un servizio
simile a quello di una chat-line
senza responsabilità per quello
che succederà fuori dal suo
servizio.
L’espansione dei terekura,
cominciata all’inizio degli anni
novanta, attira l’attenzione dei
media e delle autorità non solo
per il fatto che i locali di questo
tipo costituiscono il mezzo
privilegiato della pratica
dell’enjo kÿsai, o semplicemente
perché sono una delle tante
novità nel gigantesco mercato
MatteoSegni
Torinese di nascita, nutre
un profondo attaccamento
al turista giapponese. Vive
per questo da anni nel
delicato ecosistema della
laguna veneta.
el Giappone degli
anni novanta i
media
cominciano
improvvisamente
ad agitare un nuovo gigantesco
spauracchio mediatico che per
dominerà a lungo gli schermi
televisivi, le pagine dei giornali e
i saggi sociologici: il nuovo
simbolo della presunta
decadenza morale della società
nipponica si chiama enjo kÿsai.
E’ un’espressione difficile da
tradurre. La pubblicistica
anglofona lo rende con la
formula “dating for assistance”,
in Italia qualcuno lo ha tradotto
con “appuntamenti
ricompensati”; si tratta di una
forma inedita e, secondo la
narrativa televisiva, piuttosto
diffusa, di prostituzione
dilettantistica che coinvolge una
clientela solitamente composta
di uomini fra i trenta e i
cinquant’anni e le ragazzine
delle scuole superiori, alla
ricerca di denaro per finanziare
l’acquisto di costosi accessori
firmati Gucci e Prada.
Ma c’è un altro elemento che
rende l’enjo kÿsai
particolarmente interessante per
i giornalisti e i sociologi e
riguarda questa volta non tanto i
suoi protagonisti quanto
piuttosto i mezzi di
adescamento utilizzati in queste
di Matteo Segni
15. MONDO MISTERIOSO: TEREKURA
Permalink n.2 Novembre 2006 14
giapponese del sesso, ma anche
per il loro stretto legame con le
nuove forme di comunicazione
telefonica. All’epoca della sua
nascita, nell’86, il terekura
sfrutta un servizio di
messaggeria vocale attivato dalla
compagnia nazionale NTT, con
la quale le ragazze recapitano
inizialmente i propri annunci;
ma la vera espansione avviene
nel decennio successivo, insieme
allo sviluppo delle prime forme
di telefonia mobile accessibili
alla fascia di mercato dei giovani
e degli adolescenti: i PHS (una
specie di via di mezzo fra
cellulare e cordless) e i pokeberu
(“pocket bell”), dei piccoli
cercapersone che permettono di
inviare e ricevere brevi messaggi
di testo. Quando i media
giapponesi hanno iniziato a
interessarsi febbrilmente ai
terekura e al fenomeno della
prostituzione minorile, la
diffusione della telefonia mobile
fra i liceali, soprattutto fra le
ragazze, era percepita come una
parte del problema: lo squillare
ossessivo dei pokeberu sulla
metropolitana, l’immagine delle
ragazzine in uniforme che a
ogni angolo di strada
mandavano e ricevevano
continuamente messaggini,
sembravano suggerire
all’opinione pubblica l’idea che
un’intera generazione di teen
agers passasse il tempo a
intrattenere rapporti e
combinare appuntamenti con
un’altra generazione di attempati
signori, rinchiusi da qualche
parte nei cubicoli dei telephone
clubs. La telefonia portatile, la
moltiplicazione dei terekura, la
prostituzione minorile vengono
associate dai media in modo da
comporre un unico fenomeno
allarmante, in cui le nuove
forme di comunicazione sono
additate come le principali
responsabili.
L’isteria comincia a sgonfiarsi
verso la fine degli anni novanta,
in parte grazie a una serie di
inchieste più accurate sul
mondo dell’ enjo kÿsai, in cui la
reale portata del fenomeno
viene drasticamente
ridimensionata, in parte grazie
al fatto che l’espansione di
internet (piuttosto tardiva in
Giappone) sancisce il declino
dei terekura.
L’aspetto notevole della
diffusione dei terekura negli
anni novanta è proprio il fatto
che i servizi che offrono
sembrano anticipare in un certo
senso le funzioni delle chat-
rooms e dei forum che oggi
imperversano sulla rete. Nel
gigantesco panorama del
mercato nipponico della
pornografia e della
prostituzione (illegale, ma
ufficiosamente tollerata) i
terekura non sarebbero stati di
per sé nient’altro che una novità
fra le tante. I quartieri a luci
rosse delle grandi città
giapponesi presentano infatti
una varietà tipologica di locali e
relativi servizi che sfidano la
fantasia più fervida, ma i
terekura, sembrano
particolarmente interessanti
proprio per il loro legame con
le nuove forme di
comunicazione telefonica oltre
che per una specie di dote
profetica. In un certo senso
sono la materializzazione, la
versione analogica, concreta,
abitabile di quelle chat-rooms
che oggi popolano la rete; ed è
curioso constatare che ancora
una volta l’esperimento sia stato
prodotto dal mercato del sesso
e della pornografia, un territorio
spesso di avanguardia, lo si
voglia o no.
Due tavole da un fumetto di pdi educazione civica, volto a
responsabilizzare le giovani sui rischi del telephone club. Sfogliatelo
per intero partendo da questa homepage.
16. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 15
Entrare su
Myspace
Siamo tutti amici di
Tom: nessuno dice che
il social network più
famoso del mondo
ormai è fuori controllo.
emergenti è Myspace assurge al
ruolo di indispensabile biglietto
da visita, per artisti, sedicenti tali
o singoli che vogliono,
attraverso immagini, pensieri e
commenti, ricrearsi un’identità e
un network di amicizie,
altrimenti impossibili nella
realtà.
Per quanti, pochi in realtà, che
ancora non conoscono questo
fenomeno imperante, ecco
spiegato il suo funzionamento:
tramite la solita iscrizione
gratuita, si può usufruire di una
pagina personale nella quale
inserire i proprio gusti,
aspirazioni, foto, pensieri e nel
caso di un gruppo, i propri
brani, scegliendo di renderli
scaricabili o meno, e, magari, le
date dei concerti. Il tutto
all'insegna dell'orizzontalità. In
un certo senso, ha ragione chi
sostiene, come Francesco
Farabegoli, redattore di Nero
magazine, che "Myspace è il
sogno erotico di una casa
discografica mascherato da
esegesi della democratizzazione
ultima della rete". Per conoscere
una nuova band è sufficiente
riuscire a trovare la pagina
Myspace, magari leggere il
profilo artistico, ascoltare le
tracce e decidere se comprare a
colpi di click il nuovo cd. Sotto
questo profilo, Myspace ha
avuto il merito di offrire una
possibilità anche al gruppo
meno conosciuto della terra.
Prendiamo il caso degli Arctic
Monkeys, gruppo inglese attivo
dal 2000 e ignoto fino al 2005,
anno in cui, grazie solo alla
crescente popolarità raggiunta
su Myspace, diventa
famosissimo, firma un contratto
con un'etichetta discografica, fa
concerti sold-out in pochi
minuti e scala vertiginosamente
le classifiche.
Fama e credibilità, non solo
all'interno del network, sono
merci che ti conquisti con il
JennyP
Alla tenera età di 6 anni, la
madre la veste da punk e
la spedisce ad una festa di
carnevale. Litiga
immediatamente con
Cenerentola e Superman,
che non la capiscono. Ora
ha 25 anni ed è la regina
dell'underground romano
yspace rientra
nell'ordine di
cose la cui
crescente
popolarità è
risultata direttamente
proporzionale all'aumento delle
critiche. Il suo uso, talvolta
spasmodico, da parte degli
utenti, l'ha reso il social network
in assoluto più frequentato, con
un posto tra i primi dieci portali
più visti al mondo. Sarebbe
forse un azzardo paragonarlo
alla vecchia piazzetta o alla sala
giochi, ma la sua funzione
socializzante è quasi sfuggita di
mano.
Il sito nasce nel luglio 2003,
quando Tom Anderson (uno
studente dell’Università di
Berkeley, California) decide di
creare una community musicale
di poche pretese, con il solo
scopo di mettere in relazione
persone comuni e musicisti. In
breve tempo, il successo
inaspettato: da vetrina di band
e cercare di uscirne...
di Jenny P
17. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 16
passaparola che, da amici a
conoscenti, si propaga sempre
più lontano. Il meccanismo per
trovare "amici" è dieci volte più
semplice che nella vita reale, la
parte noiosa, quella del “come-
ti-chiami-che fai-che-musica-
ascolti”, è esclusa. Si va diritti al
al nocciolo: "Add to friends".
