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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Facoltà di Sociologia
Corso di laurea in Management e design dei servizi
Capitale sociale e coworking
“La realtà di 1Lab”
Capitale sociale e sistemi socioeconomici sociali
A cura di: Maddalena Caon, 808811
Andrea Castiglioni, 728771
Simone D’Amora, 811565
Diana Schillaci, 763491
Anno Accademico 2015/2016
La realtà di 1Lab 2015/2016
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INDICE
1. Introduzione
2. Oggetto della ricerca
3. Teorie di riferimento
3.1. Il Coworking come luogo di condivisione
3.2. Il Coworking come fonte di capitale sociale
4. Disegno della ricerca
4.1. Domande di ricerca
4.2. Metodologia
5. Interviste al responsabile ed ai coworkers
6. Analisi dei dati
7. Conclusione
8. Bibliografia
La realtà di 1Lab 2015/2016
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1. Introduzione
Nell’attuale contesto lavorativo, che è caratterizzato da un’elevata competizione e
dalla necessità di ottimizzare tutte le risorse a disposizione, non ultime quelle umane,
stanno acquisendo sempre maggiore importanza la creatività e le competenze
individuali. La necessità di offrire sul mercato prodotti e servizi sempre più complessi
ed innovativi richiede un elevato numero di lavoratori indipendenti altamente
qualificati, dotati di conoscenze specifiche da applicare ai progetti su commissione. Tra
i numerosi fattori che determinano il successo vi è anche la capacità di integrazione e
collaborazione di professionalità e personalità molto diverse tra loro, ponendo
l’attenzione non tanto sul singolo quanto sulla rete in cui esso è inserito.
L’indipendenza di molte professioni e le nuove tecnologie informatiche, che spesso
portano il lavoratore a svolgere la propria attività a casa, quindi isolato dai colleghi, si
contrappone alla necessità di coltivare nuove relazioni sociali. Come conseguenza di
questa trasformazione socio economica nasce un nuovo modo di lavorare, innovativo e
che cerca di conciliare questi due aspetti: il coworking. Esso consiste in una struttura,
variabile per dimensione e servizi offerti, che mette a disposizione di coloro che vi si
recano per lavorare (i cosiddetti coworkers) diverse postazioni di lavoro, sia open space
sia uffici individuali. Tali postazioni sono affittabili singolarmente o in gruppo (ad
esempio, un team di cinque persone può affittare uno spazio in un coworking e
lavorare lì piuttosto che in azienda) e sono locate in spazi condivisi che incentivano la
socializzazione, il confronto e la collaborazione. L’ideologia di fondo si basa
sull’importanza dell’interazione tra persone diverse, così da permettere al singolo di
allargare il proprio network di relazioni, ma anche di acquisire nuove conoscenze.
Inoltre, l’apertura di questi spazi può anche avere un effetto di riqualificazione del
territorio, poiché permette il riutilizzo di spazi abbandonati o in disuso, come nel caso
del coworking di cui ci siamo occupati.
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2. Oggetto della ricerca
L’oggetto della nostra ricerca, come abbiamo già detto, è il coworking; il significato
letterale di questo termine è “lavorare insieme”. Abbiamo analizzato in modo
teorico ed empirico questa nuova realtà professionale che incentiva la condivisione
di un ambiente di lavoro all’interno di una struttura attrezzata ed organizzata. Il
suo target di riferimento è molto vario ed ampio: spazia da professionisti qualificati
che svolgono un'attività indipendente, come possono essere gli avvocati ed i notai,
ai lavoratori dipendenti. Entrando nello specifico, la nostra analisi empirica si è
focalizzata su 1Lab, un coworking situato nella zona della Stazione Centrale di
Milano al cui interno è presente anche un job club. Tuttavia, esso non era attivo nel
periodo in cui è stata fatta la nostra indagine e pertanto non abbiamo potuto
condurre delle indagini approfondite su di esso.
Il coworking 1lab è un’estensione di un’agenzia per il lavoro chiamata Articolo1
Soluzioni HR, ed è nato soprattutto grazie alla spinta del Dottor Luca Chiappetti (da
noi intervistato), coadiuvata dagli investimenti dei proprietari della stessa agenzia e
da alcuni finanziamenti del Comune di Milano. Per questo motivo, oltre a prendere
in considerazione gli elementi principali cui si pensa quando si parla di coworking,
quali l’incremento delle conoscenze, della collaborazione e del capitale sociale,
abbiamo cercato di capire anche il perché creare un coworking all’interno di un
ambiente particolare come quello di un’agenzia interinale.
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3. Teorie di riferimento
3.1 Il Coworking come luogo di condivisione
Il termine coworking indica la condivisione di uno stesso ambiente fisico di lavoro da
parte di singoli individui o di gruppi che svolgono attività tra loro indipendenti.
L’incentivo più evidente che spinge ad usufruire di tali strutture è la possibilità, per la
singola attività economica, di ridurre alcuni costi di esercizio. Tuttavia, nella realtà il
termine coworking ha assunto un significato più ampio che include lo sviluppo di un
senso di appartenenza collettiva che accomuna persone con una concezione del lavoro
più moderna, aperta al confronto e che valorizzi la diversità delle esperienze
individuali. Quindi, possiamo affermare che il fenomeno dei coworking si inserisce
nella categoria della sharing economy: una nuova economia della condivisione che si
sta diffondendo negli ultimi anni, nata soprattutto grazie ad internet ed alle altre
tecnologie che hanno consentito di abbattere sensibilmente i costi per comunicare e
far viaggiare le informazioni. La condivisione è una pratica di lunga data che, oltre a
creare nuovi metodi di approvvigionamento di beni e servizi, costruisce opportunità di
“consumo collaborativo”. Le pratiche di condivisione che si sono diffuse negli ultimi
anni sono principalmente quattro:
- la circolazione dei beni, tra cui rientra l’informazione
- lo scambio di servizi
- l’ottimizzazione nell’uso delle risorse
- la costruzione di relazioni sociali
Il coworking può essere inserito all’interno della terza e della quarta categoria. Infatti,
esso è un sistema che permette di ottimizzare l’utilizzo di un bene durevole, come un
ufficio con annessi vari strumenti di lavoro (wi fi, stampanti, fax, ...), ma offre anche
molti spazi in condivisione, il che è un incentivo alla socializzazione ed alla
collaborazione. L’obiettivo è, quindi, quello di creare un maggiore collegamento sociale
che consenta di ampliare la propria rete di relazioni, ma anche la formazione di nuove
conoscenze.
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Pertanto, possiamo dire che il coworking abbia sia una motivazione economica, poiché
permette di ridurre i costi che si avrebbero acquistando un proprio spazio personale,
sia una motivazione di tipo sociale, in quanto aiuta a costruire reti sociali. A ciò
possiamo aggiungere anche un obiettivo di riqualificazione del territorio nel caso in cui
la struttura sorga in un edificio abbandonato o in disuso. Inoltre, bisogna valutare
anche i benefici derivanti dal far sorgere il coworking in luoghi ben collegati e
raggiungibili grazie ai mezzi pubblici: in momento storico come quello attuale,
caratterizzato da un’attenzione ed una cura dell’ambiente più alte che in passato, è un
ulteriore modo per migliorare la qualità della vita della propria città, riducendo
l’inquinamento.
Basandosi sulla classificazione dell’economista Michael Polanyi (da non confondere
con Karl Polanyi), il coworking può essere inserito all’interno della pratica della
collaborazione. Le forme collaborative hanno un effetto positivo sui costi e rendono il
mercato più efficiente, in quanto se vi è fiducia tra le parti vengono meno alcuni costi
di transazione e di controllo, oltre a ridursi i tempi della transazione stessa.
Collaborare, inoltre, permette l’uso comune di beni materiali rivali ma sotto utilizzati,
cioè tutti quei beni che sono rivali nel consumo (l’utilizzo da parte di una persona ne
preclude l’uso da parte di un’altra), ma che non sono ottimizzati, cioè potrebbero
essere allocati meglio, in modo più efficiente. Pur rimanendo una pratica troppo
debole per risollevare le sorti dell’economia, i coworking sono sicuramente un modo
nuovo di lavorare, ancora inesplorato in tutti i suoi aspetti, quindi con dei margini di
miglioramento e che pertanto possono condurre a considerevoli vantaggi economici,
politici e sociali. Polanyi, quindi, ha una visione utilitaristica della collaborazione: la
ritiene un mezzo per raggiungere un fine (ridurre tempi e costi).
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3.2 Il Coworking come fonte di capitale sociale
Il termine coworking è stato utilizzato per la prima volta dall’ingegnere informatico
Brad Neuberg, che nel 2005 ha fondato a San Francisco lo spazio Hat Factory, e ne ha
dato la seguente definizione:
“Di solito la società ci obbliga a scegliere fra lavorare a casa in proprio o lavorare in
ufficio per una compagnia. Se lavoriamo per una compagnia in modo tradizionale […]
abbiamo comunità e struttura, ma perdiamo la libertà e la possibilità di controllare le
nostre vite. Se lavoriamo in proprio a casa, guadagniamo indipendenza, ma soffriamo
la solitudine e siamo soggetti a quelle cattive abitudini che derivano dal non essere
circondati da una comunità lavorativa. Il coworking è una soluzione a questo problema.
Con il coworking scrittori, programmatori e creatori indipendenti si trovano insieme in
comunità alcuni giorni alla settimana. Il coworking ti dà l’ufficio tipico del classico
lavoro per un’azienda, ma in un modo assolutamente unico” (Neuberg in Jones,
Sundsted, e Bacigalupo 2009, 9, trad. di Lucia Parrino).
