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ildentistamoderno
gennaio 2016
CORSI ECM A DISTANZA
Odontoiatria adesiva:
stato dell’arte
Responsabile scientifico del corso: Prof. Camillo D’Arcangelo
Modulo didattico 1
Restauri adesivi diretti
nei settori latero-posteriori
n Dott. Mirco Vadini
Laureato in Odontoiatria e Protesi Dentaria presso l’Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti. Dotto-
re di Ricerca (PhD) in Scienze Mediche di Base e Applicate, Curriculum in Scienze Odontostomatologi-
che presso la stessa Università. Più volte assegnatario di borse di studio finalizzate all’attività di ricerca
presso il Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche dell’Università degli Studi G. d’Annun-
zio, svolge attività clinica e di assistenza alla didattica presso il Reparto di Odontoiatria Restaurativa ed
Endodonzia della stessa Università. Socio attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SI-
DOC). Autore di diversi articoli su riviste nazionali e internazionali, con particolare riguardo alle temati-
che dell’odontoiatria adesiva. Svolge la libera professione a Pescara, occupandosi prevalentemente di
restaurativa estetica, protesi ed endodonzia.
n Dott. Francesco De Angelis
LaureatoconlodeinOdontoiatriaeProtesiDentariapressol’UniversitàdegliStudidell’Aquila.Specializzato
con lode in Chirurgia Orale alla Sapienza-Università di Roma. Dottore di Ricerca (PhD) in Scienze Mediche
di Base e Applicate, Curriculum in Scienze Odontostomatologiche presso l’Università degli Studi G. d’An-
nunzio di Chieti. Più volte vincitore di borse di studio finalizzate all’attività di ricerca presso il Dipartimento
diScienzeMediche,OralieBiotecnologichedell’UniversitàdegliStudiG.d’Annunzio.Collaboraattivamente
all’attività clinica e didattica presso il Reparto di Odontoiatria Restaurativa ed Endodonzia dell’Università
degli Studi di Chieti. Socio attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SIDOC). Autore di nu-
merose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, con particolare attenzione dedicata
alle problematiche legate all’odontoiatria restaurativa, all’endodonzia e ai materiali dentari. Pratica la libera
professione a L’Aquila, prevalentemente nell’ambito della restaurativa adesiva e dell’endodonzia.
n Dott. Maurizio D’Amario
Laureato con lode in Odontoiatria e Protesi Dentaria presso Università degli Studi dell’Aquila. Dottore
di Ricerca (PhD). Ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di Professore universitario di
seconda fascia per il settore concorsuale Malattie Odontostomatologiche. Collabora presso il Reparto
di Odontoiatria Conservativa della Clinica Odontostomatologica dell’Università degli Studi dell’Aquila e
presso il Reparto di Odontoiatria Conservativa dell’Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti. Socio
attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SIDOC). Professore a Contratto (Odontoiatria
Conservativa) presso il Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria dell’Università degli
Studi dell’Aquila. Co-autore di numerosi articoli su riviste nazionali e internazionali in tema di restaurativa
e di endodonzia. Peer reviewer di diverse riviste internazionali del settore. Pratica la libera professione a
L’Aquila, occupandosi prevalentemente di restaurativa estetica, protesi adesiva ed endodonzia.
n Prof. Camillo D’Arcangelo
Professore Associato, vincitore dell’idoneità nazionale per Professore Ordinario. Titolare dell’Insegnamen-
to di Odontoiatria Restaurativa presso il Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria dell’Univer-
sità degli Studi G. d’Annunzio di Chieti. Titolare dell’Insegnamento di Odontoiatria Conservativa presso
il Corso di Laurea di Igiene Dentale. Responsabile del Reparto di Odontoiatria Conservativa. Titolare
dell’insegnamento di Odontoiatria Conservativa presso la Scuola di Specializzazione in Ortodonzia. Tito-
lare dell’Insegnamento di Odontoiatria alla Scuola di Specializzazione in Pediatria. Direttore del Corso di
Perfezionamento in Odontoiatria Restaurativa. Membro dell’Editorial Board di “Giornale Italiano di Endo-
donzia”. Reviewer di “Journal of Adhesive Dentistry”, “International Endodontic Journal”, “Indian Journal of
Dental Research” e di “Journal of Applied Oral Science”, “International Journal of Oral Science”, “Dental
Materials”. Membro del Consiglio Direttivo e Segretario-Tesoriere della Società Italiana di Odontoiatria
Conservativa (SIDOC). Responsabile della Sezione Abruzzese della Società Italiana di Endodonzia (SIE).
Professore Onorario dell’Accademia Ucraina di Stomatologia Medica. Svolge la professione limitatamente
alla restaurativa e all’endodonzia.
Corsi 2016
• ID: 1585-145299
Odontoiatria adesiva: stato dell’arte
18 crediti ECM
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CORSO ECM A DISTANZA
MODULO DIDATTICO 1
Restauri adesivi diretti
nei settori latero-posteriori
Direct bonded restorations on posterior teeth
n Mirco Vadini*
n Francesco De Angelis*
n Maurizio D’Amario**
n Camillo D’Arcangelo*
*Reparto di Odontoiatria Restaurativa (Respon-
sabile Prof. Camillo D’Arcangelo), Dipartimento di
Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche (Direttore
Prof. Sergio Caputi), Università degli Studi G.
d’Annunzio di Chieti
**Reparto di Odontoiatria Restaurativa e Patologia
Orale (Responsabile Prof. Mario Capogreco),
Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e
Protesi Dentaria (Presidente Prof. Roberto Gatto),
Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica,
Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli
Studi dell’Aquila
1.	 Indicazioni e limiti dei restauri diretti
nei settori posteriori
2.	 Isolamento del campo operatorio
3.	 Preparazione di cavità
4.	 Procedure adesive
	4a. Adesivi etch and rinse
	4b. Adesivi etch and dry (o self etch)
	4c. Adesivi universali	
	4d. La corretta scelta del sistema adesivo
5.	 Il cavity factor
6.	 Utilizzo delle matrici nei restauri interprossimali
7.	 Tecnica di stratificazione per masse
	e polimerizzazione del restauro
8.	 Rifinitura, lucidatura e brillantatura del restauro
9.	 Caso clinico
Bibliografia
zz PAROLE CHIAVE
resine composite, restauri
diretti, adesivi smalto-dentinali,
procedure restaurative, settori
latero-posteriori
zz KEYWORDS
resin composites, direct
restorations, adhesive systems,
restorative procedures, posterior
teeth
L
a moderna restaurativa si avvale prevalentemente di
procedure adesive, in special modo quando si utilizza-
no tecniche dirette.
L’adesione ai tessuti duri dentali garantisce indubbi
vantaggi al confronto con metodiche basate sulla ritenzione mec-
canica, sia in termini di minima invasività sia dal punto di vista
estetico e funzionale1,2
.
Una profonda conoscenza delle tecniche e dei materiali adesi-
vi rappresenta, dunque, un prerequisito necessario per il clinico
che intenda operare con successo in ambito restaurativo.
Le tecniche adesive permettono di ottenere risultati predicibili
con un approccio per certi aspetti minimale ed estremamente
semplificato, soprattutto al confronto con le tecniche tradizio-
nali dell’odontoiatria ritentiva2,3
. La semplificazione, d’altro can-
to, cresce di pari passo con la stringente necessità di un rigoroso
rispetto del protocollo clinico. Le procedure adesive sono estre-
mamente dipendenti dalla tecnica e non consentono un succes-
so neppure parziale laddove vengano utilizzate con superficiali-
tà o imprecisione.
1. Indicazioni e limiti
dei restauri diretti nei settori posteriori
L’uso dei compositi in odontoiatria ha vissuto una crescente po-
polarità negli ultimi decenni, così come dimostrano recenti in-
dagini riguardo ai trend di insegnamento nelle “dental schools”
di tutto il mondo4-9
, e rappresenta oramai la scelta d’elezione per
la maggior parte dei dentisti nei restauri parziali dei denti poste-
riori. Uno dei dubbi più frequenti per il clinico riguarda l’utiliz-
zo dei compositi con tecnica diretta oppure indiretta. In realtà si
tratta di un falso dubbio, perché le indicazioni per le tecniche in-
dirette coincidono con le indicazioni protesiche; per cui l’alter-
nativa non è fra tecniche adesive dirette e tecniche adesive indi-
rette, ma fra soluzioni di odontoiatria conservativa e di protesi.
Ogniqualvolta è possibile utilizzare restauri diretti, questi sono
da preferire perché più conservativi. Quando non è possibile uti-
lizzare soluzioni dirette, ma si è costretti a ricorrere a soluzioni
protesiche, si può scegliere fra soluzioni adesive e soluzioni riten-
tive. In conclusione, l’alternativa non è fra restauro in composi-
to diretto o indiretto, ma fra restauro conservativo o protesico.
Per quanto le tecniche dirette siano molto affidabili, è necessario
rispettare delle indicazioni ben precise per assicurare al restauro
u Corrispondenza
Francesco De Angelis
fda580@gmail.com
21
ildentistamoderno
gennaio 2016
qualità e prognosi adeguate. Le indicazioni per il restauro diretto
sono rappresentate da tutte le cavità semplici e poco estese10
: le
cavità occlusali, le cavità interprossimali (mesio-occlusali o MO,
disto-occlusali o DO), le cavità vestibolari o linguo-palatali, le ca-
vità mesio-occluso-distali (MOD) poco estese.
Nelle cavità più complesse (MOD estese) o che richiedano una ri-
copertura cuspidale (onlay, overlay), l’approccio diretto è in linea
teorica sempre possibile, ma presenta i seguenti limiti al confron-
to con una tecnica indiretta:
• difficoltà nel controllo dell’anatomia del restauro e della preci-
sione marginale;
• difficoltà nel corretto ripristino dei punti di contatto e del pro-
filo di emergenza;
• difficoltà nell’ottenere una buona lucidatura in ogni punto del
restauro;
• ridotto grado di conversione del materiale;
• peggiore controllo della contrazione da polimerizzazione.
I primi tre punti rappresentano delle pure e semplici difficoltà
operative legate alla necessità di dover lavorare direttamente nel-
la bocca del paziente, alle quali è possibile in linea teorica far
fronte con elevate perizia ed esperienza da parte dell’operatore.
Gli ultimi due punti, al contrario, vanno visti come limiti insor-
montabili dell’approccio diretto, perché legati a proprietà insite
nel materiale stesso.
Il grado di conversione del composito diretto è sempre inferiore
rispetto al composito indiretto11
. Nelle fasi di laboratorio, la rea-
zione di fotopolimerizzazione di un composito indiretto viene in-
tensificata per mezzo di appositi dispositivi in grado di fornire al
contempo luce alla lunghezza d’onda adeguata e calore a tempe-
rature tra gli 80 e i 95 °C. È stato ampiamente dimostrato come
una più alta percentuale di conversione migliori in maniera si-
gnificativa le proprietà del materiale12
, per cui uno stesso compo-
sito lavorato con tecnica diretta o con tecnica indiretta presenta
caratteristiche meccanico-fisiche estremamente diverse. Una si-
mile differenza, se risulta trascurabile in un restauro di piccole e
medie dimensioni, rischia di diventare rilevante nei restauri mol-
to estesi o che richiedono coperture cuspidali.
Ultimo aspetto da esaminare, perché in grado di pregiudicare il
successo di un restauro diretto in una cavità di grandi dimen-
sioni, è rappresentato dal controllo degli effetti della contrazione
da polimerizzazione (polymerization shrinkage)13,14
. Il composi-
to è sotto forma di monomero prima della polimerizzazione per
cui è un fluido lavorabile. La conversione da monomero a poli-
mero lo rende solido. In questa trasformazione chimica le debo-
li forze di van der Waals della fase fluida lasciano il posto ai più
stabili legami covalenti. Ciò riduce la distanza intermolecolare e
il composito subisce una contrazione. Persino i più moderni si-
stemi compositi, appositamente progettati per far fronte a tale
inconveniente (cosiddetti “low shrinkage composites”), mostra-
no una percentuale totale di contrazione volumetrica non infe-
riore all’1-3%15,16
. Questo fenomeno è svantaggioso da un punto
di vista clinico per un materiale da otturazione, il quale dovreb-
be idealmente tendere a occupare tutto lo spazio di cavità. Con-
traendosi rischia di staccarsi dalle pareti e di non sigillare per-
fettamente i margini. L’entità totale della contrazione misurabile
per una massa di composito è ovviamente direttamente propor-
zionale al volume iniziale della massa stessa. Di conseguenza, in
cavità ampie assisteremo a fenomeni di contrazione importanti.
Nei restauri indiretti la contrazione del materiale avviene in la-
boratorio, al di fuori della cavità orale. Il composito utilizzato
come cemento compenserà tale contrazione in fase di cementa-
zione. È ovvio che anche il cemento-composito subirà una con-
trazione, ma in una cavità di grandi dimensioni il volume del so-
lo cemento è decisamente inferiore rispetto al volume totale del
restauro. Di conseguenza, l’entità totale di contrazione che avrà
luogo nella bocca del paziente in fase di cementazione risulterà
decisamente inferiore rispetto a quanto sarebbe misurabile se il
restauro venisse interamente realizzato con tecnica diretta17
.
Nonostante i limiti appena accennati, è bene ribadire ancora una
volta come i restauri diretti in composito rappresentino una solu-
zione ideale da un punto di vista funzionale ed estetico per i set-
tori posteriori, posto che ci si trovi all’interno del campo di perti-
nenza definito dalle indicazioni precedentemente elencate.
2. Isolamento del campo operatorio
Il primo step necessario per operare con successo nei confi-
ni dell’odontoiatria adesiva è rappresentato dal perfetto isola-
mento del campo operatorio mediante il ricorso costante alla
diga di gomma.
I primi tentativi di ridurre i problemi legati all’umidità nella cavi-
tà orale nel corso di procedure odontoiatriche risalgono al 1869,
anno in cui il dottor Sanford Christie Barnum per primo provò a
22
ildentistamoderno
gennaio 2016
CORSO ECM A DISTANZA
MODULO DIDATTICO 1
utilizzare un pezzo di gomma per isolare un elemento dentario18
.
Solo tre anni dopo, la prevalenza di utilizzo della diga di gomma
tra i dentisti veniva descritta come in rapida ascesa19
.
In seguito, già all’inizio del ventesimo secolo, l’entusiasmo per la
diga di gomma andò incontro a un inesorabile declino, in conco-
mitanza con l’evoluzione di sistemi di aspirazione più sofisticati
e l’introduzione dell’amalgama d’argento; l’uso di rulli di cotone
e alcol veniva raccomandato come valida alternativa19
.
Ancora oggi, nonostante la diga di gomma offra un valido con-
tributo nel controllo delle infezioni crociate19
e rappresenti il
presidio più efficace per prevenire l’aspirazione di corpi estra-
nei20,21
, molti dentisti tendono a considerarla solo un’ingom-
brante perdita di tempo.
Ci sembra estremamente importante, in questa sede, ricordare
come le procedure adesive garantiscano predicibilità di risultato
solo nel caso in cui sia possibile il totale controllo dell’umidità22
.
Appare necessario trovare sempre il modo di isolare, anche lad-
dove sia indaginoso, per assicurare in ogni caso al paziente pre-
stazioni di qualità e la massima resa dei materiali.
3. Preparazione di cavità
Il disegno di una cavità restaurativa dipende dal materiale da ot-
turazione. Una cavità per composito apparirà diversa rispetto a
una cavità che deve ricevere un restauro metallico. Le cavità per
amalgama seguono un disegno predefinito sulla base dei princi-
pi di G. V. Black23
, a prescindere dalle dimensioni e dalla localiz-
zazione specifica della lesione iniziale. Una qualsivoglia lesione
di classe I, ad esempio, prevede sempre e comunque il coinvolgi-
mento di tutti i solchi occlusali. Ciò è necessario perché il mate-
riale da otturazione è “incastrato” in cavità: la cavità deve rispet-
tare il requisito della ritentività, per non permettere al materiale
di fuoriuscire; il requisito della prevenzione, in quanto esiste
sempre un gap dente-restauro e i margini devono essere posi-
zionati lontano dai solchi occlusali in cui più facilmente ristagna
placca; il requisito della detergibilità, per cui i margini vanno col-
locati in zone facilmente accessibili alle manovre di igiene orale.
Le cavità adesive, al contrario, sono la semplice risultante fina-
le della pulizia della carie e della eventuale rimozione del prece-
dente restauro2
. Sono cavità minimali, maggiormente rispettose
dell’anatomia residua dell’elemento dentario, in quanto si utiliz-
za un materiale che non necessita di ritenzioni. Al contrario, per
le ragioni che approfondiremo parlando del Cavity Factor (CF), la
migliore cavità adesiva è la meno ritentiva e la meno complessa
possibile. I margini di cavità possono essere posizionati anche
in prossimità di solchi o negli spazi interprossimali, perché ide-
almente non esiste soluzione di continuità tra restauro e dente.
Nei settori posteriori una classificazione delle cavità adesive esat-
tamente analoga a quella proposta da Black, dunque, sembra ave-
re oggi poco senso. È forse più opportuno parlare esclusivamente
di cavità occlusali interprossimali, vestibolari e linguo-palatali.
La cavità per un restauro diretto adesivo posteriore prevede:
• nessun disegno predefinito;
• nessuna ritenzione o sottosquadro;
• angoli interni arrotondati;
• pareti e margini perfettamente rifiniti;
• angoli cavo-superficiali esterni netti, senza biselli24
, intorno ai 90°.
La preparazione ha inizio con l’accesso alla lesione cariosa, la
quale tipicamente si fa ampia strada a livello della dentina, men-
tre intacca lo smalto solo in maniera puntiforme “sottominan-
dolo”. In questa fase si consiglia l’uso di una punta diamantata
cilindrica di piccole dimensioni, a granulometria media, tenuta
perpendicolare al tavolato occlusale. Il manipolo moltiplicatore
di giri (anello rosso) va preferito alla turbina per il maggiore con-
trollo. È consigliato l’uso di sistemi ingrandenti.
La successiva rimozione del tessuto cariato si esegue con una fre-
sa tonda multilama (a “rosetta”), montata su micromotore a bas-
sa velocità (anello blu). Escavatori manuali sono consigliati in
prossimità della polpa. È necessario asportare tutta la dentina
rammollita fino a rivelare tessuto duro, il più delle volte dentina
terziaria di reazione.
Lo step finale della preparazione prevede la rifinitura delle pare-
ti e dei margini di cavità al fine di regolarizzare le superfici den-
tinali ed eliminare i prismi di smalto non adeguatamente soste-
nuti: ciò consente, tra l’altro, di ridurre il rischio di chipping e
micro-crack marginali. Si esegue con frese diamantare a granu-
lometria ridotta (40-20 µm) e con punte in silicone diamantate.
I margini cavitari interprossimali sono rifiniti con una strip abra-
siva (Figura 1).
4. Procedure adesive
Le origini dell’adesione in odontoiatria risalgono al lontano 1955,
anno in cui Buonocore ipotizzò che il pretrattamento acido dello
smalto fosse in grado di incrementare la forza di adesione di ma-
teriali da restauro acrilici25
. Lo stesso Buonocore, un anno dopo,
dimostrò come l’uso di una resina contenente acido glicerofosfo-
rico dimetacrilato fosse in grado di legarsi alla dentina morden-
zata26
grazie all’interazione della molecola resinosa bifunzionale
con gli ioni calcio dell’idrossiapatite. Si trattava comunque di un
legame molto debole, e la semplice immersione in acqua ne ridu-
ceva considerevolmente l’entità.
