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News 48/SA/2017
Lunedì, 27 novembre 2017
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.47 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 91 (13 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano notificati: dall’Italia per baccello
essiccato di carrubo Ceratonia siliqua proveniente dall’ Algeria, via Tunisia inadatto
al consumo umano e infestato da larve di insetti, per aflatossine in fichi secchi
provenienti dalla Turchia e per noci sgusciate provenienti dal Cile inadatte al
consumo umano e infestate da larve di insetti; dalla Slovenia per aflatossine in fichi
secchi provenienti dalla Turchia; dall’ Olanda per aflatossine in arachidi provenienti
dall’Argentina, dagli Stati Uniti, dalla Bolivia e dall’India, per Salmonella in mezzi petti
di pollo salato congelato provenienti dal Brasile, per scarso controllo della
temperatura di budella di maiale essiccate provenienti dalla Cina, via Egitto infestati
da insetti, per Salmonella in petti di pollo salato congelato proveniente
dall’Argentina e per Salmonella in mezzi petti di pollo salato congelato provenienti
dal Brasile; da Malta per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia; dalla
Croazia per alto livello di acrilamide in biscotti di grano integrale e albicocca
provenienti dalla Serbia e in biscotti provenienti dalla Bosnia e Herzegovina; dalla
Polonia per aflatossine in chicchi di nocciole provenienti dalla Turchia; dalla Bulgaria
per contenuto troppo alto di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia,
per fostiazato e clorpirifos in peperoni provenienti dalla Turchia; dal Regno Unito per
contenuto troppo alto di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia, per
aflatossine in pistacchi in guscio provenienti dagli Stati Uniti, per aflatossine in fichi
secchi organici provenienti dalla Turchia, per assenza di certificato (i) sanitario e di
rapporto analitico certificato per barre di fico provenienti dalla Turchia, per assenza
di certificato (i) sanitario e di rapporto analitico certificato per spaghetti di riso
provenienti dalla Cina, per assenza di certificato (i) sanitario e di rapporto analitico
certificato per arachidi e burro di arachidi provenienti dalla Cina e per aflatossine in
arachidi provenienti dal Senegal; dalla Spagna per scarso controllo della
temperatura (-8 °C) di gamberi tigre congelati (Litopenaeus vannamei) provenienti
dall’ Ecuador, per Salmonella in peperoni secchi provenienti dalla Cina, per
contenuto troppo alto di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia e per
produzione impropria (presenza of mesofili aerobici) di vongole in scatola
(Mactridae) provenienti dal Cile; dal Portogallo per assenza di etichettatura e di
bolla sanitaria su lombi di tonno striato precotto congelato (Katsuwonus [Euthynnus]
pelamis) provenienti dalla Cina e per trattamento termico inadeguato di vongole
congelate provenienti dal Vietnam; dal Belgio per sostanza non autorizzata verde
leucomalachite (>MRPL) in pesce gatto congelato (Clarias spp) proveniente dal
Vietnam e per certificati sanitari fraudolenti per olio di pesce proveniente
dall’Ecuador, via Turchia; dalla Germania per aflatossine in fichi secchi provenienti
dalla Turchia, per aflatossine in chicchi di nocciola provenienti dalla Turchia, per
aflatossine in pistacchi in guscio provenienti dall’ Iran e per ocratossina A in uvetta
proveniente dalla Turchia; dalla Svezia per acetamipride e sostanze non autorizzate
isoprocarb and tolfenpirad in tè bianco proveniente dalla Cina; dalla Francia per
aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia.
Allerta notificati dall’ Italia: per pietre in verdure congelate provenienti dalla Spagna
e per istamina in filetti di acciughe provenienti dall’Italia.
Allerta notificati: dalla Finlandia per Salmonella enterica ser. Typhimurium in petti
d’oca congelati provenienti dalla Germania, con materia prima proveniente
dall’Ungheria e per Escherichia coli produttrice di shigatossine in cibo per cani
congelato proveniente dal Regno Unito; dalla Germania per frammenti di plastica in
vari tipi di insalate per punto di servizio provenienti dalla Germania, per pezzi di
legno in patatine biologiche provenienti dall’Olanda, per benzo(a)pirene e
idrocarburi policiclici aromatici in olio di mandorle proveniente dalla Grecia,
confezionato in Germania; dall’ Olanda per frammenti di vetro (o plastica) in fagioli
in barattoli di vetro provenienti dal Belgio, per frammenti di filo metallinco e
frammenti di plastica in ravioli con formaggio provenienti dall’Italia, per uova non
dichiarate ed etichettatura errata (etichettati come spaghetti con basilico) su
spaghetti freschi con uova provenienti dall’Italia, per amitraz e sostanza non
autorizzata propargite in bacche essiccate di goji provenienti dalla Cina, per Listeria
monocytogenes in cubetti di pancetta refrigerati provenienti dalla Germania, per
Salmonella in rifilature di carni bovine provenienti dalla Spagna e per Bacillus cereus
in gelsi bianchi provenienti dalla Turchia; dal Belgio per frammenti di plastica (pezzi
di perspex taglienti di differneti misure) in piadina provenienti dal Belgio; dalla
Slovacchia per Listeria monocytogenes in pancetta refrigerata proveniente dalla
Slovacchia; dal Regno Unito per etichettatura errata (allergeni non visualizzati sulla
confezione esterna) su kit decorativo proveniente dalla Svezia; dalla Svizzera per
aflatossine in chicchi di pistacchio provenienti dall’Iran, via Regno Unito.
