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Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.

Attività dei fondi pensione in % del Pil
(anno 2012)
Islanda
Svizzera
Regno Unito
Australia
Finlandia
Stati Uniti
Canada
Cile
Danimarca
Irlanda
Giappone
Messico
Svezia
Spagna
Norvegia
Germania
Italia
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Belgio
Turchia

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113,6
95,7
91,7
79,3
74,5
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26,3
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9,2
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Fonte: Ocse 2013

Il Lazio non fa eccezione. Come nel resto d’Italia, anche nella regione la durezza di
sei anni di crisi è testimoniata dai numeri del mercato del lavoro che segnano un
tasso di disoccupazione al 12,3% e un “tasso di mancata partecipazione alla forza
lavoro” – un indicatore della disoccupazione che comprende gli scoraggiati – che alla
metà dell’anno raggiunge i venti punti percentuali. Accanto a molte ombre, però,
l’economia laziale registra una luce importante: quella del rilancio delle esportazioni,
trainate dalle vendite di prodotti farmaceutici. Rilanciare la competitività
manifatturiera puntando su settori a più alto contenuto di ricerca e di conoscenza:
una lezione da ricordare.

39
4 novembre
2013
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com

A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla previdenza
complementare non appare soddisfacente. A giugno 2013 gli iscritti alle forme
pensionistiche complementari sono circa 6 milioni un valore quasi doppio rispetto
ai 3,1mln del 2006. Il tasso di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare,
calcolato come rapporto tra iscritti e occupati, si attesta tuttavia poco oltre il 25%.
L’età media degli aderenti è di 44,6 anni, rispetto ai 42 degli occupati. Risulta iscritto
a una forma pensionistica complementare solo il 18% dei lavoratori italiani con meno
di 35 anni. In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto un
rendimento di poco superiore a quello del Tfr.
4 novembre 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008

Editoriale: Lezioni dal Lazio
G. Ajassa  06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com

Esportazioni del Lazio
(milioni di euro; somme mobili su 12 mesi)
20.000

18.000
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000

4.000
2.000

0

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat

Il Lazio non fa eccezione. I conti di sei anni di crisi pesano sul quadro economico e
sociale della regione non meno che nel resto d’Italia. La cartina di tornasole più
evidente delle molteplici ferite aperte dalla recessione è quella del mercato del lavoro.
Nel 2008 il tasso di disoccupazione era nel Lazio inferiore agli otto punti percentuali nel
totale e scendeva addirittura al di sotto del sei per cento per la componente maschile.
A metà del 2013 la quota di disoccupati sulla forza lavoro è collocata al 12,3 per cento
e sale al 13,4 per cento con riguardo alla disoccupazione femminile. Il numero dei
disoccupati è più che raddoppiato, dai centocinquantamila del 2007 ai trecentodiecimila
del secondo trimestre di quest’anno. L’avvitamento della crisi è testimoniato
dall’aumento, oltre ai disoccupati, del numero degli inattivi. Tra questi, nel Lazio
crescono di quarantamila unità coloro i quali, pur non cercando un’occupazione,
sarebbero disponibili a lavorare.
Tra il 2007 e la metà del 2013 il tasso di mancata partecipazione alla forza lavoro è
salito nel Lazio dal quattordici al venti per cento. Il tasso di mancata partecipazione al
mercato del lavoro è un indicatore complementare al tasso di disoccupazione, che
estende la platea delle persone disoccupate agli inattivi che non cercano attivamente
ma sarebbero disponibili a lavorare. Se sale di sei punti sull’intero spettro delle età, tra
il 2007 e la metà del 2013 questo tasso “allargato” di disoccupazione aumenta di ben
dodici punti percentuali nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni che nella
regione passa dal ventidue al trentaquattro per cento.
Prima della crisi erano quattro su cinque. Oggi, invece, solo due su tre sono nel Lazio i
giovani under-34 che trovano un’occupazione tra quelli che cercano attivamente lavoro

2
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setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008

o sarebbero comunque disponibili a lavorare. E, tra gli under-trentaquattrenni che
trovano un lavoro, è significativa l’incidenza di forme di sotto-occupazione quali il
cosiddetto part-time involontario. Sono dati allarmanti in quanto riferiti ad una fascia di
soggetti che estende di dieci anni il criterio anagrafico della mera “disoccupazione
giovanile” e va, quindi, ad incorporare quella porzione critica di “bread-winner”, di
capitale umano fresco di studi e di migliore qualità il cui impiego darebbe un impulso
decisivo alla ripresa.
Nel Lazio come nel resto d’Italia la recessione si è accompagnata ad un processo di
deindustrializzazione ed a una crisi del tessuto imprenditoriale. Lo testimonia anche
l’aumento delle sofferenze bancarie in capo alle società finanziarie che nella regione
sono salite dai quattro miliardi di euro della metà del 2009 ai tredici miliardi dello scorso
giugno. Il declino dell’industria, e tipicamente dell’industria manifatturiera, è dipeso da
una varietà di cause tra le quali spicca un trend di stagnazione della produttività del
lavoro.
Come osserva un recente rapporto elaborato dalla Commissione europea1, per
rilanciare la manifattura e reindustrializzare tessuti economici e sociali provati da un
lungo periodo di recessione occorre puntare su miglioramenti di competitività legati,
soprattutto, a ricerca e conoscenza. A livello settoriale questo implica guardare a
settori a più alto valore aggiunto e ad elevato tasso di innovazione. Tra questi c’è il
settore farmaceutico che, pur essendo passato attraverso una crisi dai gravi risvolti
occupazionali, rimane nel Lazio un comparto strategico. Lo dimostrano i dati delle
esportazioni. Nel primo semestre di quest’anno le esportazioni laziali sono cresciute di
ben otto punti percentuali su base annua mentre sono arretrate di circa mezzo punto
percentuale per l’Italia nel suo complesso.
Merito del successo dell’export laziale va alle vendite oltre frontiera di prodotti
farmaceutici, chimico-medicinali e botanici il cui valore nel primo semestre del 2013 è
aumentato del 31,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. Oggi il settore
farmaceutico pesa per poco meno del quaranta per cento dell’export del Lazio. Cinque
anni fa, all’inizio della crisi, la quota superava di poco il venti per cento. La ripresa
dell’export laziale del comparto farmaceutico è un segnale incoraggiante. Ma, nel Lazio
come altrove, il rilancio della competitività manifatturiera richiederà ancora e a lungo un
impegno ampio e profondo.

11

Cfr. European Commission, “Towards Knowledge Driven Reindustrialization”, European
Competitiveness Report 2013, Bruxelles, ottobre 2013.

