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ALMA MATER STUDIORUM-UNIVERSITA’ DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
BAND O BRAND?
L'UTILIZZO DELLA MUSICA ALL'INTERNO DEI GRANDI MARCHI.
L'ESEMPIO RED BULL MUSIC ACADEMY
Prova finale in :
Sociologia della Comunicazione
Relatore: Presentata da:
Prof.ssa Pina Lalli Andrea Tirabasso
(Matr. 0000479755)
Sottocommissione proff.:
Lalli, Sarti, Capecchi
Sessione II
Anno Accademico 2013/2014
1
2
Indice:
Introduzione
1. Capitolo 1 : Dal marchio verso il brand: la storia di un cambiamento
1.1. Il marchio e la sua evoluzione
1.2. Le varie forme del termine Brand
2. Capitolo 2 : Musica e branding: pratiche e sviluppi
2 .1 Le origini della musica come veicolo emozionale
2.2 Sound Branding: il suono veste il brand
2.3 La musica diventa estensione del marchio
2.4 La fusione tra Brand e star della musica
3. Capitolo 3 : Music Branding 2.0 : L'identificazione di uno stile non solo
musicale
3.1 Musica e grandi marchi: un connubio che genera life styles
3.1.1 Il caso Adidas e i Run - Dmc
3.2 Come la musica è stata influenzata dai brand: una riflessione inversa
3.3 Il brand diventa protagonista nel settore musicale
4. Capitolo 4: Case history sulla Red Bull Music Academy
4.1 Intervista a Damir Ivic di Red Bull Music Academy Italia
5. Conclusioni
5.1 Ringraziamenti
6. Bibliografia e Sitografia
3
Introduzione
“In questo campo di battaglia per i cuori e per le menti dei clienti, la musica è una dei più
potenti strumenti che un brand possa utilizzare” (D.Jackson, 2013, trad. it. p.1)
L'obbiettivo che mi sono posto nell'elaborazione di questa tesi è stato quello di analizzare il
percorso e lo sviluppo del profondo legame che intercorre tra il mondo della musica e quello
dei grandi marchi.
In particolare ho voluto porre l'accento su quelle che sono state negli anni, le pratiche
utilizzate da parte dei brands nell'utilizzo della musica quale potente mezzo di
comunicazione, ma sopratutto in grado di accrescere il prestigio ed il valore di un marchio.
Per arrivare a ciò, ho suddiviso l'elaborato in quattro macro argomenti: i primi tre assumo un
carattere analitico, mente l'ultimo riguarda il caso particolare di un noto brand che opera in
modo atipico nel campo musicale.
Nel primo capitolo illustrerò brevemente, attraverso le parole di autori ed esperti, quali sono
stati negli anni i vari mutamenti del concetto di marchio e le varie forme che il termine
brand assume a seconda di alcune funzioni. Il primo capitolo si dimostrerà poi propedeutico
per la corretta comprensione delle pagine successive.
Il secondo capitolo si sviluppa intorno al tema centrale che è il music branding.
Attraverso l'analisi e lo studio di vari testi, chiarisco l'importanza della musica quale
importante veicolo di comunicazione nel passato, e sotto quali forme essa è entrata a far
parte delle strategie commerciali utilizzate dai grandi marchi.
Il terzo capitolo viene incentrato su una visione contemporanea del connubio musica e
brand.
Con una dettagliata osservazione dei mutevoli processi quali l'identificazione dei marchi,
attraverso determinati generi musicali, arrivo ad esporre quelle che sono le dinamiche
attuali. Si arriva dunque ad una radicale trasformazione che porta i grandi marchi ad essere il
primo attore sulla scena musicale: interagendo con essa ed influenzandola.
Nel quarto capitolo porto in esame un case study riguardante un attività collaterale di una
nota azienda di energy drink, chiamata Red Bull Music Academy.
Nei capitoli finali della mia tesi tenterò di mostrare attraverso fonti ed un'intervista al
referente italiano di Red Bull Music Academy, in che modo questo marchio possa
rappresentare al giorno d'oggi un esempio concreto di music branding sostenibile.
4
“Music can move us
to the heights or depths of emotion.
It can persuade us to buy something,
or remind us our first date.
It can lift us out of depression
when nothing else can.
It can get us dancing to its beat.
But the power of music goes much, much further.
Indeed, music occupies more areas of our brain
than language does - Humans are a musical species.”
Oliver Sacks
(Neurologo al NYU School of Medicine)
5
Capitolo 1: Dal marchio verso il brand
1.1 Il marchio e la sua evoluzione
Per poter capire come ha avuto origine l'idea di brand e di come esso sia arrivato a farsi
strumento di vendita all'interno del ambiente musicale, è bene fare un passo indietro
cercando di dare la giusta accezione alla definizione della parola marchio in quanto
“Significato chiave della grande impresa moderna.” (Klein, 2000, p.27).
Partiamo da una definizione che viene data del marchio come “un'istanza semiotica, una
maniera di segmentare e di attribuire del senso in modo ordinato strutturato e volontario”
(L.Mariano, 2007, p.55) si arriva ad identificare la sua “triplice natura” (L.Mariano, 2007,
p.20) :
⁃ La natura semiotica della marca: la marca nasce in primo luogo per veicolare dei
significati, per comunicare un senso. Ciò si ottiene sfruttando il piano verbale e
quello fisico,visivo ed ogni strategia che possa essere in linea con lo scopo.
⁃ La natura relazionale della marca: la marca ha la vitale necessità di entrare in
relazione con il consumatore e di instaurare un rapporto
⁃ La natura evolutiva della marca: la marca non è solo inserita nel suo tempo
deve viverlo. Una marca immobile è destinata al declino. Soltanto chi sa ascoltare il
mondo può capirne le evoluzioni, i bisogni, i suggerimenti assecondandoli.
Il marchio inizia ad assumere un ruolo importante nella produzione di prodotti nel momento
in cui due grandi innovazioni fanno capolino nel vasto mondo dell'impresa moderna: la
strutturazione della fabbrica e la presenza della pubblicità attraverso gli annunci pubblicitari.
Con la prima, il modo di produrre cose ed oggetti inizia a cambiare “nel momento in cui è
iniziata la lavorazione in fabbrica, non solo sono stati immessi sul mercato nuovi prodotti
ma anche i vecchi, hanno assunto forme straordinariamente nuove” (Klein, 2000, p. 28).
La produzione in serie e la diffusione di nuovi prodotti portano il mondo dell'industria
moderna di fronte a nuove esigenze e nuove sfide: il bisogno di differenziare un prodotto da
un altro attraverso l'immagine.
Il ruolo della pubblicità si trasforma dal comunicare semplicemente le informazioni basiche
relative ad un dato prodotto, al valorizzare l'identità del marchio.
“Il primo compito del branding fu quello di conferire nomi propri a prodotti generici come
lo zucchero, la farina, il sapone e i cereali, che fino ad allora i negozianti vendevano sfusi
prelevandoli dai barili” (Klein, 2000 p. 29)
6
Il marchio inizia ad avere una sua personalità: da semplice immagine statica ed inanimata,
il logo inizia ad esprimere e suscitare emozioni. Affermano Ellen Lupton e J.Abbott Miller
due studiosi e teorici del design:
Personaggi familiari arrivarono a sostituire il negoziante, che era stato fino a quel momento il
responsabile della scelta per i suoi clienti e che agiva da propagandista dei prodotti... un elenco di
marchi ha sostituito il piccolo commerciante locale quale interfaccia tra consumatore e prodotto. (E.
Lupton e J.Miller, 1996, tr.it., p.177)
L'idea che il marchio rappresenti solamente un semplice slogan, sin dalla fine degli anni
Quaranta, inizia a diventare superata e obsoleta. Usando termini e parole legate a quegli
anni, sul marchio inizia ad incentrarsi una “forte identità o conoscenza aziendale” (Klein,
2000, p.51)
1.2 Le varie forme del termine Brand
In questo paragrafo cercherò di definire nel modo più chiaro possibile quella che, per certi
versi, viene considerata una parola sfuggente, ampia e difficile da poter circoscrivere in una
sola definizione. Avvalendomi delle parole di autori ed esperti, ho raccolto alcune di quelle
che per me paiono le definizioni più efficaci ad una corretta comprensione del termine brand
e delle sue connessioni.
Il termine brand nell'etimologia inglese sta a significare letteralmente bruciare, marchiare a
fuoco. Nella fattispecie questo termine veniva adottato in passato per indicare il mezzo
utilizzato per marchiare a fuoco il bestiame.
Vedremo quindi, in che modo questo nome di cui faremo ampio uso nel corso di questa tesi,
sia stato in grado di lasciare, metaforicamente parlando, un segno così importante.
L'American Marketing Association definisce il brand come: ”un nome, un termine, un
segno, un simbolo, o qualunque altra caratteristica che ha lo scopo di identificare i beni o i
servizi di un venditore e di distinguerli da quelli degli altri venditori” (L.Mariano,2007,
p.39), il quale riesce a dare un' esaustiva e precisa spiegazione teorica.
Menzionando le parole di Richard Branson sul brand , egli si rifà al modello asiatico
chiamato Keiretsu, termine che sta a significare una rete di aziende collegate, spiegandone il
suo concetto di branding : “costruire dei marchi attorno non ai prodotti, bensì alla fama.”
(Branson 1997, p.2).
In questa visione, Branson afferma inoltre che i marchi si collegano a “una serie di valori”
(Branson, 1997, p.3) piuttosto che a dei singoli prodotti.
L'accezione del termine brand data da Daniel M. Jackson tende invece, a focalizzarsi più
sulla funzione psico-cognitiva che il brand al giorno d'oggi svolge sugli individui asserendo
che “I brands sono la nostra reazione emozionale ai prodotti e ai servizi che vengono offerti
e consumati” (Jackson, 2013, p.4).
7
Se per Branson i marchi sono legati a una serie di valori, Jackson sostiene a riguardo che “Il
valore del brand è dato da noi come clienti e come portatori di interessi.” (Jackson,
2013,p.7)
Cap. 2 : Musica e branding: pratiche e sviluppi
2.1 Le origini della musica come veicolo emozionale
Illustrando l'ipotesi di Jackson (2013), vedremo in che modo la musica è sempre stata
presente all'interno della vita dell'essere umano come mezzo di comunicazione emozionale
in grado di influenzare i comportamenti di gruppi sociali ed individui e successivamente
veicolare valori e stili di vita.
Come vedremo, l'uso della musica come strumento persuasivo atto ad influenzare i
comportamenti umani, può sembrare una pratica prettamente moderna, ma affonda le sue
radici in un lontano passato.
