SlideShare a Scribd company logo
1 of 40
Download to read offline
Novembre06
SOMMARIO
FREE, PAY, DEATH
Epolis e il giornalismo del futuro, in cerca d'autore
WAR OF WORDS: CONTESTOTOMIA
5
8
9
11
15
17
21
24
29
31
35
38
39
QUESTO NUMERO E’
STATO ARRESTATO,
PROCESSATO E
GIUDICATO COLPEVOLE:
SECONDINI
Francesco, Eugenio,
Giovanni
PERQUISE
Graziano Nani, Simone
Sbarbati, Benedetta
Raucci, Matteo Segni,
Edyta Dworak, Valeria
You, Alberto Puliafito e
Alberto Proietti
INTERCETTAZIONI
Laura Purple Palio e
Zite Zipel, con
Costanza, Marco e
Alessandro
AVVOCATI
Tutti i blogger di Blogo
PERIZIE GRAFOLOGICHE
DI COPERTINA
Camilla Porlezza (close
up, Internet point, NYC)
SERVIZI DEVIATI
Laurina, Federico,
Giaime, Roberta,
Francesca, Ciccina no,
Nero,
Perestrello&Pigneto
Crew, Climberz,
Bologna, Porseo,
Alfabecco
FALSARI
Gli pseudonimi che
infestano ogni dove
CORTE D’APPELLO
MarcelloP, MissBubs
GIURIA
I lettori e i
commentatori di Blogo
Permalink n.2 Novembre 2006
WAG MAGAZINE
Un universo di magazine indipendenti che si rivela al mondo
POLONIA NOUVELLE VAGUE
TEREKURA
Giappone anni ‘90: sesso random nei telephone club
ENTRARE SU MY SPACE... E USCIRNE
Il social network più famoso del mondo ormai è fuori controllo
LE PERVERSIONI DI CARTA
di Giovanni De Stefano
LIMITE A ZERO
Macchine, uomini e altre prossimità...
WIKIPOESIA
Un esperimento riuscito di creazione poetica collaborativa
IN CERCA DELL’AURA
La vita quotidiana, oltre l'arte ai tempi della sua riproducibilità tecnica
BLOGO IN LIBRERIA
A spasso tra gli scaffali con una torma di blogger scatenati
I FLICKERISMI MESSICANI DI VALERIA YOU
L’OROSCOPO DI MALAPARTE
LA POSTA
INBOX
Quest’oggi è Autoblog a fare gli
onori di casa: conosceremo
Smartista, animatore della
principale community di
autopartiti in Italia.
Smartista
Essenza del pregio, vive
una vita pettinata anche se
poco ordinata. Condivide la
sua passione house con la
cumpa e gli amici del blog.
Permalink n.2 Novembre 2006 2
Meglio un lurker o un troll? La
vita del community manager è
bella quando le mail alla
redazione arrivano da uno come
Smartista!
Ciao Moderators di Autoblog,
innanzitutto mi dovete scusare se ogni
tanto sono un po' indisciplinato sul
blog, ma tutti sembra ke ce l'hanno
con me e mi danno contro. Cmq nn
insulto + nessuno, grazie x nn
bannarmi +. Poi voglio dire ke il
vostro blog è molto divertente, perkè è
semplice e immediato da capire:
complimenti zii!!!! Io ho votato x voi
nel sondaggio del blog + bello!!!!
Smartista, in gergo Kobro,
spedisce le foto della sua Smart
Fortwo BRABUS, piuttosto nota
tra i lettori di Autoblog, e dice:
Vi descrivo un attimo la mia pikkola:
è una BRABUS leggermente
elaborata, ha 90/95 cavalli. Una
volta cn lei ho fatto i 160 all'ora. In
città nn ce n'è x nessuno: sguscio da
tutte le parti cn il massimo style e
savoir fair, e parkeggio dove voglio.
Ha i vetri fumè, 1 nuovo impianto hi-
fi (ke sembra fatto apposta x la
musica house), il doppio scariko
Brabus, il logo Brabus sul tappo della
benza. Poi ho i cerki Brabus da 17
pollici cn le ruote + larghe dietro per
sopportare la potenza. La pikkola ha
il turbo e la trazione posteriore: nn
dico ke può andare forte come
un'Audi S3, xrò nel suo piccolo
spakka. Tutti diranno ke nn ho la
maskerina originale: lo so, l'ho rotta
in 1 incidente e ci ho fatto montare
quella normale (x nn farmi sgamare
dai miei); sto aspettando quella
originale dal concessionario.
Davanti ad un simile atto
d’amore, Autoblog non ha
potuto esimersi da un’intervista,
piccola ma densa di passione e
vitalità sconclusionata..
Ciao Zio,
grazie per la email, complimenti
ancora per il sito e grazzissime ancora
per aver pubblikato la mia pikkola.
E' un'intervista questa? Grazie
allora, sono contento ke posso dire la
mia e rispondo a tutte le domande:
1. Autoblog.. nn mi ricordo + come
l'ho scoperto, forse cercavo in Google
qualke club dedicato alla Smartina o
alla Brabus e sono capitato lì..
Autoblog x me è un divertimento:
ammetto ek nn mi intendo molto di
motori, xrò amo la mia Smart e mi
piace prendere parte a tutti i ommenti,
ke molte volte sono molto accesi e
combattuti. Mi fanno ridere tutti i
wannabee ke si scannano per le
makkine italiane/tedeske, soprattutto
gli alfisti vs gli audisti e i fiattisti
contro i vwisti. Io nn mi skiero, x
carità, e provoko qua e là.. ahahah
2. Io vado in uny (allo Iulm) ma nn
frequento, quindi quando sono a casa
a fare nulla (quindi quasi sempre
eheh) ho sempre il computer acceso, su
msn/Skype e ovviamente Autoblog.
Certe volte passo gli interi pomeriggi
attaccato a commentare gli articoli..
in camera mia, magari rimango in
pijama fino a pranzo, ke vita house..
devo fare 1 po' di sport sennò
m'ingrasso...
3. Quando mi insultano la pikkola
Brabussina un po' mi scaldo, ma
tanto lo so ke tutti hanno invidia, e
quindi dopo un po' mi diverto a
provocare. Credo ke a tutti rosiki ke
una makkina piccolina come la mia
possa andare così veloce.
4. La mia Brabussina ha un ruolo
fondamentale nella mia vita sociale e
sentimentale... quante storye legate a
lei.. quando esco di sera cn lei sono
sicuro (e pure i miei cumpa lo sono)
ke sarà una gran-serata. Cn lei tutte
le porte dei locali fashion sono sempre
aperte: i gorilla ormai mi conoscono
e mi stimano, e mi fanno parkeggiare
davanti al locale.. ke storya poi
quando mi vedono scendere... tutte le
tipe (ke io kiamo shampiste)
impazziscono!!! La mia ex amava la
mia pikkola.
Ciao zio, HOUSE ET STYLE
FOR ME AND FORTWO!
Smartista
++++++++++++++++++
Come dice Filippo: “La vita è
proprio bella... grazie di esistere
Smartista!”
FORME DEL COMUNICARE
Pay&press apolidi, profezie e
incognite: il giornalismo del
futuro è in cerca d'autore.
di Eugenio Orsi
L'Economist è
un settimanale
talmente
autorevole, in
Europa, che
neppure al nostro ex-premier
Berlusconi riusciva di ignorarne
le posizioni - dato notevole,
considerando che non si è
trattato spesso di posizioni
propriamente a suo favore. E se
l'Economist titola con una
profezia del tipo "i giornali
moriranno nel 2043" (servizio di
copertina, ultima settimana di
agosto), non è detto che ciò sia
vero, ma è certo che tutti ne
parleranno a lungo.
Così, nelle redazioni dei
quotidiani e riviste che, dal
canto loro, desiderino
sopravvivere al 2043, le
polemiche e i "si salvi chi può"
si sono sprecati. Ma la domanda
è rimasta intatta: nel prossimo
futuro si prepara una crisi tanto
nera per i quotidiani? Davvero,
nelle edicole, non troveremo più
giganti come La Repubblica, Il
Corriere, il Sole 24 Ore e il New
York Times? E' presto per dirlo,
ma è chiaro che una morsa sta
stringendo il mercato: Internet,
da un lato, e stampa gratuita
dall'altro. L'enorme forza della
Grande Rete è un fatto ormai
assodato (per il 2007 è previsto
uno storico sorpasso della
pubblicità online sulla
televisione, almeno sul
fondamentale mercato
anglosassone), mentre sono un
po' meno chiari e scontati i
segni di fibrillazione che
provengono dalla galassia dei
freepress, il cui potenziale non è
ancora del tutto chiaro.
Prendendo il caso italiano,
EugenioOrsi
Sogna di fare un
documentario sul
funanbolismo, mentre
impara a fumare la pipa.
Per il resto setaccia le
strade di Roma per conto
di 06blog, tra baracchini,
monumenti dimenticati e
truffatori da quattro soldi
Permalink n.2 Novembre 2006 3
quando nel 2000 venne
distribuita a Milano la prima
copia di Metro, si avvertì in un
primo momento un certo,
malcelato, spauracchio; ma poi
tutti si calmarono, perché si capì
in fretta che nel nuovo millennio
la "quality press" non avrebbe
accusato il colpo dai neo-
giornali, distribuiti a piene mani
davanti alle fermate dei tram. Re
e principi di Rcs ed Espresso
tornarono a dormire sonni
tranquilli, con questo pensiero:
la freepress allarga
semplicemente il bacino di
lettori, in una fascia dove prima
lettori non c'erano. Chi sfogliava
Metro (e, in seguito, City e
Leggo) lo faceva per ingannare
15 minuti e 4 fermate di
metropolitana: nel caso in cui
non fosse stato già lettore di
Repubblica, non l'avrebbe letta
comunque, dopo; e, nel caso
FREE,
PAY,
DEATH
contrario, sarebbe passato come
sempre in edicola, con 90
centesimi alla mano. La stampa
era salva.
Quello che invece non era
chiaro - nei primi anni 2000 - è
che i freepress come Metro (il
gigante svedese), City (gruppo
Rcs) o Leggo (gruppo
Messaggero-Caltagirone), non
appartengono che ad una prima
generazione di stampa gratuita.
Un modello redditizio, ma in
fondo innocuo. L'epopea della
lotta fra qualità, gratuità e la
loro possibile convivenza, non è
affatto conclusa.
Il quality-establishment dovrà
ora confrontarsi con la free
press di seconda generazione
(negli Stati Uniti sono già
arrivati alla terza), che in Italia è
appena nato con il pay & press
di Epolis. La formula di
distribuzione e la tipologia dei
contenuti in questo caso sono
pensati con uno scopo preciso:
puntare dritto alla stampa
mainstream; starle dietro,
sottrarle lettori, mercato,
investimenti pubblicitari. E,
certo, Sole 24 Ore e Corriere
hanno smesso di stare a
guardare e si sono buttati in uno
spazio ancora aperto: quello dei
freepress pomeridiani. Il
Corriere con un tabloid che
anticipa le notizie dell'indomani;
il Sole grazie un prodotto
generalista, con un occhio di
riguardo per i temi economici.
Nemmeno Repubblica sta a
guardare, e non è un mistero
che stia preparandosi al lancio.
Non so dire se la crisi di vendite
che attraversano i vecchi media
sia strutturale, e se la gratuità
(con l'inquietante incognita della
perdita di qualità) sia veramente
ciò che ci aspetta. Ma fra queste
febbricitanti novità e rincorse ho
provato almeno a porre un
primo punto fermo, cercando di
capire il funzionamento di
questo nuovo e misterioso
Epolis. Ha fatto notizia, a
settembre, per essere uscito
contemporaneamente a Roma e
Milano (ma era già presente in
molte città più piccole del nord
Italia), e perché si è presentato
con l'originale formula del pay
& press: lo si regala nei bar, ma
lo si compra pure, a 50
centesimi, in edicola.
Ho scambiato due chiacchiere e
qualche cappuccino con quello
che credevo essere il
caporedattore romano, Fabio
Albertelli. Ma già su questo mi
sbagliavo: il caporedattore di
Roma non sta a Roma, ma a
Cagliari, in Sardegna, sede
centrale di tutta Epolis.
DDuunnqquuee lleeii nnoonn èè iill
ccaappoorreeddaattttoorree ee aannzzii nnoonn cc''èè
nneemmmmeennoo uunnaa rreeddaazziioonnee nnee'' aa
RRoommaa,, nnee'' aa MMiillaannoo,, cchhee
iinnvveeccee èè aa CCaagglliiaarrii.. IInnssoolliittoo
ppeerr ddeeii qquuoottiiddiiaannii llooccaallii......
Sono giornalista invitato, infatti. Ci
riuniamo in teleconferenza con il desk
di Cagliari la mattina con il viva
voce, si fa il punto della situazione e
via, si parte per la giornata di lavoro.
Per quanto riguarda i numeri a
Roma lavorano 6 giornalisti full time
più tutti i collaboratori. I giornalisti
sono molto giovani, con una media di
26 anni.
TTeelleellaavvoorroo......
Certo, è una formula che supera la
TheVanishing
Newspaper
L'Economist ha rilanciato e
accreditato la teoria sulla
fine del giornalismo di
Philip Meyer.
Permalink n.2 Novembre 2006 4
vita di redazione, luoghi dove si crea
un'abitudine mentale a lavorare
troppo con i lanci della agenzie di
stampa. Con questa formula il
giornalista può anche impaginare il
proprio pezzo, usando la gabbia
prescelta. Una volta salvata, il desk
lo licenzia ed è pronto per la stampa.
CCeerrttoo cchhee ssaarràà uunn bbeell
rriissppaarrmmiioo ppeerr ll''eeddiittoorree..
Il telelavoro non è stato scelto come
opzione di risparmio. E' una scelta
forte, mettersi in redazione significa
spesso sedersi, investire sul telelavoro
significa investire maggiormente sulla
professionalità dei giornalisti. Non
sono certo i costi di una redazione a
fare la differenza. Il giornalista in
questo modo ha le antenne accese 24
ore, non si spegne quando esce dalla
redazione. C'è chi lo chiama
Metro, City e Leggo sono la
prima generazione di stampa
gratuita. Un modello redditizio,
ma in fondo innocuo...
FORME DEL COMUNICARE
Permalink n.2 Novembre 2006 5
sfruttamento, questione di punti di
vista... E poi il telelavoro ha rimesso i
giornalisti per la strada, a contatto
con il territorio.
UUnn tteerrrriittoorriioo cchhee aa vvooii
iinntteerreessssaa ppaarrttiiccoollaarrmmeennttee.. LLaa
ccrroonnaaccaa llooccaallee sseemmbbrraa eesssseerree iill
vvoossttrroo oobbiieettttiivvoo pprriinncciippaallee..
Sì, noi siamo, o almeno veniamo
percepiti, come un giornale che dà voce
alla provincia. Il maggior successo di
Epolis a Roma è fuori dalle mura,
siamo un giornale che dà voce alla
periferia. Riusciamo ad arrivare ad
un 70/80% di produzione propria.
La free press di seconda generazione
innesta un processo di fidelizzazione
simile da un giornale tradizionale.
Riceviamo e curiamo tantissima
corrispondenza, i lettori intervengono
commentano, riusciamo ad avere un
rapporto diretto con la gente perché
facciamo cose originali, cerchiamo di
toccare quei temi che i grandi giornali
non toccano più.
L'idea della localizzazione
ovviamente non è nuova, risale ad una
visione di Mattei. Ma è il modo che è
inedito, perchè l'inizativa non viene
calata partendo dal nazionale e
arrivando al locale (con costi enormi),
ma partendo dal locale con
l'ambizione di arrivare al nazionale.
SSìì ssaa cchhee ii ggiioorrnnaallii ddeevvoonnoo
eesssseerree lleettttii nneeggllii aammbbiieennttii
ggiiuussttii ppeerr eesssseerree iinnfflluueennttii,, ee llaa
ffrreeeepprreessss sseemmbbrraa aavveerree ppooccaa
pprreessaa nneeii ssaalloottttii ddeellllaa
ppoolliittiiccaa......
Seguendo molto quanto il territorio, il
Palazzo dovrà occuparsi di noi sempre
di più, Epolis è già entrato nelle
mazzette dei politici. Regione e
Comune si confrontano già con noi.
Abbiamo aperto Epolis seguendo le
controversie delle cartolarizzazioni.
Da questo punto in avanti la
discussione si fa vaga, allusiva.
Fra le righe capisco che Epolis
potrebbe raccogliere il frutto di
tante redazioni locali, e in futuro
diventare un grosso free press di
terza generazione. Non si
sbilancia Fabio Albertelli, questo
caposervizio virtuale, giornalista
sperimentale cresciuto nella
tradizione di quella generazione
che ha imparato il mestiere fra
lo stadio e la cronaca nera
consumando con ortodossia i
"tacchi delle scarpe". Ma una
cosa è però certa e la sa si
capisce dallo stile del suo appeal.
Il 2047 non lo coglierà
impreparato: lui ci sarà con la
sua cravatta pesantemente fuori
moda fin dal 2006, ma avanti.
DagliUsaiFreepress
diterzagenerazione
The Examiner vuole rubare
lettori colti e sofisticati al
Washington Post. La
formula in Italia e? inedita
FORME DEL COMUNICARE
TUTORIAL: CONTESTOTOMIA
Permalink n.2 Novembre 2006 6
Imparare la
neolingua, perchè
l’italiano morirà
Ottobre ha visto nascere un
lemma molto particolare, dice
l’inglese Thought Signals.
“Un lettore del blog di David
Pogue sembra aver coniato la
parola Contestotomia. Si usa
quando un'azienda cita
recensioni dei propri prodotti in
maniera selettiva, cambiando il
senso del discorso con
l'omissione del contesto in cui
appariva la frase citata.
di Urbano
Qui l'offesa arrivava da un
manager di Microsoft, che
citava, in una lista di discussione
interna, una recensione di
Internet Explorer.
>Ecco cosa ne dice la gente...
>
>"Se non avete mai usato altro
che Explorer, non riuscirete a
togliervi il sorriso dalle labbra."
>
>-David Pogue, NY Times"
Ed ecco il paragrafo nel
contesto originale:
"Se non avete mai usato altro
che Explorer, non riuscirete a
togliervi il sorriso dalle labbra.
Ma vicino a rivali come Firefox,
Opera e Safari, Internet
Explorer 7 è tutto una rincorsa
e un rappezzo. Alcune delle sue
'nuove' funzionalità sono
disponibili da anni agli utenti
degli altri browser."
Urbano
Docente di bon ton e
grande conoscitore di
neologismi, ha lavorato alla
Gazzetta dello Sport, alla
Settimana Enigmistica e in
passato per Super
Trottolino delle Edizioni
Bianconi di Milano.
WAG MAG
EDITORIA DIGITALE WAG MAGAZINE
Freshcut.it ci porta a conoscere
i creativi di Wag, pdf magazine
italiano di arti visive.
ispirazione. Parlo delle webzines
(non chiedete cosa siano mentre
ne state leggendo una): prodotti
editoriali ideati da giovani
creativi con tanta voglia di fare,
che pubblicano ciò che a loro
piace veramente, senza alcun
condizionamento, per farlo
arrivare a quanti più lettori è
possibile.
In questo numero vi parlo di
WAG MAGAZINE, webzine in
formato flash da sfogliare
direttamente online grazie ad un
usatissimo script che permette
di girare i pixel pagina dopo
pagina, proprio come quelle di
carta. WAG è opera di un
gruppo di artisti molto attivi in
diversi campi delle arti visive, e
capitanati da Robert Rebotti,
conosciuto in rete anche con lo
pseudonimo di JackLaMotta e
Luca Marchettoni. A coadiuvarli
ci sono, tra gli altri, personaggi
del livello di Valentina
Cameranesi e Mimmo Manes.
Un bel gruppo di big per
quanto riguarda l'arte in rete,
dunque, riunitisi per
confezionare un trimestrale di
livello veramente alto.
Arrivato alla sua quarta uscita,
WAG ospita ad ogni numero un
bel gruppo di artisti più o meno
esordienti provenienti da svariati
paesi ed operanti in vari settori
della comunicazione visiva e
della letteratura. In questo caso i
testi sono in inglese, per
raggiungere un numero
potenziale di lettori il più alto
possibile: una politica che ha
dato i suoi frutti, visto che ad
ogni nuovo numero ecco
apparire il marchio WAG (che
ha uno stile che ricorda un po' il
logo di una vecchia automobile
made in USA o di un frigorifero
anni '50) sui blog e i siti della
design community di mezzo
mondo. Interessato a saperne di
più, anche e soprattutto perché
il mondo delle webzines è ormai
iil mio passatempo principale,
ho raggiunto la redazione di
WAG via mail con un po' di
domande.
La prima cosa che ho scoperto è
che quella di WAG è una delle
redazioni più efficienti che abbia
mai visto: qualche decina di
minuti dopo aver inviato la mail,
eccomi arrivare il reply. Il tempo
SimoneSbarbati
Etnologo dell’editoria
indipendente, è la nostra
guida nei perversi meandri
di Macromedia e Adobe.
Permalink n.2 Novembre 2006 7
mmaginate di
essere all'edicola:
curiosate tra le
copertine, ne
adocchiate una e
iniziate a sfogliarla. E dentro,
incredibile, non ci sono
pubblicità, e nemmeno titoli
scritti a caratteri cubitali solo per
attirare la vostra attenzione. Al
contrario trovate tante belle
immagini, immagini che non
sembrano voler vendere
alcunché, e pochi testi, solo
quelli che servono, non delle
pagine riempite. Beh, se di
riviste così ne avete trovate...
beati voi! Io no. Almeno non su
carta, a parte qualche raro
esemplare che scompare sempre
dopo il primo numero. E' nelle
maglie della rete che dovete
cercare, di questi tempi, se
volete sfogliare qualcosa di
nuovo, di completamente libero,
oltre che gratuito, e di sicuro
pieno di stimoli e di fonti di
di Simone Sbarbati
paper pensate di usare
strumenti tipo Lulu.com?
Certo, ma non solo, anche Miu,
Chiara, Jane e forse anche Lèna!
;-) A parte gli scherzi, al
momento stiamo considerando
varie soluzioni e cercando di
spingere quanto più possibile le
uscite di wag. Valuteremo, di
volta in volta, quando arriverà
l'occasione, che tipo di criterio
adottare.
Progetti per il futuro?
Una Rivoluzione (ma non dirlo
a nessuno!)
Allora, mentre aspettiamo una
rivoluzione targata WAG (e
quindi cool al punto giusto!), vi
segnalo che il prossimo numero
del magazine è previsto per
dicembre e tutti gli artisti sono
invitati a partecipare. Io come
sempre me lo segno in agenda,
con la speranza che prima o poi
arrivino questi benedetti fogli
elettronici così da godermi le
mie webzines preferite anche in
bagno!
EDITORIA DIGITALE WAG MAGAZINE
di leggere ed invio un'altra mail
per ringraziarli. Neanche a dirlo,
pochi secondi dopo mi arriva
'grazie a te!'. Roba che con loro
non vale neanche la pena usare
un instant messenger!!!
Come è nata l'idea di WAG?
Dalla passione per la ricerca di
nuove espressioni e dalla
curiosità di osservare i percorsi
artistici e i passaggi propri degli
autori che seguiamo e
ammiriamo o impariamo a
conoscere. Lo staff, tra editori e
collaboratori, è composto di
alcuni tra i personaggi più attivi
nell'ambito della design
community italiana.
Come e quando avete deciso
di unirvi per produrre WAG?
WAG è nato circa 2 anni fa da
una chiacchierata tra Luca
Marchettoni e Robert Rebotti.
Poi, lungo la strada, amici,
colleghi e supporter si sono
aggiunti per darci una mano.
Come mai non avete scelto il
formato del magazine
puramente grafico,
scegliendodi usare l'inglese?
La scrittura è una forma di
comunicazione che ha a tutti gli
effetti pratiche e approcci visivi
e, in quanto tale, ci piaceva l'idea
che potesse trovare spazio
all'interno del magazine. WAG è
un progetto senza confini,
rivolto a chiunque. Per tale
motivo abbiamo scelto l'inglese:
volenti o nolenti è la lingua
universale che si parla in rete.
Vi siete ispirati ad altri
magazine quando avete
lavorato sul concept di WAG?
Sono molti i magazine che
apprezziamo ma nessuno ci ha
ispirato in modo particolare.
Il sito web di WAG, in
entrambe le versioni, è
comunque molto semplice e
diretto: secondo me trasmette
bene l'idea di un magazine
che si basa sui contenuti
piuttosto che sulla
confezione. Ogni numero è
un mix perfetto di contributi
di artisti conosciuti ed
apprezzati nel loro settore
(vedi Lello Voce, Blu &
Ericailcane, ecc...) e giovani
esordienti. Con che criterio
selezionate i lavori che vi
arrivano in redazione?
Scegliamo ciò che ci convince
maggiormente di volta in volta,
cercando di miscelare i
contenuti per creare l'alchimia
migliore in ogni numero.
Apprezziamo in particolar
modo l'originalità, la freschezza
e la forza espressiva ma teniamo
in considerazione anche la
tecnica ed il valore estetico puro
dei lavori da selezionare.
Sul sito dichiarate la volontà,
prima o poi, di lanciare una
versione su carta di WAG. La
domanda è proprio questa:
che distanza c'è, secondo voi,
a parte l'ovvia differenza di
supporto, tra magazine
digitali e cartacei?
Penso soprattutto ai contenuti,
all'interattività, ecc... La distanza
maggiore, secondo noi, è quella
costituita dalle risorse
economiche e logistiche
impiegate. Un magazine online è
agile, di facile divulgazione,
diretto ed immediato. Un
magazine cartaceo ha una
componente feticista legata al
piacere del tatto, del possesso
fisico del supporto e, se
parliamo di contenuti statici, è
sicuramente il mezzo migliore
da utilizzare. Speriamo di
trovare prima o poi un editore
per supportare una futura
evoluzione cartacea di WAG.
Per l'eventuale versione on
Permalink n.2 Novembre 2006 8
PoloniaNouvelleVague
Fra fermenti vitali e finti
talenti precoci creati a tavolino,
la nuova creatività che viene
dal cuore dell'Europa
acendo
riferimento alla
posizione...
geograficamente
centrale della
Polonia in Europa, voglio
presentare il livello della
creativita' nelle nuove
generazioni. Sembra che l'attività
culturale sia molto vitale, e che i
suoi frutti abbiano un carattere
unico, non riferibile a nessun
altro ambito artistico europeo.
Resta il perché di un più stretto
legame tra gli artisti polacchi e
quelli dell'Europa dell'Est; da
ricercarsi nella storia dei Paesi in
questione.
Tuttavia, a differenza degli altri
Paesi in Polonia tutte le
iniziative si svolgono in maniera
istituzionale, molto di piu' che in
Italia, ovviamente. Sarà il clima
che rende meno caldi questi
incontri artistico-culturali (cioè
più ufficiali)?
La creatività in Polonia ha così
una dubbiosa esistenza. In
alcune città, non ci si può
lamentare: per esempio nella
capitale basta un po’ di ...
talento, di eccezionalità e si
possono salire i gradini della
carriera in ogni campo, anche
come giornalista, noto reporter
o copy writer.
Occorrono solamente tre o
quattro certificazioni di
conoscenza della lingua:
naturalmente un perfetto
inglese, il tedesco o il francese,
anche italiano e spagnolo vanno
bene; basteranno due lauree: per
esempio psicologia e sociologia
o economia.
Allora, si sta benissimo a
Warszawa. Ovviamente il più
bello è Krakow, qui succede di
tutto, i teatri più vari e disparati,
spettacoli, iniziative, concerti,
mostre, incontri. Qui, credetemi,
visto che proprio ora mi trovo
nella Biblioteca Jagiellonica di
Cracovia, tutti sono specialisti di
cultura, attori, musicisti,
scrivono qualcosa o hanno
appena pubblicato il loro primo
libro (o un racconto nella rivista,
una poesia – ha sempre il suo
peso); mancano invece gli
spettatori, perché tutti creano.
Degli altri centri culturali
polacchi vi dirò tra un attimo.
Viaggiando cogli occhi della
mente sulla mappa della Polonia,
punto subito su Poznan, città
molto moderna, in molti luoghi
già postmoderna (lo spiegherò),
poi vado a Wroclaw, Katowice,
Krakow, scivolo e cado su
Lublin, dove tutto è un po’
provinciale (e pure pretenzioso).
Poi c’è ancora Rzeszow, ma non
ricordo neanche vagamente
qualcosa di importante là. E' già
finita – bella montagna,
frontiera e amici slavi.
Edyta Dworak
Ha 24 anni da un
giorno, al momento
della stesura di
questo breve profilo.
Laureanda in
Filologia Polacca
all'Universita'
Cattolica di Lublino,
ha tale una passione
per l'Italia, fermo
restando l'amor
patrio, che ha
sintetizzato le sue
cittadinanze nel
nickname dietro cui
spesso si cela: Flawia.
Permalink n.2 Novembre 2006 9
di Edyta Dworak
GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
Per le azioni dei polacchi creativi
mi viene subito, "primus inter
pares", Wroclaw, che
ultimamente è un bel nido di
tale Andrzej Burszta, che là ha
fondato un vero rifugio dei
giovani talenti letterari: una casa
editrice e in generale il centro
che dà una certa qualità alla
nostra vita letteraria, animandola
e scuotendola ogni tanto: Biuro
Literackie Port Wroclaw.
Qui hanno posto gli incontri
con gli scrittori (conosciuti o
meno), i concerti dei gruppi
(che in Polonia sono ambiziosi)
– queste feste si chiamano
"festival di poesia". Ma poesia
mista a fagioli, birra, etc, etc. Ci
sono pure le cartoline cogli
scrittori, le t-shirts con i loro
volti – per quelli che non amano
leggere...
Il massimo della creatività è
stata rappresentata dall'inizio nei
corsi per i debuttanti – sognanti
lauro o Laura non di Petrarca,
ma almeno di Marcin Swietlicki,
il più famoso poeta polacco
(vivo, nato nel 1961).
Della precedente generazione
letteraria, che ha debuttato negli
anni '90, nel periodo dei grandi
cambiamenti politici in Polonia,
a parte Swietlicki, non è rimasto
nessuno.
I vecchi autori hanno lasciato un
campo da ricoltivare per creare,
questa volta, delle opere
finalmente significative.
Loro dopo le qualificazioni e
pagando un po’ possono
imparare dai veri poeti come
scrivere, che argomento
scegliere per la poesia, come
intitolare la raccolta. Alla fine –
se hanno imparato bene, il
premio sarà la pubblicazione
delle loro poesie – che fico! É
stata comunque una idea
squisita – anche se ha profanato,
secondo me, un po’ l’arte. I
letterati hanno così un po’ di
soldi, necessari per vivere, però
spesso vengono promossi degli
scrittori non particolarmente
bravi.
Perché in Polonia non si possa
diventare solamente un’artista –
uno dei laureati del concorso di
poesia descritto sopra, mi ha
detto una volta: «Non trovo
lavoro [laureato in filosofia],
parto per l'Inghilterra, quando
torno pubblicherò un libro da
far mancare il fiato». Non credo
proprio.. evidentemente non
potrebbe contare sulla vita
culturale in Europa; anche se si
tengono numerosi festival
internazionali della poesia,
sembra che dappertutto regni
famoso "Slam Poetry".
Proprio un’idea da bestseller –
ecco quello che ci vuole. I lettori
purtroppo non sono per niente
prevedibili. Così si fa un cerchio
– perché in Polonia leggono
Permalink n.2 Novembre 2006 10
pochi, ad alcuni sembra di
leggere e di capirne un po’, lo
stesso vale per la scrittura.
Ancora qualche anno fa i
giovani facevano salti di gioia
quando il loro
libretto–canzoniere veniva
pubblicato (in cento esemplari
dal locale centro culturale), e
tutto finiva lì. Adesso ci sono
più case editrici, soprattutto la
già menzionata Port Wroclaw,
delle riviste letterarie polacche –
che spesso hanno purtroppo
GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
Permalink n.2 Novembre 2006 11
esempio fa giuria del premio più
prestigioso in Polonia per gli
artisti, chiamato Nike, e loro
hanno voluto ricordarci il
talento di Maslowska. Loro
hanno deciso di premiare
Maslowska. E noi di nuovo
dobbiamo comprarla, parlarne,
odiarla ed invidiarla.
Qui un’altra conferma della
creatività – i libri di Maslowska
sono stati messi in scena nei
teatri – piuttosto con delle
difficoltà e gran fiasco, ma
sempre più frequenti sono state
le rivisitazioni in spettacoli
normali. Verrà pure fatto un
film dal suo libro, cosa che non
riesco ad immaginare. Si, è una
star che dà da mangiare agli altri.
Nel caso di Maslowska che,
sorridendo con la smorfia alla
Winnie the Pooh, supplica in tv
di non leggerla più, la verità è
che lei ci teneva tanto tanto a
restare scrittrice (le sue prime
prove quando aveva 16 anni).
Allora dovrebbe essere trattata
col rispetto e criticismo adatto
ad una scrittrice, non ad una
sensazionale novità. Sicuramente
lei è stata la prima a far vedere
che si può guadagnare scrivendo
ed essendo giovane. Basta che
lei non cerchi di spiegare i
propri libri. Ha permesso pure
agli altri di imitarla e copiarla –
sia nello stile, sia nei
comportamenti...
La spiegazione della giuria del
premio Nike è stata quella che
pochi soldi per poter funzionare
seriamente (Studium e Ha.art a
Krakow) e il leggendario Pawel
Dunin-Wasowicz o Lampa.
Da poco (o nulla) famoso è
diventato il più grande
specialista della giovane prosa
polacca. Prima cercava
inutilmente di descrivere la
generazione dei letterati nati
dopo gli anni Sessanta, ora è
editore di Dorota Maslowska. E
qui due minuti di silenzio. Per
ritrovare il coraggio di scriverne.
Di Dorota Maslowska come
icona della cultura polacca,
l'eccezionale star – perché star
letteraria, un simbolo della
creatività pura è troppo difficile
scrivere. Lei stessa in questo
momento mi avrebbe guardato
in modo strano e col suo sorriso
furbetto e un po’ incurvato (di
cui non so l'origine) avrebbe
detto: «Non mi dire, oggi io,
domani io, ieri io, no, non era
cosi» (qui una parafrasi del
Diario di Witold Gombrowicz,
dio degli scrittori polacchi,
morto). In Italia è stato pure
pubblicato il suo libro Prendi
tutto, magari lo conosce
qualcuno? In somma: 100 mila
copie del primo libro vendute è
certo buon inizio; soprattuto
quando si ha solamente 19 anni
(lei è nata nel 1983). Dietro la
Maslowska c'è tutta l'ideologia
dei teenager ribelli, dell'eterno
"lasciatemi in pace” che ha
avuto come risultato proprio il
contrario. Perché il suo primo
libro è stato comprato da quasi
tutti – anche il capo di stato. Per
curiosità ovviamente: per
imparare la lingua volgare.
Invece il nuovo libro di
Maslowska, Il pavone della
Regina, pubblicato nel 2005,
non si è impadronito dei cuori
del popolo – ma degli scaffali
nelle librerie. Tutti ne hanno
avuto abbastanza; però per
fortuna da noi esiste ancora
l’elite culturale – che per
Loro hanno deciso di premiare
Maslowska.E noi di nuovo
dobbiamo comprarla, parlarne,
odiarla ed invidiarla.
Permalink n.2 Novembre 2006 12
Maslowska ha ridato la libertà
alla lingua, mirando contro la
cultura popolare. La storia,
molto simile, è quella del più
famoso giovane poeta polacco –
Jacek Dehnel, che deve la sua
fama all'indicazione del Nobel
polacco Czeslaw Milosz (morto
da pochi anni).
Anche se molti non credono alle
buone intenzioni di Milosz e nel
suo buon gusto. E come
Maslowska usa una lingua molto
volgare ed in somma banale, lui
cerca di essere un aristocrata
della poesia e della prosa (poco
fa è uscito il suo nuovo libro La
bambola). Tutti hanno scritto
del suo abito elegante, delle sue
capacità (laurea in una facoltà
letteraria). La prova della sua
creatività consiste nel saper
vendersi – nel condurre vari
incontri lirici con se stesso –
come laureato di un noto
premio per la poesia è ben visto
nelle biblioteche o nei centri
culturali dei vari paesi e paesini
in Polonia. Ed infine, non è
volgare, suona bene, sembra
difficile – un vero poeta, magari
l'ultimo poeta polacco.
Ed è anche una delle persone
associate con la "liberatura" o
“liternet” – cioè una specie di
letteratura esistente nell’internet.
Ho già sparlato di persone più
famose in Polonia negli ultimi
tempi. Perché o si è un
personaggio o si sa scegliere un
argomento valido – che decide
se l’arte si venderà e diventerà
popolare. Questa regola viene
confermata dai libri di Slawomir
Shuty (autore di un hipertekst,
un libro creato solo su internet)
e Dawid Kornaga, il copy writer
di Varsavia, l'autore dei racconti
osceni, è considerato dai molti
come un caso particolare
(almeno deviato, consigliato ai
sex shop). L'argomento - pure
molto vendibile - è tutto
sull'ambiente gay (come in
Polonia superficialmente tema
un po' tabù) – come sanno tutti