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Fondi pensione: rendimenti positivi ma poche adesioni
S. Ambrosetti  06-47028055 – stefano.ambrosetti@bnlmail.com
In Italia nel primo semestre del 2013 i risultati di gestione delle forme
pensionistiche complementari sono stati superiori al tasso di rivalutazione del
Tfr, anche se in modo meno accentuato rispetto all’anno precedente. Nel periodo
tra gennaio e giugno 2013 i fondi pensione negoziali si sono rivalutati dell’1,3%, i
fondi pensione aperti del 2,6% a fronte dell’1% del Tfr.
In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto un
rendimento di poco superiore a quello del Tfr. Fatto 100 il 2004, a giugno 2013 il
rendimento dei fondi pensione negoziali risultava pari a 134,8, quello dei fondi
aperti a 129,1 a fronte del 128,5 della rivalutazione del Tfr.
A giugno 2013 gli iscritti alle forme pensionistiche complementari ammontano a
circa 6 milioni, con un incremento rispetto a fine 2012 del 3,7 per cento.
L’adesione alla previdenza complementare in Italia registra valori molto
contenuti per le classi di età più giovani. L’età media degli aderenti è di 44,6 anni,
rispetto ai 42 degli occupati. Risulta iscritto a una forma pensionistica
complementare solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni.
A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla
previdenza complementare non appare soddisfacente. Dal 2006 al 2013 le
adesioni sono passate da 3,1 a 6 milioni. Il tasso di adesione dei lavoratori alla
previdenza complementare, calcolato come rapporto tra iscritti e occupati, si
attesta poco oltre il 25%.
Nel complesso le risorse destinate alle prestazioni ammontano a 108 mld di euro,
di cui poco meno della metà (48 mld di euro) nelle casse dei fondi pensione
preesistenti. A fine 2012, le risorse finanziarie gestite dalle forme pensionistiche
complementari rappresentavano il 6,7% del Pil e circa il 3% delle attività
finanziarie delle famiglie, un valore ancora contenuto anche se quasi doppio
rispetto a quello del 2006. Prima dell’avvio della riforma, tali percentuali
risultavano infatti pari, rispettivamente, al 3,5 e all’1,5%.
La previdenza complementare svolge un ruolo molto diversificato tra i diversi sistemi
economici. L’importanza del secondo pilastro appare inversamente correlata alla
dimensione delle prestazioni offerte dalla componente pubblica. Nei paesi in cui il
sistema pubblico ha offerto finora prestazioni generose, il sistema complementare
appare meno sviluppato per assumere invece un ruolo rilevante nei sistemi economici
in cui le pensioni pubbliche offrono prestazioni più limitate.
Ad alimentare un diverso grado di diffusione tra i paesi concorrono fattori di natura
regolamentare. Tra i paesi appartenenti all’Ocse, alcuni affiancano al sistema pubblico
pensioni complementari di natura obbligatoria (ad esempio il sistema australiano) o
semi-obbligatoria (Paesi Bassi). In altri paesi come gli Usa e il Regno Unito i piani
previdenziali privati pur non essendo obbligatori hanno raggiunto comunque un’enorme
diffusione.
I dati diffusi dall’Ocse nei giorni scorsi hanno evidenziato come nel 2012 il peso delle
attività dei fondi pensione in rapporto al Pil, nei paesi dell’area, sia aumentato nel 2012
al 77% dal 73,5% del 2011, permane tuttavia una grande disomogeneità. Alcuni paesi
presentano valori superiori al 100% del Pil (Paesi Bassi 160%, Islanda 141% e
Svizzera 114%), altri come il Regno Unito (96%), l’Australia (92%) e la Finlandia (80%)
registrano un valore più contenuto ma comunque superiore alla media ponderata

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o 2008

dell’area. Resta comunque un numero elevato di paesi appartenenti all’Ocse che
presenta un rapporto tra attività dei fondi pensione e Pil inferiore al 20%.
In termini assoluti gli Stati Uniti detengono la quota più elevata dei fondi pensione dei
paesi dell’area Ocse con uno stock pari a 11,6 trilioni di Usd. Il loro peso relativo
nell’ultimo decennio è tuttavia diminuito dal 68% all’attuale 53% per effetto anche del
notevole sviluppo che la previdenza complementare ha avuto in alcune aree. Tra gli
altri paesi le quote più elevate sono attribuibili al Regno Unito (2,3 trilioni di Usd) con
una quota pari all’11%, al Giappone (7%), all’Australia (6%), ai Paesi Bassi (6%) e al
Canada (5%).
Attività dei fondi pensione in % del Pil
(anno 2012)
Islanda
Svizzera
Regno Unito
Australia
Finlandia
Stati Uniti
Canada
Cile
Danimarca
Irlanda
Giappone
Messico
Svezia
Spagna
Norvegia
Germania
Italia
Austria
Belgio
Turchia

141
113,6
95,7
91,7
79,3
74,5
67,3
60
50
49,2
26,3
12,3
9,2
8,4
7,6
6,3
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5,3
4,6
3,8
0

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80

100

120

140

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Fonte: Ocse 2013

Oltre che per l’ammontare di risorse gestite dai fondi pensione i diversi paesi
presentano notevoli differenze anche in termini di asset allocation. Alcuni paesi (tra cui
il Regno Unito e gli Stati Uniti), tradizionamente più inclini all’investimento in attività
rischiose, presentano un’elevata concentrazione del patrimonio in titoli azionari.
In molti paesi appartenenti all’area le obbligazioni e i titoli azionari costituiscono le due
principali classi di investimento. Tredici paesi su 34 investono oltre l’80% del
patrimonio in queste attività. Gli Stati Uniti sono il paese in cui la componente azionaria
raggiunge il valore più elevato (49% del totale), seguito dall’Australia (46%). Nel 2012 i
fondi pensione hanno registrato complessivamente un andamento favorevole in quasi
tutti i paesi con un rendimento positivo superiore al 5% in 18 paesi.
Tradizionalmente i fondi pensione si dividono tra schemi a “prestazione definita” e a
“contribuzione definita”. I fondi appartenenti alla prima tipologia, che hanno avuto larga
diffusione in passato, appaiono di difficile sostenibilità dal momento che comportano
rischi troppo elevati per i datori di lavoro. Per questa ragione la regolamentazione
prudenziale, allineandosi ai principi introdotti nei sistemi bancari con le regole di
Basilea e nel mondo assicurativo con le direttive Solvency, ha introdotto requisiti
patrimoniali e criteri di valutazione delle riserve tecniche e degli attivi più rigorosi per
gli schemi a prestazione definita.
In un’ottica di bilanciamento dei rischi tra le parti, anche gli schemi a contribuzione
definita presentano dei limiti, dal momento che i rischi ricadono interamente sugli
aderenti che non sono in grado di sapere a fronte dei versamenti effettuati l’ammontare
delle prestazioni che riceveranno dai fondi. Questa incertezza costituisce un importante

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ostacolo all’incremento delle adesioni, specie nei sistemi in cui il secondo pilastro
previdenziale si presenta meno sviluppato.
Un primo passo per il superamento di queste difficoltà è stato compiuto con
l’introduzione in alcuni paesi di schemi a contribuzione definita con un rendimento
minimo garantito. Queste forme, oltre a presentare costi più elevati derivanti dalla
garanzia prestata, in questo contesto di mercato devono fronteggiare difficoltà
gestionali legate al basso livello dei tassi di interesse che potrebbe continuare a
sussistere in un arco temporale a breve e medio termine. Una seconda forma di
innovazione prevede l’introduzione di forme miste di contribuzione/prestazione definita,
ad esempio mediante la definizione di obiettivi di rendimento predeterminati (ma non
vincolanti) o indicizzazioni di una parte del capitale. Queste tipologie mirano a offrire
maggiori punti di riferimento all’aderente da un lato e a limitare l’assorbimento
patrimoniale rispetto ai fondi a prestazione definita. La costituzione di fondi pensione di
questo tipo al momento si presenta ancora in una fase iniziale.
La previdenza integrativa in Italia: un quadro aggiornato
In Italia le dimensioni del sistema di previdenza integrativa appaiono ancora ridotte sia
nel confronto internazionale sia rispetto alle intenzioni del Governo e delle istituzioni
che miravano a un rapido incremento nei tassi di adesione in risposta alla progressiva
riduzione del sistema pensionistico di base.
A giugno 2013 gli iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 6 milioni,
con un incremento rispetto a fine 2012 del 3,7 per cento. I dati evidenziano il perdurare
nel 2013 di un trend di crescita lenta che aveva caratterizzato anche l’anno
precedente.
Fondi pensioni italiani: numero degli iscritti e
risorse destinate alle prestazioni
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5

4,6

4,8

5,1

5,3

5,5

5,8
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6,0
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91

120
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83
4

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2,6

2,7

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37,6

40,9

3,0

3,2

57,8 61,3

47,3 51,6

80
60
40

1

20

0

0
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 giu-13
Risorse (mld. euro; sc.ds.)