Durante la storia dell'umanità, le persone hanno usato la musica per identificare idee,
credenze, gruppi sociali e nazioni. La musica, come scrive Daniel M. Jackson, è “ un
fenomeno naturale, un amore unificante, un linguaggio molto più profondo ed emozionale di
qualsiasi altro.” (D.Jackson, 2013, trad. it. p.31)
Possiamo rintracciare una sorta di forma astratta ed arcaica del branding musicale nel
lontano 600 d.c., quando Papa Gregorio I raccolse e codificò tutti i canti religiosi
appartenenti alla Chiesa di quel tempo per promulgare e diffondere la fede cattolica.
L'uso dei canti gregoriani aveva lo scopo di mantenere saldo il credo verso la religione
cristiana tra i fedeli.
Jackson fa un equiparazione con i tempi attuali scrivendo:
Gli abitanti del 600 d.c. non sedevano in cerchio divertendosi ad ascoltare i canti gregoriani dalle
loro cuffie, ma questa musica rappresentava una sorta di mezzo usato dalla Chiesa per trasmettere il
dogma verso il suo pubblico (D.Jackson, 2013,trad. it. p.24)
A dimostrazione di quanto è stato detto Jackson cita altri esempi come gli Inni Nazionali,
considerati “Il metodo standard adottato dalle nazioni, per stimolare il patriottismo,
specialmente durante i periodi di guerra” (D.Jackson, trad. it. 2013, p.24) o il ruolo che la
musica popolare ha svolto nella società del passato “Trasmettendo storie e folklore alle
generazioni piu giovani” (D.Jackson, trad. it. 2013, p.24)
Nelle prossime pagine approfondirò attraverso esempi, citazioni e riflessioni personali i vari
mutamenti delle filosofie aziendali che hanno portato i grandi marchi a cercare sempre più
spunti sopratutto nel mondo della musica, per poter alimentare ed accrescere l'identità del
proprio brand.
8
2.2 Sound Branding: il suono veste il brand
In questo paragrafo mi soffermerò su quelli che sono alcuni degli aspetti che costituiscono il
mondo della pubblicità musicale moderna. Analizzerò il modo in cui un messaggio
musicale, sotto forma di logo sonoro, viene veicolato dai grandi marchi attraverso una nuova
strategia di marketing chiamata sound branding.
Come gia detto in precedenza, l'impiego della musica nella comunicazione, e recentemente
nel mondo del brand si basa su un “valore emotivo ed emozionale: colleghiamo ad essa,
sensazioni, informazioni, ricordi e storie.” (Vangelisti, 2011)
Il sound branding, definito come “L'uso consapevole del suono per creare un'identità del
marchio, l'impiego della musica per rafforzare il potere del logo” (Vangelisti) si regge
essenzialmente su quei valori.
Una delle peculiarità del Sound Branding riguarda la sua particolare struttura: la
composizione musicale “si riduce a pochi suoni o addirittura ad un suono soltanto”
(Vangelisti, 2011) come nel caso di artisti incaricati di realizzare un suono che rafforzi il
potere del logo visivo, e che sia immediatamente riconoscibile e distinguibile da un altro:
Rimaniamo colpiti e ancorati non solamente da un logo visivo ma anche da un logo sonoro
che possiamo riconoscere all'istante nel momento in cui ascoltiamo la radio, guardiamo la
televisione o in una qualsiasi altra occasione.
Musicisti come Brian Eno, compongono e studiano il suono più adatto per poter
rappresentare e “vestire” al meglio il logo di un brand : Eno è il compositore della nota
melodia d'avvio di Windows 95.
Una composizione di 3 secondi e un quarto. Da allora Brian Eno ha composto un centinaio di questi
piccoli jingle, che sono importantissimi dal punto di vista pubblicitario, perché sono la firma del
brand o del Sound Logo. (Tonik, 2012)
Secondo Marco Vangelisti, “Il sound branding crea un esperienza profonda nel consumatore
e permette al brand di farsi riconoscere, e sopratutto farsi ricordare.” (Vangelisti, 2011)
Lasciando per un attimo da parte l' importante componente emozionale notiamo come il
Sound Branding sia figlio di una visione moderna derivante da nuove strategie di marketing.
Attraverso le parole di Marco Vangelisti notiamo come la sua descrizione dettagliata
riguardante i cambiamenti in atto sulla la comunicazione e il marketing, coincida e introduca
in maniera calzante i contenuti dei prossimi paragrafi:
La comunicazione e il marketing si muovono oramai su una prospettiva non più monotematica, ma
ogni campagna fa riferimento a metodologie crossmediali interattive, che si muovono tra l'online e
l'offline senza tregua, con strutture olistiche multisensoriali e omnicomprensive che sfruttano tutti
gli elementi per farsi ricordare e distinguersi dai competitor. (Vangelisti, 2011)
9
Possiamo quindi affermare che un suono, una melodia o un jingle pubblicitario possa
stimolarci, quasi a livello subcosciente, ad acquistare, sognare o addirittura indurci a
mangiare di più?
Uno studio pubblicato in un articolo intitolato “I dieci suoni che creano dipendenza nel
mondo” spiega attraverso alcuni esempi, in che modo alcuni suoni riescono a condizionare
la nostra vita e i nostri comportamenti: “Quando il suono delle slot machine fu tolto a Las
Vegas, le entrate derivanti dal gioco d'azzardo calarono del 24%.” (Fast Company Staff,
2010) Altri esperimenti fatti in alcuni ristoranti mostrano che “quando viene trasmessa una
musica lenta (a livello ritmico più lenta del battito cardiaco) siamo portati a mangiare più
lentamente e di conseguenza a mangiare di più!” (Fast Company Staff, 2010)
Sempre Marco Vangelisti nell'articolo “Sound Branding: i suoni che fissano le emozioni, per
sempre”(Vangelisti, 2011) stila una lista dove vengono elencati alcuni dati riguardanti
l'efficacia del cosiddetto Sound Branding nel campo aziendale, e non solo:
⁃ Quasi il 100% dei brand di successo ritengono che la musica li rafforzi.
⁃ Il 70% dei brand lavora attivamente sul sonoro e ritiene il suono un elemento centrale
nel marketing del futuro.
⁃ L'udito, dopo la vista, è il senso più usato nella brand communication
⁃ 4 aziende su 10 credono di aver già definito un proprio sound specifico, altri
utilizzano ancora suoni e musiche secondo le proprie preferenze personali.
2.3 La musica diventa estensione del marchio
Quando si parla di music branding intendiamo l'utilizzo della musica da parte di un
marchio o di un azienda come strumento in grado di attirare e coinvolgere le persone,
veicolando determinati messaggi attraverso le più svariate forme, al fine di trarne un
guadagno sia sotto il punto di vista di economico che a livello di immagine.
In seguito analizzeremo meglio i motivi, che hanno portato i grandi brand ad avvicinarsi
alla musica nelle diverse modalità camminando di pari passo all'evoluzione sociale dei
fenomeni musicali.
Uno dei passaggi fondamentali di quest'evoluzione la notiamo intorno agli anni 60 quando
il potere attrattivo della musica non è più legato solamente alla melodia in sé o al testo delle
canzoni, ma a figure che riescono a diventare simboli ed icone di una generazione
veicolando determinati valori con cui identifichiamo la musica, generi e stili.
Si può rintracciare il primo caso di music branding, in cui un gruppo musicale di successo
viene identificato più per alcuni tipi di valori semantici diffusi che per le loro doti musicali,
nei Beatles e in special modo in quel fenomeno socio-antropologico chiamato Beatlemania.
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La Beatlemania viene definita come una vera e propria devozione e ammirazione da parte
dei fan verso il gruppo inglese la quale toccò il suo apice il 7 febbraio 1964 quando i Beatles
giunsero per la prima volta in America.
Questa data fu rinominata come la “British Invasion” , poiché oltre ad aver catturato
l'attenzione degli adolescenti americani con le loro canzoni, i quattro musicisti di Liverpool
partecipando ad uno show televisivo americano focalizzarono su di loro tutto l'interesse del
pubblico statunitense. “Lo show televisivo in quella serata, stabilì il record di visione e di
audience della storia della TV fino a quel momento, con 73 milioni di telespettatori stimati.”
(Benvenuti, 2014)
Una delle cause che ha scatenato quello che è stato ribattezzato da alcuni cronisti dell'epoca
“l'evento culturale più importante nell'America del dopoguerra.” (Benvenuti, 2014), è
strettamente legata a quelle dinamiche accennate precedentemente: il messaggio
comunicato dai Beatles attraverso il loro stile e inevitabilmente con i loro testi, rispondeva a
i desideri e alle esigenze della generazione americana di quegli anni.
I gruppi musicali ed la loro carica emotiva entrano quindi prepotentemente nella società
moderna diventandone così una parte essenziale.
I grandi marchi intuiscono subito quest'enorme potenziale, ed iniziano ad elevare il concetto
di branding ad un livello superiore, rafforzando la loro identità attraverso il coinvolgimento
della musica nelle loro strategie di vendita.
E' qui che avviene il passaggio da un certo tipo branding legato solamente a suoni e melodie,
al Music Branding che interviene operando su piu fronti.
Intorno alla seconda metà degli anni Novanta molte aziende tra cui la Nike e Tommy
Hilfiger iniziano a mettere in pratica ciò che precedentemente si era solamente accennato:
affiggere il proprio marchio non più solo sui prodotti fisici, ma raggiungendo anche mondi
fin'ora inesplorati come quello della cultura e delle arti, musica inclusa.
Come spiega Naomi Klein :
Per queste aziende il branding non era solo questione di aggiungere valore a un prodotto. Si trattava
di assorbire spunti culturali e iconografici che i marchi potevano riflettere sulla cultura come proprie
“estensioni. (Klein, 2000 p. 51)
2.4 Marchi e star della musica si fondono in un unica entità
L'espansione messa in atto da parte dei grandi brand, non riflette piu i tratti di un marketing
del passato, caratterizzato anche dalle tradizionali sponsorizzazioni in cui “ un azienda da'
del denaro a favore di un iniziativa per vedere in cambio il proprio logo su uno striscione o
in un programma” (Klein, 2000, p.46)
Nuove forme e nuove pratiche di inclusione prendono vita negli anni Ottanta, in cui vengono
stretti molti accordi tra famosi esponenti della scena musicale e grandi marchi: da Eric
Clapton che canta per pubblicizzare un nota azienda di birra fino ad arrivare a Ray Charles
in veste di testimonial per la Coca Cola.
Il punto di svolta arriva nel momento in cui lo stilista Tommy Hilfiger decise che “l'energia
11
del rock e del rap sarebbe diventata l'essenza del suo marchio” (Klein, 2000) finanziando
l'interno concerto dei Rolling Stones. Ciò rappresenta l'ultima novità in fatto di rock
sponsorizzato: la band come estensione del marchio.
Tommy Hilfiger riuscì a firmare un contratto per vestire Mick Jagger, cantante e front man
del gruppo, insieme a Shery Crow, presentatrice del concerto.
Il contratto prevedeva che i due dovessero indossare i modelli della collezione di Tommy
Hilfiger denominata intenzionalmente “Rock and Roll Collection”.