Nella lista delle informative troviamo notificate: dall’ Italia per infestazione
parassitaria da Anisakis di sgombro refrigerato proveniente dalla Francia, per
Salmonella enterica ser. Newport in petti di tacchino refrigerato provenienti dall’
Ungheria, per livello residuo sopra l’MRL per sulfadimetossina in muscolo di coniglio
refrigerato proveniente dall’Italia, per cadmio in calamaro refrigerato (Todarodes
sagittatus) proveniente dalla Spagna, per istamina in sgombro refrigerato (Scomber
scombrus) proveniente dalla Francia, per assenza di etichettatura (etichettatura
degli allergeni in Italiano) su biscotti con frutta provenienti dalla Germania e per
Salmonella enterica ser. Typhimurium in uova provenienti dall’Italia; dalla Svezia per
Salmonella in pollo congelato proveniente dalla Polonia e per Salmonella enterica
ser. Mbandaka in farina di colza proveniente dalla Russia, via Lussemburgo; dalla
Spagna per cadmio e mercurio in farina di pesce proveniente dalla Spagna;
dall’Estonia per Salmonella in polvere di buccia di psillio proveniente dall’India; dalla
Lituania per contenuto troppo alto di colorante E 124 - Ponceau 4R / rosso
cocciniglia A in caramelle di gelatina provenienti dalla Polonia; dalla Repubblica
Ceca per Salmonella enterica ser. Enteritidis in pollo intero refrigerato proveniente
dalla Polonia; dalla Francia per livello residuo sopra l’ MRL per ossitetraciclina in filetti
di salmone congelato provenienti dal Cile e per sostanza non autorizzata
antrachinone in tè nero organico proveniente dalla Francia; dal Belgio per
aflatossine in pistacchi provenienti dagli Stati Uniti e per sostanza non autorizzata
verde brillante in gamberi congelati provenienti dal Vietnam; dalla Germania per
livello residuo sopra l’MRL per lasalocid in mezzi petti di pollo salato congelato
provenienti dalla Tailandia e per rischio di soffocamento a causa del consumo di, E
407 - carragenina, E 425 - konjac e E 415 – gomma xantana non autorizzata ed
etichettatura insufficiente (assenza di avvertenza sanitaria richiesta per coloranti
"Southampton") di mini-coppe di gelatina provenienti dal Vietnam; dalla Svizzera per
cadmio in carne di cavallo proveniente dalla Spagna; dal Regno Unito per
Salmonella in filetto interno di pollo marinato senza pelle e disossato congelato
proveniente dalla Tailandia, per flonicamid e sostanze non autorizzate
monocrotofos e acefato in baby okra intero proveniente dall’ India; dalla Finlandia
per Salmonella enterica ser. Liverpool in farina di fagioli di soia proveniente dalla
Germania e per Salmonella enterica ser. Mbandaka in farina di semi di colza
proveniente dalla Polonia; dall’Olanda per Salmonella in gamberi tigre neri
(Penaeus monodon) provenienti dal Bangladesh; dalla Danimarca per mix di semi
provenienti dall’Austria infestati da insetti.
Fonte: rasff.eu
Neonicotinoidi, storia degli insetticidi accusati della scomparsa delle api. Efsa e Epa
vicine alla pubblicazione di nuovi rapporti su queste sostanze.
Saranno mesi decisivi per i neonicotinoidi, gli insetticidi tra i più usati ma anche sotto
accusa da anni per la scomparsa delle api e non solo. Nelle prossime settimane
l’Efsa completerà il suo ultimo rapporto e darà indicazioni sull’opportunità o meno di
vietarne l’impiego, ed entro il 2018 la US Environmental Protection Agency farà lo
stesso. A partire da inizio anno, inoltre, la Francia, che ha già deliberato in merito,
non li impiegherà più, anche se sono previste eccezioni. Ma cosa effettivamente è
stato dimostrato, e cosa resta da chiarire, al di là delle strumentalizzazioni e delle
battaglie ideologiche? Per fare un po’ di chiarezza, Nature ha pubblicato un lungo
articolo in cui riassume gli studi più importanti e i passaggi cruciali di una vicenda
che sembra molto lontana dal trovare una sua risoluzione.
La storia ha inizio nei primi anni ottanta, quando il chimico della Bayer Tokushu
Noyaku Seizo lavorando ai derivati della nitiazina, un insetticida introdotto una
decina di anni prima in California, mette a punto l’imidacloprid. La sostanza, cento
volte più potente della nitiazina stessa, viene lanciata sul mercato nei primi anni
novanta. Il successo è istantaneo, e già nei primi anni duemila questa molecola e i
suoi simili rappresentano un quarto dell’intero mercato dei pesticidi. In molti casi
questi composti, che agiscono direttamente sul sistema nervoso degli insetti,
vengono applicati direttamente sui semi, andando così a contaminare anche i
terreni.
In Francia, dove i neonicotinoidi sono molto usati sui semi di girasole, fin dal 1994 gli apicoltori denunciano problemi
per le api
Nel giro di pochi anni, però, in Francia, dove l’imidacloprid è stato molto usato sui
semi di girasole, gli apicoltori lanciano l’allarme: le loro api da miele non riescono più
a costruire gli alveari, e questo accade soprattutto quando volano sui campi di
girasole. È il 1994, e occorrono 5 anni prima che il governo emani un divieto
specifico per queste piante, in base al principio di precauzione. Ma limitare l’uso dei
neonici (questo l’altro nome con cui sono conosciuti nel mondo) non basta: la moria
di api continua ovunque, anche in Francia.
Nel frattempo nella letteratura scientifica si moltiplicano le segnalazioni di
intossicazioni mortali delle api entrate in contatto con dosi elevate di neonicotinoidi,
e di comportamenti inusuali quali l’incapacità di alimentarsi, di riconoscere il
profumo dei fiori o di rientrare all’alveare anche quando le dosi sono considerate
basse. Nel 2010, in uno studio francese gli esperti dell’Istituto per le api di Avignone
parlano esplicitamente di intossicazione da tiometoxam, mentre uno inglese
dimostra che i neonici – e in particolare proprio l’imidacloprid – sono molto pericolosi
anche per i bombi: una volta esposti, essi non riescono più a generare regine (ce ne
sono l’85% in meno). I due lavori fanno scalpore, e spingono l’autore di quello sui
bombi a fondare una Task Force on Systemic Pesticide, che raccoglie una trentina
tra i massimi esperti mondiali e, dopo aver analizzato ben 800 studi, conclude che
tutte le prove dimostrano la necessità urgente di regolamentare in maniera severa il
settore.
Uno studio recente ha dimostrato che il 75% del miele mondiale contiene insetticidi neonicotinoidi al
di sotto dei limiti di legge
In seguito vengono pubblicati numerosi altri studi, tra i quali quello condotto nei
campi di Ungheria, Germania e Gran Bretagna, che non porta a conclusioni
univoche perché le api da miele, quelle domestiche e i bombi tedeschi hanno
resistito bene ai neonicotinoidi, al contrario di quanto avvenuto negli altri paesi.