Numero di iscritti (mln; sc.sin)

Fonte: Covip

A fine 2012, le risorse finanziarie gestite dalle forme pensionistiche complementari
rappresentavano il 6,7% del Pil e circa il 3% delle attività finanziarie delle famiglie, un
valore ancora contenuto anche se quasi doppio rispetto a quello del 2006. Prima
dell’avvio della riforma, tali percentuali risultavano infatti pari, rispettivamente, al 3,5 e
all’1,5%.
Nel 2012 i nuovi iscritti alla previdenza complementare sono stati 442mila. Il maggior
contributo è stato fornito dai Pip con 338mila nuovi aderenti, seguiti dai fondi negoziali

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con 60mila e dai fondi aperti con 57mila unità. I fondi preesistenti hanno
registrato18mila nuove adesioni. Il meccanismo delle adesioni tacite1 ha apportato
14.000 nuovi iscritti, appena il 3 per cento del totale, di cui solo 1.400 sono confluiti in
FondInps.
L’adesione alla previdenza complementare in Italia registra valori molto contenuti per le
classi di età più giovani. L’età media degli aderenti è di 44,6 anni, rispetto ai 42 degli
occupati. Risulta iscritto a una forma pensionistica complementare solo il 18% dei
lavoratori con meno di 35 anni. Il tasso di partecipazione arriva quasi al 24% per i
lavoratori nella classe di età compresa tra 35 e 44 anni e sale al 30% per quelli tra i 45
e i 64 anni. Gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 63% del totale degli aderenti
con un tasso di partecipazione del 27% per gli uomini e del 23% per le donne.
Per avere un quadro più fedele dell’effettivo livello di partecipazione alla previdenza
complementare occorre considerare anche l’ammontare delle sospensioni contributive
che in Italia ha assunto una dimensione rilevante. Nel 2012 circa 1,2 milioni di persone
non hanno alimentato la propria posizione individuale mediante il versamento dei
contributi, circa 100.000 in più rispetto all’anno precedente. Il 20% degli iscritti non
versanti presenta una posizione individuale nulla o irrisoria (al di sotto di 100 euro).
Dal 2008 a oggi il numero di coloro che hanno sospeso la contribuzione si è
accresciuto di 500 mila unità. Questo fenomeno trova maggior riscontro tra i lavoratori
autonomi che non usufruiscono dei versamenti ricorrenti da parte del datore di lavoro o
del flusso di Tfr e sono quindi più soggetti a discontinuità contributive.
Al netto delle sospensioni, il tasso di adesione di coloro che contribuiscono
regolarmente rispetto agli occupati scenderebbe al 20,2% (dal 30 al 25% per i
lavoratori privati e dal 26,6 al 17,5 per quelli autonomi); rimarrebbe nel complesso
stabile al 4,5% il tasso di adesione tra i dipendenti pubblici.
Si riduce il numero degli schemi previdenziali
A fine 2012 sul mercato italiano risultavano operative 536 forme pensionistiche
complementari suddivise tra: fondi pensione negoziali (39), fondi pensione aperti (59),
fondi pensione preesistenti (361) e piani individuali pensionistici di tipo assicurativo
(76). A questi occorre aggiungere FondInps, la forma pensionistica complementare
istituita presso l’INPS e destinata ad accogliere i flussi di Tfr dei lavoratori silenti per i
quali gli accordi collettivi non prevedono un fondo di riferimento.
Nonostante il numero elevato di forme pensionistiche, in termini di adesioni il sistema
presenta un elevato grado di concentrazione. A fine 2012 i dieci schemi previdenziali
con oltre 100mila iscritti (4 fondi negoziali, 5 Pip e un fondo aperto) totalizzavano 2,3
milioni di persone, pari al 43 per cento del totale. Su 536 forme di previdenza
complementare totali solo 91 contano più di 10.000 iscritti e riuniscono 4,8 milioni di
aderenti, pari all’89 per cento del totale.
Il secondo pilastro previdenziale, a partire dal 2000, ha sperimentato un
consolidamento nel numero degli schemi pensionistici con una riduzione di oltre 200
1

Il conferimento tacito avviene qualora il lavoratore non effettui nei termini di legge (Decreto lgs.
252/2005) una scelta esplicita relativamente al conferimento del Tfr maturando. In questo caso il datore di
lavoro trasferisce il Tfr alla forma pensionistica collettiva di riferimento cioè a un fondo negoziale oppure a
un fondo pensione aperto individuato in base ad accordi collettivi. In presenza di più forme pensionistiche
collettive, salvo diverso accordo aziendale, il Tfr viene trasferito a quella cui abbia aderito il maggior
numero di lavoratori dell’azienda. Qualora non sia possibile individuare il fondo di riferimento con le
modalità descritte, il datore di lavoro trasferisce il Tfr maturando alla forma pensionistica complementare
istituita presso l’INPS (FondInps).

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o 2008

unità. Le forme maggiormente coinvolte in questo processo di razionalizzazione sono
stati i fondi pensione preesistenti e i fondi pensione aperti, anche per effetto delle
aggregazioni di gruppi bancari e finanziari che hanno fatto confluire le diverse forme
previdenziali in schemi comuni.
Numero di fondi pensione in Italia
700
600
500
400

574

536

448
361

300
200
100

84
42

59
39

0
2006

2007

Fondi negoziali

2008
Fondi aperti

2009

2010

Fondi preesistenti

2011

2012

Fondi totali

Fonte: Covip

La struttura del mercato sembra lasciare ancora spazio a un processo di
concentrazione e razionalizzazione del sistema che consentirebbe di incrementare le
masse gestite dai singoli fondi e di poter beneficiare di economie di scala.
La contrazione nel numero degli schemi previdenziali si è accompagnata tuttavia a un
notevole incremento delle risorse gestite. Il patrimonio, pur contenuto nel confronto
internazionale, tra il 2006 e il 2013 è più che raddoppiato grazie anche a una raccolta
media prossima ai 7 mld di euro l’anno.
L’asset allocation e i rendimenti dei fondi pensione
A giugno 2013 le risorse destinate alle prestazioni ammontavano a 108 mld di euro, di
cui poco meno della metà (48 mld di euro) nelle casse dei fondi pensione preesistenti,
32 mld gestiti dai fondi pensione negoziali e 11 mld dai fondi pensione aperti. I Pip
gestiscono complessivamente 17 mld di euro. Il flusso di Tfr versato nelle casse della
previdenza complementare nel 2012 è rimasto, in linea con l’anno precedente, pari a
5,3 mld di euro.
In termini di asset allocation il patrimonio gestito dalla previdenza complementare è
investito per il 61% in titoli di debito, in oltre l’80% dei casi si tratta di titoli di Stato. A
fine 2012, il portafoglio obbligazionario ammontava a 46,8 mld di euro (38,6 miliardi di
titoli sovrani). La quota dei titoli del debito pubblico italiano è rimasta stabile al 55% per
un controvalore di 21,3 mld di euro, mentre i titoli in portafoglio emessi da paesi
dell’eurozona con maggiori problemi nei conti pubblici (Spagna, Portogallo e Irlanda)
ammontano complessivamente a 1,4 miliardi di euro, pari al 3,6% del totale. Tra le
altre categorie di investimento, il 14% del patrimonio risulta impiegato in azioni, mentre
le quote di OICR risultano pari al 13% del totale. L’esposizione azionaria, calcolata
includendo anche i titoli di capitale detenuti attraverso le quote di OICR, è pari al 22,6
per cento.