Naomi Klein commenta e riassume: “Lo spettacolo non era che uno sfondo, una
straordinaria esibizione dell'autentica essenza rockettara del marchio Tommy
Hilfiger”(Klein,2000,p.51)
Dopo aver analizzato uno degli esempi che meglio riflette i mutamenti delle nuove strategie
aziendali, notiamo che il brand non si fa più semplice spettatore, come nel caso della pura e
semplice sponsorizzazione, ma vuole ritagliarsi un ruolo predominante nel mondo della
musica.
3. Music Branding 2.0 : L'identificazione di uno stile non solo musicale
3.1 Musica e grandi marchi un connubio che genera life styles
Fin qui ho analizzato i vari aspetti di come alcuni tra i più grandi marchi abbiamo voluto
estendere la propria immagine (anche detta nel gergo del marketing, brand identity)
utilizzando la musica quale potente mezzo di diffusione e comunicazione.
L'incontrollabile e spasmodico attingere a questa apparentemente inesauribile risorsa
chiamata “mondo della musica” porta i grandi marchi a scendere in strada, nei centri
urbani, cercando di interpretare gusti ed esigenze delle nuove generazioni e successivamente
identificare il proprio brand negli usi e costumi che un determinato genere musicale può
veicolare nelle persone.
Aziende come Nike e Tommy Hilfiger riuscirono ad implementare la loro crescita e i loro
guadagni, perlopiù grazie ai giovani ragazzi neri dei centri urbani americani i quali
“Interpretavano Nike e Hilfiger nello stile hip hop, nel momento preciso in cui il rap si
faceva largo nella cultura dei giovani grazie ad Mtv.” (Klein, 2000, p.32).
Saranno proprio l'Hip Hop ed il Rap in questo caso ad essere presi di mira da parte di alcuni
tra i più grandi marchi. La spiegazione riguardante la specifica scelta di questi due generi
12
musicali viene data Lopiano-Midson e De Luca (1998,p. 37):
“Il popolo hip hop è il primo ad accogliere un'etichetta di uno stilista o di un vip,
trasformandoli in una moda “altamente concettuale.”
3.1.1 Il caso Adidas e i Run - Dmc
A supporto di ciò che si è appena detto, porterò in esame uno dei casi che meglio descrive la
scelta da parte di alcune aziende nel voler associare il proprio nome ad una determinata
corrente musicale, nello specifico il rap e l' hip hop.
Analizzando questo caso vedremo come e che in modo assoldando uno tra i piu grandi
gruppi del rap anni '90, i Run Dmc, il brand Adidas sia riuscito attraverso accordi e strategie
di marketing ad accrescere la propria immagine e ad aumentare i profitti.
Il caso Adidas – Run Dmc ha inizio nel 1986 quando il noto gruppo rap Run Dmc pubblica
il singolo di successo chiamato “My Adidas”. La scelta del nome di questa canzone è
puramente disinteressato, e slegato da qualsiasi ipotizzabile accordo con l'omonima azienda.
Semplicemente era “Un omaggio al loro marchio preferito.”(Klein, 2000, p.102)
Successivamente Darryl McDaniels (componente del gruppo), riferendosi alle sue scarpe
marchiate Adidas, dichiarerà in un intervista di averle indossate da sempre.
I tre artisti di New York erano però seguiti da milioni di ammiratori sia per la loro musica
che per il loro particolare look “Orde di fan copiavano il loro stile fatto di medaglioni d'oro,
tute da ginnastica bianche e nere (ovviamente dell'Adidas) e scarpe da ginnastica (pure
dell'Adidas) portate senza lacci” (Klein, 2000, p.102)
Da semplici simpatizzanti del marchio, i Run Dmc diventarono ben presto dei veri e propri
testimonial, dal momento in cui Russel Simmons, presidente della Def Jam Records, la casa
discografica dei Run Dmc, capì che la pubblicità involontaria fatta dai tre rapper newyorkesi
doveva, in qualche modo, essere ripagata.
Simmons contattò l'azienda Adidas chiedendo di contribuire alle spese del tour del gruppo.
Naomi Klein descrive la risposta da parte dei dirigenti Adidas “Erano scettici riguardo
l'associazione della loro azienda alla musica rap, considerata a quei tempi una moda
passeggera o peggio ancora un incitamento alla rivolta” (Klein, 2000, p.103).
Russel Simmonds tentò di convincere i due dirigenti del grande marchio d'abbigliamento
tedesco, invitandoli ad assistere di persona ad un concerto dei Run Dmc.
Il giornalista Christopher Vaugh descrive l'evento:
Ad un certo punto, mentre il gruppo rap stava eseguendo il pezzo “My Adidas”, uno dei componenti
del gruppo gridò: “Ok, tutti insieme scuotete le vostre Adidas!”. Tremila paia di scarpe da
ginnastica volarono in aria. I dirigenti Adidas non furono mai così tanto veloci ad afferrare un
libretto degli assegni. (Vaugh,1992, p.67)
13
Successivamente l'Adidas avrebbe lanciato la sua nuova linea di scarpe Run-Dmc
volutamente inspirate all'omonimo gruppo rap.
3.2 Come la musica è stata influenzata dai brand: una riflessione inversa
Il branding musicale tocca il punto più alto nel momento in cui musicisti, band e artisti
diventano dei veri e propri marchi da mettere sul mercato.
L'industria musicale, e le case discografiche in primis, dopo aver notato il vertiginoso
aumento di guadagni da parte dei grandi brand commerciali per via degli accordi stretti con
il mondo della musica, iniziano a mettersi in gioco ed entrare nel vivo del cosiddetto music
branding.
Uno dei momenti piu significativi che meglio rappresenta questa tendenza avviene nel 1997,
quando il noto gruppo pop, Spice Girls, si colloca al sesto posto nella “Celebrity Power
100” (Klein, 2000), classifica redatta dalla rivista Forbes basata non sulla fama o la
ricchezza del marchio, ma sulla sua commercializzazione.
Questa classifica diventa emblematica poiché riesce a descrivere la completa fusione tra
marchio e branding musicale. Michel J. Wolf sostiene a riguardo: “Marchi e star
dell'intrattenimento sono diventati la stessa cosa” (Klein, 2000)
Le band, i gruppi e i vari artisti che calcano i palchi di mezzo mondo, iniziano ad essere
concepiti come dei veri e propri marchi. Vengono continuamente sottoposti a delle verifiche
di mercato in modo da poter rispondere alle esigenze dei consumatori : “I gruppi musicali
creati al computer non sono una novità nell'industria musicale”. (Klein, 2000)
I sociologi Robert Goldman e Stephen Papson (1996)sollevano un interessante questione
volta a portare degli spunti riflessione riguardo il cosiddetto confezionamento e
commercializzazione di alcuni generi musicali. Secondo i due sociologi, la maggior parte
della cultura giovanile rimane sospesa in quello che chiamano sviluppo arrestato.
“Noi non abbiamo, dopotutto l'idea di come sarebbero questi movimenti sociali e culturali
come il punk il grunge o l'hip hop se non fossero così ampiamente sfruttati”(R.Goldman,S.
Papson, 1996, tr.it., p.43)
La considerazione fatta da Goldman e Papson crea un preambolo perfetto a quello che sarà
il prossimo paragrafo ed il prossimo capitolo.
Nelle prossime pagine tenterò di descrivere come alcuni grandi brand possano al giorno
d'oggi nel campo del campo della musica, oltreché trarre profitti, valorizzare e creare delle
reali possibilità di crescita culturale: sia sotto il punto di vista della creatività musicale
incentrata sull'individuo, che sulla promozione di eventi musicali qualitativi e non
convenzionali.
14
3.3 Il brand diventa protagonista nel settore musicale
Dopo aver analizzato ed elencato quali sono state le pratiche e le strategie adottate in passato
dai grandi brand per poter ottimizzare l'identità del proprio marchio e conseguentemente
trarne dei guadagni in termini economici attraverso la musica, vediamo come nel tempo le
pratiche e le strategie usate in passato si siano trasformate cambiando forma.
Nei precedenti capitoli abbiamo visto in che modo vennero adottate varie strategie come le
sponsorizzazioni e la scelta dei testimonial da accostare al proprio marchio, pratiche e
soluzioni che nel branding 2.0 vengono oramai declassate e considerate quasi obsolete.
Francesco D'Amato descrive tali strategie come: “Accostamenti facili e sicuri per
comunicare con un pubblico oggi definiti superficiali dai responsabili di marketing”
(D'amato, 2011).
Il branding contemporaneo assume una fisionomia diversa rispetto al passato. Si è sempre
più protesi più verso nuove forme di implicazione e coinvolgimento da parte dei grandi
marchi nel settore della musica.
Questo nuova visione porta i grandi marchi a voler instaurare con il proprio target una
“relazione più profonda” (D'amato, 2011) un legame diverso che sia maggiormente
interattivo e meno distante rispetto a prima.
“L'autenticità è diventata la parola chiave nel lessico delle strategie di marketing” (D'amato,
2011).
I brand decidono così di voler puntare su dei nuovi valori: uno su tutti è la creatività di
musicisti, artisti e dj.
Alcuni esempi possono essere: la Polaroid che assume la cantante Lady Gaga in qualità di
direttore artistico del noto marchio di fotografia, il dj David Guetta che insieme al marchio
Beats, lavora alla progettazione di un particolare paio di cuffie, e la Coca Cola che crea
insieme al trio francese dei Daft Punk un edizione speciale chiamata “Daft Coke”.
Come evidenziato dagli esempi sopracitati, viene a crearsi un nuovo tipo rapporto:
La presenza del logo in un prodotto, o del puro e semplice testimonial che figura in uno
sport pubblicitario viene considerata una pratica superata, che lascia spazio a nuove forme di
collaborazione tra i due soggetti.
Lo step successivo che porta il grande marchio all'interno della scena musicale, usando la
l'estro e la fantasia di alcuni artisti selezionati e successivamente eletti ad ambasciatori del
marchio, viene compiuto “abilitandoli”: ovvero mettendo a loro disposizione tutti i mezzi
necessari affinché possano esprimere le proprie capacità e le loro doti artistiche e creative.
Come afferma Francesco D'Amato nel suo articolo: “Produrre, supportare i musicisti,
trasformarsi in modo sempre più completo in player musicale anziché semplice sponsor.”
(D'amato, 2011)
La parola player usata dal giornalista sintetizza questa nuova tendenza da parte dei brand nei
confronti del mondo della musica, il quale diventa parte attiva di questa scena attraverso
progettazioni di festival, attività di talent scouting o semplicemente supportando l'estro e le
creazioni di giovani artisti emergenti.