lettori del “Lubiewo” di Michal
Witkowski.
Io invece ammiro di più i centri
meno commercializzati, che non
cercano solamente i guadagni.
Cercano, invece, di esprimersi
tramite varie attività artistiche,
hanno anche il coraggio di
manifestare il proprio parere o
di contrapporsi alle idee
sbagliate che purtroppo
dobbiamo sopportare nel nostro
paese delle meraviglie. Penso ai
centri della cultura alternativa,
come Rozbrat a Poznan o De
Centrum a Bialystok dove si
organizzano mostre, concerti,
incontri e si può anche essere
ospitati – anche se è meglio
dormire con le scarpe indosso
per non perderle. Sul loro sito si
trovano articoli interessanti
contro la guerra, contro varie
guerre, contro i politici.
Anche se qui devo annotare una
trasformazione – le cerchie
punk o anarchiche spariscono e
non è solamente la morte per la
vecchiaia o per le malattie... La
generazione di oggi – durante la
discussione di qualche anno fa
chiamata “la generazione Nulla
(Generacja Nic)”, è la
generazione della musica hip
hop, che è un po’ più igienica in
paragone col punk, per fatto di
genere e di parere. Bisogna
ammettere che i testi hip hop
non sono cattivi – hanno fatto
uso della realtà condivisa dai
cantanti e dagli ascoltatori –
della noia, della vita vuota in
una città grigia e materialista.
Gli artisti segnalano spesso nei
testi l’amore per musica, la gioia
di cantare, magari grazie a
questo – non essendo del tutto
commerciali riescono a ridare
GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
MarcinSwietlicki
Il poeta polacco piu’
famoso, nato nel 1961.
La generazione Nulla, un po’ più
igienica in paragone col punk.
effetto della sincerità. Qui il
cerchio ritorna alla Regina, in
quanto il libro di Maslowska da
taluni è definito un poema colle
rime, da altri semplicemente un
testo hip hop. Infine: la
creatività non conta quanto il
gusto della popolazione, e così
la vera letteratura rimarrà per
sempre o quasi nei cassetti. E
tra qualcosa che è solamente
scioccante o scioccante perché
cosi buono – di certo sara il
primo ad essere venduto di più.
MONDO MISTERIOSO: TEREKURA
Permalink n.2 Novembre 2006 13
Terekura
I telephone club, antesignani
giapponesi delle chat di oggi.
pratiche: i terekura.
I terekura (contrazione di
terehon kurabu “telephone-
club”) sono locali, molto
numerosi nei quartieri a luci
rosse, che offrono al cliente una
minuscola stanza dotata di
telefono. Si paga una tariffa di
circa cinquanta centesimi al
minuto, ci si accomoda nello
stanzino e si aspetta che arrivi
una chiamata. Molte delle
ragazze che praticavano l’enjo
kÿsai adescavano i clienti grazie
a questo servizio: il gestore del
terekura metteva in contatto la
ragazza con l’utente che
aspettava nel cubicolo, i due
chiacchieravano un po’,
informandosi sulla rispettiva età
e eventualmente si davano un
appuntamento da qualche parte.
Il sistema è puttosto ingegnoso:
la ragazza sa che al terekura ci
sarà sempre qualcuno in attesa,
il gestore guadagna sia sulla
telefonata che sul tempo di
attesa (che può allungare a
piacimento evitando di passare
le chiamate), il cliente, chiuso
nel suo stanzino da qualche
parte in un quartiere a luci
rosse, lontano da casa e dal
posto di lavoro si garantisce il
suo riserbo e, se è un
frequentatore abituale del
terekura, è sicuro che il gestore
gli passerà più chiamate
possibile. Naturalmente il
gestore, che dopo lo scoppio del
fenomeno si trova sottoposto a
frequenti controlli di polizia,
avverte entrambi di evitare ogni
riferimento a eventuali
compensi. In questo modo i
telephone clubs, anche se di
fatto, facilitano una forma di
prostituzione, ufficialmente si
limitano a fornire un servizio
simile a quello di una chat-line
senza responsabilità per quello
che succederà fuori dal suo
servizio.
L’espansione dei terekura,
cominciata all’inizio degli anni
novanta, attira l’attenzione dei
media e delle autorità non solo
per il fatto che i locali di questo
tipo costituiscono il mezzo
privilegiato della pratica
dell’enjo kÿsai, o semplicemente
perché sono una delle tante
novità nel gigantesco mercato
MatteoSegni
Torinese di nascita, nutre
un profondo attaccamento
al turista giapponese. Vive
per questo da anni nel
delicato ecosistema della
laguna veneta.
el Giappone degli
anni novanta i
media
cominciano
improvvisamente
ad agitare un nuovo gigantesco
spauracchio mediatico che per
dominerà a lungo gli schermi
televisivi, le pagine dei giornali e
i saggi sociologici: il nuovo
simbolo della presunta
decadenza morale della società
nipponica si chiama enjo kÿsai.
E’ un’espressione difficile da
tradurre. La pubblicistica
anglofona lo rende con la
formula “dating for assistance”,
in Italia qualcuno lo ha tradotto
con “appuntamenti
ricompensati”; si tratta di una
forma inedita e, secondo la
narrativa televisiva, piuttosto
diffusa, di prostituzione
dilettantistica che coinvolge una
clientela solitamente composta
di uomini fra i trenta e i
cinquant’anni e le ragazzine
delle scuole superiori, alla
ricerca di denaro per finanziare
l’acquisto di costosi accessori
firmati Gucci e Prada.
Ma c’è un altro elemento che
rende l’enjo kÿsai
particolarmente interessante per
i giornalisti e i sociologi e
riguarda questa volta non tanto i
suoi protagonisti quanto
piuttosto i mezzi di
adescamento utilizzati in queste
di Matteo Segni
MONDO MISTERIOSO: TEREKURA
Permalink n.2 Novembre 2006 14
giapponese del sesso, ma anche
per il loro stretto legame con le
nuove forme di comunicazione
telefonica. All’epoca della sua
nascita, nell’86, il terekura
sfrutta un servizio di
messaggeria vocale attivato dalla
compagnia nazionale NTT, con
la quale le ragazze recapitano
inizialmente i propri annunci;
ma la vera espansione avviene
nel decennio successivo, insieme
allo sviluppo delle prime forme
di telefonia mobile accessibili
alla fascia di mercato dei giovani
e degli adolescenti: i PHS (una
specie di via di mezzo fra
cellulare e cordless) e i pokeberu
(“pocket bell”), dei piccoli
cercapersone che permettono di
inviare e ricevere brevi messaggi
di testo. Quando i media
giapponesi hanno iniziato a
interessarsi febbrilmente ai
terekura e al fenomeno della
prostituzione minorile, la
diffusione della telefonia mobile
fra i liceali, soprattutto fra le
ragazze, era percepita come una
parte del problema: lo squillare
ossessivo dei pokeberu sulla
metropolitana, l’immagine delle
ragazzine in uniforme che a
ogni angolo di strada
mandavano e ricevevano
continuamente messaggini,
sembravano suggerire
all’opinione pubblica l’idea che
un’intera generazione di teen
agers passasse il tempo a
intrattenere rapporti e
combinare appuntamenti con
un’altra generazione di attempati
signori, rinchiusi da qualche
parte nei cubicoli dei telephone
clubs. La telefonia portatile, la
moltiplicazione dei terekura, la
prostituzione minorile vengono
associate dai media in modo da
comporre un unico fenomeno
allarmante, in cui le nuove
forme di comunicazione sono
additate come le principali
responsabili.
L’isteria comincia a sgonfiarsi
verso la fine degli anni novanta,
in parte grazie a una serie di
inchieste più accurate sul
mondo dell’ enjo kÿsai, in cui la
reale portata del fenomeno
viene drasticamente
ridimensionata, in parte grazie
al fatto che l’espansione di
internet (piuttosto tardiva in
Giappone) sancisce il declino
dei terekura.
L’aspetto notevole della
diffusione dei terekura negli
anni novanta è proprio il fatto
che i servizi che offrono
sembrano anticipare in un certo
senso le funzioni delle chat-
rooms e dei forum che oggi
imperversano sulla rete. Nel
gigantesco panorama del
mercato nipponico della
pornografia e della
prostituzione (illegale, ma
ufficiosamente tollerata) i
terekura non sarebbero stati di
per sé nient’altro che una novità
fra le tante. I quartieri a luci
rosse delle grandi città
giapponesi presentano infatti
una varietà tipologica di locali e
relativi servizi che sfidano la
fantasia più fervida, ma i
terekura, sembrano
particolarmente interessanti
proprio per il loro legame con
le nuove forme di
comunicazione telefonica oltre
che per una specie di dote
profetica. In un certo senso
sono la materializzazione, la
versione analogica, concreta,
abitabile di quelle chat-rooms
che oggi popolano la rete; ed è
curioso constatare che ancora
una volta l’esperimento sia stato
prodotto dal mercato del sesso
e della pornografia, un territorio
spesso di avanguardia, lo si
voglia o no.
Due tavole da un fumetto di pdi educazione civica, volto a
responsabilizzare le giovani sui rischi del telephone club. Sfogliatelo
per intero partendo da questa homepage.
INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 15
Entrare su
Myspace
Siamo tutti amici di
Tom: nessuno dice che
il social network più
famoso del mondo
ormai è fuori controllo.
emergenti è Myspace assurge al
ruolo di indispensabile biglietto
da visita, per artisti, sedicenti tali
o singoli che vogliono,
attraverso immagini, pensieri e
commenti, ricrearsi un’identità e
un network di amicizie,
altrimenti impossibili nella
realtà.
Per quanti, pochi in realtà, che
ancora non conoscono questo
fenomeno imperante, ecco
spiegato il suo funzionamento:
tramite la solita iscrizione
gratuita, si può usufruire di una
pagina personale nella quale
inserire i proprio gusti,
aspirazioni, foto, pensieri e nel
caso di un gruppo, i propri
brani, scegliendo di renderli
scaricabili o meno, e, magari, le
date dei concerti. Il tutto
all'insegna dell'orizzontalità. In
un certo senso, ha ragione chi
sostiene, come Francesco
Farabegoli, redattore di Nero
magazine, che "Myspace è il
sogno erotico di una casa
discografica mascherato da
esegesi della democratizzazione
ultima della rete". Per conoscere
una nuova band è sufficiente
riuscire a trovare la pagina
Myspace, magari leggere il
profilo artistico, ascoltare le
tracce e decidere se comprare a
colpi di click il nuovo cd. Sotto
questo profilo, Myspace ha
avuto il merito di offrire una
possibilità anche al gruppo
meno conosciuto della terra.
Prendiamo il caso degli Arctic
Monkeys, gruppo inglese attivo
dal 2000 e ignoto fino al 2005,
anno in cui, grazie solo alla
crescente popolarità raggiunta
su Myspace, diventa
famosissimo, firma un contratto
con un'etichetta discografica, fa
concerti sold-out in pochi
minuti e scala vertiginosamente
le classifiche.
Fama e credibilità, non solo
all'interno del network, sono
merci che ti conquisti con il
JennyP
Alla tenera età di 6 anni, la
madre la veste da punk e
la spedisce ad una festa di
carnevale. Litiga
immediatamente con
Cenerentola e Superman,
che non la capiscono. Ora
ha 25 anni ed è la regina
dell'underground romano
yspace rientra
nell'ordine di
cose la cui
crescente
popolarità è
risultata direttamente
proporzionale all'aumento delle
critiche. Il suo uso, talvolta
spasmodico, da parte degli
utenti, l'ha reso il social network
in assoluto più frequentato, con
un posto tra i primi dieci portali
più visti al mondo. Sarebbe
forse un azzardo paragonarlo
alla vecchia piazzetta o alla sala
giochi, ma la sua funzione
socializzante è quasi sfuggita di
mano.
Il sito nasce nel luglio 2003,
quando Tom Anderson (uno
studente dell’Università di
Berkeley, California) decide di
creare una community musicale
di poche pretese, con il solo
scopo di mettere in relazione
persone comuni e musicisti. In
breve tempo, il successo
inaspettato: da vetrina di band
e cercare di uscirne...
di Jenny P
INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 16
passaparola che, da amici a
conoscenti, si propaga sempre
più lontano. Il meccanismo per
trovare "amici" è dieci volte più
semplice che nella vita reale, la
parte noiosa, quella del “come-
ti-chiami-che fai-che-musica-
ascolti”, è esclusa. Si va diritti al
al nocciolo: "Add to friends".
Mentre vaghi per il sito (perché
al di là di esigenze particolari, è
questa la sua funzione primaria),
prima o poi ti imbatti nella
pagina di un singolo i cui
interessi sono affini ai tuoi;
clicchi sul pulsante “aggiungi”,
aspetti che venga accettata la tua
richiesta, ed ecco fatto: hai un
nuovo amico. Non appena ci si
registra l’unico amico che hai è
Tom (il fondatore). Lui non ti
chiede chi sei, non aspetta una
tua richiesta, né tantomeno te la
pone: lui è tuo amico. E basta.
E’ come un padrone di casa
particolarmente zelante che ti
invita alla sua festa, ti accoglie, ti
offre da bere e gentilmente ti
presenta ai suoi 123.432.426 (in
crescita, ovviamente) amici, per
poi scomparire nell’ombra e
aprire la porta ai nuovi invitati.
Non mancano ovviamente le
magliette “Tom is my friend”
(in cui si ironizza sulla propria
mancanza di amici) e “Tom is
NOT my friend” (in cui si
sottolinea la propria non
partecipazione a Myspace).
Ma ciò che conta è il fatto che il
numero di amici presente nella
propria pagina rende le persone
bramose di averne sempre di
più, spingendo gli utenti verso la
spasmodicità, senza curarsi di
loro profili e interessi, i nuovi
amici vengono aggiunti con il
pensiero fisso solo a quel
numeretto che crescerà, che
aumenterà la propria popolarità.
"Qual è la tua pagina
Myspace?": non siamo lontani
dal giorno in cui, sul biglietto da
visita, tra la professione e il
numero di telefono ci sarà la
quantità di amici virtuali. Al
termine di questo vortice di
vuota perversità esistono
addirittura software, a
pagamento, che permettono di
aggiungere amici
automaticamente come
Autoadder o Friend adder. Su
Myspace l'importante non è che
tipo di amici hai, ma quanti ne
hai. E quello che più ci piace è
che accanto a Mary, John e
Frank, ci possono essere i
Pixies, Solange o Michel
Gondry, e sono tutti nostri
amici. A prima vista è spiazzante
trovare tra gli amici di Mary,
"18enne americana che ama i
biscotti", Madonna e gli U2. Ma
informandosi meglio si scopre
che in realtà loro, con il profilo,
hanno a poco a che fare. O
meglio, qualcuno per loro
aggiorna le news, mette online i
pezzi nuovi, modera i commenti
e accetta le richieste di amicizia.
L'orizzontalità apparente
proposta dal sito, tra rockstar e
fan, in realtà non è altro che
l'antico rapporto fan-ufficio
stampa della rockstar. Quando
Madonna accetta la tua richiesta
di amicizia è come se la sua
segretaria ti mandasse una sua
foto autografata in serie.
Un'altra caratteristica del tuo
profilo sono i commenti che
ognuno (ovviamente un
"ognuno" loggato, se non ti
registri non hai accesso ai
contenuti del profilo, come foto,
video e blog entry) è libero di
lasciare sulla tua pagina. Ma la
loro primaria funzionalità, quella
che interessava ai gruppi che
uploadavano i loro brani nuovi e
Myspace ha il merito di offrire
una possibilità anche alla band
piu’ sconosciuta della terra.
INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 17
cioè il parere dei fans, ormai è
stata superata e si spazia dalla
vasta gamma dei "grazie per
l'add" (traducibile con "grazie
per avermi aggiunto") a frasi
decontestualizzate e prive di
interesse, con cui gli user
commentano la serata passata
insieme. Per questo
teoricamente ci sono i messaggi
privati o l'istant messaging, ma il
fatto che questo tipo di pensieri
ammiccanti imperversino su
qualunque pagina dimostra il
goffo tentativo di dare una
parvenza di realtà a questa
socialità virtuale.
Un video illuminante sul
fenomeno è Myspace - The
Movie, una simpatica presa in
giro del teenager americano che
allestisce un set fotografico nel
suo bagno, si aggiusta il ciuffo,
guarda di traverso in camera e
ammicca sornione, pronto a
farsi degli scatti da uploadare sul
suo profilo, o degli imbarazzanti
appuntamenti al buio con utenti,
la cui foto di presentazione è
distante anni luce dalla realtà.
Il design della piattaforma, in sé,
è decisamente piatto, addirittura
monotono. Ecco allora i
programmi, come Thomas
Editor che permettono, anche a
chi non ha la minima nozione
del linguaggio HTML, di
modificare il proprio appeal. A
questo punto, la tua pagina può
avere uno sfondo
particolareggiato, pulsanti
personalizzati, slide di foto,
video, canzoni (per i singoli) e
Big Rupert si scusa e cambia i
termini, non esige piu’ i diritti di
proprietà su foto, video e suoni
mille altri ammenicoli virtuali,
ideati per farti spiccare in mezzo
alla monotonia visuale di tutti
quegli altri utenti che ancora
non hanno provveduto a rifarsi
il trucco.
Ma non sempre l'originalità
cromatica porta a efficaci
risultati come dimostrano Worst
Of Myspace, un sito che ogni
giorno propone i profili peggiori
(sia dal punto di vista
ornamentale che da quello
contenutistico) e la
competizione indetta da Zefrank
www.zefrank.com, sito
americano di progetti interattivi,
film e giochi in flash, che l'anno
scorso ha premiato il profilo di
soybuddha, come pagina più
brutta esteticamente, mai esistita
su Myspace. Ma gli smaliziati
sanno che il piattume
decorativo, in realtà è un
vecchio trucco particolarmente
efficace; Robert Scoble, il
blogger più famoso di casa
Microsoft, in un suo recente
articolo, ha illustrato come siti
dal design piuttosto antiestetico
siano i più efficaci (pensate allo
stesso Google o Craiglist)
perché percepiti più autentici,
meno commerciali, frutto di
passione per il servizio piuttosto
che schiavi di interessi monetari.
Come da copione happy ending,
l'inspiegabile e portentosa
popolarità raggiunta da MySpace
in poco più di due anni, ha
scomodato l'interesse dei giganti
del Big Business e il magnate
australiano Rupert Murdoch nel
2005 versa sul conto corrente di
Tom 580 milioni di dollari in
cambio dei suoi spazi. Finita la
magia del sogno americano,
INTERNET: USCIRE DA MY SPACE
Permalink n.2 Novembre 2006 18
l'atmosfera cambia. Con
l’acquisizione da parte di Big
Rupert si sono scatenati
movimenti di boicottaggio che
prevedono un'accurata lista di
punti secondo i quali Myspace è
il demonio. Gli attivisti di (L)eft,
blog collettivo dedicato alle
autoproduzioni musicali libere,
nato da Copydown.org, nel
giugno 2006 decidono di
dichiarare guerra a Myspace,
distribuendo materiale
informativo e cercando di
costruire una community online
scevra da qualunque pubblicità.
Attualmente, Jamendo e
Mugshot (open source) sono i
social network più accreditati
come alternativa a Myspace.
Per una curiosa clausola, in
pochi si accorgono che i diritti
dei brani uploadati dagli artisti
diventano automaticamente di
proprietà del padrone del sito,
Murdoch. Lo scorso giugno
Billy Brag, noto cantante folk
americano, indignato dall'uso
improprio dei suoi pezzi, a
maggio di quest'anno fa sapere
che non è assolutamente
d'accordo con il contratto e
riesce a far cambiare la clausola
sulla proprietà del materiale
pubblicato. A luglio Big Rupert
si scusa e cambia i termini, che
ora dicono "MySpace.com non
esige alcuni diritti di proprietà
sui testi, immagini, foto, video,
suoni (...) o altri materiali
postati. Dopo l'invio del vostro
materiale, continuate a
mantenere tutti i diritti di
proprietà e continuate ad avere
il diritto di usare il vostro
materiale".
Nello stesso mese il sito va
pesantemente in panne,
apparentemente per un guasto
elettrico, ma c'è chi più
realisticamente suggerisce che si
sia trattato di un attacco di
hacker. Tom Anderson ammette
che la questione gli è sfuggita di
mano, con lo spiacevole risultato
di script nocivi che mandano in
tilt il sistema di alcuni utenti,
insieme ad adware e trojan che
sono stati inseriti su migliaia di
pagine, cammuffati da innocui
file multimediali. E ancora più
semplice deve essere, per terzi,
usufruire dei dati personali degli
utenti. Due hacker sono finiti in
manette per aver minacciato il
sito di rivelare la falla
informatica che permetterebbe a
chiunque di visionare i dati dei
profili, rivelando quanto la
propria privacy sia facilmente
violabile, debolezza già nota agli
utenti più popolari, da tempo
bersaglio di numerosi spammer.
Ma fra adolescenti ormonici,
boicottatori, maniaci di ogni
genere, nel mondo di MySpace
sono sbarcati infine anche i
marines, segno ultimo di un
social network fuori controllo.
Militari patrioti hanno infine
conquistato la pagina del Corpo
dei Marines e dal loro presidio si
impegnano a fare proseliti
virtuali. Ed ecco che accanto ai
classici pulsanti "invia un
messaggio" o "aggiungilo come
amico", non ci si fa mancare un
"contatta un reclutatore".
This baby is
topping out
Il grafico qui sotto,
che indica la battuta
d’arresto di Myspace,
arriva da Realmeme:
myspace_meme
SCARTABELLAMENTI
Permalink n.2 Novembre 2006 19
In materia di
libri, come con le
donne, spesso si
gode più di
esemplari che
non possederemo mai, piuttosto
che di ciò che finiamo per
mettere in pratica, coi volumi o
le compagne che ci
appartengono davvero.
Chi affermi di essere giunto a
disporre completamente di un
best-seller, o di una vera signora,
dimentica che, a volte, perfino le
più serie di esse possono
risultare flessibili come la
copertina di un paperback. Per
inverso, è un fatto che dietro
certe sovraccoperte dall'aspetto
innocuo si possano nascondere
bordi pagina più graffianti delle
unghie di una vamp.
Anche quando preleviamo un
libro da un nostro scaffale, in
realtà, lo stiamo prendendo in
prestito. Non riusciremo mai a
leggerlo abbastanza spesso, e
con la giusta attenzione, perché
non ci sfugga sempre gran parte
del suo significato, e dunque
della sua proprietà. Ma è
proprio qui la massima parte del
suo fascino: in questo
concedersi e negarsi, da parte di
qualcosa che crediamo nostro,
in virtù di un contratto illusorio,
ma perfettamente legale.
Anche dai libri, allora, ci si può
difendere attaccando.
Ad esempio, i libri che si danno
in prestito nelle biblioteche, non
è che ci sia questo straordinario
piacere a personalizzarli.
Possiamo maneggiarli, prenderci
appunti, fingere di dimenticarvi
liste della spesa a mo' di
segnalibro. Eppure, fare proprio,
in vario modo, qualcosa di
apparentemente pubblico, riesce
ad appagare solo fino ad un
certo punto i desideri dei
bibliofili più viziosi. Certo,
almeno alle prime ramanzine
ricevute, non potranno negare
di aver saputo godere anche
solo del contravvenire alle
raccomandazioni della
bibliotecaria. Questo,
soprattutto perché, per gli esteti
versati in questo campo che non
siano più in età scolare, una
bibliotecaria può essere tutto
quanto resti, in una vita ormai
fatta di sole segretarie
condiscendenti, o redattrici
fetenti, dell'antico mito di
rispettabilità della penna rossa di
una maestrina.
Inoltre, alcuni sapranno godere
del riconoscere in quei volumi,
all'apparenza solo consunti,
notizie di altre dimensioni, di
esperienze altrove. Scovarvi
tracce di piacere altrui, e
lasciarne di proprie,
contribuendo alla particolare
Le perversioni
di carta
E’è chi si perverte
Con una lettura
rilassata, nel
raccoglimento di
una piccola libreria di
provincia.
diversità di qualcosa che
potrebbe sembrarci nostro, per
il periodo del suo tempo che ci
spetta, ma che è nato per essere
di tutti. Ma, sia detto fra noi:
risiede proprio in questo il vero
limite dei volumi di biblioteca, ai
nostri fini: il fatto che libri come
questi, in un certo senso,
di Giovanni de Stefano
Permalink n.2 Novembre 2006 20
rendersi tanto disponibili, lo
facciano in fondo solo per
professione.
Invece, pensate alla gioia di fare
altrettanto con delle vere copie
da libreria: nuove, intatte. Che
vengano esposte, e spesso
acquistate, convinte di poter
essere fedele proprietà di un
unico beneficiario, e spesso
finendo col persuadere anche
quest'ultimo della cosa.
Ciò che più ci interessava,
pervertendoci nelle biblioteche
nazionali e comunali, qui venga
capovolto: nelle Feltrinelli più
confortevoli, come nelle
Mondadori meno respingenti,
l'obbiettivo diviene quello di
rendere pubblico ciò che
sarebbe destinato al privato,
prendendosi gioco del concetto
di possesso, se applicato agli
oggetti della lettura e della
riflessione, in un file sharing di
cui siamo pirati all'arrembaggio
fin dell'ultimo scaffale. Con
spirito uguale e contrario a
quello che ci illudeva, in fila al
banco dei prestiti, di vivere in
casa nostra, con un volume che
era e sarebbe stato, al di là di
quel mese da Pretty Woman, di
tutti.
Impadroniamoci per qualche ora
di un divanetto - banco di prova
di tante unioni - su cui
stroncheremo o adoreremo, in
amori a prima vista, al solo
rivelarsi di una copertina;
matrimoni e repentini divorzi
d'interesse, con libri che non
leggeremmo mai per intero, di
cui non ci serviva che una
citazione o il finale; amicizie
eterne o fugaci tradimenti;
relazioni di una vita con certi
tomi che avremo il coraggio di
comprare solo fra dieci anni, o
la fortuna di ricevere in dono
all'indomani del primo incontro.
E, fra una delusione e un
giuramento, cominciamo,
dapprima a matita, ad apporvi
note a piè di pagina;
sottolineature; perfino orecchie,
segnalibro di indimenticabili
pomeriggi: messaggi in bottiglia
che solo una posterità
retrograda potrebbe non
apprezzare. O, ancora peggio:
portare segnalibri nostri, fedine
di un fidanzamento cornificato
in partenza, ma che sono forse
l'unico modo di far sì che quelle
pagine, e quello che
rappresentano, siano amate,
oppure odiate, o semplicemente
eternamente. Non dovrebbero
esserci che coppie aperte, fra noi
e i libri.
Facciamo credere alle copie che
abbiamo fra le mani che, con
loro, se ci prendiamo certe
libertà, è per il fatto che sono
ormai vendute - come delle
patatine al supermercato
assaggiate prima del tempo - ma
senza poi mettercele veramente
in casa. Liberarle da un
cellophane identico a quello di
ogni altra copia - quel modo
così provocante di mostrare la
propria incontaminatezza - per
illuderle, ognuna stretta nella sua
rilegatura, di essere unica al
mondo, e con la speranza di
appartenere, un giorno, ad uno e
un solo lettore. In un necessario
modello di poligamia bibliofila
che il pipatore all'inglese potrà
definire, pur senza fare troppi
giri intorno alla cosa,
semplicemente: "rotation"; ma
per cui la copia in questione -
prima di comprendere che da
tutto questo ha solo da
guadagnare - soffrirà ogni volta
come se fosse la sola vittima di
un sistema vecchio come la sua
prima, unica edizione, dal 1987
profondamente traumatizzata,
ma non ancora esaurita.
Tutto ciò non vuol dire che, per
questo tipo di lettori - casanova
e dongiovanni, vittime e
carnefici al tempo stesso,
dell'amore - una buona volta, la
scintilla non possa
effettivamente scoccare. Il
tempo che lettore e libro
avranno trascorso insieme su
quei centimetri quadrati di
similpelle (spesso così
faticosamente rimediati), in caso
di acquisto, sarà ricordato come
una felice convivenza; un passo
necessario, prima di condurre
quel libro dritto alla cassa,
l'altare post-moderno delle loro
nozze; un passo senza il quale
un salto nel buio sarebbe
Un giovane colto
Nella flagranza dello
scrocco, durante la
preparazione del
saggio su Winnie
Pooh che lo renderà
finalmente un
cliente pagatore.
SCARTABELLAMENTI
Permalink n.2 Novembre 2006 21
avventatezza o perversione. In
quest'ottica, quando vediamo
studenti di legge trascinare per
le librerie pesanti codici
commentati, nel loro sguardo
volto ad una pila di saghe
fantasy, un attimo prima di
pagare ed uscire, vediamo le
stesse pene degli sposi infelici di
matrimoni combinati.
E' una tempesta ormonale della
cultura, che solo l'istituzione di
biblioteche virtuali come
Google Book Search minaccia
d'acquietare (per tacere dell'ira
funesta dei buttafuori dei punti
vendita meno illuminati,
naturalmente).
Il sistema, vera rivoluzione anti-
copernicana del book-crossing
(la pratica di lasciare propri libri
incustoditi in giro per il mondo),
infatti, non riesce altro che
nell'impresa di far apprezzare al
globo intero la stessa identica
copia di un qualunque libro,
facendola restare ferma e
immobile presso Mountain
View, Contea di Santa Clara,
California, dove ha sede il
quartier generale di Google.
Nessuna impronta digitale alla
rucola su alcuna delle pagine di
un solo libro condiviso da tutti,
dotato di un copertina virtuale
color dell'uniforme della polizia
repubblicana ceca. E, in cambio
di un volume in carta e dorsi, da
posare sul nostro petto tanto
inquinato, le cui emanazioni
respiriamo come un Vicks
Vaporub non spalmabile, ma
altrettanto medicamentoso,
milioni e milioni di sole
introduzioni, giacché nella quasi
totalità dei casi, oltre la decina di
pagine la maîtresse digitale di
Google non ci farà proseguire.
Non resta che augurarci di poter
soprendere, ancora per molto
tempo, di quelle studentesse
modello, che preparano storia
dell'architettura 1 e 2, nel
salottino al piano interrato della
Feltrinelli di largo Argentina, a
...l'obbiettivo diviene quello di
rendere pubblico ciò che sarebbe
destinato al privato...
Roma. E tutto sotto lo sguardo
quasi benevolo dell'addetto al
reparto. Perché arriva un
momento, nella vita di uno
scroccone di librerie, in cui il
commesso che finge di non
vederti da sei-sette mesi deve
operare una scelta, su di te.
E' molto simile a quello che
succede in un'altra sezione della
stessa libreria, quando si
comincia a provare da troppo
tempo un solo gioco della
Playstation. Per chi supera lo
scoglio iniziale del racket della
fila, gestito perlopiù da bambini
tatuati temporaneamente,
diventa facilissima la
contaminazione col mondo delle
sale giochi. Grazie alle memory
card, anche interminabili giochi
di ruolo vengono finiti, sotto lo
sguardo ormai ammirato pure
del più acerrimo commesso, che
non ci considererà più
scrocconi, ma borsisti.
GoogleBooksSearch
La schermata che ci
nega l'accesso al libro
che consultavamo,
dopo qualche pagina
più o meno allettante.
SCARTABELLAMENTI
FENOMENI: LIMITE A ZERO
Macchine, uomini e altre
prossimità...
di Graziano Nani
l concetto di limite
[…] descrive il
comportamento di
una funzione
secondo il valore
dato al suo argomento da 0
all’infinito. Quando il limite tende a
zero la funzione si avvicina al punto
originario, al nucleo fondativo, alla
radice, all’elemento generativo
dell’intero sistema di riferimento. In
quel momento (stiamo parlando di un
momento teorico, astratto, in assenza
di tempo di fatto) vi è una tensione
forte e primitiva, un avvicinamento,
una prossimità.
L’intro di 0006_limiteazero, il
saggio a più mani edito da
Hublab, inquadra così la realtà
forgiata dalle menti di Paolo
Rigamonti e Silvio Mondino,
che da una decina d’anni si
tormentano senza sosta sul
senso della prossimità. Tra cosa?
GrazianoNani
Corrotto dalla frenetica e
impietosa vita del
pubblicitario, cerca la
redenzione ma sempre nel
posto sbagliato.
Permalink n.2 Novembre 2006 22
Tra uomo e macchina, verrebbe
da dire di primo acchito. In
realtà i lavori di Limiteazero
hanno un senso più ampio.
Paolo e Silvio lavorano come
spinti dalla consapevolezza
dell’esistenza di un nucleo verso
il quale tendono a convergere
mondi diversi, spesso
ineluttabilmente distanti,
all’apparenza. La storia di
Limiteazero è la summa dei
tentativi di gettare ponti e
intavolare dialoghi, contemplare
dimensioni e misurare fattori sui
quali di rado ci si ferma a
riflettere. Dalle prime opere
realizzate, strettamente orientate
al software e alla
programmazione, alle ultime
idee dalla forte impronta fisica, e
autoesplicativa, Limiteazero
coinvolge senza sosta codici di
programmazione e costrutti
grafici tridimensionali, approcci
estetici e agglomerati
ingegneristici, stringhe di dati e
seducenti assemblaggi artigianali.
Fredde, asettiche, minimali nella
loro essenzialità algida e senza
vezzi, quelle di Limiteazero sono
opere che nella continua
generazione di sinapsi trovano
un senso profondamente
narrativo. Detto questo, si può
affermare senza remore che sì,
uomo, macchina e ambiente,
sono al centro di una serie di
riflessioni che inesorabilmente
scaturiscono dalle opere di
Limiteazero…
… ma di tutto questo, e molto
altro, mi preoccupo poco in un
mercoledì qualunque di ottobre,
mentre taglio in due la zona di
Paolo Sarpi determinato a
spaccare il minuto per il mio
appuntamento con Paolo
Rigamonti. Appena varco la
soglia dello studio un’atmosfera
guizzante di energia silenziosa
mi mette subito a mio agio,
insieme alla mano di Paolo che
stringe la mia e mi fa
accomodare: “Paolo Rigamonti,
piacere.” Anche Silvio Mondino,
assorbito dal suo laptop in
fondo alla stanza, si separa per
un secondo dalla luce dei pixel
per presentarsi, salvo ritornare
rapido alla sua postazione.
Finalmente Limiteazero ha un
volto, anzi due. Per il resto, nella
stanza, nessuna traccia di tutto
quello che il laboratorio
richiama alla mia mente: nessuna
installazione segue i miei
movimenti e interagisce con me,
nessun flusso di dati attraversa il
locale, tranne quello dei 2
portatili che illuminano
sommessamente l’angolo più
lontano da me.
PPaaoolloo,, ccooss’’èè LLiimmiitteeaazzeerroo??
Le persone che stanno dietro a
Limiteazero sono 2, io e Silvio
Mondino, insieme a una rete molto
elastica di collaboratori che si
riuniscono e disperdono a seconda dei
lavori. Il progetto può essere descritto
come uno studio di Media Design e
Media Art, e lavora in 2 direzioni
fondamentali: quella della pura
ricerca, rappresentata dai progetti che
normalmente vanno nelle gallerie, nei
musei, nei festival. Attraverso questi