Nel frattempo, tra le cause della crisi delle api vengono prese in considerazione
varie infezioni da parassiti, altri insetticidi dati in contemporanea ai neonici, il
riscaldamento globale, l’inquinamento, la siccità e altri fattori ambientali e antropici,
e molti dubitano dell’efficacia dei neonicotinoidi. Il dibattito pro e contro infuria
senza esclusione di colpi, con accuse di complicità con le multinazionali (in primo
luogo Bayer e Syngenta, i principali produttori), dati truccati e altre argomentazioni
molto pesanti.
Secondo Nature ciò che è sicuramente tossico è il dibattito, che sarà ben difficile
riportare su un piano di razionalità e di numeri credibili. Ma è indispensabile fare ogni
sforzo per giungere a una verità condivisa, anche perché i neonicotinoidi sono
ormai diffusi in tutto il mondo, come ha dimostrato uno studio pubblicato su Science
poche settimane prima: tra il 2012 e il 2016, analizzando 198 campioni di miele
provenienti da decine e decine di paesi per la presenza di cinque di essi –
l’imidacloprid, l’acetamiprid, la clotiandina, il tiacloprid e il tiametoxan –, i ricercatori
dell’Università di Neuchatel, in Svizzera, hanno dimostrato che il 75% del miele ne
contiene almeno uno, il 45% due o più e il 10% quattro o cinque, anche se le
concentrazioni rilevate sono generalmente al di sotto dei limiti di legge. Nello stesso
periodo la catastrofe degli alveari è diventata realtà quasi ovunque: una strana
coincidenza, troppo importante per essere ignorata. (Articolo di Agnese Codignola)
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Usa, diminuisce il consumo di bevande zuccherate. Calo in tutte le fasce d’età ma
livello ancora elevato tra adolescenti e giovani adulti.
Tra il 2003 e il 2014, il consumo di bevande zuccherate negli Stati Uniti è diminuito in
tutte le fasce di età ma rimane ancora elevato tra adolescenti e giovani adulti.
Resta particolarmente alto tra la popolazione afro-americana, gli originari del
Messico e bambini, adolescenti e giovani adulti ispanici non messicani, che sono i
gruppi a maggior rischio di obesità e di diabete di tipo 2. Tra gli adulti bianchi il
consumo risulta in diminuzione in tutti i gruppi di età.
Lo rileva uno studio pubblicato dalla rivista Obesity e condotto da ricercatori
dell’Università di Harvard, che hanno utilizzato i dati ufficiali della Nutrition
Examination Survey riguardanti 18.600 bambini e adolescenti, e 27.652 adulti oltre i
vent’anni, intervistati sul consumo di bevande di vario tipo (bibite zuccherate, succhi
di frutta 100%, bibite dietetiche, latte, caffè e tè non zuccherati, alcolici e acqua)
nelle 24 ore precedenti.
I bambini e gli adolescenti tra i 2 e i 19 anni di età che avevano bevuto bevande
zuccherate sono scesi dal 79,7% del 2003 al 60,7% del 2014, mentre tra gli adulti si è
passati dal 61,5% al 50%. In termini di calorie giornaliere per persona provenienti da
bevande zuccherate, tra bambini e adolescenti si è scesi da 224.6 a 132.5 calorie,
mentre tra gli adulti si è passati da 190.4 a 137.6 calorie. (Articolo di Beniamino
Bonardi)
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Mozzarella: come distinguere i veri prodotti artigianali. I segreti dell’etichetta e la
verità sul prezzo.
Le mozzarelle non sono tutte uguali. Basta un pizzico di attenzione per decodificare
le diciture in etichetta e qualche nozione sulle modalità di lavorazione per riuscire
a distinguere un prodotto dall’altro. In questa operazione ci aiuta il decalogo “Il
manifesto della mozzarella: le 10 cose da sapere prima di comprarla” curato da
Michele Faccia docente di Scienze e tecnologie degli alimenti all’Università di Bari.
La prima cosa da sapere è che scegliere una mozzarella prodotta da un piccolo e
oscuro caseificio non è sinonimo di prodotto artigianale di alta qualità (anche una
piccola azienda può utilizzare metodi industriali e cagliate pronte importate
dall’estero). Per distinguere un prodotto artigianale da uno ottenuto con tecniche
industriali, bisogna iniziare a leggere le etichette. La produzione della mozzarella
prevede l’acidificazione del latte, che tradizionalmente viene fatto sfruttando la
fermentazione batterica, coadiuvata dall’aggiunta del siero innesto naturale.
Questa operazione può richiedere fino a quattro ore di tempo e incide in modo
significativo sull’intera fase produttiva. Il vantaggio è che questo metodo di
lavorazione rende la mozzarella più saporita e anche più digeribile. I fermenti lattici,
infatti, consumano fino all’80% del lattosio contenuto nel latte e infondono un
sapore tipico. L’acidificazione industriale si ottiene aggiungendo acido citrico al
latte ed è molto più rapida. L’aspetto delicato della questione è che la normativa
non obbliga i produttori ad indicare in etichetta l’aggiunta di acido citrico.
Nonostante ciò la maggior parte dei caseifici sceglie comunque di riportarne la
presenza nella lista degli ingredienti. Questa decisione è fondamentale per il
consumatore.
Una mozzarella prodotta con metodi artigianali richiede fino a quattro ore di lavoro in più, per
l’acidificazione con fermenti lattici
Dunque una mozzarella ottenuta con metodi industriali avrà come ingredienti “latte,
caglio, sale, correttore di acidità: acido citrico” (anche indicato come E330). Quelle
realizzate in maniera artigianale avranno invece “latte, caglio, sale, fermenti lattici”.
Sono possibili anche scenari intermedi in cui, per velocizzare un po’ la produzione e
mantenere comunque un sapore più ricco, i produttori utilizzino sia fermenti lattici
che acido citrico.
Un’indicazione che invece difficilmente si troverà in etichetta è quella dell’uso di
cagliata conservata. La legge non obbliga i produttori a riportare la specifica in
etichetta e infatti nessuno lo fa. Anche con l’introduzione dell’obbligo di
indicare l’origine del latte utilizzato, in vigore dal 19 aprile 2017, la scelta di
specificare l’uso della cagliata (spesso straniera) viene lasciata alle aziende.
