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Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 24 anno V - Marzo/Aprile 2019
Un tram carico di dubbi
per questa opera in programma.
Tracciato beffa: 20 milioni di
euro per 1,2 km. Un nuovo mezzo
di trasporto pubblico di per sé può
sembrare una svolta positiva per
il rione e la città tutta. Il progetto
prevede un chilometro e mezzo di
nuovi binari, aree pedonali e arre-
di urbani. Un raccordo tra l’Esquili-
no e i Fori Imperiali, anzi, tra largo
Preneste e i Fori imperiali, perché
si affiancherà (toccherà scendere
da un tram e salire sul nuovo per
intenderci) ai tram 5 e 14 già esi-
stenti. Un ritorno al passato, se si
pensa che soltanto negli anni ’80
era stato smantellato un tram si-
mile. Ai tempi, però, svoltava in
via degli Annibaldi e raggiungeva
il Colosseo, dando dunque un sen-
so compiuto alla linea, perché si
andava a raccordare con la linea B
della metro, anziché morire come
questa nuova linea alle porte dei
Fori, dove i passeggeri non saran-
no sufficientemente vicini né alla
metro Colosseo né al tram 8 di
piazza Venezia.
Silvio Nobili
segue a pagina 3
Una tempesta perfetta
di responsabilità diffuse
Alessandro Gilioli, oltre che vicedirettore de L’Espresso, è resi-
dente nel rione da anni. Il suo blog ‘Piovono rane’ è tra i più
seguiti ed apprezzati d’Italia. Tratta di attualità, di politica e del
mondo dell’informazione. In una mattinata di sole, nella cornice
dei giardini di viale Carlo Felice, lo incontriamo per parlare del
rione e della città.
Esquilino, Roma, l’Italia. Seguono dinamiche diverse o sono
tre facce della stessa realtà?
Ci sono alcuni aspetti comuni ed altri diversi. L’Italia è costituita
prevalentemente da ‘provincia’ (l’80 per cento della popolazione
vive in centri con meno di 250 mila abitanti) e anche da molte
‘aree dimenticate’: insomma luoghi molto diversi – e con problemi
diversi – rispetto a noi che stiamo nel centro di Roma. Ci sono
tuttavia elementi in comune: innanzitutto, un diffuso disagio dei
ceti sociali medi e mediobassi, che hanno subito le dinamiche eco-
nomiche degli ultimi 30 anni.
Riccardo Iacobucci
segue a pagina 5
Solenne giuramento
contro ogni forma di violenza
Come ormai da un po’ di tempo, anche quest’anno si è tenuta
la fatidica notte nella quale i Licei Classici di tutta Italia hanno
aperto le loro porte per far conoscere e divulgare la cultura classi-
ca in ogni sua forma. Teatro, arte, musica, fisica e poesia hanno ri-
preso magicamente vita, lasciando naufragare dolcemente gli ani-
mi e le menti di chi in quella serata ha preferito un carme catulliano
o l’enunciazione di qualche poesia alla comoda poltrona di casa.
Ma cos’è la ‘Notte dei licei’? Alessandro Rubino, redattore del gior-
nale scolastico Ondanomala, la definisce «Un’occasione per incon-
trarsi e familiarizzare con le attività della scuola». Chi rende pos-
sibile il tutto? Chi permette che le tanto discusse lingue morte non
passino definitivamente a miglior vita? Questo compito è svolto
dai ragazzi che hanno deciso di intraprendere l’impegnativo, ma
oltremodo bello, percorso di studi classici e che in quelle poche
ore notturne hanno voluto mettersi in gioco per dimostrare quanto
possa essere bello fare un tuffo nel passato.
Claudia De Cupis
segue a pagina 8
Fadiscutereilprogetto,da20milionidieuro,checollegheràpiazzaVittorioalargoCorradoRicci
Illustrazione di Chiara Armezzani
Nuovi mezzi pubblici sono sem-
pre una buona notizia? Pare
di no. A dividere l’opinione degli
abitanti dell’Esquilino, di Monti e
del Colle Oppio è la nuova linea
tram da 20 milioni di euro vo-
luta dal Campidoglio, che andrà
a collegare piazza Vittorio Ema-
nuele II con largo Corrado Ricci,
un passo prima di via dei Fori
Imperiali. Un progetto approva-
to, in minima parte finanziato,
ma pronto ad essere cantierizza-
to entro l’anno. Costo, tracciato,
sicurezza, estetica ma soprattut-
to la sua effettiva utilità restano
tutti punti controversi. Alcuni
rappresentanti del I Municipio,
non direttamente coinvolto nel
progetto, hanno voluto ascolta-
re la voce dei residenti dei rioni
interessati in un’assemblea pub-
blica a novembre, che ha visto la
partecipazione di quasi un centi-
naio di cittadini, singoli o rappre-
sentanti di associazioni e comitati
di quartiere. I quali, anche se fa-
vorevoli a nuove linee tramviarie,
hanno tuttavia manifestato una
forte preoccupazione e contrarietà
2 Per le stradePer le strade
antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it
Inverno a piazza Vittorio
Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli
(antonio.finelli@tiscali.it)
Il vuoto sotto la collinaNei locali sotterranei di piazza Vittorio, c’era il cervellone elettronico che guidava le metro di Roma
Nel giardino di piazza Vittorio,
alle spalle delle giostrine, spo-
stata verso via Ricasoli, c’è una
collinetta. Accanto ci sono basse
costruzioni: una gradinata, una
parete in tufo, sedili in travertino.
Dalla cima della collinetta, un po’
spelacchiata, si rotolano i bambi-
ni più grandicelli che non stanno
nell’angolo dei giochi lì accanto. La
collinetta è artificiale: è la coper-
tura di locali che per anni hanno
ospitato la Centrale di Comando
del Traffico della metropolitana,
che passa poco distante. Un piano
sotterraneo di 48x21 metri, cioè
1008 mq, che per anni è stato la
sede della DCO: Dirigenza Centra-
le Operativa.
Un cervellone sotto terra. I tre-
ni della metropolitana non hanno
interferenze con il traffico di su-
perficie, corrono al buio e i condu-
centi vedono la luce solo in corri-
spondenza delle stazioni. Guidare
al buio, col rischio di poter tam-
ponare il treno davanti o essere
tamponato da quello che segue,
presuppone una grande fiducia nei
segnali di linea e nella guida auto-
matica della velocità da tenere. A
questo e ad altro provvede il DCO.
Un guasto al DCO significa ferma-
re la metro per giorni. La collinet-
ta nascondeva proprio questa im-
portantissima Centrale Operativa.
Gli ‘anni di piombo’. La metro A
è stata aperta alle 5,14 del 16 feb-
braio 1980. La fine degli anni ‘70 e
i primi degli ‘80, furono terribili per
il terrorismo e per lo sviluppo della
strategia della tensione. Il sinda-
co Petroselli e tutti i dirigenti della
Metro erano preoccupati da due
tipologie di ‘incidenti’: la possibi-
lità di un attentato in una stazione
metro e quella di un attentato al
cervellone del traffico, che stava
sotto la collinetta di piazza Vitto-
rio. Al primo rischio si provvide
aumentando la sorveglianza e con
una campagna di responsabilizza-
zione dei romani. Per rispondere al
secondo si pensò ad accelerare al
massimo i lavori della messa in si-
curezza dei locali del DCO. I lavori
erano stati valutati dall’Ufficio Sti-
me del Comune di Roma in circa
60 milioni di lire e messi a gara, la
quale, però, andò deserta. Anche
una seconda e una terza gara an-
darono deserte, perché la valuta-
zione del costo fatta dalle ditte era
di circa 100 milioni di lire. Rifare la
gara con altre stime avrebbe com-
portato tempi lunghi e pieni di in-
certezze. In quell’epoca ero nello
staff del sindaco, proprio per i pro-
blemi del traffico. Mi chiamò Petro-
selli e mi disse di risolvere il caso.
Con una lira in più. Con molte
telefonate e l’aiuto dei tecnici del
Comune e della Metro si trovò
il codicillo che permetteva di af-
fidare i lavori in maniera diretta,
dopo la terza gara andata deserta,
a quella ditta che avesse presenta-
to un’offerta pari a quanto stimato
dal Comune maggiorato di ameno
1 (una) lira. Chiamai l’Intermetro,
la ditta che aveva fatto i lavori per
tutta la linea A. La risposta fu: “Ci
perdiamo 40 milioni di lire, ma se
lo chiede il sindaco, non possiamo
dire di no”.
Andai a dirlo a Petroselli. Stava
mangiando nel suo ufficio al Cam-
pidoglio mentre guardava una par-
tita alla televisione. Gli dissi che i
lavori si sarebbero potuti fare e che
gli avevo fatto regalare 40 milioni.
Lui divenne pallido, l’atmosfera di
ghiaccio, il sole che entrava dal bal-
concino non scaldava abbastanza e
mi sembrò che anche la televisione
si fosse ammutolita. Sibilò: “Cosa
vuoi dire?”. Allora mi spiegai: i soldi
non erano per lui, ma per la città di
Roma. Si rasserenò e disse “Chia-
mali subito”. Alle 15 la società In-
termetro era a prendere il caffè dal
sindaco.
Un guscio svuotato. Il Centro
Operativo rimase sotto la collinetta
di piazza Vittorio fino a fine secolo,
quando il Cervellone fu spostato.
I locali, dopo lavori di ripristino,
furono chiusi e tali sono ancora.
La speranza che fossero dati in uso
ai cittadini si è riaffacciata qual-
che giorno fa, quando la sindaca
Raggi ha parlato di dismissione di
immobili ATAC. Ma guardando me-
glio ci si accorge che si riferiva agli
immobili della delibera comuna-
le n. 39 del 25 giugno 2011, se-
condo la quale l’operazione di far
cassa andrebbe conclusa entro
il 2020! Ecco quindi le ragioni di
tanta fretta, altrimenti salta tutto!
E allora, povera collinetta, guscio
svuotato di attività, tensioni e la-
voro! Chissà quando potrai tornare
a essere bene comune degli Esqui-
lini?
Carlo Di Carlo
3L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Un tram carico di dubbi> Segue dalla prima pagina
Il tram passerà da via dello Statu-
to, sul lato degli ex Magazzini allo
Statuto – MAS, incrocerà via Me-
rulana, attraverserà largo Bran-
caccio e scenderà su via Giovanni
Lanza, sotto la Torre dei Capocci,
dove è prevista una fermata a
piazza San Martino ai Monti, che,
nei progetti, diventerà un'iso-
la pedonale priva di auto. Infine,
percorrendo l'ultimo tratto di via
Cavour, arriverà a largo Corrado
Ricci, altra area dove le auto sa-
ranno bandite.
Per realizzare la linea ci vorranno
20 milioni di euro (salvo impre-
visti), 5 milioni messi dalla città,
mentre gli altri 15 milioni dovreb-
bero arrivare dal Governo.
La giunta capitolina, che un anno
fa circa apriva la Conferenza dei
servizi per i pareri degli organi
competenti, punta ad avviare il
cantiere entro il 2019, completa-
re progetto e gara d’appalto in 16
mesi e concludere l’opera in 20
mesi.
Ogni passeggero guadagnato
costa 50 mila euro. Secondo le
stime del Campidoglio, sono previ-
sti a piazza Vittorio 1.260 passeg-
geri ogni ora, fino a 3.200 passeg-
geri nell’ora di punta. Questo tram
consentirà di convincere 400 nuovi
utenti a lasciare a casa la propria
auto. A conti fatti, 50 mila euro per
convincere un cittadino a prendere
i mezzi pubblici. Un buon affare?
Un pessimo affare secondo la cit-
tadinanza, favorevole all’aumen-
to dei mezzi pubblici, ma ugual-
mente certa degli effetti negativi
di questo progetto. La vox populi
ha le idee chiare: già oggi, infatti,
chi arriva con il tram dall'area del-
la Prenestina dispone della Metro
B da Termini al Colosseo e due li-
nee bus, con una decina di minuti
a piedi per arrivare o in stazione
o su via Cavour. Una linea dop-
pione nel caso in cui venga pro-
lungata la metro C fino a piazza
Venezia e oltre. Secondo molti,
i romani passano per Termini e
non per piazza Vittorio e i turisti
fanno questo tratto volentieri a
piedi, visto che è breve e pittore-
sco. Per non parlare dei problemi
di sicurezza dei palazzi, sollecitati
due volte: dalla Metro B sottoter-
ra e dal tram in superficie. E poi
la convenienza economica. Cin-
quanta autobus elettrici: è quan-
to si potrebbe acquistare con i 20
milioni di euro previsti, ammesso
che il programma dei lavori ven-
ga rispettato, per la costruzione
della linea. Si tratta di spendere
17 mila euro al metro di binari e
serviranno 6 tram per garantire
una frequenza di un mezzo ogni
8 minuti nell’ora di punta. "Perché
non spendere meno per un'opera
molto più utile, una linea elettri-
ca, com'era il bus elettrico 117,
che colleghi piazza Vittorio al
tram 8?” si chiedono i comitati.
Il fine giustifica il ‘mezzo’?
Esaminando le scelte della giunta,
è come se si volesse eliminare la
presenza delle auto per ordinan-
za, senza transizione e senza un
progetto d’insieme. Un po’ come
l’idea di cancellare la povertà con
un decreto.
Secondo il Piano Urbano di Mobi-
lità Sostenibile (PUMS) di Roma,
gli effetti delle modifiche si esau-
rirebbero tra piazza dell’Esquilino,
via dei Cerchi e via dell’Amba Ara-
dam, ma non vengono qualificati
né quantificati. Diverso il parere
dei cittadini, che sembrano inve-
ce avere una visione più globale
della stessa giunta che governa
la città. Se è previsto che Monti
diventi un’area pedonale, dove fi-
niranno le auto? A questa doman-
da il Comune a suo tempo tran-
quillizzò commercianti e residenti,
ricordando che in via Cavour ci
sarebbe stato spazio per compen-
sare parzialmente. Ma oggi con il
nuovo tram si tagliano altri posti
auto proprio in via Cavour e in via
Lanza. Dove posteggiare allora le
auto di Monti e Cavour? Allungarsi
a Colle Oppio? Sbagliato. Il Comu-
ne ha previsto di chiudere anche il
parco, così come è previsto il pa-
gamento della sosta nelle strisce
blu (rimanenti) a piazza Vittorio,
anche per i residenti. Morale: 300
auto alla ricerca di una collocazio-
ne.
I tram non sono tutti uguali:
il progetto Termini-Vaticano-
Aurelio. Circa otto chilometri di
binari, da circonvallazione Cor-
nelia, nel quartiere Aurelio, fino a
Termini, passando su via Gregorio
VII, davanti al Vaticano, su Corso
Vittorio, a piazza Venezia e in via
Nazionale. Con una biforcazione
da Corso Vittorio a piazza Risor-
gimento passando per via Stefano
Porcari. È la TVA (Termini-Vatica-
no-Aurelio), una delle linee tran-
viarie più discusse della recente
storia romana. Un progetto, insie-
me alla tratta centrale della linea
C, nato a metà anni 90 e ridiscus-
so lo scorso gennaio, dopo anni di
oblio, durante una riunione della
commissione Mobilità del Comu-
ne di Roma. Ai tempi, l'opera fu
analizzata, venne chiusa la Con-
ferenza dei servizi su un proget-
to definitivo e addirittura venne
approvato un esecutivo sul trat-
to Argentina-Venezia, su via del
Plebiscito. Costo stimato di circa
200 milioni di euro. Forse comple-
mentare, forse sostitutivo al tram
Esquilino-Fori. Ma al momento un
tram chiamato desiderio.
Silvio Nobili
La situazione delle persone senza fissa dimo-
ra a Roma è drammatica. Secondo gli ultimi
dati del sistema informativo di Roma Capita-
le sono state oltre 16.000 le persone che si
sono rivolte nell’ultimo anno ai centri operativi
del Comune per trovare un’alternativa nottur-
na alla strada. Di queste, circa 6.000 hanno
fatto riferimento al circuito dell’Ufficio immi-
grazione, mentre circa 12.000 si sono rivolte
all’help-desk della Sala Operativa Sociale (il
numero totale è un po’ sopravalutato a causa
della sovrapposizione di alcuni utenti che si ri-
volgono ai diversi centri). A fronte di ciò, 2.300
posti letto sono offerti dal circuito immigrazio-
ne, mentre circa 1.000 posti letto sono quelli
predisposti dai centri di accoglienza dell’help-
desk sociale. La richiesta supera di gran lunga
l’offerta, soprattutto nei periodi di freddo in-
tenso, quando l’alternativa alla strada diventa
più pressante.
L’apertura di un nuovo centro. È per que-
sto che ‘Binario 95’, d’intesa con il Municipio
Roma I Centro e con la collaborazione dell’I-
stituto ‘Figlie di Sant’Anna’, Acli e cooperativa
‘Autonomamente’ hanno deciso di aprire un
nuovo centro di accoglienza notturna pensato
prevalentemente per donne. «L’obiettivo del
progetto – dice Alessandro Radicchi di Bina-
rio95 – è quello di offrire non solo un posto let-
to per dormire, ma soprattutto un’accoglienza
accurata, che si faccia carico, per un periodo
temporaneo, della vita delle persone che en-
trano nel rifugio, aiutandole a raggiungere una
maggiore autonomia e una soluzione soddisfa-
cente di lunga durata».