23
ildentistamoderno
gennaio 2016
Qualche anno dopo, nel 1965, Bowen provò a ottimizzare i risul-
tati mediante l’impiego di una nuova molecola bifunzionale, la
N-fenilglicina-glicidilmetacrilato, o NPG-GMA27
. Siamo in quella
che viene comunemente indicata coma la prima generazione di
adesivi dentinali. Purtroppo anche i risultati ottenuti da Bowen,
1-3 MPa di bond strength sulla dentina, si mostrarono presto cli-
nicamente inefficaci.
Da allora le sistematiche adesive hanno vissuto una continua tra-
sformazione nel corso dei decenni, seguendo il tentativo da par-
te di ricercatori e di case produttrici di fornire approcci alterna-
tivi riguardo a:
• mordenzatura dello smalto;
• mordenzatura e/o condizionamento della dentina;
• trattamento dello smear layer;
• ottimizzazione delle procedure e facilità di utilizzo.
Tralasciando i dettagli circa la pur storicamente rilevante evo-
luzione degli adesivi dalla I alla VI generazione28
, appare mol-
to più appropriato e clinicamente utile ricordare in questa sede
la moderna classificazione delle sistematiche adesive sulla ba-
se degli step clinici.
Gli adesivi smalto-dentinali attualmente presenti sul mercato
possono essere suddivisi in tre grosse famiglie29
:
• adesivi “etch and rinse”, spesso indicati anche con il termine
di “total etch”, i quali prevedono la mordenzatura preventiva di
smalto e dentina con un acido forte che deve successivamente es-
sere lavato via;
• adesivi “etch and dry”, anche detti “self etch”, che non prevedo-
no l’utilizzo di un mordenzante;
• “adesivi universali” che possono essere utilizzati indifferente-
mente con o senza l’impiego di mordenzante.
4a. Adesivi etch and rinse
Gli adesivi etch and rinse richiedono un pretrattamento del sub-
strato dentale utilizzando un acido forte (pH≈0,4), in genere aci-
do ortofosforico a concentrazioni dal 35 al 38%.
Questa fase, che dura dai 15 ai 20 secondi, prende il nome di mor-
denzatura (etching) e viene eseguita sullo smalto e sulla dentina
contemporaneamente, il che giustifica la definizione alternativa
di total etching. L’agente acido mordenzante deve essere succes-
sivamente risciacquato (fase di rinsing) per almeno 15-20 secon-
di prima di procedere con i successivi step30
.
La mordenzatura dei tessuti dentali ha una triplice funzione. In
prima istanza, essa permette di rimuovere lo smear layer (co-
stituito dai residui organici che permangono adesi alle superfi-
ci dentali in seguito alla preparazione cavitaria), liberando così
la superficie di smalto e dentina e aprendo i tubuli dentinali, di
modo che questi possano essere raggiunti e impregnati dall’ade-
sivo (resin tugs) (Figura 2)29
. In secondo luogo, la mordenzatura
demineralizza la componente minerale superficiale di smalto e
dentina formando innumerevoli microporosità che, una volta ri-
empite di adesivo, creeranno una ritenzione meccanica29
. Il terzo
effetto è apprezzabile solo a livello della dentina ed è rappresen-
tato dalla parziale liberazione delle fibre collagene dalla compo-
nente inorganica che normalmente le circonda, rendendole così
in grado si partecipare alla formazione dello “strato ibrido”31
.
Molti degli adesivi etch and rinse attualmente in commercio pos-
sono essere storicamente collocati all’interno della cosiddetta IV
1. Visione occlusale di una preparazione per cavità adesiva interprossimale
dopo aver completato la fase di rifinitura dei margini
2. Microfotografia al microscopio elettronico a scansione che mostra
un dettaglio dell’adesione promossa a livello dentinale da un sistema
adesivo etch and rinse. Si rileva la presenza di numerosi resin tugs che si
approfondiscono all’interno dei tubuli dentinali per qualche decina di micron
(ingrandimento originale 2000x)
1
2
24
ildentistamoderno
gennaio 2016
CORSO ECM A DISTANZA
MODULO DIDATTICO 1
generazione di adesivi smalto-dentinali, generazione che ebbe
esordio a partire dai primi anni 90 sulla base della convinzione
che la completa rimozione dello smear layer (piuttosto che una
preservazione o una parziale dissoluzione dello stesso, così come
si usava fare nelle precedenti II e III generazione) fosse una pro-
cedura sicura nonché un prerequisito necessario per incrementa-
re notevolmente i valori di bond strenght31,32
.
Gli adesivi etch and rinse della IV generazione (three-steps etch
and rinse) sono dei sistemi a più componenti (multi-bottle sy-
stems) e prevedono il ricorso a tre step clinici separati.
Il primo step coincide con la mordenzatura acida secondo la tec-
nica total etch appena descritta, seguita da un abbondante ri-
sciacquo e successiva asciugatura del substrato, il quale deve
rimanere sufficientemente umido da evitare il collasso delle fi-
brille collagene denudate (wet bonding technique)28
.
Nel secondo step, un monomero idrofilico (primer) viene appli-
cato sulla dentina per infiltrare le fibrille collagene esposte, dan-
do origine al cosiddetto strato ibrido.
Il terzo step prevede l’applicazione della resina fluida non cari-
cata (bonding).
Seguendo una crescente richiesta di semplificazione da parte dei
clinici, molti dei quali si dimostrarono presto non in grado di ese-
guire i numerosi step con il rigore necessario, sono stati nel cor-
so degli anni introdotti dei sistemi etch and rinse semplificati
(one-bottle systems) in cui il primer e il bonding vengono combi-
nati in un unico prodotto (V generazione di adesivi smalto-den-
tinali). La soluzione combinata di primer/bonding va applicata
simultaneamente sulla dentina e sullo smalto, i quali devono es-
sere comunque dapprima mordenzati con acido forte e succes-
sivamente risciacquati e asciugati evitandone la disidratazione
(wet bonding). I sistemi etch and rinse di tipo one-bottle (detti
anche two-steps etch and rinse), per quanto semplificati rispet-
to ai multi-bottles, hanno dato prova di buoni valori di adesione
immediata sia alla dentina che allo smalto33,34
.
La stabilità nel tempo del legame adesivo, d’altro canto, rappre-
senta uno dei problemi più dibattuti nella letteratura recente35
.
Dalla ricerca sappiamo che lo strato ibrido tende a degradarsi in
un tempo compreso tra i 6 mesi e i 3-5 anni, a causa della dege-
nerazione delle fibre collagene e della conseguente permeabiliz-
zazione dell’interfaccia30
. Gli enzimi metalloproteinasi (MMP),
responsabili di questo processo, sembra possano essere inibiti
dal cloruro di benzalconio (BAC)36
o da soluzioni a base di clo-
rexidina digluconato30
. Concentrazioni di cloruro di benzalconio
all’1,0% in peso sono state incluse per anni nella formulazione
di alcuni mordenzanti commerciali; il dubbio che il prodotto ve-
nisse lavato via in fase di risciacquo ha più recentemente spin-
to verso il tentativo di incorporarlo all’interno del primer/bon-
ding36
. Anche la clorexidina può essere inclusa nel mordenzante
o, alternativamente, può essere applicata in uno step separato la-
vando la cavità dopo la mordenzatura mediante una soluzione al
2% veicolata con una siringa monouso37,38
.
Un secondo allarmante problema per il clinico, in parte legato al-
la spiccata acidità del mordenzante, è l’ipersensibilità postope-
ratoria che può alle volte manifestarsi dopo l’uso di adesivi etch
and rinse.
Può essere spiegata sulla base di diversi meccanismi: una ipe-
remia pulpare secondaria all’insulto diretto dell’acido ortofosfo-
rico sulla polpa, fattispecie concretizzabile solo nel caso in cui
lo strato di dentina residua al di sopra della camera sia inferio-
re a 0,5 mm30,39
; una incompleta diffusione di primer e bonding
nell’ambito dello spessore di fibre collagene esposte con possibi-
le permanenza di una zona di dentina demineralizzata ma non
adeguatamente infiltrata (cosiddetta “demineralized dentin zo-
ne” dello strato ibrido), circostanza questa che è agevolata da
tempi di mordenzatura prolungati (over etching)40
.
Generalmente la sensibilità recede in qualche giorno o settima-
na, ma in alcuni casi può perdurare e risultare molto fastidiosa.
Secondo alcuni autori, al fine di ridurre la percentuale di casi di
ipersensibilità postoperatoria e di incrementare la forza di ade-
sione finale, è importante usare una tecnica cosiddetta “multi-
strato”41
, cioè non accontentarsi di applicare un solo strato di ade-
sivo in cavità, ma posizionarne un secondo al di sopra del primo
già polimerizzato. In questo modo si incrementa lo spessore del-
lo strato adesivo e si riduce la possibilità di lasciare porzioni di
smalto o di dentina non adeguatamente infiltrate. Studi in vitro
condotti da D’Arcangelo e collaboratori hanno confermato come
una tecnica multistrato sia in grado di incrementare significati-
vamente la bond strenght sulla dentina di diverse sistematiche
etch and rinse di tipo one-bottle42
.
4b. Adesivi etch and dry (o self etch)
A differenza degli adesivi etch and rinse, le sistematiche etch and
dry non hanno bisogno di uno step preliminare di mordenzatu-
ra con acido forte in quanto includono monomeri acidi, chimica-
mente in grado di dissolvere in una certa misura la componente
inorganica e al contempo infiltrarla43
. Un simile approccio, ridu-
cendo il numero di step, consente una certa semplificazione della
tecnica che risulta di conseguenza meno operatore-dipendente44
.
Evitare di ricorrere a un acido forte, inoltre, elimina ogni rischio
di over etching, in quanto la profondità di demineralizzazione
25
ildentistamoderno
gennaio 2016
coincide esattamente con la profondità di infiltrazione del sub-
strato. I tubuli dentinali permangono obliterati dallo smear layer
lasciato al loro interno (smear plugs) e tutto ciò consente un mi-
gliore controllo della sensibilità postoperatoria.
Purtuttavia i dati in letteratura mostrano ancora oggi qualche
criticità riguardo alla forza e alla stabilità nel tempo del lega-
me ottenuto a livello dello smalto45
e, limitatamente ai cosiddetti
strong self etch, a livello della dentina46,47
.
Sulla base dell’intensità dell’effetto automordenzante, e dunque
del pH e della profondità di interazione (demineralizzazione +
infiltrazione) con la dentina, gli adesivi etch and dry sono sta-
ti classificati in “forti” (strong; pH <1 e profondità di intera-
zione di diversi µm), “mediamente forti” (intermedialy strong;
pH ≈ 1,5 e profondità di interazione di 1-2 µm), “deboli” (mild;
pH ≈ 2 e profondità di interazione di 1 µm) e “ultra-deboli” (ul-
tra-mild; pH ≥2,5 e profondità di interazione di poche centina-
ia di nanometri)43,48
.
Solo con gli “strong” self etch si assiste a una vera e propria
formazione di resin tugs all’interno dei tubuli dentinali, molto
simili a quelli che si osservano al microscopio elettronico con
le sistematiche etch and rinse. I “mild” e gli “ultra-mild” so-
no al massimo in grado di demineralizzare in parte gli smear
plugs dentro i tubuli e conseguentemente infiltrarli (Figura 3).
D’altra parte, maggiore è l’intensità dell’automordenzatura,
maggiore è la quantità di fosfati di calcio che sono dissolti e
che, non essendo lavati via, restano inglobati a livello dell’in-
terfaccia adesiva49
. Tali fosfati di calcio, incapsulati nella resi-
na e nell’ambito di una matrice collagenica parzialmente espo-
sta, si dimostrano abbastanza solubili e ciò potrebbe spiegare
le performance scadenti in termini di adesione degli strong self
etch, soprattutto a livello della dentina50
. Essi si comportano
generalmente meglio solo a livello dello smalto, dove sembra
avere un effetto determinante la maggiore entità dell’automor-
denzatura che consente una più importante dissoluzione del-
lo smear layer51
.
I mild self etch, al contrario, sembrano avere un effetto ragio-
nevolmente efficace sullo smear layer, pur mantenendo una
buona quantità di cristalli di idrossiapatite intatti e in grado
di proteggere le fibre collagene. Fra questi ne sono stati propo-
sti alcuni, come quelli basati sul 10-MDP, che hanno dato pro-
va di instaurare un significativo legame ionico con l’idrossia-
patite residua52,53
.
Analogamente agli etch and rinse, anche gli adesivi etch and
dry possono essere suddivisi in due sottofamiglie.
Gli adesivi self etch a due passaggi (two-steps etch and dry)
prevedono l’utilizzo di una resina fluida adesiva più idrofobi-
ca che segue l’applicazione del primer automordenzante idro-
filico. Un simile approccio rende l’interfaccia più idrofobica, il
che garantisce un miglior sigillo in un ambiente umido qua-
le quello orale, ottimizzando la predicibilità a lungo termine
del legame29
.
Le sistematiche self etch a un unico passaggio (one-step etch
and dry, detti anche all-in-one) sono indubbiamente le più sem-
plici da usare. Purtroppo questa semplicità di utilizzo si paga
nei termini di una ridotta efficacia che è stata ampiamente do-
cumentata in vari test di laboratorio e che è stata ascritta, tra le
altre cose, al ridotto grado di conversione e alla maggiore per-
meabilità dell’interfaccia ottenibile.
Mescolare tutti i componenti in un unico prodotto, inoltre, ten-
de a restringere considerevolmente i tempi di conservazione
(ad esempio, data di scadenza molto ravvicinata)29
.
4c. Adesivi universali
La ricerca di un’ulteriore semplificazione ha recentemente por-
tato all’introduzione dei cosiddetti adesivi universali, o univer-
sal adhesive systems. Per questa categoria di prodotti, purtrop-
po, al momento non sembra ancora esistere una definizione
ufficiale.
Sulla base delle definizioni utilizzate da produttori e opinion-le-
ader, un adesivo può essere descritto universale se: si presen-
ta sotto forma di prodotto single bottle; non richiede alcun tipo
3
3. Microfotografia al microscopio elettronico a scansione in cui sono visibili le
interfacce dentina-restauro e smalto-restauro a seguito dell’utilizzo di un sistema
adesivo self etch. Nonostante l’intima adesione e l’assenza di gap, non si rileva
la presenza di resin tugs a livello dentinale (ingrandimento originale 1000x)
26
ildentistamoderno
gennaio 2016
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MODULO DIDATTICO 1
di miscelazione; può essere utilizzato indifferentemente con
tecnica etch and rinse, etch and dry o selective etching54,55
. Le
case produttrici affermano che gli adesivi universali possono
essere usati senza alcun problema nelle tecniche dirette e in-
dirette e sono compatibili con cementi autopolimerizzanti, fo-
topolimerizzanti e duali56
. Viene, infine, sottolineato come gli
adesivi universali contengano monomeri funzionali in grado
di promuovere l’adesione non solo nei confronti di smalto e
dentina, ma anche di una serie di substrati, quali leghe vili e
nobili, zirconia e varie ceramiche silica-based. Il loro utilizzo
permetterebbe di bypassare metodiche di pretrattamento dedi-
cate al restauro indiretto, come l’applicazione del silano e/o di
vari prodotti presenti sul mercato con il nome di metal/zirco-
nia primer56
.
Ovviamente questa definizione empirica e non ufficiale può
generare più di qualche ambiguità e ciò comporta delle difficol-
tà nell’analisi corretta dei dati presenti in letteratura.
La mordenzatura dello smalto prima di usare l’adesivo univer-
sale sembra incrementare significativamente i valori di bond
strength, ma senza superare quanto si riesce a ottenere con
una applicazione attiva57
, ossia non lasciando il prodotto indi-
sturbato per 15-20 secondi dopo l’applicazione sul substrato,
ma agitandolo vigorosamente e spennellandolo sotto una pres-
sione costante del microbrush sulla superficie di circa 35 g58
.
Per quanto riguarda la dentina, osservazioni in vitro hanno
mostrato un’efficacia di adesione ridotta rispetto a sistemati-
che etch and rinse e self etch; la mordenzatura preventiva non
è sembrata in grado di migliorare le performance, se non per
qualche specifico brand59
.
Per quanto gli adesivi universali rappresentino una classe di
materiali innovativi e promettenti, mancano a oggi trial spe-
rimentali adeguati e la giusta esperienza clinica, unici test in
grado di saggiarne la predicibilità al confronto con sistematiche
più tradizionali56
.
4d. La corretta scelta del sistema adesivo
Da quanto detto appare evidente che l’estrema semplificazione
delle procedure adesive, benché offra dei vantaggi nel control-
lo della sensibilità postoperatoria, non sia ancora in grado di ga-
rantire migliore qualità e stabilità del legame rispetto a sistema-
tiche leggermente più complesse, posto che esse siano utilizzate
con estremo rigore.
Dal nostro punto di vista, basato sull’analisi della letteratura e
sull’esperienza clinica, un approccio clinicamente ragionevole
deve prevedere in ogni caso il ricorso a sistematiche etch and
rinse, limitando l’uso degli etch and dry esclusivamente alle ca-
vità con un’ampia esposizione di dentina, nelle quali il rischio di
fenomeni di sensibilità possa apparire elevato. Si tratta per lo più
di cavità ampie e profonde in denti posteriori vitali. Nelle piccole
e medie cavità posteriori e, considerando la morfologia, in quasi
tutte le cavità anteriori di classe III e IV, l’esposizione di dentina
è sempre molto ridotta.
Laddove si optasse per un approccio etch and dry, il ricorso
ai mild self etch sembra da preferirsi. In questo caso, al fine
di migliorare l’adesione a livello dello smalto, che sembra es-
sere sufficientemente condizionato solo dagli strong self etch,
consigliamo di eseguirne una mordenzatura selettiva (selective
etching) per 15-20 secondi con acido ortofosforico60
, in accordo
con la più recente letteratura.
5. Il cavity factor
Il cavity factor (CF), o fattore cavitario, è un parametro codifica-
to da Davidson e collaboratori nel 198461
: esso mette in relazione
la forma di cavità con l’entità degli stress legati alla contrazione
volumetrica del composito (polymerization stresses).
Secondo Davidson il CF rappresenta il rapporto tra l’estensione
della superficie di composito a contatto e l’estensione della su-
perficie di composito non a contatto (superficie libera) con le pa-
reti di cavità:
superficie a contatto
CF = ------------------------------
superficie libera
Maggiore è l’estensione della superficie libera (CF basso), mi-
nore è l’entità di contrazione che influenza il composito a con-
tatto con i tessuti dentali, per cui un distacco del materiale
dalle pareti risulta meno probabile. In cavità complesse, con
superficie libera ridotta (CF alto), tutto lo stress da polimeriz-
zazione rischia di scaricarsi sulla superficie a contatto, deter-
minando fallimenti adesivi, ma anche possibili fratture coesive
nello spessore del composito o addirittura microfratture a livel-
lo dello smalto o di pareti cavitarie sottili62
.
Sotto questo aspetto, cavità completamente piatte (flat cavi-
ties), superfici piane su cui poggiare o stratificare il restauro,
risultano idealmente le più indicate nei restauri adesivi. È evi-
dente che nella pratica clinica, soprattutto nei settori latero-po-
steriori, non è così frequente disegnare cavità piatte, per cui il
CF tende in genere a restare abbastanza alto (maggiore nelle
cavità occlusali, tende via via a ridursi nelle interprossimali,
nelle MOD e nelle ricoperture cuspidali).