Ciò che contraddistingue un coworking dagli altri spazi di lavoro è che all’interno di
esso si sviluppa un senso di comunità e di appartenenza tra persone che svolgono un
lavoro indipendente. “Gli spazi di coworking forniscono sia uno spazio lavorativo sia
(un senso di) comunità a quelle persone che spesso lavorano da sole” (Centre for Social
Innovation 2010, 16, trad. di Lucia Parrino). La condivisione degli spazi favorisce
l’instaurarsi di relazioni sociali: l’essere umano si caratterizza e distingue dagli altri
animali, tra le tante cose, per il fatto di essere “un animale sociale” (Aristotele). Di
conseguenza, l’individuo non può essere inteso come un’unità a sé stante, ma come un
soggetto sociale inserito in un mondo di scambi e relazioni. L’insieme di queste
relazioni costituisce il capitale sociale di un individuo.
Uno dei primi studiosi che ha analizzato il concetto di capitale sociale è stato il
sociologo e filosofo francese Pierre Bourdieu, definendolo come l’insieme delle risorse
(da lui definite liasons) derivanti dall’appartenenza ad un gruppo. Il volume e la qualità
del capitale sociale di un individuo dipendono sia dall’estensione della propria rete di
relazioni sia dallo stesso capitale di coloro che fanno parte di tale rete. La rete di
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liasons di ognuno di noi non è un dono naturale, ma dipende dalla propria capacità di
instaurare rapporti durevoli e utili che permettano di ottenere dei benefici; è la
risultante di un processo continuo.
James Coleman ha fornito una propria definizione. Egli identifica il capitale sociale,
costituito dalle relazioni sociali in possesso di un individuo, come un insieme di risorse
che costui può utilizzare, congiuntamente ad altre risorse, per meglio perseguire i
propri fini. Coleman, quindi, ci riporta ad una visione strumentale del capitale sociale,
molto simile a quella di Polanyi.
Altri autori, invece, ne sostengono un concetto differente. La sociologa ed economista
Elinor Ostrom sostiene la necessità di un rapporto di fiducia reiterata tra gli individui,
affinché essi non agiscano solo per meri scopi egoistici. La studiosa individua tre
elementi chiave per far avvenire ciò:
- l’affidabilità, con cui si fa riferimento alle caratteristiche del “fiduciario”
affinché risulti affidabile al “fiduciante”
- le reti sociali, poiché il fiduciario immesso nella rete sa che è nel suo interesse
collaborare e mantenere la relazione (vedi anche la “teoria del principale
agente”, o teoria principal agent, per un ulteriore esempio)
- le istituzioni, che sono un importante forma di capitale sociale che fornisce
informazioni sufficienti per accrescere la probabilità che i fiduciari collaborino,
favorendo le azioni collettive
Alla base di tutto ciò, vi è un’importantissima convinzione, senza la quale tutto il
nostro lavoro verrebbe meno: i risultati ottenuti da un’azione collettiva efficiente
producono dei benefici maggiori a tutti i membri della società. Collaborare, creare
relazioni, aumentare il capitale sociale, alla fine porterà alla creazione di sinergie non
ottenibili se ognuno pensasse solo per sé e non per la collettività. Per avere
un’immagine semplice ma efficace di questo concetto, è come se la somma di cinque
fattori, ognuno con un valore di 1, non desse come risultato 5 ma 6 o di più. E’
un’importante conquista, supportata da numerosi studi, come “La teoria dei giochi”.
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Anche altri autori condividono una posizione simile, sostenendo come la
collaborazione e la cooperazione possano portare vantaggi alla collettività nel suo
complesso.
Secondo Alessandro Pizzorno, si costituisce capitale sociale in due casi:
- quando si determinano relazioni basate su legami forti e su principi di
solidarietà di gruppo
- quando si instaurano relazioni basate sulla “forza dei legami deboli”
(Granovetter). Celeberrimo in questo caso è l’esperimento condotto Nel 1967
dallo psicologo americano Stanley Milgram: selezionò, in modo casuale, un
gruppo di statunitensi del Midwest e chiese loro di spedire un pacchetto a un
estraneo che abitava nel Massachusetts, a diverse migliaia di chilometri di
distanza. Ognuno di essi conosceva il nome del destinatario, il suo impiego e la
zona in cui risiedeva, ma non l'indirizzo preciso. Fu quindi chiesto a ciascuno
dei partecipanti all'esperimento di spedire il proprio pacchetto a una persona
da loro conosciuta che, a loro giudizio, poteva avere la maggiore probabilità di
conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe fatto lo stesso, e così
via, fino a che il pacchetto non fosse stato consegnato al destinatario finale.
Milgram si aspettava che il completamento della catena avrebbe richiesto
almeno un centinaio di intermediari, rilevando invece che i pacchetti, per
giungere al destinatario, richiesero in media solo tra i cinque e i sette passaggi
Secondo Pizzorno, “si potrebbe avanzare l’idea che una teoria del capitale sociale
viene a coincidere con una teoria della riproduzione della socialità; non soltanto,
quindi, dei processi attraverso i quali un soggetto d’azione utilizza le strutture sociali
per perseguire i propri fini singolari, bensì anche dei processi attraverso i quali le stesse
relazioni interpersonali di riconoscimento vengono prodotte e riprodotte a formare il
tessuto della socialità”. Quindi, oltre ad essere una risorsa strategica individuale che
permette di portare a termine i propri obiettivi, il capitale sociale ha effetti positivi
sulla collettività.
Anche il sociologo Robert Putnam sostiene che l’instaurarsi di relazioni sociali migliora
lo stare in società. Infatti esse, basandosi su fiducia e cooperazione, risolvono i
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problemi derivanti da azioni egoistiche, facendo diminuire le ostilità e favorendo il
progresso. Tali relazioni, inoltre, migliorano ed incentivano il flusso delle informazioni
utili anche per il raggiungimento di scopi individuali, portando benefici al singolo e
migliorando il suo benessere complessivo.
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4. Disegno della ricerca
4.1 Domande di ricerca
Fino a questo punto, per condurre la nostra analisi abbiamo posto l’attenzione sulla
definizione teorica di coworking e sulle principali teorie sociologiche di riferimento per
comprendere meglio il fenomeno. Da adesso in poi, ci concentreremo sull’indagine
empirica, per cercare di capire se ciò che è stato trattato in letteratura trova
fondamento nella realtà.
Prima di mettere in atto la nostra indagine, ci siamo posti i seguenti interrogativi:
- Come funziona un coworking?
- È davvero possibile che uno spazio di coworking stimoli lo sviluppo di relazioni
che ampliano il capitale sociale di un individuo?
- E’ possibile che tale effetto sia positivo anche per la società nel suo
complesso?
Di seguito, coadiuvati dalla nostra analisi empirica, cercheremo di rispondere a tali
interrogativi.
4.2 Metodologia
L’obiettivo del lavoro è quello di capire i motivi che portano un soggetto a realizzare un
coworking, perché un soggetto preferisce svolgere la propria attività lavorativa
all’interno di un “cowo” anziché in un ordinario ufficio ed infine studiare le relazioni
sociali all’interno: se ne nascono, di che tipo ed a cosa si limitano.
Per riuscire ad ottenere le informazioni utili per rispondere alle nostre domande è
stato necessario in primo luogo reperire più informazioni possibili attraverso la
visualizzazione dei siti web, le quali riguardano i fondatori, i servizi offerti, i prezzi,
l’anno di fondazione di tutti i coworking. Successivamente, è stato fondamentale
recarsi sul posto ed intervistare sia il responsabile del coworking sia i coworkers
(coloro che hanno affittato una postazione all’interno della struttura e vi si recano
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regolarmente per lavorare). Abbiamo posto loro una serie di domande
precedentemente stabilite e, contemporaneamente, abbiamo registrato le interviste.
Ciò è servito per un successivo lavoro di sbobinatura utile ad analizzare nel migliore dei
modi le informazioni ottenute. Alcune domande erano uguali sia per il coworker sia
per i coworkers; riguardavano la formazione, la professione e la soddisfazione del
proprio lavoro. Altre domande erano più specifiche: al responsabile sono stati chiesti i
motivi che l’hanno spinto a fondare il coworking, il percorso di costituzione dello
stesso, l’ideologia che ne sta alla base ed infine il livello di soddisfazione raggiunto. Ai
coworkers abbiamo chiesto i motivi che li hanno spinti a scegliere questo nuovo spazio
di lavoro, il livello di soddisfazione e se si sono formati rapporti e relazioni che
proseguono anche dopo l’attività lavorativa, così da ottenere rapporti duraturi con
l’obiettivo di far crescere il proprio network di conoscenze ed il capitale sociale.
Il metodo utilizzato per svolgere la nostra analisi risulta essere di tipo qualitativo e non
quantitativo. Quest’ultimo metodo è costituito da un insieme di tecniche che ricorrono
ad aspetti di tipo matematico o scientifico, e prevedono un gran numero di intervistati,
almeno cinquanta (il numero varia a seconda dei casi). L’analisi di tipo qualitativa,
invece, ricorre ad indagini approfondite, eseguite su un campione molto più contenuto
in modo da poter ottenere più informazioni possibili, utilizzando tecniche che spaziano
da interviste a brainstorming, focus group, questionari sulla soddisfazione, indagini sul
campo ed altro.
La scelta di questo metodo ci è sembrata la più adatta per poter raggiungere nel
miglior modo possibile il nostro obiettivo. Dovendo comprendere una situazione
complessa ed articolata, non sarebbero stati sufficienti dei brevi questionari di
soddisfazione con domande standardizzate, ma abbiamo trascorso oltre mezz’ora con
ognuno dei nostri intervistati, cercando di non trascurare nessun dettaglio e di non
farci fuorviare da possibili risposte “politiche”. Infine, abbiamo cercato di capire se
questo nuovo modo di lavorare avesse particolari difetti o generasse problemi.