percorsi tendiamo poi a stabilire
metodologie di lavoro che applichiamo
anche ai progetti svolti su
commissione.
Però, penso... Paolo snocciola
informazioni essenziali
scandendo i concetti con
un’espressione intensa che salta
tra me e il fedele registratore -
rigorosamente analogico – che
mi accompagna.
EE ccoommee vviivveettee qquueessttaa
ddiiccoottoommiiaa ttrraa llee ooppeerree cchhee ssoonnoo
ffrruuttttoo uunniiccaammeennttee ddeellllaa vvoossttrraa
ccrreeaattiivviittàà,, ee qquueellllee rreeaalliizzzzaattee
aa ffiinnii ccoommmmeerrcciiaallii??
La differenziazione che ti ho fatto è,
come dire, merceologica. Il punto è che
i lavori commerciali vengono pagati,
quelli che sviluppiamo
sperimentalmente sono autofinanziati,
ma in realtà lavoriamo esattamente
allo stesso modo. Anche quando
operiamo su commissione la fortuna è
che, proprio grazie al nostro
background legato all’arte e al design,
ci vengono dati dei brief molto
generali, che ci lasciano grande libertà,
e ci permettono di sperimentare. Non
facciamo mai lavori commerciali in
senso stretto. Spesso, anzi, è accaduto
il processo inverso a quello canonico, e
Permalink n.2 Novembre 2006 23
ci è stato chiesto di portare in galleria
progetti nati come commerciali. E’
stato il caso, ad esempio, di
laptop_orchestra.
Mi colpisce, soprattutto, la
sobrietà con cui Paolo affronta il
tema, come se Limiteazero
avesse già superato da tempo la
questione, intento a puntare
oltre. Mi chiedo da quali
background provenga questo
approccio, se la formazione
professionale abbia in qualche
modo indicato la rotta.
QQuuaallii ssoonnoo ii vvoossttrrii
bbaacckkggrroouunndd,, ddaa qquuaallii mmoonnddii
pprroovveenniittee??
Io sono architetto, sono entrato nel
primo studio d’architettura a 17 anni,
e ci ho lavorato fino a una dozzina di
anni fa, occupandomi di edifici,
interiors, ristoranti, … Silvio proviene
da una realtà completamente diversa,
ha fatto studi di elettrotecnica, per poi
occuparsi di musica elettronica e di
graphic design allo IED. Ci siamo
incontrati una decina di anni fa,
lavorando su quelli che erano i nuovi
...nella stanza, nessuna traccia
di tutto quello che il laboratorio
richiama alla mia mente...
media crescenti; da lì è nata la
curiosità di sondare alcuni aspetti che
stavano dietro la facciata di
marketing, e man mano Limiteazero
è cresciuto.
DDuuee ppeerrccoorrssii ttoottaallmmeennttee
ddiiffffeerreennttii…… qquuaall èè iill vvaalloorree
aaggggiiuunnttoo ddii uunnaa ccoollllaabboorraazziioonnee
ccoommee qquueessttaa??
Più che di background, è una
questione di due teste con forme
differenti che unite riescono a
compenetrarsi. Da quando abbiamo
formato Limiteazero le nostre
competenze si sono lentamente fuse
insieme, generando un altro tipo di
professionalità.
Mi chiedo in che modo una
simile realtà riesca ad assorbire
contributi esterni…
CCoossaa ddeevvee ffaarree cchhii vvuuoollee
ccoollllaabboorraarree ccoonn vvooii??
Molta fatica. L’esperienza che
viviamo è parecchio introspettiva, per
noi è uno sforzo pazzesco fare
sharing. Quando cresci con questo tipo
di logica, hai in testa l’intero progetto
dall’inizio alla fine, tendenzialmente
saresti in grado di svolgere tutte le
attività da solo, e diventa difficile
fidarti degli altri e spiegarglielo.
Bene, è il momento di entrare
nel vivo, penso. È la prova del
nove: vediamo se con poche
coordinate riusciamo a
inquadrare l’aspetto più
complesso di Limiteazero: gli
ambiti di riferimento.
DDeessiiggnn,, aarrcchhiitteettttuurraa,, ccuullttuurraa
eelleettttrroonniiccaa,, tteeccnnoollooggiiaa:: ssoonnoo
qquueessttii ii mmoonnddii ddii rriiffeerriimmeennttoo
iinn ccuuii vvii ccoollllooccaattee,, ggiiuussttoo??
In realtà non ci collochiamo, sarebbe
deontologicamente sbagliato.
Viaggiamo trasversali attraverso tutte
queste categorie, e non solo. Se c’è una
particolarità, del nostro lavoro, verte
proprio su questo criterio di
trasversalità. Prendiamo i linguaggi di
diverse discipline, e tentiamo di
coniugarli in questo gramelot estetico
molto personalizzato. E non hai
citato l’aspetto ingegneristico dei nostri
lavori. Noi abbiamo una filiera
assolutamente medievale: dall’idea fino
all’ultima vite stretta, accade tutto in
questo studio, con un controllo totale.
Scriviamo il codice sorgente, facciamo i
disegni architettonici, compriamo
l’elettronica e la montiamo. Tranne
rare eccezioni, il nostro è un criterio
artigianale: prendiamo i componenti
nei negozi, e li assembliamo in una
macchina funzionante.
Permalink n.2 Novembre 2006 24
QQuuaall èè llaa ffiilloossooffiiaa ddii
LLiimmiitteeaazzeerroo??
Non abbiamo un punto fondamentale,
una bandiera, un motto, un manifesto
da seguire scritto, documentato.
Abbiamo sempre lavorato caso per
caso, e ci siamo costruiti una filosofia
di lavoro senza raccontarcela. La
filosofia è deducibile ripercorrendo i
nostri lavori. Io non la so descrivere,
questa continuità filosofica, però c’è,
esiste. Più volte ci è stata riconosciuta
un’impronta molto precisa, non solo
stilistica, ma anche metodologica.
Anche Silvio si stacca per un
secondo dal laptop e conferma:
il nostro nasce come lavoro di ricerca,
non ci siamo posti in partenza un
obiettivo preciso verso il quale tendere.
Man mano abbiamo definito meglio le
indagini, i percorsi.
Paolo continua:
questa è la ragione per cui non ci
Scriviamo il codice sorgente,
facciamo i disegni architettonici,
compriamo l’elettronica e poi la
montiamo.
definiamo artisti: non abbiamo quel tipo
di logica di lavoro. Stabiliamo questa
convenzione per chiarirci: io definisco
artista chi ha un’idea, e utilizza uno
strumento per darle corpo. C’è una
specie di premeditazione, nel gesto
artistico. Per noi è quasi sempre
l’opposto: siamo affascinati dallo
strumento, lo utilizziamo, e riusciamo a
dargli una valenza poetica man mano
che ne tiriamo fuori le caratteristiche.
Sono perplesso…
PPaaoolloo,, nnoonn ssoonnoo dd’’aaccccoorrddoo,, nnoonn
ccii ccrreeddoo cchhee ttuuttttii ggllii aarrttiissttii –– mmii
vveennggoonnoo iinn mmeennttee qquueellllii cchhee
llaavvoorraannoo mmoollttoo ‘‘ddii ppaanncciiaa’’ ––
ccoommiinncciiaannoo aa ccrreeaarree ccoonn uunn
mmeessssaaggggiioo ddeeffiinniittoo aa mmoonnttee……
Sì, ma noi non lavoriamo di pancia,
bensì con un criterio assolutamente
determinista. Abbiamo un modo molto
severo di lavorare, non procediamo in
preda alla furia creatrice. Quella, in un
certo senso, è inconscia.
Forse l’esempio dell’artista che
lavora d’istinto non era azzeccato,
ma continuo ad avere delle
perplessità…
SSccuussaammii PPaaoolloo,, ffaacccciiaammoo uunn
eesseemmppiioo:: qquuaannddoo aavveettee
ccoommiinncciiaattoo aa pprrooggeettttaarree
aaccttiivvee__mmeettaapphhoorr,, vvii ssvveegglliiaavvaattee
iill mmaattttiinnoo,, ee ccoossaa vvii ssppiinnggeevvaa aa
llaavvoorraarree?? VVoolleevvaattee ccoommuunniiccaarree
qquuaallccoossaa,, nnoo??
No, volevamo capire qualcosa. O meglio,
eravamo fortemente affascinati dallo
strumento. La prima cosa che abbiamo
fatto con il Carnivore è stata costruire le
4 linee di codice che andavano a vedere il
traffico che passava. Il primo feedback
era una schermata di stringhe di testo
incomprensibili che passavano in
continuazione. Due giorni li abbiamo
persi a guardare le stringhe: era bello,
era già una cosa viva, la gente non lo
sapeva ma stava interagendo con un
sistema che diventava qualcosa che ti
fluiva davanti. Era come guardare una
cascata d’acqua… sì, era una cascata di
dati. Quella era già la prima parte del
lavoro, quella più interessante. Poi certo,
si trattava anche di utilizzarli in
qualche modo, quei dati. Sai quando si
parla di Design Spontaneo, degli oggetti
che non sono stati disegnati da
architetti… sono belli perché
incredibilmente azzeccati, no? Può
sembrare pretenzioso, ma quello che
tentiamo di fare è ricavare dalle cose il
senso che è già insito nelle cose stesse.
Ancora non sono soddisfatto. Se
la prendo un po’ più larga, forse…
VVooii nnoonn ppaarrttiittee ccoonn uunn
mmeessssaaggggiioo ddaa ttrraassmmeetttteerree,, mmaa èè
iinndduubbbbiioo cchhee llaa ggeennttee nnee ccoogglliiee
ddii ddiivveerrssii,, aadd eesseemmppiioo lleeggaattii aallllee
rriifflleessssiioonnii ssuullll’’eevvoolluuzziioonnee ddeell
rraappppoorrttoo uuoommoo--mmaacccchhiinnaa cchhee
ssccaattuurriissccoonnoo ddaaii vvoossttrrii llaavvoorrii..
CCoommee vviivveettee qquueessttee
iinntteerrpprreettaazziioonnii??
Sono significati che abbiamo rivelato.
Come recita il nostro sito, ‘Limiteazero
lavora alla ricerca di relazioni
alternative nel rapporto uomo macchina.’
La frase non ci piace neanche più, ma la
lasciamo invariata ormai da 10 anni:
per quanto lineare, e banale, non saprei
trovarne una migliore. Noi tentiamo di
parlare con le macchine con un
linguaggio alternativo. Riteniamo che
Microsoft, con Windows, ha devastato
per generazioni il rapporto tra uomo e
macchina, ci vorranno anni per
recuperare. Ci sono altri modi di
lavorare con le macchine. L’elettronica
sta in un case di metallo, solitamente
orribile, che nascondiamo sotto la
scrivania. Con i nostri oggetti tentiamo
di modificare anche questo ruolo della
macchina, che può essere bella,
interessante.
Il concetto che chiude tutto, se proprio
vuoi che ti dica questa cosa, è che noi,
come gran parte degli artisti
contemporanei, attingiamo a piene mani
da Duchamp. Noi prendiamo
l’orinatoio, e lo esponiamo.
Sì, era proprio questo che volevo
sentirmi dire…
EEssiissttee aattttuuaallmmeennttee uunnaa sscceennaa
rreellaattiivvaa aallll’’aarrttee eelleettttrroonniiccaa??
MMoovviimmeennttii,, ccoorrrreennttii,, ……
C’è tanto che si muove in tutto il mondo,
Permalink n.2 Novembre 2006 25
con approcci e stili diversi. C’è la
Software Art, chi lavora con l’hardware,
con l’interazione… negli Stati Uniti è
nata Bitforms, la prima galleria privata
che tratta solo ed esclusivamente arte
digitale. Quello che dicevo per
Limiteazero vale per molti altri, definire
questi progetti ‘arte’ è una cosa che non
so se è giusto fare… Forse va fatta, ma
so per certo che al mercato dell’arte
contemporanea viene l’orticaria, non è
così ben disposto. Credo che prima che
l’arte elettronica entri a Documenta, ad
esempio, deve passare ancora qualche
anno. Poi magari l’anno prossimo
succede, le cose si muovono molto
velocemente…
QQuuaallii ssoonnoo ppeerr ttee llee rraaggiioonnii ddii
qquueessttoo aatttteeggggiiaammeennttoo??
Personalmente credo che il mondo
dell’arte contemporanea, nonostante si
fregi di essere molto raffinato, non sia
lontano dal mondo del marketing. È un
marketing con grandi interessi: 10
persone in giro per il mondo decidono
come deve funzionare e quali devono
essere i suoi equilibri; dietro c’è un
sistema economico molto potente.
Come per ogni nuovo linguaggio, c’è una
grande corrente di giovani critici
interessati a questo mondo, ma
l’establishment dei cinquantenni, dei
sessantenni, non è pronto a prendere in
mano il fenomeno.
In più, l’arte elettronica ha un problema
fondamentale: l’obsolescenza. Il nostro
lavoro può durare, 4, 5, 9 anni, ma già
rifare lo stesso progetto un anno dopo ci
ha creato dei problemi. Tra qualche
anno le cose che abbiamo fatto non
saranno più riparabili, dovremo andare
dagli antiquari per i pezzi di ricambio.
Guardo l’orologio, ho gli ultimi 5
minuti. Osservo Paolo, di fronte a
me, che si accende una sigaretta,
essenziale nei suoi abiti scuri
proprio come quando espone
concetti in pochi secondi… non
posso resistere, e l’ultima
domanda me la gioco così:
MMaa ffuuoorrii ddaa LLiimmiitteeaazzeerroo,, cchhii
ssiieettee?? CCoossaa ffaattee qquuaannddoo nnoonn
llaavvoorraattee??
Siamo maledettamene curiosi, è la sfiga
Permalink n.2 Novembre 2006 26
Paolo: active_metaphor
active_metaphor rappresenta la pietra miliare
del nostro lavoro. Prende il nome da una frase
di Marshall McLuhan, che dice: “E’ metafora
attiva ogni medium che ha la capacità di
modificare il suo contenuto e rappresentarlo in
una nuova forma”. Questa frase, molto criptica
e difficile da capire, per noi è diventata chiara
quando abbiamo realizzato active_metaphor,
che è esempio evidente del lavoro di
destrutturazione messo in atto da un sistema.
L’opera si basa su Carnivore, software
progettato da un network di sviluppatori
indipendenti partendo da un programma
studiato dall’FBI per spiare le reti informatiche.
Carnivore, da un computer posto in un punto
qualunque di un network, è in grado di sniffare
tutto il traffico che passa da quel nodo:
scambio di mail, FTP, richieste di siti internet, …
Ci affascina molto la possibilità di raccogliere
questa materia viva fatta di dati che scorrono.
Siamo totalmente disinteressati al contenuto, ci
interessa invece il fatto di avere questa specie
di “termometro della rete”, una macchina viva
che sputa in continuazione feedback sui dati
che stanno passando.
Usiamo un client per assorbire dai dati l’unica
cosa che hanno in comune, cioè il numero IP,
composto da 4 gruppi di numeri distanziati da
un punto. Ogni numero IP che passa lo
scomponiamo nelle sue 4 componenti, che si
trasformano in un sistema spaziale. I primi 3
numeri diventano le coordinate di un piano
euclideo, la terza determina il colore.
Nascono così delle architetture, modelli spaziali
in movimento che rappresentano il dato di rete
che sta passando in quel momento.
active_metaphor è un lavoro che ci è piaciuto
moltissimo: prendere una risorsa, trasformarne
completamente il contenuto e renderla un’altra
cosa. Dati qualsiasi, tizio che scrive una mail al
suo amico, vengono trasformati in un modello
architettonico. Un modello vivo, perché in
continua mutazione. active_metaphor presenta
un meccanismo su cui in seguito abbiamo
lavorato molto.
Limiteazero
Paolo e Silvio: stilisti
minimal o new
media artist?
più grossa che ti possa capitare nella
vita. Quello che ci accomuna è
un’enorme curiosità indagativa, e
purtroppo è un’emorragia, non solo di
risorse economiche, ma anche di
energia. Spesso perdiamo giornate
intere a osservare fenomeni per poi
farne… assolutamente nulla!
Quello che invece non siamo è: dei
buoni manager. Abbiamo un senso
pratico delle cose che in una scala da
1 a 10 è -1. Il tentativo di imparare
a organizzarci e strutturarci con una
logica di marketing, e di arginare
questa curiosità, è il conflitto su cui si
consumano le nostre esistenze.
E’ anche vero che siamo partiti in un
paese che non è famoso per essere
all’avanguardia tecnologicamente, per
dare a chiunque uno spazio in cui
coltivare delle alternative. In più,
abbiamo cominciato durante la crisi
totale dei nuovi media… Non
potevamo sperare che le cose fossero in
discesa. Il fatto che nonostante tutte le
difficoltà riusciamo a campare facendo
cose di questo tipo… beh, questo è già
un buon risultato.
Capisco bene l’orgoglio che
leggo negli occhi di Paolo con
queste ultime parole. Tra i tanti
confronti che vive ogni giorno
Limiteazero - con l’arte, la
scienza, la tecnologia - quello
con la realtà delle cose è
certamente il più ostico. Fino ad
ora l’hanno spuntata… se non è
concretezza questa!
Paolo: laptop_orchestra
laptop_orchestra è un lavoro realizzato su
commissione. Nel 2004 Toshiba entra in
contatto con noi, deve partecipare al Future
Show e lanciare un nuovo laptop. Il brief è
semplice: “dobbiamo parlare di questo laptop,
non vorremmo farlo con i soliti linguaggi…”
Abbiamo vagliato 2 o 3 progetti con i tempi
tipici del lavoro commerciale: 3 settimane in
totale, per la progettazione e la realizzazione.
Abbiamo pensato: “che possiamo fare con un
laptop? Non possiamo aprirlo, o smontarlo, il
prodotto deve rimanere integro, deve essere
esposto…”
Un’orchestra di laptop coordinata da una scala
sonora e da una serie di sistemi di colore. E
come interfaccia, un oggetto di design
estremamente particolare con il quale interagire:
attraverso il semplice sfioramento di un punto,
nasce l’operazione di coordinamento. L’obiettivo
è: ridurre al minimo la complessità
dell’operazione, massimizzando il risultato
finale. E’ nato un oggetto dal design
estremamente accattivante e particolare: un
piano bianco, lucido e trasparente, su cui si
riflettono i colori diffusi dai laptop, e una
consolle composta da gambi metallici attraverso
i quali interagire con il sistema. E’ un pezzo che
si spiega da sé, non ha significati concettuali
straordinari. La logica è quasi zen: utilizzare le
potenzialità al minimo. Il senso è proprio
questo: rappresentare una sorta di vetrina di
lusso per il prodotto, che paradossalmente non
si vede.
Il progetto arriva al Future Show, e il giorno in
cui parte l’evento il Corriere della Sera esce con
le 10 cose da vedere: la prima, è
laptop_orchestra. L’esperimento ha funzionato:
c’è addirittura la security, tanta è la gente che
vuole vedere il progetto. Un oggetto così
particolare, che farebbe inorridire la gran parte
dei responsabili comunicazione, ha avuto un
feedback enorme. E’ passato in TV, è stato
fotografato parecchie volte. Siamo appena stati
in California con laptop_orchestra, il progetto ha
fatto il giro del mondo.
INTERVISTA: LA WIKIPOESIA
Permalink n.2 Novembre 2006 27
Wikipoesia
Il wiki piu’ pazzo del mondo da oggi è anche
un volume di 580 pagine.
pprreecceeddeennttii nneell wweebb aannggllooffoonnoo ssee
nnoonn ppeerr llaa ffiiccttiioonn ccoonn
WWiikkiiffiiccttiioonn??
L’ispirazione m’è venuta tramite delle
allucinazioni durante una lunga
degenza in ospedale per via di un
grave incidente che mi ha quasi
stroncato nel 2004. E’ stata più che
altro una visione, in un momento in
cui ero vicinissimo alla morte. Sono
sopravvissuto e questa idea m’è
rimasta impressa come un’ossessione,
dopo alcuni mesi ho cominciato a
lavorarci, cercando tra vari fori di
scrittura online quello più adeguato
nello spirito per poter tentare la
realizzazione. Fondendo le esperienze
di “poesia istantanea” sul forum di
nuoviautori.org curato da Carlo
Trotta e la tecnica della Wikipedia il
tutto è nato e si è sviluppato
abbastanza rapidamente in meno di
un anno.
QQuuaannttii ppooeettii hhaannnnoo
ppaarrtteecciippaattoo,, ee qquuaannttii ddii eessssii
hhaannnnoo ggiiàà ppuubbbblliiccaattoo
qquuaallccoossaa??
Abbiamo al momento 31 poeti attivi
di varie nazionalità (Italia,
Argentina, Svizzera, Romania,
Albania, Siria, Inghilterra, India).
La proporzione tra poeti e poetesse è
circa del 50%. Tutti gli autori hanno
pubblicato almeno in un’antologia, e il
40% di essi ha delle pubblicazioni
proprie presso vari editori.
Alcuni, hanno anche opere conosciute
a livello internazionale, con rispettive
traduzioni. Ad esempio Mani Rao
(principale esponente della poesia
contemporanea in India), Rodica
Draghincescu (rinomata autrice in
Romania), Cristina Castello
(esponente della cultura Argentina),
Lucrezia Lerro (finalista al premio
Strega in Italia)…
CCoommee èè ssttaattoo iill llaavvoorroo ddii
ggeessttiioonnee ddeellllaa ffaassee ccrreeaattiivvaa ddii
uunnaa ccoommuunniittàà?? QQuuaallcchhee
mmoommeennttoo ddii ffrriizziioonnee oo,,
aallttrriimmeennttii,, mmoommeennttii ccrreeaattiivvii
bbeellllii ddaa rriiccoorrddaarree?? CChhee llaavvoorroo
ddii pprroodduuzziioonnee cc''èè ssttaattoo,, uunnaa
vvoollttaa eeddiittaattoo iill ttuuttttoo??
Il lavoro creativo occupa la maggior
degli sforzi. Il resto è gestione,
formazione, traduzione e produzione.
Ci sono stati dei momenti di frizione
alla fine del vol.1, soprattutto
riguardanti la regola di intitolare le
poesie cominciando con l’articolo
indeterminativo, ma sono state di
breve durata. La dinamica di
decisione in gruppo ha prevaricato gli
interessi personali di alcuni autori. I
meccanismi sono stati simili a quelli
della wikipedia.
Il ricordo più bello a livello creativo è
stato lo scoprire che quest’opera ha
avuto un effetto redentore per molti
autori e soprattutto lettori durante la
sua evoluzione aiutandoli spesso
anche a livello personale nel risolvere
FrancescoCavallo
Riuscira nella titanica e
incommensurabile impresa
di navigare il web per
intero? Lui dice di essere
arrivato quasi a metà.
er quanto
rivoluzionaria e
utile, mi è sempre
sembrato un po'
eccessivo
l'interesse per Wikipedia: in
fondo si tratta di
un'enciclopedia, il genere
letterario meno avvincente mai
pubblicato. Per questo, sono
stato felice di scoprire, grazie a
Bellami.it, Wikipoesia, un
progetto di poesia collaborativa,
tutto italiano, di Nuoviautori.
Un tomo di 600 pagine è già
pronto per andare in stampa,
con i primi due capitoli di una
trilogia ambientata, oltre che sul
web, ad Aradollo, paese surreal-
allegorico dove il poeta può
vivere, creare, morire e
rinascere. Tra poco rimarrà in
linea solo il lavoro vivo e
trasformabile, quello per la terza
parte, che dovrebbere chiudere
il ciclo iniziato con
“Spegneranno tutti i lumi” e “La
felicità è una piccola cosa”.
Incuriosito dall'uso di un wiki -
e di licenze Creative Commons -
per una creazione letteraria
collettiva, per capirne di più, ho
fatto qualche domanda ad
Andrea Galli, direttore artistico
e ideatore di Wikipoesia.
QQuuaall''èè ll''iissppiirraazziioonnee ddeell
pprrooggeettttoo,, ddaattoo cchhee nnoonn hhaa
di Francesco Magnocavallo
INTERVISTA: LA WIKIPOESIA
Permalink n.2 Novembre 2006 28
problemi di vita: questo è mostrato
dalla coerenza strutturale tra i vari
volumi. Con il vol.3 si è continuata
una linea di produzione poetica
seguendo una logica dantesca definita
nell’evolvere dell’opera di Wiki-
Poesia: il vol. 1 è caratterizzato da
voci di spiritualità e passioni
massacrate, da disegni e copertina con
colore a fondo rosso, rappresentante il
fuoco (l’inferno); il vol. 2 è
caratterizzato da quotidianità terrene
vicine alla natura in declino e gli
eventi strazianti dell‘umanità di
questo inizio secolo, da disegni e
copertina con colore di fondo verde,
rappresentante la terra (il purgatorio);
mentre il vol. 3 cerca di lenire la
sofferenza umana tramite la sconfitta
della solitudine ambientando i
personaggi nel magico realismo del
paese immaginario di Aradollo, dove
il colore di fondo dei disegni e della
copertina è il blu, rappresentante
l’aria (il paradiso).
CCoommee aavveettee rreeggoollaattoo llaa lliibbeerrttàà
ddii eeddiittaarree ppooeemmii aallttrruuii?? HHoo
vviissttoo cchhee nneell ccaassoo ddii
WWiikkiippeeddiiaa cc''èè iill ddiissccllaaiimmeerr ddii
nnoonn ttooccccaarree iill tteessttoo aallttrruuii..
QQuuaall’’èè llaa vvoossttrraa iimmppoossttaazziioonnee
ffiilloossooffiiccaa:: ii ccuutt uupp aallllaa
BBuurrrroouugghhss?? CChhee ddiinnaammiicchhee ssii
ssoonn ppooii ssvviilluuppppaattee iinn ccoonnccrreettoo??
Gli autori possono proporre dei
cambiamenti annunciandoli nelle
discussioni o per e-mail, se l’autore
originale accetta, le modifiche vengono
effettuate. Correzioni ortografiche o
grammaticali vengono effettuate senza
chiedere il permesso. In molti casi è
l’autore stesso che domanda aiuto per
“scolpire” una poesia dopo aver
postato la prima versione. In questo
caso chi se la sente apporta modifiche.
Non ci sono mai state delle frizioni su
questo fatto. Di solito i cambiamenti
vengono accettati molto volentieri.
Nel tempo si è generata una specie di
complicità (allievo-maestro) tra autori
più e meno esperti, dove tutti
approfittano l’uno dall’altro
scambiandosi nuove idee e tecniche
poetiche che vengono forgiate in
un’inesauribile potenziale di
creatività. Spesso capita anche che due
autori esperti si scambino delle
opinioni per migliorare un testo.
Una delle dinamiche più importanti
che si è consolidata è la citazione:
ogni poesia tenta di ricollegarsi ad
altre tramite citazioni o riutilizzo di
immagini, generando quello che viene
chiamato l’effetto ragnatela. Così
l’opera assume un aspetto omogeneo
che si distingue rispetto ad una
semplice antologia. I collegamenti tra
le poesie (chiamati anche tasselli)
generano un effetto emotivo
supplementare, come se esistessero
delle meta-poesie tra di loro. Le
relazioni tra i tasselli generano
l’impressione che nella vita ogni
istante dipenda dalla storia di un
altro istante, che tutto sia
interconnesso in un universo che
sfugge a logiche definite. Nel navigare
in questa ragnatela di tasselli ogni
lettore può trovare la via verso una
sua interpretazione della vita.
La scelta ostinata di intitolare le
poesie con l’articolo indeterminativo e
di intrecciarle tra di loro conferisce al
testo un aspetto assolutamente
omogeneo e staccato dalla realtà
specifica di ogni cosa, ma allo stesso
tempo, su un piano assolutamente
qualunquistico che non si sofferma in
nessun contesto in particolare. La
reazione emotiva è di
immedesimazione, secondo la logica
istintiva delle associazioni di idee. Il
percorso poetico segue così la strada
personale di ogni lettore, per associarsi
a tutto e a niente nello stesso tempo.
HHaaii sseeggnnaallaazziioonnii ppeerr ii lleettttoorrii??
Credo che la letteratura corale tramite
la scrittura cooperative sia il vero
futuro della letteratura (in gergo è
chiamato wikismo). La chiave del
successo è la democratizzazione tra
autori esperti e novellini. Un esempio
esiste anche in Germania con la prosa
del gruppo Zentrale Intelligenz
Agentur, che ha ricevuto il prestigioso
premio Ingeborg Bachman proprio
nell’edizione 2006.
Considerazioni sul
wikismo di Iago, curatore di
Wikipoesia
Il wikismo (si pronuncia Vikismo),
rappresenta la determinata volontà di
portare la poesia entro spazi aperti. Fino
ad oggi ci siamo imbattuti in sporadiche
genialità lasciate ad ammuffire dentro la
loro gabbia. Il passato è cosparso di
esempi di poeti celebrati molto tempo
dopo la loro morte.
Per quello che mi riguarda, ho
peregrinato nel web per mesi nella
speranza di incontrare qualcuno che
scrivesse in modo automatico, di getto…
senza il rimprovero del gusto del tempo.
Così ho incontrato Nuovi Autori di Carlo
Trotta ed Andrea Galli; quest’ultimo in
particolare ha partorito l’idea di far
cooperare più menti poetiche in un
complesso gioco di reazioni. Alla base
resta quindi l’idea della poesia
istantanea. È l’elemento che unisce le
due poesie a fare del wikismo, una realtà
senza origine. Immaginate migliaia di
poesie unite da tasselli che possono
essere liberamente interpretati (il curatore
del progetto prova a fornire un legame
fra le varie poesie), l’effetto è
allucinante… a volte mi sento come un
falco che ha di fronte uno stormo di
prede e non sa quale scegliere. È una
ghiotta opportunità per quei poeti che
sentono di avere qualcosa in più da
offrire. L’unico limite è costituito da un
prologo e da un epilogo. Tra i due si
interpone un cursore emotivo, mosso
dalle visioni dei vari componimenti.
Un modo diverso, visto da un’angolazione
inesistente… perpetrato da chi intende
scuotere la poesia dal torpore retorico in
cui versa ormai da tempo.
I numerosi contatti che bombardano il
sito del progetto wiki, testimoniano che
ci stiamo muovendo bene. Numerosi
poeti chiedono di farne parte. I contatti
con l’estero rafforzano il potere
contaminante del wikismo.
UnLegame
Componimento di Iago,
nome d’arte del curatore
del progetto wikista.
FUMETTI: BARONCIANI
La vita quotidiana oltre l'arte,
nel tempo della sua
riproducibilità tecnica.
di Maria Speltarini
olendo guardare
ai contenuti,
"Una storia a
fumetti" del
giovane pesarese
Alessandro Baronciani, è
racconto di vita quotidiana.
Ogni disegno descrive qualcosa
che abbiamo vissuto tutti,
qualcosa di più che familiare,
come una piccola mancanza,
un'alba al termine della notte,
una giornata sui libri. Di più, nei
netti chiaroscuri di china
tratteggiati da Baronciani, ci
vengono raccontati dei dettagli
talmente minuti a cui spesso
non sappiamo più nemmeno
fare caso.
C'è una tavola a tutta pagina,
quasi all'inizio del libro, che
credo renda chiaramente l'idea
della poetica dell'autore. I due
personaggi, Alessandro e
Francesca, soli sulla spiaggia di
notte. La tavola li ritrae dalla
cinta in giù, i loro piedi sono
nudi sulla sabbia. Un piccolo
riquadro che non fa altro che
evocare quella sensazione
particolarissima della sabbia
umida sotto le piante dei piedi
in una notte calda in mezzo
all'estate. Se questa sensazione
non vi trasmette nulla, allora il
fumetto in questione non è
proprio il vostro genere, perché
questa è la sua cifra: il passare
da un dettaglio all'altro, ogni
vignetta una piccola poesia
narrata dalla provincia
romagnola.
Ma non sono i contenuti, per
quanto validi, ad essere la
caratteristica più saliente della
produzione di Baronciani. Ad
essere inedite sono le forme e i
modi con cui queste storie sono
MariaSpeltarini
Studentessa con la
passione per il
retrofuturismo sovietivo.
Vorrebbe andare in
kazakistan ad incontrare i
suoi eroi. I suoi genitori
sperano diventi una
funambola professionista.
Permalink n.2 Novembre 2006 29
nate e sono state autodistribuite.
Prima di venire stampato come
libro, "Una storia a fumetti" era
una distribuzione via posta
(quella ordinaria, non quella
elettronica). Le storie venivano
disegnate, fotocopiate e spedite
inizialmente in un circuito fra
pochi intimi. Poi, con il passare
del tempo, ad una rete più vasta
creatasi con il passaparola. In
altre parole Baronciani
conosceva tutti i suoi lettori e
loro conoscevano lui e più di
una volta questo rapporto molto
diretto fra autore e lettore è
uscito dalla realtà per
trasformarsi in racconti di china.
Il dato saliente di questa vicenda
è, se ci fate caso, che Baronciani
ha trovato un particolare
escamotage per ridare lustro a
quell'aura di cui Walter
Benjamin notò per primo la
decadenza in "L'opera d'arte
nell'epoca della sua
riproducibilità tecnica". E lo ha
fatto proprio con il genere forse
più seriale di tutti, il fumetto.
Tutti coloro, infatti, che non
hanno avuto modo di seguire fin
dalla prima ora il formarsi di
questa opera, hanno perso
un'unicità che il libro-raccolta
non riuscirà a ridare nella sua
interezza. D'un tratto comuni
fotocopie sono diventate rare,
preziose, e non potranno essere
riprodotte, perché il loro
contesto fondamentale era il
momento in cui venivano
affrancate e spedite, un tempo
che ovviamente non può
tornare.
AAlleessssaannddrroo,, llaa ffoorrmmuullaa ddii
ddiissttrriibbuuzziioonnee ssuu aabbbboonnaammeennttoo
qquuaannttoo hhaa iinnfflluuiittoo ssuuii
ccoonntteennuuttii ddeell ttuuoo llaavvoorroo?? CChhee
sseennssaazziioonnee ddàà ssccrriivveerree nnoonn ppeerr
uunn ppuubbbblliiccoo iinnddiissttiinnttoo,, mmaa ppeerr
ppeerrssoonnee ddii ccuuii ccoonnoossccii
ll’’iiddeennttiittàà ee ssppeessssoo aanncchhee
qquuaallccoossaa ssuull lloorroo ccoonnttoo??
Non ha solo influito, è stata la forma
con cui è nata la storia. Io cercavo di
raccontare in modo semplice cose che
mi succedevano senza venirne mai a
capo. Le persone che leggevano le mie
storie mi raccontavano di aver vissuto
gli stessi momenti che raccontavo. Mi
lasciavano per lettera quello che gli
stava succedendo, le loro storie e le
loro storie erano esattamente quello
che stavo cercando. Il libro è la
raccolta di cinque anni di lettere e
pacchi spediti per posta. Io non volevo
fare un'autoproduzione senza sapere
dove andavano le mie storie. Volevo
sapere chi era a leggerle e sopratutto
volevo sapere cosa ne pensavano.
Molte volte sono nate delle amicizie,
degli scambi di autoproduzioni o
consigli su come fare fumetti.
SSii ddiiccee cchhee qquuaannddoo ssii ssccrriivvee
bbiissooggnnaa rriivvoollggeerrssii aadd uunn lleettttoorree
mmooddeelllloo,, cchhee ppeerròò rriimmaannee
sseemmpprree uunn ssooggggeettttoo aassttrraattttoo,,
mmaa nneell ttuuoo ccaassoo hhaaii ssccrriittttoo ppeerr
lleettttoorrii iinn ccaarrnnee ee oossssaa....
Io non so quale sia il mio lettore
modello, però ho scoperto che ci sono
tantissime persone che non sanno cosa
sono i fumetti. In molte lettere ho
trovato scritto che gli unici fumetti che
avevano letto non erano come i miei.
Nel senso che si erano imbattuti in un
mondo del fumetto e sopratutto in un
Permalink n.2 Novembre 2006 30
modo di fare i fumetti a loro
sconosciuto. non penso che uno
scrittore si rivolga ad un lettore
modello, forse uno scrittore ha in testa
se stesso quando scrive qualcosa. è la
maniera con cui sceglie di raccontarti
qualcosa che fa la differenza al lettore.
una inquadratura dall'alto rispetto
una dal basso e si ha un'altro tipo di
sensazione.
AA vvoollttee cc’’èè ssttaattoo uunn iinnccoonnttrroo
aattttiivvoo ffrraa iill ttuuoo ppuubbbblliiccoo ee llee
ssttoorriiee cchhee hhaaii ddiisseeggnnaattoo ee ii
lleettttoorrii vveerrii hhaannnnoo ccoommiinncciiaattoo aa
ffaarr ppaarrttee ddeeii ffuummeettttii nnaarrrraattii......
Una volta mi è arrivata una lettera di
un ragazzo che mi raccontava quello
che gli era successo, una lettera strana,
molto personale, quasi troppo per una
persona che conosci solo per lettera. la
lettera finiva chiedendomi scusa per lo
sfogo ma se non raccontavo le cose a
te, a chi le raccontavo? E la lettera
era scritta benissimo, era bellissima.
era un soggetto con tanto di inizio e
Si erano imbattuti in un
mondo del fumetto e sopratutto in
un modo di fare i fumetti a loro
sconosciuto.
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2
Permalink 2