Navigando nel web troviamo molti esempi di brand, che pur apparentemente non sembrano
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essere connessi con l'ambiente musicale, hanno scelto di aderire a questa nuova tendenza
addentrandovi: la Toyota, nota azienda di automobili, decise di coinvolgere nelle proprie
strategie di marketing la musica creando un nuovo marchio denominato “Scion”. Nello
specifico la Toyota attraverso Scion, decise di produrre album, video e tour di venti artisti
selezionati. Sempre D'Amato nel suo articolo commenta la vicenda:
“Qui non si tratta della trasformazione della Toyota in un'etichetta musicale, ma
dell'intervento nel settore musicale di un player con un differente modello di business”
(D'amato, 2011)
Un altro esempio, simile è quello della compagnia di telecomunicazioni O2. In questo caso
il brand non punta più a coinvolgere gli artisti ma si rivolge direttamente al pubblico che
assiste ad uno spettacolo.
L'azienda O2 mira ad implementare, attraverso degli eventi particolari, l'esperienza di uno
spettacolo dal vivo permettendo di stare a contatto con gli artisti che si esibiscono.
L'ultimo esempio rappresenta un tipo particolare di coinvolgimento da parte di un marchio a
favore della creatività espressa non più da artisti famosi e blasonati, ma bensì da giovani
artisti promettenti. Secondo D'Amato questo tipo di iniziativa
“si colloca a metà tra il talent contest e il crowdsourcing”. (D'amato, 2011)
In questo caso la ditta di alcoolici Smirnoff, sosteneva la creazione di canzoni o la
reinterpretazioni di contenuti musicali (remix) dati da un rapper canadese attraverso un
mixer digitale on line .
4. Case history sulla Red Bull Music Academy
Nei precedenti capitoli, specie nell'ultimo paragrafo, abbiamo visto in che modo l'attenzione
dei grandi brand sia ricaduta da tempo, su nuove forme e nuove strategie di mercato. Mettere
al centro dell'attenzione valori come la creatività di artisti affermati o di nuovi talenti,
accostandoli sempre ad una marca, sono diventate delle prerogative essenziali dei grandi
marchi per poter attuare nuove forme di branding sempre più coinvolgenti e sempre più
remunerative. Giunti all'ultimo capitolo di questa mia tesi, porterò in esame il caso di un
azienda la quale a mio avviso, non solo rappresenta al meglio questa nuova tendenza, ma
riesce a differenziarsi dalle altre prefiggendosi l'obbiettivo di sviluppare la creatività e il
talento di giovani artisti in campo musicale dove in seguito spiegherò meglio e nel dettaglio.
L'azienda in questione si chiama Red Bull ma il progetto collaterale, fondato nel 1998,
prende il nome di Red Bull Music Academy: una serie itinerante di corsi, seminari musicali
(detti anche workshop) e festival.
Aprendo il sito internet di Red Bull Music Academy si può notare una scritta presente nella
home page che descrive in breve l'essenza di questo brand: “Una piattaforma per coloro che
vogliono fare la differenza nel panorama musicale di oggi."
Ogni anno Red Bull Music Academy seleziona due gruppi di 30 partecipanti provenienti da
tutte le parti del mondo.
Si può partecipare alla selezione compilando un modulo di domanda, chiamato Application,
disponibile sul sito della Red Bull Music Academy.
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L'Academy si rivolge in special modo a produttori, cantanti dj's o strumentisti di qualsiasi
genere musicale.
I partecipanti si ritrovano in una nuova città dove ogni anno per due settimane, partecipano a
sessioni di registrazione, conferenze tenute da personaggi di spicco della scena musicale a
livello mondiale come ad esempio Philip Glass ed Erika Badu, collaborando e ed esibendosi
nei migliori club e auditorium della città ospitante.
La prima edizione della Red Bull Music Academy si svolse nel 1998 a Berlino passando
successivamente per Cape Town, San Paolo, Barcellona, Londra, Toronto e New York.
Lo scorso anno in occasione del quindicesimo anno di attività, la Red Bull Music Academy
ha realizzato un film girato negli studi di registrazione di New York, dove si cerca di
spiegare attraverso le testimonianze di grandi artisti cosa significa vivere facendo musica.
Quest'anno la Red Bull Music Academy si terrà, per la durata di cinque settimane, a Tokyo.
Dopo aver passato in rassegna quelle che sono le peculiarità sommarie dell'Academy, nelle
prossime pagine cercherò di analizzare da vicino in che modo la Red Bull Music Academy
differisce così profondamente dalle altre aziende o marchi attraverso i suoi intenti ed
obiettivi che puntano ad elevare e supportare abilità e capacità della persona.
Tra le molte informazioni che vengono fornite sul sito internet di Red Bull Music Academy,
nei punti in cui si spiega brevemente a che tipo di persone l'Academy si rivolge, noto come
l'azienda voglia porre l'accento più su prerogative e condizioni legate ad una propensione
collaborativa volta a creare una vera e propria sinergia tra i partecipanti, che non a
competenze e nozioni in ambito musicale.
“Per partecipare a questo viaggio, non hai bisogno di saper comporre una composizione
musicale con un Juno 60 o altre complicatissime cose. Quello che cerchiamo è la passione di
imparare e condividere l'entusiasmo per la musica aldilà dei generi e una vera mentalità
aperta.” (Red Bull Music Academy F.a.q.)
I componenti di questa “giuria” che andrà a valutare le applications, ovvero le richieste dei
partecipanti, fanno parte di un gruppo di produttori di musica, proprietari di etichette
discografiche, giornalisti musicali di caratura internazionale.
Uno dei punti cardine su cui ruota tutta la filosofia aziendale di Red Bull Music Academy,
che la rende a mio avviso un caso particolare e diverso da tutti gli altri brand che in passato
hanno tentato di intraprendere un cammino simile, è un sistema basato sulla totale assenza di
competizione: “Non ci sono distinzioni per paese di provenienza o genere musicale, non ci
sono vincitori né vinti - semplicemente un gruppo di persone che pensiamo possano ben
interagire per più di due settimane.” (Red Bull Music Academy F.a.q.) e speculazione
artistica intorno alle creazioni dei partecipanti: “Red Bull non ha generalmente alcun
interesse ad utilizzare la musica creata presso l'Academy senno per le questioni legate all'
Academy, e non ottiene i diritti d'autore per qualsiasi tipo di lavoro. La creatività è l'unica
moneta qui. La musica è ciò che viviamo e rappresentiamo.”(Red Bull Music Academy
F.a.q.)
L'Academy tende a differenziarsi poiché si muove in una direzione diversa rispetto a ciò a
cui siamo abituati a vedere e a conoscere, discostandosi da logiche e format come i talent
show. “Non si tratta di farsi 'scoprire' da una casa discografica o imparare a 'rendere' nel
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settore.”(Red Bull Music Academy F.a.q.)
Oltre al suo evento principale La Red Bull Music Academy è riuscita negli anni a portare la
sua identità di marchio in giro per il mondo, partecipando e collaborando attivamente al
fianco di festival musicali di alto livello come Sonar, Mutek, Movement di Detroit e il
Montreux Jazz Festival.
Il carattere versatile, insito nell'identità di questo brand, porta la Red Bull Music Academy
ad operare anche su progetti di vasta scala: durante tutto l'anno vengono organizzate in varie
parti del mondo, attività come seminari di musica, detti anche workshop, fino a organizzare
delle mini Academies della durata di più giorni.
Red Bull Music Academy dispone inoltre di una propria web radio dove è possibile trovare
ed ascoltare migliaia di interviste, djset, documentari, registrazioni dal vivo dei migliori
festival di musica.
4.1 Intervista a Damir Ivic di Red Bull Music Academy
Dopo aver esaminato, attraverso del materiale trovato on line sul sito Red Bull Music
Academy, in che modo si struttura questa azienda e dopo aver analizzato quali sono gli
intenti e gli scopi, ci serviremo delle parole di chi con la Red Bull Music Academy collabora
direttamente.
Nelle prossime pagine, seguirà un' intervista realizzata da me assieme a Damir Ivic,
referente italiano per la Red Bull Music Academy in cui si parlerà più approfonditamente
del suo percorso lavorativo con Red Bull Music Academy, dei valori su cui si fonda
l'azienda tedesca, le sue peculiarità e caratteristiche, il modo di operare sulla scena musicale
italiana ed estera, e diversi interessanti spunti di riflessioni sul futuro di quest'unione tra
grandi brand e musica.
Damir Ivic oltreché essere un giornalista musicale ed esperto a trecentosessanta gradi di
tutto ciò che ruota intorno ad un evento in musica
(comunicazione,produzione,organizzazione), firma di varie testate come il Mucchio, è anche
il referente ufficiale per la Red Bull Music Academy in Italia.
Nello specifico il suo ruolo è quello di fare da interfaccia tra la scena musicale italiana e
l'azienda Red Bull, individuando “attori“ e situazioni stimolanti e coerenti con lo spirito Red
Bull Music Academy presenti sul territorio italiano. In seguito spiegheremo nel dettaglio,
attraverso le sue parole.
Nell'intervista presente nelle prossime righe, ho deciso di abbreviare il mio nome con la
lettera A ed il nome di Damir Ivic con al lettera D, in modo da facilitare la lettura.
L'intervista è stata registrata con uno smartphone in data 20/9/2014 presso un bar di
Bologna.
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A: Ciao Damir! Bentrovato! Innanzitutto grazie mille per avermi concesso la possibilità di
intervistarti.
D: Figurati! Spero che ciò ti sia d'aiuto per completare la tesi che stai facendo.
A: Bene, iniziamo! Partiamo con una piccola presentazione: chi sei, qual'è stato background
musicale, quand'è stato il tuo primo approccio con il mondo dell'elettronica e della club
cultura?
D: Il mio background musicale fa abbastanza sorridere perché la musica che ho ascoltato da
piccolo è quella di cui non ho praticamente mai scritto ovvero il jazz. Grazie a mio padre
sono cresciuto in mezzo al jazz. Ero un piccolo “disadatto” che comprava dischi della Ecm,
delle cose del tutto inappropriate per un teenager. I miei ascolti sono sempre stati vari ma
intorno agli anni 80 mi è arrivato di rimbalzo quello che musicalmente stava succedendo in
Inghilterra: mi ricordo la prima volta che ho sentito il primo disco dei “808 – Ninety” mi ha
cambiato la vita. C'era molte cose della club culture che m'interessavano ma i miei ascolti
sono sempre stati molto vari.
A: Parliamo del tuo lavoro come giornalista musicale: come e quando hai iniziato? Come si
è sviluppata la tua carriera? Ci sono stati dei momenti più o meno positivi?
D: Ho sempre sperato di fare il giornalista, ma mi sono ritrovato a fare il giornalista
musicale un po per caso perché avevo scritto degli articoli di cronaca in realtà per un
giornale veronese, e nel momento in cui avevo iniziato a scrivere degli articoli l'editore
aveva deciso di chiudere le pubblicazioni. Sembrava già un segno del destino.