Gli abitanti del rione hanno risposto con ge-
nerosità alle richieste del centro. Sono arri-
vate coperte, lenzuola, cuscini, asciugamani,
vestiario, sedie, comodini e persino una la-
vatrice. Lo spazio messo a disposizione dalle
suore, grazie anche all’interessamento dell’As-
sessore municipale alle politiche sociali Emilia-
no Monteverde, è confortevole. Le camere da
letto accolgono di norma due o tre persone.
Al primo piano ci sono venti posti letto per le
donne, al piano terra otto per gli uomini. Vi
sono poi vari bagni con doccia, una sala con
lavatrice e stendino, una sala da pranzo. Il cibo
è garantito dalle Acli che gestiscono da anni il
progetto ‘Il cibo che serve’. Ci racconta Giulia
Di Gregorio, «Recuperiamo pane, frutta e ver-
dura dai fornai e dal Banco Alimentare e ora
abbiamo stretto una collaborazione anche con
alcuni ristoranti della zona, che ci forniscono
pasti caldi, come lasagne, carne e pesce. Inol-
tre, aiutiamo le persone che vivono nel centro
anche a sbrigare alcune pratiche burocratiche
per lavoro, pensione, salute ed altro».
Criteri e qualità dell’accoglienza. Il centro
è stato pensato inizialmente per sole donne e
poi ha esteso l’accoglienza anche ad otto uo-
mini con particolari fragilità. Le richieste di
ingresso partono di solito dalla Sala Operati-
va Sociale del comune. Una volta al centro,
queste persone sostengono un colloquio con
gli operatori, finalizzato a capire meglio le di-
verse fragilità ed emergenze, e si decide per
un primo periodo di pernottamento che, se ne-
cessario, può essere rinnovato. Il percorso di
autonomia proposto dipende dalla fragilità del-
le persone. Simone Giani ci spiega che «Non è
sempre facile trovare una soluzione migliore:
tuttavia, questa settimana un ragazzo ha tro-
vato un lavoro notturno come fornaio ed è an-
dato via, mentre una signora, dopo 2 settima-
ne, è riuscita a riottenere le sua pensione e ha
trovato una soluzione più stabile». Francesca
Andreani della cooperativa ‘Autonomamente’
osserva come «Per la riuscita dell’accoglienza,
è decisiva la relazione di aiuto che si riesce ad
instaurare. Per esempio, le persone che han-
no vissuto vari anni in strada hanno difficoltà
ad instaurare un rapporto di fiducia con chi le
vuole aiutare. Soprattutto le donne, che hanno
spesso alle spalle storie di abusi e di prosti-
tuzione, sono diffidenti ad entrare nei centri,
perché ormai si sentono più sicure in strada,
che per loro è diventata una casa e dove san-
no come gestirsi». È vero però che, una vol-
ta instaurata una relazione positiva, le donne
hanno più forza e determinazione ad attuare
un percorso di recupero della loro autonomia,
a ricostruire la loro rete di relazioni familiari ed
amicali e a trovare soluzioni utili, non solo a se
stesse ma magari anche ai propri figli, pur se
questi non vivono più con loro.
Parlano gli utenti del centro. Proveniente
dal Gambia, Bubacarr, 19 anni, è arrivato da
poco al rifugio, dopo tanti anni passati in stra-
da. Ci racconta la sua esperienza: «È molto
difficile inserirsi in Italia soprattutto perché
non si trova lavoro e perché le famiglie italia-
ne, prese dai loro problemi, non hanno molta
disponibilità nei nostri confronti. Io volevo an-
dare in Germania ma non ci sono riuscito. Per
fortuna sono una persona positiva e ora spero,
con l’aiuto di chi ci accoglie, di poter trovare
una condizione migliore». Anche Camelia, pro-
veniente dalla Romania, ha passato molti anni
in strada. Ci esprime le sue prime impressioni
di fronte a questa nuova situazione di acco-
glienza: «Mi auguro di trovarmi bene, sembra
una bella situazione».
Emergenza o continuità? Il progetto è nato
in un’ottica emergenziale e dovrebbe finire ad
aprile. Ma dice Alessandro Radicchi, «Noi spe-
riamo di poter continuare, magari con il so-
stegno del Comune di Roma, per assicurare
alle persone fragili un sostegno di più lunga
durata. Inoltre, pensiamo che la nostra espe-
rienza possa essere d’esempio per altre strut-
ture religiose, molto numerose a Roma, che
potrebbero replicarla mettendo a disposizione
altri spazi».
Noi del ‘Cielo sopra Esquilino’ ce lo auguriamo
di cuore.
Maria Grazia Sentinelli
4 C’è chi faC’è chi fa
Il Rifugio Sant'Anna in via Guicciardini
L'obiettivo del nuovo centro non è solo offrire un posto letto, ma garantire una dignità di accoglienza
5Il rione mormoraIl rione mormora
Una tempesta perfetta di responsabilità diffuse
Per Alessandro Gilioli, vicedirettore de L’Espresso, l’incapacità dell’amministrazione e la rassegna-
zione dei cittadini conducono al declino della città. Una condizione da cui non sarà facile venir fuori
> Segue dalla prima pagina
Le nuove tecnologie hanno radicalmente mo-
dificato sia il mondo del lavoro, sia l’urbani-
stica – pensiamo alla diffusione dei B&B, qui
da noi – sia le aspettative delle persone. Un
fenomeno che si è declinato in modo diverso
nelle province, nelle metropoli, nelle periferie
e anche all’Esquilino. In generale, nel passato
recente, la cifra caratteristica era la speranza
di miglioramento. Oggi c’è invece nostalgia del
passato e paura del nuovo, perché oggi la pro-
spettiva è di peggioramento. Una paura che,
seppur giustificata, provoca effetti negativi nel
vivere comune.
Come si declina questo nel nostro terri-
torio?
L’Esquilino si trova in una terra intermedia.
Non siamo la Roma più patinata, quella di piaz-
za Navona, dei palazzi della politica, del rione
Monti. Ma non siamo neanche la Roma della
Bufalotta, di Tor Pignattara o del quadrante est
con tutti i suoi problemi. Da un lato subiamo
alcuni problemi di disagio economico, psicolo-
gico e urbanistico caratteristici delle periferie.
Dall’altro viviamo in un’area, quella del primo
municipio, dove l’attenzione delle istituzioni è
comunque maggiore. Stiamo meglio delle pe-
riferie dal punto di vista della socialità diffusa,
dei locali, dei punti di ritrovo e forse anche dei
trasporti pubblici, grazie soprattutto alle me-
tropolitane. Non abbiamo però la stessa ‘ve-
trina’ che ha il centro storico, o anche Prati.
Anche in termini di criminalità e abbandono
sociale siamo messi meglio delle periferie, ma
peggio del centro storico vero e proprio. Poi,
certo, subiamo il degrado che sul trasporto su-
bisce tutta la città. Quindi i problemi sono simili
a quelli che, con poche eccezioni, ha il resto di
Roma. Aldilà delle problematiche strutturali, le
criticità maggiori sono quelle legate al traffico,
alla mobilità e alla qualità della ‘strada’ nel suo
complesso, intesa come rifiuti, buche e tutti gli
altri aspetti che conosciamo benissimo. Alcuni
imputano questo stato di abbandono esclusi-
vamente all’attuale giunta comunale; io credo
invece che il declino della città – dove vivo da
17 anni – sia un combinato disposto fra una
amministrazione oggettivamente scarsa, come
lo sono state anche molte delle precedenti, e
un atteggiamento dei cittadini che è ormai di
rassegnazione. Questo mix di corresponsabi-
lità dall'alto e dal basso impedisce che si crei
quella dinamica positiva che si è creata in altre
città, in cui i cittadini aiutano l’amministrazio-
ne e l’amministrazione aiuta i cittadini. Qui la
spirale è negativa da parte di entrambi. E que-
sto lo vediamo tutti i giorni anche nel nostro
rione.
Ma vedi anche qualche nota positiva?
Ci sono sempre anche i segnali positivi, di
comportamento. Banalmente, oggi non è più
socialmente accettato che si lasci defecare
i cani sui marciapiedi, chi lo vede il più del-
le volte dice qualcosa. Ma il grosso del vivere
comune è improntato alla rassegnazione. Per
esempio: lascio la macchina in doppia fila, tan-
to cosa me ne frega se così aumenta il traffico,
peggioro la mobilità, danneggio i miei polmo-
ni e quelli dei miei figli? Oppure: sfreccio col
motorino sul marciapiede senza pensare che
da un portone può uscire un anziano, un bam-
bino, un disabile. Non abbiamo l’abitudine di
pensare alla società nel suo complesso. Que-
sto vuol dire peggiorare la nostra stessa vita.
Non ce ne rendiamo conto perché siamo in un
mood di rassegnazione anziché di costruzione.
Questo, associato ad amministrazioni scarse e
scarsissime, crea il combinato di cui dicevamo.
Questa giunta non è migliore né peggiore delle
altre, ma ha fatto l’errore di creare delle gros-
se aspettative per poi deluderle totalmente.
La nostra associazione ha partecipato alla
raccolta di firme per l’introduzione dell’e-
ducazione alla cittadinanza nelle scuole.
La sensazione è che il senso civico della
popolazione fosse maggiore in passato
rispetto ad oggi. Quanto dici sembra con-
fermarlo.
È calato perché c’è più egoismo e meno senso
della società. Non abbiamo l’idea di vivere in
uno Stato, in un insieme. Ciascun per sé e Dio
per tutti. Alcuni ne attribuiscono la responsa-
bilità ad un’unica causa, ma sono semplifica-
zioni. Quelli di oggi danno la colpa a chi c’era
prima e viceversa. La realtà è un po’ più com-
plessa. C’è una tempesta perfetta di responsa-
bilità diffuse. La politica per ottener consenso
non fa educazione civica o pedagogia diffusa,
anche severa. Nessun sindaco, ad esempio, ha
mai avuto il coraggio di fare una vera politica
repressiva contro il parcheggio selvaggio e le
auto in seconda fila. Se lo fai ti trovi la gen-
te contro. Tutti i candidati sindaci, tre anni fa,
avevano promesso di combattere l’evasione
tariffaria sui mezzi pubblici – che a Roma è
stimata sul 40 per cento, tra le più alte d'Euro-
pa – e si è visto pochissimo. Evasione tariffaria
vuol dire meno soldi all’Atac e meno autobus,
tram e servizi per tutti. Più in generale, nessu-
na giunta ha avuto il coraggio di rovesciare la
mobilità urbana a favore del mezzo pubblico.
Il risultato è che i mezzi pubblici non funziona-
no perché c'è il traffico privato e la gente usa
i mezzi privati perché non funzionano i mezzi
pubblici. È una spirale che non porta da nes-
suna parte.
Riccardo Iacobucci
6 La memoriaLa memoria
Martiri adolescenti nella Resistenza romanaTanti ragazzi diedero la vita per la libertà. La loro storia non è ancora conosciuta come dovrebbe
Il 15 Gennaio scorso è stata col-
locata in via Gioberti 47 una
pietra d’inciampo in onore di Carlo
Del Papa, ucciso non ancora quat-
tordicenne dai nazisti il 10 settem-
bre 1943 nel tentativo di opporsi
all’occupazione di Roma.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre,
la vergognosa fuga del re, di Ba-
doglio e di tutti i vertici militari e
politici dalla Capitale causò un di-
sorientamento generale nell’eser-
cito italiano che, privo di direttive,
non seppe affrontare nel modo
adeguato la prevedibile reazione
dei tedeschi, non più alleati, che
da tempo avevano approntato un
piano per l’occupazione della cit-
tà. Nonostante il rapporto di for-
ze fosse nettamente a favore de-
gli italiani, le nostre truppe ben
presto capitolarono. Tanti roma-
ni però, di tutti i ceti sociali, non
vollero subire l’occupazione senza
fare nulla, ma, armati come pote-
vano, parteciparono alla lotta pro-
prio nel momento in cui le strut-
ture statali stavano miseramente
cedendo. Tutto il territorio urbano
fu coinvolto negli scontri che, in
soli tre giorni, causarono centinaia
di vittime, molte mai identificate.
L’apporto dei giovani. Alla Sta-
zione Termini si sparò fino alla
sera del 10 settembre. Qui, come
in altre parti della città, ai soldati
si affiancarono i civili, di cui molti
giovani.
“Anche in Piazza dei Cinquecento,
racconta Mimmo Spadini – ser-
gente del Genio che ci si è tro-
vato – si è combattuto per tutto
il pomeriggio. Pochi soldati della
sua compagnia, ufficiali e soldati
senza reparto, borghesi, ragazzi
da sotto il porticato della stazio-
ne, dal giardinetto dirimpetto, da
dietro i mucchi di selci della piazza
in riparazione, sparavano contro
le finestre e la terrazza dell’alber-
go Continentale e delle case vicine
di cui i tedeschi che ci abitavano,
avevano fatto un caposaldo.” (da
Paolo Monelli, ‘Roma 1943’).
L’apporto dei giovani e giovanissi-
mi ai combattimenti fu sicuramen-
te importante; è un aspetto da
non sottovalutare, considerando
che facevano parte di una gene-
razione istruita nelle scuole del re-
gime fascista e priva degli odierni
mezzi di comunicazione.
“I ragazzi erano i più tranquilli,
adolescenti di quindici-diciassette
anni, con pistoloni trovati chissà
dove, moschetti abbandonati dai
soldati; altri disarmati facevano
servizio di staffetta, stavano ac-
canto ai tiratori indicando il ber-
saglio: “Ecco Sergè, spareno da
quella finestra”. Ogni tanto uno di
quei ragazzi cadeva colpito. Il tiro
dei tedeschi era maledettamente
azzeccato. Correvano fuori dagli
alberi le donne, raccoglievano il
ferito, lo portavano a Piazza Ese-
dra dove c’erano carretti che fa-
cevano servizio di sanità. Spadini
vide morire uno di questi ragazzi,
colpito mentre inginocchiato indi-
cava una finestra: non fece un gri-
do, si accasciò su un fianco, diste-
se adagio adagio le gambe, non si
mosse più” (op.cit.).
Martiri adolescenti. La storia di
questi ragazzi, che pagarono con
la vita la scelta di lottare per la
libertà, non è stata ancora raccon-
tata e divulgata come dovrebbe.
Tra questi martiri, possiamo ricor-
dare alcuni adolescenti che parte-
ciparono alla disperata difesa di
Roma, iniziando di fatto la lotta
partigiana in Italia.
Ugo Cotan, di 16 anni, penetrato
nell’Aeroporto di Centocelle, riu-
scì ad incendiare tre aerei sotto il
fuoco dei tedeschi di guardia poi,
colpito, coprì la ritirata dei suoi
compagni fino alla morte.
Antonio Calvani, di 16 anni, scap-
pato di casa, si unì ai soldati di
Porta San Paolo. Un ufficiale dei
Granatieri vedendolo con indosso
una tuta da meccanico gli intimò
di tornare a casa dalla madre. Per
tutta risposta, presa una giacca
militare ad un caduto (particolare
simbolico in un momento in cui pa-
recchi facevano a gara per disfarsi
delle divise), continuò a combat-
tere finché non fu colpito a morte.
Maurizio Cecati, 17 anni, ferito da
una raffica di mitra il 10 settem-
bre, si trascinò fino a che, ripre-
sa un’altra arma la puntò contro il
nemico al grido “morte al tedesco”
cadendo subito dopo.
Nello Di Mambro, ucciso il giorno
del suo diciottesimo compleanno.
Salvatore Lorizzo, ferroviere di-
ciottenne, anch’egli morì in via
Gioberti nel tentativo di difendere
un autoblindo italiano.
Carmelo Coco, nato nel 1924, fu
ferito mortalmente a Largo Brin-
disi nel tentativo di contrastare
l’entrata dei nemici da porta San
Giovanni.
Con Carlo Del Papa sono sette ca-
duti, i più giovani tra i tanti.
Una stele per ricordare. Per
questi ragazzi, l’Associazione Pa-
trizia Leonardi – oltre a svolgere
una lodevole operazione di di-
vulgazione delle loro storie nelle
scuole – da anni cerca di far eri-
gere un monumento, ‘La Stele del
Silenzio’, dello scultore Salvo For-
tuna, a Porta San Paolo, centro dei
combattimenti.
Il ricordo delle storie esemplari di
Carlo e degli altri sei giovani, ma
anche di quelli rimasti purtrop-
po sconosciuti, dovrebbe essere
coltivato meglio dalle Istituzioni
cittadine. Dopo oltre 70 anni, in-
fatti, Roma non ha ancora dato
il giusto riconoscimento a questi
eroi che cercarono di difendere la
città dall’aggressione nazista, ri-
scattando in qualche modo l’onore
nazionale.
Il loro esempio sia sempre da in-
segnamento per tutti i giovani di
oggi, affinché possano compren-
dere quanto sia costata la conqui-
sta della libertà e della democrazia.