More Related Content

Similar to Permalink 2

La Costola 2
La Costola 2La Costola 2
La Costola 2
missgh
 
18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)
18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)
18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)
mariella
 

Similar to Permalink 2 (20)

La Rassegna Stampa di oggi 15 marzo
La Rassegna Stampa di oggi 15 marzo La Rassegna Stampa di oggi 15 marzo
La Rassegna Stampa di oggi 15 marzo
 
16 Pagine - Numero 4
16 Pagine - Numero 416 Pagine - Numero 4
16 Pagine - Numero 4
 
Britalyca La Voce Alternativa
Britalyca La Voce Alternativa Britalyca La Voce Alternativa
Britalyca La Voce Alternativa
 
MadeInItaly PosterArt
MadeInItaly PosterArtMadeInItaly PosterArt
MadeInItaly PosterArt
 
La rs del 15 marzo 2018
La rs del 15 marzo 2018 La rs del 15 marzo 2018
La rs del 15 marzo 2018
 
SEPTOMNIMETRO 1-7 febbraio 2016
SEPTOMNIMETRO 1-7 febbraio 2016SEPTOMNIMETRO 1-7 febbraio 2016
SEPTOMNIMETRO 1-7 febbraio 2016
 
Arte e modernita'. i due percorsi comuni del fascismo e dell'estado novo (aes...
Arte e modernita'. i due percorsi comuni del fascismo e dell'estado novo (aes...Arte e modernita'. i due percorsi comuni del fascismo e dell'estado novo (aes...
Arte e modernita'. i due percorsi comuni del fascismo e dell'estado novo (aes...
 