Negli anni 90 poi c'è stato un momento bizzarro in cui il rap italiano era nato ed era
diventato molto interessante, ed io me ne interessavo in modo abbastanza atipico poiché mi
interessava molto come fenomeno pur non facendone strettamente parte, però sono arrivato
a conoscere diverse persone della scena hip-hop veronese, essendo io originario di Verona
con genitori serbo-croati, ci siamo conosciuti e dopo poco stavo già facendo una programma
radio con loro come conduttore . Poi hanno commissionato un libro sul dj del gruppo a cui
ruotavo, lui aveva smistato la pratica a me poiché io mi occupavo delle cose riguardanti le
cose da scrivere, ho fatto un articolo per una rivista di culto per la scena hip-hop italiana,
l'articolo inspiegabilmente piacque, sono andato a Milano, ho passato tre ore a spiegare loro
che questo articolo non faceva al caso loro perché non ero un purista hip-hop.
A: Cercavi addirittura di distanziarti.
D: Esatto! Tre ore passate a dire che io non facevo al caso loro.
A: Mentre loro invece volevano te come giornalista.
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D: Si! Alla fine hanno vinto loro e così inizia a scrivere. Erano comunque altri tempi dove
quando iniziavi a scrivere per un giornale musicale c'era un compenso mentre adesso non è
più così perché le vendite sono crollate e la torta si è ristretta di parecchio. Ad esempio
Rumore (Ndr. Magazine musicale) che era il mio mensile preferito, quando io ho iniziato a
scrivere di musica su Aelle vendeva fra le 15.000 le 20.000 copie mensili, in questo
momento proprio come gli altri giornali musicali si è arrivati ad un massimo di 4.000 copie
mensili. All'epoca ho potuto credere che scrivendo di musica mi sarei potuto mantenere.
Faccio fatica a ricordare il momento in cui ho pensato davvero che questo poteva diventare
il mio lavoro. Ma ad un certo punto è successo scrivevo su Aelle, poi hanno chiuso ok, ma
poi hanno aperto un altro giornale, altri giornali ancora mi hanno chiamato e all'improvviso
mi sono ritrovato a Milano come giornalista musicale free lance. Dopodiché piano piano
c'era una crisi dell'editoria che stava diventando sempre più micidiale, ed ho avuto boh,
forse la fortuna un minimo d'intuito nel capire che non ci si poteva mantenere di sola
scrittura e giornalistica musicale
A: Così hai iniziato a guardarti un po intorno. E l'incontro con la Red Bull?
D: Si, ho iniziato a guardarmi un po attorno e sono successe un po di cose. Sono stato
contattato da Red Bull nel 2002, ma solo in qualità di giornalista musicale. Un aneddoto
molto divertente fu quando mi avevano contattato nel 2001, perché volevano mandarmi alla
Red Bull Music Academy di New York: avevano comprato i biglietti, ed io col mio biglietto
in mano, tutto emozionato di andare a New York. Sai ero ancora molto giovane non solo
lavorativamente, peccato che dovevo partire per New York il 14 Settembre 2001 e tre giorni
prima era giusto successo qualcosa.
A: Che sfortuna! E quindi?
Quindi niente più New York, niente Academy, però se non altro sono rimasto simpatico alle
persone che allora si occupavano del reparto marketing culture di Red Bull e quando poi
l'Academy si è svolta a Roma nel 2004 si sono ricordati di me, mi hanno richiamato, e mi
hanno chiesto di occuparmi del sito italiano di Red Bull, dove il mio compito era quello di
fare una specie di riassunto in italiano di quello che veniva postato dal sito ufficiale
dell'Academy.
A: Ed è da li che hai iniziato ad essere l'interfaccia italiana per Red Bull.
D: Non specificatamente, poiché in quel momento l'interfaccia vera a e propria
dell'Academy era Alioscia Biseglia dei Casino Royale. I Casino Royale sono sempre stati
attenti a quello che succedeva nel clubbing inglese e quindi era il tipo di attitudine che
andava bene all'Academy. Ah una cosa molto importante, adesso tutti conoscono l'Academy
ed è particolarmente conosciuta nella scena odierna, ma devi tenere conto che in quegli anni
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li, invece la conoscevano in pochissimi.
A: Era come una sorta di entità che si è allargata e scoperta poi negli anni?
D: O non si capiva cos'era, o era il solito marchio che tenta di fare delle cose con la musica,
e quindi era difficile provare a spiegare di cosa si trattasse. Comunque, nel 2004 inizio a
scrivere, va molto bene questo rapporto di lavoro e già l'anno successivo entro a far parte
della squadra degli esterni culture marketing. Io insieme ad Alioscia Biseglia eravamo un
po' i punti di riferimento. Li c'è stato un lavoro lungo anni, si sono succeduti anche altre
persone all'interno del culture marketing di Red Bull. Devo dire che la cosa che mi fa anche
molto sorridere, è che si sono alternate le persone, anche in altri dipartimenti se ne sono
aggiunte altre ecc. e io sono pur da esterno, come una memoria storica dell'azienda sulle
cose di musica e sopratutto sulle cose dell'Academy. Magari anche per disperazione, ma
quando arrivavano delle nuove persone sapevano che mi ero occupato di certe cose quindi
chiamavano me.
A: Si sono sempre fidati di te e delle tue conoscenze?
D: La cosa buona è che il mio profilo professionale negli anni è migliorato, sono diventato
abbastanza un punto di riferimento dell'elettronica, sono diventato la prima firma di tutta la
musica elettronica del Mucchio, uno degli storici giornali di musica italiana. Diciamo che
questo ruolo mi dava anche un po di credibilità. E fra le linee guida dell'Academy, le varie
linee guida che la Red Bull Music Academy devono seguire, quando si tratta di Academy
dovete trovare dei cosiddetti Mr X: delle persone che non facciamo parte dell'azienda ma
che siano molto credibili all'interno della scena. Stiamo parlando di come va organizzato il
lavoro dell'Academy nelle varie nazioni. Perché l'Academy non so se questo l'hai affrontato,
ed è bene spiegarlo subito: l'Academy non è stata tecnicamente fondata dalla Red Bull.
L'Academy è stata creata da un agenzia tedesca che si chiama Yadastar che aveva sottoposto
quest'idea ad un dirigente Red Bull.
L'azienda Red Bull si è innamorata del progetto Academy e contrariamente a quello che
fanno tutti gli altri marchi nella musica, lo ha finanziato a lungo termine e sopratutto il
mandato a Yadastar è sempre stato: “Fregatevene della quantità quello che conta è la
qualità.”
“Quello che mi piace del progetto che mi avete presentato” sono le parole parafrasate di
Dietrich Mateschitz il fondatore di Red Bull, “E' che una cosa che viene fatto
esclusivamente per soddisfare quelli che sono i veri appassionati di musica. Quelli che
comunicano il concetto di realtà di vera dedizione, persone che sono credibili.”
A: Tutto ciò sfugge a qualsiasi tipo di moda passeggera o genere. Un progetto
profondamente attaccato alla musica no?
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D: E' un progetto che sopratutto nei primi anni, quando era ancora poco conosciuto, era la
classica cosa che piaceva molto ai giornalisti musicali.
A: Ad una sorta di élite della musica?
D: Esatto, e non era una cosa che ti aiutava a radunare più persone all'interno di una serata.
Assolutamente. Quando c'è stato il grande momento dell'esplosione della minimal-techno in
Italia, quello era il genere musicale meno rappresentato e meno amato all'interno
dell'Academy. Sono stati portati avanti degli artisti che non erano nel loro periodo migliore,
non radunavo grandi persone quando facevano le serate e quindi è stato un modo di
ragionare molto atipico. Anche all'interno dell'azienda, ti parlo di Red Bull Italia perché è la
realtà che conosco, c'erano gli altri dipartimenti che chiaramente non sapevano niente di
musica, dicevano: “ Vabè noi dobbiamo vendere lattine nei locali.. cosa possiamo fare nelle
serate dance? Ah si c'è l'Academy che si occupa di musica elettronica!” E quindi chiedevano
di fare delle serate Academy sopratutto prima, ora questo problema non c'è più perché le
cose son cambiate, ma prima quando l'Academy era sconosciuta, fare una serata Academy
significava fare un nome molto bello, che sarebbe costato moltissimo rispetto alle persone
che portava. E quindi il locale non sarebbe stato contento, perché avrebbe pagato tanto un
artista che avrebbe radunato cento persone e lasciato il locale mezzo vuoto.
A: Quindi era qualcosa che andava contro qualsiasi logica commerciale?
D: Esattamente! Questo è stato un investimento a lungo termine, e deve esserlo, perché nel
mecenatismo da parte delle aziende, io non ci credo. Non esiste azienda che faccia da
mecenate. Esistono le fondazioni, esistono i proprietari, le singole persone ma un azienda
deve pensare al profitto. E' una forma molto intelligente di investimento perché a furia di
fare queste cose palesemente non commerciali, la credibilità dell'Academy è diventata
enorme. Io credo e non credo di sbagliarmi, che non esista un progetto legata alla musica da
parte di un brand, con questo tasso di credibilità forse neanche con questa anzianità.
A: Credibilità, lungimiranza e controtendenza possono essere le parole chiave.
D: La cosa che non viene sempre detta è che l'Academy non è un classico marchio. Perché
la cosa abituale che tu fai ad una serata, chiami uno sponsor, lo sponsor arriva li e ti mette il
marchio. L'Academy proprio secondo precise guide lines che arrivano dalla sede centrale di
Red Bull mette invece becco nei contenuti, se tu vuoi il marchio Academy avrai i soldi,
perché giustamente da' dei soldi, però vuole controllare quello che è il contenuto.
A: Proprio come nella serata che abbiamo fatto noi di Harmonized (ndr. Organizzazione di
eventi riguardante la musica elettronica) con Theo Parrish nella serata Red Bull Music
Academy.
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D: Esattamente. Abbiamo discusso, abbiamo tentato di capire quali erano i nomi giusti, non
poteva essere un nome qualsiasi, doveva essere un nome che rientrava nel macrocosmo Red
Bull Music Academy.
A: Un'altra domanda che approfondisce ciò di cui stiamo parlando: in che modo secondo te
Red Bull si differenzia concretamente dagli altri brand?
D: Hanno ragionato su due binari. O facevano delle cose che puntavano alla massima
quantità di persone raggiunte, per loro era importante avere il cosiddetto “reach”, ovvero
raggiungere tante persone: l'operazione di marketing da manuale. Oppure hanno visto che
questa roba di Red Bull non era così suicida, anzi. Ad un certo punto diventava un
investimento che restava costante ma la credibilità che ottenevi era sempre più grande e in
qualche modo si rifletteva anche sul marchio ed è per questo che Red Bull è diventato
sinonimo di energy drink all'interno della club culture. Hanno visto che questa cosa
funzionava ed hanno iniziato a fare delle brutte copie, scopiazzando, ma la differenza sai
qual'è? Red Bull ha portato avanti l'Academy per un sacco di anni anche quando non
importava a nessuno, gli altri marchi dopo due anni si stufavano. Dicevano “Eh abbiamo
fatto questo sito, non lo fila nessuno e abbiamo fatto quest'operazione però non abbiamo
avuto abbastanza feedback da parte dei consumatori”.