Paolo Del Papa
8 C’è chi faC’è chi fa
Solenne giuramento
contro ogni forma di violenza
Lo scorso 11 gennaio al liceo Pilo Albertelli si è tenuta una cerimonia
che ha avuto risonanza nazionale. Abbiamo chiesto a Claudia De
Cupis, direttrice del giornale d’istituto, di scriverne per i nostri lettori
> Segue dalla prima pagina
Un giuramento contro la violenza. In
particolar modo quest’anno, il Liceo Classico
Pilo Albertelli di Roma, che sorge sul colle
dell’Esquilino, si è distinto da tutti gli altri
Istituti per aver ospitato un evento senza
alcun precedente nella storia: un giuramen-
to contro ogni forma di violenza. L’iniziativa,
rifiutata da altri licei di Roma, ha trovato un
terreno fertile al Pilo Albertelli per la sua già
nota fama d’istituto anti-fascista, non solo
perché dedicato a una delle più importanti
figure della resistenza italiana, ma anche per
l’instancabile lavoro degli studenti in iniziati-
ve di commemorazione a sfondo storico.
Il giuramento, svoltosi come una sorta di
performance artistica, vede la sua ideatrice
nell’artista concettuale romantica Marina Ra-
pone, già nota per il suo instancabile impe-
gno nelle iniziative contro la violenza sulle
donne e per il suo sentire artistico, che l’ha
resa una vera e propria ‘outsider’ dell’arte.
L’evento, sviluppatosi solo dopo un percorso
tra quadri viventi, che hanno conferito al li-
ceo ancor più l’aspetto di un museo (l’istitu-
to ospita collezioni di materiali e dispositivi,
scientifici e non, del 1800), in quanto alla
sua eccezionalità, ha destato pareri discor-
danti tra gli studenti albertelliani.
Pareri contrastanti. L’opinione si è divisa
tra chi ha ritenuto il giuramento un qualcosa
d’innovativo e fuori dal comune, e chi invece,
ha trovato un’ulteriore conferma della deri-
va, almeno parziale, dei valori e dell’arte,
alla quale stiamo assistendo nella società di
oggi.
«Secondo me, è stata un’occasione per dire
ancora una volta un no alla violenza e a tutto
ciò che la riguarda. I temi che sono stati trat-
tati purtroppo sono attuali e ritengo che nel
2019, la violenza non debba esistere. Strin-
giamoci tutti in un unico sentire, auspican-
do un futuro migliore!», sostiene Federico
Tonini, e ancora «La performance sul tema
della violenza è stata particolarmente sug-
gestiva!», dice Alessandro Rubino. Critiche
invece arrivano da altri che sono dell’idea
che «Abbiamo perso l’importanza e la solen-
nità dell’atto di giurare. […] Non credo che
questo possa essere relegato a un’art perfor-
mance», mentre alcuni dicono «Mi stupisco
con quanta superficialità possa essere stato
trattato l’argomento della violenza. Ci do-
vremmo sforzare di ricordare che la grandis-
sima parte degli eventi storici è basata sulle
guerre e proprio sulla violenza, della quale
ora con pressappochismo stiamo facendo
abiura!»
L’importanza dei gesti e delle parole.
Come ben sappiamo, ogni lavoro artistico
genera pareri positivi e negativi, lodi e cri-
tiche, ma trova la sua forza nella ragione di
essere in quanto arte. Tuttavia, in merito ad
un argomento, purtroppo così vicino a noi,
urge riflettere. Questo giuramento rifiuta
ogni forma di violenza, quindi abbraccia sia
gli atti di bullismo all’interno delle scuole e
di omofobia, sia il conflitto armato che vede
popolazioni combattersi in nome di un idea-
le, donandoci una vasta gamma di brutalità,
i cui esempi nel migliore dei casi si trovano
agli antipodi. Il movimento pentastellato dal-
la Commissione Cultura del Parlamento so-
stiene che quest’art performance possa con-
tribuire al consolidamento di «valori profondi
come la solidarietà e l’inclusione sociale»,
ma abbiamo la certezza che un giuramen-
to in un liceo classico possa dare inizio a un
impegno generale contro la violenza, quando
il nostro governo suggerisce continuamente
esempi di razzismo, intolleranza e prevarica-
zione? Siano bastevoli come esempi la que-
stione migrati o l’inizio del pesante ostruzio-
nismo nei confronti dell’omosessualità. La
speranza di questo giuramento è nei giovani
e in un domani florido e pacifico al quale la
scuola ha l’obbligo di educare; tuttavia, non
bisogna dimenticare l’importanza dei gesti e
delle parole, che se usati con superficialità
possono ingenerare incomprensioni, in que-
sto caso semplice buonismo.
Claudia De Cupis
Direttrice del giornale Ondanomala
Liceo Pilo Albertelli di Roma
Roma Capitale Umana
Si è tenuta lo scorso 17 febbraio nei giardi-
ni di Piazza Vittorio la manifestazione Roma
Capitale Umana, promossa dall’Associazione
Genitori Scuola Di Donato per dire basta a prov-
vedimenti che rendono il nostro Paese inospita-
le, ignorano i diritti umani più basilari e costru-
iscono barriere, alimentando una paura che si
trasforma in odio razziale.
Un presidio rumoroso e colorato che ha visto la
partecipazione di tantissime cittadine e cittadi-
ni, comunità, associazioni.
Liberato l’edificio occupato
di viale Carlo Felice
Si è conclusa lo scorso febbraio la liberazione
concordata dell’edificio di viale Carlo Felice
69, occupato da oltre quattordici anni. Grazie
alla collaborazione tra Prefettura, Regione, Co-
mune e Municipio si è avviato un cammino dove
le priorità sono state la non divisione dei nuclei
familiari, la garanzia di continuità nella frequen-
tazione delle stesse scuole per le bambine e i
bambini, le garanzie per gli anziani e le persone
con disabilità.
In totale, sono state trasferite sessantadue per-
sone. Dodici hanno trovato alloggio nelle strut-
ture di Roma Capitale. Le restanti quarantasei,
di cui diciannove minori, alloggeranno in appar-
tamenti messi a disposizione dall’Ater e da Si-
dief, proprietaria dell’immobile liberato.
Una tipologia di intervento che, concordano le
istituzioni promotrici, potrà rappresentare un
modello per altre situazioni simili.
9La memoriaLa memoria
E l’Esquilino ebbe il suo liceo: era il 25 luglio 1881
Denominato inizialmente “Umberto I”, era destinato ai quartieri orientali della capitale. Dopo la
seconda guerra mondiale, è stato dedicato a Pilo Albertelli, vittima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine
“Riconosciuto che un unico li-
ceo in Roma” era “insufficiente al
gran numero degli alunni” – su
proposta del ministro Baccelli, il
25 luglio 1881 venne istituito il
nuovo liceo Umberto I – oggi Pilo
Albertelli – che si affiancava così
al Visconti, istituito nel novembre
1870 come primo ginnasio-liceo
della nuova capitale. L’esigenza
di un secondo ginnasio-liceo com-
pleto cominciava ad essere senti-
ta dall’opinione pubblica e grande
era stato lo sconcerto quando il
6 agosto 1880 era stato istitui-
to all’Esquilino soltanto un nuovo
ginnasio (come ginnasio c’era già
anche il Mamiani). Con il provve-
dimento legislativo del 25 luglio, il
ministro provvedeva quindi a sa-
nare un errore del suo dicastero
che aveva istituito il ginnasio ma
non il liceo, così come aveva chie-
sto la Camera dei deputati il 23
giugno 1880.
Alla ricerca di una sede. Per il
primo liceo-ginnasio della Capita-
le, intitolato all’archeologo Ennio
Quirino Visconti, si era trovato sin
da subito una sede prestigiosa nel
cuore stesso della città dei papi
– il Collegio Romano della Com-
pagnia di Gesù, roccaforte della
teocrazia spirituale. Per il nuovo
liceo esquilino, invece, destina-
to ai nuovi “quartieri orientali” –
Esquilino, Castro Pretorio, Vimina-
le e Celio – si tarda a trovare una
sede adeguata. Scartata l’idea di
“un unico casamento, spazioso”, si
cercano inizialmente due locali di-
stinti, per il liceo e per il ginnasio:
il nuovo anno scolastico 1881-
1882 vede quindi il liceo sistema-
to al primo piano di palazzo Bel-
luni, a via Urbana, preso in affitto
dall’Amministrazione comunale, e
il ginnasio in piazza dell’Esquilino,
al pianoterra del Palazzo comuna-
le delle scuole (insieme alla scuola
elementare, maschile e femmini-
le, per la quale l’edificio era sta-
to costruito). Nell’anno scolastico
1883-1884, infine, anche il liceo
trova la sua sistemazione nello
stesso palazzo, insieme al ginna-
sio e alle scuole elementari: liceo-
ginnasio al primo piano, al posto
della scuola elementare maschile,
spostata al pianoterra e scuola
elementare femminile che resta
al secondo piano. Ogni scuola, co-
munque, ha un proprio ingresso
indipendente e separato.
Il palazzo comunale delle
scuole. Trovata la sede e avviato
l’anno scolastico, la sistemazione
interna al palazzo è tutta da rior-
ganizzare perché il liceo ha biso-
gno di una netta separazione dal
ginnasio ed inoltre, come istituto
superiore, necessita anche di aule
speciali - laboratori per la fisica e
le scienze naturali, magazzini de-
posito per i macchinari e per le col-
lezioni didattiche. Dal 1883, quin-
di, il palazzo diviene un cantiere
continuo, soprattutto nei mesi
estivi, quando l’istituto è chiuso
per le vacanze scolastiche. Se i
lavori sono urgenti e non si può
attendere l’estate, si prendono in
affitto locali nei dintorni per siste-
marvi le classi interessate, come
accade nel 1884-1885, quando gli
studenti di due classi ginnasiali si
trasferiscono temporaneamente in
via Gioberti. Per consentire l’am-
pliamento del liceo, nel settembre
1884 viene anche avviata la par-
ziale sopraelevazione dell’edificio,
su progetto dell’architetto Gioac-
chino Erzoch. Per provvedere in-
vece alle lezioni di educazione fisi-
ca, nei primi tempi viene concesso
l’uso della palestra comunale nel
cortile dell’Orfanotrofio alle Ter-
me, da condividere comunque con
gli altri studenti della zona.
I primi tempi del liceo. Sin dagli
inizi, il liceo Umberto I si distin-
gue per la serietà degli studi e gli
alti rendimenti scolastici degli stu-
denti e, grazie alla laicità del suo
insegnamento, ha modo di svol-
gere una importante funzione di
inserimento sociale per i figli degli
alti burocrati di stato ed affermati
professionisti, che numerosi fre-
quentano l’istituto, caratterizzan-
dosi come luogo di integrazione
delle nuove generazioni e stru-
mento di promozione dei ceti medi
emergenti. Sono tanti gli studenti
che si distinguono per l’eccellenza
dei loro percorsi scolastici, giova-
ni che in molti casi diventeranno
anche personaggi di primo piano
nella società civile dei successi-
vi decenni: Adolfo Berio (1868-
1954) e Giulio Venzi (1870-1935),
matricole nell’anno scolastico
1885-1886, diventeranno en-
trambi magistrati e uomini politici
di spessore; Ferruccio Schupfer
(1867-1952), che si licenzierà
sempre nell’anno scolastico 1885-
1886 e diventerà un famoso neu-
ro-patologo, internazionalmente
riconosciuto, e Roberto Pozio Va-
glia, licenziato l’anno successivo,
che sarà un valente e apprezzato
latinista, traduttore di testi classici
per importanti case editrici.
Pilo Albertelli (1907-1944).
Da tempo, il liceo Umberto I è di-
ventato il liceo Pilo Albertelli, da
quando, cioè, in ricordo del giova-
ne professore di storia e filosofia,
eroico partigiano e vittima il 24
marzo 1944 dell’eccidio nazista
alle Fosse Ardeatine, la scuola
cambiò nome, preservando così
la memoria di quel drammatico
evento, significativo per la rinasci-
ta morale dell’Italia repubblicana.
Oggi il liceo, che si avvia a festeg-
giare il suo 138° anniversario,
continua a mantenere immutata
la sua tradizione di eccellenza, per
la preparazione del corpo docente
e la serietà degli studi, come te-
stimoniano, tra l’altro, i percorsi
di vita di quei giovani studenti che
hanno acquisito successivamen-
te posizioni di alto rilievo anche
a livello internazionale, dal fisico
Enrico Fermi (1901-1954), premio
Nobel nel 1938, al regista Ettore
Scola (1931-2016), che ha segna-
to profondamente la storia del ci-
nema.
Carmelo G. Severino
Vi vorrei porre una semplice domanda: vi
siete mai fermati a riflettere sulla bellezza
del rione in cui abitiamo? No, non mi interessa
usare la banale retorica fatta di luoghi comuni,
vi vorrei solo far notare quanto valore abbia-
no i tanti elementi quotidiani che molti di voi
hanno sempre di fronte agli occhi ma, ne sono
certa, hanno trascurato per distrazione.
Non mi riferisco infatti all’eleganza e all’opu-
lenza delle varie basiliche o alla grandezza dei
monumenti di archeologia davanti ai quali ab-
biamo la fortuna di passare ogni giorno: tutto
ciò bene o male lo conosciamo e lo ammiria-
mo, seppur di sfuggita. Io mi riferisco al con-
testo quotidiano nel quale viviamo: le strade,
gli edifici, le stesse case. Sì, lo so, percorrendo
le vie del quartiere lo sguardo sarà caduto ine-
vitabilmente sulle tante persone ai margini in
condizioni di povertà, sui secchi dell’immondi-
zia perennemente stracolmi, sulla raccolta dif-
ferenziata che non viene rispettata, insomma
su tutto quello che purtroppo non funziona.
Avete probabilmente scattato anche qual-
che fotografia che ritrae uno di questi aspetti
negativi, forse l’avete pubblicata su qualche
gruppo virtuale e vi siete indignati per bene
usando parole di disappunto. Avete certamen-
te ragione, ma da cosa deve nascere l’indigna-
zione? Io penso che essa debba derivare solo
da un profondo amore e rispetto per il luogo in
cui viviamo, altrimenti sarebbe una reazione
fine a se stessa.
Avete mai provato meraviglia davanti a quel-
le piccole cose che ci circondano ogni giorno?
Camminando per strada, ad esempio mentre
andate a lavoro o a fare la spesa, avete alzato
in alto gli occhi per osservare i colori così caldi
degli edifici intorno a voi come il giallo ocra, il
rosa tenue, l’arancio vivo, il rosso mattone?
Avete ammirato l’eleganza dei loro prospetti?
Avete notato come siano diverse tra loro le fi-
nestre per forma, dimensione e per apparato
decorativo?
Vi siete mai persi tra i mille frammenti irrego-
lari e colorati che compongono la pavimenta-
zione dei portici di Piazza Vittorio e di alcuni
degli atri d’ingresso degli edifici vicini, o avete
abbassato lo sguardo solo per controllare le
notifiche sul vostro telefono?
Passando davanti a un edificio qualunque con
un imponente portone di legno semiaperto in
fondo al quale si vede un po’ di luce avete mai
provato una pulsione irresistibile che vi porta
a entrare? Io sì, tante volte, e vi assicuro che è
stata una sorpresa trovare un bell’atrio coper-
to da una volta decorata da stucchi con in fon-
do un ambiente di dimensioni ristrette, oppure
una bella corte con tanto di giardino, o ancora
una piccola corte quadrata con dei ballatoi che
vi si affacciano, una nicchia sul fondo e una
insolita statua all’interno. Rimanendo indiffe-
renti all’esterno chi lo avrebbe immaginato?
E ancora vi siete soffermati a guardare le sca-
le dell’edificio nel quale abitate? Molte di esse
hanno i primi gradini con gli spigoli arroton-
dati, hanno una forma che quasi vi viene in-
contro e vi invita a salire, sono realizzate con
materiali di pregio e hanno un corrimano ben
disegnato che vi accompagna con grazia. Vi
siete fermati un secondo ad apprezzare la bel-
lezza di quell’ascensore Stigler che vi conduce
al piano di casa o vi siete limitati a sbatte-
re le sue porte di fretta? Avete capito quanto
sia preziosa e delicata la cabina in legno nella
quale entrate con quelle vetrate che permet-
tono alla luce naturale di penetrare dall’ester-
no, o forse preferite il metallo freddo e oppri-
mente di una cabina moderna? E poi, entrati
in casa vostra, avete guardato con meraviglia
la pavimentazione originale dell’epoca, sulla
quale camminate?
Penso proprio che alcuni di voi, pur avendone
l’occasione mille volte al giorno, non l’abbiano
fatto, che abbiano dato tutto per scontato. Ma
non è così. Siate consapevoli del fatto che non
tutti hanno la fortuna di vivere in un contesto
architettonico di valore, mentre noi del rione
Esquilino ce l’abbiamo, oltre ad avere il privi-
legio di essere romani.
Carla Tintari
L’Esquilino in mostra
in via Poliziano
Il prossimo 3 maggio si inaugurerà pres-
so la Galleria Studio Medina, in via Angelo
Poliziano 32, la personale di Antonio Finelli,
collaboratore del nostro giornale con le ope-
re della rubrica ‘Sguardi sull’Esquilino’.
La mostra, dal titolo ’La luce di Roma’, ospi-
terà un insieme di lavori pittorici dedicati al
rione e ai luoghi adiacenti.