27
ildentistamoderno
gennaio 2016
Familiarizzare con il concetto di CF aiuta a comprendere alcu-
ni accorgimenti clinici tipici della restaurativa adesiva.
La necessità di ridurre l’estensione della superficie adesa spie-
ga chiaramente quanto accennato in precedenza circa l’oppor-
tunità di mantenere un disegno cavitario semplice e lineare,
evitando le ritenzioni e i sottosquadri cui ci aveva abituato l’o-
dontoiatria ritentiva.
Parlando di stratificazione, sottolineeremo come una tecnica
incrementale per masse permetta di controllare in una certa
misura gli effetti negativi del CF e della contrazione da poli-
merizzazione63
.
6. Utilizzo delle matrici
nei restauri interprossimali
Tra i momenti più delicati nel restauro di cavità mesio-occlusali,
occluso-distali o mesio-occluso-distali (MOD) figura il ripristino
morfo-funzionale della parete interprossimale.
Rappresenta il primo step da eseguire nell’iter ricostruttivo, e
permette di trasformare la cavità interprossimale più o meno
complessa in una semplice cavità occlusale.
In questa fase risulta di fondamentale importanza per il clinico
gestire in maniera rigorosamente predicibile i seguenti tre aspetti:
• restituire all’elemento dentario un corretto profilo di emergenza;
• garantire un punto di contatto efficace con il dente contiguo;
• evitare pericolosi sovra/sotto-contorni a livello del margine in-
terprossimale.
Il mancato rispetto di uno solo dei suddetti parametri può pre-
giudicare seriamente la qualità finale del restauro. Tra le possibi-
li conseguenze di una parete interprossimale inadeguata si regi-
strano: ristagno di cibo con conseguente disagio per il paziente
(punto di contatto insufficiente); interferenze più o meno gravi
con la salute dei tessuti parodontali; carie recidivanti; compro-
missione di elementi dentali contigui sani64-66
.
Il restauro diretto dei denti posteriori richiede il ricorso esclu-
sivo a matrici di tipo metallico. Esistono evidenze in letteratu-
ra che suggeriscono come la miglior gestione delle dinamiche di
polimerizzazione idealmente legata all’uso di matrici trasparen-
ti in poliestere e cunei in plastica riflettenti non si concretizzi in
un reale vantaggio clinico al confronto con quanto sia ottenibi-
le nelle stesse condizioni ricorrendo a matrici metalliche e cunei
tradizionali in legno67
. Si è registrata, inoltre, una maggiore in-
cidenza di sovracontorni in seguito all’uso di matrici trasparenti
in combinazione con cunei riflettenti68
. I cunei in plastica riflet-
tenti sono molto rigidi e mancano della capacità, tipica del cuneo
di legno, di adattarsi in una certa misura allo specifico contorno
anatomico naturale del dente. Come conseguenza, essi finisco-
no col prendere contatto con la matrice in un solo punto e con-
sentono la formazione di ampi gap tra matrice e dente in zona
cervicale. Tutto ciò facilita la formazione di sovracontorni a li-
vello della critica zona interprossimale, laddove essi risultano
difficilmente rilevabili e pressoché impossibili da correggere69
.
Alla luce di questi dati, rinunciare alla maggiore maneggevo-
lezza e semplicità di utilizzo delle matrici metalliche è un at-
teggiamento che non trova secondo gli autori alcuna giustifica-
zione ragionevole.
Eccezion fatta per alcune specifiche situazioni cliniche, la ne-
cessaria predicibilità di risultato non è in generale assicura-
ta quando il composito viene adoperato in associazione con le
classiche matrici circolari o automatrici (Figura 4). Queste ul-
time rappresentano la soluzione più semplice e pratica per un
materiale facilmente compattabile come l’amalgama. Una vol-
ta serrate avvitandole attorno al dente da restaurare e fissate
con un cuneo, infatti, esse finiscono per allontanarsi inevita-
bilmente dal dente contiguo. Solo la successiva brunitura e il
riempimento della cavità con un materiale che offra in fase di
lavorazione una certa resistenza a forze di compattazione mo-
deratamente elevate (caratteristica tipica dell’amalgama ma as-
sente nei compositi) permettono di espandere nuovamente il
profilo interprossimale della matrice verso il dente contiguo e
realizzare di conseguenza il punto di contatto desiderato.
L’utilizzo del composito, al contrario, obbliga il clinico ad av-
4. I sistemi di matrici circumferenziali, come le automatrici (a), consentono
di ottenere un buon punto di contatto interprossimale solo se utilizzate in
combinazione con materiali da restauro che possono essere compattati, come
l’amalgama. Vengono posizionate attorno al dente e successivamente strette
con un apposito avvitamatrice (b), il che garantisce un buon adattamento
marginale nella maggior parte delle situazioni
4
28
ildentistamoderno
gennaio 2016
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MODULO DIDATTICO 1
valersi di sistemi specificamente ideati per i materiali e le tec-
niche adesive: le matrici sezionali (Figura 5)70-72
. In questi si-
stemi, la matrice in sé è costituita da un segmento laminare di
metallo, grosso modo reniforme e comunque anatomicamente
preformato per replicare le concavità e le convessità tipiche del-
la faccia interprossimale. La matrice sezionale viene utilizzata
in associazione con un apposito retainer divaricatore, avente la
forma di un anellino aperto a una estremità, dove termina con
due peduncoli. Selezionata la matrice della dimensione adatta
al dente da restaurare, essa viene dapprima collocata nello spa-
zio interdentale, con la superficie concava rivolta verso la cavità
preparata, e successivamente stabilizzata con un cuneo inter-
prossimale che ne migliori l’adattamento a livello cervicale e che
determini una certa azione divaricante. Con l’utilizzo di una pin-
za specifica, viene a questo punto posizionato l’anellino, dispo-
nendone i peduncoli tra la matrice e il dente contiguo: in questo
modo esso contribuisce all’azione divaricante già in parte esple-
tata dal cuneo e permette l’adattamento della matrice ai margini
cavitari interprossimali assiali. I sistemi di matrici sezionali so-
no gli unici in grado di garantire in maniera predicibile dei pun-
ti di contatto adeguatamente serrati e una bombatura interpros-
simale corretta, anche utilizzando un materiale scarsamente
compattabile, quale è il composito nella sua fase gel.
Non va peraltro trascurato come le matrici di tipo sezionale,
per quanto necessarie con il composito, comportino intrinse-
camente un maggiore rischio di sovracontorno (Figura 6). Ciò
è stato messo in luce da osservazioni in vitro69
, ed è ovvia-
mente legato al fatto che le matrici circumferenziali o automa-
trici sono fermamente strette e avvitate attorno al dente, il che
offre un più facile e stabile adattamento a livello del margine
cervicale rispetto a quanto non sia ottenibile con le matrici se-
zionali. Il livello di sovracontorno che si rischia di creare sem-
bra dipendere da diversi fattori: forma e rigidità della matrice,
tipologia e forma dell’anellino, adeguatezza del cuneo, mano-
vre e strumenti di brunitura69
. È quindi molto importante ac-
quisire la giusta familiarità con le diverse forme di matrici se-
zionali, i vari retainer e selezionare il cuneo adatto. L’obiettivo
del clinico sarà quello di garantire la massima stabilità del re-
tainer, la massima stabilità della matrice e il miglior adatta-
mento possibile della matrice alle pareti cavitarie.
7. Tecnica di stratificazione
per masse e polimerizzazione del restauro
L’integrazione estetica e funzionale di un restauro diretto richie-
de, da parte del clinico, buona conoscenza dei vari dettagli ana-
tomici e giusta dimestichezza con una tecnica operativa utile a
replicarli in maniera predicibile.
Come già accennato, una volta completate le procedure adesive,
in tutte le cavità interprossimali lo step successivo è sempre rap-
presentato dalla stratificazione sulla matrice e successiva poli-
merizzazione di un sottile strato di composito (una massa smal-
to dal valore adeguato), al fine di ripristinare da subito le pareti
mesiale e/o distale (Figura 7). Questa strategia offre un dupli-
ce vantaggio. In primo luogo, lavorando una massa di composi-
to avente una ridotta superficie a contatto con la cavità rispetto
alla superficie libera, si riduce sensibilmente l’influenza del cavi-
ty factor (e dunque l’influenza dello stress da polimerizzazione)
sull’efficacia dell’adesione (e dunque sul sigillo marginale) a li-
vello della delicata zona cervicale, in cui un eventuale gap mar-
ginale da distacco del composito per eccessiva contrazione po-
trebbe risultare difficilmente rilevabile63
. Il secondo vantaggio è
5. Le resine composite, scarsamente compattabili in cavità, richiedono
dei sistemi di matrici sezionali per garantire un punto di contatto efficace.
La matrice, anatomicamente preformata, viene posizionata nello spazio
interdentale e stabilizzata con il cuneo. I peduncoli dell’anellino
ne migliorano l’adattamento ai margini cavitari e incrementano l’azione
divaricante del cuneo stesso
6. Microfotografia al microscopio elettronico a scansione in cui è apprezzabile
un sovracontorno di circa 100 µm a livello del margine cervicale, dovuto a un
non perfetto adattamento della matrice (ingrandimento originale 95x)
5
6
29
ildentistamoderno
gennaio 2016
di tipo strettamente pratico: ricostruire fin dall’inizio la parete
interprossimale consente di ricondurre tutte le cavità complesse
al modello semplificato della cavità occlusale, standardizzando
quindi i successivi step della stratificazione secondo una proce-
dura che diventa per il clinico estremamente semplice nonché fa-
cilmente ripetibile (ci riferiamo alla cavità occlusale poiché, co-
me ci sembra opportuno qui ricordare, si tende generalmente a
vedere nella mancanza di una cuspide l’indicazione, per quanto
non assoluta, alla scelta di una tecnica indiretta).
Il riempimento della cavità occlusale (sia essa reale oppure una
cavità interprossimale ridotta a cavità occlusale) prevede l’appo-
sizione del composito secondo uno schema ben preciso, la tecni-
ca di “stratificazione per masse”, che permette al clinico di rag-
giungere i seguenti obiettivi:
• continuare a mantenere sotto controllo gli stress da polimeriz-
zazione e il cavity factor;
• disegnare una corretta anatomia;
• ottenere una buona integrazione cromatica.
Il primo punto è spiegato dal fatto che sulla base della tecnica di
stratificazione per masse si posizionano di volta in volta in cavi-
tà delle piccole quantità di composito (spessori mai superiori a 2
mm), seguendo dei piani obliqui che tendono ad anticipare la ge-
ometria dei versanti delle cuspidi e cercando, in ogni apposizio-
ne, di limitare il contatto del materiale esclusivamente con il fon-
do e con una sola parete cavitaria. La stratificazione secondo dei
piani obliqui riduce al massimo a ogni polimerizzazione il rap-
porto tra la superficie di composito a contatto con la cavità e la
superficie libera, limitando per quanto possibile l’effetto del ca-
vity factor73
.
Seguire fin dagli strati più profondi della stratificazione dei piani
obliqui corrispondenti alla geometria dei versanti cuspidali con-
sente, inoltre, di controllare passo dopo passo l’anatomia del re-
stauro, modellandolo finemente per apposizione e limitando al
minimo le più grossolane correzioni della modellazione esegui-
te per sottrazione con strumenti rotanti. L’anatomia dei solchi e
del tavolato occlusale prende vita di conseguenza quasi automa-
ticamente.
Applicare più masse di composito sovrapposte, infine, permette al
clinico di modulare in maniera raffinata numerosi aspetti del co-
lore, come i vari livelli di cromaticità o la presenza di traslucen-
ze, alle diverse profondità del restauro, con l’obiettivo di simulare
il più possibile la complessa geografia cromatica del dente natura-
le, che in nessun caso si presenta omogeneamente monocromati-
ca nelle tre dimensioni.
Se si escludono i restauri preventivi assolutamente superficiali74,75
,
che possono essere gestiti anche con una singola apposizione di
materiale, la maggior parte delle cavità poco o mediamente pro-
fonde richiedono di base l’utilizzo di due diversi strati di compo-
sito per ogni versante cuspidale: una massa-dentina a minore tra-
slucenza e sufficientemente cromatica sul fondo (Figura 8); una
massa-smalto a più alta traslucenza e dal valore corrispondente al
dente da restaurare in superficie. Questa tecnica base è già di per
sé in grado di fornire un risultato accettabile nella maggior parte
dei casi, ma può essere ottimizzata aggiungendo dettagli croma-
tici laddove si voglia incrementare la performance estetica della
prestazione. Il disegno anatomico può essere messo in evidenza
aggiungendo intensivi bianchi al di sotto della massa-smalto su-
perficiale a livello degli apici delle cuspidi o delle creste. La pro-
fondità dei solchi può essere all’occorrenza caratterizzata (Figura
9) con l‘utilizzo di supercolori marroni (brown) applicati accura-
tamente e senza eccessi con uno strumento avente punta estre-
mamente sottile (ad esempio, uno strumento endodontico).
Le cavità estese e profonde, al contrario, richiedono almeno due
strati di massa dentinale per ogni versante cuspidale. Si proce-
derà posizionando le dentine più cromatiche sul fondo, “desa-
turando” poi il restauro con delle dentine meno cromatiche ap-
8. La tecnica di stratificazione per masse prevede l’apposizione di strati sottili
di composito (inferiori ai 2 mm) collocati secondo dei piani obliqui, seguendo
l’inclinazione dei versanti delle cuspidi, fin dagli strati dentinali più profondi.
In questo modo l’anatomia occlusale viene anticipata già dalle prime fasi di
stratificazione e prende vita quasi automaticamente
7. Il primo step nell’iter ricostruttivo di un restauro interprossimale
è sempre rappresentato dal ripristino della parete mesiale (o distale)
7 8
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MODULO DIDATTICO 1
plicate su piani più superficiali. La stratificazione del tavolato
occlusale viene completata in maniera non dissimile da quan-
to descritto per le cavità poco o mediamente profonde, con uno
smalto traslucente ed eventuali intensivi bianchi o caratterizza-
zioni marroni nei solchi.
Le proprietà meccaniche finali del restauro, nonché la possibili-
tà di preservare a lungo termine l’estetica e la brillantezza di su-
perficie, sono strettamente legate al raggiungimento del più alto
grado di conversione possibile. Delle linee guida pratiche, basa-
te su un consenso di esperti, sono state recentemente pubblica-
te a questo proposito da Roulet e Price a seguito del Simposio sul-
la Fotopolimerizzazione in Odontoiatria, tenutosi nel 2014 presso
la Dalhousie University, in Canada76
. Gli autori ricordano come,
per ottenere un’adeguata polimerizzazione, un quantitativo suf-
ficiente di energia deve essere fornito a una adeguata lunghez-
za d’onda [energia (joule/cm2
) = output (W/cm2
) x tempo di
esposizione (secondi)], il che comporta che un minimo di tempo
di esposizione è necessario per ogni materiale. È buona norma
prendere in considerazione il tempo di esposizione e lo spesso-
re degli incrementi consigliati dalla casa produttrice del compo-
sito, ma è necessario fare attenzione nel caso in cui si utilizzino
lampade di un diverso produttore, che potrebbero essere carat-
terizzate da una potenza di output inferiore o da uno spettro di
emissione sensibilmente diverso. In questi casi, così come quan-
do siamo costretti a polimerizzare da distanze aumentate (box
cervicali profondi) o abbiamo a che fare con masse di composi-
to più scure e opache (dentine ipercromatiche), si raccomanda
di incrementare i tempi suggeriti. In linea di massima, un tempo
di esposizione di 40 secondi alla distanza minore possibile (co-
munque inferiore ai 3 mm), mantenendo il puntale della lampada
perpendicolare alla superficie del restauro, è un protocollo con-
siderato da alcuni autori sicuro nella maggior parte delle situa-
zioni77
. Di non secondaria importanza appare il costante monito-
raggio dell’efficienza della lampada in uso, utilizzando sempre il
medesimo radiometro, in modo da registrare inequivocabilmen-
te eventuali cali di prestazione senza i possibili errori legati a una
diversa taratura dello strumento di misurazione76
.
È buona norma, inoltre, eseguire un ciclo finale di polimerizzazio-
ne dopo aver ricoperto il restauro con un gel di glicerina al fine di
consentire anche alle molecole di monomero presenti in superfi-
cie di partecipare alla reazione di conversione, processo normal-
mente inibito dal contatto con l’ossigeno atmosferico78
. Questo
accorgimento, migliorando le proprietà meccaniche del composi-
to superficiale, facilita di molto le successive fasi di rifinitura/lu-
cidatura e ne preserva più a lungo nel tempo il risultato.
8. Rifinitura, lucidatura
e brillantatura del restauro
Rifinitura, lucidatura e brillantatura sono gli step finali in un re-
stauro diretto, ma giocano un ruolo primario nell’ottimizzazione
estetica e nel mantenimento a lungo termine del risultato. Super-
fici perfettamente rifinite e lucidate garantiscono un’interazione
ottimale tra restauro e luce incidente, incrementando il mimeti-
smo, e riducono i fenomeni di accumulo di placca e invecchia-
mento precoce79,80
.
L’obiettivo della rifinitura è quello di rimuovere eventuali ecces-
si grossolani di materiale (composito o resina fluida) sfuggiti
al controllo dell’operatore, eliminando possibili difetti a livel-
lo marginale e apportando, se necessario, piccole correzioni
all’anatomia. Se si dedicano sufficienti sforzi a una corretta
stratificazione anatomica, nella maggior parte dei restauri po-
steriori occlusali questa fase risulterà estremamente rapida,
9. La stratificazione occlusale può essere eventualmente caratterizzata
applicando dei supercolori brown a livello dei solchi
10. Visione occlusale di un restauro in composito dopo aver ultimato la fase di
rifinitura, con frese diamantate da 40 e 20 µm, e di pre-lucidatura con gommini
al silicone
9 10
31
ildentistamoderno
gennaio 2016
limitandosi alla semplice rifinitura della zona di confine tra
dente e restauro al fine di livellare i margini occlusali.
La rifinitura dei materiali compositi richiede l’uso sequenzia-
le di frese diamantate in due diverse granulometrie: 40 µm per
la sgrossatura iniziale e per apportare correzioni anatomiche;
15-20 µm per una più raffinata rifinitura finale81
. L’utilizzo
del moltiplicatore di giri, al posto della turbina, garantisce un
migliore controllo della velocità di rotazione dello strumento
abrasivo in questa delicata fase e quindi una maggiore preci-
sione. Alla rifinitura con frese diamantate può far seguito una
pre-lucidatura, da attuarsi con gommini in silicone montati su
micromotore tradizionale (Figura 10).
Contrariamente alle successive fasi di lucidatura e brillanta-
tura, che non possono essere eseguite prima del controllo oc-
clusale, la rifinitura può avvenire con la diga di gomma anco-
ra montata, sfruttandone i vantaggi in termini di visibilità e
facilità di accesso.