A: Diciamo che forse volevano raggiungere quel traguardo che Red Bull s'è guadagnato
negli anni,attraverso quelle parole chiave di cui parlavamo prima, come l'investimento a
lungo termine. Forse non avevano capito che se uno vuole fare un tipo di discorso impostato
sopratutto sulla qualità, per ottenere dei buoni risultati , ci vuole del tempo.
D: Esattamente, i risultati immediati non arrivano se punti sulla qualità, il risultato
immediato non è mai quello che speri. Io sono sempre più convinto di questo. Devi costruire
il terreno per rendere fruttifera la qualità ed è comunque un lavoro che porta via degli anni.
Infatti adesso l'Academy è un marchio forte, ti racconto l'esperienza degli ultimi anni e delle
serate Fuori Classe (Ndr. Serie di eventi in cui si esibiscono oltre a grandi artisti alcuni
partecipanti italiani delle precedenti edizioni Red Bull Music Academy). E' un progetto
molto interessante perché la prima volta che l'abbiamo presentato, era la prima volta che il
reparto del Culture collaborava con quelli del reparto Vendite, quindi due reparti che
solitamente non si parlavano fra di loro, perché le vendite giustamente riguardano l'andare
nei bar, vendere lattine, trova gli accordi commerciali ecc. mentre quelli del Culture erano la
poesia, la qualità ecc.
S'è trovato il modo di combinare le due cose, però all'inizio è stato difficile. Per primo
spiegare internamente all'azienda cos'è l'Academy, che non era la serata dance: non è che
arrivava il dj dell'Academy e tutti erano contenti. Le persone che sono in linea con
l'Academy hanno bisogno di un pubblico che sia un minimo particolare, un minimo esperto,
un minimo ricercato. Non tantissimo ma un minimo.
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A: Quindi c'è anche un' aspetto legato non solo alla quantità dei partecipanti ma anche e
sopratutto alla qualità delle persone che assistono alle serate Red Bull Music Academy.
Viene fuori una sorta di selezione non credi?
D: E' una cosa che viene in automatico, perché quando proponi un certo tipo di musica la
selezione viene da se. Esattamente come quando si è fatto One Festival powered by Red
Bull Music Academy al Cocoricò, la gente è stata molto diversa rispetto ai sabati normali
del locale.
A: Ritornando un attimo al legame tra te e Red Bull, nello specifico qual'è il tuo ruolo
all'interno dell'Academy?
D: Il mio ruolo essendo un supposto conoscitore di musica nonché uno che frequenta la
scena, quindi conosce i locali che tipo di profilo hanno che tipo di pubblico hanno, è
valutare che le proposte musicali fatte insieme ai locali, rientrino in quello che è lo spirito
musicale dell'Academy. Il mio ruolo è questo. La cosa buona è che dentro un azienda ci
sono persone, e c'è una struttura che ha avuto l'umiltà di capire “Io non posso essere un
super esperto di musica chiamo un esperto di musica di cui mi fido”.
A: Dopo aver descritto la struttura del marchio, voglio chiederti: che tipo di contributo Red
Bull Music Academy può offrire, o ha già offerto, alla scena musicale odierna?
D: Per anni è stato una delle poche strutture che in vari modi o direttamente o
indirettamente o tramite le varie sedi nazionali di Red Bull, che organizzavo eventi
Academy, ha offerto delle date ad artisti di qualità. C'erano alcuni artisti che non avevano
bisogno di Red Bull: Carl Craig non aveva di certo bisogno di Red Bull. Altri artisti, non sto
a dirti quali perché non è elegante, comunque sia sai fare una data ogni due mesi gli
consentiva di andare avanti. Poi, il fatto di insistere e di portare avanti questo tipo di linea
musicale è stato importante per mettere un certo tipo di club-culture sulla mappa,un certo
tipo di club culture qualitativa dal punto di vista musicale sulla mappa. Ma non è stato solo
questo. Non è che Red Bull adesso ha portato la qualità della musica, no.
A: Anche perché come ho sottolineato precedentemente nella descrizione riguardante la
Red Bull Music Academy, una delle prerogative è senz'altro quella di non identificarsi come
un talent show o format analoghi. Approfondiamo questo aspetto. Perché e in che modo si
differenzia?
D: E' molto semplice. Quello che dico sempre, uno dei miei compiti è anche girare per varie
realtà italiane e spiegare cos'è l'Academy. Conoscendola bene, vado in giro e parlo con
promoter, potenziali applicant dell'Academy, dj producer in gamba e tento di spiegare cos'è.
Ed una delle prime cose che dico non è un talent show, non si vince nulla, non si vincono
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soldi, non si vincono contratti discografici, non si vince esposizione mediatica, al massimo il
tuo nome inizia a circolare quando bisogna fare delle serate Academy magari ti chiamano,
ma non è una regola,è assolutamente casuale. E in questo è completamente diverso da un
talent, non c'è nessun traguardo concreto finale. Quello che viene offerto sono quindici
giorni e sta ai selezionati saper sfruttare questi quindici giorni. Sono quindici giorni in cui
sei a stretto contatto con un grandissimo numero di personaggi incredibili della musica e lì
se vai sul sito li trovi. Però sta a te che sei stato selezionato, saperla sfruttare. Red Bull non ti
darà nulla. Alla fine di questa esperienza l'unica cosa che ti da dal momento in cui sei
selezionato, ti paga il viaggio, ti paga il vitto e l'alloggio durante le due settimane di
permanenza all'Academy. Tolto questo, finita l'Academy, Red Bull non ti darà niente.
A: Ti da dei mezzi per poterti ispirare.
D: Ti da essenzialmente quello. Poi certo mette su gli studi di registrazione, hai tutta una
tecnica a tua disposizione, ma è l'ispirazione. L'esempio che faccio sempre, nella prima
Academy che ho visto nel 2004 a Roma, uno dei lecture era Bernard Purdie, uno degli
storici batteristi di James Brown. Divertentissimo da ascoltare, ma appena finita la lecture,
lui è andato negli studi, c'era una batteria e dice “Dai ragazzi venite, campionatemi! Di che
tipo di riff hai bisogno?” eseguiva un break di batteria e faceva “Dai campiona!” e un
ragazzo poteva costruire una sua traccia col campionamento in diretta fatto apposta per lui
dal batterista di James Brown. Questo è l'esempio perfetto per dire cos'è l'Academy.
A: Damir, immagina ora di spiegare in poche parole ad una persona che non ha mai sentito
parlare di Red Bull Music Academy, in cosa consiste.
D: Una università temporanea della musica dove arrivano i più grandi docenti mondiali.
Inizialmente una cosa molto legata alla club culture, le prime edizioni erano così, mentre
oramai è diventato un affare musicale a trecentosessanta gradi. Anzi i dj sono diventati
rarissimi fra i selezionati. Vogliono producer, vogliono cantanti, vogliono strumentisti. Sta
virando sempre più verso la musica a trecentosessanta gradi.
A: Dunque si sta allargando sempre di più
D: Magari sempre con l'approccio di uno che è prima di tutto appassionato di club culture,
però appassionato nel profondo: quindi la storia, il funk, il soul, il jazz. Non è il programma
televisivo “Top Dj”. E' l'opposto. L'Academy non crea in nessun modo persone famose e
anche in questo è un operazione di un brand che è radicalmente diversa a altre operazioni
simili da parte di brand.
A: Come si struttura l'application, ovvero la candidatura che un probabile partecipante invia
alla Red Bull Music Academy?
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D: Un pdf di quindici pagine, con delle domande che sembrano essere tirate fuori dal test
per fare il militare. Domande molto bizzarre come: “Se vieni invitato a cena dai genitori del
tuo fidanzato, quale disco porti in regalo?” Quindi ecco delle domande molto bislacche,
perché vogliono proprio indagare una persona a trecentosessanta gradi. Ed anche lì entra in
gioco il concetto di qualità che non è solo quanto sei bravo, ma quanto sei aperto quanto
puoi ricavare da un esperienza come l'Academy. Devi essere uno estroverso, devi essere un
tipo creativo non solo nella musica, devi dimostrare di essere sveglio, di saper parlare bene
l'inglese. Queste application vengono valutate da un team di esperti in Germania, e poi
vengono selezionati sessanta ragazzi in tutto e poi vengono stilati dei report specifici
nazione per nazione. A l'Italia una cosa che viene riconosciuta è che negli ultimi sei o sette
anni è molto cresciuta la qualità media dell'application: scritte meglio,fatte da persone che
amano molto più musica di qualità. All'inizio arrivavano molte application di gente che,
appunto vedeva l'Academy come un modo per diventare famosi, come nel classico
stereotipo del dj tech-house che utilizza la Red Bull per diventare famoso. E invece per dire,
quando la dubstep aveva iniziato ad essere rilevante per i veri esperti di club culture, in Italia
arrivavano application da parte di persone , dove quasi nessuno nominava la dubstep fra le
musiche interessanti, e questo loro ce lo indicavano come un problema. Ci dicevano “Non
avete cercato abbastanza bene. Dovete trovare delle persone che facciano l'application, che
abbiano più qualità sotto questo punto di vista”. Il mio compito è questo è andare in giro per
l'Italia a scovare ragazzi che abbiano la testa giusta, per finire dentro l'Academy. Uno che
ascolta solo Cocoon che pensa solo ad un certo tipo di club culture di clubbing ecc. non è la
persona adatta.
A: Avrai sicuramente partecipato ad una delle tante Academy in giro per il mondo..
D: Si ho partecipato ad un'Academy, chiaramente non da ragazzo selezionato ma come
osservatore e giornalista. Anzi un po come giornalista un po come interno di Red Bull, e
quindi stavo solo un paio di giorni dentro l'Academy perché tutti i visitatori che siano
stampa, che sia rappresentati delle varie Red Bull nazionali, stanno tendenzialmente due o
tre giorni non di più. Sono stato a Roma nel 2004, a Seattle nel 2007, Londra nel 2010, e
New York nel 2013.
A: Ecco, prova a spiegare cosa si prova vedendo di persona quest'evento e come ci si sente
essere all'interno di un progetto così particolare in quei giorni?
D: E' molto divertente perché all'inizio, arrivi quando sono i primi giorni del term, la cosa
che salta più all'occhio è la “nerditudine” delle persone. Sai, arrivano da tutte le parti del
mondo, sono anche un po spaesati, impauriti. E sono persone per quanto un minimo estrose,
sono dei musicisti quindi abituati a rimanere concentrati sui monitor con il loro strumento.