Mentre vaghi per il sito (perché
al di là di esigenze particolari, è
questa la sua funzione primaria),
prima o poi ti imbatti nella
pagina di un singolo i cui
interessi sono affini ai tuoi;
clicchi sul pulsante “aggiungi”,
aspetti che venga accettata la tua
richiesta, ed ecco fatto: hai un
nuovo amico. Non appena ci si
registra l’unico amico che hai è
Tom (il fondatore). Lui non ti
chiede chi sei, non aspetta una
tua richiesta, né tantomeno te la
pone: lui è tuo amico. E basta.
E’ come un padrone di casa
particolarmente zelante che ti
invita alla sua festa, ti accoglie, ti
offre da bere e gentilmente ti
presenta ai suoi 123.432.426 (in
crescita, ovviamente) amici, per
poi scomparire nell’ombra e
aprire la porta ai nuovi invitati.
Non mancano ovviamente le
magliette “Tom is my friend”
(in cui si ironizza sulla propria
mancanza di amici) e “Tom is
NOT my friend” (in cui si
sottolinea la propria non
partecipazione a Myspace).
Ma ciò che conta è il fatto che il
numero di amici presente nella
propria pagina rende le persone
bramose di averne sempre di
più, spingendo gli utenti verso la
spasmodicità, senza curarsi di
loro profili e interessi, i nuovi
amici vengono aggiunti con il
pensiero fisso solo a quel
numeretto che crescerà, che
aumenterà la propria popolarità.
"Qual è la tua pagina
Myspace?": non siamo lontani
dal giorno in cui, sul biglietto da
visita, tra la professione e il
numero di telefono ci sarà la
quantità di amici virtuali. Al
termine di questo vortice di
vuota perversità esistono
addirittura software, a
pagamento, che permettono di
aggiungere amici
automaticamente come
Autoadder o Friend adder. Su
Myspace l'importante non è che
tipo di amici hai, ma quanti ne
hai. E quello che più ci piace è
che accanto a Mary, John e
Frank, ci possono essere i
Pixies, Solange o Michel
Gondry, e sono tutti nostri
amici. A prima vista è spiazzante
trovare tra gli amici di Mary,
"18enne americana che ama i
biscotti", Madonna e gli U2. Ma
informandosi meglio si scopre
che in realtà loro, con il profilo,
hanno a poco a che fare. O
meglio, qualcuno per loro
aggiorna le news, mette online i
pezzi nuovi, modera i commenti
e accetta le richieste di amicizia.
L'orizzontalità apparente
proposta dal sito, tra rockstar e
fan, in realtà non è altro che
l'antico rapporto fan-ufficio
stampa della rockstar. Quando
Madonna accetta la tua richiesta
di amicizia è come se la sua
segretaria ti mandasse una sua
foto autografata in serie.
Un'altra caratteristica del tuo
profilo sono i commenti che
ognuno (ovviamente un
"ognuno" loggato, se non ti
registri non hai accesso ai
contenuti del profilo, come foto,
video e blog entry) è libero di
lasciare sulla tua pagina. Ma la
loro primaria funzionalità, quella
che interessava ai gruppi che
uploadavano i loro brani nuovi e
Myspace ha il merito di offrire
una possibilità anche alla band
piu’ sconosciuta della terra.
18. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 17
cioè il parere dei fans, ormai è
stata superata e si spazia dalla
vasta gamma dei "grazie per
l'add" (traducibile con "grazie
per avermi aggiunto") a frasi
decontestualizzate e prive di
interesse, con cui gli user
commentano la serata passata
insieme. Per questo
teoricamente ci sono i messaggi
privati o l'istant messaging, ma il
fatto che questo tipo di pensieri
ammiccanti imperversino su
qualunque pagina dimostra il
goffo tentativo di dare una
parvenza di realtà a questa
socialità virtuale.
Un video illuminante sul
fenomeno è Myspace - The
Movie, una simpatica presa in
giro del teenager americano che
allestisce un set fotografico nel
suo bagno, si aggiusta il ciuffo,
guarda di traverso in camera e
ammicca sornione, pronto a
farsi degli scatti da uploadare sul
suo profilo, o degli imbarazzanti
appuntamenti al buio con utenti,
la cui foto di presentazione è
distante anni luce dalla realtà.
Il design della piattaforma, in sé,
è decisamente piatto, addirittura
monotono. Ecco allora i
programmi, come Thomas
Editor che permettono, anche a
chi non ha la minima nozione
del linguaggio HTML, di
modificare il proprio appeal. A
questo punto, la tua pagina può
avere uno sfondo
particolareggiato, pulsanti
personalizzati, slide di foto,
video, canzoni (per i singoli) e
Big Rupert si scusa e cambia i
termini, non esige piu’ i diritti di
proprietà su foto, video e suoni
mille altri ammenicoli virtuali,
ideati per farti spiccare in mezzo
alla monotonia visuale di tutti
quegli altri utenti che ancora
non hanno provveduto a rifarsi
il trucco.
Ma non sempre l'originalità
cromatica porta a efficaci
risultati come dimostrano Worst
Of Myspace, un sito che ogni
giorno propone i profili peggiori
(sia dal punto di vista
ornamentale che da quello
contenutistico) e la
competizione indetta da Zefrank
www.zefrank.com, sito
americano di progetti interattivi,
film e giochi in flash, che l'anno
scorso ha premiato il profilo di
soybuddha, come pagina più
brutta esteticamente, mai esistita
su Myspace. Ma gli smaliziati
sanno che il piattume
decorativo, in realtà è un
vecchio trucco particolarmente
efficace; Robert Scoble, il
blogger più famoso di casa
Microsoft, in un suo recente
articolo, ha illustrato come siti
dal design piuttosto antiestetico
siano i più efficaci (pensate allo
stesso Google o Craiglist)
perché percepiti più autentici,
meno commerciali, frutto di
passione per il servizio piuttosto
che schiavi di interessi monetari.
Come da copione happy ending,
l'inspiegabile e portentosa
popolarità raggiunta da MySpace
in poco più di due anni, ha
scomodato l'interesse dei giganti
del Big Business e il magnate
australiano Rupert Murdoch nel
2005 versa sul conto corrente di
Tom 580 milioni di dollari in
cambio dei suoi spazi. Finita la
magia del sogno americano,
19. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 18
l'atmosfera cambia. Con
l’acquisizione da parte di Big
Rupert si sono scatenati
movimenti di boicottaggio che
prevedono un'accurata lista di
punti secondo i quali Myspace è
il demonio. Gli attivisti di (L)eft,
blog collettivo dedicato alle
autoproduzioni musicali libere,
nato da Copydown.org, nel
giugno 2006 decidono di
dichiarare guerra a Myspace,
distribuendo materiale
informativo e cercando di
costruire una community online
scevra da qualunque pubblicità.
Attualmente, Jamendo e
Mugshot (open source) sono i
social network più accreditati
come alternativa a Myspace.
Per una curiosa clausola, in
pochi si accorgono che i diritti
dei brani uploadati dagli artisti
diventano automaticamente di
proprietà del padrone del sito,
Murdoch. Lo scorso giugno
Billy Brag, noto cantante folk
americano, indignato dall'uso
improprio dei suoi pezzi, a
maggio di quest'anno fa sapere
che non è assolutamente
d'accordo con il contratto e
riesce a far cambiare la clausola
sulla proprietà del materiale
pubblicato. A luglio Big Rupert
si scusa e cambia i termini, che
ora dicono "MySpace.com non
esige alcuni diritti di proprietà
sui testi, immagini, foto, video,
suoni (...) o altri materiali
postati. Dopo l'invio del vostro
materiale, continuate a
mantenere tutti i diritti di
proprietà e continuate ad avere
il diritto di usare il vostro
materiale".
Nello stesso mese il sito va
pesantemente in panne,
apparentemente per un guasto
elettrico, ma c'è chi più
realisticamente suggerisce che si
sia trattato di un attacco di
hacker. Tom Anderson ammette
che la questione gli è sfuggita di
mano, con lo spiacevole risultato
di script nocivi che mandano in
tilt il sistema di alcuni utenti,
insieme ad adware e trojan che
sono stati inseriti su migliaia di
pagine, cammuffati da innocui
file multimediali. E ancora più
semplice deve essere, per terzi,
usufruire dei dati personali degli
utenti. Due hacker sono finiti in
manette per aver minacciato il
sito di rivelare la falla
informatica che permetterebbe a
chiunque di visionare i dati dei
profili, rivelando quanto la
propria privacy sia facilmente
violabile, debolezza già nota agli
utenti più popolari, da tempo
bersaglio di numerosi spammer.
Ma fra adolescenti ormonici,
boicottatori, maniaci di ogni
genere, nel mondo di MySpace
sono sbarcati infine anche i
marines, segno ultimo di un
social network fuori controllo.