Nei restauri mesio-occlusali, occluso-distali o MOD, il control-
lo e l’eventuale rifinitura della parete interprossimale andreb-
bero preferibilmente eseguiti in una fase molto precoce, subi-
to dopo la rimozione della matrice e prima ancora di iniziare
la stratificazione della porzione interna. Una parete interpros-
simale correttamente ripristinata e perfettamente rifinita ap-
pare, infatti, un prerequisito indispensabile per una precisa
modellazione della cresta marginale e del tavolato occlusa-
le. L’adeguato posizionamento della matrice dovrebbe ridurre
al minimo il lavoro di rifinitura di questa porzione del restau-
ro, limitandolo alla semplice rimozione di eventuali eccessi
di adesivo inavvertitamente soffiati oltre i margini assiali del-
la cavità e alla livellazione dell’altezza della parete, nel caso
in cui questa appaia eccessiva. L’uso di strip abrasive andreb-
be assolutamente limitato al di sotto del punto di contatto per
evitare di alterarlo; il loro utilizzo è comunque sconsigliabile
poiché compromette l’altissimo grado di levigatura superficia-
le garantito dalla polimerizzazione del composito contro ma-
trice. Grossolani eccessi o difetti di materiale rilevati a livel-
lo del margine cervicale sono per lo più dovuti a uno scorretto
posizionamento della matrice o a una inaccurata stratifica-
zione del composito su di essa e risultano difficilmente cor-
12. Microfotografie
al microscopio
elettronico a
scansione che
mostrano la superficie
di un restauro in
composito lucidato
e brillantato. Si
noti l’alto grado
di levigatezza
superficiale.
Ingrandimento
originale 800x (a) e
3000x (b). L’immagine
ad alto ingrandimento
(b) mostra le particelle
di riempitivo tutte
perfettamente
inglobate allo stesso
livello nell’ambito della
matrice resinosa.
Una simile situazione
rende meno probabile
il distacco di particelle
di riempitivo dalla
matrice, contribuendo
al mantenimento a
lungo termine della
qualità superficiale del
restauro
12
11. Microfotografie
al microscopio
elettronico a
scansione che
mostrano la superficie
di un restauro in
composito rifinito,
ma non lucidato.
Si noti la superficie
estremamente
irregolare e piena
di depressioni sulla
quale facilmente
potrebbero aderire
placca e batteri.
Ingrandimento
originale 800x (a) e
3000x (b)
11
13
13. Ottima integrazione estetica di un restauro interprossimale mesiale in
composito, dopo aver eseguito le procedure di lucidatura e brillantatura
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MODULO DIDATTICO 1
reggibili in fase di rifinitura. Essi richiedono preferibilmente
l’abbattimento della parete appena restaurata e una nuova stra-
tificazione della stessa, previo riposizionamento della matrice
in maniera corretta.
Rimossa la diga di gomma, si procede al controllo e alla correzio-
ne di eventuali precontatti in fase di massima intercuspidazione
o di interferenze lavoranti e bilancianti in lateralità.
Si passa infine alle fasi di lucidatura e brillantatura del compo-
sito, per le quali il ricorso a paste rispettivamente diamantate
e all’ossido di alluminio sembra garantire i migliori risultati (Fi-
gure 11-12)82,83
.
Un protocollo di lucidatura efficace prevede l’utilizzo di paste
diamantate di due granulometrie differenti (prima 3 µm e poi 1
µm) e uno spazzolino a ruota (cosiddetto “pelo di capra”) utiliz-
zato a bassa velocità81
, con irrigazione intermittente.
Nella brillantatura finale, la pasta all’ossido di alluminio viene
invece stesa con un feltrino estremamente soffice, utilizzato dap-
prima a bassa velocità e senza acqua, successivamente sotto irri-
gazione (Figura 13)81
.
9. Caso clinico
Il presente caso clinico mostra il ripristino di due elementi denta-
ri posteriori con tecnica diretta in un paziente di 37 anni di sesso
femminile. Gli elementi 25-26 mostrano due restauri in composi-
to, incongrui riguardo sia alla precisione marginale che all’ana-
tomia; si rileva, inoltre, una carie recidivante sul 26 (Figura 14).
Somministrata l’anestesia, si è proceduto con il montaggio della
15
14
16
16. Aspetto intraoperatorio delle due cavità adesive. Dopo la rimozione dei vecchi
restauri e del tessuto infiltrato, i margini cavitari esterni vengono rifiniti. Il disegno
cavitario per restauri adesivi diretti non richiede ulteriori sacrifici di tessuto sano,
garantendo la minima invasività possibile
15. Campo operatorio isolato per mezzo della diga di gomma
diga di gomma e l’isolamento del campo operatorio, che sono fa-
si integranti del protocollo (Figura 15). I due restauri incongrui
sono stati rimossi. La cavità è stata pulita asportando la dentina
rammollita e preservando la dentina terziaria. Questa fase è stata
eseguita sia con strumenti rotanti montati su micromotore (anello
blu) sia con strumenti manuali (escavatori). Nella zona cervicale
dove la quota di smalto è minore bisogna fare di tutto per preser-
varne la maggior quantità possibile. Il disegno della cavità finale è
il risultato della rimozione delle vecchie otturazioni, della rimo-
14. Immagine preoperatoria che mostra un restauro incongruo su 25 e una
carie recidivante su 26
33
ildentistamoderno
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zione della carie e della rifinitura dei margini esterni (Figura 16).
A livello dei margini è stata eseguita una preparazione a 90° e
non è stato disegnato nessun bisello; gli angoli cavitari interni
sono stati arrotondati. Abbiamo eseguito la rifinitura di cavità.
Questo è un passaggio molto importante che spesso viene trascu-
rato. Prevede l’eliminazione di possibili irregolarità sulla super-
ficie dentinale, nonché la rimozione dei prismi di smalto non so-
stenuti. Per la rifinitura sono stati utilizzati gommini diamantati
di diverse forme e strip abrasive nelle zone interprossimali.
Terminata la preparazione di cavità, abbiamo eseguito le fasi
adesive con metodica etch and rinse che prevede una morden-
zatura simultanea di smalto e dentina con acido ortofosforico al
37% per 20 secondi (Figura 17).
Il risciacquo dell’acido ortofosforico è stato eseguito in maniera
accurata per lo stesso tempo (20 secondi).
Prima di applicare l’adesivo, la cavità è stata irrigata con clorexi-
dina digluconato al 2% per 30 secondi al fine di inibire le metal-
lo-proteinasi e stabilizzare il legame adesivo nel tempo.
17 18
19 20
17. Fase di mordenzatura della tecnica
etch and rinse. L’acido ortofosforico
al 37% viene mantenuto in cavità per
circa 20 secondi, prima di essere
abbondantemente risciacquato
18. Matrice sezionale correttamente
posizionata per il ripristino della parete
mesiale di 26.15. Campo operatorio
isolato per mezzo della diga di gomma
19. La parete mesiale di 26 viene
restaurata con un unico incremento
di smalto-composito posizionato a
ridosso della matrice
20. Visione intraoperatoria della
parete interprossimale
di 26 adeguatamente restaurata
34
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CORSO ECM A DISTANZA
MODULO DIDATTICO 1
Dopo il risciacquo abbiamo soffiato gentilmente per asciugare,
lasciando la superfice dentinale leggermente umida per evita-
re il collasso delle fibre collagene che devono essere impregna-
te dall’adesivo. Si è fatto quindi uso di un sistema two-step etch
and rinse, che ingloba il primer e il bonding in un unico prodot-
to da applicarsi mediante un pennellino su tutta la cavità per un
tempo di 20 secondi.
Successivamente, con un leggero soffio d’aria si promuove l’eva-
porazione del solvente alcolico, migliorando allo stesso tempo la
distribuzione dell’adesivo all’interno della cavità.
La fase di polimerizzazione è stata eseguita per 40 secondi, cer-
cando di tenere il puntale della lampada il più vicino e perpen-
dicolare possibile alla cavità. È stata adottata una tecnica di
“stratificazione per masse” al fine di controllare la contrazio-
ne da polimerizzazione e gestire al meglio sia l’anatomia che
l’aspetto cromatico.
Abbiamo dapprima posizionato la matrice sezionale per la ri-
costruzione della parete mesiale di 26, cercando di farla aderi-
re bene ai margini cavitari interprossimali (Figura 18).
Abbiamo iniziato la stratificazione con la ricostruzione della
22. Il tavolato occlusale di 26 viene
completato con l’utilizzo
di masse-smalto traslucenti
23. Matrice sezionale posizionata per
il ripristino della parete distale di 25
24. Parete interprossimale di 25
completata
21
23
22
24
21. Apposizione della dentina su 26,
secondo la tecnica di stratificazione
per masse. Le dentine più cromatiche
vengono posizionate sul fondo di cavità;
quelle meno sature negli strati superficiali
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ildentistamoderno
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cresta marginale in un’unica soluzione utilizzando una mas-
sa smalto (Figura 19). In questo modo abbiamo trasformato la
complessa cavità interprossimale in una cavità occlusale di fa-
cile gestione (Figura 20).
Le successive masse dentina sono state collocate a ridosso della
parete interprossimale appena restaurata, cercando il maggior
contatto possibile con il composito in precedenza polimerizza-
to ed evitando di fare strati molto estesi sul fondo della cavità.
Lo spessore di ogni massa non ha mai superato i 2 mm per faci-
litare la polimerizzazione delle porzioni più profonde.
Sul fondo di cavità abbiamo utilizzato masse dentina più cro-
matiche; negli strati più superficiali dentine meno sature. Que-
sto per migliorare l’effetto ottico e avere un effetto di profondi-
tà cromatica (Figura 21).
Abbiamo completato l’anatomia occlusale con una massa smal-
to (Figura 22).
Solo in un secondo momento ci siamo concentrati sulla parete
distale di 25 (Figure 23-24), dedicando la dovuta attenzione al-
la rifinitura delle due pareti e al controllo del punto di contat-
to. Il restauro occlusale del premolare è stato completato rispet-
25. Apposizione delle masse
dentinali su 25
26. Visione occlusale dopo aver
ultimato la fase di stratificazione
di entrambi i restauri
27. Aspetto intraoperatorio subito
dopo la fase di rifinitura eseguita con
frese diamantate con granulometria
di 40 µm
28. La rifinitura viene ottimizzata con
l’utilizzo di gommini diamantati
25
27
26
28
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tandone l’anatomia (Figure 25-26) e seguendo gli stessi criteri di
stratificazione descritti per il molare.
Le fasi di rifinitura sono state eseguite mediante l’utilizzo di
frese diamantate con granulometria di 40 µm montate su molti-
plicatore di giri (anello rosso).
Dopo l’impiego delle frese (Figura 27) abbiamo utilizzato
dei gommini diamantati (Figura 28) montati su micromoto-
re (anello blu), al fine di migliorare ulteriormente la rifinitu-
ra (Figura 29).
Rimossa la diga ed eseguito il check occlusale, si è proceduto
con la lucidatura e la brillantatura, utilizzando paste con diver-
se granulometrie e spazzolini specifici.
Il primo step della lucidatura è stato eseguito con una pasta dia-
mantata (granulometria 3 µm) utilizzata con uno spazzolino a
ruota in pelo di capra montato su micromotore a bassa veloci-
tà; lo stesso spazzolino è stato usato anche per la pasta diaman-
tata successiva (granulometria 1 µm). L’ultima pasta all’ossido
di alluminio ha richiesto l’uso di un feltrino morbido, anch’es-
so montato su micromotore, per aumentare la brillantezza del
restauro.
È importante utilizzare gli spazzolini e le paste alternando l’u-
so dello spray aria-acqua per evitare il surriscaldamento della
porzione superficiale del composito e il conseguente deteriora-
mento della matrice resinosa.
L’immagine finale ben evidenzia la corretta riabilitazione mor-
fo-funzionale ed estetica dei due elementi trattati (Figura 30).
Riassunto
Nel corso degli ultimi decenni, la con-
solidata predicibilità delle sistemati-
che adesive e l’introduzione di resine
composite sempre più performanti
hanno determinato un’importante
diffusione dei restauri adesivi diretti,
considerati oramai il trattamento
d’elezione in una crescente varietà di
situazioni cliniche. I restauri adesivi
diretti posteriori offrono migliori
performance estetiche e funzionali al
confronto con i tradizionali restauri
metallici. Essi consentono un ap-
proccio radicalmente meno invasivo,
poiché non è necessario modificare
in maniera importante la forma di
cavità dopo aver rimosso il tessuto
cariato nel tentativo di cercare la
ritenzione. Nonostante i suddetti
vantaggi, le tecniche adesive sono
condizionate da un assoluto rispetto
dei protocolli operativi per garantire
l’adeguato successo nella pratica
clinica quotidiana. Essendo più ope-
ratore-sensibili rispetto alle tecniche
ritentive, esse richiedono una buona
familiarità con i principi dell’adesione
e adeguata comprensione del loro
funzionamento. Nel presente modulo,
illustrando i principi e le tecniche
adesive, verrà descritta step by
step la tecnica di restauro diretto in
composito dei denti posteriori dalla
preparazione di cavità, passando per
la stratificazione del materiale, fino
alle fasi di rifinitura e lucidatura.
Summary
Over the last decades, the improved
properties of resin based composites
and the well-established predictabili-
ty of modern adhesive systems led to
the widespread use of direct bonded
restoration as the treatment of choice
in an ever-expanding range of clinical
situations. Direct adhesive restora-
tions on posterior teeth show impro-
ved esthetics and better functional
behavior, compared to traditional
metal-based fillings. They also allow
a minimally invasive approach, as
the cavity shape does not need to be
further enlarged after caries removal
in order to provide retention. In spite
of the above advantages, adhesive
technics are also characterized by
the absolute need for a strict respect
of the operative protocols in order to
achieve an acceptable success rate
in the daily clinical practice. Being
more operator-sensitive compared
to non-adhesive approaches, they
require a proper knowledge of the
bonding principles and the complete
understanding of their mode of use.
In the present paper, the basic princi-
ples of modern adhesive systems will
be illustrated. Moreover, clinical so-
lutions for successfully placing direct
resin composite restorations on po-
sterior teeth will be described step-
by-step from the cavity preparation,
through the layering technique, to the
finishing and polishing procedures.
29. Aspetto dei nuovi restauri alla fine delle procedure di rifinitura e prima della
lucidatura
30. Immagine finale che mostra la buona integrazione anatomica e cromatica
dei due nuovi restauri, dopo aver rimosso la diga di gomma e aver completato
le fasi di lucidatura e brillantatura
29 30
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ildentistamoderno
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jdent.2008.09.010.
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and placement technique on proximal contact
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restoration on proximal contact tightness. J Dent
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72. Loomans BA, Opdam NJ, Roeters FJ et al. A
randomized clinical trial on proximal contacts of
posterior composites. J Dent 2006;34(4):292-7.
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methods, composite type, and flowable liner on
the polymerization shrinkage stress of light cured
composites. Dent Mater 2012;28(7):801-9. doi:
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76. Roulet JF, Price R. Light curing - guidelines for
practitioners - a consensus statement from the
2014 symposium on light curing in dentistry held at
Dalhousie University, Halifax, Canada. J Adhes Dent
2014;16(4):303-4. doi: 10.3290/j.jad.a32610.
77. Malhotra N, Mala K. Light-curing considerations
for resin-based composite materials: a review. Part II.
Compend Contin Educ Dent 2010;31(8):584-8, 590-1.
78. Bijelic-Donova J, Garoushi S, Lassila LV,
Vallittu PK. Oxygen inhibition layer of composite
resins: effects of layer thickness and surface
layer treatment on the interlayer bond strength.
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of diamond-impregnated felt wheels for polishing a
hybrid composite. Clin Oral Investig 1997;1(2):71-6.