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o 2008

Nel primo semestre del 2013 i risultati di gestione delle forme pensionistiche
complementari sono stati superiori al tasso di rivalutazione del Tfr, anche se in modo
meno accentuato rispetto all’anno precedente. Nel periodo tra gennaio e giugno 2013 i
fondi pensione negoziali si sono rivalutati dell’1,3%, i fondi pensione aperti del 2,6% a
fronte dell’1% del Tfr.
Asset allocation dei fondi pensione in Italia
(quote % sul totale; valori a fine 2012)
Altro 1,9
Immobili 4,1

Depositi
5,4

Oicr 13,0

Azioni 14,4

Altre obblig.
10,6

Titoli di Stato
50,6

Fonte: Covip

Nel 2012 a fronte del 2,9% di rendimento del Tfr, tutte le tipologie di forme
pensionistiche complementari di nuova istituzione avevano registrato in media
rendimenti compresi fra l’8 e il 9% (+8,2% per i fondi negoziali, +8,9% per i PIP unit
linked e +9,1% per cento per i fondi aperti. Più contenuto il rendimento delle gestioni
separate dei Pip (+3,8% per cento).
Tra le diverse tipologie di prodotti, l’andamento positivo dei principali mercati azionari
internazionali ha premiato in termini di rendimenti le forme previdenziali caratterizzate
da una più elevata esposizione azionaria.
Gli effetti a sei anni dalla riforma della previdenza integrativa
A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla previdenza
complementare non può dirsi soddisfacente. Dal 2006 al 2013 le adesioni sono
passate da 3,1 a 6 milioni. Quasi la metà dell’incremento (1,4 milioni) si è concentrata
tuttavia alla scadenza del primo semestre del 2007, termine entro il quale doveva
essere esercitata l’opzione sul conferimento del Tfr. Negli anni successivi la raccolta
delle adesioni ha perso slancio riportandosi su valori molto contenuti.
Tra le varie tipologie di prodotti previdenziali di secondo pilastro l’incremento delle
adesioni (2,7 milioni) ha riguardato in modo più accentuato i Pip (+1,5 mln di aderenti),
seguiti dai fondi negoziali (+750mila), e dai fondi aperti (+430mila). Più contenuto
l’incremento per i fondi preesistenti (+16mila) che scontavano un tasso di
partecipazione dei possibili aderenti già elevato. I fondi preesistenti continuano a
concentrare la quota maggiore delle risorse dell’intero sistema, la loro incidenza sul
totale è, tuttavia, scesa dal 63% del 2006 al 45,8% di fine 2012.
L’insorgere della crisi finanziaria ha tolto slancio alla previdenza complementare per
effetto delle tensioni sui mercati, dei problemi di finanza pubblica e del propagarsi della

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crisi all’attività produttiva e all’occupazione, che ha reso più difficile destinare quote di
reddito al finanziamento dei piani pensionistici.
In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto tuttavia un
rendimento di poco superiore a quello del Tfr. Fatto 100 il 2004, a giugno 2013 il
rendimento dei fondi pensione negoziali risultava pari a 134,8, quello dei fondi aperti a
129,1 a fronte del 128,5 della rivalutazione del Tfr.
Rendimenti dei fondi pensione e del Tfr
(numero indice; 2004=100)
140
135

134,8

130

129,1

125

128,5

120
115

110
105
100
Fondi pensione negoziali

95

Fondi pensione aperti

TFR

90
2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2010

2011

2012 giu-13

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Covip

Nel complesso il tasso di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare,
calcolato come rapporto tra iscritti e occupati si attesta al 25,5%, mentre rispetto a una
platea di potenziali aderenti di 25,6 milioni di persone (forza lavoro), che comprende
anche le persone in cerca di occupazione, il tasso di adesione risulta pari al 22,7% a
fronte del 12,9% prima della riforma.

10
4 novembre 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008

Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori

Indice Itraxx Eu Financial

Indice Vix

400

60

350

300

50

250
200

40

150

30

100

20

Index Itraxx EU Financial Sector

50

10
set-13

set-13

lug-13

mag-13

gen-13

mar-13

set-12

nov-12

lug-12

mag-12

gen-12

mar-12

set-11

nov-11

lug-11

mag-11

gen-11

0
mar-11

lug-13

mag-13

gen-13

mar-13

set-12

nov-12

lug-12

mag-12

gen-12

mar-12

set-11

nov-11

lug-11

mag-11

gen-11

mar-11

0

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

I premi al rischio passano da 124 pb a 116 pb.

L’indice Vix nell’ultima settimana rimane
stabile a 13.

Prezzo dell’oro

Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent

(Usd l’oncia)

(Usd per barile)
130

1,5

2.000

125

1,45

1.900

1,4

1.800

1.300
set-13

lug-13

mar-13

mag-13

nov-12

gen-13

set-12

1.200
lug-12

1,15

1.400

gen-11

90
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13

1,2

mar-12

Cambio euro/dollaro sc.ds.

mag-12

Brent scala sin.(in Usd)

nov-11

95

1.500

gen-12

1,25

100

1.600

set-11

1,3
105

1.700

lug-11

1,35
110

mar-11

115

mag-11

120

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

Il tasso di cambio €/$ a 1,35. Il petrolio di qualità
Brent quota $107 al barile.

Il prezzo dell’oro scende da 1.346 a 1.309
dollari l’oncia.

11
4 novembre 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008

Borsa italiana: indice Ftse Mib

Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)

24.000

1.400
22.000

1.200
1.000

20.000

800
18.000

600

400

16.000

200
14.000
12.000
gen-11 mag-11 set-11

gen-11
feb-11
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ott-13

0

gen-12 mag-12 set-12

Italia

gen-13 mag-13 set-13

Spagna

Irlanda

Portogallo

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Thomson Reuters

Il Ftse Mib torna oltre quota 19.000.

I differenziali con il Bund sono pari a 460 pb
per il Portogallo, 178 pb per l’Irlanda, 232 pb
per la Spagna e 243 pb per l’Italia.

Indice Baltic Dry

Euribor 3 mesi
(val. %)

12.000

6

10.000

5

8.000

4

set-13

mag-13

set-12

gen-13

mag-12

set-11

gen-12

mag-11

set-10

gen-11

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set-09

gen-10

mag-09

set-08

gen-09

mag-08

set-07

0
gen-08

1

0

mag-07

2

2.000

set-06

4.000

gen-07

3

gen-08
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lug-08
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apr-09
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gen-12
apr-12
lug-12
ott-12
gen-13
apr-13
lug-13
ott-13

6.000

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana
scende da 1.670 a 1.525.

