2. I
l gioco è una cosa seria. Per dir-
lo non c’è certo bisogno di citare
Friedrich Schiller quando sostene-
va che «l’uomo è veramente uomo
solo quando gioca». D’altronde
molto prima del poeta tedesco e
della filosofia di Kant, già Aristo-
tele si era occupato del tema con la se-
rietà. In realtà, solo il mondo aziendale
non si era mai interessato davvero all’ar-
gomento: come potrebbero infatti con-
ciliarsi l’attività lavorativa e quella ludi-
ca? La risposta è contenuta in una sola
parola: gamification.
Nell’era del successo dell’industria
dei videogiochi, del trionfo dei social
network e della massima diffusioni di
“giochini” su qualsiasi device – da Can-
dy Crush Saga in poi – la metafora e i
codici del gioco rappresentano un’arma
potente da utilizzare in settori teorica-
mente estranei al divertimento. Da que-
sta considerazione nasce il fenomeno
della “ludicizzazione” – questa la tradi-
zione italiana meno infelice – che non è
nient’altro che l’inserimento di mecca-
nismi e dinamiche ludiche in altri conte-
sti, con l’obiettivo di trasformare ciò che
magari è percepito come noioso ed ete-
rodiretto, in un’attività coinvolgente.
Anche se già nel 1973 un certo Char-
les Coonradt aveva chiamato la sua so-
cietà di consulenza The Game of Work
– diventato poi il titolo di un libro del
1984 che gli vale oggi il titolo di “Gran-
dfather of Gamification” – la storia di
questa rivoluzione ha una data presso-
ché ufficiale di inizio: il Dice Summit
di Las Vegas del febbraio 2010. All’epo-
ca addetti ai lavori e investitori si incon-
trarono nello Stato del Nevada per pro-
vare a delineare il futuro dell’industria
dei videogiochi e delle arti interattive.
È importante ricostruire il contesto sto-
rico di quell’evento: in quel momento il
mondo intero stava cadendo vittima di
Facebook, e gli utenti di tutto il globo
spendevano tempo e soldi coltivando
campi virtuali su FarmVille o coccolan-
do cuccioli immaginari su Pet Society
(nel 2011 la ricercatrice Jane McGoni-
gal avrebbe calco-
lato in tre miliar-
di di ore alla setti-
mana il tempo spe-
so sul pianeta in at-
tività ludiche). Fu
in quell’occasione che il designer di vi-
deogame Jess Schell teorizzò nel suo
keynote una giornata del futuro vissu-
ta nel passaggio da un “gioco” all’altro:
dallo spazzolino che dà un voto al la-
vaggio dei denti, all’autobus che premia
con un tot di punti chi rinuncia all’auto.
Da quel giorno – ma in fondo erano già
in molti ad aver intrapreso questa strada
anche prima – la crescita è stata espo-
nenziale ed entro il 2018 il giro d’affari
dovrebbe toccare quota 5,5 miliardi di
dollari (stima MarketsandMarkets).
DAL LUDUS AI VIDEOGAME
L
a verità, però, è che l’uso del gioco
nella formazione è vecchio come
il mondo, benché col passare dei
secoli tale divertimento “utile” sia sta-
to colpevolmente confinato nel mon-
do dell’infanzia. A liberare la voglia di
ludus di tutte le generazioni è stato in-
vece l’avvento dei videogiochi prima
e degli smartphone poi. Ed è stata pro-
prio questa “alfabetizzazione videoludi-
ca di massa” ad aprire le porte alla ri-
voluzione della gamification. A soste-
nerlo è Vincenzo Petruzzi, Instructional
Designer, Storyboarder e consulente sui
temi della didattica multimediale, del-
la formazione e aggiornamento profes-
sionale, da poco autore di Il potere del-
la gamification. Usare il gioco per creare
cambiamenti nei comportamenti e nelle
performance individuali (FrancoAngeli).