39
ildentistamoderno
gennaio 2016
Questionario di valutazione dell’apprendimento ECM
1 Il mordenzante negli adesivi etch and rinse:
non viene utilizzato
viene utilizzato per 15-20 secondi e poi va lavato via
viene utilizzato senza lavarlo via
viene utilizzato a una concentrazione superiore al 40%
2 La mordenzatura negli adesivi etch and rinse permette:
la rimozione dello smear layer
il condizionamento dello smear layer senza rimuoverlo
la demineralizzazione della componente minerale superfi-
ciale solo dello smalto
l’applicazione di un monomero idrofilico (primer) che vie-
ne applicato sulla dentina prima di essa
3 Gli adesivi etch and dry:
richiedono maggior tempo e step rispetto agli adesivi
etch and rinse
hanno bisogno di uno step preliminare di mordenzatura
hanno dati in letteratura che mostrano qualche criticità
riguardo alla forza e alla stabilità nel tempo del legame
ottenuto sullo smalto rispetto agli adesivi etch and rinse
provocano una sensibilità post operatoria generalmente
maggiore rispetto agli adesivi etch and rinse
4 Le indicazioni per il restauro diretto nei settori
posteriori sono rappresentate da:
cavità estese anche in zone di difficile accesso
cavità a ricoprimento cuspidale
presenza di più cavità estese nella stessa emiarcata
cavità semplici e poco estese
5 Nei restauri diretti la contrazione da polimerizzazione:
può determinare un distacco del materiale da restauro
dalle pareti della cavità e la mancanza di una perfetta
sigillatura dei margini
determina un aumento di volume aumentando il sigillo
sui margini della cavità
nelle cavità di seconda classe porta al distacco solo
della parete marginale
coincide sempre con l’espansione igroscopica del
materiale nel cavo orale
6 Il cavity factor è dato dal:
rapporto della massa di composito con la superficie libera
rapporto del volume di composito con la superficie libera
rapporto tra superficie di composito a contatto e superficie
libera
volume della cavità
7 Le cavità adesive:
prevedono coulisse e sottosquadri
hanno un disegno ben delineato a seconda della posizione
non presentano margini in corrispondenza di solchi e fosse
sono la semplice risultante finale della pulizia della carie e
della eventuale rimozione del precedente restauro
8 Le matrici sezionali ci permettono di:
restituire all’elemento dentario un corretto profilo di
emergenza e garantire un punto di contatto efficace con
il dente contiguo
diminuire la contrazione da polimerizzazione
isolare la cavità da tracce di sangue e saliva
aumentare la polimerizzazione della parete marginale
9 La stratificazione per masse ci permette di:
eseguire più denti nella stessa arcata
poter mettere più masse allo stesso tempo
di stratificare solo le flat cavities
continuare a mantenere sotto controllo gli stress da
polimerizzazione e il cavity factor
10 Nelle cavità complesse dove è interessata la parete
prossimale
la stratificazione inizierà dal fondo di cavità
la stratificazione inizierà dal lato opposto alla parete
prossimale
la stratificazione inizierà con una massa smalto sulla
matrice a ripristinare la parete prossimale
è bene utilizzare per la stratificazione una sola massa
dentina e una sola massa smalto
11 La rifinitura dei compositi:
viene eseguita con frese con granulometria compresa
tra i 50-70 micron
viene eseguita con paste e feltrini
riduce i fenomeni di accumulo di placca e invecchiamento
precoce
è l’unico step in cui si definisce la giusta geografia
occlusale
12 Lucidatura e brillantatura garantiscono i migliori
risultati se:
avvengono sotto diga
non sono fondamentali nei settori posteriori data la
scarsa rilevanza estetica
prevedono l’utilizzo di paste rispettivamente diamantate
e all’ossido di alluminio
si eseguono con l’utilizzo di frese diamantate
40-20 micron
13 I restauri diretti nei settori posteriori:
sono da evitare se utilizziamo i materiali compositi
non sono predicibile a lungo termine
hanno una scarsa resa estetica
sono da preferire perché più conservativi rispetto
ai restauri indiretti
14 La diga di gomma nei restauri diretti nei settori
posteriori:
può essere evitata se vengono utilizzati i rulli salivari
viene impiegata solo nelle cavità con interessamento
della parete prossimale
è il primo step necessario per operare con successo
nei confini dell’odontoiatria adesiva
interferisce con l’inserimento delle matrici sezionali
15 La cavità per un restauro diretto adesivo posteriore
prevede:
un disegno predefinito
una ritenzione o un sottosquadro
angoli interni spigolosi
pareti e margini perfettamente rifiniti

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Odontoiatria Adesiva - Primo Modulo

  • 1. 19 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSI ECM A DISTANZA Odontoiatria adesiva: stato dell’arte Responsabile scientifico del corso: Prof. Camillo D’Arcangelo Modulo didattico 1 Restauri adesivi diretti nei settori latero-posteriori n Dott. Mirco Vadini Laureato in Odontoiatria e Protesi Dentaria presso l’Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti. Dotto- re di Ricerca (PhD) in Scienze Mediche di Base e Applicate, Curriculum in Scienze Odontostomatologi- che presso la stessa Università. Più volte assegnatario di borse di studio finalizzate all’attività di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche dell’Università degli Studi G. d’Annun- zio, svolge attività clinica e di assistenza alla didattica presso il Reparto di Odontoiatria Restaurativa ed Endodonzia della stessa Università. Socio attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SI- DOC). Autore di diversi articoli su riviste nazionali e internazionali, con particolare riguardo alle temati- che dell’odontoiatria adesiva. Svolge la libera professione a Pescara, occupandosi prevalentemente di restaurativa estetica, protesi ed endodonzia. n Dott. Francesco De Angelis LaureatoconlodeinOdontoiatriaeProtesiDentariapressol’UniversitàdegliStudidell’Aquila.Specializzato con lode in Chirurgia Orale alla Sapienza-Università di Roma. Dottore di Ricerca (PhD) in Scienze Mediche di Base e Applicate, Curriculum in Scienze Odontostomatologiche presso l’Università degli Studi G. d’An- nunzio di Chieti. Più volte vincitore di borse di studio finalizzate all’attività di ricerca presso il Dipartimento diScienzeMediche,OralieBiotecnologichedell’UniversitàdegliStudiG.d’Annunzio.Collaboraattivamente all’attività clinica e didattica presso il Reparto di Odontoiatria Restaurativa ed Endodonzia dell’Università degli Studi di Chieti. Socio attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SIDOC). Autore di nu- merose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, con particolare attenzione dedicata alle problematiche legate all’odontoiatria restaurativa, all’endodonzia e ai materiali dentari. Pratica la libera professione a L’Aquila, prevalentemente nell’ambito della restaurativa adesiva e dell’endodonzia. n Dott. Maurizio D’Amario Laureato con lode in Odontoiatria e Protesi Dentaria presso Università degli Studi dell’Aquila. Dottore di Ricerca (PhD). Ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di Professore universitario di seconda fascia per il settore concorsuale Malattie Odontostomatologiche. Collabora presso il Reparto di Odontoiatria Conservativa della Clinica Odontostomatologica dell’Università degli Studi dell’Aquila e presso il Reparto di Odontoiatria Conservativa dell’Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti. Socio attivo della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SIDOC). Professore a Contratto (Odontoiatria Conservativa) presso il Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria dell’Università degli Studi dell’Aquila. Co-autore di numerosi articoli su riviste nazionali e internazionali in tema di restaurativa e di endodonzia. Peer reviewer di diverse riviste internazionali del settore. Pratica la libera professione a L’Aquila, occupandosi prevalentemente di restaurativa estetica, protesi adesiva ed endodonzia. n Prof. Camillo D’Arcangelo Professore Associato, vincitore dell’idoneità nazionale per Professore Ordinario. Titolare dell’Insegnamen- to di Odontoiatria Restaurativa presso il Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria dell’Univer- sità degli Studi G. d’Annunzio di Chieti. Titolare dell’Insegnamento di Odontoiatria Conservativa presso il Corso di Laurea di Igiene Dentale. Responsabile del Reparto di Odontoiatria Conservativa. Titolare dell’insegnamento di Odontoiatria Conservativa presso la Scuola di Specializzazione in Ortodonzia. Tito- lare dell’Insegnamento di Odontoiatria alla Scuola di Specializzazione in Pediatria. Direttore del Corso di Perfezionamento in Odontoiatria Restaurativa. Membro dell’Editorial Board di “Giornale Italiano di Endo- donzia”. Reviewer di “Journal of Adhesive Dentistry”, “International Endodontic Journal”, “Indian Journal of Dental Research” e di “Journal of Applied Oral Science”, “International Journal of Oral Science”, “Dental Materials”. Membro del Consiglio Direttivo e Segretario-Tesoriere della Società Italiana di Odontoiatria Conservativa (SIDOC). Responsabile della Sezione Abruzzese della Società Italiana di Endodonzia (SIE). Professore Onorario dell’Accademia Ucraina di Stomatologia Medica. Svolge la professione limitatamente alla restaurativa e all’endodonzia. Corsi 2016 • ID: 1585-145299 Odontoiatria adesiva: stato dell’arte 18 crediti ECM inizio 15/01/2016 - fine 31/12/2016 • ID: 1585-145319 Documentazione iconografica digitale 17 crediti ECM inizio 01/06/2016 - fine 31/12/2016 Informazioni utili PIATTAFORMA E-LEARNING OTTIMIZZATA PER DISPOSITIVI MOBILI n ACCESSO ALLA PIATTAFORMA http://corsiecm.tecnichenuove.com - Utenti già registrati: accedere con email e password, dopo il login il corso è visibile nell’area “IL MIO PANNELLO” - Nuovi Utenti: registrarsi e confermare la registrazione. In seguito accedere con email e password. Dopo il login il corso è visibile nell’area “IL MIO PANNELLO” n MODALITÀ DI ACQUISTO - Accedere alla piattaforma http://corsiecm.tecnichenuove.com con email e password - Scegliere nel catalogo la promozione – Il Dentista Moderno Promozione 2016 - riservata agli abbonati, cliccare sul tasto “Iscriviti” - Effettuare l’acquisto seguendo le indicazioni (Carta di credito, Paypal, Bonifico Bancario) Nota: chi acquista attraverso altri siti, contatto telefonico, e-mail, otterrà automaticamente l’accesso al corso nelle ore successive all’ordine. Appositi messaggi email avviseranno dell’attivazione del corso. n REQUISITI TECNICI PER LA FRUIZIONE DEI CORSI ONLINE - PC con connessione Internet - Software di navigazione consigliati (Browser): Internet Explorer 8.0 (o superiori); Firefox 4 (o superiori); Chrome - Stampante Tecniche Nuove S.p.A. è provider standard n. 1585 per erogare programmi di formazione ECM a tutte le professioni sanitarie. Tecniche Nuove S.p.A. si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività formativa ECM. n PER OTTENERE I CREDITI DI OGNI SINGOLO CORSO È NECESSARIO: • concludere l’intero percorso formativo entro e non oltre il 31/12/2016 • superare tutti i test di apprendimento, considerati validi se il 75% delle risposte risulta corretto. Sono possibili per ogni test solo 5 tentativi come previsto dalla normativa Agenas Ecm vigente; • compilare il questionario di valutazione obbligatorio; • scaricare l’attestato e il certificato ECM. Servizio Clienti Telefono: 02.39090440 - Email: assistenza@tecnichenuove.com
  • 2. 20 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 Restauri adesivi diretti nei settori latero-posteriori Direct bonded restorations on posterior teeth n Mirco Vadini* n Francesco De Angelis* n Maurizio D’Amario** n Camillo D’Arcangelo* *Reparto di Odontoiatria Restaurativa (Respon- sabile Prof. Camillo D’Arcangelo), Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche (Direttore Prof. Sergio Caputi), Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti **Reparto di Odontoiatria Restaurativa e Patologia Orale (Responsabile Prof. Mario Capogreco), Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria (Presidente Prof. Roberto Gatto), Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila 1. Indicazioni e limiti dei restauri diretti nei settori posteriori 2. Isolamento del campo operatorio 3. Preparazione di cavità 4. Procedure adesive 4a. Adesivi etch and rinse 4b. Adesivi etch and dry (o self etch) 4c. Adesivi universali 4d. La corretta scelta del sistema adesivo 5. Il cavity factor 6. Utilizzo delle matrici nei restauri interprossimali 7. Tecnica di stratificazione per masse e polimerizzazione del restauro 8. Rifinitura, lucidatura e brillantatura del restauro 9. Caso clinico Bibliografia zz PAROLE CHIAVE resine composite, restauri diretti, adesivi smalto-dentinali, procedure restaurative, settori latero-posteriori zz KEYWORDS resin composites, direct restorations, adhesive systems, restorative procedures, posterior teeth L a moderna restaurativa si avvale prevalentemente di procedure adesive, in special modo quando si utilizza- no tecniche dirette. L’adesione ai tessuti duri dentali garantisce indubbi vantaggi al confronto con metodiche basate sulla ritenzione mec- canica, sia in termini di minima invasività sia dal punto di vista estetico e funzionale1,2 . Una profonda conoscenza delle tecniche e dei materiali adesi- vi rappresenta, dunque, un prerequisito necessario per il clinico che intenda operare con successo in ambito restaurativo. Le tecniche adesive permettono di ottenere risultati predicibili con un approccio per certi aspetti minimale ed estremamente semplificato, soprattutto al confronto con le tecniche tradizio- nali dell’odontoiatria ritentiva2,3 . La semplificazione, d’altro can- to, cresce di pari passo con la stringente necessità di un rigoroso rispetto del protocollo clinico. Le procedure adesive sono estre- mamente dipendenti dalla tecnica e non consentono un succes- so neppure parziale laddove vengano utilizzate con superficiali- tà o imprecisione. 1. Indicazioni e limiti dei restauri diretti nei settori posteriori L’uso dei compositi in odontoiatria ha vissuto una crescente po- polarità negli ultimi decenni, così come dimostrano recenti in- dagini riguardo ai trend di insegnamento nelle “dental schools” di tutto il mondo4-9 , e rappresenta oramai la scelta d’elezione per la maggior parte dei dentisti nei restauri parziali dei denti poste- riori. Uno dei dubbi più frequenti per il clinico riguarda l’utiliz- zo dei compositi con tecnica diretta oppure indiretta. In realtà si tratta di un falso dubbio, perché le indicazioni per le tecniche in- dirette coincidono con le indicazioni protesiche; per cui l’alter- nativa non è fra tecniche adesive dirette e tecniche adesive indi- rette, ma fra soluzioni di odontoiatria conservativa e di protesi. Ogniqualvolta è possibile utilizzare restauri diretti, questi sono da preferire perché più conservativi. Quando non è possibile uti- lizzare soluzioni dirette, ma si è costretti a ricorrere a soluzioni protesiche, si può scegliere fra soluzioni adesive e soluzioni riten- tive. In conclusione, l’alternativa non è fra restauro in composi- to diretto o indiretto, ma fra restauro conservativo o protesico. Per quanto le tecniche dirette siano molto affidabili, è necessario rispettare delle indicazioni ben precise per assicurare al restauro u Corrispondenza Francesco De Angelis fda580@gmail.com
  • 3. 21 ildentistamoderno gennaio 2016 qualità e prognosi adeguate. Le indicazioni per il restauro diretto sono rappresentate da tutte le cavità semplici e poco estese10 : le cavità occlusali, le cavità interprossimali (mesio-occlusali o MO, disto-occlusali o DO), le cavità vestibolari o linguo-palatali, le ca- vità mesio-occluso-distali (MOD) poco estese. Nelle cavità più complesse (MOD estese) o che richiedano una ri- copertura cuspidale (onlay, overlay), l’approccio diretto è in linea teorica sempre possibile, ma presenta i seguenti limiti al confron- to con una tecnica indiretta: • difficoltà nel controllo dell’anatomia del restauro e della preci- sione marginale; • difficoltà nel corretto ripristino dei punti di contatto e del pro- filo di emergenza; • difficoltà nell’ottenere una buona lucidatura in ogni punto del restauro; • ridotto grado di conversione del materiale; • peggiore controllo della contrazione da polimerizzazione. I primi tre punti rappresentano delle pure e semplici difficoltà operative legate alla necessità di dover lavorare direttamente nel- la bocca del paziente, alle quali è possibile in linea teorica far fronte con elevate perizia ed esperienza da parte dell’operatore. Gli ultimi due punti, al contrario, vanno visti come limiti insor- montabili dell’approccio diretto, perché legati a proprietà insite nel materiale stesso. Il grado di conversione del composito diretto è sempre inferiore rispetto al composito indiretto11 . Nelle fasi di laboratorio, la rea- zione di fotopolimerizzazione di un composito indiretto viene in- tensificata per mezzo di appositi dispositivi in grado di fornire al contempo luce alla lunghezza d’onda adeguata e calore a tempe- rature tra gli 80 e i 95 °C. È stato ampiamente dimostrato come una più alta percentuale di conversione migliori in maniera si- gnificativa le proprietà del materiale12 , per cui uno stesso compo- sito lavorato con tecnica diretta o con tecnica indiretta presenta caratteristiche meccanico-fisiche estremamente diverse. Una si- mile differenza, se risulta trascurabile in un restauro di piccole e medie dimensioni, rischia di diventare rilevante nei restauri mol- to estesi o che richiedono coperture cuspidali. Ultimo aspetto da esaminare, perché in grado di pregiudicare il successo di un restauro diretto in una cavità di grandi dimen- sioni, è rappresentato dal controllo degli effetti della contrazione da polimerizzazione (polymerization shrinkage)13,14 . Il composi- to è sotto forma di monomero prima della polimerizzazione per cui è un fluido lavorabile. La conversione da monomero a poli- mero lo rende solido. In questa trasformazione chimica le debo- li forze di van der Waals della fase fluida lasciano il posto ai più stabili legami covalenti. Ciò riduce la distanza intermolecolare e il composito subisce una contrazione. Persino i più moderni si- stemi compositi, appositamente progettati per far fronte a tale inconveniente (cosiddetti “low shrinkage composites”), mostra- no una percentuale totale di contrazione volumetrica non infe- riore all’1-3%15,16 . Questo fenomeno è svantaggioso da un punto di vista clinico per un materiale da otturazione, il quale dovreb- be idealmente tendere a occupare tutto lo spazio di cavità. Con- traendosi rischia di staccarsi dalle pareti e di non sigillare per- fettamente i margini. L’entità totale della contrazione misurabile per una massa di composito è ovviamente direttamente propor- zionale al volume iniziale della massa stessa. Di conseguenza, in cavità ampie assisteremo a fenomeni di contrazione importanti. Nei restauri indiretti la contrazione del materiale avviene in la- boratorio, al di fuori della cavità orale. Il composito utilizzato come cemento compenserà tale contrazione in fase di cementa- zione. È ovvio che anche il cemento-composito subirà una con- trazione, ma in una cavità di grandi dimensioni il volume del so- lo cemento è decisamente inferiore rispetto al volume totale del restauro. Di conseguenza, l’entità totale di contrazione che avrà luogo nella bocca del paziente in fase di cementazione risulterà decisamente inferiore rispetto a quanto sarebbe misurabile se il restauro venisse interamente realizzato con tecnica diretta17 . Nonostante i limiti appena accennati, è bene ribadire ancora una volta come i restauri diretti in composito rappresentino una solu- zione ideale da un punto di vista funzionale ed estetico per i set- tori posteriori, posto che ci si trovi all’interno del campo di perti- nenza definito dalle indicazioni precedentemente elencate. 2. Isolamento del campo operatorio Il primo step necessario per operare con successo nei confi- ni dell’odontoiatria adesiva è rappresentato dal perfetto isola- mento del campo operatorio mediante il ricorso costante alla diga di gomma. I primi tentativi di ridurre i problemi legati all’umidità nella cavi- tà orale nel corso di procedure odontoiatriche risalgono al 1869, anno in cui il dottor Sanford Christie Barnum per primo provò a
  • 4. 22 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 utilizzare un pezzo di gomma per isolare un elemento dentario18 . Solo tre anni dopo, la prevalenza di utilizzo della diga di gomma tra i dentisti veniva descritta come in rapida ascesa19 . In seguito, già all’inizio del ventesimo secolo, l’entusiasmo per la diga di gomma andò incontro a un inesorabile declino, in conco- mitanza con l’evoluzione di sistemi di aspirazione più sofisticati e l’introduzione dell’amalgama d’argento; l’uso di rulli di cotone e alcol veniva raccomandato come valida alternativa19 . Ancora oggi, nonostante la diga di gomma offra un valido con- tributo nel controllo delle infezioni crociate19 e rappresenti il presidio più efficace per prevenire l’aspirazione di corpi estra- nei20,21 , molti dentisti tendono a considerarla solo un’ingom- brante perdita di tempo. Ci sembra estremamente importante, in questa sede, ricordare come le procedure adesive garantiscano predicibilità di risultato solo nel caso in cui sia possibile il totale controllo dell’umidità22 . Appare necessario trovare sempre il modo di isolare, anche lad- dove sia indaginoso, per assicurare in ogni caso al paziente pre- stazioni di qualità e la massima resa dei materiali. 3. Preparazione di cavità Il disegno di una cavità restaurativa dipende dal materiale da ot- turazione. Una cavità per composito apparirà diversa rispetto a una cavità che deve ricevere un restauro metallico. Le cavità per amalgama seguono un disegno predefinito sulla base dei princi- pi di G. V. Black23 , a prescindere dalle dimensioni e dalla localiz- zazione specifica della lesione iniziale. Una qualsivoglia lesione di classe I, ad esempio, prevede sempre e comunque il coinvolgi- mento di tutti i solchi occlusali. Ciò è necessario perché il mate- riale da otturazione è “incastrato” in cavità: la cavità deve rispet- tare il requisito della ritentività, per non permettere al materiale di fuoriuscire; il requisito della prevenzione, in quanto esiste sempre un gap dente-restauro e i margini devono essere posi- zionati lontano dai solchi occlusali in cui più facilmente ristagna placca; il requisito della detergibilità, per cui i margini vanno col- locati in zone facilmente accessibili alle manovre di igiene orale. Le cavità adesive, al contrario, sono la semplice risultante fina- le della pulizia della carie e della eventuale rimozione del prece- dente restauro2 . Sono cavità minimali, maggiormente rispettose dell’anatomia residua dell’elemento dentario, in quanto si utiliz- za un materiale che non necessita di ritenzioni. Al contrario, per le ragioni che approfondiremo parlando del Cavity Factor (CF), la migliore cavità adesiva è la meno ritentiva e la meno complessa possibile. I margini di cavità possono essere posizionati anche in prossimità di solchi o negli spazi interprossimali, perché ide- almente non esiste soluzione di continuità tra restauro e dente. Nei settori posteriori una classificazione delle cavità adesive esat- tamente analoga a quella proposta da Black, dunque, sembra ave- re oggi poco senso. È forse più opportuno parlare esclusivamente di cavità occlusali interprossimali, vestibolari e linguo-palatali. La cavità per un restauro diretto adesivo posteriore prevede: • nessun disegno predefinito; • nessuna ritenzione o sottosquadro; • angoli interni arrotondati; • pareti e margini perfettamente rifiniti; • angoli cavo-superficiali esterni netti, senza biselli24 , intorno ai 90°. La preparazione ha inizio con l’accesso alla lesione cariosa, la quale tipicamente si fa ampia strada a livello della dentina, men- tre intacca lo smalto solo in maniera puntiforme “sottominan- dolo”. In questa fase si consiglia l’uso di una punta diamantata cilindrica di piccole dimensioni, a granulometria media, tenuta perpendicolare al tavolato occlusale. Il manipolo moltiplicatore di giri (anello rosso) va preferito alla turbina per il maggiore con- trollo. È consigliato l’uso di sistemi ingrandenti. La successiva rimozione del tessuto cariato si esegue con una fre- sa tonda multilama (a “rosetta”), montata su micromotore a bas- sa velocità (anello blu). Escavatori manuali sono consigliati in prossimità della polpa. È necessario asportare tutta la dentina rammollita fino a rivelare tessuto duro, il più delle volte dentina terziaria di reazione. Lo step finale della preparazione prevede la rifinitura delle pare- ti e dei margini di cavità al fine di regolarizzare le superfici den- tinali ed eliminare i prismi di smalto non adeguatamente soste- nuti: ciò consente, tra l’altro, di ridurre il rischio di chipping e micro-crack marginali. Si esegue con frese diamantare a granu- lometria ridotta (40-20 µm) e con punte in silicone diamantate. I margini cavitari interprossimali sono rifiniti con una strip abra- siva (Figura 1). 4. Procedure adesive Le origini dell’adesione in odontoiatria risalgono al lontano 1955, anno in cui Buonocore ipotizzò che il pretrattamento acido dello smalto fosse in grado di incrementare la forza di adesione di ma- teriali da restauro acrilici25 . Lo stesso Buonocore, un anno dopo, dimostrò come l’uso di una resina contenente acido glicerofosfo- rico dimetacrilato fosse in grado di legarsi alla dentina morden- zata26 grazie all’interazione della molecola resinosa bifunzionale con gli ioni calcio dell’idrossiapatite. Si trattava comunque di un legame molto debole, e la semplice immersione in acqua ne ridu- ceva considerevolmente l’entità.