Nell’etichetta di una mozzarella ottenuta con semilavorati (come la cagliata
congelata) dovrebbero essere indicati i seguenti ingredienti: cagliata, acqua, sale,
seguiti dagli additivi: acido citrico, lattico e, a volte, sorbato di potassio. Questo tipo
di mozzarella ha un gusto povero e, se la cagliata è stata conservata a lungo, il
sapore si avvicina più a quello del formaggio che al latte fresco.
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Caciotta toscana da latte dell’Appennino, denominazione e origine. Risponde
l’avvocato Dario Dongo.
Caro avvocato Dongo,
La nostra cooperativa produce al Mugello, a nord di Firenze, una caciotta di latte
vaccino che si vorrebbe appunto chiamare “caciotta toscana”.
Vorremmo perciò capire se possiamo utilizzare questo nome, e come comportarci
nelle dichiarazioni d’origine del latte. Visto che impieghiamo materia prima locale e
anche dell’Appennino tosco-emiliano, cioè di provenienza contigua ma pur diversa
dal “Granducato di Toscana”.
Molte grazie
Andrea
Risponde l’avvocato Dario Dongo, Ph.D. in sicurezza alimentare
Caro Andrea,
In Toscana vi sono alcune caciotte che rientrano nel d.m. MiPAAF 18.6.2015. In
particolare caciotta dolce e stagionata, entrambe di latte vaccino. Se sono
prodotti tradizionali potrebbero esservi ricette e preparazioni registrate, ad esempio
presso la CCIIAA. Il che, in linea di massima, non costituisce un problema.
L’unico prodotto riconosciuto a livello europeo è invece il pecorino toscano DOP.
Senza disturbare altrui disciplinari, l’indicazione di origine o provenienza ‘caciotta
toscana’ può quindi venire utilizzata proprio in quanto veritiera e dimostrabile.
A maggior ragione in quanto indicazioni territoriali di maggior dettaglio sono
riconosciute in quanto legittime proprio nel decreto origine latte del 9 dicembre
2016.
La circostanza poi che la provenienza del latte abbia estensione regionale più
ampia non è ostativa, poiché l’origine del prodotto è attribuita al luogo di sua ultima
trasformazione sostanziale.
Suggerisco peraltro, in ottica di trasparenza e valorizzazione del cacio, di
aggiungere apposite notizie volontarie in etichetta. Sì da mostrare che – nell’ambito
della ‘origine Italia’ – la provenienza del latte trasformato al Mugello sia quella
dell’Appennino tosco-emiliano. Il quale, va da sé, abbraccia anche la
regione Emilia-Romagna.
Un caro saluto e a presto
Dario
Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com
Pasta all’uovo integrale, più fibre? Risponde l’avvocato Dario Dongo.
Caro Dario,
Ho trovato da Conad la confezione di pasta all’uovo integrale a marchio Luciana
Mosconi, le foto qui allegate.
Il prodotto è ottimo, ma ho il dubbio che l’etichetta sia del tutto corretta. Sempre
lieto di leggere i Tuoi commenti
Un caro saluto
Alessandro
Risponde l’avvocato Dario Dongo, PhD in diritto alimentare europeo
Caro Alessandro buongiorno,
l’etichetta in esame presenta in effetti alcune criticità, in particolare per quanto
attiene all’indicazione che figura sul fronte etichetta, ‘con più fibre’.
L’avverbio ‘più’ sottintende infatti una comparazione, ed essendo riferito alle fibre
alimentari si qualifica come claim nutrizionale comparativo.
Il ‘Nutrition and Health Claims Regulation’ (NHC), a tale riguardo, prescrive
l’identificazione e l’indicazione in etichetta di un termine di paragone. (1) Il quale –
secondo costante interpretazione dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il
Mercato (AGCM, c.d. Antitrust) – deve essere rappresentato dalla media dei
prodotti più venduti sul mercato di riferimento (in questo caso, in Italia) che
appartengono alla medesima categoria.
Le tagliatelle integrali Luciana Mosconi tuttavia non riportano in etichetta alcun
cenno al termine di raffronto che oltretutto, secondo l’AGCM, dovrebbe ‘avere la
medesima evidenza grafica del claim’. Per ovviare a questa criticità, l’operatore
dovrebbe demandare a una società specializzata (es. Nielsen, Symphony-IRI)
un’apposita indagine di mercato, estrarre il valore medio delle fibre contenute
nei prodotti più venduti e raffrontarlo con quello del proprio prodotto. Qualora il
tenore di fibre risulti superiore di almeno il 30% rispetto alla media, si potrà quindi
riportare il claim comparativo ‘più fibre’.
A ben vedere tuttavia, nel caso di specie la soluzione più semplice è quella di
rinunciare alla comparazione e utilizzare un semplice claim nutrizionale del tipo
‘contiene fibre’ o ‘fonte di fibre’.
‘FONTE DI FIBRE
L’indicazione che un alimento è fonte di fibre e ogni altra indicazione che può avere
lo stesso significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene
almeno 3 g di fibre per 100 g o almeno 1,5 g di fibre per 100 kcal.’ (reg. CE 1924/06,
Allegato)
La pasta all’uovo integrale in questione infatti, secondo quanto riportato in
dichiarazione nutrizionale, contiene 3,6 grammi di fibre. Sono quindi soddisfatte le
condizioni per riportare il claim sopra citato.
La dichiarazione nutrizionale è altresì irregolare, sotto diversi aspetti:
– il formato tabellare deve venire applicato alla dichiarazione, non ravvedendosi
ostacoli di spazio,
– le fibre sono collocate in fondo alla dichiarazione, laddove dovrebbero invece
precedere le proteine,
– sale e fibre, al pari dei nutrienti, vanno esposti in grammi e non in percentuale,
– le unità devono venire separate dai decimali attraverso virgole, anziché punti.