Cinarriamo
Èstato pubblicato lo scorso febbraio Ci-
narriamo, volume che raccoglie i quat-
tro racconti degli autori sino-italiani vincitori
del concorso promosso dalla casa editrice
Orientalia e da Associna.
Storie scritte
da una nuova
generazione di
italiani con tra-
dizioni diverse
e composite, in-
terprete attiva
in una società in
continua evolu-
zione.
Una realtà che
tutti, più o meno
c o n s a p e v o l -
mente, abbiamo
già iniziato a vi-
vere.
Tra i vincitori, tre
di Roma e una di Napoli, c’è anche ‘l’esquili-
no’ Alessandro Zhu.
Questi i racconti presenti nel volume già di-
sponibile presso la Libreria Pagina 2:
• Le sorelle Zhou, di Zhu Jie;
• Educazione sentimentale, di Liliana Liao;
• Ritorno a casa, di Luna Cecilia Kwok;
• 2083, di Alessandro Zhu.
Ditelo al cieloDitelo al cielo
Ai distratti
La riflessione di una nostra lettrice sulla bellezza del rione Esquilino
Illustrazione di Carla Tintari
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Numero 24 anno V
Marzo/Aprile 2019
Bimestrale gratuito a cura dell’associazione
“Il Cielo sopra Esquilino”
Registrato presso il Tribunale di Roma
N° 62/2015 28-04-2015
da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino”
Codice fiscale 97141220588
Direttrice Responsabile
Paola Mauti
Redazione
Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo,
Francesco Ciamei, Andrea Fassi, Luca Ferrante,
M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci,
Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili,
Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli,
Carmelo G. Severino
Hanno inoltre collaborato a questo numero
Claudia Bellia, Claudia De Cupis, Paolo Del Papa,
Antonio Finelli
Per informazioni, lettere, sostegno,
proposte e collaborazioni
redazione@cielosopraesquilino.it
Potete trovare Il cielo sopra Esquilino
anche online:
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Chiuso in redazione il 08/03/2019
Tiratura copie 7.000
La redazione e la distribuzione del giornale
sono curate da volontari. La stampa è finanzia-
ta esclusivamente grazie al contributo di alcuni
commercianti di zona e non riceve nessun finan-
ziamento né pubblico né per l’editoria.
Stampato presso
Tipografia Rocografica S.r.l.
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Stampa, inchiostro e carta a basso impatto
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ecologica E.C.F.
Avete qualche argomento,
tema o problema che desiderate
mettere in evidenza?
DITELO AL CIELO!
Scrivete a:
redazione@cielosopraesquilino.it
Arrivano i cinesi ma Fassi resiste
All’inizio degli anni ’90, a piazza Vittorio
sono comparsi i cinesi. Hanno iniziato la
colonizzazione della piazza prima aprendo
un ristorante, in seguito qualche negozio di
abbigliamento, poi un negozio di alimenta-
ri, fino a che sono scomparsi tutti i commer-
cianti italiani. Anche Mas ha chiuso da poco,
mentre resistono la pasticceria Regoli e l’in-
tramontabile Fassi, il Palazzo del Freddo.
Fassi, dal 1928 in via Principe Eugenio, è un
negozio storico di Roma che è rimasto immu-
tato nel tempo. Ogni volta che vi ritorno mi
sembra di fare un tuffo nel passato, tranne
che per la cospicua presenza di ragazzi cinesi
in fila per un gelato.
Persino i gelati sono rimasti invariati sia nel
gusto che nel nome. Ad esempio la cateri-
netta, la cassata, il ninetto ed il sanpietrino.
Come gli stessi manifesti pubblicitari in stile
futurista. Mia madre ricorda ancora questi
versi appresi da bambina leggendo un mani-
festo mentre gustava il gelato: “Caterinetta
supergelato / sei la delizia di ogni palato /
la mamma con la nonnetta cosa desiderano?
Caterinetta!”. Mentre io ero colpita dal ma-
nifesto, che si trova tuttora lì, del ‘Telege-
lato Giuseppina’, che recita così: “Telegelato
Giuseppina ha varcato i confini d’Italia!!! VOI
se non all’estero portatelo in campagna, al
mare, ai monti, nelle vostre gite, nei vostri
viaggi”. Il manifesto rappresenta una carta
geografica dell’Europa dove sono delineate
rotte aeree da Roma alle capitali europee,
ed in alto, in corrispondenza della Russia, è
raffigurato uno scatolone di telegelato. Era
sufficiente questo per considerare Fassi una
gelateria di tutto rispetto ed il nome ‘Palazzo
del Freddo’ mi induceva a credere che fosse
la gelateria più grande del mondo. Associavo
quel luogo per me immenso, algido, spoglio,
con i tavolini in marmo e ferro battuto, le
pareti completamente rivestite di marmi, ad
una cattedrale. A Roma non esistevano altri
‘palazzi’, luoghi così imponenti che vendes-
sero il gelato.
Claudia Bellia
Illuminazione insufficiente
su via Luzzatti
Gentile redazione,
abito da 30 anni in questa bella via ed ho
visto il degrado avanzare. La sera l’illumina-
zione non è sufficiente a causa di lampioni
spenti o addirittura mancanti. A causa di ciò
sono aumentati i furti negli appartamenti che
si affacciano sulla via. I cassonetti per la rac-
colta differenziata non vengono mai sostituiti
e lavati, come usava fare una volta l’AMA. Vor-
remmo leggere sul vostro bel giornale qualco-
sa in merito.
Cordiali saluti!
Lettera firmata
Pericolo stradale su via Merulana
Come non dare ragione alla signora Morel-
li, quando sostiene che via Merulana come
boulevard rimane un sogno! Meraviglia il di-
sinteresse dei commercianti, che sono i primi
a respirare i fumi incessanti dei mezzi pubblici
e privati. La strada ormai è diventata invivi-
bile e pericolosa da attraversare. È dei primi
di dicembre l’ennesimo incidente, questa volta
mortale, che ha mandato al Creatore un pove-
ro ciclista. Tutto questo è iniziato per permet-
tere la chiusura dei Fori, chiusura che ormai è
limitata solo alla domenica, quando è risaputo
Ditelo al cieloDitelo al cielo
che nei giorni festivi i romani preferiscono
scappare dall’Urbe.
Sarebbe opportuno che la redazione si facesse
promotrice di una petizione da inviare al Co-
mune affinché siano installati apparecchi rile-
vatori di smog su via Merulana, via Labicana,
via Emanuele Filiberto e viale Manzoni.
Quanto invidio i gilet gialli francesi!
Stefano Carbonelli
Seguiamo l’ex Zecca
Spett. Redazione,
Vi seguo da molto tempo tramite il caro
amico Bruno Valentino titolare dell’omonima
orologeria. Sono titolare del mio studio dal
1968 (cioè da 50 anni) ed ho potuto segui-
re il lento degrado della Zecca di via Princi-
pe Umberto. Gradirei la conferma del Vostro
impegno per ‘tampinare’ i lavori di restauro e
ammodernamento del detto istituto da Voi già
preannunciati.
Complimenti per la Vostra rivista e molti au-
guri.
Avv. Prof. Carlo Lombardi
Cari lettori,
grazie ancora per i vostri suggerimenti e se-
gnalazioni. Continueremo a farci portatori del-
le vostre istanze per rendere il nostro amato
rione un luogo più bello e accogliente.
La redazione
13
Il 16 ottobre del 1943 nel ghet-
to di Roma, di mattina le SS
presero le strade del PORTICO
D’OTTAVIA e rastrellarono 363
uomini, 649 donne e 200 bambini.
Dopo due giorni, il 18 ottobre, di
mattina, 18 vagoni pieni di persone
partirono dalla stazione Tiburtina.
Dopo due giorni, arrivarono al
campo di concentramento di
Aushwitz. Tutti morirono, tranne
16 persone che erano state fortu-
nate, cioè 15 uomini e una donna,
Settimia Spizzichino.
Noi ci siamo recati il 16 ottobre
2018 a vedere il Portico d’Ottavia
e siamo stati al museo dove c’era
scritto tutto quello che era suc-
cesso in quel giorno di ottobre.
Là abbiamo incontrato un signo-
re di nome Marco che ha 77 anni,
il quale ci ha raccontato di una
bambina che si chiamava Ada che
il giorno prima del 16 ottobre ha
voluto dormire a casa di sua nonna
invece che a casa sua. Sulla porta
di sua nonna c’era scritto “Taglia-
cozzo, cioè un nome ebreo. Ada
stava dormendo e i tedeschi li
presero.
Prima di entrare nel museo, siamo
andati a vedere il teatro di Mar-
cello e il Portico d’Ottavia.
Quando siamo usciti dal museo ab-
biamo visto un cartello, dove c’era
scritto “La SHOA non è un’attra-
zione turistica”. Davanti alle porte
delle case, per i vicoli del Ghetto,
c’erano delle pietre d’inciampo,
opera d’arte di un artista tede-
sco, messe lì apposta non per far
“inciampare la gente”, ma per ri-
cordare cosa era avvenuto.
Dopo questa visita ci siamo sentiti
tristi, perché in quei posti erano
successe delle cose bruttissime,
ma anche felici di averli visitati.
Mini e la Classe V-A
Buongiorno, siamo ritornati,
però ora siamo la V-D.
Vogliamo parlarvi di un problema
raccapricciante, grave, inquinan-
te, penoso e puzzolente: la spaz-
zatura.
Quando passeggiamo vediamo tan-
ti sacchi, mobili, sporcizia di ogni
tipo e colore (di tutto e di più).
Questo disagio attira topi, sca-
rafaggi, gabbiani e piccioni che
aprono le buste dell’immondizia
e spargono il contenuto per tutta
la strada. Può capitare di vedere
passeggiare spensierati enor-
mi gabbiani per le strade, con in
bocca panini o resti di cibo… e alle
volte questi gabbiani si calano in
picchiata per strappare dalle mani
di qualche incauto bambino il suo
pezzo di pizza.
Tutto questo è irrispettoso verso
la nostra bellissima città e peri-
coloso per la nostra salute. Fortu-
natamente esistono delle persone
che cercano di eliminare la sporci-
zia da strade e giardini del nostro
rione, spontaneamente e volonta-
riamente. Si incontrano, di tanto
in tanto, la domenica mattina per
pulire, muniti di scope e stracci, le
strade e le piazze del quartiere.
Attenti a non perdere il prossimo
numero, perché potremmo parlarvi
delle “buche di Roma”, sperando
però che non serva più.
Classe V-D
“Il mondo a Scuola”
a cura dell’Istituto Comprensivo “Daniele Manin” - www. danielemanin.gov.it
14
Un ricordo
Ciao, lettori, sapete che esistono cer-
te pietre che ricordano delle perso-
ne? Semplici mattonelle con un valore
immenso: sono sanpietrini ricoperti di
una lastra di ottone con il nome e i dati
essenziali di persone che sono state
deportate. Note come “pietre d’inciam-
po”, sono posizionate sotto le abitazioni
da dove le persone vennero portate via
con la forza. Nel nostro quartiere ce ne
sono alcune, a via Buonarroti e via dei
Querceti e ce ne sono molte anche nel
vicino rione Monti.
Qualche giorno fa, la nostra classe è
andata a visitare il ghetto: un quartie-
re antico di Roma dove vive parte del-
la comunità ebraica, che un tempo era
addirittura chiuso da alte mura che lo
separavano dal resto della città. Oggi il
quartiere è molto cambiato, ma lì abbia-
mo scovato moltissime “pietre d’inciam-
po”. Tanti di noi le hanno fotografate da
vicino, mentre ci aggiravano per i vicoli
e i palazzi alla ricerca di questi sanpie-
trini. Insomma, era una caccia ad un te-
soro, alla ricerca del passato.
Classe V-D
La carica
dei cento sacchi
Gli impressionisti
a Trastevere
Siamo andati a vedere la Mostra
degli Impressionisti.
Siamo entrati in una grande stanza
buia, dopo un po’ sono apparse delle
proiezioni di fogli. Poi hanno fatto
vedere altre proiezioni di quadri che
ci giravano intorno. C’erano tanti cu-
scini morbidi. Poi siamo andati sulla
ricostruzione del ponte di Monet e
dentro c’erano pesci veri e monete
vere.
Gli impressionisti per disegnare an-
davano fuori e raccoglievano l’attimo
giusto, prima di mattina, poi a mez-
zogiorno, infine di sera per avere una
luce diversa.
I nostri pittori preferiti sono stati
Manet e Monet.
Classe II-A
Dopo una passeggiata
Papille è fuori dall’Italia. Per la precisione ne-
gli Stati Uniti. Si sottoporrà a un intervento
che gli permetterà, forse, di avere indietro la
lingua. Per questa ragione, eccomi di nuovo a
scrivere.
I diversi approcci al cibo. Tutti, con un poco
di attenzione, siamo in grado di discernere tre
stati emotivi che ci guidano verso il cibo. Per
semplificare il tema, li dividerò in tre corren-
ti: l’estetismo culinario, il bisogno di socialità
e l’approccio primitivo. Nei miei lunghi viaggi
ho sempre scelto gli ultimi due piuttosto che
il primo. La mia proverbiale curiosità, mi ha
sovente introdotto a tavoli variopinti, condivisi
con commensali per cui ero io ad essere stra-
niero. Nasceva spontaneo un piacere culinario
espresso nella ricerca della conoscenza sociale
attraverso il cibo, curiosità reiteratasi di espe-
rienza in esperienza: la consapevolezza del
nutrirsi non solo per sopravvivere ma anche
per socializzare.
Solo nel tempo ho imparato il piacere concet-
tuale del cibo. Ho avvicinato da pochi anni la
soddisfazione di ascoltare la raffinatezza di un
ragionamento dietro un piatto, ricercandone i
tratti strutturali e le vibrazioni che ne scaturi-
vano dall’assaggio. Ho sempre creduto questa
regola fosse un binario per fuggire più veloci
dalla solitudine, poiché ponendo il nutrimento
del corpo al pari del piacere dell’anima, si dava
a essa la possibilità di essere colmata di con-
cetti e astrazioni, come uno stomaco affamato.
Perché mangiamo. La differenza tra i diversi
approcci risiede nella predisposizione emotiva
con cui si affronta un pasto, o forse la vita. Ma
prima di tutto, prima ancora di approfondire
questi diversi aspetti, è necessario ricordare
brevemente perché mangiamo. Mangiamo per
sopravvivere, nulla di più. Questa motivazio-
ne, acerba quanto di primaria importanza, è
il concetto alla base dell’approccio primitivo.
Si mangia per necessità, si odora per capire
l’eventuale pericolo, si osserva per capire lo
stadio di deperibilità di un prodotto.
Ma si mangia anche per conoscere il luogo in
cui si arriva, per socializzare.
Convivialità cinese. A Shanghai, in Cina,
alcune anziane aprono il retro delle case su
strada e in alcune sere di primavera cucinano
per gli avventori. L’esperienza condisce il cibo
di conoscenze e tradizioni, come una nonna
che cucina per gli amici dopo la scuola. Cenan-
do con un’anziana signora cinese e due turisti
svedesi, non ho ricercato alcun sapore parti-
colare, non mi sono soffermato sulle caratte-
ristiche del prodotto, ho piuttosto studiato la
leggerezza con cui il cibo scivolava in secondo
piano, mentre l’uomo diventava protagonista
assoluto. Ma anche a tale approccio, semplice
e scarno, sono consapevole manchi qualcosa.
La convivialità può non essere sufficiente.
L’estetica alimentare. Qui subentra il raffi-
nato concetto dell’estetismo del cibo. L’altro
approccio che ancora oggi sto analizzando. Il
piacere culinario che trascende le motivazio-
ni rudimentali e permette di riempire bocca
e stomaco di contenuti organolettici e dialet-
tici per pochi, di riconoscere delle ciliegie in
un buon vino o quanta rovere abbia inciso sul
risultato finale. O addirittura cogliere le acidi-
tà o le punte di amaro eccessive in un piatto,
e la capacità di apprezzare la sua sostanza,
scomponendolo e glorificandone le caratteri-
stiche tecniche. L’esteta alimentare ricerca la
struttura e il piacere indotto dal cibo con la
stessa avidità di chi è alle ultime pagine di un
libro avvincente. Questo è possibile solo gra-
zie all’evoluzione della nostra cultura, essa ha
reso il cibo un piacere e come tale viene cele-
brato, disquisito, studiato e goduto.
Il pasto ‘sociale’. Ma rimanendo in ambito
culturale, la riconoscibilità di sapori cui siamo
abituati è anche utile alla formazione di un’ap-
partenenza sociale. Attraverso le tradizioni cu-
linarie, si completa il processo di socializzazio-
ne che inizia con la crescita e l’allontanamento
dalla figura materna. Un pasto in gruppo, con-
diviso, aumenta il grado di socialità dell’indivi-
duo ponendolo su una linea orizzontale con i
suoi commensali, che in fin dei conti riconduce
l’essere umano a una primitiva necessità che
appartiene a tutti, a prescindere dal ruolo so-
ciale ricoperto. Ricondurre l’uomo a quest’atto
primitivo, è la via per riportare le relazioni su
un piano ugualitario. Restituendo l’equilibrio
in un’epoca in cui la fame, per gli occidenta-
li, sembra anacronistica se non volgare. A ri-
prova di questo le piccole porzioni presentate
su grandi piatti che non sfamano e allo stesso
tempo rendono il cibo ‘oggetto di valore’.