Se invece arrivi gli ultimi giorni del term il ghiaccio è completamente sciolto, vedi che si
sono create delle amicizie e collaborazioni molto forti fra i ragazzi e fra gli insegnanti e i
26
ragazzi. E' una cosa sempre molto orizzontale. Quando ci sono le lectures ok, si c'è
l'intervistato che è il musicista famoso, c'è un intervistatore che è uno dell'Academy e
arrivano tutti dai migliori giornali musicali non solo tedeschi, però vengono incoraggiate le
domande da parte del pubblico, da parte dei ragazzi presenti. E' sempre una cosa che vuole
essere molto molto orizzontale.
A: Ok, dopo aver parlato e discusso riguardo le specifiche parti e di come si struttura
l'Academy, vorrei ora porti delle domande un po' più ampie. Cosa ne pensi del ruolo dei
grandi brand all'interno della musica?
D: Purtroppo sono diventati fondamentali. Nel momento in cui le persone si sono abituate a
pensare la musica come un bene da ottenere gratuitamente, vengono a mancare delle forme
di introito. E i brand sono gli unici che riescono a soddisfarle. E' la stessa cosa che sta
accadendo nell'informazione: su internet abbiamo le notizie gratis, ma i siti gratis come si
reggono in piedi? Finché ci sono le inserzioni. Quindi il brand diventa quasi editore sotto
certi punti di vista, e lo trovo un corto circuito molto pericoloso che a me non piace, mi
adeguo perché non posso fare altrimenti ma come giornalista, e come persona che osserva i
fenomeni culturali è una cosa che personalmente non apprezzo e la trovo molto molto
pericolosa. E anche diseducativa perché la musica secondo me ha un valore e se una cosa ha
un valore si paga. Direi che è un male necessario che però può essere svolto bene.
A: Nel terzo capitolo della mia tesi cito una riflessione da parte di due sociologici, Goldman
e Papson, in cui riferendosi alla cultura giovanile, asseriscono che movimenti sociali e
culturali come il punk o l'hip-hop non sarebbero quello che sono se non fossero stati così
sfruttati. Cosa ne pensi del confezionamento musicale da parte dei brand o delle cosiddette
major?
D: Per come è strutturata la nostra società qualsiasi movimento artistico se vuole
sopravvivere deve essere “sfruttato”. O almeno deve interagire con i marchi. Ben venga se
c'è qualcuno che riesce a farne a meno, però è diventato sempre più difficile, quasi
impossibile.
A: Quali saranno secondo te nel futuro i nuovi sviluppi di questo sodalizio tra musica e
grandi marchi ?
D: Se continua ad esserci questo tipo di rapporto, ed io parlo contro i miei interessi,la
speranza è che i grandi marchi capiscano l'importanza della qualità e della competenza.
Che non abbiano la presunzione, di poter decidere loro cos'è figo e cosa no. Purtroppo
succede spesso che un direttore marketing che vuole operare nel campo della club culture
per il fatto che a lui piace un determinato tipo di serata, per lui quello è il massimo della
qualità. E' una percezione che è completamente distorta. Io vedo che negli investimenti dei
marchi, sopratutto nel campo della club culture, spesso sono imprecisi rispetto a quelle che
27
sono le finalità dell'investimento. Non dico sbagliate, però vogliono ottenere un certo tipo di
cose e secondo il mio umilissimo parere, certe volte dovrebbero investire in modo diverso e
fidarsi meno di se stessi, e più di persone che operano in quel settore.
A: Giungiamo alla fine di questa intervista domandandoti se la Red Bull Music Academy
può rappresentare una forma di music branding sostenibile? Ovvero che sia in grado di
mantenere in equilibrio il rispetto ed il valore artistico per la musica, e gli attributi insiti nel
brand.
D: Per adesso si. Per me è difficile dirlo, perché vado in giro parlo dell'Academy ne parlo
bene, ma è veramente così. Però ci metto la mia faccia nel parlare bene di una cosa che ha
un marchio dietro, ed è molto molto rischioso. D'altro canto se non ci credessi, se non avessi
toccato con mano, non lo farei. Perché uno dei pochi patrimoni che io ho, è la credibilità.
Esattamente come uno dei patrimoni che ha l'Academy è la credibilità, vale anche per me
come singolo, quindi per ora ci troviamo bene anche per questo. Poi se l'Academy cambia,
magari cambierò anch'io e diventeremo entrambi avidi e penseremo solo al successo oppure
si separeranno le strade.
A: Benissimo. Damir grazie davvero per avermi concesso quest'intervista.
D: Figurati! E' stato un piacere!
28
5. Conclusioni
L'obiettivo della mia ricerca è stato quello di elaborare una sorta di excursus, seppur breve,
di quello che è stata la connessione tra il mondo della musica e quello del marchio e del
brand, partendo da delle forme arcaiche di music branding fino ad arrivare ad un nuovo tipo
di presenza da parte del marchio nel campo della musica. Per arrivare a ciò mi sono servito
di testi non del tutto accademici e di varia natura, i quali spaziano da materie economiche
fino ad arrivare a quelle prettamente più sociologiche. Attingendo a diverse fonti sono
riuscito a rielaborare e a creare sotto forma di tesi, una sorta di sintesi degli aspetti e degli
sviluppi del music branding. Partendo dalle origini e dai primi usi della musica quale potente
mezzo in grado di veicolare emozioni, arrivo a toccare aspetti importanti quali la pubblicità
e il ruolo del suono all'interno di essa. Il punto di incontro tra marchio e musica viene
spiegato a metà del secondo capitolo dove attraverso riflessioni e vari esempi, esamino in
che modo le grandi aziende, intuendo il forte potere emozionale della musica, iniziano a
scandagliare quei mondi fin ora mai esplorati come quello musicale.
L'uso della musica, come mezzo e strumento di vendita portano i due mondi ad una vera e
propria fusione, dove la parola artista musicale e il nome marchio diventano sinonimi.
Si arriva perciò ad un punto di svolta in cui i brand parlano e comunicano attraverso nuovi
linguaggi.
Se un tempo il grande marchio, adottava strategie di marketing alquanto distaccate, ora il
brand “scende in campo” adottando pratiche più inclusive. Il brand diventa il vero
protagonista della scena musicale, veicolando attraverso valori quali la creatività e l'estro di
giovani artisti il proprio brand identity. Sono dunque gli artisti e la loro musica gli attuali
ambasciatori del marchio 2.0.
L'esempio di Red Bull Music Academy rappresenta all'interno di questa tesi un punto di
rottura tra un tipo di branding incentrato sull'interattività musicale ma con uno sguardo
rivolto al mero profitto economico, ed una forma di music branding, da me definita,
sostenibile.
L'attività svolta dalla Red Bull Music Academy,negli anni passati e nel presente, viene posta
nel mio elaborato come il risultato di un cammino evolutivo nella storia del legame che
intercorre tra musica e grandi marchi.
Attraverso le varie fonti di cui mi sono servito per spiegare al meglio di cosa trattasse la mia
tesi e le parole di Damir Ivic, nell'intervista, giungo alla considerazione secondo cui al
giorno d'oggi è davvero difficile escludere o non considerare questo vicendevole rapporto di
coesistenza tra musica e grandi brand.
Ciò non vuol dire che non si possano instaurare delle forme alternative in grado di
salvaguardare la qualità e la purezza di un arte come la musica, portandole ad uno stato di
mercificazione. Anzi. Il modello Red Bull Music Academy si avvicina a mio modesto
avviso, ad una forma etica di branding musicale.
29
Il voler costituire un marchio, i cui valori fondanti sono la diffusione del talento artistico, la
promozione e divulgazione di una visione musicale che si distanzia da logiche commerciali,
in qualche modo apre la strada ad un percorso culturalmente produttivo in cui una
convivenza equa ed equilibrata tra band e brand è possibile.
30
5.1 Ringraziamenti
Durante il bel mezzo di una cena per i festeggiamenti di una laurea , mentre stavo
mangiando insieme a dei miei amici accadde un fatto che ricordo ancora. Il padre di un mio
amico fece cadere la mia giacca a terra, la raccolse me la diede in mano ed io, lo ringraziai
per ben tre volte. Un mio amico che era seduto difronte a me, vedendo la scena, mi fece
“Guarda che non c'è bisogno che ringrazi così tante volte!”. Ecco questo fatto, per me
alquanto insolito, nei giorni e nelle settimane successive mi fece pensare. Molto.
Ora, vi chiederete come mai vi stia raccontando questo aneddoto, che ai molti può sembrare
un fatto alquanto banale. Il perchè risiede nel fatto, che giunto al (vocabolo alquanto
riduttivo per tutto quello che ha significato per me) sento il bisogno di voler ringraziare
tutte quelle persone, nell'arco di questi quattro anni a Bologna, hanno contribuito a formare
la mia persona, sotto moltissimi punti di vista.
Tralasciando il fatto che dimenticherò di menzionare sicuramente qualcuno (e me ne scuso
anticipatamente) ringrazio: La mia famiglia. Mia madre per il costante supporto, l'affetto e
l'amore incondizionato che solo una persona come lei può dare. Mio padre, per avermi
insegnato che quando davvero si vuole una cosa, basta guardarsi le mani. Le stesse mani con
cui in passato si è affrontato mille sfide di cui molte sono state vinte. Mio fratello, per
insegnarmi giorno dopo giorno che la vita è un continuo punto di vista, e cambia prospettiva
e forma a seconda di cui la si guarda. Ringrazio mia Zia,mio Zio mio cugino Niccolò,i miei
Nonni per tutto il sentimento e l'affetto ricevuto in tutti i miei anni di vita. Ringrazio Alessio
colui che definirlo semplicemente un amico sarebbe davvero troppo poco. Una persona con
cui ho condiviso ed imparato molto, moltissimo. Spero davvero di continuare a farlo.
Ringrazio Minzi per la gioia e la spensieratezza che con il suo aura (non sempre :) ) positiva
ha reso Aldini 3 il posto piu' bello della terra. Ringrazio, inoltre il mio amico Giacomo,
poiché la buona riuscita di questa tesi non sarebbe stata tale senza di lui. Ringrazio i miei
fratelli maggiori, Alessandro e Carlo. A loro devo tanto, molto.Sotto molti punti di vista.
Forse non glie lo dico abbastanza ma spero capiranno. Ringrazio i miei “colleghi di lavoro”
del Whp ma che sono prima di tutto amici. In particolare Enrico essersi fatto negli anni
carico dei miei gialli pomeriggi domenicali, riuscendo a risollevarmi anche solo grazie ad un
risotto ai porri. Ringrazio Damir Ivic per essersi reso disponibile a contribuire nella
realizzazione della parte finale sulla Red Bull Music Academy.
Ah! Dimenticavo! Ringrazio inoltre la mia professoressa del liceo per avermi detto che sarei
stato un fiasco totale nel proseguo dei miei studi e che con buona probabilità non ce l'avrei
mai fatta. A volte anche i cosiddetti grandi sbagliano.