Altro tema degno di approfondimento e verifica è il riferimento laudativo a ‘farine
migliori’. Tale affermazione dovrebbe venire sostenuta da argomenti specifici e dati
idonei a mostrare perché le farine in questione siano ‘migliori’ rispetto a quelle
impiegate in altri prodotti. (2)
Cordialmente
Dario
Note
(1) Cfr. reg. CE 1924/06 e successive modifiche, Considerando 20 e articolo 9
(2) Ricorrendosi, altrimenti, nel divieto di cui al reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c
Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com

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News SA 48 2017

  • 1. News 48/SA/2017 Lunedì, 27 novembre 2017 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.47 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 91 (13 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano notificati: dall’Italia per baccello essiccato di carrubo Ceratonia siliqua proveniente dall’ Algeria, via Tunisia inadatto al consumo umano e infestato da larve di insetti, per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia e per noci sgusciate provenienti dal Cile inadatte al consumo umano e infestate da larve di insetti; dalla Slovenia per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia; dall’ Olanda per aflatossine in arachidi provenienti dall’Argentina, dagli Stati Uniti, dalla Bolivia e dall’India, per Salmonella in mezzi petti di pollo salato congelato provenienti dal Brasile, per scarso controllo della temperatura di budella di maiale essiccate provenienti dalla Cina, via Egitto infestati da insetti, per Salmonella in petti di pollo salato congelato proveniente dall’Argentina e per Salmonella in mezzi petti di pollo salato congelato provenienti dal Brasile; da Malta per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia; dalla Croazia per alto livello di acrilamide in biscotti di grano integrale e albicocca provenienti dalla Serbia e in biscotti provenienti dalla Bosnia e Herzegovina; dalla Polonia per aflatossine in chicchi di nocciole provenienti dalla Turchia; dalla Bulgaria per contenuto troppo alto di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia, per fostiazato e clorpirifos in peperoni provenienti dalla Turchia; dal Regno Unito per contenuto troppo alto di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia, per aflatossine in pistacchi in guscio provenienti dagli Stati Uniti, per aflatossine in fichi secchi organici provenienti dalla Turchia, per assenza di certificato (i) sanitario e di rapporto analitico certificato per barre di fico provenienti dalla Turchia, per assenza di certificato (i) sanitario e di rapporto analitico certificato per spaghetti di riso provenienti dalla Cina, per assenza di certificato (i) sanitario e di rapporto analitico certificato per arachidi e burro di arachidi provenienti dalla Cina e per aflatossine in arachidi provenienti dal Senegal; dalla Spagna per scarso controllo della temperatura (-8 °C) di gamberi tigre congelati (Litopenaeus vannamei) provenienti
  • 2. dall’ Ecuador, per Salmonella in peperoni secchi provenienti dalla Cina, per contenuto troppo alto di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia e per produzione impropria (presenza of mesofili aerobici) di vongole in scatola (Mactridae) provenienti dal Cile; dal Portogallo per assenza di etichettatura e di bolla sanitaria su lombi di tonno striato precotto congelato (Katsuwonus [Euthynnus] pelamis) provenienti dalla Cina e per trattamento termico inadeguato di vongole congelate provenienti dal Vietnam; dal Belgio per sostanza non autorizzata verde leucomalachite (>MRPL) in pesce gatto congelato (Clarias spp) proveniente dal Vietnam e per certificati sanitari fraudolenti per olio di pesce proveniente dall’Ecuador, via Turchia; dalla Germania per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia, per aflatossine in chicchi di nocciola provenienti dalla Turchia, per aflatossine in pistacchi in guscio provenienti dall’ Iran e per ocratossina A in uvetta proveniente dalla Turchia; dalla Svezia per acetamipride e sostanze non autorizzate isoprocarb and tolfenpirad in tè bianco proveniente dalla Cina; dalla Francia per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia. Allerta notificati dall’ Italia: per pietre in verdure congelate provenienti dalla Spagna e per istamina in filetti di acciughe provenienti dall’Italia. Allerta notificati: dalla Finlandia per Salmonella enterica ser. Typhimurium in petti d’oca congelati provenienti dalla Germania, con materia prima proveniente dall’Ungheria e per Escherichia coli produttrice di shigatossine in cibo per cani congelato proveniente dal Regno Unito; dalla Germania per frammenti di plastica in vari tipi di insalate per punto di servizio provenienti dalla Germania, per pezzi di legno in patatine biologiche provenienti dall’Olanda, per benzo(a)pirene e idrocarburi policiclici aromatici in olio di mandorle proveniente dalla Grecia, confezionato in Germania; dall’ Olanda per frammenti di vetro (o plastica) in fagioli in barattoli di vetro provenienti dal Belgio, per frammenti di filo metallinco e frammenti di plastica in ravioli con formaggio provenienti dall’Italia, per uova non dichiarate ed etichettatura errata (etichettati come spaghetti con basilico) su spaghetti freschi con uova provenienti dall’Italia, per amitraz e sostanza non autorizzata propargite in bacche essiccate di goji provenienti dalla Cina, per Listeria monocytogenes in cubetti di pancetta refrigerati provenienti dalla Germania, per Salmonella in rifilature di carni bovine provenienti dalla Spagna e per Bacillus cereus in gelsi bianchi provenienti dalla Turchia; dal Belgio per frammenti di plastica (pezzi di perspex taglienti di differneti misure) in piadina provenienti dal Belgio; dalla Slovacchia per Listeria monocytogenes in pancetta refrigerata proveniente dalla