L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%.

Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.

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  • 1. Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. Attività dei fondi pensione in % del Pil (anno 2012) Islanda Svizzera Regno Unito Australia Finlandia Stati Uniti Canada Cile Danimarca Irlanda Giappone Messico Svezia Spagna Norvegia Germania Italia Austria Belgio Turchia 141 113,6 95,7 91,7 79,3 74,5 67,3 60 50 49,2 26,3 12,3 9,2 8,4 7,6 6,3 5,6 5,3 4,6 3,8 0 20 40 60 80 100 120 140 160 Fonte: Ocse 2013 Il Lazio non fa eccezione. Come nel resto d’Italia, anche nella regione la durezza di sei anni di crisi è testimoniata dai numeri del mercato del lavoro che segnano un tasso di disoccupazione al 12,3% e un “tasso di mancata partecipazione alla forza lavoro” – un indicatore della disoccupazione che comprende gli scoraggiati – che alla metà dell’anno raggiunge i venti punti percentuali. Accanto a molte ombre, però, l’economia laziale registra una luce importante: quella del rilancio delle esportazioni, trainate dalle vendite di prodotti farmaceutici. Rilanciare la competitività manifatturiera puntando su settori a più alto contenuto di ricerca e di conoscenza: una lezione da ricordare. 39 4 novembre 2013 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla previdenza complementare non appare soddisfacente. A giugno 2013 gli iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 6 milioni un valore quasi doppio rispetto ai 3,1mln del 2006. Il tasso di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare, calcolato come rapporto tra iscritti e occupati, si attesta tuttavia poco oltre il 25%. L’età media degli aderenti è di 44,6 anni, rispetto ai 42 degli occupati. Risulta iscritto a una forma pensionistica complementare solo il 18% dei lavoratori italiani con meno di 35 anni. In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto un rendimento di poco superiore a quello del Tfr.
  • 2. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 Editoriale: Lezioni dal Lazio G. Ajassa  06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Esportazioni del Lazio (milioni di euro; somme mobili su 12 mesi) 20.000 18.000 16.000 14.000 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat Il Lazio non fa eccezione. I conti di sei anni di crisi pesano sul quadro economico e sociale della regione non meno che nel resto d’Italia. La cartina di tornasole più evidente delle molteplici ferite aperte dalla recessione è quella del mercato del lavoro. Nel 2008 il tasso di disoccupazione era nel Lazio inferiore agli otto punti percentuali nel totale e scendeva addirittura al di sotto del sei per cento per la componente maschile. A metà del 2013 la quota di disoccupati sulla forza lavoro è collocata al 12,3 per cento e sale al 13,4 per cento con riguardo alla disoccupazione femminile. Il numero dei disoccupati è più che raddoppiato, dai centocinquantamila del 2007 ai trecentodiecimila del secondo trimestre di quest’anno. L’avvitamento della crisi è testimoniato dall’aumento, oltre ai disoccupati, del numero degli inattivi. Tra questi, nel Lazio crescono di quarantamila unità coloro i quali, pur non cercando un’occupazione, sarebbero disponibili a lavorare. Tra il 2007 e la metà del 2013 il tasso di mancata partecipazione alla forza lavoro è salito nel Lazio dal quattordici al venti per cento. Il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro è un indicatore complementare al tasso di disoccupazione, che estende la platea delle persone disoccupate agli inattivi che non cercano attivamente ma sarebbero disponibili a lavorare. Se sale di sei punti sull’intero spettro delle età, tra il 2007 e la metà del 2013 questo tasso “allargato” di disoccupazione aumenta di ben dodici punti percentuali nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni che nella regione passa dal ventidue al trentaquattro per cento. Prima della crisi erano quattro su cinque. Oggi, invece, solo due su tre sono nel Lazio i giovani under-34 che trovano un’occupazione tra quelli che cercano attivamente lavoro 2
  • 3. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 o sarebbero comunque disponibili a lavorare. E, tra gli under-trentaquattrenni che trovano un lavoro, è significativa l’incidenza di forme di sotto-occupazione quali il cosiddetto part-time involontario. Sono dati allarmanti in quanto riferiti ad una fascia di soggetti che estende di dieci anni il criterio anagrafico della mera “disoccupazione giovanile” e va, quindi, ad incorporare quella porzione critica di “bread-winner”, di capitale umano fresco di studi e di migliore qualità il cui impiego darebbe un impulso decisivo alla ripresa. Nel Lazio come nel resto d’Italia la recessione si è accompagnata ad un processo di deindustrializzazione ed a una crisi del tessuto imprenditoriale. Lo testimonia anche l’aumento delle sofferenze bancarie in capo alle società finanziarie che nella regione sono salite dai quattro miliardi di euro della metà del 2009 ai tredici miliardi dello scorso giugno. Il declino dell’industria, e tipicamente dell’industria manifatturiera, è dipeso da una varietà di cause tra le quali spicca un trend di stagnazione della produttività del lavoro. Come osserva un recente rapporto elaborato dalla Commissione europea1, per rilanciare la manifattura e reindustrializzare tessuti economici e sociali provati da un lungo periodo di recessione occorre puntare su miglioramenti di competitività legati, soprattutto, a ricerca e conoscenza. A livello settoriale questo implica guardare a settori a più alto valore aggiunto e ad elevato tasso di innovazione. Tra questi c’è il settore farmaceutico che, pur essendo passato attraverso una crisi dai gravi risvolti occupazionali, rimane nel Lazio un comparto strategico. Lo dimostrano i dati delle esportazioni. Nel primo semestre di quest’anno le esportazioni laziali sono cresciute di ben otto punti percentuali su base annua mentre sono arretrate di circa mezzo punto percentuale per l’Italia nel suo complesso. Merito del successo dell’export laziale va alle vendite oltre frontiera di prodotti farmaceutici, chimico-medicinali e botanici il cui valore nel primo semestre del 2013 è aumentato del 31,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. Oggi il settore farmaceutico pesa per poco meno del quaranta per cento dell’export del Lazio. Cinque anni fa, all’inizio della crisi, la quota superava di poco il venti per cento. La ripresa dell’export laziale del comparto farmaceutico è un segnale incoraggiante. Ma, nel Lazio come altrove, il rilancio della competitività manifatturiera richiederà ancora e a lungo un impegno ampio e profondo. 11 Cfr. European Commission, “Towards Knowledge Driven Reindustrialization”, European Competitiveness Report 2013, Bruxelles, ottobre 2013. 3