E se nella storia l’attenzione al gusto ha sem-
pre contraddistinto le esperienze culinarie, in
particolare quelle europee, oggi si degusta e
si mangia con sempre meno attenzione al va-
lore intrinseco o primitivo del gesto. L’esteta
del cibo sarà sempre in contrapposizione al ru-
dimentale affamato. Incurante di questa crisi
d’identità, il cibo diviene oggi arte moderna,
seduce gli animi e riempie quella solitudine
incolmabile che appartiene ad ognuno di noi
e che in ogni epoca cerca il suo antidoto in
espressioni differenti.
Concludo con un pensiero di Plutarco, il qua-
le sostiene che: “Non ci invitiamo l’un l’altro
semplicemente per mangiare e bere, ma per
mangiare assieme”.
Da lì, dove il cibo è veicolo di socialità e non
feticcio di disquisizione, mi avventuro verso un
estetismo che mi attrae ma di cui, ancora, non
mi fido.
Andrea Fassi
15EsquisitoEsquisito
La solitudine dell’estetismo culinarioDa elemento di sostentamento a momento di socialità e di appagamento estetico. Il cibo in crisi d’identità
Illustrazione di Chiara Armezzani
Cielo sopraesquilino numero24

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  • 1. Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 24 anno V - Marzo/Aprile 2019 Un tram carico di dubbi per questa opera in programma. Tracciato beffa: 20 milioni di euro per 1,2 km. Un nuovo mezzo di trasporto pubblico di per sé può sembrare una svolta positiva per il rione e la città tutta. Il progetto prevede un chilometro e mezzo di nuovi binari, aree pedonali e arre- di urbani. Un raccordo tra l’Esquili- no e i Fori Imperiali, anzi, tra largo Preneste e i Fori imperiali, perché si affiancherà (toccherà scendere da un tram e salire sul nuovo per intenderci) ai tram 5 e 14 già esi- stenti. Un ritorno al passato, se si pensa che soltanto negli anni ’80 era stato smantellato un tram si- mile. Ai tempi, però, svoltava in via degli Annibaldi e raggiungeva il Colosseo, dando dunque un sen- so compiuto alla linea, perché si andava a raccordare con la linea B della metro, anziché morire come questa nuova linea alle porte dei Fori, dove i passeggeri non saran- no sufficientemente vicini né alla metro Colosseo né al tram 8 di piazza Venezia. Silvio Nobili segue a pagina 3 Una tempesta perfetta di responsabilità diffuse Alessandro Gilioli, oltre che vicedirettore de L’Espresso, è resi- dente nel rione da anni. Il suo blog ‘Piovono rane’ è tra i più seguiti ed apprezzati d’Italia. Tratta di attualità, di politica e del mondo dell’informazione. In una mattinata di sole, nella cornice dei giardini di viale Carlo Felice, lo incontriamo per parlare del rione e della città. Esquilino, Roma, l’Italia. Seguono dinamiche diverse o sono tre facce della stessa realtà? Ci sono alcuni aspetti comuni ed altri diversi. L’Italia è costituita prevalentemente da ‘provincia’ (l’80 per cento della popolazione vive in centri con meno di 250 mila abitanti) e anche da molte ‘aree dimenticate’: insomma luoghi molto diversi – e con problemi diversi – rispetto a noi che stiamo nel centro di Roma. Ci sono tuttavia elementi in comune: innanzitutto, un diffuso disagio dei ceti sociali medi e mediobassi, che hanno subito le dinamiche eco- nomiche degli ultimi 30 anni. Riccardo Iacobucci segue a pagina 5 Solenne giuramento contro ogni forma di violenza Come ormai da un po’ di tempo, anche quest’anno si è tenuta la fatidica notte nella quale i Licei Classici di tutta Italia hanno aperto le loro porte per far conoscere e divulgare la cultura classi- ca in ogni sua forma. Teatro, arte, musica, fisica e poesia hanno ri- preso magicamente vita, lasciando naufragare dolcemente gli ani- mi e le menti di chi in quella serata ha preferito un carme catulliano o l’enunciazione di qualche poesia alla comoda poltrona di casa. Ma cos’è la ‘Notte dei licei’? Alessandro Rubino, redattore del gior- nale scolastico Ondanomala, la definisce «Un’occasione per incon- trarsi e familiarizzare con le attività della scuola». Chi rende pos- sibile il tutto? Chi permette che le tanto discusse lingue morte non passino definitivamente a miglior vita? Questo compito è svolto dai ragazzi che hanno deciso di intraprendere l’impegnativo, ma oltremodo bello, percorso di studi classici e che in quelle poche ore notturne hanno voluto mettersi in gioco per dimostrare quanto possa essere bello fare un tuffo nel passato. Claudia De Cupis segue a pagina 8 Fadiscutereilprogetto,da20milionidieuro,checollegheràpiazzaVittorioalargoCorradoRicci Illustrazione di Chiara Armezzani Nuovi mezzi pubblici sono sem- pre una buona notizia? Pare di no. A dividere l’opinione degli abitanti dell’Esquilino, di Monti e del Colle Oppio è la nuova linea tram da 20 milioni di euro vo- luta dal Campidoglio, che andrà a collegare piazza Vittorio Ema- nuele II con largo Corrado Ricci, un passo prima di via dei Fori Imperiali. Un progetto approva- to, in minima parte finanziato, ma pronto ad essere cantierizza- to entro l’anno. Costo, tracciato, sicurezza, estetica ma soprattut- to la sua effettiva utilità restano tutti punti controversi. Alcuni rappresentanti del I Municipio, non direttamente coinvolto nel progetto, hanno voluto ascolta- re la voce dei residenti dei rioni interessati in un’assemblea pub- blica a novembre, che ha visto la partecipazione di quasi un centi- naio di cittadini, singoli o rappre- sentanti di associazioni e comitati di quartiere. I quali, anche se fa- vorevoli a nuove linee tramviarie, hanno tuttavia manifestato una forte preoccupazione e contrarietà
  • 2. 2 Per le stradePer le strade antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it Inverno a piazza Vittorio Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli (antonio.finelli@tiscali.it) Il vuoto sotto la collinaNei locali sotterranei di piazza Vittorio, c’era il cervellone elettronico che guidava le metro di Roma Nel giardino di piazza Vittorio, alle spalle delle giostrine, spo- stata verso via Ricasoli, c’è una collinetta. Accanto ci sono basse costruzioni: una gradinata, una parete in tufo, sedili in travertino. Dalla cima della collinetta, un po’ spelacchiata, si rotolano i bambi- ni più grandicelli che non stanno nell’angolo dei giochi lì accanto. La collinetta è artificiale: è la coper- tura di locali che per anni hanno ospitato la Centrale di Comando del Traffico della metropolitana, che passa poco distante. Un piano sotterraneo di 48x21 metri, cioè 1008 mq, che per anni è stato la sede della DCO: Dirigenza Centra- le Operativa. Un cervellone sotto terra. I tre- ni della metropolitana non hanno interferenze con il traffico di su- perficie, corrono al buio e i condu- centi vedono la luce solo in corri- spondenza delle stazioni. Guidare al buio, col rischio di poter tam- ponare il treno davanti o essere tamponato da quello che segue, presuppone una grande fiducia nei segnali di linea e nella guida auto- matica della velocità da tenere. A questo e ad altro provvede il DCO. Un guasto al DCO significa ferma- re la metro per giorni. La collinet- ta nascondeva proprio questa im- portantissima Centrale Operativa. Gli ‘anni di piombo’. La metro A è stata aperta alle 5,14 del 16 feb- braio 1980. La fine degli anni ‘70 e i primi degli ‘80, furono terribili per il terrorismo e per lo sviluppo della strategia della tensione. Il sinda- co Petroselli e tutti i dirigenti della Metro erano preoccupati da due tipologie di ‘incidenti’: la possibi- lità di un attentato in una stazione metro e quella di un attentato al cervellone del traffico, che stava sotto la collinetta di piazza Vitto- rio. Al primo rischio si provvide aumentando la sorveglianza e con una campagna di responsabilizza- zione dei romani. Per rispondere al secondo si pensò ad accelerare al massimo i lavori della messa in si- curezza dei locali del DCO. I lavori erano stati valutati dall’Ufficio Sti- me del Comune di Roma in circa 60 milioni di lire e messi a gara, la quale, però, andò deserta. Anche una seconda e una terza gara an- darono deserte, perché la valuta- zione del costo fatta dalle ditte era di circa 100 milioni di lire. Rifare la gara con altre stime avrebbe com- portato tempi lunghi e pieni di in- certezze. In quell’epoca ero nello staff del sindaco, proprio per i pro- blemi del traffico. Mi chiamò Petro- selli e mi disse di risolvere il caso. Con una lira in più. Con molte telefonate e l’aiuto dei tecnici del Comune e della Metro si trovò il codicillo che permetteva di af- fidare i lavori in maniera diretta, dopo la terza gara andata deserta, a quella ditta che avesse presenta- to un’offerta pari a quanto stimato dal Comune maggiorato di ameno 1 (una) lira. Chiamai l’Intermetro, la ditta che aveva fatto i lavori per tutta la linea A. La risposta fu: “Ci perdiamo 40 milioni di lire, ma se lo chiede il sindaco, non possiamo dire di no”. Andai a dirlo a Petroselli. Stava mangiando nel suo ufficio al Cam- pidoglio mentre guardava una par- tita alla televisione. Gli dissi che i lavori si sarebbero potuti fare e che gli avevo fatto regalare 40 milioni. Lui divenne pallido, l’atmosfera di ghiaccio, il sole che entrava dal bal- concino non scaldava abbastanza e mi sembrò che anche la televisione si fosse ammutolita. Sibilò: “Cosa vuoi dire?”. Allora mi spiegai: i soldi non erano per lui, ma per la città di Roma. Si rasserenò e disse “Chia- mali subito”. Alle 15 la società In- termetro era a prendere il caffè dal sindaco. Un guscio svuotato. Il Centro Operativo rimase sotto la collinetta di piazza Vittorio fino a fine secolo, quando il Cervellone fu spostato. I locali, dopo lavori di ripristino, furono chiusi e tali sono ancora. La speranza che fossero dati in uso ai cittadini si è riaffacciata qual- che giorno fa, quando la sindaca Raggi ha parlato di dismissione di immobili ATAC. Ma guardando me- glio ci si accorge che si riferiva agli immobili della delibera comuna- le n. 39 del 25 giugno 2011, se- condo la quale l’operazione di far cassa andrebbe conclusa entro il 2020! Ecco quindi le ragioni di tanta fretta, altrimenti salta tutto! E allora, povera collinetta, guscio svuotato di attività, tensioni e la- voro! Chissà quando potrai tornare a essere bene comune degli Esqui- lini? Carlo Di Carlo
  • 3. 3L’occhio del cieloL’occhio del cielo Un tram carico di dubbi> Segue dalla prima pagina Il tram passerà da via dello Statu- to, sul lato degli ex Magazzini allo Statuto – MAS, incrocerà via Me- rulana, attraverserà largo Bran- caccio e scenderà su via Giovanni Lanza, sotto la Torre dei Capocci, dove è prevista una fermata a piazza San Martino ai Monti, che, nei progetti, diventerà un'iso- la pedonale priva di auto. Infine, percorrendo l'ultimo tratto di via Cavour, arriverà a largo Corrado Ricci, altra area dove le auto sa- ranno bandite. Per realizzare la linea ci vorranno 20 milioni di euro (salvo impre- visti), 5 milioni messi dalla città, mentre gli altri 15 milioni dovreb- bero arrivare dal Governo. La giunta capitolina, che un anno fa circa apriva la Conferenza dei servizi per i pareri degli organi competenti, punta ad avviare il cantiere entro il 2019, completa- re progetto e gara d’appalto in 16 mesi e concludere l’opera in 20 mesi. Ogni passeggero guadagnato costa 50 mila euro. Secondo le stime del Campidoglio, sono previ- sti a piazza Vittorio 1.260 passeg- geri ogni ora, fino a 3.200 passeg- geri nell’ora di punta. Questo tram consentirà di convincere 400 nuovi utenti a lasciare a casa la propria auto. A conti fatti, 50 mila euro per convincere un cittadino a prendere i mezzi pubblici. Un buon affare? Un pessimo affare secondo la cit- tadinanza, favorevole all’aumen- to dei mezzi pubblici, ma ugual- mente certa degli effetti negativi di questo progetto. La vox populi ha le idee chiare: già oggi, infatti, chi arriva con il tram dall'area del- la Prenestina dispone della Metro B da Termini al Colosseo e due li- nee bus, con una decina di minuti a piedi per arrivare o in stazione o su via Cavour. Una linea dop- pione nel caso in cui venga pro- lungata la metro C fino a piazza Venezia e oltre. Secondo molti, i romani passano per Termini e non per piazza Vittorio e i turisti fanno questo tratto volentieri a piedi, visto che è breve e pittore- sco. Per non parlare dei problemi di sicurezza dei palazzi, sollecitati due volte: dalla Metro B sottoter- ra e dal tram in superficie. E poi la convenienza economica. Cin- quanta autobus elettrici: è quan- to si potrebbe acquistare con i 20 milioni di euro previsti, ammesso che il programma dei lavori ven- ga rispettato, per la costruzione della linea. Si tratta di spendere 17 mila euro al metro di binari e serviranno 6 tram per garantire una frequenza di un mezzo ogni 8 minuti nell’ora di punta. "Perché non spendere meno per un'opera molto più utile, una linea elettri- ca, com'era il bus elettrico 117, che colleghi piazza Vittorio al tram 8?” si chiedono i comitati. Il fine giustifica il ‘mezzo’? Esaminando le scelte della giunta, è come se si volesse eliminare la presenza delle auto per ordinan- za, senza transizione e senza un progetto d’insieme. Un po’ come l’idea di cancellare la povertà con un decreto. Secondo il Piano Urbano di Mobi- lità Sostenibile (PUMS) di Roma, gli effetti delle modifiche si esau- rirebbero tra piazza dell’Esquilino, via dei Cerchi e via dell’Amba Ara- dam, ma non vengono qualificati né quantificati. Diverso il parere dei cittadini, che sembrano inve- ce avere una visione più globale della stessa giunta che governa la città. Se è previsto che Monti diventi un’area pedonale, dove fi- niranno le auto? A questa doman- da il Comune a suo tempo tran- quillizzò commercianti e residenti, ricordando che in via Cavour ci sarebbe stato spazio per compen- sare parzialmente. Ma oggi con il nuovo tram si tagliano altri posti auto proprio in via Cavour e in via Lanza. Dove posteggiare allora le auto di Monti e Cavour? Allungarsi a Colle Oppio? Sbagliato. Il Comu- ne ha previsto di chiudere anche il parco, così come è previsto il pa- gamento della sosta nelle strisce blu (rimanenti) a piazza Vittorio, anche per i residenti. Morale: 300 auto alla ricerca di una collocazio- ne. I tram non sono tutti uguali: il progetto Termini-Vaticano- Aurelio. Circa otto chilometri di binari, da circonvallazione Cor- nelia, nel quartiere Aurelio, fino a Termini, passando su via Gregorio VII, davanti al Vaticano, su Corso Vittorio, a piazza Venezia e in via Nazionale. Con una biforcazione da Corso Vittorio a piazza Risor- gimento passando per via Stefano Porcari. È la TVA (Termini-Vatica- no-Aurelio), una delle linee tran- viarie più discusse della recente storia romana. Un progetto, insie- me alla tratta centrale della linea C, nato a metà anni 90 e ridiscus- so lo scorso gennaio, dopo anni di oblio, durante una riunione della commissione Mobilità del Comu- ne di Roma. Ai tempi, l'opera fu analizzata, venne chiusa la Con- ferenza dei servizi su un proget- to definitivo e addirittura venne approvato un esecutivo sul trat- to Argentina-Venezia, su via del Plebiscito. Costo stimato di circa 200 milioni di euro. Forse comple- mentare, forse sostitutivo al tram Esquilino-Fori. Ma al momento un tram chiamato desiderio. Silvio Nobili