Scrivere per il web postiglione kompetere
Scrivere per il web postiglione   kompetereScrivere per il web postiglione   kompetere
Scrivere per il web postiglione kompetere
 
QE-MAGAZINE n°30: les news en Principauté de Monaco by AMP Monaco
QE-MAGAZINE n°30: les news en Principauté de Monaco by AMP MonacoQE-MAGAZINE n°30: les news en Principauté de Monaco by AMP Monaco
QE-MAGAZINE n°30: les news en Principauté de Monaco by AMP Monaco
 
Britalyca 26
Britalyca 26Britalyca 26
Britalyca 26
 
Britalyca
BritalycaBritalyca
Britalyca
 
Una panda per l'eurasia
Una panda per l'eurasiaUna panda per l'eurasia
Una panda per l'eurasia
 
Una panda per l'eurasia
Una panda per l'eurasiaUna panda per l'eurasia
Una panda per l'eurasia
 
DIGITAL READERS 4: Anselmo Roveda, Periferie e immaginari narrativi
DIGITAL READERS 4: Anselmo Roveda, Periferie e immaginari narrativiDIGITAL READERS 4: Anselmo Roveda, Periferie e immaginari narrativi
DIGITAL READERS 4: Anselmo Roveda, Periferie e immaginari narrativi
 
SEPTOMNIMETRO dal 29 febbraio al 6 marzo 2016
SEPTOMNIMETRO  dal 29 febbraio al  6 marzo 2016SEPTOMNIMETRO  dal 29 febbraio al  6 marzo 2016
SEPTOMNIMETRO dal 29 febbraio al 6 marzo 2016
 
Ambrogio Mauri
Ambrogio MauriAmbrogio Mauri
Ambrogio Mauri
 
Papille 1
Papille 1Papille 1
Papille 1
 
La Costola 2
La Costola 2La Costola 2
La Costola 2
 
18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)
18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)
18.3.2013 Convegno su legalità e corruzione (Gabriella Pastore)
 
Britalyca News Londra
Britalyca News LondraBritalyca News Londra
Britalyca News Londra
 