  • 4. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 Fondi pensione: rendimenti positivi ma poche adesioni S. Ambrosetti  06-47028055 – stefano.ambrosetti@bnlmail.com In Italia nel primo semestre del 2013 i risultati di gestione delle forme pensionistiche complementari sono stati superiori al tasso di rivalutazione del Tfr, anche se in modo meno accentuato rispetto all’anno precedente. Nel periodo tra gennaio e giugno 2013 i fondi pensione negoziali si sono rivalutati dell’1,3%, i fondi pensione aperti del 2,6% a fronte dell’1% del Tfr. In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto un rendimento di poco superiore a quello del Tfr. Fatto 100 il 2004, a giugno 2013 il rendimento dei fondi pensione negoziali risultava pari a 134,8, quello dei fondi aperti a 129,1 a fronte del 128,5 della rivalutazione del Tfr. A giugno 2013 gli iscritti alle forme pensionistiche complementari ammontano a circa 6 milioni, con un incremento rispetto a fine 2012 del 3,7 per cento. L’adesione alla previdenza complementare in Italia registra valori molto contenuti per le classi di età più giovani. L’età media degli aderenti è di 44,6 anni, rispetto ai 42 degli occupati. Risulta iscritto a una forma pensionistica complementare solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni. A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla previdenza complementare non appare soddisfacente. Dal 2006 al 2013 le adesioni sono passate da 3,1 a 6 milioni. Il tasso di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare, calcolato come rapporto tra iscritti e occupati, si attesta poco oltre il 25%. Nel complesso le risorse destinate alle prestazioni ammontano a 108 mld di euro, di cui poco meno della metà (48 mld di euro) nelle casse dei fondi pensione preesistenti. A fine 2012, le risorse finanziarie gestite dalle forme pensionistiche complementari rappresentavano il 6,7% del Pil e circa il 3% delle attività finanziarie delle famiglie, un valore ancora contenuto anche se quasi doppio rispetto a quello del 2006. Prima dell’avvio della riforma, tali percentuali risultavano infatti pari, rispettivamente, al 3,5 e all’1,5%. La previdenza complementare svolge un ruolo molto diversificato tra i diversi sistemi economici. L’importanza del secondo pilastro appare inversamente correlata alla dimensione delle prestazioni offerte dalla componente pubblica. Nei paesi in cui il sistema pubblico ha offerto finora prestazioni generose, il sistema complementare appare meno sviluppato per assumere invece un ruolo rilevante nei sistemi economici in cui le pensioni pubbliche offrono prestazioni più limitate. Ad alimentare un diverso grado di diffusione tra i paesi concorrono fattori di natura regolamentare. Tra i paesi appartenenti all’Ocse, alcuni affiancano al sistema pubblico pensioni complementari di natura obbligatoria (ad esempio il sistema australiano) o semi-obbligatoria (Paesi Bassi). In altri paesi come gli Usa e il Regno Unito i piani previdenziali privati pur non essendo obbligatori hanno raggiunto comunque un’enorme diffusione. I dati diffusi dall’Ocse nei giorni scorsi hanno evidenziato come nel 2012 il peso delle attività dei fondi pensione in rapporto al Pil, nei paesi dell’area, sia aumentato nel 2012 al 77% dal 73,5% del 2011, permane tuttavia una grande disomogeneità. Alcuni paesi presentano valori superiori al 100% del Pil (Paesi Bassi 160%, Islanda 141% e Svizzera 114%), altri come il Regno Unito (96%), l’Australia (92%) e la Finlandia (80%) registrano un valore più contenuto ma comunque superiore alla media ponderata 4
  • 5. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 dell’area. Resta comunque un numero elevato di paesi appartenenti all’Ocse che presenta un rapporto tra attività dei fondi pensione e Pil inferiore al 20%. In termini assoluti gli Stati Uniti detengono la quota più elevata dei fondi pensione dei paesi dell’area Ocse con uno stock pari a 11,6 trilioni di Usd. Il loro peso relativo nell’ultimo decennio è tuttavia diminuito dal 68% all’attuale 53% per effetto anche del notevole sviluppo che la previdenza complementare ha avuto in alcune aree. Tra gli altri paesi le quote più elevate sono attribuibili al Regno Unito (2,3 trilioni di Usd) con una quota pari all’11%, al Giappone (7%), all’Australia (6%), ai Paesi Bassi (6%) e al Canada (5%). Attività dei fondi pensione in % del Pil (anno 2012) Islanda Svizzera Regno Unito Australia Finlandia Stati Uniti Canada Cile Danimarca Irlanda Giappone Messico Svezia Spagna Norvegia Germania Italia Austria Belgio Turchia 141 113,6 95,7 91,7 79,3 74,5 67,3 60 50 49,2 26,3 12,3 9,2 8,4 7,6 6,3 5,6 5,3 4,6 3,8 0 20 40 60 80 100 120 140 160 Fonte: Ocse 2013 Oltre che per l’ammontare di risorse gestite dai fondi pensione i diversi paesi presentano notevoli differenze anche in termini di asset allocation. Alcuni paesi (tra cui il Regno Unito e gli Stati Uniti), tradizionamente più inclini all’investimento in attività rischiose, presentano un’elevata concentrazione del patrimonio in titoli azionari. In molti paesi appartenenti all’area le obbligazioni e i titoli azionari costituiscono le due principali classi di investimento. Tredici paesi su 34 investono oltre l’80% del patrimonio in queste attività. Gli Stati Uniti sono il paese in cui la componente azionaria raggiunge il valore più elevato (49% del totale), seguito dall’Australia (46%). Nel 2012 i fondi pensione hanno registrato complessivamente un andamento favorevole in quasi tutti i paesi con un rendimento positivo superiore al 5% in 18 paesi. Tradizionalmente i fondi pensione si dividono tra schemi a “prestazione definita” e a “contribuzione definita”. I fondi appartenenti alla prima tipologia, che hanno avuto larga diffusione in passato, appaiono di difficile sostenibilità dal momento che comportano rischi troppo elevati per i datori di lavoro. Per questa ragione la regolamentazione prudenziale, allineandosi ai principi introdotti nei sistemi bancari con le regole di Basilea e nel mondo assicurativo con le direttive Solvency, ha introdotto requisiti patrimoniali e criteri di valutazione delle riserve tecniche e degli attivi più rigorosi per gli schemi a prestazione definita. In un’ottica di bilanciamento dei rischi tra le parti, anche gli schemi a contribuzione definita presentano dei limiti, dal momento che i rischi ricadono interamente sugli aderenti che non sono in grado di sapere a fronte dei versamenti effettuati l’ammontare delle prestazioni che riceveranno dai fondi. Questa incertezza costituisce un importante 5
  • 6. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 ostacolo all’incremento delle adesioni, specie nei sistemi in cui il secondo pilastro previdenziale si presenta meno sviluppato. Un primo passo per il superamento di queste difficoltà è stato compiuto con l’introduzione in alcuni paesi di schemi a contribuzione definita con un rendimento minimo garantito. Queste forme, oltre a presentare costi più elevati derivanti dalla garanzia prestata, in questo contesto di mercato devono fronteggiare difficoltà gestionali legate al basso livello dei tassi di interesse che potrebbe continuare a sussistere in un arco temporale a breve e medio termine. Una seconda forma di innovazione prevede l’introduzione di forme miste di contribuzione/prestazione definita, ad esempio mediante la definizione di obiettivi di rendimento predeterminati (ma non vincolanti) o indicizzazioni di una parte del capitale. Queste tipologie mirano a offrire maggiori punti di riferimento all’aderente da un lato e a limitare l’assorbimento patrimoniale rispetto ai fondi a prestazione definita. La costituzione di fondi pensione di questo tipo al momento si presenta ancora in una fase iniziale. La previdenza integrativa in Italia: un quadro aggiornato In Italia le dimensioni del sistema di previdenza integrativa appaiono ancora ridotte sia nel confronto internazionale sia rispetto alle intenzioni del Governo e delle istituzioni che miravano a un rapido incremento nei tassi di adesione in risposta alla progressiva riduzione del sistema pensionistico di base. A giugno 2013 gli iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 6 milioni, con un incremento rispetto a fine 2012 del 3,7 per cento. I dati evidenziano il perdurare nel 2013 di un trend di crescita lenta che aveva caratterizzato anche l’anno precedente. Fondi pensioni italiani: numero degli iscritti e risorse destinate alle prestazioni 6 5 4,6 4,8 5,1 5,3 5,5 5,8 104 6,0 108 91 120 100 83 4 72,9 3 2,6 2,7 2 37,6 40,9 3,0 3,2 57,8 61,3 47,3 51,6 80 60 40 1 20 0 0 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 giu-13 Risorse (mld. euro; sc.ds.) Numero di iscritti (mln; sc.sin) Fonte: Covip A fine 2012, le risorse finanziarie gestite dalle forme pensionistiche complementari rappresentavano il 6,7% del Pil e circa il 3% delle attività finanziarie delle famiglie, un valore ancora contenuto anche se quasi doppio rispetto a quello del 2006. Prima dell’avvio della riforma, tali percentuali risultavano infatti pari, rispettivamente, al 3,5 e all’1,5%. Nel 2012 i nuovi iscritti alla previdenza complementare sono stati 442mila. Il maggior contributo è stato fornito dai Pip con 338mila nuovi aderenti, seguiti dai fondi negoziali 6
  • 7. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 con 60mila e dai fondi aperti con 57mila unità. I fondi preesistenti hanno registrato18mila nuove adesioni. Il meccanismo delle adesioni tacite1 ha apportato 14.000 nuovi iscritti, appena il 3 per cento del totale, di cui solo 1.400 sono confluiti in FondInps. L’adesione alla previdenza complementare in Italia registra valori molto contenuti per le classi di età più giovani. L’età media degli aderenti è di 44,6 anni, rispetto ai 42 degli occupati. Risulta iscritto a una forma pensionistica complementare solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni. Il tasso di partecipazione arriva quasi al 24% per i lavoratori nella classe di età compresa tra 35 e 44 anni e sale al 30% per quelli tra i 45 e i 64 anni. Gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 63% del totale degli aderenti con un tasso di partecipazione del 27% per gli uomini e del 23% per le donne. Per avere un quadro più fedele dell’effettivo livello di partecipazione alla previdenza complementare occorre considerare anche l’ammontare delle sospensioni contributive che in Italia ha assunto una dimensione rilevante. Nel 2012 circa 1,2 milioni di persone non hanno alimentato la propria posizione individuale mediante il versamento dei contributi, circa 100.000 in più rispetto all’anno precedente. Il 20% degli iscritti non versanti presenta una posizione individuale nulla o irrisoria (al di sotto di 100 euro). Dal 2008 a oggi il numero di coloro che hanno sospeso la contribuzione si è accresciuto di 500 mila unità. Questo fenomeno trova maggior riscontro tra i lavoratori autonomi che non usufruiscono dei versamenti ricorrenti da parte del datore di lavoro o del flusso di Tfr e sono quindi più soggetti a discontinuità contributive. Al netto delle sospensioni, il tasso di adesione di coloro che contribuiscono regolarmente rispetto agli occupati scenderebbe al 20,2% (dal 30 al 25% per i lavoratori privati e dal 26,6 al 17,5 per quelli autonomi); rimarrebbe nel complesso stabile al 4,5% il tasso di adesione tra i dipendenti pubblici. Si riduce il numero degli schemi previdenziali A fine 2012 sul mercato italiano risultavano operative 536 forme pensionistiche complementari suddivise tra: fondi pensione negoziali (39), fondi pensione aperti (59), fondi pensione preesistenti (361) e piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (76). A questi occorre aggiungere FondInps, la forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS e destinata ad accogliere i flussi di Tfr dei lavoratori silenti per i quali gli accordi collettivi non prevedono un fondo di riferimento. Nonostante il numero elevato di forme pensionistiche, in termini di adesioni il sistema presenta un elevato grado di concentrazione. A fine 2012 i dieci schemi previdenziali con oltre 100mila iscritti (4 fondi negoziali, 5 Pip e un fondo aperto) totalizzavano 2,3 milioni di persone, pari al 43 per cento del totale. Su 536 forme di previdenza complementare totali solo 91 contano più di 10.000 iscritti e riuniscono 4,8 milioni di aderenti, pari all’89 per cento del totale. Il secondo pilastro previdenziale, a partire dal 2000, ha sperimentato un consolidamento nel numero degli schemi pensionistici con una riduzione di oltre 200 1 Il conferimento tacito avviene qualora il lavoratore non effettui nei termini di legge (Decreto lgs. 252/2005) una scelta esplicita relativamente al conferimento del Tfr maturando. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il Tfr alla forma pensionistica collettiva di riferimento cioè a un fondo negoziale oppure a un fondo pensione aperto individuato in base ad accordi collettivi. In presenza di più forme pensionistiche collettive, salvo diverso accordo aziendale, il Tfr viene trasferito a quella cui abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda. Qualora non sia possibile individuare il fondo di riferimento con le modalità descritte, il datore di lavoro trasferisce il Tfr maturando alla forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS (FondInps). 7
  • 8. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 unità. Le forme maggiormente coinvolte in questo processo di razionalizzazione sono stati i fondi pensione preesistenti e i fondi pensione aperti, anche per effetto delle aggregazioni di gruppi bancari e finanziari che hanno fatto confluire le diverse forme previdenziali in schemi comuni. Numero di fondi pensione in Italia 700 600 500 400 574 536 448 361 300 200 100 84 42 59 39 0 2006 2007 Fondi negoziali 2008 Fondi aperti 2009 2010 Fondi preesistenti 2011 2012 Fondi totali Fonte: Covip La struttura del mercato sembra lasciare ancora spazio a un processo di concentrazione e razionalizzazione del sistema che consentirebbe di incrementare le masse gestite dai singoli fondi e di poter beneficiare di economie di scala. La contrazione nel numero degli schemi previdenziali si è accompagnata tuttavia a un notevole incremento delle risorse gestite. Il patrimonio, pur contenuto nel confronto internazionale, tra il 2006 e il 2013 è più che raddoppiato grazie anche a una raccolta media prossima ai 7 mld di euro l’anno. L’asset allocation e i rendimenti dei fondi pensione A giugno 2013 le risorse destinate alle prestazioni ammontavano a 108 mld di euro, di cui poco meno della metà (48 mld di euro) nelle casse dei fondi pensione preesistenti, 32 mld gestiti dai fondi pensione negoziali e 11 mld dai fondi pensione aperti. I Pip gestiscono complessivamente 17 mld di euro. Il flusso di Tfr versato nelle casse della previdenza complementare nel 2012 è rimasto, in linea con l’anno precedente, pari a 5,3 mld di euro. In termini di asset allocation il patrimonio gestito dalla previdenza complementare è investito per il 61% in titoli di debito, in oltre l’80% dei casi si tratta di titoli di Stato. A fine 2012, il portafoglio obbligazionario ammontava a 46,8 mld di euro (38,6 miliardi di titoli sovrani). La quota dei titoli del debito pubblico italiano è rimasta stabile al 55% per un controvalore di 21,3 mld di euro, mentre i titoli in portafoglio emessi da paesi dell’eurozona con maggiori problemi nei conti pubblici (Spagna, Portogallo e Irlanda) ammontano complessivamente a 1,4 miliardi di euro, pari al 3,6% del totale. Tra le altre categorie di investimento, il 14% del patrimonio risulta impiegato in azioni, mentre le quote di OICR risultano pari al 13% del totale. L’esposizione azionaria, calcolata includendo anche i titoli di capitale detenuti attraverso le quote di OICR, è pari al 22,6 per cento. 8