  • 5. 23 ildentistamoderno gennaio 2016 Qualche anno dopo, nel 1965, Bowen provò a ottimizzare i risul- tati mediante l’impiego di una nuova molecola bifunzionale, la N-fenilglicina-glicidilmetacrilato, o NPG-GMA27 . Siamo in quella che viene comunemente indicata coma la prima generazione di adesivi dentinali. Purtroppo anche i risultati ottenuti da Bowen, 1-3 MPa di bond strength sulla dentina, si mostrarono presto cli- nicamente inefficaci. Da allora le sistematiche adesive hanno vissuto una continua tra- sformazione nel corso dei decenni, seguendo il tentativo da par- te di ricercatori e di case produttrici di fornire approcci alterna- tivi riguardo a: • mordenzatura dello smalto; • mordenzatura e/o condizionamento della dentina; • trattamento dello smear layer; • ottimizzazione delle procedure e facilità di utilizzo. Tralasciando i dettagli circa la pur storicamente rilevante evo- luzione degli adesivi dalla I alla VI generazione28 , appare mol- to più appropriato e clinicamente utile ricordare in questa sede la moderna classificazione delle sistematiche adesive sulla ba- se degli step clinici. Gli adesivi smalto-dentinali attualmente presenti sul mercato possono essere suddivisi in tre grosse famiglie29 : • adesivi “etch and rinse”, spesso indicati anche con il termine di “total etch”, i quali prevedono la mordenzatura preventiva di smalto e dentina con un acido forte che deve successivamente es- sere lavato via; • adesivi “etch and dry”, anche detti “self etch”, che non prevedo- no l’utilizzo di un mordenzante; • “adesivi universali” che possono essere utilizzati indifferente- mente con o senza l’impiego di mordenzante. 4a. Adesivi etch and rinse Gli adesivi etch and rinse richiedono un pretrattamento del sub- strato dentale utilizzando un acido forte (pH≈0,4), in genere aci- do ortofosforico a concentrazioni dal 35 al 38%. Questa fase, che dura dai 15 ai 20 secondi, prende il nome di mor- denzatura (etching) e viene eseguita sullo smalto e sulla dentina contemporaneamente, il che giustifica la definizione alternativa di total etching. L’agente acido mordenzante deve essere succes- sivamente risciacquato (fase di rinsing) per almeno 15-20 secon- di prima di procedere con i successivi step30 . La mordenzatura dei tessuti dentali ha una triplice funzione. In prima istanza, essa permette di rimuovere lo smear layer (co- stituito dai residui organici che permangono adesi alle superfi- ci dentali in seguito alla preparazione cavitaria), liberando così la superficie di smalto e dentina e aprendo i tubuli dentinali, di modo che questi possano essere raggiunti e impregnati dall’ade- sivo (resin tugs) (Figura 2)29 . In secondo luogo, la mordenzatura demineralizza la componente minerale superficiale di smalto e dentina formando innumerevoli microporosità che, una volta ri- empite di adesivo, creeranno una ritenzione meccanica29 . Il terzo effetto è apprezzabile solo a livello della dentina ed è rappresen- tato dalla parziale liberazione delle fibre collagene dalla compo- nente inorganica che normalmente le circonda, rendendole così in grado si partecipare alla formazione dello “strato ibrido”31 . Molti degli adesivi etch and rinse attualmente in commercio pos- sono essere storicamente collocati all’interno della cosiddetta IV 1. Visione occlusale di una preparazione per cavità adesiva interprossimale dopo aver completato la fase di rifinitura dei margini 2. Microfotografia al microscopio elettronico a scansione che mostra un dettaglio dell’adesione promossa a livello dentinale da un sistema adesivo etch and rinse. Si rileva la presenza di numerosi resin tugs che si approfondiscono all’interno dei tubuli dentinali per qualche decina di micron (ingrandimento originale 2000x) 1 2
  • 6. 24 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 generazione di adesivi smalto-dentinali, generazione che ebbe esordio a partire dai primi anni 90 sulla base della convinzione che la completa rimozione dello smear layer (piuttosto che una preservazione o una parziale dissoluzione dello stesso, così come si usava fare nelle precedenti II e III generazione) fosse una pro- cedura sicura nonché un prerequisito necessario per incrementa- re notevolmente i valori di bond strenght31,32 . Gli adesivi etch and rinse della IV generazione (three-steps etch and rinse) sono dei sistemi a più componenti (multi-bottle sy- stems) e prevedono il ricorso a tre step clinici separati. Il primo step coincide con la mordenzatura acida secondo la tec- nica total etch appena descritta, seguita da un abbondante ri- sciacquo e successiva asciugatura del substrato, il quale deve rimanere sufficientemente umido da evitare il collasso delle fi- brille collagene denudate (wet bonding technique)28 . Nel secondo step, un monomero idrofilico (primer) viene appli- cato sulla dentina per infiltrare le fibrille collagene esposte, dan- do origine al cosiddetto strato ibrido. Il terzo step prevede l’applicazione della resina fluida non cari- cata (bonding). Seguendo una crescente richiesta di semplificazione da parte dei clinici, molti dei quali si dimostrarono presto non in grado di ese- guire i numerosi step con il rigore necessario, sono stati nel cor- so degli anni introdotti dei sistemi etch and rinse semplificati (one-bottle systems) in cui il primer e il bonding vengono combi- nati in un unico prodotto (V generazione di adesivi smalto-den- tinali). La soluzione combinata di primer/bonding va applicata simultaneamente sulla dentina e sullo smalto, i quali devono es- sere comunque dapprima mordenzati con acido forte e succes- sivamente risciacquati e asciugati evitandone la disidratazione (wet bonding). I sistemi etch and rinse di tipo one-bottle (detti anche two-steps etch and rinse), per quanto semplificati rispet- to ai multi-bottles, hanno dato prova di buoni valori di adesione immediata sia alla dentina che allo smalto33,34 . La stabilità nel tempo del legame adesivo, d’altro canto, rappre- senta uno dei problemi più dibattuti nella letteratura recente35 . Dalla ricerca sappiamo che lo strato ibrido tende a degradarsi in un tempo compreso tra i 6 mesi e i 3-5 anni, a causa della dege- nerazione delle fibre collagene e della conseguente permeabiliz- zazione dell’interfaccia30 . Gli enzimi metalloproteinasi (MMP), responsabili di questo processo, sembra possano essere inibiti dal cloruro di benzalconio (BAC)36 o da soluzioni a base di clo- rexidina digluconato30 . Concentrazioni di cloruro di benzalconio all’1,0% in peso sono state incluse per anni nella formulazione di alcuni mordenzanti commerciali; il dubbio che il prodotto ve- nisse lavato via in fase di risciacquo ha più recentemente spin- to verso il tentativo di incorporarlo all’interno del primer/bon- ding36 . Anche la clorexidina può essere inclusa nel mordenzante o, alternativamente, può essere applicata in uno step separato la- vando la cavità dopo la mordenzatura mediante una soluzione al 2% veicolata con una siringa monouso37,38 . Un secondo allarmante problema per il clinico, in parte legato al- la spiccata acidità del mordenzante, è l’ipersensibilità postope- ratoria che può alle volte manifestarsi dopo l’uso di adesivi etch and rinse. Può essere spiegata sulla base di diversi meccanismi: una ipe- remia pulpare secondaria all’insulto diretto dell’acido ortofosfo- rico sulla polpa, fattispecie concretizzabile solo nel caso in cui lo strato di dentina residua al di sopra della camera sia inferio- re a 0,5 mm30,39 ; una incompleta diffusione di primer e bonding nell’ambito dello spessore di fibre collagene esposte con possibi- le permanenza di una zona di dentina demineralizzata ma non adeguatamente infiltrata (cosiddetta “demineralized dentin zo- ne” dello strato ibrido), circostanza questa che è agevolata da tempi di mordenzatura prolungati (over etching)40 . Generalmente la sensibilità recede in qualche giorno o settima- na, ma in alcuni casi può perdurare e risultare molto fastidiosa. Secondo alcuni autori, al fine di ridurre la percentuale di casi di ipersensibilità postoperatoria e di incrementare la forza di ade- sione finale, è importante usare una tecnica cosiddetta “multi- strato”41 , cioè non accontentarsi di applicare un solo strato di ade- sivo in cavità, ma posizionarne un secondo al di sopra del primo già polimerizzato. In questo modo si incrementa lo spessore del- lo strato adesivo e si riduce la possibilità di lasciare porzioni di smalto o di dentina non adeguatamente infiltrate. Studi in vitro condotti da D’Arcangelo e collaboratori hanno confermato come una tecnica multistrato sia in grado di incrementare significati- vamente la bond strenght sulla dentina di diverse sistematiche etch and rinse di tipo one-bottle42 . 4b. Adesivi etch and dry (o self etch) A differenza degli adesivi etch and rinse, le sistematiche etch and dry non hanno bisogno di uno step preliminare di mordenzatu- ra con acido forte in quanto includono monomeri acidi, chimica- mente in grado di dissolvere in una certa misura la componente inorganica e al contempo infiltrarla43 . Un simile approccio, ridu- cendo il numero di step, consente una certa semplificazione della tecnica che risulta di conseguenza meno operatore-dipendente44 . Evitare di ricorrere a un acido forte, inoltre, elimina ogni rischio di over etching, in quanto la profondità di demineralizzazione
  • 7. 25 ildentistamoderno gennaio 2016 coincide esattamente con la profondità di infiltrazione del sub- strato. I tubuli dentinali permangono obliterati dallo smear layer lasciato al loro interno (smear plugs) e tutto ciò consente un mi- gliore controllo della sensibilità postoperatoria. Purtuttavia i dati in letteratura mostrano ancora oggi qualche criticità riguardo alla forza e alla stabilità nel tempo del lega- me ottenuto a livello dello smalto45 e, limitatamente ai cosiddetti strong self etch, a livello della dentina46,47 . Sulla base dell’intensità dell’effetto automordenzante, e dunque del pH e della profondità di interazione (demineralizzazione + infiltrazione) con la dentina, gli adesivi etch and dry sono sta- ti classificati in “forti” (strong; pH <1 e profondità di intera- zione di diversi µm), “mediamente forti” (intermedialy strong; pH ≈ 1,5 e profondità di interazione di 1-2 µm), “deboli” (mild; pH ≈ 2 e profondità di interazione di 1 µm) e “ultra-deboli” (ul- tra-mild; pH ≥2,5 e profondità di interazione di poche centina- ia di nanometri)43,48 . Solo con gli “strong” self etch si assiste a una vera e propria formazione di resin tugs all’interno dei tubuli dentinali, molto simili a quelli che si osservano al microscopio elettronico con le sistematiche etch and rinse. I “mild” e gli “ultra-mild” so- no al massimo in grado di demineralizzare in parte gli smear plugs dentro i tubuli e conseguentemente infiltrarli (Figura 3). D’altra parte, maggiore è l’intensità dell’automordenzatura, maggiore è la quantità di fosfati di calcio che sono dissolti e che, non essendo lavati via, restano inglobati a livello dell’in- terfaccia adesiva49 . Tali fosfati di calcio, incapsulati nella resi- na e nell’ambito di una matrice collagenica parzialmente espo- sta, si dimostrano abbastanza solubili e ciò potrebbe spiegare le performance scadenti in termini di adesione degli strong self etch, soprattutto a livello della dentina50 . Essi si comportano generalmente meglio solo a livello dello smalto, dove sembra avere un effetto determinante la maggiore entità dell’automor- denzatura che consente una più importante dissoluzione del- lo smear layer51 . I mild self etch, al contrario, sembrano avere un effetto ragio- nevolmente efficace sullo smear layer, pur mantenendo una buona quantità di cristalli di idrossiapatite intatti e in grado di proteggere le fibre collagene. Fra questi ne sono stati propo- sti alcuni, come quelli basati sul 10-MDP, che hanno dato pro- va di instaurare un significativo legame ionico con l’idrossia- patite residua52,53 . Analogamente agli etch and rinse, anche gli adesivi etch and dry possono essere suddivisi in due sottofamiglie. Gli adesivi self etch a due passaggi (two-steps etch and dry) prevedono l’utilizzo di una resina fluida adesiva più idrofobi- ca che segue l’applicazione del primer automordenzante idro- filico. Un simile approccio rende l’interfaccia più idrofobica, il che garantisce un miglior sigillo in un ambiente umido qua- le quello orale, ottimizzando la predicibilità a lungo termine del legame29 . Le sistematiche self etch a un unico passaggio (one-step etch and dry, detti anche all-in-one) sono indubbiamente le più sem- plici da usare. Purtroppo questa semplicità di utilizzo si paga nei termini di una ridotta efficacia che è stata ampiamente do- cumentata in vari test di laboratorio e che è stata ascritta, tra le altre cose, al ridotto grado di conversione e alla maggiore per- meabilità dell’interfaccia ottenibile. Mescolare tutti i componenti in un unico prodotto, inoltre, ten- de a restringere considerevolmente i tempi di conservazione (ad esempio, data di scadenza molto ravvicinata)29 . 4c. Adesivi universali La ricerca di un’ulteriore semplificazione ha recentemente por- tato all’introduzione dei cosiddetti adesivi universali, o univer- sal adhesive systems. Per questa categoria di prodotti, purtrop- po, al momento non sembra ancora esistere una definizione ufficiale. Sulla base delle definizioni utilizzate da produttori e opinion-le- ader, un adesivo può essere descritto universale se: si presen- ta sotto forma di prodotto single bottle; non richiede alcun tipo 3 3. Microfotografia al microscopio elettronico a scansione in cui sono visibili le interfacce dentina-restauro e smalto-restauro a seguito dell’utilizzo di un sistema adesivo self etch. Nonostante l’intima adesione e l’assenza di gap, non si rileva la presenza di resin tugs a livello dentinale (ingrandimento originale 1000x)
  • 8. 26 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 di miscelazione; può essere utilizzato indifferentemente con tecnica etch and rinse, etch and dry o selective etching54,55 . Le case produttrici affermano che gli adesivi universali possono essere usati senza alcun problema nelle tecniche dirette e in- dirette e sono compatibili con cementi autopolimerizzanti, fo- topolimerizzanti e duali56 . Viene, infine, sottolineato come gli adesivi universali contengano monomeri funzionali in grado di promuovere l’adesione non solo nei confronti di smalto e dentina, ma anche di una serie di substrati, quali leghe vili e nobili, zirconia e varie ceramiche silica-based. Il loro utilizzo permetterebbe di bypassare metodiche di pretrattamento dedi- cate al restauro indiretto, come l’applicazione del silano e/o di vari prodotti presenti sul mercato con il nome di metal/zirco- nia primer56 . Ovviamente questa definizione empirica e non ufficiale può generare più di qualche ambiguità e ciò comporta delle difficol- tà nell’analisi corretta dei dati presenti in letteratura. La mordenzatura dello smalto prima di usare l’adesivo univer- sale sembra incrementare significativamente i valori di bond strength, ma senza superare quanto si riesce a ottenere con una applicazione attiva57 , ossia non lasciando il prodotto indi- sturbato per 15-20 secondi dopo l’applicazione sul substrato, ma agitandolo vigorosamente e spennellandolo sotto una pres- sione costante del microbrush sulla superficie di circa 35 g58 . Per quanto riguarda la dentina, osservazioni in vitro hanno mostrato un’efficacia di adesione ridotta rispetto a sistemati- che etch and rinse e self etch; la mordenzatura preventiva non è sembrata in grado di migliorare le performance, se non per qualche specifico brand59 . Per quanto gli adesivi universali rappresentino una classe di materiali innovativi e promettenti, mancano a oggi trial spe- rimentali adeguati e la giusta esperienza clinica, unici test in grado di saggiarne la predicibilità al confronto con sistematiche più tradizionali56 . 4d. La corretta scelta del sistema adesivo Da quanto detto appare evidente che l’estrema semplificazione delle procedure adesive, benché offra dei vantaggi nel control- lo della sensibilità postoperatoria, non sia ancora in grado di ga- rantire migliore qualità e stabilità del legame rispetto a sistema- tiche leggermente più complesse, posto che esse siano utilizzate con estremo rigore. Dal nostro punto di vista, basato sull’analisi della letteratura e sull’esperienza clinica, un approccio clinicamente ragionevole deve prevedere in ogni caso il ricorso a sistematiche etch and rinse, limitando l’uso degli etch and dry esclusivamente alle ca- vità con un’ampia esposizione di dentina, nelle quali il rischio di fenomeni di sensibilità possa apparire elevato. Si tratta per lo più di cavità ampie e profonde in denti posteriori vitali. Nelle piccole e medie cavità posteriori e, considerando la morfologia, in quasi tutte le cavità anteriori di classe III e IV, l’esposizione di dentina è sempre molto ridotta. Laddove si optasse per un approccio etch and dry, il ricorso ai mild self etch sembra da preferirsi. In questo caso, al fine di migliorare l’adesione a livello dello smalto, che sembra es- sere sufficientemente condizionato solo dagli strong self etch, consigliamo di eseguirne una mordenzatura selettiva (selective etching) per 15-20 secondi con acido ortofosforico60 , in accordo con la più recente letteratura. 5. Il cavity factor Il cavity factor (CF), o fattore cavitario, è un parametro codifica- to da Davidson e collaboratori nel 198461 : esso mette in relazione la forma di cavità con l’entità degli stress legati alla contrazione volumetrica del composito (polymerization stresses). Secondo Davidson il CF rappresenta il rapporto tra l’estensione della superficie di composito a contatto e l’estensione della su- perficie di composito non a contatto (superficie libera) con le pa- reti di cavità: superficie a contatto CF = ------------------------------ superficie libera Maggiore è l’estensione della superficie libera (CF basso), mi- nore è l’entità di contrazione che influenza il composito a con- tatto con i tessuti dentali, per cui un distacco del materiale dalle pareti risulta meno probabile. In cavità complesse, con superficie libera ridotta (CF alto), tutto lo stress da polimeriz- zazione rischia di scaricarsi sulla superficie a contatto, deter- minando fallimenti adesivi, ma anche possibili fratture coesive nello spessore del composito o addirittura microfratture a livel- lo dello smalto o di pareti cavitarie sottili62 . Sotto questo aspetto, cavità completamente piatte (flat cavi- ties), superfici piane su cui poggiare o stratificare il restauro, risultano idealmente le più indicate nei restauri adesivi. È evi- dente che nella pratica clinica, soprattutto nei settori latero-po- steriori, non è così frequente disegnare cavità piatte, per cui il CF tende in genere a restare abbastanza alto (maggiore nelle cavità occlusali, tende via via a ridursi nelle interprossimali, nelle MOD e nelle ricoperture cuspidali).