  • 3. Slovacchia; dal Regno Unito per etichettatura errata (allergeni non visualizzati sulla confezione esterna) su kit decorativo proveniente dalla Svezia; dalla Svizzera per aflatossine in chicchi di pistacchio provenienti dall’Iran, via Regno Unito. Nella lista delle informative troviamo notificate: dall’ Italia per infestazione parassitaria da Anisakis di sgombro refrigerato proveniente dalla Francia, per Salmonella enterica ser. Newport in petti di tacchino refrigerato provenienti dall’ Ungheria, per livello residuo sopra l’MRL per sulfadimetossina in muscolo di coniglio refrigerato proveniente dall’Italia, per cadmio in calamaro refrigerato (Todarodes sagittatus) proveniente dalla Spagna, per istamina in sgombro refrigerato (Scomber scombrus) proveniente dalla Francia, per assenza di etichettatura (etichettatura degli allergeni in Italiano) su biscotti con frutta provenienti dalla Germania e per Salmonella enterica ser. Typhimurium in uova provenienti dall’Italia; dalla Svezia per Salmonella in pollo congelato proveniente dalla Polonia e per Salmonella enterica ser. Mbandaka in farina di colza proveniente dalla Russia, via Lussemburgo; dalla Spagna per cadmio e mercurio in farina di pesce proveniente dalla Spagna; dall’Estonia per Salmonella in polvere di buccia di psillio proveniente dall’India; dalla Lituania per contenuto troppo alto di colorante E 124 - Ponceau 4R / rosso cocciniglia A in caramelle di gelatina provenienti dalla Polonia; dalla Repubblica Ceca per Salmonella enterica ser. Enteritidis in pollo intero refrigerato proveniente dalla Polonia; dalla Francia per livello residuo sopra l’ MRL per ossitetraciclina in filetti di salmone congelato provenienti dal Cile e per sostanza non autorizzata antrachinone in tè nero organico proveniente dalla Francia; dal Belgio per aflatossine in pistacchi provenienti dagli Stati Uniti e per sostanza non autorizzata verde brillante in gamberi congelati provenienti dal Vietnam; dalla Germania per livello residuo sopra l’MRL per lasalocid in mezzi petti di pollo salato congelato provenienti dalla Tailandia e per rischio di soffocamento a causa del consumo di, E 407 - carragenina, E 425 - konjac e E 415 – gomma xantana non autorizzata ed etichettatura insufficiente (assenza di avvertenza sanitaria richiesta per coloranti "Southampton") di mini-coppe di gelatina provenienti dal Vietnam; dalla Svizzera per cadmio in carne di cavallo proveniente dalla Spagna; dal Regno Unito per Salmonella in filetto interno di pollo marinato senza pelle e disossato congelato proveniente dalla Tailandia, per flonicamid e sostanze non autorizzate monocrotofos e acefato in baby okra intero proveniente dall’ India; dalla Finlandia per Salmonella enterica ser. Liverpool in farina di fagioli di soia proveniente dalla Germania e per Salmonella enterica ser. Mbandaka in farina di semi di colza proveniente dalla Polonia; dall’Olanda per Salmonella in gamberi tigre neri
  • 4. (Penaeus monodon) provenienti dal Bangladesh; dalla Danimarca per mix di semi provenienti dall’Austria infestati da insetti. Fonte: rasff.eu Neonicotinoidi, storia degli insetticidi accusati della scomparsa delle api. Efsa e Epa vicine alla pubblicazione di nuovi rapporti su queste sostanze. Saranno mesi decisivi per i neonicotinoidi, gli insetticidi tra i più usati ma anche sotto accusa da anni per la scomparsa delle api e non solo. Nelle prossime settimane l’Efsa completerà il suo ultimo rapporto e darà indicazioni sull’opportunità o meno di vietarne l’impiego, ed entro il 2018 la US Environmental Protection Agency farà lo stesso. A partire da inizio anno, inoltre, la Francia, che ha già deliberato in merito, non li impiegherà più, anche se sono previste eccezioni. Ma cosa effettivamente è stato dimostrato, e cosa resta da chiarire, al di là delle strumentalizzazioni e delle battaglie ideologiche? Per fare un po’ di chiarezza, Nature ha pubblicato un lungo articolo in cui riassume gli studi più importanti e i passaggi cruciali di una vicenda che sembra molto lontana dal trovare una sua risoluzione. La storia ha inizio nei primi anni ottanta, quando il chimico della Bayer Tokushu Noyaku Seizo lavorando ai derivati della nitiazina, un insetticida introdotto una decina di anni prima in California, mette a punto l’imidacloprid. La sostanza, cento volte più potente della nitiazina stessa, viene lanciata sul mercato nei primi anni novanta. Il successo è istantaneo, e già nei primi anni duemila questa molecola e i suoi simili rappresentano un quarto dell’intero mercato dei pesticidi. In molti casi questi composti, che agiscono direttamente sul sistema nervoso degli insetti, vengono applicati direttamente sui semi, andando così a contaminare anche i
  • 5. terreni. In Francia, dove i neonicotinoidi sono molto usati sui semi di girasole, fin dal 1994 gli apicoltori denunciano problemi per le api Nel giro di pochi anni, però, in Francia, dove l’imidacloprid è stato molto usato sui semi di girasole, gli apicoltori lanciano l’allarme: le loro api da miele non riescono più a costruire gli alveari, e questo accade soprattutto quando volano sui campi di girasole. È il 1994, e occorrono 5 anni prima che il governo emani un divieto specifico per queste piante, in base al principio di precauzione. Ma limitare l’uso dei neonici (questo l’altro nome con cui sono conosciuti nel mondo) non basta: la moria di api continua ovunque, anche in Francia. Nel frattempo nella letteratura scientifica si moltiplicano le segnalazioni di intossicazioni mortali delle api entrate in contatto con dosi elevate di neonicotinoidi, e di comportamenti inusuali quali l’incapacità di alimentarsi, di riconoscere il profumo dei fiori o di rientrare all’alveare anche quando le dosi sono considerate basse. Nel 2010, in uno studio francese gli esperti dell’Istituto per le api di Avignone parlano esplicitamente di intossicazione da tiometoxam, mentre uno inglese dimostra che i neonici – e in particolare proprio l’imidacloprid – sono molto pericolosi anche per i bombi: una volta esposti, essi non riescono più a generare regine (ce ne sono l’85% in meno). I due lavori fanno scalpore, e spingono l’autore di quello sui bombi a fondare una Task Force on Systemic Pesticide, che raccoglie una trentina tra i massimi esperti mondiali e, dopo aver analizzato ben 800 studi, conclude che tutte le prove dimostrano la necessità urgente di regolamentare in maniera severa il settore.