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5. Interviste al responsabile ed ai coworkers
Il coworking 1lab nasce all’interno di Articolo 1 Soluzioni HR, che è un’agenzia per il
lavoro. E’ una società a conduzione famigliare secondo il modello della SRL
Unipersonale. Il responsabile dell’agenzia è il Dottor Luca Chiappetti il quale, circa due
anni fa, si interessò ad un bando del comune di Milano che offriva incentivi per la
creazione degli spazi di coworking. Avendo lui già avuto modo di conoscere e
sperimentare, seppur brevemente, tale realtà all’estero, fu molto interessato all’idea.
Così decise di parlarne con la proprietà di Articolo 1, la quale si dimostrò interessata,
ma prima cercò di capire se vi fosse un modo per riuscire ad interagire con il comune:
lo scopo era quello di riuscire a partecipare al bando per poi poter realizzare il
coworking. Come si sarà ormai intuito, il tutto ha avuto successo: il comune ha
approvato il progetto pervenutogli e si è impegnato ad erogare un finanziamento di
circa 20.000€.
Esaminiamo ora, più nel dettaglio, quella che è la realtà del coworking 1lab, partendo
dal suo fondatore. Il Dott. Luca Chiappetti è nato a Milano ed ha quarantacinque anni.
Ha studiato ragioneria e poi si è iscritto a scienze politiche, ad indirizzo sociologico e
politico. Una volta conseguita la laurea ha lavorato presso Adecco, un’altra agenzia per
il lavoro, come responsabile della filiale di Milano per cinque anni. Successivamente, si
è trasferito nella zona di Saronno ed è diventato responsabile di due filiali della zona.
Dopo circa dieci anni in Adecco è stato assunto da una società che si occupava di
ricerche di mercato, in particolare di rilevazione a scaffale di tutto ciò che era esposto
all’interno di grandi magazzini come MediaWorld ed Euronics. In seguito, è tornato nel
mondo delle agenzie del lavoro e, dopo averne cambiate alcune, è stato assunto da
Articolo 1 nel 2012, prima come responsabile dell’area Milano poi anche dell’area
Varese. Da Ottobre dell’anno scorso (2015) è stato incaricato di portare avanti quella
che è l’implementazione delle politiche attive sulla regione Lombardia: si occupa di
capire ed esaminare tutte quelle che sono le doti lavorative richieste al giorno d’oggi e
tutto quello che riguarda l’ambito dei bandi, sia italiani sia europei, per fare in modo di
essere presenti anche su un mercato che ad oggi ci vede distanti, come quello dei
coworking. Il responsabile del coworking, durante l’intervista, ha spiegato uno dei
motivi che ha portato alla realizzazione di questa nuova realtà:
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“Ho visto negli ultimi anni, seguendo tutta una serie di percorsi di rete, che sono la
strada che hanno permesso a molte aziende di uscire dalla crisi, di non entrarci o di
arrivare a determinate realtà sia produttive che distributive che prima neanche
potevano avere da sole. Anche cooperando con quelli che erano i loro competitor
istituzionali su determinati settori e aree dove c’era una possibilità di cooperare senza
andare a confliggere, hanno ottenuto degli ottimi risultati”.
Entrando invece nello specifico di 1Lab, tale realtà è stata realizzata pensando che ciò
avrebbe portato dei vantaggi ad Articolo 1. Più precisamente, si pensava alla possibilità
di entrare in contatto con le aziende. Articolo 1 è una società interinale, quindi da
questo punto di vista avere delle aziende all’interno della struttura permette di avere
scambi più efficaci. Questa strategia ha avuto successo, infatti Fiabilis, società spagnola
che ha scelto di “appoggiarsi” su un coworking, ha iniziato a collaborare in modo
stretto con 1Lab. Un altro motivo che ha portato alla realizzazione del coworking era
l’elevato interesse ad entrare in contatto con un’istituzione importante quale il
comune di Milano.
Il coworking 1Lab è situato in una posizione strategica, più precisamente vicino alla
stazione Centrale di Milano; ciò permette a tutti gli utenti di poter raggiungere la
struttura nel modo più semplice e comodo possibile, con un notevole risparmio di
tempo, costi ed una riduzione delle emissioni di CO2 usando i mezzi pubblici invece
delle automobili.
1Lab è un coworking di medio piccole dimensioni; i servizi che offre sono studiati per il
target specifico e, confrontato con altri coworking di grandi dimensioni, ha strategie e
relazioni molti differenti. Ospitare ogni giorno migliaia di persone diverse, implica
l’applicazione di regole rigide per riuscire a gestirle adeguatamente. Dal canto suo,
1lab può ospitare quaranta persone al massimo, il che consente di offrire servizi ed
imporre tariffe ad hoc. Ad esempio, è possibile applicare una tariffazione specifica per
ognuno in base alla sue esigenze, oppure ridurre il prezzo a fronte del non utilizzo di
alcuni dei servizi offerti. Tutto ciò garantisce la massima flessibilità e personalizzazione
dell’offerta, ma, ripetiamo, è fattibile solo in virtù del numero di coworkers
relativamente basso. In particolare, 1lab mette a disposizione: una sala riunioni, venti
postazioni di open space adattabili a seconda delle esigenze, tre uffici individuali, una
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sala relax, stampanti, fax, wi fi, sala fumatori, rete telefonica. Un coworker potrebbe,
ad esempio, rinunciare all’uso della stampante e del fax pagando di meno. L’idea di
fondo, comunque, è quella di avere spazi condivisi, non ambienti dove opera
solamente una persona, il che si evince dal ridotto numero di uffici individuali (solo
tre).
Il finanziamento di 20.000€ è il massimo che offre il Comune di Milano per un
coworking, ed è stato possibile ottenerlo grazie all’ampia gamma di servizi che il
coworking stesso offre. Infatti, ci sono degli standard che devono essere rispettati
poiché sono stati imposti dal bando del Comune. Il bando distingue tra coworking di
tipo A e C, i quali prevedono due tipi di offerte. 1lab è di tipo A, in quanto offre una
reception, delle stampanti, una sala break, uno spazio per poter fumare, uno spazio
per le riunioni, accesso per i disabili ed una rete wi fi. Pertanto è riuscito ad ottenere il
massimo finanziamento previsto.
Attualmente 1Lab ospita un grosso cliente, l’azienda spagnola Fiabilis, che detiene
tredici postazioni open space sulle venti disponibili, ma sta comunicando la forte
volontà di crescere di almeno altre dieci postazioni dati gli ottimi risultati ottenuti
anche grazie alla collaborazione ed alle sinergie generatesi nel coworking. Il contratto
con Fiabilis dura un anno e prevede un costo complessivo di 4200€ per tredici persone,
quindi circa 325€ a testa al mese. All’interno del coworking, sono presenti attualmente
anche una psicologa ed una libera professionista che, una volta abbandonata l’attività
lavorativa dell’azienda dove stava operando per motivi personali, si è messa in proprio
nell’ambito del web design. Purtroppo, non sono frequentatrici assidue del coworking,
vi si recano poche volte alla settimana ed in giorni variabili, quindi non siamo riuscite
ad intervistarle.
Dalla nostra indagine, è emerso che la situazione attuale di 1Lab sia molto positiva, e ci
sono progetti che portano non solo al mantenimento della struttura ma ad un
continuo miglioramento della stessa. Uno dei pochi problemi emersi è che il rimborso
previsto dal bando del comune non è ancora arrivato. A tal proposito, comunque, il
Dott. Chiappetti non è preoccupato, ed ha affermato:
“Sono molto soddisfatto anche se per ora i soldi non sono arrivati, ma dovrebbero
arrivare 20.000€, considerando anche che li abbiamo già spesi tutti (risate). Il bando
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prevedeva il rimborso del 50% delle spese fatte per attivare il coworking, con un tetto
di 20.000€, e noi li abbiamo ottenuti tutti. Sono molto soddisfatto di ciò”.
E’ molto positivo anche il giudizio dell’amministratore delegato di Fiabilis Italia, lo
spagnolo José Antonio García de Leániz Caprile, dati i risultati che la sede centrale in
Spagna ha riscontrato. Per quanto riguarda i motivi che lo hanno spinto a scegliere un
coworking ha affermato:
“Sono venuto in Italia da solo e ho incominciato a formare il mio team di lavoro. Prima
ho assunto due persone, ingegneri informatici, poi il numero è cresciuto, fino ai dodici
attuali (più lui tredici). Il problema è che nessuno in Italia affittava l’ufficio per meno di
tre anni, e non sapevo se dopo quel periodo sarei ancora stato qui e di quanto spazio
avrei avuto bisogno; quindi, il coworking era l’unica soluzione. Prima sono andato da
Copernico, ma lì c’era meno flessibilità e non mi davano un intranet solo per me ed i
miei dipendenti. Quindi ho dovuto cambiare”.
Qui si evince uno dei fattori critici di successo di 1lab: la flessibilità, che neanche un
coworking più grande e di tutto rispetto come Copernico può offrire a livelli così alti.
Molto probabilmente i dipendenti dell’azienda presenti in 1Lab aumenteranno, infatti
il responsabile di questa azienda afferma:
“Settimana scorsa sono venuti i miei superiori dalla Spagna a controllare come stessero
andando le cose e si sono detti molto soddisfatti. Gli è piaciuto l’ambiente di lavoro che
siamo riusciti a creare e hanno detto che le nostre performance sono superiori alle
attese. Infatti, a breve potrò assumere altre dieci persone, per un totale di ventidue
(contro i 12 attuali: grosso aumento del budget disponibile, il che è emblematico del
supporto e della soddisfazione che il loro lavoro si è meritato)”.