Militari patrioti hanno infine
conquistato la pagina del Corpo
dei Marines e dal loro presidio si
impegnano a fare proseliti
virtuali. Ed ecco che accanto ai
classici pulsanti "invia un
messaggio" o "aggiungilo come
amico", non ci si fa mancare un
"contatta un reclutatore".
This baby is
topping out
Il grafico qui sotto,
che indica la battuta
d’arresto di Myspace,
arriva da Realmeme:
myspace_meme
20. SCARTABELLAMENTI
Permalink n.2 Novembre 2006 19
In materia di
libri, come con le
donne, spesso si
gode più di
esemplari che
non possederemo mai, piuttosto
che di ciò che finiamo per
mettere in pratica, coi volumi o
le compagne che ci
appartengono davvero.
Chi affermi di essere giunto a
disporre completamente di un
best-seller, o di una vera signora,
dimentica che, a volte, perfino le
più serie di esse possono
risultare flessibili come la
copertina di un paperback. Per
inverso, è un fatto che dietro
certe sovraccoperte dall'aspetto
innocuo si possano nascondere
bordi pagina più graffianti delle
unghie di una vamp.
Anche quando preleviamo un
libro da un nostro scaffale, in
realtà, lo stiamo prendendo in
prestito. Non riusciremo mai a
leggerlo abbastanza spesso, e
con la giusta attenzione, perché
non ci sfugga sempre gran parte
del suo significato, e dunque
della sua proprietà. Ma è
proprio qui la massima parte del
suo fascino: in questo
concedersi e negarsi, da parte di
qualcosa che crediamo nostro,
in virtù di un contratto illusorio,
ma perfettamente legale.
Anche dai libri, allora, ci si può
difendere attaccando.
Ad esempio, i libri che si danno
in prestito nelle biblioteche, non
è che ci sia questo straordinario
piacere a personalizzarli.
Possiamo maneggiarli, prenderci
appunti, fingere di dimenticarvi
liste della spesa a mo' di
segnalibro. Eppure, fare proprio,
in vario modo, qualcosa di
apparentemente pubblico, riesce
ad appagare solo fino ad un
certo punto i desideri dei
bibliofili più viziosi. Certo,
almeno alle prime ramanzine
ricevute, non potranno negare
di aver saputo godere anche
solo del contravvenire alle
raccomandazioni della
bibliotecaria. Questo,
soprattutto perché, per gli esteti
versati in questo campo che non
siano più in età scolare, una
bibliotecaria può essere tutto
quanto resti, in una vita ormai
fatta di sole segretarie
condiscendenti, o redattrici
fetenti, dell'antico mito di
rispettabilità della penna rossa di
una maestrina.
Inoltre, alcuni sapranno godere
del riconoscere in quei volumi,
all'apparenza solo consunti,
notizie di altre dimensioni, di
esperienze altrove. Scovarvi
tracce di piacere altrui, e
lasciarne di proprie,
contribuendo alla particolare
Le perversioni
di carta
E’è chi si perverte
Con una lettura
rilassata, nel
raccoglimento di
una piccola libreria di
provincia.
diversità di qualcosa che
potrebbe sembrarci nostro, per
il periodo del suo tempo che ci
spetta, ma che è nato per essere
di tutti. Ma, sia detto fra noi:
risiede proprio in questo il vero
limite dei volumi di biblioteca, ai
nostri fini: il fatto che libri come
questi, in un certo senso,
di Giovanni de Stefano
21. Permalink n.2 Novembre 2006 20
rendersi tanto disponibili, lo
facciano in fondo solo per
professione.
Invece, pensate alla gioia di fare
altrettanto con delle vere copie
da libreria: nuove, intatte. Che
vengano esposte, e spesso
acquistate, convinte di poter
essere fedele proprietà di un
unico beneficiario, e spesso
finendo col persuadere anche
quest'ultimo della cosa.
Ciò che più ci interessava,
pervertendoci nelle biblioteche
nazionali e comunali, qui venga
capovolto: nelle Feltrinelli più
confortevoli, come nelle
Mondadori meno respingenti,
l'obbiettivo diviene quello di
rendere pubblico ciò che
sarebbe destinato al privato,
prendendosi gioco del concetto
di possesso, se applicato agli
oggetti della lettura e della
riflessione, in un file sharing di
cui siamo pirati all'arrembaggio
fin dell'ultimo scaffale. Con
spirito uguale e contrario a
quello che ci illudeva, in fila al
banco dei prestiti, di vivere in
casa nostra, con un volume che
era e sarebbe stato, al di là di
quel mese da Pretty Woman, di
tutti.
Impadroniamoci per qualche ora
di un divanetto - banco di prova
di tante unioni - su cui
stroncheremo o adoreremo, in
amori a prima vista, al solo
rivelarsi di una copertina;
matrimoni e repentini divorzi
d'interesse, con libri che non
leggeremmo mai per intero, di
cui non ci serviva che una
citazione o il finale; amicizie
eterne o fugaci tradimenti;
relazioni di una vita con certi
tomi che avremo il coraggio di
comprare solo fra dieci anni, o
la fortuna di ricevere in dono
all'indomani del primo incontro.
E, fra una delusione e un
giuramento, cominciamo,
dapprima a matita, ad apporvi
note a piè di pagina;
sottolineature; perfino orecchie,
segnalibro di indimenticabili
pomeriggi: messaggi in bottiglia
che solo una posterità
retrograda potrebbe non
apprezzare. O, ancora peggio:
portare segnalibri nostri, fedine
di un fidanzamento cornificato
in partenza, ma che sono forse
l'unico modo di far sì che quelle
pagine, e quello che
rappresentano, siano amate,
oppure odiate, o semplicemente
eternamente. Non dovrebbero
esserci che coppie aperte, fra noi
e i libri.
Facciamo credere alle copie che
abbiamo fra le mani che, con
loro, se ci prendiamo certe
libertà, è per il fatto che sono
ormai vendute - come delle
patatine al supermercato
assaggiate prima del tempo - ma
senza poi mettercele veramente
in casa. Liberarle da un
cellophane identico a quello di
ogni altra copia - quel modo
così provocante di mostrare la
propria incontaminatezza - per
illuderle, ognuna stretta nella sua
rilegatura, di essere unica al
mondo, e con la speranza di
appartenere, un giorno, ad uno e
un solo lettore. In un necessario
modello di poligamia bibliofila
che il pipatore all'inglese potrà
definire, pur senza fare troppi
giri intorno alla cosa,
semplicemente: "rotation"; ma
per cui la copia in questione -
prima di comprendere che da
tutto questo ha solo da
guadagnare - soffrirà ogni volta
come se fosse la sola vittima di
un sistema vecchio come la sua
prima, unica edizione, dal 1987
profondamente traumatizzata,
ma non ancora esaurita.
Tutto ciò non vuol dire che, per
questo tipo di lettori - casanova
e dongiovanni, vittime e
carnefici al tempo stesso,
dell'amore - una buona volta, la
scintilla non possa
effettivamente scoccare. Il
tempo che lettore e libro
avranno trascorso insieme su
quei centimetri quadrati di
similpelle (spesso così
faticosamente rimediati), in caso
di acquisto, sarà ricordato come
una felice convivenza; un passo
necessario, prima di condurre
quel libro dritto alla cassa,
l'altare post-moderno delle loro
nozze; un passo senza il quale
un salto nel buio sarebbe
Un giovane colto
Nella flagranza dello
scrocco, durante la
preparazione del
saggio su Winnie
Pooh che lo renderà
finalmente un
cliente pagatore.
SCARTABELLAMENTI
22. Permalink n.2 Novembre 2006 21
avventatezza o perversione. In
quest'ottica, quando vediamo
studenti di legge trascinare per
le librerie pesanti codici
commentati, nel loro sguardo
volto ad una pila di saghe
fantasy, un attimo prima di
pagare ed uscire, vediamo le
stesse pene degli sposi infelici di
matrimoni combinati.
E' una tempesta ormonale della
cultura, che solo l'istituzione di
biblioteche virtuali come
Google Book Search minaccia
d'acquietare (per tacere dell'ira
funesta dei buttafuori dei punti
vendita meno illuminati,
naturalmente).
Il sistema, vera rivoluzione anti-
copernicana del book-crossing
(la pratica di lasciare propri libri
incustoditi in giro per il mondo),
infatti, non riesce altro che
nell'impresa di far apprezzare al
globo intero la stessa identica
copia di un qualunque libro,
facendola restare ferma e
immobile presso Mountain
View, Contea di Santa Clara,
California, dove ha sede il
quartier generale di Google.