  • 6. Uno studio recente ha dimostrato che il 75% del miele mondiale contiene insetticidi neonicotinoidi al di sotto dei limiti di legge In seguito vengono pubblicati numerosi altri studi, tra i quali quello condotto nei campi di Ungheria, Germania e Gran Bretagna, che non porta a conclusioni univoche perché le api da miele, quelle domestiche e i bombi tedeschi hanno resistito bene ai neonicotinoidi, al contrario di quanto avvenuto negli altri paesi. Nel frattempo, tra le cause della crisi delle api vengono prese in considerazione varie infezioni da parassiti, altri insetticidi dati in contemporanea ai neonici, il riscaldamento globale, l’inquinamento, la siccità e altri fattori ambientali e antropici, e molti dubitano dell’efficacia dei neonicotinoidi. Il dibattito pro e contro infuria senza esclusione di colpi, con accuse di complicità con le multinazionali (in primo luogo Bayer e Syngenta, i principali produttori), dati truccati e altre argomentazioni molto pesanti. Secondo Nature ciò che è sicuramente tossico è il dibattito, che sarà ben difficile riportare su un piano di razionalità e di numeri credibili. Ma è indispensabile fare ogni sforzo per giungere a una verità condivisa, anche perché i neonicotinoidi sono ormai diffusi in tutto il mondo, come ha dimostrato uno studio pubblicato su Science poche settimane prima: tra il 2012 e il 2016, analizzando 198 campioni di miele provenienti da decine e decine di paesi per la presenza di cinque di essi – l’imidacloprid, l’acetamiprid, la clotiandina, il tiacloprid e il tiametoxan –, i ricercatori dell’Università di Neuchatel, in Svizzera, hanno dimostrato che il 75% del miele ne contiene almeno uno, il 45% due o più e il 10% quattro o cinque, anche se le concentrazioni rilevate sono generalmente al di sotto dei limiti di legge. Nello stesso periodo la catastrofe degli alveari è diventata realtà quasi ovunque: una strana coincidenza, troppo importante per essere ignorata. (Articolo di Agnese Codignola) Fonte: www.ilfattoalimentare.it
  • 7. Usa, diminuisce il consumo di bevande zuccherate. Calo in tutte le fasce d’età ma livello ancora elevato tra adolescenti e giovani adulti. Tra il 2003 e il 2014, il consumo di bevande zuccherate negli Stati Uniti è diminuito in tutte le fasce di età ma rimane ancora elevato tra adolescenti e giovani adulti. Resta particolarmente alto tra la popolazione afro-americana, gli originari del Messico e bambini, adolescenti e giovani adulti ispanici non messicani, che sono i gruppi a maggior rischio di obesità e di diabete di tipo 2. Tra gli adulti bianchi il consumo risulta in diminuzione in tutti i gruppi di età. Lo rileva uno studio pubblicato dalla rivista Obesity e condotto da ricercatori dell’Università di Harvard, che hanno utilizzato i dati ufficiali della Nutrition Examination Survey riguardanti 18.600 bambini e adolescenti, e 27.652 adulti oltre i vent’anni, intervistati sul consumo di bevande di vario tipo (bibite zuccherate, succhi di frutta 100%, bibite dietetiche, latte, caffè e tè non zuccherati, alcolici e acqua) nelle 24 ore precedenti. I bambini e gli adolescenti tra i 2 e i 19 anni di età che avevano bevuto bevande zuccherate sono scesi dal 79,7% del 2003 al 60,7% del 2014, mentre tra gli adulti si è passati dal 61,5% al 50%. In termini di calorie giornaliere per persona provenienti da bevande zuccherate, tra bambini e adolescenti si è scesi da 224.6 a 132.5 calorie, mentre tra gli adulti si è passati da 190.4 a 137.6 calorie. (Articolo di Beniamino Bonardi) Fonte: www.ilfattoalimentare.it
  • 8. Mozzarella: come distinguere i veri prodotti artigianali. I segreti dell’etichetta e la verità sul prezzo. Le mozzarelle non sono tutte uguali. Basta un pizzico di attenzione per decodificare le diciture in etichetta e qualche nozione sulle modalità di lavorazione per riuscire a distinguere un prodotto dall’altro. In questa operazione ci aiuta il decalogo “Il manifesto della mozzarella: le 10 cose da sapere prima di comprarla” curato da Michele Faccia docente di Scienze e tecnologie degli alimenti all’Università di Bari. La prima cosa da sapere è che scegliere una mozzarella prodotta da un piccolo e oscuro caseificio non è sinonimo di prodotto artigianale di alta qualità (anche una piccola azienda può utilizzare metodi industriali e cagliate pronte importate dall’estero). Per distinguere un prodotto artigianale da uno ottenuto con tecniche industriali, bisogna iniziare a leggere le etichette. La produzione della mozzarella prevede l’acidificazione del latte, che tradizionalmente viene fatto sfruttando la fermentazione batterica, coadiuvata dall’aggiunta del siero innesto naturale. Questa operazione può richiedere fino a quattro ore di tempo e incide in modo significativo sull’intera fase produttiva. Il vantaggio è che questo metodo di lavorazione rende la mozzarella più saporita e anche più digeribile. I fermenti lattici, infatti, consumano fino all’80% del lattosio contenuto nel latte e infondono un sapore tipico. L’acidificazione industriale si ottiene aggiungendo acido citrico al latte ed è molto più rapida. L’aspetto delicato della questione è che la normativa non obbliga i produttori ad indicare in etichetta l’aggiunta di acido citrico. Nonostante ciò la maggior parte dei caseifici sceglie comunque di riportarne la presenza nella lista degli ingredienti. Questa decisione è fondamentale per il
  • 9. consumatore. Una mozzarella prodotta con metodi artigianali richiede fino a quattro ore di lavoro in più, per l’acidificazione con fermenti lattici Dunque una mozzarella ottenuta con metodi industriali avrà come ingredienti “latte, caglio, sale, correttore di acidità: acido citrico” (anche indicato come E330). Quelle realizzate in maniera artigianale avranno invece “latte, caglio, sale, fermenti lattici”. Sono possibili anche scenari intermedi in cui, per velocizzare un po’ la produzione e mantenere comunque un sapore più ricco, i produttori utilizzino sia fermenti lattici che acido citrico. Un’indicazione che invece difficilmente si troverà in etichetta è quella dell’uso di cagliata conservata. La legge non obbliga i produttori a riportare la specifica in etichetta e infatti nessuno lo fa. Anche con l’introduzione dell’obbligo di indicare l’origine del latte utilizzato, in vigore dal 19 aprile 2017, la scelta di specificare l’uso della cagliata (spesso straniera) viene lasciata alle aziende. Nell’etichetta di una mozzarella ottenuta con semilavorati (come la cagliata congelata) dovrebbero essere indicati i seguenti ingredienti: cagliata, acqua, sale, seguiti dagli additivi: acido citrico, lattico e, a volte, sorbato di potassio. Questo tipo di mozzarella ha un gusto povero e, se la cagliata è stata conservata a lungo, il sapore si avvicina più a quello del formaggio che al latte fresco. Fonte: www.ilfattoalimentare.it