Prendendo in considerazione la situazione di 1Lab, dopo l’aumento di dipendenti
previsto da Fiabilis potrà ospitare sempre meno esterni all’interno del coworking date
le sue dimensioni. Questo da un lato è positivo, perché mantenere i rapporti con un
unico grande cliente è più semplice, dall’altro si rischia di perdere di vista uno degli
obiettivi del coworking, che è l’integrazione di professionalità diverse. Inoltre, qualora
questo trend continuasse, ci sarebbe la possibilità, in un futuro non molto lontano, che
gli spazi di 1Lab non siano più sufficienti data la continua crescita di Fiabilis. A ciò si
deve aggiungere, anche se il Dott. Chiappetti non ne ha parlato, del rischio che corre
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qualunque azienda che vende ad un solo cliente: il rischio che il venir meno del
rapporto con lo stesso porti a gravi danni economici. Ma è un problema che, almeno
nel medio periodo, non sembra sussistere.
Però tutto ciò non basta: 1Lab deve migliore e continuare a crescere e per farlo si
impegna nel promuovere il rapporto con le istituzioni milanesi ed a saturare la sua
capacità produttiva, sfruttando tutte le occasioni possibili. Ad esempio, alcuni spazi
come la sala riunioni vengono utilizzati anche nei week end per singoli eventi. In tal
senso, il Dott. Chiappetti ha affermato:
“Abbiamo avuto la presentazione da parte di un artista di alcune opere, abbiamo avuto
una piccola conferenza tenuta da un docente della Statale di Milano, abbiamo
l’interesse da parte di alcune associazioni per riunirsi anche durante il weekend perché
è uno spazio comunque comodo e ben servito dai mezzi”.
Di recente il sito è stato migliorato (http://1lab.it/), con tutte le informazioni relative
agli spazi disponibili. Una particolarità è l’assenza dei prezzi, in quanto essi vengono
fatti su misura per il cliente e non con un tariffario fisso. In precedenza, il sito esponeva
una tabella con i prezzi che variavano in base alla durata del contratto (un giorno, una
settimana, un mese, tre mesi, sei mesi ed un anno) ed alla quantità di servizi offerti
ma, come abbiamo già detto, si finiva con il negoziare quasi sempre un prezzo ad hoc
per ognuno; pertanto, si è scelto di non stabilire prezzi a priori.
Come abbiamo già detto, il coworking ospita anche un job club, anche se in questo
periodo non è attivo. Non ci dilunghiamo su di esso, anche perché è il tema principale
di un altro gruppo, ma riportiamo un breve estratto dell’intervista del Dottor
Chiappetti a sostegno del fatto che anch’esso ha avuto successo sotto tutti i punti di
vista:
“Se alcune persone, con diverse esperienze in ambiti differenti, si riuniscono intorno ad
un tavolo, possono condividere, oltre alle loro competenze, anche i loro contatti
relazionali, così da permettere ad ognuno di entrare in contatto con persone e aziende
che non facevano parte della propria rete personale. Oltre a ciò il Job Club permette di
non sentirsi soli. Abbiamo ospitato all’inizio una ventina di persone, poi sono rimasti in
La realtà di 1Lab 2015/2016
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dieci, poiché nel frattempo chi trova una piccola attività preferisce, giustamente,
andare a lavorare. Dei dieci rimasti, cinque hanno trovato lavoro a tempo
indeterminato e due avvocatesse hanno aperto il loro studio, un altro è tornato a fare
l’agente con uno slancio diverso ed una donna, che era stata espulsa dal mercato del
lavoro tre anni fa e che si occupava dell’ambito IT, ha creato insieme alla classe un
progetto per presentarsi ad una azienda in modo differente. Tale progetto è andato a
buon fine e nonostante i suoi 54 anni e i tre anni di distanza dall’ultimo impiego è stata
assunta dall’azienda come responsabile di IT. Questa è stata una cosa che ci ha fatto
veramente molto piacere”.
Un’altra domanda cui dobbiamo rispondere è la seguente: a quale categoria
appartiene questo coworking? 1lab nasce come un coworking di tipo A: ognuno può
scegliere se affittare uno spazio individuale o di gruppo, ma ognuno è portato a
lavorare individualmente, specie se è un lavoratore autonomo. Tuttavia, il fatto di
avere così tanti dipendenti che formano un unico team, e che quindi devono
adempiere a mansioni interdipendenti tra loro, fa in modo che i coworkers si
interfaccino e comunichino molto tra di loro. Si stringono relazioni, anche amicali in
alcuni casi, vi è molto confronto, ognuno è portato a ricercare la collaborazione,
sapendo che non sarebbe possibile lavorare individualmente ed ottenere risultati
all’altezza. Come si è già detto, la somma dei fattori da come risultato un valore
maggiore della somma dei singoli fattori. Quindi, possiamo dire che 1lab è un
coworking di tipo A che, data la particolare situazione contingente, si comporta come
uno di tipo B.
La realtà di 1Lab 2015/2016
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6. Analisi dei dati
Il coworking è una realtà che si sta diffondendo sia in Italia sia in Europa
principalmente, ma non solo, nelle città di grandi dimensioni come Milano.
Intervistando il responsabile di 1Lab ci siamo resi conto che la creazione di coworking
può essere un modo per uscire da uno stato di difficoltà in cui può trovarsi un’azienda.
La trasformazione di un edificio inutilizzato in un coworking può portare ad ottenere
dei profitti ed uscire da una situazione negativa.
La creazione di questa nuova realtà può essere utile, come nel nostro caso, ad
interagire con il Comune di Milano, ma soprattutto con le aziende, portando così
vantaggi ad Articolo1. Infatti Fiabilis, l’azienda presente nel coworking, ed 1Lab hanno
creato collaborazioni e sinergie tra di loro.
1Lab si caratterizza per il fatto di poter modificare le tariffe in base al soggetto che si
trova davanti e cerca sempre di poter soddisfare il possibile coworkers; infatti Fiabilis
precedentemente si trovava in un altro coworking che gli impediva di poter avere una
rete intranet e telefonica personale.
Per quanto riguarda uno degli obiettivi principali di un coworking, cioè quello di creare
interazioni e capitale sociale, dalla nostra analisi emerge che ciò sia stato raggiunto.
Principalmente, il coworking è occupato da Fiabilis con tredici postazioni ma, secondo
quanto detto dal responsabile di tale società, si sono ottenuti ottimi risultati grazie al
fatto che i dipendenti lavorano a stretto contatto tra di loro e non in singoli uffici ed in
questo modo possono interagire e scambiare le loro conoscenze, contribuendo così
all’aumento di capitale sociale. Va tuttavia precisato che ciò si è verificato grazie
all’open space e non al coworking, quindi si potrebbero raggiungere questi risultati
anche restando in azienda.
In un ambiente come quello del coworking si dovrebbero creare forti relazioni tra i
coworkers ed infatti, come dimostrato nel nostro caso, i rapporti tra i coworkers non si
limitano solo all’ambiente lavorativo, ma continuano anche all’esterno attraverso
aperitivi, cene, attività sportive e ricreative di diverso genere.
Infine, fondamentale è il luogo in cui è situato un coworking, il quale deve essere
facilmente raggiungibile per poter agevolare il più possibile i coworkers; infatti la
maggior parte dei coworking di Milano sono situati nella zona della Stazione Centrale.
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7. Conclusione
La parte teorica della nostra ricerca consente di capire come il Coworking sia stato
pensato per uno scopo preciso, nel quale la socialità e la condivisone dovevano essere
la forza promotrice di questa nuova realtà.
Nel contesto lavorativo attuale, sempre più competitivo, risulta sempre più complicato
riuscire ad instaurare rapporti lavorativi che consentano ai lavoratori di aiutarsi a
vicenda nel trovare e scambiarsi informazioni e contatti così da aumentare il proprio
capitale sociale.
Oggigiorno, la realtà del coworking rappresenta un modo per ridurre gli alti costi fissi
che non consentono a neoprofessionisti o aziende di aprire uno studio o un ufficio
nelle zone centrali di una città, facilmente raggiungibili. Oltre a questo aspetto, che è
importante, bisogna considerare la possibilità di aumentare il proprio capitale sociale,
derivante dalla possibilità di condivisone per che offre il coworking.
Nel caso preso in esame si capisce che ci siamo trovati davanti ad un coworking che è
partito dal basso, grazie ad un’idea del Dott. Chiappetti che ha deciso di rivalutare
un’area non sfruttata di Articolo1 per creare un’altra realtà.
Ora 1lab è una solida realtà che ha trovato una sua collocazione ben definita nel
panorama dei “coworking milanesi”, che sono molteplici, rispettando gli standard di
qualità e reinterpretando a suo modo il “come fare coworking”, concentrandosi non
sulla quantità ma sulla qualità. Essendo piccolo, basa il suo vantaggio competitivo sul
mantenere i costi bassi ed instaurare dei rapporti molto stretti ed amicali con i clienti.
A Milano ci sono molti coworking quindi la concorrenza è alta, ma questo non fermerà
mai 1lab perché riesce ad offrire un servizio su misura dell’utente ed istaurare rapporti
che prescindono e vanno oltre l’ambiente lavorativo.
La realtà di 1Lab 2015/2016
21
8. Bibliografia
Bourdieu, “Questions de sociologie”, Minuit, Paris, 1980
Gianelle, Panzeri, “Nuove esperienze, nuove idee: coworking. Una nuova forma di
lavoro che aiuta a scoprirsi imprenditori?” In Economia e Società Regionale, 2013
Ostrom, “Social capital and collective action”, 2008
Pais, Provasi, “Sharing economy: a step towards the re-embeddedness of the
economy?”, in Stato e Mercato, Il Mulino, 2015
Parrino, “Coworking: assessing the role of proximity”, Knowledge Management
Research & Practise, 2015.