Nessuna impronta digitale alla
rucola su alcuna delle pagine di
un solo libro condiviso da tutti,
dotato di un copertina virtuale
color dell'uniforme della polizia
repubblicana ceca. E, in cambio
di un volume in carta e dorsi, da
posare sul nostro petto tanto
inquinato, le cui emanazioni
respiriamo come un Vicks
Vaporub non spalmabile, ma
altrettanto medicamentoso,
milioni e milioni di sole
introduzioni, giacché nella quasi
totalità dei casi, oltre la decina di
pagine la maîtresse digitale di
Google non ci farà proseguire.
Non resta che augurarci di poter
soprendere, ancora per molto
tempo, di quelle studentesse
modello, che preparano storia
dell'architettura 1 e 2, nel
salottino al piano interrato della
Feltrinelli di largo Argentina, a
...l'obbiettivo diviene quello di
rendere pubblico ciò che sarebbe
destinato al privato...
Roma. E tutto sotto lo sguardo
quasi benevolo dell'addetto al
reparto. Perché arriva un
momento, nella vita di uno
scroccone di librerie, in cui il
commesso che finge di non
vederti da sei-sette mesi deve
operare una scelta, su di te.
E' molto simile a quello che
succede in un'altra sezione della
stessa libreria, quando si
comincia a provare da troppo
tempo un solo gioco della
Playstation. Per chi supera lo
scoglio iniziale del racket della
fila, gestito perlopiù da bambini
tatuati temporaneamente,
diventa facilissima la
contaminazione col mondo delle
sale giochi. Grazie alle memory
card, anche interminabili giochi
di ruolo vengono finiti, sotto lo
sguardo ormai ammirato pure
del più acerrimo commesso, che
non ci considererà più
scrocconi, ma borsisti.
GoogleBooksSearch
La schermata che ci
nega l'accesso al libro
che consultavamo,
dopo qualche pagina
più o meno allettante.
SCARTABELLAMENTI
23. FENOMENI: LIMITE A ZERO
Macchine, uomini e altre
prossimità...
di Graziano Nani
l concetto di limite
[…] descrive il
comportamento di
una funzione
secondo il valore
dato al suo argomento da 0
all’infinito. Quando il limite tende a
zero la funzione si avvicina al punto
originario, al nucleo fondativo, alla
radice, all’elemento generativo
dell’intero sistema di riferimento. In
quel momento (stiamo parlando di un
momento teorico, astratto, in assenza
di tempo di fatto) vi è una tensione
forte e primitiva, un avvicinamento,
una prossimità.
L’intro di 0006_limiteazero, il
saggio a più mani edito da
Hublab, inquadra così la realtà
forgiata dalle menti di Paolo
Rigamonti e Silvio Mondino,
che da una decina d’anni si
tormentano senza sosta sul
senso della prossimità. Tra cosa?
GrazianoNani
Corrotto dalla frenetica e
impietosa vita del
pubblicitario, cerca la
redenzione ma sempre nel
posto sbagliato.
Permalink n.2 Novembre 2006 22
Tra uomo e macchina, verrebbe
da dire di primo acchito. In
realtà i lavori di Limiteazero
hanno un senso più ampio.
Paolo e Silvio lavorano come
spinti dalla consapevolezza
dell’esistenza di un nucleo verso
il quale tendono a convergere
mondi diversi, spesso
ineluttabilmente distanti,
all’apparenza. La storia di
Limiteazero è la summa dei
tentativi di gettare ponti e
intavolare dialoghi, contemplare
dimensioni e misurare fattori sui
quali di rado ci si ferma a
riflettere. Dalle prime opere
realizzate, strettamente orientate
al software e alla
programmazione, alle ultime
idee dalla forte impronta fisica, e
autoesplicativa, Limiteazero
coinvolge senza sosta codici di
programmazione e costrutti
grafici tridimensionali, approcci
estetici e agglomerati
ingegneristici, stringhe di dati e
seducenti assemblaggi artigianali.
Fredde, asettiche, minimali nella
loro essenzialità algida e senza
vezzi, quelle di Limiteazero sono
opere che nella continua
generazione di sinapsi trovano
un senso profondamente
narrativo. Detto questo, si può
affermare senza remore che sì,
uomo, macchina e ambiente,
sono al centro di una serie di
riflessioni che inesorabilmente
scaturiscono dalle opere di
Limiteazero…
… ma di tutto questo, e molto
altro, mi preoccupo poco in un
mercoledì qualunque di ottobre,
mentre taglio in due la zona di
Paolo Sarpi determinato a
spaccare il minuto per il mio
appuntamento con Paolo
Rigamonti. Appena varco la
soglia dello studio un’atmosfera
24. guizzante di energia silenziosa
mi mette subito a mio agio,
insieme alla mano di Paolo che
stringe la mia e mi fa
accomodare: “Paolo Rigamonti,
piacere.” Anche Silvio Mondino,
assorbito dal suo laptop in
fondo alla stanza, si separa per
un secondo dalla luce dei pixel
per presentarsi, salvo ritornare
rapido alla sua postazione.
Finalmente Limiteazero ha un
volto, anzi due. Per il resto, nella
stanza, nessuna traccia di tutto
quello che il laboratorio
richiama alla mia mente: nessuna
installazione segue i miei
movimenti e interagisce con me,
nessun flusso di dati attraversa il
locale, tranne quello dei 2
portatili che illuminano
sommessamente l’angolo più
lontano da me.
PPaaoolloo,, ccooss’’èè LLiimmiitteeaazzeerroo??
Le persone che stanno dietro a
Limiteazero sono 2, io e Silvio
Mondino, insieme a una rete molto
elastica di collaboratori che si
riuniscono e disperdono a seconda dei
lavori. Il progetto può essere descritto
come uno studio di Media Design e
Media Art, e lavora in 2 direzioni
fondamentali: quella della pura
ricerca, rappresentata dai progetti che
normalmente vanno nelle gallerie, nei
musei, nei festival. Attraverso questi
percorsi tendiamo poi a stabilire
metodologie di lavoro che applichiamo
anche ai progetti svolti su
commissione.
Però, penso... Paolo snocciola
informazioni essenziali
scandendo i concetti con
un’espressione intensa che salta
tra me e il fedele registratore -
rigorosamente analogico – che
mi accompagna.
EE ccoommee vviivveettee qquueessttaa
ddiiccoottoommiiaa ttrraa llee ooppeerree cchhee ssoonnoo
ffrruuttttoo uunniiccaammeennttee ddeellllaa vvoossttrraa
ccrreeaattiivviittàà,, ee qquueellllee rreeaalliizzzzaattee
aa ffiinnii ccoommmmeerrcciiaallii??
La differenziazione che ti ho fatto è,
come dire, merceologica. Il punto è che
i lavori commerciali vengono pagati,
quelli che sviluppiamo
sperimentalmente sono autofinanziati,
ma in realtà lavoriamo esattamente
allo stesso modo. Anche quando
operiamo su commissione la fortuna è
che, proprio grazie al nostro
background legato all’arte e al design,
ci vengono dati dei brief molto
generali, che ci lasciano grande libertà,
e ci permettono di sperimentare. Non
facciamo mai lavori commerciali in
senso stretto. Spesso, anzi, è accaduto
il processo inverso a quello canonico, e
Permalink n.2 Novembre 2006 23
ci è stato chiesto di portare in galleria
progetti nati come commerciali. E’
stato il caso, ad esempio, di
laptop_orchestra.
Mi colpisce, soprattutto, la
sobrietà con cui Paolo affronta il
tema, come se Limiteazero
avesse già superato da tempo la
questione, intento a puntare
oltre. Mi chiedo da quali
background provenga questo
approccio, se la formazione
professionale abbia in qualche
modo indicato la rotta.
QQuuaallii ssoonnoo ii vvoossttrrii
bbaacckkggrroouunndd,, ddaa qquuaallii mmoonnddii
pprroovveenniittee??
Io sono architetto, sono entrato nel
primo studio d’architettura a 17 anni,
e ci ho lavorato fino a una dozzina di
anni fa, occupandomi di edifici,
interiors, ristoranti, … Silvio proviene
da una realtà completamente diversa,
ha fatto studi di elettrotecnica, per poi
occuparsi di musica elettronica e di
graphic design allo IED. Ci siamo
incontrati una decina di anni fa,
lavorando su quelli che erano i nuovi
...nella stanza, nessuna traccia
di tutto quello che il laboratorio
richiama alla mia mente...
25. media crescenti; da lì è nata la
curiosità di sondare alcuni aspetti che
stavano dietro la facciata di
marketing, e man mano Limiteazero
è cresciuto.
DDuuee ppeerrccoorrssii ttoottaallmmeennttee
ddiiffffeerreennttii…… qquuaall èè iill vvaalloorree
aaggggiiuunnttoo ddii uunnaa ccoollllaabboorraazziioonnee
ccoommee qquueessttaa??
Più che di background, è una
questione di due teste con forme
differenti che unite riescono a
compenetrarsi. Da quando abbiamo
formato Limiteazero le nostre
competenze si sono lentamente fuse
insieme, generando un altro tipo di
professionalità.