«Coltivo un interesse professionale e per-
sonale per questi temi sin dalla mia tesi
di laurea sul digital game based learning
– era il 2007, l’etichetta gamification non
esisteva ancora – ma una delle motivazio-
ni che mi ha spinto a scrivere il libro è sta-
to vedere mia madre giocare a Candy Cru-
sh a 58 anni», sorride Petruzzi, «l’avrei ri-
tenuto possibile solo in un universo paral-
lelo, era il segno del cambiamento. Un
rapporto dell’Esa, l’ente che monitora il
mercato Usa dei videogame, sostiene che
il 60% dei manager statunitensi giochi du-
rante l’orario di lavoro».
Non ha più senso parlare dunque di na-
tivi digitali tout court, bensì di una
ALLA BASE DI QUESTA RIVOLUZIONE C’È L’ALFABETIZZAZIONE
DIGITALE DI MASSA CHE,GRAZIE AGLI SMARTPHONE,
HA COINVOLTO ANCHE LE GENERAZIONI PIÙ ANZIANE
COME
FUNZIONA
n POSSESSO
n AUTOESPRESSIONE
n“SENSO EPICO”
n PROGRESSO
n RELAZIONALITÀ
n SCARSITÀ
n IMPREVEDIBILITÀ
n PAURA
DELLA PERDITA
Gli otto bisogni intrinseci
dell’uomo sui quali
lavora la gamification
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3. “generazione digitale estesa” come so-
stiene nella prefazione Franco Amicuc-
ci, sociologo con un passato alla Luiss
Business School. Il digitale ormai ha
raggiunto un tale livello di maturità e
pervasività da coinvolgere persone pri-
ma escluse, come i nonni che scrivo-
no su WhatsApp e le attempate zie che
mandano gli auguri su Facebook ai ni-
potini. Ed è grazie a questo humus co-
mune che la gamification affermarsi
nelle aziende, facendo colpo su gene-
razioni di lavoratori molto diverse tra
loro.
LE LEVE
DELLA MOTIVAZIONE
M
a come funziona la gamifica-
tion? Lavora sui bisogni con-
naturati in ogni uomo: il pos-
sesso, l’autoespressione, il “senso epi-
co”, il progresso, la relazionalità, la
scarsità, l’imprevedibilità e la pau-
ra della perdita. Sfruttando le strate-
gie di game design, si possono elabo-
rare strategie adatte ai contesti azien-
dali: per esempio, il desiderio di pos-
sesso si realizza con la conquista di
punti, badge o riconoscimenti. Men-
tre il senso di progresso si concretiz-
za nello scalare una classifica. «Non
c’è una strategia sempre efficace o mi-
gliore, si deve scegliere volta per volta
in base al target e agli obiettivi», spie-
ga l’autore de Il potere della gamifica-
tion, «“gamificare” non significa crea-
re un gioco o andare in giro a distri-
buire punti e fare classifiche. Né dal-
l’altra parte è sufficiente costruire una
piattaforma tecnologica che sommini-
stra a tutti lo stesso prodotto e assegna
a tutti gli stessi premi».
Guai, quindi, a pensare che gamifi-
cation faccia assonanza con video-
game: «Parliamo di una metodologia,
che non va confusa con la tecnolo-
gia. Si può fare gamification in tanti
modi», chiarisce Petruzzi. L’esempio
classico è quello di un esperimento
ideato per spingere le persone a cam-
minare di più in modo da contrastare
le malattie legate all’obesità e a uno
stile di vita sedentario: si è pensato
di trasformare le scale di una metro-
politana in un pianoforte, dipingendo
i gradini di bianco e nero e inseren-
do dei sensori per attivare la musica
al passaggio delle persone. Il risulta-
to? L’80% degli utenti ha rinunciato
alla scala mobile pur di suonare qual-
che nota. E, dunque, la tradizione an-
glosassone dell’“impiegato del mese”
non era nient’altro che una gamifica-
tion ante litteram.