  • 4. La situazione delle persone senza fissa dimo- ra a Roma è drammatica. Secondo gli ultimi dati del sistema informativo di Roma Capita- le sono state oltre 16.000 le persone che si sono rivolte nell’ultimo anno ai centri operativi del Comune per trovare un’alternativa nottur- na alla strada. Di queste, circa 6.000 hanno fatto riferimento al circuito dell’Ufficio immi- grazione, mentre circa 12.000 si sono rivolte all’help-desk della Sala Operativa Sociale (il numero totale è un po’ sopravalutato a causa della sovrapposizione di alcuni utenti che si ri- volgono ai diversi centri). A fronte di ciò, 2.300 posti letto sono offerti dal circuito immigrazio- ne, mentre circa 1.000 posti letto sono quelli predisposti dai centri di accoglienza dell’help- desk sociale. La richiesta supera di gran lunga l’offerta, soprattutto nei periodi di freddo in- tenso, quando l’alternativa alla strada diventa più pressante. L’apertura di un nuovo centro. È per que- sto che ‘Binario 95’, d’intesa con il Municipio Roma I Centro e con la collaborazione dell’I- stituto ‘Figlie di Sant’Anna’, Acli e cooperativa ‘Autonomamente’ hanno deciso di aprire un nuovo centro di accoglienza notturna pensato prevalentemente per donne. «L’obiettivo del progetto – dice Alessandro Radicchi di Bina- rio95 – è quello di offrire non solo un posto let- to per dormire, ma soprattutto un’accoglienza accurata, che si faccia carico, per un periodo temporaneo, della vita delle persone che en- trano nel rifugio, aiutandole a raggiungere una maggiore autonomia e una soluzione soddisfa- cente di lunga durata». Gli abitanti del rione hanno risposto con ge- nerosità alle richieste del centro. Sono arri- vate coperte, lenzuola, cuscini, asciugamani, vestiario, sedie, comodini e persino una la- vatrice. Lo spazio messo a disposizione dalle suore, grazie anche all’interessamento dell’As- sessore municipale alle politiche sociali Emilia- no Monteverde, è confortevole. Le camere da letto accolgono di norma due o tre persone. Al primo piano ci sono venti posti letto per le donne, al piano terra otto per gli uomini. Vi sono poi vari bagni con doccia, una sala con lavatrice e stendino, una sala da pranzo. Il cibo è garantito dalle Acli che gestiscono da anni il progetto ‘Il cibo che serve’. Ci racconta Giulia Di Gregorio, «Recuperiamo pane, frutta e ver- dura dai fornai e dal Banco Alimentare e ora abbiamo stretto una collaborazione anche con alcuni ristoranti della zona, che ci forniscono pasti caldi, come lasagne, carne e pesce. Inol- tre, aiutiamo le persone che vivono nel centro anche a sbrigare alcune pratiche burocratiche per lavoro, pensione, salute ed altro». Criteri e qualità dell’accoglienza. Il centro è stato pensato inizialmente per sole donne e poi ha esteso l’accoglienza anche ad otto uo- mini con particolari fragilità. Le richieste di ingresso partono di solito dalla Sala Operati- va Sociale del comune. Una volta al centro, queste persone sostengono un colloquio con gli operatori, finalizzato a capire meglio le di- verse fragilità ed emergenze, e si decide per un primo periodo di pernottamento che, se ne- cessario, può essere rinnovato. Il percorso di autonomia proposto dipende dalla fragilità del- le persone. Simone Giani ci spiega che «Non è sempre facile trovare una soluzione migliore: tuttavia, questa settimana un ragazzo ha tro- vato un lavoro notturno come fornaio ed è an- dato via, mentre una signora, dopo 2 settima- ne, è riuscita a riottenere le sua pensione e ha trovato una soluzione più stabile». Francesca Andreani della cooperativa ‘Autonomamente’ osserva come «Per la riuscita dell’accoglienza, è decisiva la relazione di aiuto che si riesce ad instaurare. Per esempio, le persone che han- no vissuto vari anni in strada hanno difficoltà ad instaurare un rapporto di fiducia con chi le vuole aiutare. Soprattutto le donne, che hanno spesso alle spalle storie di abusi e di prosti- tuzione, sono diffidenti ad entrare nei centri, perché ormai si sentono più sicure in strada, che per loro è diventata una casa e dove san- no come gestirsi». È vero però che, una vol- ta instaurata una relazione positiva, le donne hanno più forza e determinazione ad attuare un percorso di recupero della loro autonomia, a ricostruire la loro rete di relazioni familiari ed amicali e a trovare soluzioni utili, non solo a se stesse ma magari anche ai propri figli, pur se questi non vivono più con loro. Parlano gli utenti del centro. Proveniente dal Gambia, Bubacarr, 19 anni, è arrivato da poco al rifugio, dopo tanti anni passati in stra- da. Ci racconta la sua esperienza: «È molto difficile inserirsi in Italia soprattutto perché non si trova lavoro e perché le famiglie italia- ne, prese dai loro problemi, non hanno molta disponibilità nei nostri confronti. Io volevo an- dare in Germania ma non ci sono riuscito. Per fortuna sono una persona positiva e ora spero, con l’aiuto di chi ci accoglie, di poter trovare una condizione migliore». Anche Camelia, pro- veniente dalla Romania, ha passato molti anni in strada. Ci esprime le sue prime impressioni di fronte a questa nuova situazione di acco- glienza: «Mi auguro di trovarmi bene, sembra una bella situazione». Emergenza o continuità? Il progetto è nato in un’ottica emergenziale e dovrebbe finire ad aprile. Ma dice Alessandro Radicchi, «Noi spe- riamo di poter continuare, magari con il so- stegno del Comune di Roma, per assicurare alle persone fragili un sostegno di più lunga durata. Inoltre, pensiamo che la nostra espe- rienza possa essere d’esempio per altre strut- ture religiose, molto numerose a Roma, che potrebbero replicarla mettendo a disposizione altri spazi». Noi del ‘Cielo sopra Esquilino’ ce lo auguriamo di cuore. Maria Grazia Sentinelli 4 C’è chi faC’è chi fa Il Rifugio Sant'Anna in via Guicciardini L'obiettivo del nuovo centro non è solo offrire un posto letto, ma garantire una dignità di accoglienza
  • 5. 5Il rione mormoraIl rione mormora Una tempesta perfetta di responsabilità diffuse Per Alessandro Gilioli, vicedirettore de L’Espresso, l’incapacità dell’amministrazione e la rassegna- zione dei cittadini conducono al declino della città. Una condizione da cui non sarà facile venir fuori > Segue dalla prima pagina Le nuove tecnologie hanno radicalmente mo- dificato sia il mondo del lavoro, sia l’urbani- stica – pensiamo alla diffusione dei B&B, qui da noi – sia le aspettative delle persone. Un fenomeno che si è declinato in modo diverso nelle province, nelle metropoli, nelle periferie e anche all’Esquilino. In generale, nel passato recente, la cifra caratteristica era la speranza di miglioramento. Oggi c’è invece nostalgia del passato e paura del nuovo, perché oggi la pro- spettiva è di peggioramento. Una paura che, seppur giustificata, provoca effetti negativi nel vivere comune. Come si declina questo nel nostro terri- torio? L’Esquilino si trova in una terra intermedia. Non siamo la Roma più patinata, quella di piaz- za Navona, dei palazzi della politica, del rione Monti. Ma non siamo neanche la Roma della Bufalotta, di Tor Pignattara o del quadrante est con tutti i suoi problemi. Da un lato subiamo alcuni problemi di disagio economico, psicolo- gico e urbanistico caratteristici delle periferie. Dall’altro viviamo in un’area, quella del primo municipio, dove l’attenzione delle istituzioni è comunque maggiore. Stiamo meglio delle pe- riferie dal punto di vista della socialità diffusa, dei locali, dei punti di ritrovo e forse anche dei trasporti pubblici, grazie soprattutto alle me- tropolitane. Non abbiamo però la stessa ‘ve- trina’ che ha il centro storico, o anche Prati. Anche in termini di criminalità e abbandono sociale siamo messi meglio delle periferie, ma peggio del centro storico vero e proprio. Poi, certo, subiamo il degrado che sul trasporto su- bisce tutta la città. Quindi i problemi sono simili a quelli che, con poche eccezioni, ha il resto di Roma. Aldilà delle problematiche strutturali, le criticità maggiori sono quelle legate al traffico, alla mobilità e alla qualità della ‘strada’ nel suo complesso, intesa come rifiuti, buche e tutti gli altri aspetti che conosciamo benissimo. Alcuni imputano questo stato di abbandono esclusi- vamente all’attuale giunta comunale; io credo invece che il declino della città – dove vivo da 17 anni – sia un combinato disposto fra una amministrazione oggettivamente scarsa, come lo sono state anche molte delle precedenti, e un atteggiamento dei cittadini che è ormai di rassegnazione. Questo mix di corresponsabi- lità dall'alto e dal basso impedisce che si crei quella dinamica positiva che si è creata in altre città, in cui i cittadini aiutano l’amministrazio- ne e l’amministrazione aiuta i cittadini. Qui la spirale è negativa da parte di entrambi. E que- sto lo vediamo tutti i giorni anche nel nostro rione. Ma vedi anche qualche nota positiva? Ci sono sempre anche i segnali positivi, di comportamento. Banalmente, oggi non è più socialmente accettato che si lasci defecare i cani sui marciapiedi, chi lo vede il più del- le volte dice qualcosa. Ma il grosso del vivere comune è improntato alla rassegnazione. Per esempio: lascio la macchina in doppia fila, tan- to cosa me ne frega se così aumenta il traffico, peggioro la mobilità, danneggio i miei polmo- ni e quelli dei miei figli? Oppure: sfreccio col motorino sul marciapiede senza pensare che da un portone può uscire un anziano, un bam- bino, un disabile. Non abbiamo l’abitudine di pensare alla società nel suo complesso. Que- sto vuol dire peggiorare la nostra stessa vita. Non ce ne rendiamo conto perché siamo in un mood di rassegnazione anziché di costruzione. Questo, associato ad amministrazioni scarse e scarsissime, crea il combinato di cui dicevamo. Questa giunta non è migliore né peggiore delle altre, ma ha fatto l’errore di creare delle gros- se aspettative per poi deluderle totalmente. La nostra associazione ha partecipato alla raccolta di firme per l’introduzione dell’e- ducazione alla cittadinanza nelle scuole. La sensazione è che il senso civico della popolazione fosse maggiore in passato rispetto ad oggi. Quanto dici sembra con- fermarlo. È calato perché c’è più egoismo e meno senso della società. Non abbiamo l’idea di vivere in uno Stato, in un insieme. Ciascun per sé e Dio per tutti. Alcuni ne attribuiscono la responsa- bilità ad un’unica causa, ma sono semplifica- zioni. Quelli di oggi danno la colpa a chi c’era prima e viceversa. La realtà è un po’ più com- plessa. C’è una tempesta perfetta di responsa- bilità diffuse. La politica per ottener consenso non fa educazione civica o pedagogia diffusa, anche severa. Nessun sindaco, ad esempio, ha mai avuto il coraggio di fare una vera politica repressiva contro il parcheggio selvaggio e le auto in seconda fila. Se lo fai ti trovi la gen- te contro. Tutti i candidati sindaci, tre anni fa, avevano promesso di combattere l’evasione tariffaria sui mezzi pubblici – che a Roma è stimata sul 40 per cento, tra le più alte d'Euro- pa – e si è visto pochissimo. Evasione tariffaria vuol dire meno soldi all’Atac e meno autobus, tram e servizi per tutti. Più in generale, nessu- na giunta ha avuto il coraggio di rovesciare la mobilità urbana a favore del mezzo pubblico. Il risultato è che i mezzi pubblici non funziona- no perché c'è il traffico privato e la gente usa i mezzi privati perché non funzionano i mezzi pubblici. È una spirale che non porta da nes- suna parte. Riccardo Iacobucci
  • 6. 6 La memoriaLa memoria Martiri adolescenti nella Resistenza romanaTanti ragazzi diedero la vita per la libertà. La loro storia non è ancora conosciuta come dovrebbe Il 15 Gennaio scorso è stata col- locata in via Gioberti 47 una pietra d’inciampo in onore di Carlo Del Papa, ucciso non ancora quat- tordicenne dai nazisti il 10 settem- bre 1943 nel tentativo di opporsi all’occupazione di Roma. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la vergognosa fuga del re, di Ba- doglio e di tutti i vertici militari e politici dalla Capitale causò un di- sorientamento generale nell’eser- cito italiano che, privo di direttive, non seppe affrontare nel modo adeguato la prevedibile reazione dei tedeschi, non più alleati, che da tempo avevano approntato un piano per l’occupazione della cit- tà. Nonostante il rapporto di for- ze fosse nettamente a favore de- gli italiani, le nostre truppe ben presto capitolarono. Tanti roma- ni però, di tutti i ceti sociali, non vollero subire l’occupazione senza fare nulla, ma, armati come pote- vano, parteciparono alla lotta pro- prio nel momento in cui le strut- ture statali stavano miseramente cedendo. Tutto il territorio urbano fu coinvolto negli scontri che, in soli tre giorni, causarono centinaia di vittime, molte mai identificate. L’apporto dei giovani. Alla Sta- zione Termini si sparò fino alla sera del 10 settembre. Qui, come in altre parti della città, ai soldati si affiancarono i civili, di cui molti giovani. “Anche in Piazza dei Cinquecento, racconta Mimmo Spadini – ser- gente del Genio che ci si è tro- vato – si è combattuto per tutto il pomeriggio. Pochi soldati della sua compagnia, ufficiali e soldati senza reparto, borghesi, ragazzi da sotto il porticato della stazio- ne, dal giardinetto dirimpetto, da dietro i mucchi di selci della piazza in riparazione, sparavano contro le finestre e la terrazza dell’alber- go Continentale e delle case vicine di cui i tedeschi che ci abitavano, avevano fatto un caposaldo.” (da Paolo Monelli, ‘Roma 1943’). L’apporto dei giovani e giovanissi- mi ai combattimenti fu sicuramen- te importante; è un aspetto da non sottovalutare, considerando che facevano parte di una gene- razione istruita nelle scuole del re- gime fascista e priva degli odierni mezzi di comunicazione. “I ragazzi erano i più tranquilli, adolescenti di quindici-diciassette anni, con pistoloni trovati chissà dove, moschetti abbandonati dai soldati; altri disarmati facevano servizio di staffetta, stavano ac- canto ai tiratori indicando il ber- saglio: “Ecco Sergè, spareno da quella finestra”. Ogni tanto uno di quei ragazzi cadeva colpito. Il tiro dei tedeschi era maledettamente azzeccato. Correvano fuori dagli alberi le donne, raccoglievano il ferito, lo portavano a Piazza Ese- dra dove c’erano carretti che fa- cevano servizio di sanità. Spadini vide morire uno di questi ragazzi, colpito mentre inginocchiato indi- cava una finestra: non fece un gri- do, si accasciò su un fianco, diste- se adagio adagio le gambe, non si mosse più” (op.cit.). Martiri adolescenti. La storia di questi ragazzi, che pagarono con la vita la scelta di lottare per la libertà, non è stata ancora raccon- tata e divulgata come dovrebbe. Tra questi martiri, possiamo ricor- dare alcuni adolescenti che parte- ciparono alla disperata difesa di Roma, iniziando di fatto la lotta partigiana in Italia. Ugo Cotan, di 16 anni, penetrato nell’Aeroporto di Centocelle, riu- scì ad incendiare tre aerei sotto il fuoco dei tedeschi di guardia poi, colpito, coprì la ritirata dei suoi compagni fino alla morte. Antonio Calvani, di 16 anni, scap- pato di casa, si unì ai soldati di Porta San Paolo. Un ufficiale dei Granatieri vedendolo con indosso una tuta da meccanico gli intimò di tornare a casa dalla madre. Per tutta risposta, presa una giacca militare ad un caduto (particolare simbolico in un momento in cui pa- recchi facevano a gara per disfarsi delle divise), continuò a combat- tere finché non fu colpito a morte. Maurizio Cecati, 17 anni, ferito da una raffica di mitra il 10 settem- bre, si trascinò fino a che, ripre- sa un’altra arma la puntò contro il nemico al grido “morte al tedesco” cadendo subito dopo. Nello Di Mambro, ucciso il giorno del suo diciottesimo compleanno. Salvatore Lorizzo, ferroviere di- ciottenne, anch’egli morì in via Gioberti nel tentativo di difendere un autoblindo italiano. Carmelo Coco, nato nel 1924, fu ferito mortalmente a Largo Brin- disi nel tentativo di contrastare l’entrata dei nemici da porta San Giovanni. Con Carlo Del Papa sono sette ca- duti, i più giovani tra i tanti. Una stele per ricordare. Per questi ragazzi, l’Associazione Pa- trizia Leonardi – oltre a svolgere una lodevole operazione di di- vulgazione delle loro storie nelle scuole – da anni cerca di far eri- gere un monumento, ‘La Stele del Silenzio’, dello scultore Salvo For- tuna, a Porta San Paolo, centro dei combattimenti. Il ricordo delle storie esemplari di Carlo e degli altri sei giovani, ma anche di quelli rimasti purtrop- po sconosciuti, dovrebbe essere coltivato meglio dalle Istituzioni cittadine. Dopo oltre 70 anni, in- fatti, Roma non ha ancora dato il giusto riconoscimento a questi eroi che cercarono di difendere la città dall’aggressione nazista, ri- scattando in qualche modo l’onore nazionale. Il loro esempio sia sempre da in- segnamento per tutti i giovani di oggi, affinché possano compren- dere quanto sia costata la conqui- sta della libertà e della democrazia. Paolo Del Papa
  • 7.