Mi chiedo in che modo una
simile realtà riesca ad assorbire
contributi esterni…
CCoossaa ddeevvee ffaarree cchhii vvuuoollee
ccoollllaabboorraarree ccoonn vvooii??
Molta fatica. L’esperienza che
viviamo è parecchio introspettiva, per
noi è uno sforzo pazzesco fare
sharing. Quando cresci con questo tipo
di logica, hai in testa l’intero progetto
dall’inizio alla fine, tendenzialmente
saresti in grado di svolgere tutte le
attività da solo, e diventa difficile
fidarti degli altri e spiegarglielo.
Bene, è il momento di entrare
nel vivo, penso. È la prova del
nove: vediamo se con poche
coordinate riusciamo a
inquadrare l’aspetto più
complesso di Limiteazero: gli
ambiti di riferimento.
DDeessiiggnn,, aarrcchhiitteettttuurraa,, ccuullttuurraa
eelleettttrroonniiccaa,, tteeccnnoollooggiiaa:: ssoonnoo
qquueessttii ii mmoonnddii ddii rriiffeerriimmeennttoo
iinn ccuuii vvii ccoollllooccaattee,, ggiiuussttoo??
In realtà non ci collochiamo, sarebbe
deontologicamente sbagliato.
Viaggiamo trasversali attraverso tutte
queste categorie, e non solo. Se c’è una
particolarità, del nostro lavoro, verte
proprio su questo criterio di
trasversalità. Prendiamo i linguaggi di
diverse discipline, e tentiamo di
coniugarli in questo gramelot estetico
molto personalizzato. E non hai
citato l’aspetto ingegneristico dei nostri
lavori. Noi abbiamo una filiera
assolutamente medievale: dall’idea fino
all’ultima vite stretta, accade tutto in
questo studio, con un controllo totale.
Scriviamo il codice sorgente, facciamo i
disegni architettonici, compriamo
l’elettronica e la montiamo. Tranne
rare eccezioni, il nostro è un criterio
artigianale: prendiamo i componenti
nei negozi, e li assembliamo in una
macchina funzionante.
Permalink n.2 Novembre 2006 24
QQuuaall èè llaa ffiilloossooffiiaa ddii
LLiimmiitteeaazzeerroo??
Non abbiamo un punto fondamentale,
una bandiera, un motto, un manifesto
da seguire scritto, documentato.
Abbiamo sempre lavorato caso per
caso, e ci siamo costruiti una filosofia
di lavoro senza raccontarcela. La
filosofia è deducibile ripercorrendo i
nostri lavori. Io non la so descrivere,
questa continuità filosofica, però c’è,
esiste. Più volte ci è stata riconosciuta
un’impronta molto precisa, non solo
stilistica, ma anche metodologica.
Anche Silvio si stacca per un
secondo dal laptop e conferma:
il nostro nasce come lavoro di ricerca,
non ci siamo posti in partenza un
obiettivo preciso verso il quale tendere.
Man mano abbiamo definito meglio le
indagini, i percorsi.
Paolo continua:
questa è la ragione per cui non ci
Scriviamo il codice sorgente,
facciamo i disegni architettonici,
compriamo l’elettronica e poi la
montiamo.
26. definiamo artisti: non abbiamo quel tipo
di logica di lavoro. Stabiliamo questa
convenzione per chiarirci: io definisco
artista chi ha un’idea, e utilizza uno
strumento per darle corpo. C’è una
specie di premeditazione, nel gesto
artistico. Per noi è quasi sempre
l’opposto: siamo affascinati dallo
strumento, lo utilizziamo, e riusciamo a
dargli una valenza poetica man mano
che ne tiriamo fuori le caratteristiche.
Sono perplesso…
PPaaoolloo,, nnoonn ssoonnoo dd’’aaccccoorrddoo,, nnoonn
ccii ccrreeddoo cchhee ttuuttttii ggllii aarrttiissttii –– mmii
vveennggoonnoo iinn mmeennttee qquueellllii cchhee
llaavvoorraannoo mmoollttoo ‘‘ddii ppaanncciiaa’’ ––
ccoommiinncciiaannoo aa ccrreeaarree ccoonn uunn
mmeessssaaggggiioo ddeeffiinniittoo aa mmoonnttee……
Sì, ma noi non lavoriamo di pancia,
bensì con un criterio assolutamente
determinista. Abbiamo un modo molto
severo di lavorare, non procediamo in
preda alla furia creatrice. Quella, in un
certo senso, è inconscia.
Forse l’esempio dell’artista che
lavora d’istinto non era azzeccato,
ma continuo ad avere delle
perplessità…
SSccuussaammii PPaaoolloo,, ffaacccciiaammoo uunn
eesseemmppiioo:: qquuaannddoo aavveettee
ccoommiinncciiaattoo aa pprrooggeettttaarree
aaccttiivvee__mmeettaapphhoorr,, vvii ssvveegglliiaavvaattee
iill mmaattttiinnoo,, ee ccoossaa vvii ssppiinnggeevvaa aa
llaavvoorraarree?? VVoolleevvaattee ccoommuunniiccaarree
qquuaallccoossaa,, nnoo??
No, volevamo capire qualcosa. O meglio,
eravamo fortemente affascinati dallo
strumento. La prima cosa che abbiamo
fatto con il Carnivore è stata costruire le
4 linee di codice che andavano a vedere il
traffico che passava. Il primo feedback
era una schermata di stringhe di testo
incomprensibili che passavano in
continuazione. Due giorni li abbiamo
persi a guardare le stringhe: era bello,
era già una cosa viva, la gente non lo
sapeva ma stava interagendo con un
sistema che diventava qualcosa che ti
fluiva davanti. Era come guardare una
cascata d’acqua… sì, era una cascata di
dati. Quella era già la prima parte del
lavoro, quella più interessante. Poi certo,
si trattava anche di utilizzarli in
qualche modo, quei dati. Sai quando si
parla di Design Spontaneo, degli oggetti
che non sono stati disegnati da
architetti… sono belli perché
incredibilmente azzeccati, no? Può
sembrare pretenzioso, ma quello che
tentiamo di fare è ricavare dalle cose il
senso che è già insito nelle cose stesse.
Ancora non sono soddisfatto. Se
la prendo un po’ più larga, forse…
VVooii nnoonn ppaarrttiittee ccoonn uunn
mmeessssaaggggiioo ddaa ttrraassmmeetttteerree,, mmaa èè
iinndduubbbbiioo cchhee llaa ggeennttee nnee ccoogglliiee
ddii ddiivveerrssii,, aadd eesseemmppiioo lleeggaattii aallllee
rriifflleessssiioonnii ssuullll’’eevvoolluuzziioonnee ddeell
rraappppoorrttoo uuoommoo--mmaacccchhiinnaa cchhee
ssccaattuurriissccoonnoo ddaaii vvoossttrrii llaavvoorrii..
CCoommee vviivveettee qquueessttee
iinntteerrpprreettaazziioonnii??
Sono significati che abbiamo rivelato.
Come recita il nostro sito, ‘Limiteazero
lavora alla ricerca di relazioni
alternative nel rapporto uomo macchina.’
La frase non ci piace neanche più, ma la
lasciamo invariata ormai da 10 anni:
per quanto lineare, e banale, non saprei
trovarne una migliore. Noi tentiamo di
parlare con le macchine con un
linguaggio alternativo. Riteniamo che
Microsoft, con Windows, ha devastato
per generazioni il rapporto tra uomo e
macchina, ci vorranno anni per
recuperare. Ci sono altri modi di
lavorare con le macchine. L’elettronica
sta in un case di metallo, solitamente
orribile, che nascondiamo sotto la
scrivania. Con i nostri oggetti tentiamo
di modificare anche questo ruolo della
macchina, che può essere bella,
interessante.
Il concetto che chiude tutto, se proprio
vuoi che ti dica questa cosa, è che noi,
come gran parte degli artisti
contemporanei, attingiamo a piene mani
da Duchamp. Noi prendiamo
l’orinatoio, e lo esponiamo.
Sì, era proprio questo che volevo
sentirmi dire…
EEssiissttee aattttuuaallmmeennttee uunnaa sscceennaa
rreellaattiivvaa aallll’’aarrttee eelleettttrroonniiccaa??