Pizzorno, “Perché si paga il benzinaio. Nota per una teoria del capitale sociale”, in Stato
e mercato, n. 57, pp. 373-394, 1999
Polanyi, M. (1966) The Tacit Dimension, London: Routledge and Kegan Paul
Putnam R. “Capitale sociale e individualismo”, Bologna, IL Mulino, cap. XVI, XIX, XXII,
2000
Schor, “Collaborating and Connecting: The emergence of the sharing economy”, 2014

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La realtà di 1lab

  • 1. UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA Facoltà di Sociologia Corso di laurea in Management e design dei servizi Capitale sociale e coworking “La realtà di 1Lab” Capitale sociale e sistemi socioeconomici sociali A cura di: Maddalena Caon, 808811 Andrea Castiglioni, 728771 Simone D’Amora, 811565 Diana Schillaci, 763491 Anno Accademico 2015/2016
  • 2. La realtà di 1Lab 2015/2016 2 INDICE 1. Introduzione 2. Oggetto della ricerca 3. Teorie di riferimento 3.1. Il Coworking come luogo di condivisione 3.2. Il Coworking come fonte di capitale sociale 4. Disegno della ricerca 4.1. Domande di ricerca 4.2. Metodologia 5. Interviste al responsabile ed ai coworkers 6. Analisi dei dati 7. Conclusione 8. Bibliografia
  • 3. La realtà di 1Lab 2015/2016 3 1. Introduzione Nell’attuale contesto lavorativo, che è caratterizzato da un’elevata competizione e dalla necessità di ottimizzare tutte le risorse a disposizione, non ultime quelle umane, stanno acquisendo sempre maggiore importanza la creatività e le competenze individuali. La necessità di offrire sul mercato prodotti e servizi sempre più complessi ed innovativi richiede un elevato numero di lavoratori indipendenti altamente qualificati, dotati di conoscenze specifiche da applicare ai progetti su commissione. Tra i numerosi fattori che determinano il successo vi è anche la capacità di integrazione e collaborazione di professionalità e personalità molto diverse tra loro, ponendo l’attenzione non tanto sul singolo quanto sulla rete in cui esso è inserito. L’indipendenza di molte professioni e le nuove tecnologie informatiche, che spesso portano il lavoratore a svolgere la propria attività a casa, quindi isolato dai colleghi, si contrappone alla necessità di coltivare nuove relazioni sociali. Come conseguenza di questa trasformazione socio economica nasce un nuovo modo di lavorare, innovativo e che cerca di conciliare questi due aspetti: il coworking. Esso consiste in una struttura, variabile per dimensione e servizi offerti, che mette a disposizione di coloro che vi si recano per lavorare (i cosiddetti coworkers) diverse postazioni di lavoro, sia open space sia uffici individuali. Tali postazioni sono affittabili singolarmente o in gruppo (ad esempio, un team di cinque persone può affittare uno spazio in un coworking e lavorare lì piuttosto che in azienda) e sono locate in spazi condivisi che incentivano la socializzazione, il confronto e la collaborazione. L’ideologia di fondo si basa sull’importanza dell’interazione tra persone diverse, così da permettere al singolo di allargare il proprio network di relazioni, ma anche di acquisire nuove conoscenze. Inoltre, l’apertura di questi spazi può anche avere un effetto di riqualificazione del territorio, poiché permette il riutilizzo di spazi abbandonati o in disuso, come nel caso del coworking di cui ci siamo occupati.
  • 4. La realtà di 1Lab 2015/2016 4 2. Oggetto della ricerca L’oggetto della nostra ricerca, come abbiamo già detto, è il coworking; il significato letterale di questo termine è “lavorare insieme”. Abbiamo analizzato in modo teorico ed empirico questa nuova realtà professionale che incentiva la condivisione di un ambiente di lavoro all’interno di una struttura attrezzata ed organizzata. Il suo target di riferimento è molto vario ed ampio: spazia da professionisti qualificati che svolgono un'attività indipendente, come possono essere gli avvocati ed i notai, ai lavoratori dipendenti. Entrando nello specifico, la nostra analisi empirica si è focalizzata su 1Lab, un coworking situato nella zona della Stazione Centrale di Milano al cui interno è presente anche un job club. Tuttavia, esso non era attivo nel periodo in cui è stata fatta la nostra indagine e pertanto non abbiamo potuto condurre delle indagini approfondite su di esso. Il coworking 1lab è un’estensione di un’agenzia per il lavoro chiamata Articolo1 Soluzioni HR, ed è nato soprattutto grazie alla spinta del Dottor Luca Chiappetti (da noi intervistato), coadiuvata dagli investimenti dei proprietari della stessa agenzia e da alcuni finanziamenti del Comune di Milano. Per questo motivo, oltre a prendere in considerazione gli elementi principali cui si pensa quando si parla di coworking, quali l’incremento delle conoscenze, della collaborazione e del capitale sociale, abbiamo cercato di capire anche il perché creare un coworking all’interno di un ambiente particolare come quello di un’agenzia interinale.
  • 5. La realtà di 1Lab 2015/2016 5 3. Teorie di riferimento 3.1 Il Coworking come luogo di condivisione Il termine coworking indica la condivisione di uno stesso ambiente fisico di lavoro da parte di singoli individui o di gruppi che svolgono attività tra loro indipendenti. L’incentivo più evidente che spinge ad usufruire di tali strutture è la possibilità, per la singola attività economica, di ridurre alcuni costi di esercizio. Tuttavia, nella realtà il termine coworking ha assunto un significato più ampio che include lo sviluppo di un senso di appartenenza collettiva che accomuna persone con una concezione del lavoro più moderna, aperta al confronto e che valorizzi la diversità delle esperienze individuali. Quindi, possiamo affermare che il fenomeno dei coworking si inserisce nella categoria della sharing economy: una nuova economia della condivisione che si sta diffondendo negli ultimi anni, nata soprattutto grazie ad internet ed alle altre tecnologie che hanno consentito di abbattere sensibilmente i costi per comunicare e far viaggiare le informazioni. La condivisione è una pratica di lunga data che, oltre a creare nuovi metodi di approvvigionamento di beni e servizi, costruisce opportunità di “consumo collaborativo”. Le pratiche di condivisione che si sono diffuse negli ultimi anni sono principalmente quattro: - la circolazione dei beni, tra cui rientra l’informazione - lo scambio di servizi - l’ottimizzazione nell’uso delle risorse - la costruzione di relazioni sociali Il coworking può essere inserito all’interno della terza e della quarta categoria. Infatti, esso è un sistema che permette di ottimizzare l’utilizzo di un bene durevole, come un ufficio con annessi vari strumenti di lavoro (wi fi, stampanti, fax, ...), ma offre anche molti spazi in condivisione, il che è un incentivo alla socializzazione ed alla collaborazione. L’obiettivo è, quindi, quello di creare un maggiore collegamento sociale che consenta di ampliare la propria rete di relazioni, ma anche la formazione di nuove conoscenze.
  • 6. La realtà di 1Lab 2015/2016 6 Pertanto, possiamo dire che il coworking abbia sia una motivazione economica, poiché permette di ridurre i costi che si avrebbero acquistando un proprio spazio personale, sia una motivazione di tipo sociale, in quanto aiuta a costruire reti sociali. A ciò possiamo aggiungere anche un obiettivo di riqualificazione del territorio nel caso in cui la struttura sorga in un edificio abbandonato o in disuso. Inoltre, bisogna valutare anche i benefici derivanti dal far sorgere il coworking in luoghi ben collegati e raggiungibili grazie ai mezzi pubblici: in momento storico come quello attuale, caratterizzato da un’attenzione ed una cura dell’ambiente più alte che in passato, è un ulteriore modo per migliorare la qualità della vita della propria città, riducendo l’inquinamento. Basandosi sulla classificazione dell’economista Michael Polanyi (da non confondere con Karl Polanyi), il coworking può essere inserito all’interno della pratica della collaborazione. Le forme collaborative hanno un effetto positivo sui costi e rendono il mercato più efficiente, in quanto se vi è fiducia tra le parti vengono meno alcuni costi di transazione e di controllo, oltre a ridursi i tempi della transazione stessa. Collaborare, inoltre, permette l’uso comune di beni materiali rivali ma sotto utilizzati, cioè tutti quei beni che sono rivali nel consumo (l’utilizzo da parte di una persona ne preclude l’uso da parte di un’altra), ma che non sono ottimizzati, cioè potrebbero essere allocati meglio, in modo più efficiente. Pur rimanendo una pratica troppo debole per risollevare le sorti dell’economia, i coworking sono sicuramente un modo nuovo di lavorare, ancora inesplorato in tutti i suoi aspetti, quindi con dei margini di miglioramento e che pertanto possono condurre a considerevoli vantaggi economici, politici e sociali. Polanyi, quindi, ha una visione utilitaristica della collaborazione: la ritiene un mezzo per raggiungere un fine (ridurre tempi e costi).