Visto che la ludicizzazione è, dunque,
solo una tecnica mentale – destinata a
scomparire al termine del processo la-
sciando in eredità motivazioni e stra-
Dopo una carriera in azienda,Monica Cornetti ha
trovato la sua strada con la Sententia Gamification
Consortium: un percorso professionale che l’ha portata
a essere stabilmente nella classifica dei Guru del settore
(https://www.rise.global/gurus).
Da ex Ceo d’azienda,come ha scoperto la gamification?
È cominciato tutto nell’estate del 2012,quando un cliente
mi chiese di costruire un Gamification Workshop per
insegnare ai dipendenti le abilità di problem solving.Andai
a cercare il termine su Google.E scoprii che era proprio
quello che facevo dal 2008 senza saperlo: disegnare e
sviluppare programmi di formazione basati sul gioco.
Qual è l’aspetto più potente di questo sistema?
Le attività di gioco producono un cambio
comportamentale e attitudinale nella formazione,nello
sviluppo del talento,nella produttività e persino nella
qualità della vita.Una volta interiorizzato,il gioco in sé
scompare lasciando procedure e strategie migliori.
In quali campi (formazione,recruiting ecc.) può essere
più utile?
Il mio campo di studi è il Talent Development e l’Employee
Engagement.In particolare,nei programmi di formazione
corporate,il mio mantra
è: «Mai più aride e noiose
lezioni».
Quali sono gli errori da
evitare nella progettazione
di un percorso di
gamification?
Molte persone parlano
di gamification,ma
raramente si va a fondo
nella discussione.Una delle
aree meno considerate in
questo ambito è proprio la
fase di pianificazione.La
maggior parte delle persone si mette subito a immaginare
punti,encomi,tavole di punteggi senza pensare prima al
loro piano d’attacco,e al perché stanno implementando
una simile strategia.In una buona pianificazione,il pensiero
strategico è focalizzato sul creare un arco su una serie di
obiettivi di business,non solo su un singolo step alla volta.
La gamification funziona anche con i dipendenti più
anziani?
La volontà di investire tempo ed energia in qualcosa alla
fine dipende solo dalle nostre motivazioni.Più dell’età,
conta dunque chi siamo,la nostra personalità,la capacità
di prendere decisioni comprendendo le diverse prospettive.
Per chi disegna progetti di gamification,il problema è
capire in anticipo i profili motivazionali dei potenziali
giocatori,per far sì che il“gioco”coinvolga più persone
possibile.
Dopo il Gamification World Congress 2015 di Barcellona,
quale pensa che sarà il futuro di questo settore nei
prossimi anni?
Diventerà probabilmente un’industria importante.
Per rimanere competitive,produttive e profittevoli,le
organizzazioni di successo hanno capito la necessità
di percorrere programmi
di formazione basati sui
risultati.I campi di maggiore
applicazione saranno il
Talent Development,le
risorse umane e l’Employee
Engagement.Con una
breve ricerca su Internet
per le posizioni lavorative
da formatore,le capacità
di gamification sono sulla
lista delle competenze
preferenziali,se non tra quelle
richieste.
IDENTIFICARE GLI OBIETTIVI
IN STILE FORBES
La classifica dei guru della gamification della Leaderboaded Ltd.
NON C’È UNA STRATEGIA ADATTA A OGNI CONTESTO,
BISOGNA ADATTARE IL PROCESSO ALTARGET
SCEGLIENDO I PREMI PIÙ DESIDERABILI PER LE PERSONE
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Società liquida
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4. tegie nuove – i campi di applicazione
sono pressoché infiniti. A partire dal-
la formazione aziendale, ovviamen-
te, dove è facile trasformare intermi-
nabili convention in qualcosa di ap-
pena più coinvolgente. Uno dei casi
più interessanti in tema di formazione
è rappresentato Duolingo, il “miglior
modo per imparare
una lingua straniera”
come recita il claim
dell’azienda. Qual è
la differenza rispetto
alla miriade di servi-
zi simili? Il servizio fa
leva sulla “scarsità”
ponendo dei coun-
tdown per completa-
re le singole lezioni.