MMoovviimmeennttii,, ccoorrrreennttii,, ……
C’è tanto che si muove in tutto il mondo,
Permalink n.2 Novembre 2006 25
con approcci e stili diversi. C’è la
Software Art, chi lavora con l’hardware,
con l’interazione… negli Stati Uniti è
nata Bitforms, la prima galleria privata
che tratta solo ed esclusivamente arte
digitale. Quello che dicevo per
Limiteazero vale per molti altri, definire
questi progetti ‘arte’ è una cosa che non
so se è giusto fare… Forse va fatta, ma
so per certo che al mercato dell’arte
contemporanea viene l’orticaria, non è
così ben disposto. Credo che prima che
l’arte elettronica entri a Documenta, ad
esempio, deve passare ancora qualche
anno. Poi magari l’anno prossimo
succede, le cose si muovono molto
velocemente…
QQuuaallii ssoonnoo ppeerr ttee llee rraaggiioonnii ddii
qquueessttoo aatttteeggggiiaammeennttoo??
Personalmente credo che il mondo
dell’arte contemporanea, nonostante si
fregi di essere molto raffinato, non sia
lontano dal mondo del marketing. È un
marketing con grandi interessi: 10
persone in giro per il mondo decidono
come deve funzionare e quali devono
essere i suoi equilibri; dietro c’è un
sistema economico molto potente.
Come per ogni nuovo linguaggio, c’è una
grande corrente di giovani critici
interessati a questo mondo, ma
l’establishment dei cinquantenni, dei
sessantenni, non è pronto a prendere in
mano il fenomeno.
In più, l’arte elettronica ha un problema
fondamentale: l’obsolescenza. Il nostro
lavoro può durare, 4, 5, 9 anni, ma già
rifare lo stesso progetto un anno dopo ci
ha creato dei problemi. Tra qualche
anno le cose che abbiamo fatto non
saranno più riparabili, dovremo andare
dagli antiquari per i pezzi di ricambio.
Guardo l’orologio, ho gli ultimi 5
minuti. Osservo Paolo, di fronte a
me, che si accende una sigaretta,
essenziale nei suoi abiti scuri
proprio come quando espone
concetti in pochi secondi… non
posso resistere, e l’ultima
domanda me la gioco così:
MMaa ffuuoorrii ddaa LLiimmiitteeaazzeerroo,, cchhii
ssiieettee?? CCoossaa ffaattee qquuaannddoo nnoonn
llaavvoorraattee??
Siamo maledettamene curiosi, è la sfiga
27. Permalink n.2 Novembre 2006 26
Paolo: active_metaphor
active_metaphor rappresenta la pietra miliare
del nostro lavoro. Prende il nome da una frase
di Marshall McLuhan, che dice: “E’ metafora
attiva ogni medium che ha la capacità di
modificare il suo contenuto e rappresentarlo in
una nuova forma”. Questa frase, molto criptica
e difficile da capire, per noi è diventata chiara
quando abbiamo realizzato active_metaphor,
che è esempio evidente del lavoro di
destrutturazione messo in atto da un sistema.
L’opera si basa su Carnivore, software
progettato da un network di sviluppatori
indipendenti partendo da un programma
studiato dall’FBI per spiare le reti informatiche.
Carnivore, da un computer posto in un punto
qualunque di un network, è in grado di sniffare
tutto il traffico che passa da quel nodo:
scambio di mail, FTP, richieste di siti internet, …
Ci affascina molto la possibilità di raccogliere
questa materia viva fatta di dati che scorrono.
Siamo totalmente disinteressati al contenuto, ci
interessa invece il fatto di avere questa specie
di “termometro della rete”, una macchina viva
che sputa in continuazione feedback sui dati
che stanno passando.
Usiamo un client per assorbire dai dati l’unica
cosa che hanno in comune, cioè il numero IP,
composto da 4 gruppi di numeri distanziati da
un punto. Ogni numero IP che passa lo
scomponiamo nelle sue 4 componenti, che si
trasformano in un sistema spaziale. I primi 3
numeri diventano le coordinate di un piano
euclideo, la terza determina il colore.
Nascono così delle architetture, modelli spaziali
in movimento che rappresentano il dato di rete
che sta passando in quel momento.
active_metaphor è un lavoro che ci è piaciuto
moltissimo: prendere una risorsa, trasformarne
completamente il contenuto e renderla un’altra
cosa. Dati qualsiasi, tizio che scrive una mail al
suo amico, vengono trasformati in un modello
architettonico. Un modello vivo, perché in
continua mutazione. active_metaphor presenta
un meccanismo su cui in seguito abbiamo
lavorato molto.
Limiteazero
Paolo e Silvio: stilisti
minimal o new
media artist?
più grossa che ti possa capitare nella
vita. Quello che ci accomuna è
un’enorme curiosità indagativa, e
purtroppo è un’emorragia, non solo di
risorse economiche, ma anche di
energia. Spesso perdiamo giornate
intere a osservare fenomeni per poi
farne… assolutamente nulla!
Quello che invece non siamo è: dei
buoni manager. Abbiamo un senso
pratico delle cose che in una scala da
1 a 10 è -1. Il tentativo di imparare
a organizzarci e strutturarci con una
logica di marketing, e di arginare
questa curiosità, è il conflitto su cui si
consumano le nostre esistenze.
E’ anche vero che siamo partiti in un
paese che non è famoso per essere
all’avanguardia tecnologicamente, per
dare a chiunque uno spazio in cui
coltivare delle alternative. In più,
abbiamo cominciato durante la crisi
totale dei nuovi media… Non
potevamo sperare che le cose fossero in
discesa. Il fatto che nonostante tutte le
difficoltà riusciamo a campare facendo
cose di questo tipo… beh, questo è già
un buon risultato.
Capisco bene l’orgoglio che
leggo negli occhi di Paolo con
queste ultime parole. Tra i tanti
confronti che vive ogni giorno
Limiteazero - con l’arte, la
scienza, la tecnologia - quello
con la realtà delle cose è
certamente il più ostico. Fino ad
ora l’hanno spuntata… se non è
concretezza questa!
Paolo: laptop_orchestra
laptop_orchestra è un lavoro realizzato su
commissione. Nel 2004 Toshiba entra in
contatto con noi, deve partecipare al Future
Show e lanciare un nuovo laptop. Il brief è
semplice: “dobbiamo parlare di questo laptop,
non vorremmo farlo con i soliti linguaggi…”
Abbiamo vagliato 2 o 3 progetti con i tempi
tipici del lavoro commerciale: 3 settimane in
totale, per la progettazione e la realizzazione.
Abbiamo pensato: “che possiamo fare con un
laptop? Non possiamo aprirlo, o smontarlo, il
prodotto deve rimanere integro, deve essere
esposto…”
Un’orchestra di laptop coordinata da una scala
sonora e da una serie di sistemi di colore. E
come interfaccia, un oggetto di design
estremamente particolare con il quale interagire:
attraverso il semplice sfioramento di un punto,
nasce l’operazione di coordinamento. L’obiettivo
è: ridurre al minimo la complessità
dell’operazione, massimizzando il risultato
finale. E’ nato un oggetto dal design
estremamente accattivante e particolare: un
piano bianco, lucido e trasparente, su cui si
riflettono i colori diffusi dai laptop, e una
consolle composta da gambi metallici attraverso
i quali interagire con il sistema. E’ un pezzo che
si spiega da sé, non ha significati concettuali
straordinari. La logica è quasi zen: utilizzare le
potenzialità al minimo. Il senso è proprio
questo: rappresentare una sorta di vetrina di
lusso per il prodotto, che paradossalmente non
si vede.
Il progetto arriva al Future Show, e il giorno in
cui parte l’evento il Corriere della Sera esce con
le 10 cose da vedere: la prima, è
laptop_orchestra. L’esperimento ha funzionato:
c’è addirittura la security, tanta è la gente che
vuole vedere il progetto. Un oggetto così
particolare, che farebbe inorridire la gran parte
dei responsabili comunicazione, ha avuto un
feedback enorme. E’ passato in TV, è stato
fotografato parecchie volte. Siamo appena stati
in California con laptop_orchestra, il progetto ha
fatto il giro del mondo.
28. INTERVISTA: LA WIKIPOESIA
Permalink n.2 Novembre 2006 27
Wikipoesia
Il wiki piu’ pazzo del mondo da oggi è anche
un volume di 580 pagine.
pprreecceeddeennttii nneell wweebb aannggllooffoonnoo ssee
nnoonn ppeerr llaa ffiiccttiioonn ccoonn
WWiikkiiffiiccttiioonn??
L’ispirazione m’è venuta tramite delle
allucinazioni durante una lunga
degenza in ospedale per via di un
grave incidente che mi ha quasi
stroncato nel 2004. E’ stata più che
altro una visione, in un momento in
cui ero vicinissimo alla morte. Sono
sopravvissuto e questa idea m’è
rimasta impressa come un’ossessione,
dopo alcuni mesi ho cominciato a
lavorarci, cercando tra vari fori di
scrittura online quello più adeguato
nello spirito per poter tentare la
realizzazione. Fondendo le esperienze
di “poesia istantanea” sul forum di
nuoviautori.org curato da Carlo
Trotta e la tecnica della Wikipedia il
tutto è nato e si è sviluppato
abbastanza rapidamente in meno di
un anno.