  • 8. 8 C’è chi faC’è chi fa Solenne giuramento contro ogni forma di violenza Lo scorso 11 gennaio al liceo Pilo Albertelli si è tenuta una cerimonia che ha avuto risonanza nazionale. Abbiamo chiesto a Claudia De Cupis, direttrice del giornale d’istituto, di scriverne per i nostri lettori > Segue dalla prima pagina Un giuramento contro la violenza. In particolar modo quest’anno, il Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma, che sorge sul colle dell’Esquilino, si è distinto da tutti gli altri Istituti per aver ospitato un evento senza alcun precedente nella storia: un giuramen- to contro ogni forma di violenza. L’iniziativa, rifiutata da altri licei di Roma, ha trovato un terreno fertile al Pilo Albertelli per la sua già nota fama d’istituto anti-fascista, non solo perché dedicato a una delle più importanti figure della resistenza italiana, ma anche per l’instancabile lavoro degli studenti in iniziati- ve di commemorazione a sfondo storico. Il giuramento, svoltosi come una sorta di performance artistica, vede la sua ideatrice nell’artista concettuale romantica Marina Ra- pone, già nota per il suo instancabile impe- gno nelle iniziative contro la violenza sulle donne e per il suo sentire artistico, che l’ha resa una vera e propria ‘outsider’ dell’arte. L’evento, sviluppatosi solo dopo un percorso tra quadri viventi, che hanno conferito al li- ceo ancor più l’aspetto di un museo (l’istitu- to ospita collezioni di materiali e dispositivi, scientifici e non, del 1800), in quanto alla sua eccezionalità, ha destato pareri discor- danti tra gli studenti albertelliani. Pareri contrastanti. L’opinione si è divisa tra chi ha ritenuto il giuramento un qualcosa d’innovativo e fuori dal comune, e chi invece, ha trovato un’ulteriore conferma della deri- va, almeno parziale, dei valori e dell’arte, alla quale stiamo assistendo nella società di oggi. «Secondo me, è stata un’occasione per dire ancora una volta un no alla violenza e a tutto ciò che la riguarda. I temi che sono stati trat- tati purtroppo sono attuali e ritengo che nel 2019, la violenza non debba esistere. Strin- giamoci tutti in un unico sentire, auspican- do un futuro migliore!», sostiene Federico Tonini, e ancora «La performance sul tema della violenza è stata particolarmente sug- gestiva!», dice Alessandro Rubino. Critiche invece arrivano da altri che sono dell’idea che «Abbiamo perso l’importanza e la solen- nità dell’atto di giurare. […] Non credo che questo possa essere relegato a un’art perfor- mance», mentre alcuni dicono «Mi stupisco con quanta superficialità possa essere stato trattato l’argomento della violenza. Ci do- vremmo sforzare di ricordare che la grandis- sima parte degli eventi storici è basata sulle guerre e proprio sulla violenza, della quale ora con pressappochismo stiamo facendo abiura!» L’importanza dei gesti e delle parole. Come ben sappiamo, ogni lavoro artistico genera pareri positivi e negativi, lodi e cri- tiche, ma trova la sua forza nella ragione di essere in quanto arte. Tuttavia, in merito ad un argomento, purtroppo così vicino a noi, urge riflettere. Questo giuramento rifiuta ogni forma di violenza, quindi abbraccia sia gli atti di bullismo all’interno delle scuole e di omofobia, sia il conflitto armato che vede popolazioni combattersi in nome di un idea- le, donandoci una vasta gamma di brutalità, i cui esempi nel migliore dei casi si trovano agli antipodi. Il movimento pentastellato dal- la Commissione Cultura del Parlamento so- stiene che quest’art performance possa con- tribuire al consolidamento di «valori profondi come la solidarietà e l’inclusione sociale», ma abbiamo la certezza che un giuramen- to in un liceo classico possa dare inizio a un impegno generale contro la violenza, quando il nostro governo suggerisce continuamente esempi di razzismo, intolleranza e prevarica- zione? Siano bastevoli come esempi la que- stione migrati o l’inizio del pesante ostruzio- nismo nei confronti dell’omosessualità. La speranza di questo giuramento è nei giovani e in un domani florido e pacifico al quale la scuola ha l’obbligo di educare; tuttavia, non bisogna dimenticare l’importanza dei gesti e delle parole, che se usati con superficialità possono ingenerare incomprensioni, in que- sto caso semplice buonismo. Claudia De Cupis Direttrice del giornale Ondanomala Liceo Pilo Albertelli di Roma Roma Capitale Umana Si è tenuta lo scorso 17 febbraio nei giardi- ni di Piazza Vittorio la manifestazione Roma Capitale Umana, promossa dall’Associazione Genitori Scuola Di Donato per dire basta a prov- vedimenti che rendono il nostro Paese inospita- le, ignorano i diritti umani più basilari e costru- iscono barriere, alimentando una paura che si trasforma in odio razziale. Un presidio rumoroso e colorato che ha visto la partecipazione di tantissime cittadine e cittadi- ni, comunità, associazioni. Liberato l’edificio occupato di viale Carlo Felice Si è conclusa lo scorso febbraio la liberazione concordata dell’edificio di viale Carlo Felice 69, occupato da oltre quattordici anni. Grazie alla collaborazione tra Prefettura, Regione, Co- mune e Municipio si è avviato un cammino dove le priorità sono state la non divisione dei nuclei familiari, la garanzia di continuità nella frequen- tazione delle stesse scuole per le bambine e i bambini, le garanzie per gli anziani e le persone con disabilità. In totale, sono state trasferite sessantadue per- sone. Dodici hanno trovato alloggio nelle strut- ture di Roma Capitale. Le restanti quarantasei, di cui diciannove minori, alloggeranno in appar- tamenti messi a disposizione dall’Ater e da Si- dief, proprietaria dell’immobile liberato. Una tipologia di intervento che, concordano le istituzioni promotrici, potrà rappresentare un modello per altre situazioni simili.
  • 9. 9La memoriaLa memoria E l’Esquilino ebbe il suo liceo: era il 25 luglio 1881 Denominato inizialmente “Umberto I”, era destinato ai quartieri orientali della capitale. Dopo la seconda guerra mondiale, è stato dedicato a Pilo Albertelli, vittima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine “Riconosciuto che un unico li- ceo in Roma” era “insufficiente al gran numero degli alunni” – su proposta del ministro Baccelli, il 25 luglio 1881 venne istituito il nuovo liceo Umberto I – oggi Pilo Albertelli – che si affiancava così al Visconti, istituito nel novembre 1870 come primo ginnasio-liceo della nuova capitale. L’esigenza di un secondo ginnasio-liceo com- pleto cominciava ad essere senti- ta dall’opinione pubblica e grande era stato lo sconcerto quando il 6 agosto 1880 era stato istitui- to all’Esquilino soltanto un nuovo ginnasio (come ginnasio c’era già anche il Mamiani). Con il provve- dimento legislativo del 25 luglio, il ministro provvedeva quindi a sa- nare un errore del suo dicastero che aveva istituito il ginnasio ma non il liceo, così come aveva chie- sto la Camera dei deputati il 23 giugno 1880. Alla ricerca di una sede. Per il primo liceo-ginnasio della Capita- le, intitolato all’archeologo Ennio Quirino Visconti, si era trovato sin da subito una sede prestigiosa nel cuore stesso della città dei papi – il Collegio Romano della Com- pagnia di Gesù, roccaforte della teocrazia spirituale. Per il nuovo liceo esquilino, invece, destina- to ai nuovi “quartieri orientali” – Esquilino, Castro Pretorio, Vimina- le e Celio – si tarda a trovare una sede adeguata. Scartata l’idea di “un unico casamento, spazioso”, si cercano inizialmente due locali di- stinti, per il liceo e per il ginnasio: il nuovo anno scolastico 1881- 1882 vede quindi il liceo sistema- to al primo piano di palazzo Bel- luni, a via Urbana, preso in affitto dall’Amministrazione comunale, e il ginnasio in piazza dell’Esquilino, al pianoterra del Palazzo comuna- le delle scuole (insieme alla scuola elementare, maschile e femmini- le, per la quale l’edificio era sta- to costruito). Nell’anno scolastico 1883-1884, infine, anche il liceo trova la sua sistemazione nello stesso palazzo, insieme al ginna- sio e alle scuole elementari: liceo- ginnasio al primo piano, al posto della scuola elementare maschile, spostata al pianoterra e scuola elementare femminile che resta al secondo piano. Ogni scuola, co- munque, ha un proprio ingresso indipendente e separato. Il palazzo comunale delle scuole. Trovata la sede e avviato l’anno scolastico, la sistemazione interna al palazzo è tutta da rior- ganizzare perché il liceo ha biso- gno di una netta separazione dal ginnasio ed inoltre, come istituto superiore, necessita anche di aule speciali - laboratori per la fisica e le scienze naturali, magazzini de- posito per i macchinari e per le col- lezioni didattiche. Dal 1883, quin- di, il palazzo diviene un cantiere continuo, soprattutto nei mesi estivi, quando l’istituto è chiuso per le vacanze scolastiche. Se i lavori sono urgenti e non si può attendere l’estate, si prendono in affitto locali nei dintorni per siste- marvi le classi interessate, come accade nel 1884-1885, quando gli studenti di due classi ginnasiali si trasferiscono temporaneamente in via Gioberti. Per consentire l’am- pliamento del liceo, nel settembre 1884 viene anche avviata la par- ziale sopraelevazione dell’edificio, su progetto dell’architetto Gioac- chino Erzoch. Per provvedere in- vece alle lezioni di educazione fisi- ca, nei primi tempi viene concesso l’uso della palestra comunale nel cortile dell’Orfanotrofio alle Ter- me, da condividere comunque con gli altri studenti della zona. I primi tempi del liceo. Sin dagli inizi, il liceo Umberto I si distin- gue per la serietà degli studi e gli alti rendimenti scolastici degli stu- denti e, grazie alla laicità del suo insegnamento, ha modo di svol- gere una importante funzione di inserimento sociale per i figli degli alti burocrati di stato ed affermati professionisti, che numerosi fre- quentano l’istituto, caratterizzan- dosi come luogo di integrazione delle nuove generazioni e stru- mento di promozione dei ceti medi emergenti. Sono tanti gli studenti che si distinguono per l’eccellenza dei loro percorsi scolastici, giova- ni che in molti casi diventeranno anche personaggi di primo piano nella società civile dei successi- vi decenni: Adolfo Berio (1868- 1954) e Giulio Venzi (1870-1935), matricole nell’anno scolastico 1885-1886, diventeranno en- trambi magistrati e uomini politici di spessore; Ferruccio Schupfer (1867-1952), che si licenzierà sempre nell’anno scolastico 1885- 1886 e diventerà un famoso neu- ro-patologo, internazionalmente riconosciuto, e Roberto Pozio Va- glia, licenziato l’anno successivo, che sarà un valente e apprezzato latinista, traduttore di testi classici per importanti case editrici. Pilo Albertelli (1907-1944). Da tempo, il liceo Umberto I è di- ventato il liceo Pilo Albertelli, da quando, cioè, in ricordo del giova- ne professore di storia e filosofia, eroico partigiano e vittima il 24 marzo 1944 dell’eccidio nazista alle Fosse Ardeatine, la scuola cambiò nome, preservando così la memoria di quel drammatico evento, significativo per la rinasci- ta morale dell’Italia repubblicana. Oggi il liceo, che si avvia a festeg- giare il suo 138° anniversario, continua a mantenere immutata la sua tradizione di eccellenza, per la preparazione del corpo docente e la serietà degli studi, come te- stimoniano, tra l’altro, i percorsi di vita di quei giovani studenti che hanno acquisito successivamen- te posizioni di alto rilievo anche a livello internazionale, dal fisico Enrico Fermi (1901-1954), premio Nobel nel 1938, al regista Ettore Scola (1931-2016), che ha segna- to profondamente la storia del ci- nema. Carmelo G. Severino
  • 10. Vi vorrei porre una semplice domanda: vi siete mai fermati a riflettere sulla bellezza del rione in cui abitiamo? No, non mi interessa usare la banale retorica fatta di luoghi comuni, vi vorrei solo far notare quanto valore abbia- no i tanti elementi quotidiani che molti di voi hanno sempre di fronte agli occhi ma, ne sono certa, hanno trascurato per distrazione. Non mi riferisco infatti all’eleganza e all’opu- lenza delle varie basiliche o alla grandezza dei monumenti di archeologia davanti ai quali ab- biamo la fortuna di passare ogni giorno: tutto ciò bene o male lo conosciamo e lo ammiria- mo, seppur di sfuggita. Io mi riferisco al con- testo quotidiano nel quale viviamo: le strade, gli edifici, le stesse case. Sì, lo so, percorrendo le vie del quartiere lo sguardo sarà caduto ine- vitabilmente sulle tante persone ai margini in condizioni di povertà, sui secchi dell’immondi- zia perennemente stracolmi, sulla raccolta dif- ferenziata che non viene rispettata, insomma su tutto quello che purtroppo non funziona. Avete probabilmente scattato anche qual- che fotografia che ritrae uno di questi aspetti negativi, forse l’avete pubblicata su qualche gruppo virtuale e vi siete indignati per bene usando parole di disappunto. Avete certamen- te ragione, ma da cosa deve nascere l’indigna- zione? Io penso che essa debba derivare solo da un profondo amore e rispetto per il luogo in cui viviamo, altrimenti sarebbe una reazione fine a se stessa. Avete mai provato meraviglia davanti a quel- le piccole cose che ci circondano ogni giorno? Camminando per strada, ad esempio mentre andate a lavoro o a fare la spesa, avete alzato in alto gli occhi per osservare i colori così caldi degli edifici intorno a voi come il giallo ocra, il rosa tenue, l’arancio vivo, il rosso mattone? Avete ammirato l’eleganza dei loro prospetti? Avete notato come siano diverse tra loro le fi- nestre per forma, dimensione e per apparato decorativo? Vi siete mai persi tra i mille frammenti irrego- lari e colorati che compongono la pavimenta- zione dei portici di Piazza Vittorio e di alcuni degli atri d’ingresso degli edifici vicini, o avete abbassato lo sguardo solo per controllare le notifiche sul vostro telefono? Passando davanti a un edificio qualunque con un imponente portone di legno semiaperto in fondo al quale si vede un po’ di luce avete mai provato una pulsione irresistibile che vi porta a entrare? Io sì, tante volte, e vi assicuro che è stata una sorpresa trovare un bell’atrio coper- to da una volta decorata da stucchi con in fon- do un ambiente di dimensioni ristrette, oppure una bella corte con tanto di giardino, o ancora una piccola corte quadrata con dei ballatoi che vi si affacciano, una nicchia sul fondo e una insolita statua all’interno. Rimanendo indiffe- renti all’esterno chi lo avrebbe immaginato? E ancora vi siete soffermati a guardare le sca- le dell’edificio nel quale abitate? Molte di esse hanno i primi gradini con gli spigoli arroton- dati, hanno una forma che quasi vi viene in- contro e vi invita a salire, sono realizzate con materiali di pregio e hanno un corrimano ben disegnato che vi accompagna con grazia. Vi siete fermati un secondo ad apprezzare la bel- lezza di quell’ascensore Stigler che vi conduce al piano di casa o vi siete limitati a sbatte- re le sue porte di fretta? Avete capito quanto sia preziosa e delicata la cabina in legno nella quale entrate con quelle vetrate che permet- tono alla luce naturale di penetrare dall’ester- no, o forse preferite il metallo freddo e oppri- mente di una cabina moderna? E poi, entrati in casa vostra, avete guardato con meraviglia la pavimentazione originale dell’epoca, sulla quale camminate? Penso proprio che alcuni di voi, pur avendone l’occasione mille volte al giorno, non l’abbiano fatto, che abbiano dato tutto per scontato. Ma non è così. Siate consapevoli del fatto che non tutti hanno la fortuna di vivere in un contesto architettonico di valore, mentre noi del rione Esquilino ce l’abbiamo, oltre ad avere il privi- legio di essere romani. Carla Tintari L’Esquilino in mostra in via Poliziano Il prossimo 3 maggio si inaugurerà pres- so la Galleria Studio Medina, in via Angelo Poliziano 32, la personale di Antonio Finelli, collaboratore del nostro giornale con le ope- re della rubrica ‘Sguardi sull’Esquilino’. La mostra, dal titolo ’La luce di Roma’, ospi- terà un insieme di lavori pittorici dedicati al rione e ai luoghi adiacenti. Cinarriamo Èstato pubblicato lo scorso febbraio Ci- narriamo, volume che raccoglie i quat- tro racconti degli autori sino-italiani vincitori del concorso promosso dalla casa editrice Orientalia e da Associna. Storie scritte da una nuova generazione di italiani con tra- dizioni diverse e composite, in- terprete attiva in una società in continua evolu- zione. Una realtà che tutti, più o meno c o n s a p e v o l - mente, abbiamo già iniziato a vi- vere. Tra i vincitori, tre di Roma e una di Napoli, c’è anche ‘l’esquili- no’ Alessandro Zhu. Questi i racconti presenti nel volume già di- sponibile presso la Libreria Pagina 2: • Le sorelle Zhou, di Zhu Jie; • Educazione sentimentale, di Liliana Liao; • Ritorno a casa, di Luna Cecilia Kwok; • 2083, di Alessandro Zhu. Ditelo al cieloDitelo al cielo Ai distratti La riflessione di una nostra lettrice sulla bellezza del rione Esquilino Illustrazione di Carla Tintari 10