  • 9. 27 ildentistamoderno gennaio 2016 Familiarizzare con il concetto di CF aiuta a comprendere alcu- ni accorgimenti clinici tipici della restaurativa adesiva. La necessità di ridurre l’estensione della superficie adesa spie- ga chiaramente quanto accennato in precedenza circa l’oppor- tunità di mantenere un disegno cavitario semplice e lineare, evitando le ritenzioni e i sottosquadri cui ci aveva abituato l’o- dontoiatria ritentiva. Parlando di stratificazione, sottolineeremo come una tecnica incrementale per masse permetta di controllare in una certa misura gli effetti negativi del CF e della contrazione da poli- merizzazione63 . 6. Utilizzo delle matrici nei restauri interprossimali Tra i momenti più delicati nel restauro di cavità mesio-occlusali, occluso-distali o mesio-occluso-distali (MOD) figura il ripristino morfo-funzionale della parete interprossimale. Rappresenta il primo step da eseguire nell’iter ricostruttivo, e permette di trasformare la cavità interprossimale più o meno complessa in una semplice cavità occlusale. In questa fase risulta di fondamentale importanza per il clinico gestire in maniera rigorosamente predicibile i seguenti tre aspetti: • restituire all’elemento dentario un corretto profilo di emergenza; • garantire un punto di contatto efficace con il dente contiguo; • evitare pericolosi sovra/sotto-contorni a livello del margine in- terprossimale. Il mancato rispetto di uno solo dei suddetti parametri può pre- giudicare seriamente la qualità finale del restauro. Tra le possibi- li conseguenze di una parete interprossimale inadeguata si regi- strano: ristagno di cibo con conseguente disagio per il paziente (punto di contatto insufficiente); interferenze più o meno gravi con la salute dei tessuti parodontali; carie recidivanti; compro- missione di elementi dentali contigui sani64-66 . Il restauro diretto dei denti posteriori richiede il ricorso esclu- sivo a matrici di tipo metallico. Esistono evidenze in letteratu- ra che suggeriscono come la miglior gestione delle dinamiche di polimerizzazione idealmente legata all’uso di matrici trasparen- ti in poliestere e cunei in plastica riflettenti non si concretizzi in un reale vantaggio clinico al confronto con quanto sia ottenibi- le nelle stesse condizioni ricorrendo a matrici metalliche e cunei tradizionali in legno67 . Si è registrata, inoltre, una maggiore in- cidenza di sovracontorni in seguito all’uso di matrici trasparenti in combinazione con cunei riflettenti68 . I cunei in plastica riflet- tenti sono molto rigidi e mancano della capacità, tipica del cuneo di legno, di adattarsi in una certa misura allo specifico contorno anatomico naturale del dente. Come conseguenza, essi finisco- no col prendere contatto con la matrice in un solo punto e con- sentono la formazione di ampi gap tra matrice e dente in zona cervicale. Tutto ciò facilita la formazione di sovracontorni a li- vello della critica zona interprossimale, laddove essi risultano difficilmente rilevabili e pressoché impossibili da correggere69 . Alla luce di questi dati, rinunciare alla maggiore maneggevo- lezza e semplicità di utilizzo delle matrici metalliche è un at- teggiamento che non trova secondo gli autori alcuna giustifica- zione ragionevole. Eccezion fatta per alcune specifiche situazioni cliniche, la ne- cessaria predicibilità di risultato non è in generale assicura- ta quando il composito viene adoperato in associazione con le classiche matrici circolari o automatrici (Figura 4). Queste ul- time rappresentano la soluzione più semplice e pratica per un materiale facilmente compattabile come l’amalgama. Una vol- ta serrate avvitandole attorno al dente da restaurare e fissate con un cuneo, infatti, esse finiscono per allontanarsi inevita- bilmente dal dente contiguo. Solo la successiva brunitura e il riempimento della cavità con un materiale che offra in fase di lavorazione una certa resistenza a forze di compattazione mo- deratamente elevate (caratteristica tipica dell’amalgama ma as- sente nei compositi) permettono di espandere nuovamente il profilo interprossimale della matrice verso il dente contiguo e realizzare di conseguenza il punto di contatto desiderato. L’utilizzo del composito, al contrario, obbliga il clinico ad av- 4. I sistemi di matrici circumferenziali, come le automatrici (a), consentono di ottenere un buon punto di contatto interprossimale solo se utilizzate in combinazione con materiali da restauro che possono essere compattati, come l’amalgama. Vengono posizionate attorno al dente e successivamente strette con un apposito avvitamatrice (b), il che garantisce un buon adattamento marginale nella maggior parte delle situazioni 4
  • 10. 28 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 valersi di sistemi specificamente ideati per i materiali e le tec- niche adesive: le matrici sezionali (Figura 5)70-72 . In questi si- stemi, la matrice in sé è costituita da un segmento laminare di metallo, grosso modo reniforme e comunque anatomicamente preformato per replicare le concavità e le convessità tipiche del- la faccia interprossimale. La matrice sezionale viene utilizzata in associazione con un apposito retainer divaricatore, avente la forma di un anellino aperto a una estremità, dove termina con due peduncoli. Selezionata la matrice della dimensione adatta al dente da restaurare, essa viene dapprima collocata nello spa- zio interdentale, con la superficie concava rivolta verso la cavità preparata, e successivamente stabilizzata con un cuneo inter- prossimale che ne migliori l’adattamento a livello cervicale e che determini una certa azione divaricante. Con l’utilizzo di una pin- za specifica, viene a questo punto posizionato l’anellino, dispo- nendone i peduncoli tra la matrice e il dente contiguo: in questo modo esso contribuisce all’azione divaricante già in parte esple- tata dal cuneo e permette l’adattamento della matrice ai margini cavitari interprossimali assiali. I sistemi di matrici sezionali so- no gli unici in grado di garantire in maniera predicibile dei pun- ti di contatto adeguatamente serrati e una bombatura interpros- simale corretta, anche utilizzando un materiale scarsamente compattabile, quale è il composito nella sua fase gel. Non va peraltro trascurato come le matrici di tipo sezionale, per quanto necessarie con il composito, comportino intrinse- camente un maggiore rischio di sovracontorno (Figura 6). Ciò è stato messo in luce da osservazioni in vitro69 , ed è ovvia- mente legato al fatto che le matrici circumferenziali o automa- trici sono fermamente strette e avvitate attorno al dente, il che offre un più facile e stabile adattamento a livello del margine cervicale rispetto a quanto non sia ottenibile con le matrici se- zionali. Il livello di sovracontorno che si rischia di creare sem- bra dipendere da diversi fattori: forma e rigidità della matrice, tipologia e forma dell’anellino, adeguatezza del cuneo, mano- vre e strumenti di brunitura69 . È quindi molto importante ac- quisire la giusta familiarità con le diverse forme di matrici se- zionali, i vari retainer e selezionare il cuneo adatto. L’obiettivo del clinico sarà quello di garantire la massima stabilità del re- tainer, la massima stabilità della matrice e il miglior adatta- mento possibile della matrice alle pareti cavitarie. 7. Tecnica di stratificazione per masse e polimerizzazione del restauro L’integrazione estetica e funzionale di un restauro diretto richie- de, da parte del clinico, buona conoscenza dei vari dettagli ana- tomici e giusta dimestichezza con una tecnica operativa utile a replicarli in maniera predicibile. Come già accennato, una volta completate le procedure adesive, in tutte le cavità interprossimali lo step successivo è sempre rap- presentato dalla stratificazione sulla matrice e successiva poli- merizzazione di un sottile strato di composito (una massa smal- to dal valore adeguato), al fine di ripristinare da subito le pareti mesiale e/o distale (Figura 7). Questa strategia offre un dupli- ce vantaggio. In primo luogo, lavorando una massa di composi- to avente una ridotta superficie a contatto con la cavità rispetto alla superficie libera, si riduce sensibilmente l’influenza del cavi- ty factor (e dunque l’influenza dello stress da polimerizzazione) sull’efficacia dell’adesione (e dunque sul sigillo marginale) a li- vello della delicata zona cervicale, in cui un eventuale gap mar- ginale da distacco del composito per eccessiva contrazione po- trebbe risultare difficilmente rilevabile63 . Il secondo vantaggio è 5. Le resine composite, scarsamente compattabili in cavità, richiedono dei sistemi di matrici sezionali per garantire un punto di contatto efficace. La matrice, anatomicamente preformata, viene posizionata nello spazio interdentale e stabilizzata con il cuneo. I peduncoli dell’anellino ne migliorano l’adattamento ai margini cavitari e incrementano l’azione divaricante del cuneo stesso 6. Microfotografia al microscopio elettronico a scansione in cui è apprezzabile un sovracontorno di circa 100 µm a livello del margine cervicale, dovuto a un non perfetto adattamento della matrice (ingrandimento originale 95x) 5 6
  • 11. 29 ildentistamoderno gennaio 2016 di tipo strettamente pratico: ricostruire fin dall’inizio la parete interprossimale consente di ricondurre tutte le cavità complesse al modello semplificato della cavità occlusale, standardizzando quindi i successivi step della stratificazione secondo una proce- dura che diventa per il clinico estremamente semplice nonché fa- cilmente ripetibile (ci riferiamo alla cavità occlusale poiché, co- me ci sembra opportuno qui ricordare, si tende generalmente a vedere nella mancanza di una cuspide l’indicazione, per quanto non assoluta, alla scelta di una tecnica indiretta). Il riempimento della cavità occlusale (sia essa reale oppure una cavità interprossimale ridotta a cavità occlusale) prevede l’appo- sizione del composito secondo uno schema ben preciso, la tecni- ca di “stratificazione per masse”, che permette al clinico di rag- giungere i seguenti obiettivi: • continuare a mantenere sotto controllo gli stress da polimeriz- zazione e il cavity factor; • disegnare una corretta anatomia; • ottenere una buona integrazione cromatica. Il primo punto è spiegato dal fatto che sulla base della tecnica di stratificazione per masse si posizionano di volta in volta in cavi- tà delle piccole quantità di composito (spessori mai superiori a 2 mm), seguendo dei piani obliqui che tendono ad anticipare la ge- ometria dei versanti delle cuspidi e cercando, in ogni apposizio- ne, di limitare il contatto del materiale esclusivamente con il fon- do e con una sola parete cavitaria. La stratificazione secondo dei piani obliqui riduce al massimo a ogni polimerizzazione il rap- porto tra la superficie di composito a contatto con la cavità e la superficie libera, limitando per quanto possibile l’effetto del ca- vity factor73 . Seguire fin dagli strati più profondi della stratificazione dei piani obliqui corrispondenti alla geometria dei versanti cuspidali con- sente, inoltre, di controllare passo dopo passo l’anatomia del re- stauro, modellandolo finemente per apposizione e limitando al minimo le più grossolane correzioni della modellazione esegui- te per sottrazione con strumenti rotanti. L’anatomia dei solchi e del tavolato occlusale prende vita di conseguenza quasi automa- ticamente. Applicare più masse di composito sovrapposte, infine, permette al clinico di modulare in maniera raffinata numerosi aspetti del co- lore, come i vari livelli di cromaticità o la presenza di traslucen- ze, alle diverse profondità del restauro, con l’obiettivo di simulare il più possibile la complessa geografia cromatica del dente natura- le, che in nessun caso si presenta omogeneamente monocromati- ca nelle tre dimensioni. Se si escludono i restauri preventivi assolutamente superficiali74,75 , che possono essere gestiti anche con una singola apposizione di materiale, la maggior parte delle cavità poco o mediamente pro- fonde richiedono di base l’utilizzo di due diversi strati di compo- sito per ogni versante cuspidale: una massa-dentina a minore tra- slucenza e sufficientemente cromatica sul fondo (Figura 8); una massa-smalto a più alta traslucenza e dal valore corrispondente al dente da restaurare in superficie. Questa tecnica base è già di per sé in grado di fornire un risultato accettabile nella maggior parte dei casi, ma può essere ottimizzata aggiungendo dettagli croma- tici laddove si voglia incrementare la performance estetica della prestazione. Il disegno anatomico può essere messo in evidenza aggiungendo intensivi bianchi al di sotto della massa-smalto su- perficiale a livello degli apici delle cuspidi o delle creste. La pro- fondità dei solchi può essere all’occorrenza caratterizzata (Figura 9) con l‘utilizzo di supercolori marroni (brown) applicati accura- tamente e senza eccessi con uno strumento avente punta estre- mamente sottile (ad esempio, uno strumento endodontico). Le cavità estese e profonde, al contrario, richiedono almeno due strati di massa dentinale per ogni versante cuspidale. Si proce- derà posizionando le dentine più cromatiche sul fondo, “desa- turando” poi il restauro con delle dentine meno cromatiche ap- 8. La tecnica di stratificazione per masse prevede l’apposizione di strati sottili di composito (inferiori ai 2 mm) collocati secondo dei piani obliqui, seguendo l’inclinazione dei versanti delle cuspidi, fin dagli strati dentinali più profondi. In questo modo l’anatomia occlusale viene anticipata già dalle prime fasi di stratificazione e prende vita quasi automaticamente 7. Il primo step nell’iter ricostruttivo di un restauro interprossimale è sempre rappresentato dal ripristino della parete mesiale (o distale) 7 8
  • 12. 30 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 plicate su piani più superficiali. La stratificazione del tavolato occlusale viene completata in maniera non dissimile da quan- to descritto per le cavità poco o mediamente profonde, con uno smalto traslucente ed eventuali intensivi bianchi o caratterizza- zioni marroni nei solchi. Le proprietà meccaniche finali del restauro, nonché la possibili- tà di preservare a lungo termine l’estetica e la brillantezza di su- perficie, sono strettamente legate al raggiungimento del più alto grado di conversione possibile. Delle linee guida pratiche, basa- te su un consenso di esperti, sono state recentemente pubblica- te a questo proposito da Roulet e Price a seguito del Simposio sul- la Fotopolimerizzazione in Odontoiatria, tenutosi nel 2014 presso la Dalhousie University, in Canada76 . Gli autori ricordano come, per ottenere un’adeguata polimerizzazione, un quantitativo suf- ficiente di energia deve essere fornito a una adeguata lunghez- za d’onda [energia (joule/cm2 ) = output (W/cm2 ) x tempo di esposizione (secondi)], il che comporta che un minimo di tempo di esposizione è necessario per ogni materiale. È buona norma prendere in considerazione il tempo di esposizione e lo spesso- re degli incrementi consigliati dalla casa produttrice del compo- sito, ma è necessario fare attenzione nel caso in cui si utilizzino lampade di un diverso produttore, che potrebbero essere carat- terizzate da una potenza di output inferiore o da uno spettro di emissione sensibilmente diverso. In questi casi, così come quan- do siamo costretti a polimerizzare da distanze aumentate (box cervicali profondi) o abbiamo a che fare con masse di composi- to più scure e opache (dentine ipercromatiche), si raccomanda di incrementare i tempi suggeriti. In linea di massima, un tempo di esposizione di 40 secondi alla distanza minore possibile (co- munque inferiore ai 3 mm), mantenendo il puntale della lampada perpendicolare alla superficie del restauro, è un protocollo con- siderato da alcuni autori sicuro nella maggior parte delle situa- zioni77 . Di non secondaria importanza appare il costante monito- raggio dell’efficienza della lampada in uso, utilizzando sempre il medesimo radiometro, in modo da registrare inequivocabilmen- te eventuali cali di prestazione senza i possibili errori legati a una diversa taratura dello strumento di misurazione76 . È buona norma, inoltre, eseguire un ciclo finale di polimerizzazio- ne dopo aver ricoperto il restauro con un gel di glicerina al fine di consentire anche alle molecole di monomero presenti in superfi- cie di partecipare alla reazione di conversione, processo normal- mente inibito dal contatto con l’ossigeno atmosferico78 . Questo accorgimento, migliorando le proprietà meccaniche del composi- to superficiale, facilita di molto le successive fasi di rifinitura/lu- cidatura e ne preserva più a lungo nel tempo il risultato. 8. Rifinitura, lucidatura e brillantatura del restauro Rifinitura, lucidatura e brillantatura sono gli step finali in un re- stauro diretto, ma giocano un ruolo primario nell’ottimizzazione estetica e nel mantenimento a lungo termine del risultato. Super- fici perfettamente rifinite e lucidate garantiscono un’interazione ottimale tra restauro e luce incidente, incrementando il mimeti- smo, e riducono i fenomeni di accumulo di placca e invecchia- mento precoce79,80 . L’obiettivo della rifinitura è quello di rimuovere eventuali ecces- si grossolani di materiale (composito o resina fluida) sfuggiti al controllo dell’operatore, eliminando possibili difetti a livel- lo marginale e apportando, se necessario, piccole correzioni all’anatomia. Se si dedicano sufficienti sforzi a una corretta stratificazione anatomica, nella maggior parte dei restauri po- steriori occlusali questa fase risulterà estremamente rapida, 9. La stratificazione occlusale può essere eventualmente caratterizzata applicando dei supercolori brown a livello dei solchi 10. Visione occlusale di un restauro in composito dopo aver ultimato la fase di rifinitura, con frese diamantate da 40 e 20 µm, e di pre-lucidatura con gommini al silicone 9 10
  • 13. 31 ildentistamoderno gennaio 2016 limitandosi alla semplice rifinitura della zona di confine tra dente e restauro al fine di livellare i margini occlusali. La rifinitura dei materiali compositi richiede l’uso sequenzia- le di frese diamantate in due diverse granulometrie: 40 µm per la sgrossatura iniziale e per apportare correzioni anatomiche; 15-20 µm per una più raffinata rifinitura finale81 . L’utilizzo del moltiplicatore di giri, al posto della turbina, garantisce un migliore controllo della velocità di rotazione dello strumento abrasivo in questa delicata fase e quindi una maggiore preci- sione. Alla rifinitura con frese diamantate può far seguito una pre-lucidatura, da attuarsi con gommini in silicone montati su micromotore tradizionale (Figura 10). Contrariamente alle successive fasi di lucidatura e brillanta- tura, che non possono essere eseguite prima del controllo oc- clusale, la rifinitura può avvenire con la diga di gomma anco- ra montata, sfruttandone i vantaggi in termini di visibilità e facilità di accesso. Nei restauri mesio-occlusali, occluso-distali o MOD, il control- lo e l’eventuale rifinitura della parete interprossimale andreb- bero preferibilmente eseguiti in una fase molto precoce, subi- to dopo la rimozione della matrice e prima ancora di iniziare la stratificazione della porzione interna. Una parete interpros- simale correttamente ripristinata e perfettamente rifinita ap- pare, infatti, un prerequisito indispensabile per una precisa modellazione della cresta marginale e del tavolato occlusa- le. L’adeguato posizionamento della matrice dovrebbe ridurre al minimo il lavoro di rifinitura di questa porzione del restau- ro, limitandolo alla semplice rimozione di eventuali eccessi di adesivo inavvertitamente soffiati oltre i margini assiali del- la cavità e alla livellazione dell’altezza della parete, nel caso in cui questa appaia eccessiva. L’uso di strip abrasive andreb- be assolutamente limitato al di sotto del punto di contatto per evitare di alterarlo; il loro utilizzo è comunque sconsigliabile poiché compromette l’altissimo grado di levigatura superficia- le garantito dalla polimerizzazione del composito contro ma- trice. Grossolani eccessi o difetti di materiale rilevati a livel- lo del margine cervicale sono per lo più dovuti a uno scorretto posizionamento della matrice o a una inaccurata stratifica- zione del composito su di essa e risultano difficilmente cor- 12. Microfotografie al microscopio elettronico a scansione che mostrano la superficie di un restauro in composito lucidato e brillantato. Si noti l’alto grado di levigatezza superficiale. Ingrandimento originale 800x (a) e 3000x (b). L’immagine ad alto ingrandimento (b) mostra le particelle di riempitivo tutte perfettamente inglobate allo stesso livello nell’ambito della matrice resinosa. Una simile situazione rende meno probabile il distacco di particelle di riempitivo dalla matrice, contribuendo al mantenimento a lungo termine della qualità superficiale del restauro 12 11. Microfotografie al microscopio elettronico a scansione che mostrano la superficie di un restauro in composito rifinito, ma non lucidato. Si noti la superficie estremamente irregolare e piena di depressioni sulla quale facilmente potrebbero aderire placca e batteri. Ingrandimento originale 800x (a) e 3000x (b) 11 13 13. Ottima integrazione estetica di un restauro interprossimale mesiale in composito, dopo aver eseguito le procedure di lucidatura e brillantatura