QQuuaannttii ppooeettii hhaannnnoo
ppaarrtteecciippaattoo,, ee qquuaannttii ddii eessssii
hhaannnnoo ggiiàà ppuubbbblliiccaattoo
qquuaallccoossaa??
Abbiamo al momento 31 poeti attivi
di varie nazionalità (Italia,
Argentina, Svizzera, Romania,
Albania, Siria, Inghilterra, India).
La proporzione tra poeti e poetesse è
circa del 50%. Tutti gli autori hanno
pubblicato almeno in un’antologia, e il
40% di essi ha delle pubblicazioni
proprie presso vari editori.
Alcuni, hanno anche opere conosciute
a livello internazionale, con rispettive
traduzioni. Ad esempio Mani Rao
(principale esponente della poesia
contemporanea in India), Rodica
Draghincescu (rinomata autrice in
Romania), Cristina Castello
(esponente della cultura Argentina),
Lucrezia Lerro (finalista al premio
Strega in Italia)…
CCoommee èè ssttaattoo iill llaavvoorroo ddii
ggeessttiioonnee ddeellllaa ffaassee ccrreeaattiivvaa ddii
uunnaa ccoommuunniittàà?? QQuuaallcchhee
mmoommeennttoo ddii ffrriizziioonnee oo,,
aallttrriimmeennttii,, mmoommeennttii ccrreeaattiivvii
bbeellllii ddaa rriiccoorrddaarree?? CChhee llaavvoorroo
ddii pprroodduuzziioonnee cc''èè ssttaattoo,, uunnaa
vvoollttaa eeddiittaattoo iill ttuuttttoo??
Il lavoro creativo occupa la maggior
degli sforzi. Il resto è gestione,
formazione, traduzione e produzione.
Ci sono stati dei momenti di frizione
alla fine del vol.1, soprattutto
riguardanti la regola di intitolare le
poesie cominciando con l’articolo
indeterminativo, ma sono state di
breve durata. La dinamica di
decisione in gruppo ha prevaricato gli
interessi personali di alcuni autori. I
meccanismi sono stati simili a quelli
della wikipedia.
Il ricordo più bello a livello creativo è
stato lo scoprire che quest’opera ha
avuto un effetto redentore per molti
autori e soprattutto lettori durante la
sua evoluzione aiutandoli spesso
anche a livello personale nel risolvere
FrancescoCavallo
Riuscira nella titanica e
incommensurabile impresa
di navigare il web per
intero? Lui dice di essere
arrivato quasi a metà.
er quanto
rivoluzionaria e
utile, mi è sempre
sembrato un po'
eccessivo
l'interesse per Wikipedia: in
fondo si tratta di
un'enciclopedia, il genere
letterario meno avvincente mai
pubblicato. Per questo, sono
stato felice di scoprire, grazie a
Bellami.it, Wikipoesia, un
progetto di poesia collaborativa,
tutto italiano, di Nuoviautori.
Un tomo di 600 pagine è già
pronto per andare in stampa,
con i primi due capitoli di una
trilogia ambientata, oltre che sul
web, ad Aradollo, paese surreal-
allegorico dove il poeta può
vivere, creare, morire e
rinascere. Tra poco rimarrà in
linea solo il lavoro vivo e
trasformabile, quello per la terza
parte, che dovrebbere chiudere
il ciclo iniziato con
“Spegneranno tutti i lumi” e “La
felicità è una piccola cosa”.
Incuriosito dall'uso di un wiki -
e di licenze Creative Commons -
per una creazione letteraria
collettiva, per capirne di più, ho
fatto qualche domanda ad
Andrea Galli, direttore artistico
e ideatore di Wikipoesia.
QQuuaall''èè ll''iissppiirraazziioonnee ddeell
pprrooggeettttoo,, ddaattoo cchhee nnoonn hhaa
di Francesco Magnocavallo
29. INTERVISTA: LA WIKIPOESIA
Permalink n.2 Novembre 2006 28
problemi di vita: questo è mostrato
dalla coerenza strutturale tra i vari
volumi. Con il vol.3 si è continuata
una linea di produzione poetica
seguendo una logica dantesca definita
nell’evolvere dell’opera di Wiki-
Poesia: il vol. 1 è caratterizzato da
voci di spiritualità e passioni
massacrate, da disegni e copertina con
colore a fondo rosso, rappresentante il
fuoco (l’inferno); il vol. 2 è
caratterizzato da quotidianità terrene
vicine alla natura in declino e gli
eventi strazianti dell‘umanità di
questo inizio secolo, da disegni e
copertina con colore di fondo verde,
rappresentante la terra (il purgatorio);
mentre il vol. 3 cerca di lenire la
sofferenza umana tramite la sconfitta
della solitudine ambientando i
personaggi nel magico realismo del
paese immaginario di Aradollo, dove
il colore di fondo dei disegni e della
copertina è il blu, rappresentante
l’aria (il paradiso).
CCoommee aavveettee rreeggoollaattoo llaa lliibbeerrttàà
ddii eeddiittaarree ppooeemmii aallttrruuii?? HHoo
vviissttoo cchhee nneell ccaassoo ddii
WWiikkiippeeddiiaa cc''èè iill ddiissccllaaiimmeerr ddii
nnoonn ttooccccaarree iill tteessttoo aallttrruuii..
QQuuaall’’èè llaa vvoossttrraa iimmppoossttaazziioonnee
ffiilloossooffiiccaa:: ii ccuutt uupp aallllaa
BBuurrrroouugghhss?? CChhee ddiinnaammiicchhee ssii
ssoonn ppooii ssvviilluuppppaattee iinn ccoonnccrreettoo??
Gli autori possono proporre dei
cambiamenti annunciandoli nelle
discussioni o per e-mail, se l’autore
originale accetta, le modifiche vengono
effettuate. Correzioni ortografiche o
grammaticali vengono effettuate senza
chiedere il permesso. In molti casi è
l’autore stesso che domanda aiuto per
“scolpire” una poesia dopo aver
postato la prima versione. In questo
caso chi se la sente apporta modifiche.
Non ci sono mai state delle frizioni su
questo fatto. Di solito i cambiamenti
vengono accettati molto volentieri.
Nel tempo si è generata una specie di
complicità (allievo-maestro) tra autori
più e meno esperti, dove tutti
approfittano l’uno dall’altro
scambiandosi nuove idee e tecniche
poetiche che vengono forgiate in
un’inesauribile potenziale di
creatività. Spesso capita anche che due
autori esperti si scambino delle
opinioni per migliorare un testo.
Una delle dinamiche più importanti
che si è consolidata è la citazione:
ogni poesia tenta di ricollegarsi ad
altre tramite citazioni o riutilizzo di
immagini, generando quello che viene
chiamato l’effetto ragnatela. Così
l’opera assume un aspetto omogeneo
che si distingue rispetto ad una
semplice antologia. I collegamenti tra
le poesie (chiamati anche tasselli)
generano un effetto emotivo
supplementare, come se esistessero
delle meta-poesie tra di loro. Le
relazioni tra i tasselli generano
l’impressione che nella vita ogni
istante dipenda dalla storia di un
altro istante, che tutto sia
interconnesso in un universo che
sfugge a logiche definite. Nel navigare
in questa ragnatela di tasselli ogni
lettore può trovare la via verso una
sua interpretazione della vita.
La scelta ostinata di intitolare le
poesie con l’articolo indeterminativo e
di intrecciarle tra di loro conferisce al
testo un aspetto assolutamente
omogeneo e staccato dalla realtà
specifica di ogni cosa, ma allo stesso
tempo, su un piano assolutamente
qualunquistico che non si sofferma in
nessun contesto in particolare. La
reazione emotiva è di
immedesimazione, secondo la logica
istintiva delle associazioni di idee. Il
percorso poetico segue così la strada
personale di ogni lettore, per associarsi
a tutto e a niente nello stesso tempo.
HHaaii sseeggnnaallaazziioonnii ppeerr ii lleettttoorrii??
Credo che la letteratura corale tramite
la scrittura cooperative sia il vero
futuro della letteratura (in gergo è
chiamato wikismo). La chiave del
successo è la democratizzazione tra
autori esperti e novellini. Un esempio
esiste anche in Germania con la prosa
del gruppo Zentrale Intelligenz
Agentur, che ha ricevuto il prestigioso
premio Ingeborg Bachman proprio
nell’edizione 2006.
Considerazioni sul
wikismo di Iago, curatore di
Wikipoesia
Il wikismo (si pronuncia Vikismo),
rappresenta la determinata volontà di
portare la poesia entro spazi aperti. Fino
ad oggi ci siamo imbattuti in sporadiche
genialità lasciate ad ammuffire dentro la
loro gabbia. Il passato è cosparso di
esempi di poeti celebrati molto tempo
dopo la loro morte.