  • 11. 51 anni di esperienzA nel mondo della stampa elaborazione e impaginazione in formato digitale della tua comunicazione realizzazione grafica realizzazione grafica STAMPA TIPOGRAFICA STAMPA LIBRI e riviste stampa di immagini ad alta definizione controllo qualità colore stampe editoriali di grandi, medie e piccole quantità tipografia DIGITALE stampa GRANDE FORMATO stampati commerciali e aziendali di alta qualità in tempi brevi e a prezzi imbattibili stampa ecologica, altamente resistente e durevole 51 anni di esperienzA nel mondo della stampa Piazza Dante, 6 - 00185 Roma - Tel. 0670453481 - 0677207554 info@rocografica.it - www.rocografica.it
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  • 13. Numero 24 anno V Marzo/Aprile 2019 Bimestrale gratuito a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Registrato presso il Tribunale di Roma N° 62/2015 28-04-2015 da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Codice fiscale 97141220588 Direttrice Responsabile Paola Mauti Redazione Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo, Francesco Ciamei, Andrea Fassi, Luca Ferrante, M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci, Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili, Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli, Carmelo G. Severino Hanno inoltre collaborato a questo numero Claudia Bellia, Claudia De Cupis, Paolo Del Papa, Antonio Finelli Per informazioni, lettere, sostegno, proposte e collaborazioni redazione@cielosopraesquilino.it Potete trovare Il cielo sopra Esquilino anche online: www.cielosopraesquilino.it www.facebook.com/IlcielosopraEsquilino Chiuso in redazione il 08/03/2019 Tiratura copie 7.000 La redazione e la distribuzione del giornale sono curate da volontari. La stampa è finanzia- ta esclusivamente grazie al contributo di alcuni commercianti di zona e non riceve nessun finan- ziamento né pubblico né per l’editoria. Stampato presso Tipografia Rocografica S.r.l. Piazza Dante 6, 00185 Roma Stampa, inchiostro e carta a basso impatto ambientale, certificati FSC®, di pura cellulosa ecologica E.C.F. Avete qualche argomento, tema o problema che desiderate mettere in evidenza? DITELO AL CIELO! Scrivete a: redazione@cielosopraesquilino.it Arrivano i cinesi ma Fassi resiste All’inizio degli anni ’90, a piazza Vittorio sono comparsi i cinesi. Hanno iniziato la colonizzazione della piazza prima aprendo un ristorante, in seguito qualche negozio di abbigliamento, poi un negozio di alimenta- ri, fino a che sono scomparsi tutti i commer- cianti italiani. Anche Mas ha chiuso da poco, mentre resistono la pasticceria Regoli e l’in- tramontabile Fassi, il Palazzo del Freddo. Fassi, dal 1928 in via Principe Eugenio, è un negozio storico di Roma che è rimasto immu- tato nel tempo. Ogni volta che vi ritorno mi sembra di fare un tuffo nel passato, tranne che per la cospicua presenza di ragazzi cinesi in fila per un gelato. Persino i gelati sono rimasti invariati sia nel gusto che nel nome. Ad esempio la cateri- netta, la cassata, il ninetto ed il sanpietrino. Come gli stessi manifesti pubblicitari in stile futurista. Mia madre ricorda ancora questi versi appresi da bambina leggendo un mani- festo mentre gustava il gelato: “Caterinetta supergelato / sei la delizia di ogni palato / la mamma con la nonnetta cosa desiderano? Caterinetta!”. Mentre io ero colpita dal ma- nifesto, che si trova tuttora lì, del ‘Telege- lato Giuseppina’, che recita così: “Telegelato Giuseppina ha varcato i confini d’Italia!!! VOI se non all’estero portatelo in campagna, al mare, ai monti, nelle vostre gite, nei vostri viaggi”. Il manifesto rappresenta una carta geografica dell’Europa dove sono delineate rotte aeree da Roma alle capitali europee, ed in alto, in corrispondenza della Russia, è raffigurato uno scatolone di telegelato. Era sufficiente questo per considerare Fassi una gelateria di tutto rispetto ed il nome ‘Palazzo del Freddo’ mi induceva a credere che fosse la gelateria più grande del mondo. Associavo quel luogo per me immenso, algido, spoglio, con i tavolini in marmo e ferro battuto, le pareti completamente rivestite di marmi, ad una cattedrale. A Roma non esistevano altri ‘palazzi’, luoghi così imponenti che vendes- sero il gelato. Claudia Bellia Illuminazione insufficiente su via Luzzatti Gentile redazione, abito da 30 anni in questa bella via ed ho visto il degrado avanzare. La sera l’illumina- zione non è sufficiente a causa di lampioni spenti o addirittura mancanti. A causa di ciò sono aumentati i furti negli appartamenti che si affacciano sulla via. I cassonetti per la rac- colta differenziata non vengono mai sostituiti e lavati, come usava fare una volta l’AMA. Vor- remmo leggere sul vostro bel giornale qualco- sa in merito. Cordiali saluti! Lettera firmata Pericolo stradale su via Merulana Come non dare ragione alla signora Morel- li, quando sostiene che via Merulana come boulevard rimane un sogno! Meraviglia il di- sinteresse dei commercianti, che sono i primi a respirare i fumi incessanti dei mezzi pubblici e privati. La strada ormai è diventata invivi- bile e pericolosa da attraversare. È dei primi di dicembre l’ennesimo incidente, questa volta mortale, che ha mandato al Creatore un pove- ro ciclista. Tutto questo è iniziato per permet- tere la chiusura dei Fori, chiusura che ormai è limitata solo alla domenica, quando è risaputo Ditelo al cieloDitelo al cielo che nei giorni festivi i romani preferiscono scappare dall’Urbe. Sarebbe opportuno che la redazione si facesse promotrice di una petizione da inviare al Co- mune affinché siano installati apparecchi rile- vatori di smog su via Merulana, via Labicana, via Emanuele Filiberto e viale Manzoni. Quanto invidio i gilet gialli francesi! Stefano Carbonelli Seguiamo l’ex Zecca Spett. Redazione, Vi seguo da molto tempo tramite il caro amico Bruno Valentino titolare dell’omonima orologeria. Sono titolare del mio studio dal 1968 (cioè da 50 anni) ed ho potuto segui- re il lento degrado della Zecca di via Princi- pe Umberto. Gradirei la conferma del Vostro impegno per ‘tampinare’ i lavori di restauro e ammodernamento del detto istituto da Voi già preannunciati. Complimenti per la Vostra rivista e molti au- guri. Avv. Prof. Carlo Lombardi Cari lettori, grazie ancora per i vostri suggerimenti e se- gnalazioni. Continueremo a farci portatori del- le vostre istanze per rendere il nostro amato rione un luogo più bello e accogliente. La redazione 13
  • 14. Il 16 ottobre del 1943 nel ghet- to di Roma, di mattina le SS presero le strade del PORTICO D’OTTAVIA e rastrellarono 363 uomini, 649 donne e 200 bambini. Dopo due giorni, il 18 ottobre, di mattina, 18 vagoni pieni di persone partirono dalla stazione Tiburtina. Dopo due giorni, arrivarono al campo di concentramento di Aushwitz. Tutti morirono, tranne 16 persone che erano state fortu- nate, cioè 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino. Noi ci siamo recati il 16 ottobre 2018 a vedere il Portico d’Ottavia e siamo stati al museo dove c’era scritto tutto quello che era suc- cesso in quel giorno di ottobre. Là abbiamo incontrato un signo- re di nome Marco che ha 77 anni, il quale ci ha raccontato di una bambina che si chiamava Ada che il giorno prima del 16 ottobre ha voluto dormire a casa di sua nonna invece che a casa sua. Sulla porta di sua nonna c’era scritto “Taglia- cozzo, cioè un nome ebreo. Ada stava dormendo e i tedeschi li presero. Prima di entrare nel museo, siamo andati a vedere il teatro di Mar- cello e il Portico d’Ottavia. Quando siamo usciti dal museo ab- biamo visto un cartello, dove c’era scritto “La SHOA non è un’attra- zione turistica”. Davanti alle porte delle case, per i vicoli del Ghetto, c’erano delle pietre d’inciampo, opera d’arte di un artista tede- sco, messe lì apposta non per far “inciampare la gente”, ma per ri- cordare cosa era avvenuto. Dopo questa visita ci siamo sentiti tristi, perché in quei posti erano successe delle cose bruttissime, ma anche felici di averli visitati. Mini e la Classe V-A Buongiorno, siamo ritornati, però ora siamo la V-D. Vogliamo parlarvi di un problema raccapricciante, grave, inquinan- te, penoso e puzzolente: la spaz- zatura. Quando passeggiamo vediamo tan- ti sacchi, mobili, sporcizia di ogni tipo e colore (di tutto e di più). Questo disagio attira topi, sca- rafaggi, gabbiani e piccioni che aprono le buste dell’immondizia e spargono il contenuto per tutta la strada. Può capitare di vedere passeggiare spensierati enor- mi gabbiani per le strade, con in bocca panini o resti di cibo… e alle volte questi gabbiani si calano in picchiata per strappare dalle mani di qualche incauto bambino il suo pezzo di pizza. Tutto questo è irrispettoso verso la nostra bellissima città e peri- coloso per la nostra salute. Fortu- natamente esistono delle persone che cercano di eliminare la sporci- zia da strade e giardini del nostro rione, spontaneamente e volonta- riamente. Si incontrano, di tanto in tanto, la domenica mattina per pulire, muniti di scope e stracci, le strade e le piazze del quartiere. Attenti a non perdere il prossimo numero, perché potremmo parlarvi delle “buche di Roma”, sperando però che non serva più. Classe V-D “Il mondo a Scuola” a cura dell’Istituto Comprensivo “Daniele Manin” - www. danielemanin.gov.it 14 Un ricordo Ciao, lettori, sapete che esistono cer- te pietre che ricordano delle perso- ne? Semplici mattonelle con un valore immenso: sono sanpietrini ricoperti di una lastra di ottone con il nome e i dati essenziali di persone che sono state deportate. Note come “pietre d’inciam- po”, sono posizionate sotto le abitazioni da dove le persone vennero portate via con la forza. Nel nostro quartiere ce ne sono alcune, a via Buonarroti e via dei Querceti e ce ne sono molte anche nel vicino rione Monti. Qualche giorno fa, la nostra classe è andata a visitare il ghetto: un quartie- re antico di Roma dove vive parte del- la comunità ebraica, che un tempo era addirittura chiuso da alte mura che lo separavano dal resto della città. Oggi il quartiere è molto cambiato, ma lì abbia- mo scovato moltissime “pietre d’inciam- po”. Tanti di noi le hanno fotografate da vicino, mentre ci aggiravano per i vicoli e i palazzi alla ricerca di questi sanpie- trini. Insomma, era una caccia ad un te- soro, alla ricerca del passato. Classe V-D La carica dei cento sacchi Gli impressionisti a Trastevere Siamo andati a vedere la Mostra degli Impressionisti. Siamo entrati in una grande stanza buia, dopo un po’ sono apparse delle proiezioni di fogli. Poi hanno fatto vedere altre proiezioni di quadri che ci giravano intorno. C’erano tanti cu- scini morbidi. Poi siamo andati sulla ricostruzione del ponte di Monet e dentro c’erano pesci veri e monete vere. Gli impressionisti per disegnare an- davano fuori e raccoglievano l’attimo giusto, prima di mattina, poi a mez- zogiorno, infine di sera per avere una luce diversa. I nostri pittori preferiti sono stati Manet e Monet. Classe II-A Dopo una passeggiata
  • 15. Papille è fuori dall’Italia. Per la precisione ne- gli Stati Uniti. Si sottoporrà a un intervento che gli permetterà, forse, di avere indietro la lingua. Per questa ragione, eccomi di nuovo a scrivere. I diversi approcci al cibo. Tutti, con un poco di attenzione, siamo in grado di discernere tre stati emotivi che ci guidano verso il cibo. Per semplificare il tema, li dividerò in tre corren- ti: l’estetismo culinario, il bisogno di socialità e l’approccio primitivo. Nei miei lunghi viaggi ho sempre scelto gli ultimi due piuttosto che il primo. La mia proverbiale curiosità, mi ha sovente introdotto a tavoli variopinti, condivisi con commensali per cui ero io ad essere stra- niero. Nasceva spontaneo un piacere culinario espresso nella ricerca della conoscenza sociale attraverso il cibo, curiosità reiteratasi di espe- rienza in esperienza: la consapevolezza del nutrirsi non solo per sopravvivere ma anche per socializzare. Solo nel tempo ho imparato il piacere concet- tuale del cibo. Ho avvicinato da pochi anni la soddisfazione di ascoltare la raffinatezza di un ragionamento dietro un piatto, ricercandone i tratti strutturali e le vibrazioni che ne scaturi- vano dall’assaggio. Ho sempre creduto questa regola fosse un binario per fuggire più veloci dalla solitudine, poiché ponendo il nutrimento del corpo al pari del piacere dell’anima, si dava a essa la possibilità di essere colmata di con- cetti e astrazioni, come uno stomaco affamato. Perché mangiamo. La differenza tra i diversi approcci risiede nella predisposizione emotiva con cui si affronta un pasto, o forse la vita. Ma prima di tutto, prima ancora di approfondire questi diversi aspetti, è necessario ricordare brevemente perché mangiamo. Mangiamo per sopravvivere, nulla di più. Questa motivazio- ne, acerba quanto di primaria importanza, è il concetto alla base dell’approccio primitivo. Si mangia per necessità, si odora per capire l’eventuale pericolo, si osserva per capire lo stadio di deperibilità di un prodotto. Ma si mangia anche per conoscere il luogo in cui si arriva, per socializzare. Convivialità cinese. A Shanghai, in Cina, alcune anziane aprono il retro delle case su strada e in alcune sere di primavera cucinano per gli avventori. L’esperienza condisce il cibo di conoscenze e tradizioni, come una nonna che cucina per gli amici dopo la scuola. Cenan- do con un’anziana signora cinese e due turisti svedesi, non ho ricercato alcun sapore parti- colare, non mi sono soffermato sulle caratte- ristiche del prodotto, ho piuttosto studiato la leggerezza con cui il cibo scivolava in secondo piano, mentre l’uomo diventava protagonista assoluto. Ma anche a tale approccio, semplice e scarno, sono consapevole manchi qualcosa. La convivialità può non essere sufficiente. L’estetica alimentare. Qui subentra il raffi- nato concetto dell’estetismo del cibo. L’altro approccio che ancora oggi sto analizzando. Il piacere culinario che trascende le motivazio- ni rudimentali e permette di riempire bocca e stomaco di contenuti organolettici e dialet- tici per pochi, di riconoscere delle ciliegie in un buon vino o quanta rovere abbia inciso sul risultato finale. O addirittura cogliere le acidi- tà o le punte di amaro eccessive in un piatto, e la capacità di apprezzare la sua sostanza, scomponendolo e glorificandone le caratteri- stiche tecniche. L’esteta alimentare ricerca la struttura e il piacere indotto dal cibo con la stessa avidità di chi è alle ultime pagine di un libro avvincente. Questo è possibile solo gra- zie all’evoluzione della nostra cultura, essa ha reso il cibo un piacere e come tale viene cele- brato, disquisito, studiato e goduto. Il pasto ‘sociale’. Ma rimanendo in ambito culturale, la riconoscibilità di sapori cui siamo abituati è anche utile alla formazione di un’ap- partenenza sociale. Attraverso le tradizioni cu- linarie, si completa il processo di socializzazio- ne che inizia con la crescita e l’allontanamento dalla figura materna. Un pasto in gruppo, con- diviso, aumenta il grado di socialità dell’indivi- duo ponendolo su una linea orizzontale con i suoi commensali, che in fin dei conti riconduce l’essere umano a una primitiva necessità che appartiene a tutti, a prescindere dal ruolo so- ciale ricoperto. Ricondurre l’uomo a quest’atto primitivo, è la via per riportare le relazioni su un piano ugualitario. Restituendo l’equilibrio in un’epoca in cui la fame, per gli occidenta- li, sembra anacronistica se non volgare. A ri- prova di questo le piccole porzioni presentate su grandi piatti che non sfamano e allo stesso tempo rendono il cibo ‘oggetto di valore’. E se nella storia l’attenzione al gusto ha sem- pre contraddistinto le esperienze culinarie, in particolare quelle europee, oggi si degusta e si mangia con sempre meno attenzione al va- lore intrinseco o primitivo del gesto. L’esteta del cibo sarà sempre in contrapposizione al ru- dimentale affamato. Incurante di questa crisi d’identità, il cibo diviene oggi arte moderna, seduce gli animi e riempie quella solitudine incolmabile che appartiene ad ognuno di noi e che in ogni epoca cerca il suo antidoto in espressioni differenti. Concludo con un pensiero di Plutarco, il qua- le sostiene che: “Non ci invitiamo l’un l’altro semplicemente per mangiare e bere, ma per mangiare assieme”. Da lì, dove il cibo è veicolo di socialità e non feticcio di disquisizione, mi avventuro verso un estetismo che mi attrae ma di cui, ancora, non mi fido. Andrea Fassi 15EsquisitoEsquisito La solitudine dell’estetismo culinarioDa elemento di sostentamento a momento di socialità e di appagamento estetico. Il cibo in crisi d’identità Illustrazione di Chiara Armezzani