  • 10. Caciotta toscana da latte dell’Appennino, denominazione e origine. Risponde l’avvocato Dario Dongo. Caro avvocato Dongo, La nostra cooperativa produce al Mugello, a nord di Firenze, una caciotta di latte vaccino che si vorrebbe appunto chiamare “caciotta toscana”. Vorremmo perciò capire se possiamo utilizzare questo nome, e come comportarci nelle dichiarazioni d’origine del latte. Visto che impieghiamo materia prima locale e anche dell’Appennino tosco-emiliano, cioè di provenienza contigua ma pur diversa dal “Granducato di Toscana”. Molte grazie Andrea Risponde l’avvocato Dario Dongo, Ph.D. in sicurezza alimentare Caro Andrea, In Toscana vi sono alcune caciotte che rientrano nel d.m. MiPAAF 18.6.2015. In particolare caciotta dolce e stagionata, entrambe di latte vaccino. Se sono prodotti tradizionali potrebbero esservi ricette e preparazioni registrate, ad esempio presso la CCIIAA. Il che, in linea di massima, non costituisce un problema. L’unico prodotto riconosciuto a livello europeo è invece il pecorino toscano DOP. Senza disturbare altrui disciplinari, l’indicazione di origine o provenienza ‘caciotta toscana’ può quindi venire utilizzata proprio in quanto veritiera e dimostrabile. A maggior ragione in quanto indicazioni territoriali di maggior dettaglio sono riconosciute in quanto legittime proprio nel decreto origine latte del 9 dicembre 2016.
  • 11. La circostanza poi che la provenienza del latte abbia estensione regionale più ampia non è ostativa, poiché l’origine del prodotto è attribuita al luogo di sua ultima trasformazione sostanziale. Suggerisco peraltro, in ottica di trasparenza e valorizzazione del cacio, di aggiungere apposite notizie volontarie in etichetta. Sì da mostrare che – nell’ambito della ‘origine Italia’ – la provenienza del latte trasformato al Mugello sia quella dell’Appennino tosco-emiliano. Il quale, va da sé, abbraccia anche la regione Emilia-Romagna. Un caro saluto e a presto Dario Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com Pasta all’uovo integrale, più fibre? Risponde l’avvocato Dario Dongo. Caro Dario, Ho trovato da Conad la confezione di pasta all’uovo integrale a marchio Luciana Mosconi, le foto qui allegate. Il prodotto è ottimo, ma ho il dubbio che l’etichetta sia del tutto corretta. Sempre lieto di leggere i Tuoi commenti Un caro saluto Alessandro Risponde l’avvocato Dario Dongo, PhD in diritto alimentare europeo Caro Alessandro buongiorno, l’etichetta in esame presenta in effetti alcune criticità, in particolare per quanto attiene all’indicazione che figura sul fronte etichetta, ‘con più fibre’. L’avverbio ‘più’ sottintende infatti una comparazione, ed essendo riferito alle fibre
  • 12. alimentari si qualifica come claim nutrizionale comparativo. Il ‘Nutrition and Health Claims Regulation’ (NHC), a tale riguardo, prescrive l’identificazione e l’indicazione in etichetta di un termine di paragone. (1) Il quale – secondo costante interpretazione dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM, c.d. Antitrust) – deve essere rappresentato dalla media dei prodotti più venduti sul mercato di riferimento (in questo caso, in Italia) che appartengono alla medesima categoria. Le tagliatelle integrali Luciana Mosconi tuttavia non riportano in etichetta alcun cenno al termine di raffronto che oltretutto, secondo l’AGCM, dovrebbe ‘avere la medesima evidenza grafica del claim’. Per ovviare a questa criticità, l’operatore dovrebbe demandare a una società specializzata (es. Nielsen, Symphony-IRI) un’apposita indagine di mercato, estrarre il valore medio delle fibre contenute nei prodotti più venduti e raffrontarlo con quello del proprio prodotto. Qualora il tenore di fibre risulti superiore di almeno il 30% rispetto alla media, si potrà quindi riportare il claim comparativo ‘più fibre’. A ben vedere tuttavia, nel caso di specie la soluzione più semplice è quella di rinunciare alla comparazione e utilizzare un semplice claim nutrizionale del tipo ‘contiene fibre’ o ‘fonte di fibre’. ‘FONTE DI FIBRE L’indicazione che un alimento è fonte di fibre e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene almeno 3 g di fibre per 100 g o almeno 1,5 g di fibre per 100 kcal.’ (reg. CE 1924/06, Allegato) La pasta all’uovo integrale in questione infatti, secondo quanto riportato in dichiarazione nutrizionale, contiene 3,6 grammi di fibre. Sono quindi soddisfatte le condizioni per riportare il claim sopra citato. La dichiarazione nutrizionale è altresì irregolare, sotto diversi aspetti: – il formato tabellare deve venire applicato alla dichiarazione, non ravvedendosi
  • 13. ostacoli di spazio, – le fibre sono collocate in fondo alla dichiarazione, laddove dovrebbero invece precedere le proteine, – sale e fibre, al pari dei nutrienti, vanno esposti in grammi e non in percentuale, – le unità devono venire separate dai decimali attraverso virgole, anziché punti. Altro tema degno di approfondimento e verifica è il riferimento laudativo a ‘farine migliori’. Tale affermazione dovrebbe venire sostenuta da argomenti specifici e dati idonei a mostrare perché le farine in questione siano ‘migliori’ rispetto a quelle impiegate in altri prodotti. (2) Cordialmente Dario Note (1) Cfr. reg. CE 1924/06 e successive modifiche, Considerando 20 e articolo 9 (2) Ricorrendosi, altrimenti, nel divieto di cui al reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com