  • 7. La realtà di 1Lab 2015/2016 7 3.2 Il Coworking come fonte di capitale sociale Il termine coworking è stato utilizzato per la prima volta dall’ingegnere informatico Brad Neuberg, che nel 2005 ha fondato a San Francisco lo spazio Hat Factory, e ne ha dato la seguente definizione: “Di solito la società ci obbliga a scegliere fra lavorare a casa in proprio o lavorare in ufficio per una compagnia. Se lavoriamo per una compagnia in modo tradizionale […] abbiamo comunità e struttura, ma perdiamo la libertà e la possibilità di controllare le nostre vite. Se lavoriamo in proprio a casa, guadagniamo indipendenza, ma soffriamo la solitudine e siamo soggetti a quelle cattive abitudini che derivano dal non essere circondati da una comunità lavorativa. Il coworking è una soluzione a questo problema. Con il coworking scrittori, programmatori e creatori indipendenti si trovano insieme in comunità alcuni giorni alla settimana. Il coworking ti dà l’ufficio tipico del classico lavoro per un’azienda, ma in un modo assolutamente unico” (Neuberg in Jones, Sundsted, e Bacigalupo 2009, 9, trad. di Lucia Parrino). Ciò che contraddistingue un coworking dagli altri spazi di lavoro è che all’interno di esso si sviluppa un senso di comunità e di appartenenza tra persone che svolgono un lavoro indipendente. “Gli spazi di coworking forniscono sia uno spazio lavorativo sia (un senso di) comunità a quelle persone che spesso lavorano da sole” (Centre for Social Innovation 2010, 16, trad. di Lucia Parrino). La condivisione degli spazi favorisce l’instaurarsi di relazioni sociali: l’essere umano si caratterizza e distingue dagli altri animali, tra le tante cose, per il fatto di essere “un animale sociale” (Aristotele). Di conseguenza, l’individuo non può essere inteso come un’unità a sé stante, ma come un soggetto sociale inserito in un mondo di scambi e relazioni. L’insieme di queste relazioni costituisce il capitale sociale di un individuo. Uno dei primi studiosi che ha analizzato il concetto di capitale sociale è stato il sociologo e filosofo francese Pierre Bourdieu, definendolo come l’insieme delle risorse (da lui definite liasons) derivanti dall’appartenenza ad un gruppo. Il volume e la qualità del capitale sociale di un individuo dipendono sia dall’estensione della propria rete di relazioni sia dallo stesso capitale di coloro che fanno parte di tale rete. La rete di
  • 8. La realtà di 1Lab 2015/2016 8 liasons di ognuno di noi non è un dono naturale, ma dipende dalla propria capacità di instaurare rapporti durevoli e utili che permettano di ottenere dei benefici; è la risultante di un processo continuo. James Coleman ha fornito una propria definizione. Egli identifica il capitale sociale, costituito dalle relazioni sociali in possesso di un individuo, come un insieme di risorse che costui può utilizzare, congiuntamente ad altre risorse, per meglio perseguire i propri fini. Coleman, quindi, ci riporta ad una visione strumentale del capitale sociale, molto simile a quella di Polanyi. Altri autori, invece, ne sostengono un concetto differente. La sociologa ed economista Elinor Ostrom sostiene la necessità di un rapporto di fiducia reiterata tra gli individui, affinché essi non agiscano solo per meri scopi egoistici. La studiosa individua tre elementi chiave per far avvenire ciò: - l’affidabilità, con cui si fa riferimento alle caratteristiche del “fiduciario” affinché risulti affidabile al “fiduciante” - le reti sociali, poiché il fiduciario immesso nella rete sa che è nel suo interesse collaborare e mantenere la relazione (vedi anche la “teoria del principale agente”, o teoria principal agent, per un ulteriore esempio) - le istituzioni, che sono un importante forma di capitale sociale che fornisce informazioni sufficienti per accrescere la probabilità che i fiduciari collaborino, favorendo le azioni collettive Alla base di tutto ciò, vi è un’importantissima convinzione, senza la quale tutto il nostro lavoro verrebbe meno: i risultati ottenuti da un’azione collettiva efficiente producono dei benefici maggiori a tutti i membri della società. Collaborare, creare relazioni, aumentare il capitale sociale, alla fine porterà alla creazione di sinergie non ottenibili se ognuno pensasse solo per sé e non per la collettività. Per avere un’immagine semplice ma efficace di questo concetto, è come se la somma di cinque fattori, ognuno con un valore di 1, non desse come risultato 5 ma 6 o di più. E’ un’importante conquista, supportata da numerosi studi, come “La teoria dei giochi”.
  • 9. La realtà di 1Lab 2015/2016 9 Anche altri autori condividono una posizione simile, sostenendo come la collaborazione e la cooperazione possano portare vantaggi alla collettività nel suo complesso. Secondo Alessandro Pizzorno, si costituisce capitale sociale in due casi: - quando si determinano relazioni basate su legami forti e su principi di solidarietà di gruppo - quando si instaurano relazioni basate sulla “forza dei legami deboli” (Granovetter). Celeberrimo in questo caso è l’esperimento condotto Nel 1967 dallo psicologo americano Stanley Milgram: selezionò, in modo casuale, un gruppo di statunitensi del Midwest e chiese loro di spedire un pacchetto a un estraneo che abitava nel Massachusetts, a diverse migliaia di chilometri di distanza. Ognuno di essi conosceva il nome del destinatario, il suo impiego e la zona in cui risiedeva, ma non l'indirizzo preciso. Fu quindi chiesto a ciascuno dei partecipanti all'esperimento di spedire il proprio pacchetto a una persona da loro conosciuta che, a loro giudizio, poteva avere la maggiore probabilità di conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe fatto lo stesso, e così via, fino a che il pacchetto non fosse stato consegnato al destinatario finale. Milgram si aspettava che il completamento della catena avrebbe richiesto almeno un centinaio di intermediari, rilevando invece che i pacchetti, per giungere al destinatario, richiesero in media solo tra i cinque e i sette passaggi Secondo Pizzorno, “si potrebbe avanzare l’idea che una teoria del capitale sociale viene a coincidere con una teoria della riproduzione della socialità; non soltanto, quindi, dei processi attraverso i quali un soggetto d’azione utilizza le strutture sociali per perseguire i propri fini singolari, bensì anche dei processi attraverso i quali le stesse relazioni interpersonali di riconoscimento vengono prodotte e riprodotte a formare il tessuto della socialità”. Quindi, oltre ad essere una risorsa strategica individuale che permette di portare a termine i propri obiettivi, il capitale sociale ha effetti positivi sulla collettività. Anche il sociologo Robert Putnam sostiene che l’instaurarsi di relazioni sociali migliora lo stare in società. Infatti esse, basandosi su fiducia e cooperazione, risolvono i
  • 10. La realtà di 1Lab 2015/2016 10 problemi derivanti da azioni egoistiche, facendo diminuire le ostilità e favorendo il progresso. Tali relazioni, inoltre, migliorano ed incentivano il flusso delle informazioni utili anche per il raggiungimento di scopi individuali, portando benefici al singolo e migliorando il suo benessere complessivo.
  • 11. La realtà di 1Lab 2015/2016 11 4. Disegno della ricerca 4.1 Domande di ricerca Fino a questo punto, per condurre la nostra analisi abbiamo posto l’attenzione sulla definizione teorica di coworking e sulle principali teorie sociologiche di riferimento per comprendere meglio il fenomeno. Da adesso in poi, ci concentreremo sull’indagine empirica, per cercare di capire se ciò che è stato trattato in letteratura trova fondamento nella realtà. Prima di mettere in atto la nostra indagine, ci siamo posti i seguenti interrogativi: - Come funziona un coworking? - È davvero possibile che uno spazio di coworking stimoli lo sviluppo di relazioni che ampliano il capitale sociale di un individuo? - E’ possibile che tale effetto sia positivo anche per la società nel suo complesso? Di seguito, coadiuvati dalla nostra analisi empirica, cercheremo di rispondere a tali interrogativi. 4.2 Metodologia L’obiettivo del lavoro è quello di capire i motivi che portano un soggetto a realizzare un coworking, perché un soggetto preferisce svolgere la propria attività lavorativa all’interno di un “cowo” anziché in un ordinario ufficio ed infine studiare le relazioni sociali all’interno: se ne nascono, di che tipo ed a cosa si limitano. Per riuscire ad ottenere le informazioni utili per rispondere alle nostre domande è stato necessario in primo luogo reperire più informazioni possibili attraverso la visualizzazione dei siti web, le quali riguardano i fondatori, i servizi offerti, i prezzi, l’anno di fondazione di tutti i coworking. Successivamente, è stato fondamentale recarsi sul posto ed intervistare sia il responsabile del coworking sia i coworkers (coloro che hanno affittato una postazione all’interno della struttura e vi si recano
  • 12. La realtà di 1Lab 2015/2016 12 regolarmente per lavorare). Abbiamo posto loro una serie di domande precedentemente stabilite e, contemporaneamente, abbiamo registrato le interviste. Ciò è servito per un successivo lavoro di sbobinatura utile ad analizzare nel migliore dei modi le informazioni ottenute. Alcune domande erano uguali sia per il coworker sia per i coworkers; riguardavano la formazione, la professione e la soddisfazione del proprio lavoro. Altre domande erano più specifiche: al responsabile sono stati chiesti i motivi che l’hanno spinto a fondare il coworking, il percorso di costituzione dello stesso, l’ideologia che ne sta alla base ed infine il livello di soddisfazione raggiunto. Ai coworkers abbiamo chiesto i motivi che li hanno spinti a scegliere questo nuovo spazio di lavoro, il livello di soddisfazione e se si sono formati rapporti e relazioni che proseguono anche dopo l’attività lavorativa, così da ottenere rapporti duraturi con l’obiettivo di far crescere il proprio network di conoscenze ed il capitale sociale. Il metodo utilizzato per svolgere la nostra analisi risulta essere di tipo qualitativo e non quantitativo. Quest’ultimo metodo è costituito da un insieme di tecniche che ricorrono ad aspetti di tipo matematico o scientifico, e prevedono un gran numero di intervistati, almeno cinquanta (il numero varia a seconda dei casi). L’analisi di tipo qualitativa, invece, ricorre ad indagini approfondite, eseguite su un campione molto più contenuto in modo da poter ottenere più informazioni possibili, utilizzando tecniche che spaziano da interviste a brainstorming, focus group, questionari sulla soddisfazione, indagini sul campo ed altro. La scelta di questo metodo ci è sembrata la più adatta per poter raggiungere nel miglior modo possibile il nostro obiettivo. Dovendo comprendere una situazione complessa ed articolata, non sarebbero stati sufficienti dei brevi questionari di soddisfazione con domande standardizzate, ma abbiamo trascorso oltre mezz’ora con ognuno dei nostri intervistati, cercando di non trascurare nessun dettaglio e di non farci fuorviare da possibili risposte “politiche”. Infine, abbiamo cercato di capire se questo nuovo modo di lavorare avesse particolari difetti o generasse problemi.