  • 14. 32 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 reggibili in fase di rifinitura. Essi richiedono preferibilmente l’abbattimento della parete appena restaurata e una nuova stra- tificazione della stessa, previo riposizionamento della matrice in maniera corretta. Rimossa la diga di gomma, si procede al controllo e alla correzio- ne di eventuali precontatti in fase di massima intercuspidazione o di interferenze lavoranti e bilancianti in lateralità. Si passa infine alle fasi di lucidatura e brillantatura del compo- sito, per le quali il ricorso a paste rispettivamente diamantate e all’ossido di alluminio sembra garantire i migliori risultati (Fi- gure 11-12)82,83 . Un protocollo di lucidatura efficace prevede l’utilizzo di paste diamantate di due granulometrie differenti (prima 3 µm e poi 1 µm) e uno spazzolino a ruota (cosiddetto “pelo di capra”) utiliz- zato a bassa velocità81 , con irrigazione intermittente. Nella brillantatura finale, la pasta all’ossido di alluminio viene invece stesa con un feltrino estremamente soffice, utilizzato dap- prima a bassa velocità e senza acqua, successivamente sotto irri- gazione (Figura 13)81 . 9. Caso clinico Il presente caso clinico mostra il ripristino di due elementi denta- ri posteriori con tecnica diretta in un paziente di 37 anni di sesso femminile. Gli elementi 25-26 mostrano due restauri in composi- to, incongrui riguardo sia alla precisione marginale che all’ana- tomia; si rileva, inoltre, una carie recidivante sul 26 (Figura 14). Somministrata l’anestesia, si è proceduto con il montaggio della 15 14 16 16. Aspetto intraoperatorio delle due cavità adesive. Dopo la rimozione dei vecchi restauri e del tessuto infiltrato, i margini cavitari esterni vengono rifiniti. Il disegno cavitario per restauri adesivi diretti non richiede ulteriori sacrifici di tessuto sano, garantendo la minima invasività possibile 15. Campo operatorio isolato per mezzo della diga di gomma diga di gomma e l’isolamento del campo operatorio, che sono fa- si integranti del protocollo (Figura 15). I due restauri incongrui sono stati rimossi. La cavità è stata pulita asportando la dentina rammollita e preservando la dentina terziaria. Questa fase è stata eseguita sia con strumenti rotanti montati su micromotore (anello blu) sia con strumenti manuali (escavatori). Nella zona cervicale dove la quota di smalto è minore bisogna fare di tutto per preser- varne la maggior quantità possibile. Il disegno della cavità finale è il risultato della rimozione delle vecchie otturazioni, della rimo- 14. Immagine preoperatoria che mostra un restauro incongruo su 25 e una carie recidivante su 26
  • 15. 33 ildentistamoderno gennaio 2016 zione della carie e della rifinitura dei margini esterni (Figura 16). A livello dei margini è stata eseguita una preparazione a 90° e non è stato disegnato nessun bisello; gli angoli cavitari interni sono stati arrotondati. Abbiamo eseguito la rifinitura di cavità. Questo è un passaggio molto importante che spesso viene trascu- rato. Prevede l’eliminazione di possibili irregolarità sulla super- ficie dentinale, nonché la rimozione dei prismi di smalto non so- stenuti. Per la rifinitura sono stati utilizzati gommini diamantati di diverse forme e strip abrasive nelle zone interprossimali. Terminata la preparazione di cavità, abbiamo eseguito le fasi adesive con metodica etch and rinse che prevede una morden- zatura simultanea di smalto e dentina con acido ortofosforico al 37% per 20 secondi (Figura 17). Il risciacquo dell’acido ortofosforico è stato eseguito in maniera accurata per lo stesso tempo (20 secondi). Prima di applicare l’adesivo, la cavità è stata irrigata con clorexi- dina digluconato al 2% per 30 secondi al fine di inibire le metal- lo-proteinasi e stabilizzare il legame adesivo nel tempo. 17 18 19 20 17. Fase di mordenzatura della tecnica etch and rinse. L’acido ortofosforico al 37% viene mantenuto in cavità per circa 20 secondi, prima di essere abbondantemente risciacquato 18. Matrice sezionale correttamente posizionata per il ripristino della parete mesiale di 26.15. Campo operatorio isolato per mezzo della diga di gomma 19. La parete mesiale di 26 viene restaurata con un unico incremento di smalto-composito posizionato a ridosso della matrice 20. Visione intraoperatoria della parete interprossimale di 26 adeguatamente restaurata
  • 16. 34 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 Dopo il risciacquo abbiamo soffiato gentilmente per asciugare, lasciando la superfice dentinale leggermente umida per evita- re il collasso delle fibre collagene che devono essere impregna- te dall’adesivo. Si è fatto quindi uso di un sistema two-step etch and rinse, che ingloba il primer e il bonding in un unico prodot- to da applicarsi mediante un pennellino su tutta la cavità per un tempo di 20 secondi. Successivamente, con un leggero soffio d’aria si promuove l’eva- porazione del solvente alcolico, migliorando allo stesso tempo la distribuzione dell’adesivo all’interno della cavità. La fase di polimerizzazione è stata eseguita per 40 secondi, cer- cando di tenere il puntale della lampada il più vicino e perpen- dicolare possibile alla cavità. È stata adottata una tecnica di “stratificazione per masse” al fine di controllare la contrazio- ne da polimerizzazione e gestire al meglio sia l’anatomia che l’aspetto cromatico. Abbiamo dapprima posizionato la matrice sezionale per la ri- costruzione della parete mesiale di 26, cercando di farla aderi- re bene ai margini cavitari interprossimali (Figura 18). Abbiamo iniziato la stratificazione con la ricostruzione della 22. Il tavolato occlusale di 26 viene completato con l’utilizzo di masse-smalto traslucenti 23. Matrice sezionale posizionata per il ripristino della parete distale di 25 24. Parete interprossimale di 25 completata 21 23 22 24 21. Apposizione della dentina su 26, secondo la tecnica di stratificazione per masse. Le dentine più cromatiche vengono posizionate sul fondo di cavità; quelle meno sature negli strati superficiali
  • 17. 35 ildentistamoderno gennaio 2016 cresta marginale in un’unica soluzione utilizzando una mas- sa smalto (Figura 19). In questo modo abbiamo trasformato la complessa cavità interprossimale in una cavità occlusale di fa- cile gestione (Figura 20). Le successive masse dentina sono state collocate a ridosso della parete interprossimale appena restaurata, cercando il maggior contatto possibile con il composito in precedenza polimerizza- to ed evitando di fare strati molto estesi sul fondo della cavità. Lo spessore di ogni massa non ha mai superato i 2 mm per faci- litare la polimerizzazione delle porzioni più profonde. Sul fondo di cavità abbiamo utilizzato masse dentina più cro- matiche; negli strati più superficiali dentine meno sature. Que- sto per migliorare l’effetto ottico e avere un effetto di profondi- tà cromatica (Figura 21). Abbiamo completato l’anatomia occlusale con una massa smal- to (Figura 22). Solo in un secondo momento ci siamo concentrati sulla parete distale di 25 (Figure 23-24), dedicando la dovuta attenzione al- la rifinitura delle due pareti e al controllo del punto di contat- to. Il restauro occlusale del premolare è stato completato rispet- 25. Apposizione delle masse dentinali su 25 26. Visione occlusale dopo aver ultimato la fase di stratificazione di entrambi i restauri 27. Aspetto intraoperatorio subito dopo la fase di rifinitura eseguita con frese diamantate con granulometria di 40 µm 28. La rifinitura viene ottimizzata con l’utilizzo di gommini diamantati 25 27 26 28
  • 18. 36 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 tandone l’anatomia (Figure 25-26) e seguendo gli stessi criteri di stratificazione descritti per il molare. Le fasi di rifinitura sono state eseguite mediante l’utilizzo di frese diamantate con granulometria di 40 µm montate su molti- plicatore di giri (anello rosso). Dopo l’impiego delle frese (Figura 27) abbiamo utilizzato dei gommini diamantati (Figura 28) montati su micromoto- re (anello blu), al fine di migliorare ulteriormente la rifinitu- ra (Figura 29). Rimossa la diga ed eseguito il check occlusale, si è proceduto con la lucidatura e la brillantatura, utilizzando paste con diver- se granulometrie e spazzolini specifici. Il primo step della lucidatura è stato eseguito con una pasta dia- mantata (granulometria 3 µm) utilizzata con uno spazzolino a ruota in pelo di capra montato su micromotore a bassa veloci- tà; lo stesso spazzolino è stato usato anche per la pasta diaman- tata successiva (granulometria 1 µm). L’ultima pasta all’ossido di alluminio ha richiesto l’uso di un feltrino morbido, anch’es- so montato su micromotore, per aumentare la brillantezza del restauro. È importante utilizzare gli spazzolini e le paste alternando l’u- so dello spray aria-acqua per evitare il surriscaldamento della porzione superficiale del composito e il conseguente deteriora- mento della matrice resinosa. L’immagine finale ben evidenzia la corretta riabilitazione mor- fo-funzionale ed estetica dei due elementi trattati (Figura 30). Riassunto Nel corso degli ultimi decenni, la con- solidata predicibilità delle sistemati- che adesive e l’introduzione di resine composite sempre più performanti hanno determinato un’importante diffusione dei restauri adesivi diretti, considerati oramai il trattamento d’elezione in una crescente varietà di situazioni cliniche. I restauri adesivi diretti posteriori offrono migliori performance estetiche e funzionali al confronto con i tradizionali restauri metallici. Essi consentono un ap- proccio radicalmente meno invasivo, poiché non è necessario modificare in maniera importante la forma di cavità dopo aver rimosso il tessuto cariato nel tentativo di cercare la ritenzione. Nonostante i suddetti vantaggi, le tecniche adesive sono condizionate da un assoluto rispetto dei protocolli operativi per garantire l’adeguato successo nella pratica clinica quotidiana. Essendo più ope- ratore-sensibili rispetto alle tecniche ritentive, esse richiedono una buona familiarità con i principi dell’adesione e adeguata comprensione del loro funzionamento. Nel presente modulo, illustrando i principi e le tecniche adesive, verrà descritta step by step la tecnica di restauro diretto in composito dei denti posteriori dalla preparazione di cavità, passando per la stratificazione del materiale, fino alle fasi di rifinitura e lucidatura. Summary Over the last decades, the improved properties of resin based composites and the well-established predictabili- ty of modern adhesive systems led to the widespread use of direct bonded restoration as the treatment of choice in an ever-expanding range of clinical situations. Direct adhesive restora- tions on posterior teeth show impro- ved esthetics and better functional behavior, compared to traditional metal-based fillings. They also allow a minimally invasive approach, as the cavity shape does not need to be further enlarged after caries removal in order to provide retention. In spite of the above advantages, adhesive technics are also characterized by the absolute need for a strict respect of the operative protocols in order to achieve an acceptable success rate in the daily clinical practice. Being more operator-sensitive compared to non-adhesive approaches, they require a proper knowledge of the bonding principles and the complete understanding of their mode of use. In the present paper, the basic princi- ples of modern adhesive systems will be illustrated. Moreover, clinical so- lutions for successfully placing direct resin composite restorations on po- sterior teeth will be described step- by-step from the cavity preparation, through the layering technique, to the finishing and polishing procedures. 29. Aspetto dei nuovi restauri alla fine delle procedure di rifinitura e prima della lucidatura 30. Immagine finale che mostra la buona integrazione anatomica e cromatica dei due nuovi restauri, dopo aver rimosso la diga di gomma e aver completato le fasi di lucidatura e brillantatura 29 30
  • 19. 37 ildentistamoderno gennaio 2016 Bibliografia 1. Opdam NJ, Bronkhorst EM, Loomans BA, Huysmans MC. 12-year survival of composite vs. amalgam restorations. J Dent Res 2010;89(10):1063-7. doi: 10.1177/0022034510376071. 2. Lynch CD, Opdam NJ, Hickel R et al. Guidance on posterior resin composites: Academy of Operative Dentistry - European Section. J Dent 2014;42(4):377-83. doi: 10.1016/j. jdent.2014.01.009. 3. Manhart J, Chen H, Hamm G, Hickel R. Buonocore Memorial Lecture. Review of the clinical survival of direct and indirect restorations in posterior teeth of the permanent dentition. Oper Dent 2004;29(5):481-508. 4. Lynch CD, Shortall AC, Stewardson D et al. Teaching posterior composite resin restorations in the United Kingdom and Ireland: consensus views of teachers. Br Dent J 2007;203(4):183-7. 5. Lynch CD, McConnell RJ, Wilson NH. Teaching of posterior composite resin restorations in undergraduate dental schools in Ireland and the United Kingdom. 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  • 20. 38 ildentistamoderno gennaio 2016 CORSO ECM A DISTANZA MODULO DIDATTICO 1 43. Van Meerbeek B, Yoshihara K, Yoshida Y et al. State of the art of self-etch adhesives. Dent Mater 2011;27(1):17-28. 44. Ozer F, Blatz MB. Self-etch and etch-and-rinse adhesive systems in clinical dentistry. Compend Contin Educ Dent 2013;34(1):12-4, 16, 18. 45. Manuja N, Nagpal R, Pandit IK. Dental adhesion: mechanism, techniques and durability. J Clin Pediatr Dent 2012;36(3):223-34. 46. Shirai K, De Munck J, Yoshida Y et al. Effect of cavity configuration and aging on the bonding effectiveness of six adhesives to dentin. Dent Mater 2005;21(2):110-24. 47. De Munck J, Shirai K, Yoshida Y et al. Effect of water storage on the bonding effectiveness of 6 adhesives to Class I cavity dentin. Oper Dent 2006;31(4):456-65. 48. De Munck J. An in vitro and in vivo study on the durability of biomaterial–tooth bonds. PhD dissertation. Katholieke Universiteit Leuven, Belgium, 2004. 49. 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  • 21. 39 ildentistamoderno gennaio 2016 Questionario di valutazione dell’apprendimento ECM 1 Il mordenzante negli adesivi etch and rinse: non viene utilizzato viene utilizzato per 15-20 secondi e poi va lavato via viene utilizzato senza lavarlo via viene utilizzato a una concentrazione superiore al 40% 2 La mordenzatura negli adesivi etch and rinse permette: la rimozione dello smear layer il condizionamento dello smear layer senza rimuoverlo la demineralizzazione della componente minerale superfi- ciale solo dello smalto l’applicazione di un monomero idrofilico (primer) che vie- ne applicato sulla dentina prima di essa 3 Gli adesivi etch and dry: richiedono maggior tempo e step rispetto agli adesivi etch and rinse hanno bisogno di uno step preliminare di mordenzatura hanno dati in letteratura che mostrano qualche criticità riguardo alla forza e alla stabilità nel tempo del legame ottenuto sullo smalto rispetto agli adesivi etch and rinse provocano una sensibilità post operatoria generalmente maggiore rispetto agli adesivi etch and rinse 4 Le indicazioni per il restauro diretto nei settori posteriori sono rappresentate da: cavità estese anche in zone di difficile accesso cavità a ricoprimento cuspidale presenza di più cavità estese nella stessa emiarcata cavità semplici e poco estese 5 Nei restauri diretti la contrazione da polimerizzazione: può determinare un distacco del materiale da restauro dalle pareti della cavità e la mancanza di una perfetta sigillatura dei margini determina un aumento di volume aumentando il sigillo sui margini della cavità nelle cavità di seconda classe porta al distacco solo della parete marginale coincide sempre con l’espansione igroscopica del materiale nel cavo orale 6 Il cavity factor è dato dal: rapporto della massa di composito con la superficie libera rapporto del volume di composito con la superficie libera rapporto tra superficie di composito a contatto e superficie libera volume della cavità 7 Le cavità adesive: prevedono coulisse e sottosquadri hanno un disegno ben delineato a seconda della posizione non presentano margini in corrispondenza di solchi e fosse sono la semplice risultante finale della pulizia della carie e della eventuale rimozione del precedente restauro 8 Le matrici sezionali ci permettono di: restituire all’elemento dentario un corretto profilo di emergenza e garantire un punto di contatto efficace con il dente contiguo diminuire la contrazione da polimerizzazione isolare la cavità da tracce di sangue e saliva aumentare la polimerizzazione della parete marginale 9 La stratificazione per masse ci permette di: eseguire più denti nella stessa arcata poter mettere più masse allo stesso tempo di stratificare solo le flat cavities continuare a mantenere sotto controllo gli stress da polimerizzazione e il cavity factor 10 Nelle cavità complesse dove è interessata la parete prossimale la stratificazione inizierà dal fondo di cavità la stratificazione inizierà dal lato opposto alla parete prossimale la stratificazione inizierà con una massa smalto sulla matrice a ripristinare la parete prossimale è bene utilizzare per la stratificazione una sola massa dentina e una sola massa smalto 11 La rifinitura dei compositi: viene eseguita con frese con granulometria compresa tra i 50-70 micron viene eseguita con paste e feltrini riduce i fenomeni di accumulo di placca e invecchiamento precoce è l’unico step in cui si definisce la giusta geografia occlusale 12 Lucidatura e brillantatura garantiscono i migliori risultati se: avvengono sotto diga non sono fondamentali nei settori posteriori data la scarsa rilevanza estetica prevedono l’utilizzo di paste rispettivamente diamantate e all’ossido di alluminio si eseguono con l’utilizzo di frese diamantate 40-20 micron 13 I restauri diretti nei settori posteriori: sono da evitare se utilizziamo i materiali compositi non sono predicibile a lungo termine hanno una scarsa resa estetica sono da preferire perché più conservativi rispetto ai restauri indiretti 14 La diga di gomma nei restauri diretti nei settori posteriori: può essere evitata se vengono utilizzati i rulli salivari viene impiegata solo nelle cavità con interessamento della parete prossimale è il primo step necessario per operare con successo nei confini dell’odontoiatria adesiva interferisce con l’inserimento delle matrici sezionali 15 La cavità per un restauro diretto adesivo posteriore prevede: un disegno predefinito una ritenzione o un sottosquadro angoli interni spigolosi pareti e margini perfettamente rifiniti