Permalink 2

  • 1.
  • 2. Novembre06 SOMMARIO FREE, PAY, DEATH Epolis e il giornalismo del futuro, in cerca d'autore WAR OF WORDS: CONTESTOTOMIA 5 8 9 11 15 17 21 24 29 31 35 38 39 QUESTO NUMERO E’ STATO ARRESTATO, PROCESSATO E GIUDICATO COLPEVOLE: SECONDINI Francesco, Eugenio, Giovanni PERQUISE Graziano Nani, Simone Sbarbati, Benedetta Raucci, Matteo Segni, Edyta Dworak, Valeria You, Alberto Puliafito e Alberto Proietti INTERCETTAZIONI Laura Purple Palio e Zite Zipel, con Costanza, Marco e Alessandro AVVOCATI Tutti i blogger di Blogo PERIZIE GRAFOLOGICHE DI COPERTINA Camilla Porlezza (close up, Internet point, NYC) SERVIZI DEVIATI Laurina, Federico, Giaime, Roberta, Francesca, Ciccina no, Nero, Perestrello&Pigneto Crew, Climberz, Bologna, Porseo, Alfabecco FALSARI Gli pseudonimi che infestano ogni dove CORTE D’APPELLO MarcelloP, MissBubs GIURIA I lettori e i commentatori di Blogo Permalink n.2 Novembre 2006 WAG MAGAZINE Un universo di magazine indipendenti che si rivela al mondo POLONIA NOUVELLE VAGUE TEREKURA Giappone anni ‘90: sesso random nei telephone club ENTRARE SU MY SPACE... E USCIRNE Il social network più famoso del mondo ormai è fuori controllo LE PERVERSIONI DI CARTA di Giovanni De Stefano LIMITE A ZERO Macchine, uomini e altre prossimità... WIKIPOESIA Un esperimento riuscito di creazione poetica collaborativa IN CERCA DELL’AURA La vita quotidiana, oltre l'arte ai tempi della sua riproducibilità tecnica BLOGO IN LIBRERIA A spasso tra gli scaffali con una torma di blogger scatenati I FLICKERISMI MESSICANI DI VALERIA YOU L’OROSCOPO DI MALAPARTE
  • 3. LA POSTA INBOX Quest’oggi è Autoblog a fare gli onori di casa: conosceremo Smartista, animatore della principale community di autopartiti in Italia. Smartista Essenza del pregio, vive una vita pettinata anche se poco ordinata. Condivide la sua passione house con la cumpa e gli amici del blog. Permalink n.2 Novembre 2006 2 Meglio un lurker o un troll? La vita del community manager è bella quando le mail alla redazione arrivano da uno come Smartista! Ciao Moderators di Autoblog, innanzitutto mi dovete scusare se ogni tanto sono un po' indisciplinato sul blog, ma tutti sembra ke ce l'hanno con me e mi danno contro. Cmq nn insulto + nessuno, grazie x nn bannarmi +. Poi voglio dire ke il vostro blog è molto divertente, perkè è semplice e immediato da capire: complimenti zii!!!! Io ho votato x voi nel sondaggio del blog + bello!!!! Smartista, in gergo Kobro, spedisce le foto della sua Smart Fortwo BRABUS, piuttosto nota tra i lettori di Autoblog, e dice: Vi descrivo un attimo la mia pikkola: è una BRABUS leggermente elaborata, ha 90/95 cavalli. Una volta cn lei ho fatto i 160 all'ora. In città nn ce n'è x nessuno: sguscio da tutte le parti cn il massimo style e savoir fair, e parkeggio dove voglio. Ha i vetri fumè, 1 nuovo impianto hi- fi (ke sembra fatto apposta x la musica house), il doppio scariko Brabus, il logo Brabus sul tappo della benza. Poi ho i cerki Brabus da 17 pollici cn le ruote + larghe dietro per sopportare la potenza. La pikkola ha il turbo e la trazione posteriore: nn dico ke può andare forte come un'Audi S3, xrò nel suo piccolo spakka. Tutti diranno ke nn ho la maskerina originale: lo so, l'ho rotta in 1 incidente e ci ho fatto montare quella normale (x nn farmi sgamare dai miei); sto aspettando quella originale dal concessionario. Davanti ad un simile atto d’amore, Autoblog non ha potuto esimersi da un’intervista, piccola ma densa di passione e vitalità sconclusionata.. Ciao Zio, grazie per la email, complimenti ancora per il sito e grazzissime ancora per aver pubblikato la mia pikkola. E' un'intervista questa? Grazie allora, sono contento ke posso dire la mia e rispondo a tutte le domande: 1. Autoblog.. nn mi ricordo + come l'ho scoperto, forse cercavo in Google qualke club dedicato alla Smartina o alla Brabus e sono capitato lì.. Autoblog x me è un divertimento: ammetto ek nn mi intendo molto di motori, xrò amo la mia Smart e mi piace prendere parte a tutti i ommenti, ke molte volte sono molto accesi e combattuti. Mi fanno ridere tutti i wannabee ke si scannano per le makkine italiane/tedeske, soprattutto gli alfisti vs gli audisti e i fiattisti contro i vwisti. Io nn mi skiero, x carità, e provoko qua e là.. ahahah 2. Io vado in uny (allo Iulm) ma nn frequento, quindi quando sono a casa a fare nulla (quindi quasi sempre eheh) ho sempre il computer acceso, su msn/Skype e ovviamente Autoblog. Certe volte passo gli interi pomeriggi attaccato a commentare gli articoli.. in camera mia, magari rimango in pijama fino a pranzo, ke vita house.. devo fare 1 po' di sport sennò m'ingrasso... 3. Quando mi insultano la pikkola Brabussina un po' mi scaldo, ma tanto lo so ke tutti hanno invidia, e quindi dopo un po' mi diverto a provocare. Credo ke a tutti rosiki ke una makkina piccolina come la mia possa andare così veloce. 4. La mia Brabussina ha un ruolo fondamentale nella mia vita sociale e sentimentale... quante storye legate a lei.. quando esco di sera cn lei sono sicuro (e pure i miei cumpa lo sono) ke sarà una gran-serata. Cn lei tutte le porte dei locali fashion sono sempre aperte: i gorilla ormai mi conoscono e mi stimano, e mi fanno parkeggiare davanti al locale.. ke storya poi quando mi vedono scendere... tutte le tipe (ke io kiamo shampiste) impazziscono!!! La mia ex amava la mia pikkola. Ciao zio, HOUSE ET STYLE FOR ME AND FORTWO! Smartista ++++++++++++++++++ Come dice Filippo: “La vita è proprio bella... grazie di esistere Smartista!”
  • 4. FORME DEL COMUNICARE Pay&press apolidi, profezie e incognite: il giornalismo del futuro è in cerca d'autore. di Eugenio Orsi L'Economist è un settimanale talmente autorevole, in Europa, che neppure al nostro ex-premier Berlusconi riusciva di ignorarne le posizioni - dato notevole, considerando che non si è trattato spesso di posizioni propriamente a suo favore. E se l'Economist titola con una profezia del tipo "i giornali moriranno nel 2043" (servizio di copertina, ultima settimana di agosto), non è detto che ciò sia vero, ma è certo che tutti ne parleranno a lungo. Così, nelle redazioni dei quotidiani e riviste che, dal canto loro, desiderino sopravvivere al 2043, le polemiche e i "si salvi chi può" si sono sprecati. Ma la domanda è rimasta intatta: nel prossimo futuro si prepara una crisi tanto nera per i quotidiani? Davvero, nelle edicole, non troveremo più giganti come La Repubblica, Il Corriere, il Sole 24 Ore e il New York Times? E' presto per dirlo, ma è chiaro che una morsa sta stringendo il mercato: Internet, da un lato, e stampa gratuita dall'altro. L'enorme forza della Grande Rete è un fatto ormai assodato (per il 2007 è previsto uno storico sorpasso della pubblicità online sulla televisione, almeno sul fondamentale mercato anglosassone), mentre sono un po' meno chiari e scontati i segni di fibrillazione che provengono dalla galassia dei freepress, il cui potenziale non è ancora del tutto chiaro. Prendendo il caso italiano, EugenioOrsi Sogna di fare un documentario sul funanbolismo, mentre impara a fumare la pipa. Per il resto setaccia le strade di Roma per conto di 06blog, tra baracchini, monumenti dimenticati e truffatori da quattro soldi Permalink n.2 Novembre 2006 3 quando nel 2000 venne distribuita a Milano la prima copia di Metro, si avvertì in un primo momento un certo, malcelato, spauracchio; ma poi tutti si calmarono, perché si capì in fretta che nel nuovo millennio la "quality press" non avrebbe accusato il colpo dai neo- giornali, distribuiti a piene mani davanti alle fermate dei tram. Re e principi di Rcs ed Espresso tornarono a dormire sonni tranquilli, con questo pensiero: la freepress allarga semplicemente il bacino di lettori, in una fascia dove prima lettori non c'erano. Chi sfogliava Metro (e, in seguito, City e Leggo) lo faceva per ingannare 15 minuti e 4 fermate di metropolitana: nel caso in cui non fosse stato già lettore di Repubblica, non l'avrebbe letta comunque, dopo; e, nel caso FREE, PAY, DEATH
  • 5. contrario, sarebbe passato come sempre in edicola, con 90 centesimi alla mano. La stampa era salva. Quello che invece non era chiaro - nei primi anni 2000 - è che i freepress come Metro (il gigante svedese), City (gruppo Rcs) o Leggo (gruppo Messaggero-Caltagirone), non appartengono che ad una prima generazione di stampa gratuita. Un modello redditizio, ma in fondo innocuo. L'epopea della lotta fra qualità, gratuità e la loro possibile convivenza, non è affatto conclusa. Il quality-establishment dovrà ora confrontarsi con la free press di seconda generazione (negli Stati Uniti sono già arrivati alla terza), che in Italia è appena nato con il pay & press di Epolis. La formula di distribuzione e la tipologia dei contenuti in questo caso sono pensati con uno scopo preciso: puntare dritto alla stampa mainstream; starle dietro, sottrarle lettori, mercato, investimenti pubblicitari. E, certo, Sole 24 Ore e Corriere hanno smesso di stare a guardare e si sono buttati in uno spazio ancora aperto: quello dei freepress pomeridiani. Il Corriere con un tabloid che anticipa le notizie dell'indomani; il Sole grazie un prodotto generalista, con un occhio di riguardo per i temi economici. Nemmeno Repubblica sta a guardare, e non è un mistero che stia preparandosi al lancio. Non so dire se la crisi di vendite che attraversano i vecchi media sia strutturale, e se la gratuità (con l'inquietante incognita della perdita di qualità) sia veramente ciò che ci aspetta. Ma fra queste febbricitanti novità e rincorse ho provato almeno a porre un primo punto fermo, cercando di capire il funzionamento di questo nuovo e misterioso Epolis. Ha fatto notizia, a settembre, per essere uscito contemporaneamente a Roma e Milano (ma era già presente in molte città più piccole del nord Italia), e perché si è presentato con l'originale formula del pay & press: lo si regala nei bar, ma lo si compra pure, a 50 centesimi, in edicola. Ho scambiato due chiacchiere e qualche cappuccino con quello che credevo essere il caporedattore romano, Fabio Albertelli. Ma già su questo mi sbagliavo: il caporedattore di Roma non sta a Roma, ma a Cagliari, in Sardegna, sede centrale di tutta Epolis. DDuunnqquuee lleeii nnoonn èè iill ccaappoorreeddaattttoorree ee aannzzii nnoonn cc''èè nneemmmmeennoo uunnaa rreeddaazziioonnee nnee'' aa RRoommaa,, nnee'' aa MMiillaannoo,, cchhee iinnvveeccee èè aa CCaagglliiaarrii.. IInnssoolliittoo ppeerr ddeeii qquuoottiiddiiaannii llooccaallii...... Sono giornalista invitato, infatti. Ci riuniamo in teleconferenza con il desk di Cagliari la mattina con il viva voce, si fa il punto della situazione e via, si parte per la giornata di lavoro. Per quanto riguarda i numeri a Roma lavorano 6 giornalisti full time più tutti i collaboratori. I giornalisti sono molto giovani, con una media di 26 anni. TTeelleellaavvoorroo...... Certo, è una formula che supera la TheVanishing Newspaper L'Economist ha rilanciato e accreditato la teoria sulla fine del giornalismo di Philip Meyer. Permalink n.2 Novembre 2006 4 vita di redazione, luoghi dove si crea un'abitudine mentale a lavorare troppo con i lanci della agenzie di stampa. Con questa formula il giornalista può anche impaginare il proprio pezzo, usando la gabbia prescelta. Una volta salvata, il desk lo licenzia ed è pronto per la stampa. CCeerrttoo cchhee ssaarràà uunn bbeell rriissppaarrmmiioo ppeerr ll''eeddiittoorree.. Il telelavoro non è stato scelto come opzione di risparmio. E' una scelta forte, mettersi in redazione significa spesso sedersi, investire sul telelavoro significa investire maggiormente sulla professionalità dei giornalisti. Non sono certo i costi di una redazione a fare la differenza. Il giornalista in questo modo ha le antenne accese 24 ore, non si spegne quando esce dalla redazione. C'è chi lo chiama Metro, City e Leggo sono la prima generazione di stampa gratuita. Un modello redditizio, ma in fondo innocuo... FORME DEL COMUNICARE
  • 6. Permalink n.2 Novembre 2006 5 sfruttamento, questione di punti di vista... E poi il telelavoro ha rimesso i giornalisti per la strada, a contatto con il territorio. UUnn tteerrrriittoorriioo cchhee aa vvooii iinntteerreessssaa ppaarrttiiccoollaarrmmeennttee.. LLaa ccrroonnaaccaa llooccaallee sseemmbbrraa eesssseerree iill vvoossttrroo oobbiieettttiivvoo pprriinncciippaallee.. Sì, noi siamo, o almeno veniamo percepiti, come un giornale che dà voce alla provincia. Il maggior successo di Epolis a Roma è fuori dalle mura, siamo un giornale che dà voce alla periferia. Riusciamo ad arrivare ad un 70/80% di produzione propria. La free press di seconda generazione innesta un processo di fidelizzazione simile da un giornale tradizionale. Riceviamo e curiamo tantissima corrispondenza, i lettori intervengono commentano, riusciamo ad avere un rapporto diretto con la gente perché facciamo cose originali, cerchiamo di toccare quei temi che i grandi giornali non toccano più. L'idea della localizzazione ovviamente non è nuova, risale ad una visione di Mattei. Ma è il modo che è inedito, perchè l'inizativa non viene calata partendo dal nazionale e arrivando al locale (con costi enormi), ma partendo dal locale con l'ambizione di arrivare al nazionale. SSìì ssaa cchhee ii ggiioorrnnaallii ddeevvoonnoo eesssseerree lleettttii nneeggllii aammbbiieennttii ggiiuussttii ppeerr eesssseerree iinnfflluueennttii,, ee llaa ffrreeeepprreessss sseemmbbrraa aavveerree ppooccaa pprreessaa nneeii ssaalloottttii ddeellllaa ppoolliittiiccaa...... Seguendo molto quanto il territorio, il Palazzo dovrà occuparsi di noi sempre di più, Epolis è già entrato nelle mazzette dei politici. Regione e Comune si confrontano già con noi. Abbiamo aperto Epolis seguendo le controversie delle cartolarizzazioni. Da questo punto in avanti la discussione si fa vaga, allusiva. Fra le righe capisco che Epolis potrebbe raccogliere il frutto di tante redazioni locali, e in futuro diventare un grosso free press di terza generazione. Non si sbilancia Fabio Albertelli, questo caposervizio virtuale, giornalista sperimentale cresciuto nella tradizione di quella generazione che ha imparato il mestiere fra lo stadio e la cronaca nera consumando con ortodossia i "tacchi delle scarpe". Ma una cosa è però certa e la sa si capisce dallo stile del suo appeal. Il 2047 non lo coglierà impreparato: lui ci sarà con la sua cravatta pesantemente fuori moda fin dal 2006, ma avanti. DagliUsaiFreepress diterzagenerazione The Examiner vuole rubare lettori colti e sofisticati al Washington Post. La formula in Italia e? inedita FORME DEL COMUNICARE
  • 7. TUTORIAL: CONTESTOTOMIA Permalink n.2 Novembre 2006 6 Imparare la neolingua, perchè l’italiano morirà Ottobre ha visto nascere un lemma molto particolare, dice l’inglese Thought Signals. “Un lettore del blog di David Pogue sembra aver coniato la parola Contestotomia. Si usa quando un'azienda cita recensioni dei propri prodotti in maniera selettiva, cambiando il senso del discorso con l'omissione del contesto in cui appariva la frase citata. di Urbano Qui l'offesa arrivava da un manager di Microsoft, che citava, in una lista di discussione interna, una recensione di Internet Explorer. >Ecco cosa ne dice la gente... > >"Se non avete mai usato altro che Explorer, non riuscirete a togliervi il sorriso dalle labbra." > >-David Pogue, NY Times" Ed ecco il paragrafo nel contesto originale: "Se non avete mai usato altro che Explorer, non riuscirete a togliervi il sorriso dalle labbra. Ma vicino a rivali come Firefox, Opera e Safari, Internet Explorer 7 è tutto una rincorsa e un rappezzo. Alcune delle sue 'nuove' funzionalità sono disponibili da anni agli utenti degli altri browser." Urbano Docente di bon ton e grande conoscitore di neologismi, ha lavorato alla Gazzetta dello Sport, alla Settimana Enigmistica e in passato per Super Trottolino delle Edizioni Bianconi di Milano.
  • 8. WAG MAG EDITORIA DIGITALE WAG MAGAZINE Freshcut.it ci porta a conoscere i creativi di Wag, pdf magazine italiano di arti visive. ispirazione. Parlo delle webzines (non chiedete cosa siano mentre ne state leggendo una): prodotti editoriali ideati da giovani creativi con tanta voglia di fare, che pubblicano ciò che a loro piace veramente, senza alcun condizionamento, per farlo arrivare a quanti più lettori è possibile. In questo numero vi parlo di WAG MAGAZINE, webzine in formato flash da sfogliare direttamente online grazie ad un usatissimo script che permette di girare i pixel pagina dopo pagina, proprio come quelle di carta. WAG è opera di un gruppo di artisti molto attivi in diversi campi delle arti visive, e capitanati da Robert Rebotti, conosciuto in rete anche con lo pseudonimo di JackLaMotta e Luca Marchettoni. A coadiuvarli ci sono, tra gli altri, personaggi del livello di Valentina Cameranesi e Mimmo Manes. Un bel gruppo di big per quanto riguarda l'arte in rete, dunque, riunitisi per confezionare un trimestrale di livello veramente alto. Arrivato alla sua quarta uscita, WAG ospita ad ogni numero un bel gruppo di artisti più o meno esordienti provenienti da svariati paesi ed operanti in vari settori della comunicazione visiva e della letteratura. In questo caso i testi sono in inglese, per raggiungere un numero potenziale di lettori il più alto possibile: una politica che ha dato i suoi frutti, visto che ad ogni nuovo numero ecco apparire il marchio WAG (che ha uno stile che ricorda un po' il logo di una vecchia automobile made in USA o di un frigorifero anni '50) sui blog e i siti della design community di mezzo mondo. Interessato a saperne di più, anche e soprattutto perché il mondo delle webzines è ormai iil mio passatempo principale, ho raggiunto la redazione di WAG via mail con un po' di domande. La prima cosa che ho scoperto è che quella di WAG è una delle redazioni più efficienti che abbia mai visto: qualche decina di minuti dopo aver inviato la mail, eccomi arrivare il reply. Il tempo SimoneSbarbati Etnologo dell’editoria indipendente, è la nostra guida nei perversi meandri di Macromedia e Adobe. Permalink n.2 Novembre 2006 7 mmaginate di essere all'edicola: curiosate tra le copertine, ne adocchiate una e iniziate a sfogliarla. E dentro, incredibile, non ci sono pubblicità, e nemmeno titoli scritti a caratteri cubitali solo per attirare la vostra attenzione. Al contrario trovate tante belle immagini, immagini che non sembrano voler vendere alcunché, e pochi testi, solo quelli che servono, non delle pagine riempite. Beh, se di riviste così ne avete trovate... beati voi! Io no. Almeno non su carta, a parte qualche raro esemplare che scompare sempre dopo il primo numero. E' nelle maglie della rete che dovete cercare, di questi tempi, se volete sfogliare qualcosa di nuovo, di completamente libero, oltre che gratuito, e di sicuro pieno di stimoli e di fonti di di Simone Sbarbati
  • 9. paper pensate di usare strumenti tipo Lulu.com? Certo, ma non solo, anche Miu, Chiara, Jane e forse anche Lèna! ;-) A parte gli scherzi, al momento stiamo considerando varie soluzioni e cercando di spingere quanto più possibile le uscite di wag. Valuteremo, di volta in volta, quando arriverà l'occasione, che tipo di criterio adottare. Progetti per il futuro? Una Rivoluzione (ma non dirlo a nessuno!) Allora, mentre aspettiamo una rivoluzione targata WAG (e quindi cool al punto giusto!), vi segnalo che il prossimo numero del magazine è previsto per dicembre e tutti gli artisti sono invitati a partecipare. Io come sempre me lo segno in agenda, con la speranza che prima o poi arrivino questi benedetti fogli elettronici così da godermi le mie webzines preferite anche in bagno! EDITORIA DIGITALE WAG MAGAZINE di leggere ed invio un'altra mail per ringraziarli. Neanche a dirlo, pochi secondi dopo mi arriva 'grazie a te!'. Roba che con loro non vale neanche la pena usare un instant messenger!!! Come è nata l'idea di WAG? Dalla passione per la ricerca di nuove espressioni e dalla curiosità di osservare i percorsi artistici e i passaggi propri degli autori che seguiamo e ammiriamo o impariamo a conoscere. Lo staff, tra editori e collaboratori, è composto di alcuni tra i personaggi più attivi nell'ambito della design community italiana. Come e quando avete deciso di unirvi per produrre WAG? WAG è nato circa 2 anni fa da una chiacchierata tra Luca Marchettoni e Robert Rebotti. Poi, lungo la strada, amici, colleghi e supporter si sono aggiunti per darci una mano. Come mai non avete scelto il formato del magazine puramente grafico, scegliendodi usare l'inglese? La scrittura è una forma di comunicazione che ha a tutti gli effetti pratiche e approcci visivi e, in quanto tale, ci piaceva l'idea che potesse trovare spazio all'interno del magazine. WAG è un progetto senza confini, rivolto a chiunque. Per tale motivo abbiamo scelto l'inglese: volenti o nolenti è la lingua universale che si parla in rete. Vi siete ispirati ad altri magazine quando avete lavorato sul concept di WAG? Sono molti i magazine che apprezziamo ma nessuno ci ha ispirato in modo particolare. Il sito web di WAG, in entrambe le versioni, è comunque molto semplice e diretto: secondo me trasmette bene l'idea di un magazine che si basa sui contenuti piuttosto che sulla confezione. Ogni numero è un mix perfetto di contributi di artisti conosciuti ed apprezzati nel loro settore (vedi Lello Voce, Blu & Ericailcane, ecc...) e giovani esordienti. Con che criterio selezionate i lavori che vi arrivano in redazione? Scegliamo ciò che ci convince maggiormente di volta in volta, cercando di miscelare i contenuti per creare l'alchimia migliore in ogni numero. Apprezziamo in particolar modo l'originalità, la freschezza e la forza espressiva ma teniamo in considerazione anche la tecnica ed il valore estetico puro dei lavori da selezionare. Sul sito dichiarate la volontà, prima o poi, di lanciare una versione su carta di WAG. La domanda è proprio questa: che distanza c'è, secondo voi, a parte l'ovvia differenza di supporto, tra magazine digitali e cartacei? Penso soprattutto ai contenuti, all'interattività, ecc... La distanza maggiore, secondo noi, è quella costituita dalle risorse economiche e logistiche impiegate. Un magazine online è agile, di facile divulgazione, diretto ed immediato. Un magazine cartaceo ha una componente feticista legata al piacere del tatto, del possesso fisico del supporto e, se parliamo di contenuti statici, è sicuramente il mezzo migliore da utilizzare. Speriamo di trovare prima o poi un editore per supportare una futura evoluzione cartacea di WAG. Per l'eventuale versione on Permalink n.2 Novembre 2006 8
  • 10. PoloniaNouvelleVague Fra fermenti vitali e finti talenti precoci creati a tavolino, la nuova creatività che viene dal cuore dell'Europa acendo riferimento alla posizione... geograficamente centrale della Polonia in Europa, voglio presentare il livello della creativita' nelle nuove generazioni. Sembra che l'attività culturale sia molto vitale, e che i suoi frutti abbiano un carattere unico, non riferibile a nessun altro ambito artistico europeo. Resta il perché di un più stretto legame tra gli artisti polacchi e quelli dell'Europa dell'Est; da ricercarsi nella storia dei Paesi in questione. Tuttavia, a differenza degli altri Paesi in Polonia tutte le iniziative si svolgono in maniera istituzionale, molto di piu' che in Italia, ovviamente. Sarà il clima che rende meno caldi questi incontri artistico-culturali (cioè più ufficiali)? La creatività in Polonia ha così una dubbiosa esistenza. In alcune città, non ci si può lamentare: per esempio nella capitale basta un po’ di ... talento, di eccezionalità e si possono salire i gradini della carriera in ogni campo, anche come giornalista, noto reporter o copy writer. Occorrono solamente tre o quattro certificazioni di conoscenza della lingua: naturalmente un perfetto inglese, il tedesco o il francese, anche italiano e spagnolo vanno bene; basteranno due lauree: per esempio psicologia e sociologia o economia. Allora, si sta benissimo a Warszawa. Ovviamente il più bello è Krakow, qui succede di tutto, i teatri più vari e disparati, spettacoli, iniziative, concerti, mostre, incontri. Qui, credetemi, visto che proprio ora mi trovo nella Biblioteca Jagiellonica di Cracovia, tutti sono specialisti di cultura, attori, musicisti, scrivono qualcosa o hanno appena pubblicato il loro primo libro (o un racconto nella rivista, una poesia – ha sempre il suo peso); mancano invece gli spettatori, perché tutti creano. Degli altri centri culturali polacchi vi dirò tra un attimo. Viaggiando cogli occhi della mente sulla mappa della Polonia, punto subito su Poznan, città molto moderna, in molti luoghi già postmoderna (lo spiegherò), poi vado a Wroclaw, Katowice, Krakow, scivolo e cado su Lublin, dove tutto è un po’ provinciale (e pure pretenzioso). Poi c’è ancora Rzeszow, ma non ricordo neanche vagamente qualcosa di importante là. E' già finita – bella montagna, frontiera e amici slavi. Edyta Dworak Ha 24 anni da un giorno, al momento della stesura di questo breve profilo. Laureanda in Filologia Polacca all'Universita' Cattolica di Lublino, ha tale una passione per l'Italia, fermo restando l'amor patrio, che ha sintetizzato le sue cittadinanze nel nickname dietro cui spesso si cela: Flawia. Permalink n.2 Novembre 2006 9 di Edyta Dworak GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA
  • 11. Per le azioni dei polacchi creativi mi viene subito, "primus inter pares", Wroclaw, che ultimamente è un bel nido di tale Andrzej Burszta, che là ha fondato un vero rifugio dei giovani talenti letterari: una casa editrice e in generale il centro che dà una certa qualità alla nostra vita letteraria, animandola e scuotendola ogni tanto: Biuro Literackie Port Wroclaw. Qui hanno posto gli incontri con gli scrittori (conosciuti o meno), i concerti dei gruppi (che in Polonia sono ambiziosi) – queste feste si chiamano "festival di poesia". Ma poesia mista a fagioli, birra, etc, etc. Ci sono pure le cartoline cogli scrittori, le t-shirts con i loro volti – per quelli che non amano leggere... Il massimo della creatività è stata rappresentata dall'inizio nei corsi per i debuttanti – sognanti lauro o Laura non di Petrarca, ma almeno di Marcin Swietlicki, il più famoso poeta polacco (vivo, nato nel 1961). Della precedente generazione letteraria, che ha debuttato negli anni '90, nel periodo dei grandi cambiamenti politici in Polonia, a parte Swietlicki, non è rimasto nessuno. I vecchi autori hanno lasciato un campo da ricoltivare per creare, questa volta, delle opere finalmente significative. Loro dopo le qualificazioni e pagando un po’ possono imparare dai veri poeti come scrivere, che argomento scegliere per la poesia, come intitolare la raccolta. Alla fine – se hanno imparato bene, il premio sarà la pubblicazione delle loro poesie – che fico! É stata comunque una idea squisita – anche se ha profanato, secondo me, un po’ l’arte. I letterati hanno così un po’ di soldi, necessari per vivere, però spesso vengono promossi degli scrittori non particolarmente bravi. Perché in Polonia non si possa diventare solamente un’artista – uno dei laureati del concorso di poesia descritto sopra, mi ha detto una volta: «Non trovo lavoro [laureato in filosofia], parto per l'Inghilterra, quando torno pubblicherò un libro da far mancare il fiato». Non credo proprio.. evidentemente non potrebbe contare sulla vita culturale in Europa; anche se si tengono numerosi festival internazionali della poesia, sembra che dappertutto regni famoso "Slam Poetry". Proprio un’idea da bestseller – ecco quello che ci vuole. I lettori purtroppo non sono per niente prevedibili. Così si fa un cerchio – perché in Polonia leggono Permalink n.2 Novembre 2006 10 pochi, ad alcuni sembra di leggere e di capirne un po’, lo stesso vale per la scrittura. Ancora qualche anno fa i giovani facevano salti di gioia quando il loro libretto–canzoniere veniva pubblicato (in cento esemplari dal locale centro culturale), e tutto finiva lì. Adesso ci sono più case editrici, soprattutto la già menzionata Port Wroclaw, delle riviste letterarie polacche – che spesso hanno purtroppo
  • 12. GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA Permalink n.2 Novembre 2006 11 esempio fa giuria del premio più prestigioso in Polonia per gli artisti, chiamato Nike, e loro hanno voluto ricordarci il talento di Maslowska. Loro hanno deciso di premiare Maslowska. E noi di nuovo dobbiamo comprarla, parlarne, odiarla ed invidiarla. Qui un’altra conferma della creatività – i libri di Maslowska sono stati messi in scena nei teatri – piuttosto con delle difficoltà e gran fiasco, ma sempre più frequenti sono state le rivisitazioni in spettacoli normali. Verrà pure fatto un film dal suo libro, cosa che non riesco ad immaginare. Si, è una star che dà da mangiare agli altri. Nel caso di Maslowska che, sorridendo con la smorfia alla Winnie the Pooh, supplica in tv di non leggerla più, la verità è che lei ci teneva tanto tanto a restare scrittrice (le sue prime prove quando aveva 16 anni). Allora dovrebbe essere trattata col rispetto e criticismo adatto ad una scrittrice, non ad una sensazionale novità. Sicuramente lei è stata la prima a far vedere che si può guadagnare scrivendo ed essendo giovane. Basta che lei non cerchi di spiegare i propri libri. Ha permesso pure agli altri di imitarla e copiarla – sia nello stile, sia nei comportamenti... La spiegazione della giuria del premio Nike è stata quella che pochi soldi per poter funzionare seriamente (Studium e Ha.art a Krakow) e il leggendario Pawel Dunin-Wasowicz o Lampa. Da poco (o nulla) famoso è diventato il più grande specialista della giovane prosa polacca. Prima cercava inutilmente di descrivere la generazione dei letterati nati dopo gli anni Sessanta, ora è editore di Dorota Maslowska. E qui due minuti di silenzio. Per ritrovare il coraggio di scriverne. Di Dorota Maslowska come icona della cultura polacca, l'eccezionale star – perché star letteraria, un simbolo della creatività pura è troppo difficile scrivere. Lei stessa in questo momento mi avrebbe guardato in modo strano e col suo sorriso furbetto e un po’ incurvato (di cui non so l'origine) avrebbe detto: «Non mi dire, oggi io, domani io, ieri io, no, non era cosi» (qui una parafrasi del Diario di Witold Gombrowicz, dio degli scrittori polacchi, morto). In Italia è stato pure pubblicato il suo libro Prendi tutto, magari lo conosce qualcuno? In somma: 100 mila copie del primo libro vendute è certo buon inizio; soprattuto quando si ha solamente 19 anni (lei è nata nel 1983). Dietro la Maslowska c'è tutta l'ideologia dei teenager ribelli, dell'eterno "lasciatemi in pace” che ha avuto come risultato proprio il contrario. Perché il suo primo libro è stato comprato da quasi tutti – anche il capo di stato. Per curiosità ovviamente: per imparare la lingua volgare. Invece il nuovo libro di Maslowska, Il pavone della Regina, pubblicato nel 2005, non si è impadronito dei cuori del popolo – ma degli scaffali nelle librerie. Tutti ne hanno avuto abbastanza; però per fortuna da noi esiste ancora l’elite culturale – che per Loro hanno deciso di premiare Maslowska.E noi di nuovo dobbiamo comprarla, parlarne, odiarla ed invidiarla.