  • 13. La realtà di 1Lab 2015/2016 13 5. Interviste al responsabile ed ai coworkers Il coworking 1lab nasce all’interno di Articolo 1 Soluzioni HR, che è un’agenzia per il lavoro. E’ una società a conduzione famigliare secondo il modello della SRL Unipersonale. Il responsabile dell’agenzia è il Dottor Luca Chiappetti il quale, circa due anni fa, si interessò ad un bando del comune di Milano che offriva incentivi per la creazione degli spazi di coworking. Avendo lui già avuto modo di conoscere e sperimentare, seppur brevemente, tale realtà all’estero, fu molto interessato all’idea. Così decise di parlarne con la proprietà di Articolo 1, la quale si dimostrò interessata, ma prima cercò di capire se vi fosse un modo per riuscire ad interagire con il comune: lo scopo era quello di riuscire a partecipare al bando per poi poter realizzare il coworking. Come si sarà ormai intuito, il tutto ha avuto successo: il comune ha approvato il progetto pervenutogli e si è impegnato ad erogare un finanziamento di circa 20.000€. Esaminiamo ora, più nel dettaglio, quella che è la realtà del coworking 1lab, partendo dal suo fondatore. Il Dott. Luca Chiappetti è nato a Milano ed ha quarantacinque anni. Ha studiato ragioneria e poi si è iscritto a scienze politiche, ad indirizzo sociologico e politico. Una volta conseguita la laurea ha lavorato presso Adecco, un’altra agenzia per il lavoro, come responsabile della filiale di Milano per cinque anni. Successivamente, si è trasferito nella zona di Saronno ed è diventato responsabile di due filiali della zona. Dopo circa dieci anni in Adecco è stato assunto da una società che si occupava di ricerche di mercato, in particolare di rilevazione a scaffale di tutto ciò che era esposto all’interno di grandi magazzini come MediaWorld ed Euronics. In seguito, è tornato nel mondo delle agenzie del lavoro e, dopo averne cambiate alcune, è stato assunto da Articolo 1 nel 2012, prima come responsabile dell’area Milano poi anche dell’area Varese. Da Ottobre dell’anno scorso (2015) è stato incaricato di portare avanti quella che è l’implementazione delle politiche attive sulla regione Lombardia: si occupa di capire ed esaminare tutte quelle che sono le doti lavorative richieste al giorno d’oggi e tutto quello che riguarda l’ambito dei bandi, sia italiani sia europei, per fare in modo di essere presenti anche su un mercato che ad oggi ci vede distanti, come quello dei coworking. Il responsabile del coworking, durante l’intervista, ha spiegato uno dei motivi che ha portato alla realizzazione di questa nuova realtà:
  • 14. La realtà di 1Lab 2015/2016 14 “Ho visto negli ultimi anni, seguendo tutta una serie di percorsi di rete, che sono la strada che hanno permesso a molte aziende di uscire dalla crisi, di non entrarci o di arrivare a determinate realtà sia produttive che distributive che prima neanche potevano avere da sole. Anche cooperando con quelli che erano i loro competitor istituzionali su determinati settori e aree dove c’era una possibilità di cooperare senza andare a confliggere, hanno ottenuto degli ottimi risultati”. Entrando invece nello specifico di 1Lab, tale realtà è stata realizzata pensando che ciò avrebbe portato dei vantaggi ad Articolo 1. Più precisamente, si pensava alla possibilità di entrare in contatto con le aziende. Articolo 1 è una società interinale, quindi da questo punto di vista avere delle aziende all’interno della struttura permette di avere scambi più efficaci. Questa strategia ha avuto successo, infatti Fiabilis, società spagnola che ha scelto di “appoggiarsi” su un coworking, ha iniziato a collaborare in modo stretto con 1Lab. Un altro motivo che ha portato alla realizzazione del coworking era l’elevato interesse ad entrare in contatto con un’istituzione importante quale il comune di Milano. Il coworking 1Lab è situato in una posizione strategica, più precisamente vicino alla stazione Centrale di Milano; ciò permette a tutti gli utenti di poter raggiungere la struttura nel modo più semplice e comodo possibile, con un notevole risparmio di tempo, costi ed una riduzione delle emissioni di CO2 usando i mezzi pubblici invece delle automobili. 1Lab è un coworking di medio piccole dimensioni; i servizi che offre sono studiati per il target specifico e, confrontato con altri coworking di grandi dimensioni, ha strategie e relazioni molti differenti. Ospitare ogni giorno migliaia di persone diverse, implica l’applicazione di regole rigide per riuscire a gestirle adeguatamente. Dal canto suo, 1lab può ospitare quaranta persone al massimo, il che consente di offrire servizi ed imporre tariffe ad hoc. Ad esempio, è possibile applicare una tariffazione specifica per ognuno in base alla sue esigenze, oppure ridurre il prezzo a fronte del non utilizzo di alcuni dei servizi offerti. Tutto ciò garantisce la massima flessibilità e personalizzazione dell’offerta, ma, ripetiamo, è fattibile solo in virtù del numero di coworkers relativamente basso. In particolare, 1lab mette a disposizione: una sala riunioni, venti postazioni di open space adattabili a seconda delle esigenze, tre uffici individuali, una
  • 15. La realtà di 1Lab 2015/2016 15 sala relax, stampanti, fax, wi fi, sala fumatori, rete telefonica. Un coworker potrebbe, ad esempio, rinunciare all’uso della stampante e del fax pagando di meno. L’idea di fondo, comunque, è quella di avere spazi condivisi, non ambienti dove opera solamente una persona, il che si evince dal ridotto numero di uffici individuali (solo tre). Il finanziamento di 20.000€ è il massimo che offre il Comune di Milano per un coworking, ed è stato possibile ottenerlo grazie all’ampia gamma di servizi che il coworking stesso offre. Infatti, ci sono degli standard che devono essere rispettati poiché sono stati imposti dal bando del Comune. Il bando distingue tra coworking di tipo A e C, i quali prevedono due tipi di offerte. 1lab è di tipo A, in quanto offre una reception, delle stampanti, una sala break, uno spazio per poter fumare, uno spazio per le riunioni, accesso per i disabili ed una rete wi fi. Pertanto è riuscito ad ottenere il massimo finanziamento previsto. Attualmente 1Lab ospita un grosso cliente, l’azienda spagnola Fiabilis, che detiene tredici postazioni open space sulle venti disponibili, ma sta comunicando la forte volontà di crescere di almeno altre dieci postazioni dati gli ottimi risultati ottenuti anche grazie alla collaborazione ed alle sinergie generatesi nel coworking. Il contratto con Fiabilis dura un anno e prevede un costo complessivo di 4200€ per tredici persone, quindi circa 325€ a testa al mese. All’interno del coworking, sono presenti attualmente anche una psicologa ed una libera professionista che, una volta abbandonata l’attività lavorativa dell’azienda dove stava operando per motivi personali, si è messa in proprio nell’ambito del web design. Purtroppo, non sono frequentatrici assidue del coworking, vi si recano poche volte alla settimana ed in giorni variabili, quindi non siamo riuscite ad intervistarle. Dalla nostra indagine, è emerso che la situazione attuale di 1Lab sia molto positiva, e ci sono progetti che portano non solo al mantenimento della struttura ma ad un continuo miglioramento della stessa. Uno dei pochi problemi emersi è che il rimborso previsto dal bando del comune non è ancora arrivato. A tal proposito, comunque, il Dott. Chiappetti non è preoccupato, ed ha affermato: “Sono molto soddisfatto anche se per ora i soldi non sono arrivati, ma dovrebbero arrivare 20.000€, considerando anche che li abbiamo già spesi tutti (risate). Il bando
  • 16. La realtà di 1Lab 2015/2016 16 prevedeva il rimborso del 50% delle spese fatte per attivare il coworking, con un tetto di 20.000€, e noi li abbiamo ottenuti tutti. Sono molto soddisfatto di ciò”. E’ molto positivo anche il giudizio dell’amministratore delegato di Fiabilis Italia, lo spagnolo José Antonio García de Leániz Caprile, dati i risultati che la sede centrale in Spagna ha riscontrato. Per quanto riguarda i motivi che lo hanno spinto a scegliere un coworking ha affermato: “Sono venuto in Italia da solo e ho incominciato a formare il mio team di lavoro. Prima ho assunto due persone, ingegneri informatici, poi il numero è cresciuto, fino ai dodici attuali (più lui tredici). Il problema è che nessuno in Italia affittava l’ufficio per meno di tre anni, e non sapevo se dopo quel periodo sarei ancora stato qui e di quanto spazio avrei avuto bisogno; quindi, il coworking era l’unica soluzione. Prima sono andato da Copernico, ma lì c’era meno flessibilità e non mi davano un intranet solo per me ed i miei dipendenti. Quindi ho dovuto cambiare”. Qui si evince uno dei fattori critici di successo di 1lab: la flessibilità, che neanche un coworking più grande e di tutto rispetto come Copernico può offrire a livelli così alti. Molto probabilmente i dipendenti dell’azienda presenti in 1Lab aumenteranno, infatti il responsabile di questa azienda afferma: “Settimana scorsa sono venuti i miei superiori dalla Spagna a controllare come stessero andando le cose e si sono detti molto soddisfatti. Gli è piaciuto l’ambiente di lavoro che siamo riusciti a creare e hanno detto che le nostre performance sono superiori alle attese. Infatti, a breve potrò assumere altre dieci persone, per un totale di ventidue (contro i 12 attuali: grosso aumento del budget disponibile, il che è emblematico del supporto e della soddisfazione che il loro lavoro si è meritato)”. Prendendo in considerazione la situazione di 1Lab, dopo l’aumento di dipendenti previsto da Fiabilis potrà ospitare sempre meno esterni all’interno del coworking date le sue dimensioni. Questo da un lato è positivo, perché mantenere i rapporti con un unico grande cliente è più semplice, dall’altro si rischia di perdere di vista uno degli obiettivi del coworking, che è l’integrazione di professionalità diverse. Inoltre, qualora questo trend continuasse, ci sarebbe la possibilità, in un futuro non molto lontano, che gli spazi di 1Lab non siano più sufficienti data la continua crescita di Fiabilis. A ciò si deve aggiungere, anche se il Dott. Chiappetti non ne ha parlato, del rischio che corre