Gli utenti sono così
motivati a superare il
principale problema
nello studio delle lin-
gue, cioè la mancan-
za di tempo.
TROVARE LAVORO
I
n ambiente anglosassone, invece,
i giochi vengono da tempo utiliz-
zati per selezionare le risorse uma-
ne: dato che i curricula non riescono
a trasmettere la maggior parte delle in-
formazioni sulle persone, ci si serve di
un gioco per misurare la propensio-
ne al rischio, la capa-
cità di multitasking, la
velocità di decisione.
Due esempi recenti in
quest’ambito sono My
Marriott Hotel e Wa-
sabi Waiter. Entrambi
si basano sulla gestio-
ne virtuale di un risto-
rante, ma mentre il pri-
mo è stato ideato dalla
catena alberghiera per
avvicinare i millennials
al mondo dell’ospitali-
tà, il secondo è offerto
dall’azienda di game
design Knack in diver-
si contesti di selezione.
Non mancano esperimenti anche in al-
tri campi come il marketing, la salute,
l’ecosostenibilità, il turismo, i trasporti
e il non profit. «Se dovessi dire qual è il
campo con maggiori potenzialità, è si-
curamente il terzo settore. Perché il vo-
lontariato già di per sé implica una ri-
compensa sociale», conclude Petruzzi.
Un’intuizione incarnata anche dal siste-
ma degli Open Badge, distintivi virtua-
li da poter utilizzare esibire su LinkedIn
e altri social: tra i più ricercati degli ul-
timi mesi ci sono quelli attribuiti a chi
ha lavorato a Expo 2015. Ma lo stesso
successo del social network dedicato
al mondo del lavoro è costruito di per
sé su una dinamica ludica applicata a
un’attività noiosa come la compilazio-
ne del curriculum. Facile ed estrema-
mente efficace. Almeno quanto il siste-
ma di FreeRice: un semplice videogio-
co a quiz che come premio ha la pos-
sibilità di donare dieci chicchi di riso
alle popolazioni bisognose per ogni
I SETTORI
• Formazione
• Recruiting
• Salute
•Turismo
• Ecologia
• Non Profit
SUCCESSI SUL CAMPO Da sinistra, in senso orario, alcuni dei più celebri e amati
esempi di applicazione della gamification: il sito di Knack, azienda madre di Wabai
Waiter; Duolingo per imparare le lingue; la piattaforma OpenBadges per i distintivi
virtuali, tre screenshot dell’applicazione Nike Plus e la homepage di Qui! Group
I campi di applicazione
dove la gamification può
dare i risultati migliori
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5. risposta esatta. Chi paga? Gli sponsor.
Chi ci guadagna? Tutti. Nel campo del-
la salute, invece, una delle pioniere è
stata Nike Plus: insieme a una gran-
de innovazione tecnologica – app per
monitorare le prestazioni, sensori nel-
le scarpe ecc. – la multinazionale ha
creato una piattaforma con punti, tra-
guardi, videomessaggi motivazionali
dei campioni dello sport e la possibi-
lità di condividere risultati e “missioni”
con gli amici.
Anche in Italia si muove qualcosa,
soprattutto nel marketing. Una pie-
tra miliare è stata la caccia al tesoro
organizzata da Seat Pagine Gialle in
50 città e 340 comuni con il suo Con-
nection Game nel maggio 2013. Ogni
giocatore doveva costruire un team di
cinque amici per partire alla ricerca
di buoni sconto da 5 mila euro gra-
zie all’uso delle app di Pagine Bian-
che, Pagine Gialle, 89.24.24, Tuttocit-
tà e Glamoo (lo sponsor), la promo-
zione delle quali era proprio l’obiet-
tivo dell’iniziativa. Qualcosa di simi-
le ha tentato Qui! Group, lanciando il
“Kit del turista” in collaborazione con
Poste Italiane per digitalizzare l’espe-
rienza di viaggio a Matera.