  • 9. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 Nel primo semestre del 2013 i risultati di gestione delle forme pensionistiche complementari sono stati superiori al tasso di rivalutazione del Tfr, anche se in modo meno accentuato rispetto all’anno precedente. Nel periodo tra gennaio e giugno 2013 i fondi pensione negoziali si sono rivalutati dell’1,3%, i fondi pensione aperti del 2,6% a fronte dell’1% del Tfr. Asset allocation dei fondi pensione in Italia (quote % sul totale; valori a fine 2012) Altro 1,9 Immobili 4,1 Depositi 5,4 Oicr 13,0 Azioni 14,4 Altre obblig. 10,6 Titoli di Stato 50,6 Fonte: Covip Nel 2012 a fronte del 2,9% di rendimento del Tfr, tutte le tipologie di forme pensionistiche complementari di nuova istituzione avevano registrato in media rendimenti compresi fra l’8 e il 9% (+8,2% per i fondi negoziali, +8,9% per i PIP unit linked e +9,1% per cento per i fondi aperti. Più contenuto il rendimento delle gestioni separate dei Pip (+3,8% per cento). Tra le diverse tipologie di prodotti, l’andamento positivo dei principali mercati azionari internazionali ha premiato in termini di rendimenti le forme previdenziali caratterizzate da una più elevata esposizione azionaria. Gli effetti a sei anni dalla riforma della previdenza integrativa A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla previdenza complementare non può dirsi soddisfacente. Dal 2006 al 2013 le adesioni sono passate da 3,1 a 6 milioni. Quasi la metà dell’incremento (1,4 milioni) si è concentrata tuttavia alla scadenza del primo semestre del 2007, termine entro il quale doveva essere esercitata l’opzione sul conferimento del Tfr. Negli anni successivi la raccolta delle adesioni ha perso slancio riportandosi su valori molto contenuti. Tra le varie tipologie di prodotti previdenziali di secondo pilastro l’incremento delle adesioni (2,7 milioni) ha riguardato in modo più accentuato i Pip (+1,5 mln di aderenti), seguiti dai fondi negoziali (+750mila), e dai fondi aperti (+430mila). Più contenuto l’incremento per i fondi preesistenti (+16mila) che scontavano un tasso di partecipazione dei possibili aderenti già elevato. I fondi preesistenti continuano a concentrare la quota maggiore delle risorse dell’intero sistema, la loro incidenza sul totale è, tuttavia, scesa dal 63% del 2006 al 45,8% di fine 2012. L’insorgere della crisi finanziaria ha tolto slancio alla previdenza complementare per effetto delle tensioni sui mercati, dei problemi di finanza pubblica e del propagarsi della 9
  • 10. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 crisi all’attività produttiva e all’occupazione, che ha reso più difficile destinare quote di reddito al finanziamento dei piani pensionistici. In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto tuttavia un rendimento di poco superiore a quello del Tfr. Fatto 100 il 2004, a giugno 2013 il rendimento dei fondi pensione negoziali risultava pari a 134,8, quello dei fondi aperti a 129,1 a fronte del 128,5 della rivalutazione del Tfr. Rendimenti dei fondi pensione e del Tfr (numero indice; 2004=100) 140 135 134,8 130 129,1 125 128,5 120 115 110 105 100 Fondi pensione negoziali 95 Fondi pensione aperti TFR 90 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2010 2011 2012 giu-13 Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Covip Nel complesso il tasso di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare, calcolato come rapporto tra iscritti e occupati si attesta al 25,5%, mentre rispetto a una platea di potenziali aderenti di 25,6 milioni di persone (forza lavoro), che comprende anche le persone in cerca di occupazione, il tasso di adesione risulta pari al 22,7% a fronte del 12,9% prima della riforma. 10
  • 11. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix 400 60 350 300 50 250 200 40 150 30 100 20 Index Itraxx EU Financial Sector 50 10 set-13 set-13 lug-13 mag-13 gen-13 mar-13 set-12 nov-12 lug-12 mag-12 gen-12 mar-12 set-11 nov-11 lug-11 mag-11 gen-11 0 mar-11 lug-13 mag-13 gen-13 mar-13 set-12 nov-12 lug-12 mag-12 gen-12 mar-12 set-11 nov-11 lug-11 mag-11 gen-11 mar-11 0 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters I premi al rischio passano da 124 pb a 116 pb. L’indice Vix nell’ultima settimana rimane stabile a 13. Prezzo dell’oro Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent (Usd l’oncia) (Usd per barile) 130 1,5 2.000 125 1,45 1.900 1,4 1.800 1.300 set-13 lug-13 mar-13 mag-13 nov-12 gen-13 set-12 1.200 lug-12 1,15 1.400 gen-11 90 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13 1,2 mar-12 Cambio euro/dollaro sc.ds. mag-12 Brent scala sin.(in Usd) nov-11 95 1.500 gen-12 1,25 100 1.600 set-11 1,3 105 1.700 lug-11 1,35 110 mar-11 115 mag-11 120 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters Il tasso di cambio €/$ a 1,35. Il petrolio di qualità Brent quota $107 al barile. Il prezzo dell’oro scende da 1.346 a 1.309 dollari l’oncia. 11
  • 12. 4 novembre 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania (punti base) 24.000 1.400 22.000 1.200 1.000 20.000 800 18.000 600 400 16.000 200 14.000 12.000 gen-11 mag-11 set-11 gen-11 feb-11 mar-11 apr-11 mag-11 giu-11 lug-11 ago-11 set-11 ott-11 nov-11 dic-11 gen-12 feb-12 mar-12 apr-12 mag-12 giu-12 lug-12 ago-12 set-12 ott-12 nov-12 dic-12 gen-13 feb-13 mar-13 apr-13 mag-13 giu-13 lug-13 ago-13 set-13 ott-13 0 gen-12 mag-12 set-12 Italia gen-13 mag-13 set-13 Spagna Irlanda Portogallo Fonte: Thomson Reuters Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters Il Ftse Mib torna oltre quota 19.000. I differenziali con il Bund sono pari a 460 pb per il Portogallo, 178 pb per l’Irlanda, 232 pb per la Spagna e 243 pb per l’Italia. Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi (val. %) 12.000 6 10.000 5 8.000 4 set-13 mag-13 set-12 gen-13 mag-12 set-11 gen-12 mag-11 set-10 gen-11 mag-10 set-09 gen-10 mag-09 set-08 gen-09 mag-08 set-07 0 gen-08 1 0 mag-07 2 2.000 set-06 4.000 gen-07 3 gen-08 apr-08 lug-08 ott-08 gen-09 apr-09 lug-09 ott-09 gen-10 apr-10 lug-10 ott-10 gen-11 apr-11 lug-11 ott-11 gen-12 apr-12 lug-12 ott-12 gen-13 apr-13 lug-13 ott-13 6.000 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana scende da 1.670 a 1.525. L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%. Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari. 12