  • 17. La realtà di 1Lab 2015/2016 17 qualunque azienda che vende ad un solo cliente: il rischio che il venir meno del rapporto con lo stesso porti a gravi danni economici. Ma è un problema che, almeno nel medio periodo, non sembra sussistere. Però tutto ciò non basta: 1Lab deve migliore e continuare a crescere e per farlo si impegna nel promuovere il rapporto con le istituzioni milanesi ed a saturare la sua capacità produttiva, sfruttando tutte le occasioni possibili. Ad esempio, alcuni spazi come la sala riunioni vengono utilizzati anche nei week end per singoli eventi. In tal senso, il Dott. Chiappetti ha affermato: “Abbiamo avuto la presentazione da parte di un artista di alcune opere, abbiamo avuto una piccola conferenza tenuta da un docente della Statale di Milano, abbiamo l’interesse da parte di alcune associazioni per riunirsi anche durante il weekend perché è uno spazio comunque comodo e ben servito dai mezzi”. Di recente il sito è stato migliorato (http://1lab.it/), con tutte le informazioni relative agli spazi disponibili. Una particolarità è l’assenza dei prezzi, in quanto essi vengono fatti su misura per il cliente e non con un tariffario fisso. In precedenza, il sito esponeva una tabella con i prezzi che variavano in base alla durata del contratto (un giorno, una settimana, un mese, tre mesi, sei mesi ed un anno) ed alla quantità di servizi offerti ma, come abbiamo già detto, si finiva con il negoziare quasi sempre un prezzo ad hoc per ognuno; pertanto, si è scelto di non stabilire prezzi a priori. Come abbiamo già detto, il coworking ospita anche un job club, anche se in questo periodo non è attivo. Non ci dilunghiamo su di esso, anche perché è il tema principale di un altro gruppo, ma riportiamo un breve estratto dell’intervista del Dottor Chiappetti a sostegno del fatto che anch’esso ha avuto successo sotto tutti i punti di vista: “Se alcune persone, con diverse esperienze in ambiti differenti, si riuniscono intorno ad un tavolo, possono condividere, oltre alle loro competenze, anche i loro contatti relazionali, così da permettere ad ognuno di entrare in contatto con persone e aziende che non facevano parte della propria rete personale. Oltre a ciò il Job Club permette di non sentirsi soli. Abbiamo ospitato all’inizio una ventina di persone, poi sono rimasti in
  • 18. La realtà di 1Lab 2015/2016 18 dieci, poiché nel frattempo chi trova una piccola attività preferisce, giustamente, andare a lavorare. Dei dieci rimasti, cinque hanno trovato lavoro a tempo indeterminato e due avvocatesse hanno aperto il loro studio, un altro è tornato a fare l’agente con uno slancio diverso ed una donna, che era stata espulsa dal mercato del lavoro tre anni fa e che si occupava dell’ambito IT, ha creato insieme alla classe un progetto per presentarsi ad una azienda in modo differente. Tale progetto è andato a buon fine e nonostante i suoi 54 anni e i tre anni di distanza dall’ultimo impiego è stata assunta dall’azienda come responsabile di IT. Questa è stata una cosa che ci ha fatto veramente molto piacere”. Un’altra domanda cui dobbiamo rispondere è la seguente: a quale categoria appartiene questo coworking? 1lab nasce come un coworking di tipo A: ognuno può scegliere se affittare uno spazio individuale o di gruppo, ma ognuno è portato a lavorare individualmente, specie se è un lavoratore autonomo. Tuttavia, il fatto di avere così tanti dipendenti che formano un unico team, e che quindi devono adempiere a mansioni interdipendenti tra loro, fa in modo che i coworkers si interfaccino e comunichino molto tra di loro. Si stringono relazioni, anche amicali in alcuni casi, vi è molto confronto, ognuno è portato a ricercare la collaborazione, sapendo che non sarebbe possibile lavorare individualmente ed ottenere risultati all’altezza. Come si è già detto, la somma dei fattori da come risultato un valore maggiore della somma dei singoli fattori. Quindi, possiamo dire che 1lab è un coworking di tipo A che, data la particolare situazione contingente, si comporta come uno di tipo B.
  • 19. La realtà di 1Lab 2015/2016 19 6. Analisi dei dati Il coworking è una realtà che si sta diffondendo sia in Italia sia in Europa principalmente, ma non solo, nelle città di grandi dimensioni come Milano. Intervistando il responsabile di 1Lab ci siamo resi conto che la creazione di coworking può essere un modo per uscire da uno stato di difficoltà in cui può trovarsi un’azienda. La trasformazione di un edificio inutilizzato in un coworking può portare ad ottenere dei profitti ed uscire da una situazione negativa. La creazione di questa nuova realtà può essere utile, come nel nostro caso, ad interagire con il Comune di Milano, ma soprattutto con le aziende, portando così vantaggi ad Articolo1. Infatti Fiabilis, l’azienda presente nel coworking, ed 1Lab hanno creato collaborazioni e sinergie tra di loro. 1Lab si caratterizza per il fatto di poter modificare le tariffe in base al soggetto che si trova davanti e cerca sempre di poter soddisfare il possibile coworkers; infatti Fiabilis precedentemente si trovava in un altro coworking che gli impediva di poter avere una rete intranet e telefonica personale. Per quanto riguarda uno degli obiettivi principali di un coworking, cioè quello di creare interazioni e capitale sociale, dalla nostra analisi emerge che ciò sia stato raggiunto. Principalmente, il coworking è occupato da Fiabilis con tredici postazioni ma, secondo quanto detto dal responsabile di tale società, si sono ottenuti ottimi risultati grazie al fatto che i dipendenti lavorano a stretto contatto tra di loro e non in singoli uffici ed in questo modo possono interagire e scambiare le loro conoscenze, contribuendo così all’aumento di capitale sociale. Va tuttavia precisato che ciò si è verificato grazie all’open space e non al coworking, quindi si potrebbero raggiungere questi risultati anche restando in azienda. In un ambiente come quello del coworking si dovrebbero creare forti relazioni tra i coworkers ed infatti, come dimostrato nel nostro caso, i rapporti tra i coworkers non si limitano solo all’ambiente lavorativo, ma continuano anche all’esterno attraverso aperitivi, cene, attività sportive e ricreative di diverso genere. Infine, fondamentale è il luogo in cui è situato un coworking, il quale deve essere facilmente raggiungibile per poter agevolare il più possibile i coworkers; infatti la maggior parte dei coworking di Milano sono situati nella zona della Stazione Centrale.
  • 20. La realtà di 1Lab 2015/2016 20 7. Conclusione La parte teorica della nostra ricerca consente di capire come il Coworking sia stato pensato per uno scopo preciso, nel quale la socialità e la condivisone dovevano essere la forza promotrice di questa nuova realtà. Nel contesto lavorativo attuale, sempre più competitivo, risulta sempre più complicato riuscire ad instaurare rapporti lavorativi che consentano ai lavoratori di aiutarsi a vicenda nel trovare e scambiarsi informazioni e contatti così da aumentare il proprio capitale sociale. Oggigiorno, la realtà del coworking rappresenta un modo per ridurre gli alti costi fissi che non consentono a neoprofessionisti o aziende di aprire uno studio o un ufficio nelle zone centrali di una città, facilmente raggiungibili. Oltre a questo aspetto, che è importante, bisogna considerare la possibilità di aumentare il proprio capitale sociale, derivante dalla possibilità di condivisone per che offre il coworking. Nel caso preso in esame si capisce che ci siamo trovati davanti ad un coworking che è partito dal basso, grazie ad un’idea del Dott. Chiappetti che ha deciso di rivalutare un’area non sfruttata di Articolo1 per creare un’altra realtà. Ora 1lab è una solida realtà che ha trovato una sua collocazione ben definita nel panorama dei “coworking milanesi”, che sono molteplici, rispettando gli standard di qualità e reinterpretando a suo modo il “come fare coworking”, concentrandosi non sulla quantità ma sulla qualità. Essendo piccolo, basa il suo vantaggio competitivo sul mantenere i costi bassi ed instaurare dei rapporti molto stretti ed amicali con i clienti. A Milano ci sono molti coworking quindi la concorrenza è alta, ma questo non fermerà mai 1lab perché riesce ad offrire un servizio su misura dell’utente ed istaurare rapporti che prescindono e vanno oltre l’ambiente lavorativo.
  • 21. La realtà di 1Lab 2015/2016 21 8. Bibliografia Bourdieu, “Questions de sociologie”, Minuit, Paris, 1980 Gianelle, Panzeri, “Nuove esperienze, nuove idee: coworking. Una nuova forma di lavoro che aiuta a scoprirsi imprenditori?” In Economia e Società Regionale, 2013 Ostrom, “Social capital and collective action”, 2008 Pais, Provasi, “Sharing economy: a step towards the re-embeddedness of the economy?”, in Stato e Mercato, Il Mulino, 2015 Parrino, “Coworking: assessing the role of proximity”, Knowledge Management Research & Practise, 2015. Pizzorno, “Perché si paga il benzinaio. Nota per una teoria del capitale sociale”, in Stato e mercato, n. 57, pp. 373-394, 1999 Polanyi, M. (1966) The Tacit Dimension, London: Routledge and Kegan Paul Putnam R. “Capitale sociale e individualismo”, Bologna, IL Mulino, cap. XVI, XIX, XXII, 2000 Schor, “Collaborating and Connecting: The emergence of the sharing economy”, 2014