Era rivolto al personale dell’azienda
invece “Acea per te”: i dipendenti del
gruppo e delle partecipate dovevano
rispondere in squadra a una serie di
quiz su arte o sport nel minor tem-
po possibile. In palio c’erano bigliet-
ti per musei o partite di basket, ma la
forza del gioco stava nel numero li-
mitato di partecipanti a ciascun con-
test. Scatenare la competizione tra i
lavoratori incrementandone la fide-
lizzazione è stato così fin troppo fa-
cile, quasi un gioco.
«T
RASFORMO I CONCETTI IN UN PRODOTTO», DICE LAURENCE HUMIER CHE SUL
SUO CURRICULUM SCRIVE ARCHITECTURAL ENGINEER. INGEGNERE BELGA,
TRASFERITASI IN ITALIA PER AMORE, NEL DESIGN HA TROVATO LA SUA STRADA:
UN APPROCCIO SIMILE ALLA PROGETTAZIONE EDILIZIA, MA CON RISULTATI MOLTO PIÙ
RAPIDI. HA PERSINO ESPOSTO AL MOMA DI NEW YORK LE SUE MEETING CHAIRS, MA
AMMETTE RIDENDO CHE «IL MIO PUNTO DEBOLE RESTA L’ASPETTO COMMERCIALE E
DISTRIBUTIVO». PER QUESTO PER LA SUA NUOVA AVVENTURA HA SCELTO LA STRADA DEL
CROWDFUNDING, CON IL QUALE SOGNA DI FINANZIARE SMART MONEY MAKER, UN
GIOCO DI CARTE PER RENDERE PIÙ COMPRENSIBILI I CONCETTI DELLA NEW ECONOMY AL
GRANDE PUBBLICO.
Perché spiegare la new economy con un“gioco”?
Lessi un articolo sul Sole 24 ore a proposito della differenza tra come Google e le banche
fanno soldi: su Internet si monetizza il flusso di informazioni,nella vita“reale”attraverso il
passaggio di denaro.Quindi il mondo è cambiato,si guadagna quando si mettono in
circolo i propri beni,i servizi.
A chi si rivolge questo progetto?
Vuole essere intergenerazionale,dai dieci anni in su.È uno strumento per comunicare
un cambiamento sociale,deve suscitare una discussione tra le persone che devono
condividere la loro esperienza con la new economy: social economy,sharing economy,
coworking sono tutti aspetti di una stessa rivoluzione.
Quanto aiuta il gioco a trasmettere dei concetti?
Dal 2010 in poi ho girato a lungo il Sud Italia e da quell’esperienza ho elaborato“Cooking
Materials”,un progetto per produrre nuovi materiali – non necessariamente commestibili
– ispirati alla chimica in cucina grazie all’aiuto di un ingegnere chimico,esperto di
gastronomia molecolare. Una delle mie ricette di materiali fai-da-te è la panna montata
di cera d’api,che è un grasso e se viene sciolto e frullato aumenta di volume proprio
come la panna.Ne è nato un ebook,che ha avuto il patrocinio della Triennale di Milano,
poi dei laboratori e un“kit del piccolo chimico”(Alchemist Matter,ndr).I bambini non
hanno preconcetti su quello che si può cucinare e nemmeno la voglia di“assaggiare”,
sono più furbi degli adulti.
Ma i grandi riescono facilmente a riscoprire il piacere del gioco?
Il gioco è un ottimo mezzo di divulgazione,ma convincere la distribuzione è difficile.Ho
scoperto che esistono un sacco di blogger o canali YouTube in cui le persone parlano
dei loro giochi,cioè quel 70% di idee che vengono ignorate dai brand e non finiscono nei
negozi.C’è una comunità che li segue e che l’industria ignora.
LA FINANZA PER TUTTI
LA COMPETIZIONE
E LA CONDIVISIONE
DI OBIETTIVI COMUNI
AUMENTANO IL LIVELLO
DI COINVOLGIMENTO
DEI LAVORATORI MA
ANCHE L’ATTACCAMENTO
ALL’AZIENDA
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