Per quello che mi riguarda, ho
peregrinato nel web per mesi nella
speranza di incontrare qualcuno che
scrivesse in modo automatico, di getto…
senza il rimprovero del gusto del tempo.
Così ho incontrato Nuovi Autori di Carlo
Trotta ed Andrea Galli; quest’ultimo in
particolare ha partorito l’idea di far
cooperare più menti poetiche in un
complesso gioco di reazioni. Alla base
resta quindi l’idea della poesia
istantanea. È l’elemento che unisce le
due poesie a fare del wikismo, una realtà
senza origine. Immaginate migliaia di
poesie unite da tasselli che possono
essere liberamente interpretati (il curatore
del progetto prova a fornire un legame
fra le varie poesie), l’effetto è
allucinante… a volte mi sento come un
falco che ha di fronte uno stormo di
prede e non sa quale scegliere. È una
ghiotta opportunità per quei poeti che
sentono di avere qualcosa in più da
offrire. L’unico limite è costituito da un
prologo e da un epilogo. Tra i due si
interpone un cursore emotivo, mosso
dalle visioni dei vari componimenti.
Un modo diverso, visto da un’angolazione
inesistente… perpetrato da chi intende
scuotere la poesia dal torpore retorico in
cui versa ormai da tempo.
I numerosi contatti che bombardano il
sito del progetto wiki, testimoniano che
ci stiamo muovendo bene. Numerosi
poeti chiedono di farne parte. I contatti
con l’estero rafforzano il potere
contaminante del wikismo.
UnLegame
Componimento di Iago,
nome d’arte del curatore
del progetto wikista.
30. FUMETTI: BARONCIANI
La vita quotidiana oltre l'arte,
nel tempo della sua
riproducibilità tecnica.
di Maria Speltarini
olendo guardare
ai contenuti,
"Una storia a
fumetti" del
giovane pesarese
Alessandro Baronciani, è
racconto di vita quotidiana.
Ogni disegno descrive qualcosa
che abbiamo vissuto tutti,
qualcosa di più che familiare,
come una piccola mancanza,
un'alba al termine della notte,
una giornata sui libri. Di più, nei
netti chiaroscuri di china
tratteggiati da Baronciani, ci
vengono raccontati dei dettagli
talmente minuti a cui spesso
non sappiamo più nemmeno
fare caso.
C'è una tavola a tutta pagina,
quasi all'inizio del libro, che
credo renda chiaramente l'idea
della poetica dell'autore. I due
personaggi, Alessandro e
Francesca, soli sulla spiaggia di
notte. La tavola li ritrae dalla
cinta in giù, i loro piedi sono
nudi sulla sabbia. Un piccolo
riquadro che non fa altro che
evocare quella sensazione
particolarissima della sabbia
umida sotto le piante dei piedi
in una notte calda in mezzo
all'estate. Se questa sensazione
non vi trasmette nulla, allora il
fumetto in questione non è
proprio il vostro genere, perché
questa è la sua cifra: il passare
da un dettaglio all'altro, ogni
vignetta una piccola poesia
narrata dalla provincia
romagnola.
Ma non sono i contenuti, per
quanto validi, ad essere la
caratteristica più saliente della
produzione di Baronciani. Ad
essere inedite sono le forme e i
modi con cui queste storie sono
MariaSpeltarini
Studentessa con la
passione per il
retrofuturismo sovietivo.
Vorrebbe andare in
kazakistan ad incontrare i
suoi eroi. I suoi genitori
sperano diventi una
funambola professionista.
Permalink n.2 Novembre 2006 29
nate e sono state autodistribuite.
Prima di venire stampato come
libro, "Una storia a fumetti" era
una distribuzione via posta
(quella ordinaria, non quella
elettronica). Le storie venivano
disegnate, fotocopiate e spedite
inizialmente in un circuito fra
pochi intimi. Poi, con il passare
del tempo, ad una rete più vasta
creatasi con il passaparola. In
altre parole Baronciani
conosceva tutti i suoi lettori e
loro conoscevano lui e più di
una volta questo rapporto molto
diretto fra autore e lettore è
uscito dalla realtà per
trasformarsi in racconti di china.
Il dato saliente di questa vicenda
è, se ci fate caso, che Baronciani
ha trovato un particolare
escamotage per ridare lustro a
quell'aura di cui Walter
Benjamin notò per primo la
31. decadenza in "L'opera d'arte
nell'epoca della sua
riproducibilità tecnica". E lo ha
fatto proprio con il genere forse
più seriale di tutti, il fumetto.
Tutti coloro, infatti, che non
hanno avuto modo di seguire fin
dalla prima ora il formarsi di
questa opera, hanno perso
un'unicità che il libro-raccolta
non riuscirà a ridare nella sua
interezza. D'un tratto comuni
fotocopie sono diventate rare,
preziose, e non potranno essere
riprodotte, perché il loro
contesto fondamentale era il
momento in cui venivano
affrancate e spedite, un tempo
che ovviamente non può
tornare.
AAlleessssaannddrroo,, llaa ffoorrmmuullaa ddii
ddiissttrriibbuuzziioonnee ssuu aabbbboonnaammeennttoo
qquuaannttoo hhaa iinnfflluuiittoo ssuuii
ccoonntteennuuttii ddeell ttuuoo llaavvoorroo?? CChhee
sseennssaazziioonnee ddàà ssccrriivveerree nnoonn ppeerr
uunn ppuubbbblliiccoo iinnddiissttiinnttoo,, mmaa ppeerr
ppeerrssoonnee ddii ccuuii ccoonnoossccii
ll’’iiddeennttiittàà ee ssppeessssoo aanncchhee
qquuaallccoossaa ssuull lloorroo ccoonnttoo??
Non ha solo influito, è stata la forma
con cui è nata la storia. Io cercavo di
raccontare in modo semplice cose che
mi succedevano senza venirne mai a
capo. Le persone che leggevano le mie
storie mi raccontavano di aver vissuto
gli stessi momenti che raccontavo. Mi
lasciavano per lettera quello che gli
stava succedendo, le loro storie e le
loro storie erano esattamente quello
che stavo cercando. Il libro è la
raccolta di cinque anni di lettere e
pacchi spediti per posta. Io non volevo
fare un'autoproduzione senza sapere
dove andavano le mie storie. Volevo
sapere chi era a leggerle e sopratutto
volevo sapere cosa ne pensavano.
Molte volte sono nate delle amicizie,
degli scambi di autoproduzioni o
consigli su come fare fumetti.
SSii ddiiccee cchhee qquuaannddoo ssii ssccrriivvee
bbiissooggnnaa rriivvoollggeerrssii aadd uunn lleettttoorree
mmooddeelllloo,, cchhee ppeerròò rriimmaannee
sseemmpprree uunn ssooggggeettttoo aassttrraattttoo,,
mmaa nneell ttuuoo ccaassoo hhaaii ssccrriittttoo ppeerr
lleettttoorrii iinn ccaarrnnee ee oossssaa....
Io non so quale sia il mio lettore
modello, però ho scoperto che ci sono
tantissime persone che non sanno cosa
sono i fumetti. In molte lettere ho
trovato scritto che gli unici fumetti che
avevano letto non erano come i miei.
Nel senso che si erano imbattuti in un
mondo del fumetto e sopratutto in un
Permalink n.2 Novembre 2006 30
modo di fare i fumetti a loro
sconosciuto. non penso che uno
scrittore si rivolga ad un lettore
modello, forse uno scrittore ha in testa
se stesso quando scrive qualcosa. è la
maniera con cui sceglie di raccontarti
qualcosa che fa la differenza al lettore.
una inquadratura dall'alto rispetto
una dal basso e si ha un'altro tipo di
sensazione.
AA vvoollttee cc’’èè ssttaattoo uunn iinnccoonnttrroo
aattttiivvoo ffrraa iill ttuuoo ppuubbbblliiccoo ee llee
ssttoorriiee cchhee hhaaii ddiisseeggnnaattoo ee ii
lleettttoorrii vveerrii hhaannnnoo ccoommiinncciiaattoo aa
ffaarr ppaarrttee ddeeii ffuummeettttii nnaarrrraattii......
Una volta mi è arrivata una lettera di
un ragazzo che mi raccontava quello
che gli era successo, una lettera strana,
molto personale, quasi troppo per una
persona che conosci solo per lettera. la
lettera finiva chiedendomi scusa per lo
sfogo ma se non raccontavo le cose a
te, a chi le raccontavo? E la lettera
era scritta benissimo, era bellissima.
era un soggetto con tanto di inizio e
Si erano imbattuti in un
mondo del fumetto e sopratutto in
un modo di fare i fumetti a loro
sconosciuto.