  • 13. Permalink n.2 Novembre 2006 12 Maslowska ha ridato la libertà alla lingua, mirando contro la cultura popolare. La storia, molto simile, è quella del più famoso giovane poeta polacco – Jacek Dehnel, che deve la sua fama all'indicazione del Nobel polacco Czeslaw Milosz (morto da pochi anni). Anche se molti non credono alle buone intenzioni di Milosz e nel suo buon gusto. E come Maslowska usa una lingua molto volgare ed in somma banale, lui cerca di essere un aristocrata della poesia e della prosa (poco fa è uscito il suo nuovo libro La bambola). Tutti hanno scritto del suo abito elegante, delle sue capacità (laurea in una facoltà letteraria). La prova della sua creatività consiste nel saper vendersi – nel condurre vari incontri lirici con se stesso – come laureato di un noto premio per la poesia è ben visto nelle biblioteche o nei centri culturali dei vari paesi e paesini in Polonia. Ed infine, non è volgare, suona bene, sembra difficile – un vero poeta, magari l'ultimo poeta polacco. Ed è anche una delle persone associate con la "liberatura" o “liternet” – cioè una specie di letteratura esistente nell’internet. Ho già sparlato di persone più famose in Polonia negli ultimi tempi. Perché o si è un personaggio o si sa scegliere un argomento valido – che decide se l’arte si venderà e diventerà popolare. Questa regola viene confermata dai libri di Slawomir Shuty (autore di un hipertekst, un libro creato solo su internet) e Dawid Kornaga, il copy writer di Varsavia, l'autore dei racconti osceni, è considerato dai molti come un caso particolare (almeno deviato, consigliato ai sex shop). L'argomento - pure molto vendibile - è tutto sull'ambiente gay (come in Polonia superficialmente tema un po' tabù) – come sanno tutti lettori del “Lubiewo” di Michal Witkowski. Io invece ammiro di più i centri meno commercializzati, che non cercano solamente i guadagni. Cercano, invece, di esprimersi tramite varie attività artistiche, hanno anche il coraggio di manifestare il proprio parere o di contrapporsi alle idee sbagliate che purtroppo dobbiamo sopportare nel nostro paese delle meraviglie. Penso ai centri della cultura alternativa, come Rozbrat a Poznan o De Centrum a Bialystok dove si organizzano mostre, concerti, incontri e si può anche essere ospitati – anche se è meglio dormire con le scarpe indosso per non perderle. Sul loro sito si trovano articoli interessanti contro la guerra, contro varie guerre, contro i politici. Anche se qui devo annotare una trasformazione – le cerchie punk o anarchiche spariscono e non è solamente la morte per la vecchiaia o per le malattie... La generazione di oggi – durante la discussione di qualche anno fa chiamata “la generazione Nulla (Generacja Nic)”, è la generazione della musica hip hop, che è un po’ più igienica in paragone col punk, per fatto di genere e di parere. Bisogna ammettere che i testi hip hop non sono cattivi – hanno fatto uso della realtà condivisa dai cantanti e dagli ascoltatori – della noia, della vita vuota in una città grigia e materialista. Gli artisti segnalano spesso nei testi l’amore per musica, la gioia di cantare, magari grazie a questo – non essendo del tutto commerciali riescono a ridare GEOGRAFOMANIA: LA POLONIA MarcinSwietlicki Il poeta polacco piu’ famoso, nato nel 1961. La generazione Nulla, un po’ più igienica in paragone col punk. effetto della sincerità. Qui il cerchio ritorna alla Regina, in quanto il libro di Maslowska da taluni è definito un poema colle rime, da altri semplicemente un testo hip hop. Infine: la creatività non conta quanto il gusto della popolazione, e così la vera letteratura rimarrà per sempre o quasi nei cassetti. E tra qualcosa che è solamente scioccante o scioccante perché cosi buono – di certo sara il primo ad essere venduto di più.
  • 14. MONDO MISTERIOSO: TEREKURA Permalink n.2 Novembre 2006 13 Terekura I telephone club, antesignani giapponesi delle chat di oggi. pratiche: i terekura. I terekura (contrazione di terehon kurabu “telephone- club”) sono locali, molto numerosi nei quartieri a luci rosse, che offrono al cliente una minuscola stanza dotata di telefono. Si paga una tariffa di circa cinquanta centesimi al minuto, ci si accomoda nello stanzino e si aspetta che arrivi una chiamata. Molte delle ragazze che praticavano l’enjo kÿsai adescavano i clienti grazie a questo servizio: il gestore del terekura metteva in contatto la ragazza con l’utente che aspettava nel cubicolo, i due chiacchieravano un po’, informandosi sulla rispettiva età e eventualmente si davano un appuntamento da qualche parte. Il sistema è puttosto ingegnoso: la ragazza sa che al terekura ci sarà sempre qualcuno in attesa, il gestore guadagna sia sulla telefonata che sul tempo di attesa (che può allungare a piacimento evitando di passare le chiamate), il cliente, chiuso nel suo stanzino da qualche parte in un quartiere a luci rosse, lontano da casa e dal posto di lavoro si garantisce il suo riserbo e, se è un frequentatore abituale del terekura, è sicuro che il gestore gli passerà più chiamate possibile. Naturalmente il gestore, che dopo lo scoppio del fenomeno si trova sottoposto a frequenti controlli di polizia, avverte entrambi di evitare ogni riferimento a eventuali compensi. In questo modo i telephone clubs, anche se di fatto, facilitano una forma di prostituzione, ufficialmente si limitano a fornire un servizio simile a quello di una chat-line senza responsabilità per quello che succederà fuori dal suo servizio. L’espansione dei terekura, cominciata all’inizio degli anni novanta, attira l’attenzione dei media e delle autorità non solo per il fatto che i locali di questo tipo costituiscono il mezzo privilegiato della pratica dell’enjo kÿsai, o semplicemente perché sono una delle tante novità nel gigantesco mercato MatteoSegni Torinese di nascita, nutre un profondo attaccamento al turista giapponese. Vive per questo da anni nel delicato ecosistema della laguna veneta. el Giappone degli anni novanta i media cominciano improvvisamente ad agitare un nuovo gigantesco spauracchio mediatico che per dominerà a lungo gli schermi televisivi, le pagine dei giornali e i saggi sociologici: il nuovo simbolo della presunta decadenza morale della società nipponica si chiama enjo kÿsai. E’ un’espressione difficile da tradurre. La pubblicistica anglofona lo rende con la formula “dating for assistance”, in Italia qualcuno lo ha tradotto con “appuntamenti ricompensati”; si tratta di una forma inedita e, secondo la narrativa televisiva, piuttosto diffusa, di prostituzione dilettantistica che coinvolge una clientela solitamente composta di uomini fra i trenta e i cinquant’anni e le ragazzine delle scuole superiori, alla ricerca di denaro per finanziare l’acquisto di costosi accessori firmati Gucci e Prada. Ma c’è un altro elemento che rende l’enjo kÿsai particolarmente interessante per i giornalisti e i sociologi e riguarda questa volta non tanto i suoi protagonisti quanto piuttosto i mezzi di adescamento utilizzati in queste di Matteo Segni
  • 15. MONDO MISTERIOSO: TEREKURA Permalink n.2 Novembre 2006 14 giapponese del sesso, ma anche per il loro stretto legame con le nuove forme di comunicazione telefonica. All’epoca della sua nascita, nell’86, il terekura sfrutta un servizio di messaggeria vocale attivato dalla compagnia nazionale NTT, con la quale le ragazze recapitano inizialmente i propri annunci; ma la vera espansione avviene nel decennio successivo, insieme allo sviluppo delle prime forme di telefonia mobile accessibili alla fascia di mercato dei giovani e degli adolescenti: i PHS (una specie di via di mezzo fra cellulare e cordless) e i pokeberu (“pocket bell”), dei piccoli cercapersone che permettono di inviare e ricevere brevi messaggi di testo. Quando i media giapponesi hanno iniziato a interessarsi febbrilmente ai terekura e al fenomeno della prostituzione minorile, la diffusione della telefonia mobile fra i liceali, soprattutto fra le ragazze, era percepita come una parte del problema: lo squillare ossessivo dei pokeberu sulla metropolitana, l’immagine delle ragazzine in uniforme che a ogni angolo di strada mandavano e ricevevano continuamente messaggini, sembravano suggerire all’opinione pubblica l’idea che un’intera generazione di teen agers passasse il tempo a intrattenere rapporti e combinare appuntamenti con un’altra generazione di attempati signori, rinchiusi da qualche parte nei cubicoli dei telephone clubs. La telefonia portatile, la moltiplicazione dei terekura, la prostituzione minorile vengono associate dai media in modo da comporre un unico fenomeno allarmante, in cui le nuove forme di comunicazione sono additate come le principali responsabili. L’isteria comincia a sgonfiarsi verso la fine degli anni novanta, in parte grazie a una serie di inchieste più accurate sul mondo dell’ enjo kÿsai, in cui la reale portata del fenomeno viene drasticamente ridimensionata, in parte grazie al fatto che l’espansione di internet (piuttosto tardiva in Giappone) sancisce il declino dei terekura. L’aspetto notevole della diffusione dei terekura negli anni novanta è proprio il fatto che i servizi che offrono sembrano anticipare in un certo senso le funzioni delle chat- rooms e dei forum che oggi imperversano sulla rete. Nel gigantesco panorama del mercato nipponico della pornografia e della prostituzione (illegale, ma ufficiosamente tollerata) i terekura non sarebbero stati di per sé nient’altro che una novità fra le tante. I quartieri a luci rosse delle grandi città giapponesi presentano infatti una varietà tipologica di locali e relativi servizi che sfidano la fantasia più fervida, ma i terekura, sembrano particolarmente interessanti proprio per il loro legame con le nuove forme di comunicazione telefonica oltre che per una specie di dote profetica. In un certo senso sono la materializzazione, la versione analogica, concreta, abitabile di quelle chat-rooms che oggi popolano la rete; ed è curioso constatare che ancora una volta l’esperimento sia stato prodotto dal mercato del sesso e della pornografia, un territorio spesso di avanguardia, lo si voglia o no. Due tavole da un fumetto di pdi educazione civica, volto a responsabilizzare le giovani sui rischi del telephone club. Sfogliatelo per intero partendo da questa homepage.
  • 16. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE Permalink n.2 Novembre 2006 15 Entrare su Myspace Siamo tutti amici di Tom: nessuno dice che il social network più famoso del mondo ormai è fuori controllo. emergenti è Myspace assurge al ruolo di indispensabile biglietto da visita, per artisti, sedicenti tali o singoli che vogliono, attraverso immagini, pensieri e commenti, ricrearsi un’identità e un network di amicizie, altrimenti impossibili nella realtà. Per quanti, pochi in realtà, che ancora non conoscono questo fenomeno imperante, ecco spiegato il suo funzionamento: tramite la solita iscrizione gratuita, si può usufruire di una pagina personale nella quale inserire i proprio gusti, aspirazioni, foto, pensieri e nel caso di un gruppo, i propri brani, scegliendo di renderli scaricabili o meno, e, magari, le date dei concerti. Il tutto all'insegna dell'orizzontalità. In un certo senso, ha ragione chi sostiene, come Francesco Farabegoli, redattore di Nero magazine, che "Myspace è il sogno erotico di una casa discografica mascherato da esegesi della democratizzazione ultima della rete". Per conoscere una nuova band è sufficiente riuscire a trovare la pagina Myspace, magari leggere il profilo artistico, ascoltare le tracce e decidere se comprare a colpi di click il nuovo cd. Sotto questo profilo, Myspace ha avuto il merito di offrire una possibilità anche al gruppo meno conosciuto della terra. Prendiamo il caso degli Arctic Monkeys, gruppo inglese attivo dal 2000 e ignoto fino al 2005, anno in cui, grazie solo alla crescente popolarità raggiunta su Myspace, diventa famosissimo, firma un contratto con un'etichetta discografica, fa concerti sold-out in pochi minuti e scala vertiginosamente le classifiche. Fama e credibilità, non solo all'interno del network, sono merci che ti conquisti con il JennyP Alla tenera età di 6 anni, la madre la veste da punk e la spedisce ad una festa di carnevale. Litiga immediatamente con Cenerentola e Superman, che non la capiscono. Ora ha 25 anni ed è la regina dell'underground romano yspace rientra nell'ordine di cose la cui crescente popolarità è risultata direttamente proporzionale all'aumento delle critiche. Il suo uso, talvolta spasmodico, da parte degli utenti, l'ha reso il social network in assoluto più frequentato, con un posto tra i primi dieci portali più visti al mondo. Sarebbe forse un azzardo paragonarlo alla vecchia piazzetta o alla sala giochi, ma la sua funzione socializzante è quasi sfuggita di mano. Il sito nasce nel luglio 2003, quando Tom Anderson (uno studente dell’Università di Berkeley, California) decide di creare una community musicale di poche pretese, con il solo scopo di mettere in relazione persone comuni e musicisti. In breve tempo, il successo inaspettato: da vetrina di band e cercare di uscirne... di Jenny P
  • 17. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE Permalink n.2 Novembre 2006 16 passaparola che, da amici a conoscenti, si propaga sempre più lontano. Il meccanismo per trovare "amici" è dieci volte più semplice che nella vita reale, la parte noiosa, quella del “come- ti-chiami-che fai-che-musica- ascolti”, è esclusa. Si va diritti al al nocciolo: "Add to friends". Mentre vaghi per il sito (perché al di là di esigenze particolari, è questa la sua funzione primaria), prima o poi ti imbatti nella pagina di un singolo i cui interessi sono affini ai tuoi; clicchi sul pulsante “aggiungi”, aspetti che venga accettata la tua richiesta, ed ecco fatto: hai un nuovo amico. Non appena ci si registra l’unico amico che hai è Tom (il fondatore). Lui non ti chiede chi sei, non aspetta una tua richiesta, né tantomeno te la pone: lui è tuo amico. E basta. E’ come un padrone di casa particolarmente zelante che ti invita alla sua festa, ti accoglie, ti offre da bere e gentilmente ti presenta ai suoi 123.432.426 (in crescita, ovviamente) amici, per poi scomparire nell’ombra e aprire la porta ai nuovi invitati. Non mancano ovviamente le magliette “Tom is my friend” (in cui si ironizza sulla propria mancanza di amici) e “Tom is NOT my friend” (in cui si sottolinea la propria non partecipazione a Myspace). Ma ciò che conta è il fatto che il numero di amici presente nella propria pagina rende le persone bramose di averne sempre di più, spingendo gli utenti verso la spasmodicità, senza curarsi di loro profili e interessi, i nuovi amici vengono aggiunti con il pensiero fisso solo a quel numeretto che crescerà, che aumenterà la propria popolarità. "Qual è la tua pagina Myspace?": non siamo lontani dal giorno in cui, sul biglietto da visita, tra la professione e il numero di telefono ci sarà la quantità di amici virtuali. Al termine di questo vortice di vuota perversità esistono addirittura software, a pagamento, che permettono di aggiungere amici automaticamente come Autoadder o Friend adder. Su Myspace l'importante non è che tipo di amici hai, ma quanti ne hai. E quello che più ci piace è che accanto a Mary, John e Frank, ci possono essere i Pixies, Solange o Michel Gondry, e sono tutti nostri amici. A prima vista è spiazzante trovare tra gli amici di Mary, "18enne americana che ama i biscotti", Madonna e gli U2. Ma informandosi meglio si scopre che in realtà loro, con il profilo, hanno a poco a che fare. O meglio, qualcuno per loro aggiorna le news, mette online i pezzi nuovi, modera i commenti e accetta le richieste di amicizia. L'orizzontalità apparente proposta dal sito, tra rockstar e fan, in realtà non è altro che l'antico rapporto fan-ufficio stampa della rockstar. Quando Madonna accetta la tua richiesta di amicizia è come se la sua segretaria ti mandasse una sua foto autografata in serie. Un'altra caratteristica del tuo profilo sono i commenti che ognuno (ovviamente un "ognuno" loggato, se non ti registri non hai accesso ai contenuti del profilo, come foto, video e blog entry) è libero di lasciare sulla tua pagina. Ma la loro primaria funzionalità, quella che interessava ai gruppi che uploadavano i loro brani nuovi e Myspace ha il merito di offrire una possibilità anche alla band piu’ sconosciuta della terra.
  • 18. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE Permalink n.2 Novembre 2006 17 cioè il parere dei fans, ormai è stata superata e si spazia dalla vasta gamma dei "grazie per l'add" (traducibile con "grazie per avermi aggiunto") a frasi decontestualizzate e prive di interesse, con cui gli user commentano la serata passata insieme. Per questo teoricamente ci sono i messaggi privati o l'istant messaging, ma il fatto che questo tipo di pensieri ammiccanti imperversino su qualunque pagina dimostra il goffo tentativo di dare una parvenza di realtà a questa socialità virtuale. Un video illuminante sul fenomeno è Myspace - The Movie, una simpatica presa in giro del teenager americano che allestisce un set fotografico nel suo bagno, si aggiusta il ciuffo, guarda di traverso in camera e ammicca sornione, pronto a farsi degli scatti da uploadare sul suo profilo, o degli imbarazzanti appuntamenti al buio con utenti, la cui foto di presentazione è distante anni luce dalla realtà. Il design della piattaforma, in sé, è decisamente piatto, addirittura monotono. Ecco allora i programmi, come Thomas Editor che permettono, anche a chi non ha la minima nozione del linguaggio HTML, di modificare il proprio appeal. A questo punto, la tua pagina può avere uno sfondo particolareggiato, pulsanti personalizzati, slide di foto, video, canzoni (per i singoli) e Big Rupert si scusa e cambia i termini, non esige piu’ i diritti di proprietà su foto, video e suoni mille altri ammenicoli virtuali, ideati per farti spiccare in mezzo alla monotonia visuale di tutti quegli altri utenti che ancora non hanno provveduto a rifarsi il trucco. Ma non sempre l'originalità cromatica porta a efficaci risultati come dimostrano Worst Of Myspace, un sito che ogni giorno propone i profili peggiori (sia dal punto di vista ornamentale che da quello contenutistico) e la competizione indetta da Zefrank www.zefrank.com, sito americano di progetti interattivi, film e giochi in flash, che l'anno scorso ha premiato il profilo di soybuddha, come pagina più brutta esteticamente, mai esistita su Myspace. Ma gli smaliziati sanno che il piattume decorativo, in realtà è un vecchio trucco particolarmente efficace; Robert Scoble, il blogger più famoso di casa Microsoft, in un suo recente articolo, ha illustrato come siti dal design piuttosto antiestetico siano i più efficaci (pensate allo stesso Google o Craiglist) perché percepiti più autentici, meno commerciali, frutto di passione per il servizio piuttosto che schiavi di interessi monetari. Come da copione happy ending, l'inspiegabile e portentosa popolarità raggiunta da MySpace in poco più di due anni, ha scomodato l'interesse dei giganti del Big Business e il magnate australiano Rupert Murdoch nel 2005 versa sul conto corrente di Tom 580 milioni di dollari in cambio dei suoi spazi. Finita la magia del sogno americano,
  • 19. INTERNET: USCIRE DA MY SPACE Permalink n.2 Novembre 2006 18 l'atmosfera cambia. Con l’acquisizione da parte di Big Rupert si sono scatenati movimenti di boicottaggio che prevedono un'accurata lista di punti secondo i quali Myspace è il demonio. Gli attivisti di (L)eft, blog collettivo dedicato alle autoproduzioni musicali libere, nato da Copydown.org, nel giugno 2006 decidono di dichiarare guerra a Myspace, distribuendo materiale informativo e cercando di costruire una community online scevra da qualunque pubblicità. Attualmente, Jamendo e Mugshot (open source) sono i social network più accreditati come alternativa a Myspace. Per una curiosa clausola, in pochi si accorgono che i diritti dei brani uploadati dagli artisti diventano automaticamente di proprietà del padrone del sito, Murdoch. Lo scorso giugno Billy Brag, noto cantante folk americano, indignato dall'uso improprio dei suoi pezzi, a maggio di quest'anno fa sapere che non è assolutamente d'accordo con il contratto e riesce a far cambiare la clausola sulla proprietà del materiale pubblicato. A luglio Big Rupert si scusa e cambia i termini, che ora dicono "MySpace.com non esige alcuni diritti di proprietà sui testi, immagini, foto, video, suoni (...) o altri materiali postati. Dopo l'invio del vostro materiale, continuate a mantenere tutti i diritti di proprietà e continuate ad avere il diritto di usare il vostro materiale". Nello stesso mese il sito va pesantemente in panne, apparentemente per un guasto elettrico, ma c'è chi più realisticamente suggerisce che si sia trattato di un attacco di hacker. Tom Anderson ammette che la questione gli è sfuggita di mano, con lo spiacevole risultato di script nocivi che mandano in tilt il sistema di alcuni utenti, insieme ad adware e trojan che sono stati inseriti su migliaia di pagine, cammuffati da innocui file multimediali. E ancora più semplice deve essere, per terzi, usufruire dei dati personali degli utenti. Due hacker sono finiti in manette per aver minacciato il sito di rivelare la falla informatica che permetterebbe a chiunque di visionare i dati dei profili, rivelando quanto la propria privacy sia facilmente violabile, debolezza già nota agli utenti più popolari, da tempo bersaglio di numerosi spammer. Ma fra adolescenti ormonici, boicottatori, maniaci di ogni genere, nel mondo di MySpace sono sbarcati infine anche i marines, segno ultimo di un social network fuori controllo. Militari patrioti hanno infine conquistato la pagina del Corpo dei Marines e dal loro presidio si impegnano a fare proseliti virtuali. Ed ecco che accanto ai classici pulsanti "invia un messaggio" o "aggiungilo come amico", non ci si fa mancare un "contatta un reclutatore". This baby is topping out Il grafico qui sotto, che indica la battuta d’arresto di Myspace, arriva da Realmeme: myspace_meme
  • 20. SCARTABELLAMENTI Permalink n.2 Novembre 2006 19 In materia di libri, come con le donne, spesso si gode più di esemplari che non possederemo mai, piuttosto che di ciò che finiamo per mettere in pratica, coi volumi o le compagne che ci appartengono davvero. Chi affermi di essere giunto a disporre completamente di un best-seller, o di una vera signora, dimentica che, a volte, perfino le più serie di esse possono risultare flessibili come la copertina di un paperback. Per inverso, è un fatto che dietro certe sovraccoperte dall'aspetto innocuo si possano nascondere bordi pagina più graffianti delle unghie di una vamp. Anche quando preleviamo un libro da un nostro scaffale, in realtà, lo stiamo prendendo in prestito. Non riusciremo mai a leggerlo abbastanza spesso, e con la giusta attenzione, perché non ci sfugga sempre gran parte del suo significato, e dunque della sua proprietà. Ma è proprio qui la massima parte del suo fascino: in questo concedersi e negarsi, da parte di qualcosa che crediamo nostro, in virtù di un contratto illusorio, ma perfettamente legale. Anche dai libri, allora, ci si può difendere attaccando. Ad esempio, i libri che si danno in prestito nelle biblioteche, non è che ci sia questo straordinario piacere a personalizzarli. Possiamo maneggiarli, prenderci appunti, fingere di dimenticarvi liste della spesa a mo' di segnalibro. Eppure, fare proprio, in vario modo, qualcosa di apparentemente pubblico, riesce ad appagare solo fino ad un certo punto i desideri dei bibliofili più viziosi. Certo, almeno alle prime ramanzine ricevute, non potranno negare di aver saputo godere anche solo del contravvenire alle raccomandazioni della bibliotecaria. Questo, soprattutto perché, per gli esteti versati in questo campo che non siano più in età scolare, una bibliotecaria può essere tutto quanto resti, in una vita ormai fatta di sole segretarie condiscendenti, o redattrici fetenti, dell'antico mito di rispettabilità della penna rossa di una maestrina. Inoltre, alcuni sapranno godere del riconoscere in quei volumi, all'apparenza solo consunti, notizie di altre dimensioni, di esperienze altrove. Scovarvi tracce di piacere altrui, e lasciarne di proprie, contribuendo alla particolare Le perversioni di carta E’è chi si perverte Con una lettura rilassata, nel raccoglimento di una piccola libreria di provincia. diversità di qualcosa che potrebbe sembrarci nostro, per il periodo del suo tempo che ci spetta, ma che è nato per essere di tutti. Ma, sia detto fra noi: risiede proprio in questo il vero limite dei volumi di biblioteca, ai nostri fini: il fatto che libri come questi, in un certo senso, di Giovanni de Stefano
  • 21. Permalink n.2 Novembre 2006 20 rendersi tanto disponibili, lo facciano in fondo solo per professione. Invece, pensate alla gioia di fare altrettanto con delle vere copie da libreria: nuove, intatte. Che vengano esposte, e spesso acquistate, convinte di poter essere fedele proprietà di un unico beneficiario, e spesso finendo col persuadere anche quest'ultimo della cosa. Ciò che più ci interessava, pervertendoci nelle biblioteche nazionali e comunali, qui venga capovolto: nelle Feltrinelli più confortevoli, come nelle Mondadori meno respingenti, l'obbiettivo diviene quello di rendere pubblico ciò che sarebbe destinato al privato, prendendosi gioco del concetto di possesso, se applicato agli oggetti della lettura e della riflessione, in un file sharing di cui siamo pirati all'arrembaggio fin dell'ultimo scaffale. Con spirito uguale e contrario a quello che ci illudeva, in fila al banco dei prestiti, di vivere in casa nostra, con un volume che era e sarebbe stato, al di là di quel mese da Pretty Woman, di tutti. Impadroniamoci per qualche ora di un divanetto - banco di prova di tante unioni - su cui stroncheremo o adoreremo, in amori a prima vista, al solo rivelarsi di una copertina; matrimoni e repentini divorzi d'interesse, con libri che non leggeremmo mai per intero, di cui non ci serviva che una citazione o il finale; amicizie eterne o fugaci tradimenti; relazioni di una vita con certi tomi che avremo il coraggio di comprare solo fra dieci anni, o la fortuna di ricevere in dono all'indomani del primo incontro. E, fra una delusione e un giuramento, cominciamo, dapprima a matita, ad apporvi note a piè di pagina; sottolineature; perfino orecchie, segnalibro di indimenticabili pomeriggi: messaggi in bottiglia che solo una posterità retrograda potrebbe non apprezzare. O, ancora peggio: portare segnalibri nostri, fedine di un fidanzamento cornificato in partenza, ma che sono forse l'unico modo di far sì che quelle pagine, e quello che rappresentano, siano amate, oppure odiate, o semplicemente eternamente. Non dovrebbero esserci che coppie aperte, fra noi e i libri. Facciamo credere alle copie che abbiamo fra le mani che, con loro, se ci prendiamo certe libertà, è per il fatto che sono ormai vendute - come delle patatine al supermercato assaggiate prima del tempo - ma senza poi mettercele veramente in casa. Liberarle da un cellophane identico a quello di ogni altra copia - quel modo così provocante di mostrare la propria incontaminatezza - per illuderle, ognuna stretta nella sua rilegatura, di essere unica al mondo, e con la speranza di appartenere, un giorno, ad uno e un solo lettore. In un necessario modello di poligamia bibliofila che il pipatore all'inglese potrà definire, pur senza fare troppi giri intorno alla cosa, semplicemente: "rotation"; ma per cui la copia in questione - prima di comprendere che da tutto questo ha solo da guadagnare - soffrirà ogni volta come se fosse la sola vittima di un sistema vecchio come la sua prima, unica edizione, dal 1987 profondamente traumatizzata, ma non ancora esaurita. Tutto ciò non vuol dire che, per questo tipo di lettori - casanova e dongiovanni, vittime e carnefici al tempo stesso, dell'amore - una buona volta, la scintilla non possa effettivamente scoccare. Il tempo che lettore e libro avranno trascorso insieme su quei centimetri quadrati di similpelle (spesso così faticosamente rimediati), in caso di acquisto, sarà ricordato come una felice convivenza; un passo necessario, prima di condurre quel libro dritto alla cassa, l'altare post-moderno delle loro nozze; un passo senza il quale un salto nel buio sarebbe Un giovane colto Nella flagranza dello scrocco, durante la preparazione del saggio su Winnie Pooh che lo renderà finalmente un cliente pagatore. SCARTABELLAMENTI
  • 22. Permalink n.2 Novembre 2006 21 avventatezza o perversione. In quest'ottica, quando vediamo studenti di legge trascinare per le librerie pesanti codici commentati, nel loro sguardo volto ad una pila di saghe fantasy, un attimo prima di pagare ed uscire, vediamo le stesse pene degli sposi infelici di matrimoni combinati. E' una tempesta ormonale della cultura, che solo l'istituzione di biblioteche virtuali come Google Book Search minaccia d'acquietare (per tacere dell'ira funesta dei buttafuori dei punti vendita meno illuminati, naturalmente). Il sistema, vera rivoluzione anti- copernicana del book-crossing (la pratica di lasciare propri libri incustoditi in giro per il mondo), infatti, non riesce altro che nell'impresa di far apprezzare al globo intero la stessa identica copia di un qualunque libro, facendola restare ferma e immobile presso Mountain View, Contea di Santa Clara, California, dove ha sede il quartier generale di Google. Nessuna impronta digitale alla rucola su alcuna delle pagine di un solo libro condiviso da tutti, dotato di un copertina virtuale color dell'uniforme della polizia repubblicana ceca. E, in cambio di un volume in carta e dorsi, da posare sul nostro petto tanto inquinato, le cui emanazioni respiriamo come un Vicks Vaporub non spalmabile, ma altrettanto medicamentoso, milioni e milioni di sole introduzioni, giacché nella quasi totalità dei casi, oltre la decina di pagine la maîtresse digitale di Google non ci farà proseguire. Non resta che augurarci di poter soprendere, ancora per molto tempo, di quelle studentesse modello, che preparano storia dell'architettura 1 e 2, nel salottino al piano interrato della Feltrinelli di largo Argentina, a ...l'obbiettivo diviene quello di rendere pubblico ciò che sarebbe destinato al privato... Roma. E tutto sotto lo sguardo quasi benevolo dell'addetto al reparto. Perché arriva un momento, nella vita di uno scroccone di librerie, in cui il commesso che finge di non vederti da sei-sette mesi deve operare una scelta, su di te. E' molto simile a quello che succede in un'altra sezione della stessa libreria, quando si comincia a provare da troppo tempo un solo gioco della Playstation. Per chi supera lo scoglio iniziale del racket della fila, gestito perlopiù da bambini tatuati temporaneamente, diventa facilissima la contaminazione col mondo delle sale giochi. Grazie alle memory card, anche interminabili giochi di ruolo vengono finiti, sotto lo sguardo ormai ammirato pure del più acerrimo commesso, che non ci considererà più scrocconi, ma borsisti. GoogleBooksSearch La schermata che ci nega l'accesso al libro che consultavamo, dopo qualche pagina più o meno allettante. SCARTABELLAMENTI
  • 23. FENOMENI: LIMITE A ZERO Macchine, uomini e altre prossimità... di Graziano Nani l concetto di limite […] descrive il comportamento di una funzione secondo il valore dato al suo argomento da 0 all’infinito. Quando il limite tende a zero la funzione si avvicina al punto originario, al nucleo fondativo, alla radice, all’elemento generativo dell’intero sistema di riferimento. In quel momento (stiamo parlando di un momento teorico, astratto, in assenza di tempo di fatto) vi è una tensione forte e primitiva, un avvicinamento, una prossimità. L’intro di 0006_limiteazero, il saggio a più mani edito da Hublab, inquadra così la realtà forgiata dalle menti di Paolo Rigamonti e Silvio Mondino, che da una decina d’anni si tormentano senza sosta sul senso della prossimità. Tra cosa? GrazianoNani Corrotto dalla frenetica e impietosa vita del pubblicitario, cerca la redenzione ma sempre nel posto sbagliato. Permalink n.2 Novembre 2006 22 Tra uomo e macchina, verrebbe da dire di primo acchito. In realtà i lavori di Limiteazero hanno un senso più ampio. Paolo e Silvio lavorano come spinti dalla consapevolezza dell’esistenza di un nucleo verso il quale tendono a convergere mondi diversi, spesso ineluttabilmente distanti, all’apparenza. La storia di Limiteazero è la summa dei tentativi di gettare ponti e intavolare dialoghi, contemplare dimensioni e misurare fattori sui quali di rado ci si ferma a riflettere. Dalle prime opere realizzate, strettamente orientate al software e alla programmazione, alle ultime idee dalla forte impronta fisica, e autoesplicativa, Limiteazero coinvolge senza sosta codici di programmazione e costrutti grafici tridimensionali, approcci estetici e agglomerati ingegneristici, stringhe di dati e seducenti assemblaggi artigianali. Fredde, asettiche, minimali nella loro essenzialità algida e senza vezzi, quelle di Limiteazero sono opere che nella continua generazione di sinapsi trovano un senso profondamente narrativo. Detto questo, si può affermare senza remore che sì, uomo, macchina e ambiente, sono al centro di una serie di riflessioni che inesorabilmente scaturiscono dalle opere di Limiteazero… … ma di tutto questo, e molto altro, mi preoccupo poco in un mercoledì qualunque di ottobre, mentre taglio in due la zona di Paolo Sarpi determinato a spaccare il minuto per il mio appuntamento con Paolo Rigamonti. Appena varco la soglia dello studio un’atmosfera
  • 24. guizzante di energia silenziosa mi mette subito a mio agio, insieme alla mano di Paolo che stringe la mia e mi fa accomodare: “Paolo Rigamonti, piacere.” Anche Silvio Mondino, assorbito dal suo laptop in fondo alla stanza, si separa per un secondo dalla luce dei pixel per presentarsi, salvo ritornare rapido alla sua postazione. Finalmente Limiteazero ha un volto, anzi due. Per il resto, nella stanza, nessuna traccia di tutto quello che il laboratorio richiama alla mia mente: nessuna installazione segue i miei movimenti e interagisce con me, nessun flusso di dati attraversa il locale, tranne quello dei 2 portatili che illuminano sommessamente l’angolo più lontano da me. PPaaoolloo,, ccooss’’èè LLiimmiitteeaazzeerroo?? Le persone che stanno dietro a Limiteazero sono 2, io e Silvio Mondino, insieme a una rete molto elastica di collaboratori che si riuniscono e disperdono a seconda dei lavori. Il progetto può essere descritto come uno studio di Media Design e Media Art, e lavora in 2 direzioni fondamentali: quella della pura ricerca, rappresentata dai progetti che normalmente vanno nelle gallerie, nei musei, nei festival. Attraverso questi percorsi tendiamo poi a stabilire metodologie di lavoro che applichiamo anche ai progetti svolti su commissione. Però, penso... Paolo snocciola informazioni essenziali scandendo i concetti con un’espressione intensa che salta tra me e il fedele registratore - rigorosamente analogico – che mi accompagna. EE ccoommee vviivveettee qquueessttaa ddiiccoottoommiiaa ttrraa llee ooppeerree cchhee ssoonnoo ffrruuttttoo uunniiccaammeennttee ddeellllaa vvoossttrraa ccrreeaattiivviittàà,, ee qquueellllee rreeaalliizzzzaattee aa ffiinnii ccoommmmeerrcciiaallii?? La differenziazione che ti ho fatto è, come dire, merceologica. Il punto è che i lavori commerciali vengono pagati, quelli che sviluppiamo sperimentalmente sono autofinanziati, ma in realtà lavoriamo esattamente allo stesso modo. Anche quando operiamo su commissione la fortuna è che, proprio grazie al nostro background legato all’arte e al design, ci vengono dati dei brief molto generali, che ci lasciano grande libertà, e ci permettono di sperimentare. Non facciamo mai lavori commerciali in senso stretto. Spesso, anzi, è accaduto il processo inverso a quello canonico, e Permalink n.2 Novembre 2006 23 ci è stato chiesto di portare in galleria progetti nati come commerciali. E’ stato il caso, ad esempio, di laptop_orchestra. Mi colpisce, soprattutto, la sobrietà con cui Paolo affronta il tema, come se Limiteazero avesse già superato da tempo la questione, intento a puntare oltre. Mi chiedo da quali background provenga questo approccio, se la formazione professionale abbia in qualche modo indicato la rotta. QQuuaallii ssoonnoo ii vvoossttrrii bbaacckkggrroouunndd,, ddaa qquuaallii mmoonnddii pprroovveenniittee?? Io sono architetto, sono entrato nel primo studio d’architettura a 17 anni, e ci ho lavorato fino a una dozzina di anni fa, occupandomi di edifici, interiors, ristoranti, … Silvio proviene da una realtà completamente diversa, ha fatto studi di elettrotecnica, per poi occuparsi di musica elettronica e di graphic design allo IED. Ci siamo incontrati una decina di anni fa, lavorando su quelli che erano i nuovi ...nella stanza, nessuna traccia di tutto quello che il laboratorio richiama alla mia mente...
  • 25. media crescenti; da lì è nata la curiosità di sondare alcuni aspetti che stavano dietro la facciata di marketing, e man mano Limiteazero è cresciuto. DDuuee ppeerrccoorrssii ttoottaallmmeennttee ddiiffffeerreennttii…… qquuaall èè iill vvaalloorree aaggggiiuunnttoo ddii uunnaa ccoollllaabboorraazziioonnee ccoommee qquueessttaa?? Più che di background, è una questione di due teste con forme differenti che unite riescono a compenetrarsi. Da quando abbiamo formato Limiteazero le nostre competenze si sono lentamente fuse insieme, generando un altro tipo di professionalità. Mi chiedo in che modo una simile realtà riesca ad assorbire contributi esterni… CCoossaa ddeevvee ffaarree cchhii vvuuoollee ccoollllaabboorraarree ccoonn vvooii?? Molta fatica. L’esperienza che viviamo è parecchio introspettiva, per noi è uno sforzo pazzesco fare sharing. Quando cresci con questo tipo di logica, hai in testa l’intero progetto dall’inizio alla fine, tendenzialmente saresti in grado di svolgere tutte le attività da solo, e diventa difficile fidarti degli altri e spiegarglielo. Bene, è il momento di entrare nel vivo, penso. È la prova del nove: vediamo se con poche coordinate riusciamo a inquadrare l’aspetto più complesso di Limiteazero: gli ambiti di riferimento. DDeessiiggnn,, aarrcchhiitteettttuurraa,, ccuullttuurraa eelleettttrroonniiccaa,, tteeccnnoollooggiiaa:: ssoonnoo qquueessttii ii mmoonnddii ddii rriiffeerriimmeennttoo iinn ccuuii vvii ccoollllooccaattee,, ggiiuussttoo?? In realtà non ci collochiamo, sarebbe deontologicamente sbagliato. Viaggiamo trasversali attraverso tutte queste categorie, e non solo. Se c’è una particolarità, del nostro lavoro, verte proprio su questo criterio di trasversalità. Prendiamo i linguaggi di diverse discipline, e tentiamo di coniugarli in questo gramelot estetico molto personalizzato. E non hai citato l’aspetto ingegneristico dei nostri lavori. Noi abbiamo una filiera assolutamente medievale: dall’idea fino all’ultima vite stretta, accade tutto in questo studio, con un controllo totale. Scriviamo il codice sorgente, facciamo i disegni architettonici, compriamo l’elettronica e la montiamo. Tranne rare eccezioni, il nostro è un criterio artigianale: prendiamo i componenti nei negozi, e li assembliamo in una macchina funzionante. Permalink n.2 Novembre 2006 24 QQuuaall èè llaa ffiilloossooffiiaa ddii LLiimmiitteeaazzeerroo?? Non abbiamo un punto fondamentale, una bandiera, un motto, un manifesto da seguire scritto, documentato. Abbiamo sempre lavorato caso per caso, e ci siamo costruiti una filosofia di lavoro senza raccontarcela. La filosofia è deducibile ripercorrendo i nostri lavori. Io non la so descrivere, questa continuità filosofica, però c’è, esiste. Più volte ci è stata riconosciuta un’impronta molto precisa, non solo stilistica, ma anche metodologica. Anche Silvio si stacca per un secondo dal laptop e conferma: il nostro nasce come lavoro di ricerca, non ci siamo posti in partenza un obiettivo preciso verso il quale tendere. Man mano abbiamo definito meglio le indagini, i percorsi. Paolo continua: questa è la ragione per cui non ci Scriviamo il codice sorgente, facciamo i disegni architettonici, compriamo l’elettronica e poi la montiamo.
  • 26. definiamo artisti: non abbiamo quel tipo di logica di lavoro. Stabiliamo questa convenzione per chiarirci: io definisco artista chi ha un’idea, e utilizza uno strumento per darle corpo. C’è una specie di premeditazione, nel gesto artistico. Per noi è quasi sempre l’opposto: siamo affascinati dallo strumento, lo utilizziamo, e riusciamo a dargli una valenza poetica man mano che ne tiriamo fuori le caratteristiche. Sono perplesso… PPaaoolloo,, nnoonn ssoonnoo dd’’aaccccoorrddoo,, nnoonn ccii ccrreeddoo cchhee ttuuttttii ggllii aarrttiissttii –– mmii vveennggoonnoo iinn mmeennttee qquueellllii cchhee llaavvoorraannoo mmoollttoo ‘‘ddii ppaanncciiaa’’ –– ccoommiinncciiaannoo aa ccrreeaarree ccoonn uunn mmeessssaaggggiioo ddeeffiinniittoo aa mmoonnttee…… Sì, ma noi non lavoriamo di pancia, bensì con un criterio assolutamente determinista. Abbiamo un modo molto severo di lavorare, non procediamo in preda alla furia creatrice. Quella, in un certo senso, è inconscia. Forse l’esempio dell’artista che lavora d’istinto non era azzeccato, ma continuo ad avere delle perplessità… SSccuussaammii PPaaoolloo,, ffaacccciiaammoo uunn eesseemmppiioo:: qquuaannddoo aavveettee ccoommiinncciiaattoo aa pprrooggeettttaarree aaccttiivvee__mmeettaapphhoorr,, vvii ssvveegglliiaavvaattee iill mmaattttiinnoo,, ee ccoossaa vvii ssppiinnggeevvaa aa llaavvoorraarree?? VVoolleevvaattee ccoommuunniiccaarree qquuaallccoossaa,, nnoo?? No, volevamo capire qualcosa. O meglio, eravamo fortemente affascinati dallo strumento. La prima cosa che abbiamo fatto con il Carnivore è stata costruire le 4 linee di codice che andavano a vedere il traffico che passava. Il primo feedback era una schermata di stringhe di testo incomprensibili che passavano in continuazione. Due giorni li abbiamo persi a guardare le stringhe: era bello, era già una cosa viva, la gente non lo sapeva ma stava interagendo con un sistema che diventava qualcosa che ti fluiva davanti. Era come guardare una cascata d’acqua… sì, era una cascata di dati. Quella era già la prima parte del lavoro, quella più interessante. Poi certo, si trattava anche di utilizzarli in qualche modo, quei dati. Sai quando si parla di Design Spontaneo, degli oggetti che non sono stati disegnati da architetti… sono belli perché incredibilmente azzeccati, no? Può sembrare pretenzioso, ma quello che tentiamo di fare è ricavare dalle cose il senso che è già insito nelle cose stesse. Ancora non sono soddisfatto. Se la prendo un po’ più larga, forse… VVooii nnoonn ppaarrttiittee ccoonn uunn mmeessssaaggggiioo ddaa ttrraassmmeetttteerree,, mmaa èè iinndduubbbbiioo cchhee llaa ggeennttee nnee ccoogglliiee ddii ddiivveerrssii,, aadd eesseemmppiioo lleeggaattii aallllee rriifflleessssiioonnii ssuullll’’eevvoolluuzziioonnee ddeell rraappppoorrttoo uuoommoo--mmaacccchhiinnaa cchhee ssccaattuurriissccoonnoo ddaaii vvoossttrrii llaavvoorrii.. CCoommee vviivveettee qquueessttee iinntteerrpprreettaazziioonnii?? Sono significati che abbiamo rivelato. Come recita il nostro sito, ‘Limiteazero lavora alla ricerca di relazioni alternative nel rapporto uomo macchina.’ La frase non ci piace neanche più, ma la lasciamo invariata ormai da 10 anni: per quanto lineare, e banale, non saprei trovarne una migliore. Noi tentiamo di parlare con le macchine con un linguaggio alternativo. Riteniamo che Microsoft, con Windows, ha devastato per generazioni il rapporto tra uomo e macchina, ci vorranno anni per recuperare. Ci sono altri modi di lavorare con le macchine. L’elettronica sta in un case di metallo, solitamente orribile, che nascondiamo sotto la scrivania. Con i nostri oggetti tentiamo di modificare anche questo ruolo della macchina, che può essere bella, interessante. Il concetto che chiude tutto, se proprio vuoi che ti dica questa cosa, è che noi, come gran parte degli artisti contemporanei, attingiamo a piene mani da Duchamp. Noi prendiamo l’orinatoio, e lo esponiamo. Sì, era proprio questo che volevo sentirmi dire… EEssiissttee aattttuuaallmmeennttee uunnaa sscceennaa rreellaattiivvaa aallll’’aarrttee eelleettttrroonniiccaa?? MMoovviimmeennttii,, ccoorrrreennttii,, …… C’è tanto che si muove in tutto il mondo, Permalink n.2 Novembre 2006 25 con approcci e stili diversi. C’è la Software Art, chi lavora con l’hardware, con l’interazione… negli Stati Uniti è nata Bitforms, la prima galleria privata che tratta solo ed esclusivamente arte digitale. Quello che dicevo per Limiteazero vale per molti altri, definire questi progetti ‘arte’ è una cosa che non so se è giusto fare… Forse va fatta, ma so per certo che al mercato dell’arte contemporanea viene l’orticaria, non è così ben disposto. Credo che prima che l’arte elettronica entri a Documenta, ad esempio, deve passare ancora qualche anno. Poi magari l’anno prossimo succede, le cose si muovono molto velocemente… QQuuaallii ssoonnoo ppeerr ttee llee rraaggiioonnii ddii qquueessttoo aatttteeggggiiaammeennttoo?? Personalmente credo che il mondo dell’arte contemporanea, nonostante si fregi di essere molto raffinato, non sia lontano dal mondo del marketing. È un marketing con grandi interessi: 10 persone in giro per il mondo decidono come deve funzionare e quali devono essere i suoi equilibri; dietro c’è un sistema economico molto potente. Come per ogni nuovo linguaggio, c’è una grande corrente di giovani critici interessati a questo mondo, ma l’establishment dei cinquantenni, dei sessantenni, non è pronto a prendere in mano il fenomeno. In più, l’arte elettronica ha un problema fondamentale: l’obsolescenza. Il nostro lavoro può durare, 4, 5, 9 anni, ma già rifare lo stesso progetto un anno dopo ci ha creato dei problemi. Tra qualche anno le cose che abbiamo fatto non saranno più riparabili, dovremo andare dagli antiquari per i pezzi di ricambio. Guardo l’orologio, ho gli ultimi 5 minuti. Osservo Paolo, di fronte a me, che si accende una sigaretta, essenziale nei suoi abiti scuri proprio come quando espone concetti in pochi secondi… non posso resistere, e l’ultima domanda me la gioco così: MMaa ffuuoorrii ddaa LLiimmiitteeaazzeerroo,, cchhii ssiieettee?? CCoossaa ffaattee qquuaannddoo nnoonn llaavvoorraattee?? Siamo maledettamene curiosi, è la sfiga
  • 27. Permalink n.2 Novembre 2006 26 Paolo: active_metaphor active_metaphor rappresenta la pietra miliare del nostro lavoro. Prende il nome da una frase di Marshall McLuhan, che dice: “E’ metafora attiva ogni medium che ha la capacità di modificare il suo contenuto e rappresentarlo in una nuova forma”. Questa frase, molto criptica e difficile da capire, per noi è diventata chiara quando abbiamo realizzato active_metaphor, che è esempio evidente del lavoro di destrutturazione messo in atto da un sistema. L’opera si basa su Carnivore, software progettato da un network di sviluppatori indipendenti partendo da un programma studiato dall’FBI per spiare le reti informatiche. Carnivore, da un computer posto in un punto qualunque di un network, è in grado di sniffare tutto il traffico che passa da quel nodo: scambio di mail, FTP, richieste di siti internet, … Ci affascina molto la possibilità di raccogliere questa materia viva fatta di dati che scorrono. Siamo totalmente disinteressati al contenuto, ci interessa invece il fatto di avere questa specie di “termometro della rete”, una macchina viva che sputa in continuazione feedback sui dati che stanno passando. Usiamo un client per assorbire dai dati l’unica cosa che hanno in comune, cioè il numero IP, composto da 4 gruppi di numeri distanziati da un punto. Ogni numero IP che passa lo scomponiamo nelle sue 4 componenti, che si trasformano in un sistema spaziale. I primi 3 numeri diventano le coordinate di un piano euclideo, la terza determina il colore. Nascono così delle architetture, modelli spaziali in movimento che rappresentano il dato di rete che sta passando in quel momento. active_metaphor è un lavoro che ci è piaciuto moltissimo: prendere una risorsa, trasformarne completamente il contenuto e renderla un’altra cosa. Dati qualsiasi, tizio che scrive una mail al suo amico, vengono trasformati in un modello architettonico. Un modello vivo, perché in continua mutazione. active_metaphor presenta un meccanismo su cui in seguito abbiamo lavorato molto. Limiteazero Paolo e Silvio: stilisti minimal o new media artist? più grossa che ti possa capitare nella vita. Quello che ci accomuna è un’enorme curiosità indagativa, e purtroppo è un’emorragia, non solo di risorse economiche, ma anche di energia. Spesso perdiamo giornate intere a osservare fenomeni per poi farne… assolutamente nulla! Quello che invece non siamo è: dei buoni manager. Abbiamo un senso pratico delle cose che in una scala da 1 a 10 è -1. Il tentativo di imparare a organizzarci e strutturarci con una logica di marketing, e di arginare questa curiosità, è il conflitto su cui si consumano le nostre esistenze. E’ anche vero che siamo partiti in un paese che non è famoso per essere all’avanguardia tecnologicamente, per dare a chiunque uno spazio in cui coltivare delle alternative. In più, abbiamo cominciato durante la crisi totale dei nuovi media… Non potevamo sperare che le cose fossero in discesa. Il fatto che nonostante tutte le difficoltà riusciamo a campare facendo cose di questo tipo… beh, questo è già un buon risultato. Capisco bene l’orgoglio che leggo negli occhi di Paolo con queste ultime parole. Tra i tanti confronti che vive ogni giorno Limiteazero - con l’arte, la scienza, la tecnologia - quello con la realtà delle cose è certamente il più ostico. Fino ad ora l’hanno spuntata… se non è concretezza questa! Paolo: laptop_orchestra laptop_orchestra è un lavoro realizzato su commissione. Nel 2004 Toshiba entra in contatto con noi, deve partecipare al Future Show e lanciare un nuovo laptop. Il brief è semplice: “dobbiamo parlare di questo laptop, non vorremmo farlo con i soliti linguaggi…” Abbiamo vagliato 2 o 3 progetti con i tempi tipici del lavoro commerciale: 3 settimane in totale, per la progettazione e la realizzazione. Abbiamo pensato: “che possiamo fare con un laptop? Non possiamo aprirlo, o smontarlo, il prodotto deve rimanere integro, deve essere esposto…” Un’orchestra di laptop coordinata da una scala sonora e da una serie di sistemi di colore. E come interfaccia, un oggetto di design estremamente particolare con il quale interagire: attraverso il semplice sfioramento di un punto, nasce l’operazione di coordinamento. L’obiettivo è: ridurre al minimo la complessità dell’operazione, massimizzando il risultato finale. E’ nato un oggetto dal design estremamente accattivante e particolare: un piano bianco, lucido e trasparente, su cui si riflettono i colori diffusi dai laptop, e una consolle composta da gambi metallici attraverso i quali interagire con il sistema. E’ un pezzo che si spiega da sé, non ha significati concettuali straordinari. La logica è quasi zen: utilizzare le potenzialità al minimo. Il senso è proprio questo: rappresentare una sorta di vetrina di lusso per il prodotto, che paradossalmente non si vede. Il progetto arriva al Future Show, e il giorno in cui parte l’evento il Corriere della Sera esce con le 10 cose da vedere: la prima, è laptop_orchestra. L’esperimento ha funzionato: c’è addirittura la security, tanta è la gente che vuole vedere il progetto. Un oggetto così particolare, che farebbe inorridire la gran parte dei responsabili comunicazione, ha avuto un feedback enorme. E’ passato in TV, è stato fotografato parecchie volte. Siamo appena stati in California con laptop_orchestra, il progetto ha fatto il giro del mondo.
  • 28. INTERVISTA: LA WIKIPOESIA Permalink n.2 Novembre 2006 27 Wikipoesia Il wiki piu’ pazzo del mondo da oggi è anche un volume di 580 pagine. pprreecceeddeennttii nneell wweebb aannggllooffoonnoo ssee nnoonn ppeerr llaa ffiiccttiioonn ccoonn WWiikkiiffiiccttiioonn?? L’ispirazione m’è venuta tramite delle allucinazioni durante una lunga degenza in ospedale per via di un grave incidente che mi ha quasi stroncato nel 2004. E’ stata più che altro una visione, in un momento in cui ero vicinissimo alla morte. Sono sopravvissuto e questa idea m’è rimasta impressa come un’ossessione, dopo alcuni mesi ho cominciato a lavorarci, cercando tra vari fori di scrittura online quello più adeguato nello spirito per poter tentare la realizzazione. Fondendo le esperienze di “poesia istantanea” sul forum di nuoviautori.org curato da Carlo Trotta e la tecnica della Wikipedia il tutto è nato e si è sviluppato abbastanza rapidamente in meno di un anno. QQuuaannttii ppooeettii hhaannnnoo ppaarrtteecciippaattoo,, ee qquuaannttii ddii eessssii hhaannnnoo ggiiàà ppuubbbblliiccaattoo qquuaallccoossaa?? Abbiamo al momento 31 poeti attivi di varie nazionalità (Italia, Argentina, Svizzera, Romania, Albania, Siria, Inghilterra, India). La proporzione tra poeti e poetesse è circa del 50%. Tutti gli autori hanno pubblicato almeno in un’antologia, e il 40% di essi ha delle pubblicazioni proprie presso vari editori. Alcuni, hanno anche opere conosciute a livello internazionale, con rispettive traduzioni. Ad esempio Mani Rao (principale esponente della poesia contemporanea in India), Rodica Draghincescu (rinomata autrice in Romania), Cristina Castello (esponente della cultura Argentina), Lucrezia Lerro (finalista al premio Strega in Italia)… CCoommee èè ssttaattoo iill llaavvoorroo ddii ggeessttiioonnee ddeellllaa ffaassee ccrreeaattiivvaa ddii uunnaa ccoommuunniittàà?? QQuuaallcchhee mmoommeennttoo ddii ffrriizziioonnee oo,, aallttrriimmeennttii,, mmoommeennttii ccrreeaattiivvii bbeellllii ddaa rriiccoorrddaarree?? CChhee llaavvoorroo ddii pprroodduuzziioonnee cc''èè ssttaattoo,, uunnaa vvoollttaa eeddiittaattoo iill ttuuttttoo?? Il lavoro creativo occupa la maggior degli sforzi. Il resto è gestione, formazione, traduzione e produzione. Ci sono stati dei momenti di frizione alla fine del vol.1, soprattutto riguardanti la regola di intitolare le poesie cominciando con l’articolo indeterminativo, ma sono state di breve durata. La dinamica di decisione in gruppo ha prevaricato gli interessi personali di alcuni autori. I meccanismi sono stati simili a quelli della wikipedia. Il ricordo più bello a livello creativo è stato lo scoprire che quest’opera ha avuto un effetto redentore per molti autori e soprattutto lettori durante la sua evoluzione aiutandoli spesso anche a livello personale nel risolvere FrancescoCavallo Riuscira nella titanica e incommensurabile impresa di navigare il web per intero? Lui dice di essere arrivato quasi a metà. er quanto rivoluzionaria e utile, mi è sempre sembrato un po' eccessivo l'interesse per Wikipedia: in fondo si tratta di un'enciclopedia, il genere letterario meno avvincente mai pubblicato. Per questo, sono stato felice di scoprire, grazie a Bellami.it, Wikipoesia, un progetto di poesia collaborativa, tutto italiano, di Nuoviautori. Un tomo di 600 pagine è già pronto per andare in stampa, con i primi due capitoli di una trilogia ambientata, oltre che sul web, ad Aradollo, paese surreal- allegorico dove il poeta può vivere, creare, morire e rinascere. Tra poco rimarrà in linea solo il lavoro vivo e trasformabile, quello per la terza parte, che dovrebbere chiudere il ciclo iniziato con “Spegneranno tutti i lumi” e “La felicità è una piccola cosa”. Incuriosito dall'uso di un wiki - e di licenze Creative Commons - per una creazione letteraria collettiva, per capirne di più, ho fatto qualche domanda ad Andrea Galli, direttore artistico e ideatore di Wikipoesia. QQuuaall''èè ll''iissppiirraazziioonnee ddeell pprrooggeettttoo,, ddaattoo cchhee nnoonn hhaa di Francesco Magnocavallo
  • 29. INTERVISTA: LA WIKIPOESIA Permalink n.2 Novembre 2006 28 problemi di vita: questo è mostrato dalla coerenza strutturale tra i vari volumi. Con il vol.3 si è continuata una linea di produzione poetica seguendo una logica dantesca definita nell’evolvere dell’opera di Wiki- Poesia: il vol. 1 è caratterizzato da voci di spiritualità e passioni massacrate, da disegni e copertina con colore a fondo rosso, rappresentante il fuoco (l’inferno); il vol. 2 è caratterizzato da quotidianità terrene vicine alla natura in declino e gli eventi strazianti dell‘umanità di questo inizio secolo, da disegni e copertina con colore di fondo verde, rappresentante la terra (il purgatorio); mentre il vol. 3 cerca di lenire la sofferenza umana tramite la sconfitta della solitudine ambientando i personaggi nel magico realismo del paese immaginario di Aradollo, dove il colore di fondo dei disegni e della copertina è il blu, rappresentante l’aria (il paradiso). CCoommee aavveettee rreeggoollaattoo llaa lliibbeerrttàà ddii eeddiittaarree ppooeemmii aallttrruuii?? HHoo vviissttoo cchhee nneell ccaassoo ddii WWiikkiippeeddiiaa cc''èè iill ddiissccllaaiimmeerr ddii nnoonn ttooccccaarree iill tteessttoo aallttrruuii.. QQuuaall’’èè llaa vvoossttrraa iimmppoossttaazziioonnee ffiilloossooffiiccaa:: ii ccuutt uupp aallllaa BBuurrrroouugghhss?? CChhee ddiinnaammiicchhee ssii ssoonn ppooii ssvviilluuppppaattee iinn ccoonnccrreettoo?? Gli autori possono proporre dei cambiamenti annunciandoli nelle discussioni o per e-mail, se l’autore originale accetta, le modifiche vengono effettuate. Correzioni ortografiche o grammaticali vengono effettuate senza chiedere il permesso. In molti casi è l’autore stesso che domanda aiuto per “scolpire” una poesia dopo aver postato la prima versione. In questo caso chi se la sente apporta modifiche. Non ci sono mai state delle frizioni su questo fatto. Di solito i cambiamenti vengono accettati molto volentieri. Nel tempo si è generata una specie di complicità (allievo-maestro) tra autori più e meno esperti, dove tutti approfittano l’uno dall’altro scambiandosi nuove idee e tecniche poetiche che vengono forgiate in un’inesauribile potenziale di creatività. Spesso capita anche che due autori esperti si scambino delle opinioni per migliorare un testo. Una delle dinamiche più importanti che si è consolidata è la citazione: ogni poesia tenta di ricollegarsi ad altre tramite citazioni o riutilizzo di immagini, generando quello che viene chiamato l’effetto ragnatela. Così l’opera assume un aspetto omogeneo che si distingue rispetto ad una semplice antologia. I collegamenti tra le poesie (chiamati anche tasselli) generano un effetto emotivo supplementare, come se esistessero delle meta-poesie tra di loro. Le relazioni tra i tasselli generano l’impressione che nella vita ogni istante dipenda dalla storia di un altro istante, che tutto sia interconnesso in un universo che sfugge a logiche definite. Nel navigare in questa ragnatela di tasselli ogni lettore può trovare la via verso una sua interpretazione della vita. La scelta ostinata di intitolare le poesie con l’articolo indeterminativo e di intrecciarle tra di loro conferisce al testo un aspetto assolutamente omogeneo e staccato dalla realtà specifica di ogni cosa, ma allo stesso tempo, su un piano assolutamente qualunquistico che non si sofferma in nessun contesto in particolare. La reazione emotiva è di immedesimazione, secondo la logica istintiva delle associazioni di idee. Il percorso poetico segue così la strada personale di ogni lettore, per associarsi a tutto e a niente nello stesso tempo. HHaaii sseeggnnaallaazziioonnii ppeerr ii lleettttoorrii?? Credo che la letteratura corale tramite la scrittura cooperative sia il vero futuro della letteratura (in gergo è chiamato wikismo). La chiave del successo è la democratizzazione tra autori esperti e novellini. Un esempio esiste anche in Germania con la prosa del gruppo Zentrale Intelligenz Agentur, che ha ricevuto il prestigioso premio Ingeborg Bachman proprio nell’edizione 2006. Considerazioni sul wikismo di Iago, curatore di Wikipoesia Il wikismo (si pronuncia Vikismo), rappresenta la determinata volontà di portare la poesia entro spazi aperti. Fino ad oggi ci siamo imbattuti in sporadiche genialità lasciate ad ammuffire dentro la loro gabbia. Il passato è cosparso di esempi di poeti celebrati molto tempo dopo la loro morte. Per quello che mi riguarda, ho peregrinato nel web per mesi nella speranza di incontrare qualcuno che scrivesse in modo automatico, di getto… senza il rimprovero del gusto del tempo. Così ho incontrato Nuovi Autori di Carlo Trotta ed Andrea Galli; quest’ultimo in particolare ha partorito l’idea di far cooperare più menti poetiche in un complesso gioco di reazioni. Alla base resta quindi l’idea della poesia istantanea. È l’elemento che unisce le due poesie a fare del wikismo, una realtà senza origine. Immaginate migliaia di poesie unite da tasselli che possono essere liberamente interpretati (il curatore del progetto prova a fornire un legame fra le varie poesie), l’effetto è allucinante… a volte mi sento come un falco che ha di fronte uno stormo di prede e non sa quale scegliere. È una ghiotta opportunità per quei poeti che sentono di avere qualcosa in più da offrire. L’unico limite è costituito da un prologo e da un epilogo. Tra i due si interpone un cursore emotivo, mosso dalle visioni dei vari componimenti. Un modo diverso, visto da un’angolazione inesistente… perpetrato da chi intende scuotere la poesia dal torpore retorico in cui versa ormai da tempo. I numerosi contatti che bombardano il sito del progetto wiki, testimoniano che ci stiamo muovendo bene. Numerosi poeti chiedono di farne parte. I contatti con l’estero rafforzano il potere contaminante del wikismo. UnLegame Componimento di Iago, nome d’arte del curatore del progetto wikista.
  • 30. FUMETTI: BARONCIANI La vita quotidiana oltre l'arte, nel tempo della sua riproducibilità tecnica. di Maria Speltarini olendo guardare ai contenuti, "Una storia a fumetti" del giovane pesarese Alessandro Baronciani, è racconto di vita quotidiana. Ogni disegno descrive qualcosa che abbiamo vissuto tutti, qualcosa di più che familiare, come una piccola mancanza, un'alba al termine della notte, una giornata sui libri. Di più, nei netti chiaroscuri di china tratteggiati da Baronciani, ci vengono raccontati dei dettagli talmente minuti a cui spesso non sappiamo più nemmeno fare caso. C'è una tavola a tutta pagina, quasi all'inizio del libro, che credo renda chiaramente l'idea della poetica dell'autore. I due personaggi, Alessandro e Francesca, soli sulla spiaggia di notte. La tavola li ritrae dalla cinta in giù, i loro piedi sono nudi sulla sabbia. Un piccolo riquadro che non fa altro che evocare quella sensazione particolarissima della sabbia umida sotto le piante dei piedi in una notte calda in mezzo all'estate. Se questa sensazione non vi trasmette nulla, allora il fumetto in questione non è proprio il vostro genere, perché questa è la sua cifra: il passare da un dettaglio all'altro, ogni vignetta una piccola poesia narrata dalla provincia romagnola. Ma non sono i contenuti, per quanto validi, ad essere la caratteristica più saliente della produzione di Baronciani. Ad essere inedite sono le forme e i modi con cui queste storie sono MariaSpeltarini Studentessa con la passione per il retrofuturismo sovietivo. Vorrebbe andare in kazakistan ad incontrare i suoi eroi. I suoi genitori sperano diventi una funambola professionista. Permalink n.2 Novembre 2006 29 nate e sono state autodistribuite. Prima di venire stampato come libro, "Una storia a fumetti" era una distribuzione via posta (quella ordinaria, non quella elettronica). Le storie venivano disegnate, fotocopiate e spedite inizialmente in un circuito fra pochi intimi. Poi, con il passare del tempo, ad una rete più vasta creatasi con il passaparola. In altre parole Baronciani conosceva tutti i suoi lettori e loro conoscevano lui e più di una volta questo rapporto molto diretto fra autore e lettore è uscito dalla realtà per trasformarsi in racconti di china. Il dato saliente di questa vicenda è, se ci fate caso, che Baronciani ha trovato un particolare escamotage per ridare lustro a quell'aura di cui Walter Benjamin notò per primo la
  • 31. decadenza in "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica". E lo ha fatto proprio con il genere forse più seriale di tutti, il fumetto. Tutti coloro, infatti, che non hanno avuto modo di seguire fin dalla prima ora il formarsi di questa opera, hanno perso un'unicità che il libro-raccolta non riuscirà a ridare nella sua interezza. D'un tratto comuni fotocopie sono diventate rare, preziose, e non potranno essere riprodotte, perché il loro contesto fondamentale era il momento in cui venivano affrancate e spedite, un tempo che ovviamente non può tornare. AAlleessssaannddrroo,, llaa ffoorrmmuullaa ddii ddiissttrriibbuuzziioonnee ssuu aabbbboonnaammeennttoo qquuaannttoo hhaa iinnfflluuiittoo ssuuii ccoonntteennuuttii ddeell ttuuoo llaavvoorroo?? CChhee sseennssaazziioonnee ddàà ssccrriivveerree nnoonn ppeerr uunn ppuubbbblliiccoo iinnddiissttiinnttoo,, mmaa ppeerr ppeerrssoonnee ddii ccuuii ccoonnoossccii ll’’iiddeennttiittàà ee ssppeessssoo aanncchhee qquuaallccoossaa ssuull lloorroo ccoonnttoo?? Non ha solo influito, è stata la forma con cui è nata la storia. Io cercavo di raccontare in modo semplice cose che mi succedevano senza venirne mai a capo. Le persone che leggevano le mie storie mi raccontavano di aver vissuto gli stessi momenti che raccontavo. Mi lasciavano per lettera quello che gli stava succedendo, le loro storie e le loro storie erano esattamente quello che stavo cercando. Il libro è la raccolta di cinque anni di lettere e pacchi spediti per posta. Io non volevo fare un'autoproduzione senza sapere dove andavano le mie storie. Volevo sapere chi era a leggerle e sopratutto volevo sapere cosa ne pensavano. Molte volte sono nate delle amicizie, degli scambi di autoproduzioni o consigli su come fare fumetti. SSii ddiiccee cchhee qquuaannddoo ssii ssccrriivvee bbiissooggnnaa rriivvoollggeerrssii aadd uunn lleettttoorree mmooddeelllloo,, cchhee ppeerròò rriimmaannee sseemmpprree uunn ssooggggeettttoo aassttrraattttoo,, mmaa nneell ttuuoo ccaassoo hhaaii ssccrriittttoo ppeerr lleettttoorrii iinn ccaarrnnee ee oossssaa.... Io non so quale sia il mio lettore modello, però ho scoperto che ci sono tantissime persone che non sanno cosa sono i fumetti. In molte lettere ho trovato scritto che gli unici fumetti che avevano letto non erano come i miei. Nel senso che si erano imbattuti in un mondo del fumetto e sopratutto in un Permalink n.2 Novembre 2006 30 modo di fare i fumetti a loro sconosciuto. non penso che uno scrittore si rivolga ad un lettore modello, forse uno scrittore ha in testa se stesso quando scrive qualcosa. è la maniera con cui sceglie di raccontarti qualcosa che fa la differenza al lettore. una inquadratura dall'alto rispetto una dal basso e si ha un'altro tipo di sensazione. AA vvoollttee cc’’èè ssttaattoo uunn iinnccoonnttrroo aattttiivvoo ffrraa iill ttuuoo ppuubbbblliiccoo ee llee ssttoorriiee cchhee hhaaii ddiisseeggnnaattoo ee ii lleettttoorrii vveerrii hhaannnnoo ccoommiinncciiaattoo aa ffaarr ppaarrttee ddeeii ffuummeettttii nnaarrrraattii...... Una volta mi è arrivata una lettera di un ragazzo che mi raccontava quello che gli era successo, una lettera strana, molto personale, quasi troppo per una persona che conosci solo per lettera. la lettera finiva chiedendomi scusa per lo sfogo ma se non raccontavo le cose a te, a chi le raccontavo? E la lettera era scritta benissimo, era bellissima. era un soggetto con tanto di inizio e Si erano imbattuti in un mondo del fumetto e sopratutto in un modo di fare i fumetti a loro sconosciuto.