Ringrazio tutte le persone che ho incontrato e conosciuto nei club di mezza Bologna
(elencarli o quanto meno provare a farlo sarebbe pura follia) tra cui Edo, il mio padre
acquisito, che tanto m'ha insegnato durante le più pazze e folli situazioni passate insieme. Se
ho deciso di incentrare il mio ultimo lavoro universitario, sul mondo della musica è
sicuramente grazie a continue influenze (musicalmente parlando) che ho ricevuto in questi
anni, frequentando posti che per me (fortunatamente o meno) era una seconda casa.
31
32
6. Bibliografia
• Richard Branson, (1997), Business Magazine
• Daniel Jackson (2013), Hit Brands: How music builds value for the world's smartest brands, Palgrave
MacMillan, New York
• Naomi Klein (2000), No Logo, Baldini & Castoldi
• Lopiano-Midsom,J.: J. De Luca, Street Trends 1998
• Lupton E., J.Abbott Miller, Design Writing Research: writing on Graphic Design ,
Kiosk,New York 1996
• L.Mariano (2007), Brand Imagination: le nuove frontiere della marca
• Goldman R.,S.Papson, (1996) Sign Wars: The cluttered Landscape of Advertising
• Christopher Vaugh, (1992), Simmon's Rush for Profits, Black enterprise
Sitografia
• Giuliano Benvenuti, (2014) Lo sbarco dei beatles in America: 50 anni di beatlemania,
http://it.amolamusica.com/news/flashback/lo-sbarco-dei-beatles-in-america-la-
conquista-di-50-anni-fa/ (data ultimo accesso: 12 Settembre 2014)
• Francesco D'Amato, (2011) Brand e Neomecenatismo: i nuovi player del settore musicale
http://francescodamato.typepad.com/nuova-industria-musicale/musica-e-brand/ (data
ultimo accesso: 26 Settembre 2014)
• Fast Company Staff, (2010) The 10 most addictive sounds in the world,
http://www.fastcompany.com/1555211/10-most-addictive-sounds-world (data ultimo
accesso: 3 Settembre 2014)
• Red Bull Music Academy Faq, http://www.redbullmusicacademy.com/academy#FAQ
• Tonik, (2012), Sound Branding: il “marchio sonoro” per il vostro brand,
http://www.welovecreativity.it/sound-branding-il-marchio-sonoro-per-il-vostro-
brand/ (data ultimo accesso: 5 Settembre 2014)
• Marco Vangelisti, (2011), Sound Branding i suoni che fissano le emozioni per sempre,
http://vangelistimarketing.com/2011/12/30/sound-branding-i-suoni-che-fissano-le-
33
emozioni-per-sempre/ (data ultimo accesso: 10 Settembre 2014)
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BAND O BRAND? L'UTILIZZO DELLA MUSICA ALL'INTERNO DEI GRANDI MARCHI. L'ESEMPIO RED BULL MUSIC ACADEMY

  • 1. ALMA MATER STUDIORUM-UNIVERSITA’ DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE BAND O BRAND? L'UTILIZZO DELLA MUSICA ALL'INTERNO DEI GRANDI MARCHI. L'ESEMPIO RED BULL MUSIC ACADEMY Prova finale in : Sociologia della Comunicazione Relatore: Presentata da: Prof.ssa Pina Lalli Andrea Tirabasso (Matr. 0000479755) Sottocommissione proff.: Lalli, Sarti, Capecchi Sessione II Anno Accademico 2013/2014 1
  • 2. 2
  • 3. Indice: Introduzione 1. Capitolo 1 : Dal marchio verso il brand: la storia di un cambiamento 1.1. Il marchio e la sua evoluzione 1.2. Le varie forme del termine Brand 2. Capitolo 2 : Musica e branding: pratiche e sviluppi 2 .1 Le origini della musica come veicolo emozionale 2.2 Sound Branding: il suono veste il brand 2.3 La musica diventa estensione del marchio 2.4 La fusione tra Brand e star della musica 3. Capitolo 3 : Music Branding 2.0 : L'identificazione di uno stile non solo musicale 3.1 Musica e grandi marchi: un connubio che genera life styles 3.1.1 Il caso Adidas e i Run - Dmc 3.2 Come la musica è stata influenzata dai brand: una riflessione inversa 3.3 Il brand diventa protagonista nel settore musicale 4. Capitolo 4: Case history sulla Red Bull Music Academy 4.1 Intervista a Damir Ivic di Red Bull Music Academy Italia 5. Conclusioni 5.1 Ringraziamenti 6. Bibliografia e Sitografia 3
  • 4. Introduzione “In questo campo di battaglia per i cuori e per le menti dei clienti, la musica è una dei più potenti strumenti che un brand possa utilizzare” (D.Jackson, 2013, trad. it. p.1) L'obbiettivo che mi sono posto nell'elaborazione di questa tesi è stato quello di analizzare il percorso e lo sviluppo del profondo legame che intercorre tra il mondo della musica e quello dei grandi marchi. In particolare ho voluto porre l'accento su quelle che sono state negli anni, le pratiche utilizzate da parte dei brands nell'utilizzo della musica quale potente mezzo di comunicazione, ma sopratutto in grado di accrescere il prestigio ed il valore di un marchio. Per arrivare a ciò, ho suddiviso l'elaborato in quattro macro argomenti: i primi tre assumo un carattere analitico, mente l'ultimo riguarda il caso particolare di un noto brand che opera in modo atipico nel campo musicale. Nel primo capitolo illustrerò brevemente, attraverso le parole di autori ed esperti, quali sono stati negli anni i vari mutamenti del concetto di marchio e le varie forme che il termine brand assume a seconda di alcune funzioni. Il primo capitolo si dimostrerà poi propedeutico per la corretta comprensione delle pagine successive. Il secondo capitolo si sviluppa intorno al tema centrale che è il music branding. Attraverso l'analisi e lo studio di vari testi, chiarisco l'importanza della musica quale importante veicolo di comunicazione nel passato, e sotto quali forme essa è entrata a far parte delle strategie commerciali utilizzate dai grandi marchi. Il terzo capitolo viene incentrato su una visione contemporanea del connubio musica e brand. Con una dettagliata osservazione dei mutevoli processi quali l'identificazione dei marchi, attraverso determinati generi musicali, arrivo ad esporre quelle che sono le dinamiche attuali. Si arriva dunque ad una radicale trasformazione che porta i grandi marchi ad essere il primo attore sulla scena musicale: interagendo con essa ed influenzandola. Nel quarto capitolo porto in esame un case study riguardante un attività collaterale di una nota azienda di energy drink, chiamata Red Bull Music Academy. Nei capitoli finali della mia tesi tenterò di mostrare attraverso fonti ed un'intervista al referente italiano di Red Bull Music Academy, in che modo questo marchio possa rappresentare al giorno d'oggi un esempio concreto di music branding sostenibile. 4
  • 5. “Music can move us to the heights or depths of emotion. It can persuade us to buy something, or remind us our first date. It can lift us out of depression when nothing else can. It can get us dancing to its beat. But the power of music goes much, much further. Indeed, music occupies more areas of our brain than language does - Humans are a musical species.” Oliver Sacks (Neurologo al NYU School of Medicine) 5
  • 6. Capitolo 1: Dal marchio verso il brand 1.1 Il marchio e la sua evoluzione Per poter capire come ha avuto origine l'idea di brand e di come esso sia arrivato a farsi strumento di vendita all'interno del ambiente musicale, è bene fare un passo indietro cercando di dare la giusta accezione alla definizione della parola marchio in quanto “Significato chiave della grande impresa moderna.” (Klein, 2000, p.27). Partiamo da una definizione che viene data del marchio come “un'istanza semiotica, una maniera di segmentare e di attribuire del senso in modo ordinato strutturato e volontario” (L.Mariano, 2007, p.55) si arriva ad identificare la sua “triplice natura” (L.Mariano, 2007, p.20) : ⁃ La natura semiotica della marca: la marca nasce in primo luogo per veicolare dei significati, per comunicare un senso. Ciò si ottiene sfruttando il piano verbale e quello fisico,visivo ed ogni strategia che possa essere in linea con lo scopo. ⁃ La natura relazionale della marca: la marca ha la vitale necessità di entrare in relazione con il consumatore e di instaurare un rapporto ⁃ La natura evolutiva della marca: la marca non è solo inserita nel suo tempo deve viverlo. Una marca immobile è destinata al declino. Soltanto chi sa ascoltare il mondo può capirne le evoluzioni, i bisogni, i suggerimenti assecondandoli. Il marchio inizia ad assumere un ruolo importante nella produzione di prodotti nel momento in cui due grandi innovazioni fanno capolino nel vasto mondo dell'impresa moderna: la strutturazione della fabbrica e la presenza della pubblicità attraverso gli annunci pubblicitari. Con la prima, il modo di produrre cose ed oggetti inizia a cambiare “nel momento in cui è iniziata la lavorazione in fabbrica, non solo sono stati immessi sul mercato nuovi prodotti ma anche i vecchi, hanno assunto forme straordinariamente nuove” (Klein, 2000, p. 28). La produzione in serie e la diffusione di nuovi prodotti portano il mondo dell'industria moderna di fronte a nuove esigenze e nuove sfide: il bisogno di differenziare un prodotto da un altro attraverso l'immagine. Il ruolo della pubblicità si trasforma dal comunicare semplicemente le informazioni basiche relative ad un dato prodotto, al valorizzare l'identità del marchio. “Il primo compito del branding fu quello di conferire nomi propri a prodotti generici come lo zucchero, la farina, il sapone e i cereali, che fino ad allora i negozianti vendevano sfusi prelevandoli dai barili” (Klein, 2000 p. 29) 6
  • 7. Il marchio inizia ad avere una sua personalità: da semplice immagine statica ed inanimata, il logo inizia ad esprimere e suscitare emozioni. Affermano Ellen Lupton e J.Abbott Miller due studiosi e teorici del design: Personaggi familiari arrivarono a sostituire il negoziante, che era stato fino a quel momento il responsabile della scelta per i suoi clienti e che agiva da propagandista dei prodotti... un elenco di marchi ha sostituito il piccolo commerciante locale quale interfaccia tra consumatore e prodotto. (E. Lupton e J.Miller, 1996, tr.it., p.177) L'idea che il marchio rappresenti solamente un semplice slogan, sin dalla fine degli anni Quaranta, inizia a diventare superata e obsoleta. Usando termini e parole legate a quegli anni, sul marchio inizia ad incentrarsi una “forte identità o conoscenza aziendale” (Klein, 2000, p.51) 1.2 Le varie forme del termine Brand In questo paragrafo cercherò di definire nel modo più chiaro possibile quella che, per certi versi, viene considerata una parola sfuggente, ampia e difficile da poter circoscrivere in una sola definizione. Avvalendomi delle parole di autori ed esperti, ho raccolto alcune di quelle che per me paiono le definizioni più efficaci ad una corretta comprensione del termine brand e delle sue connessioni. Il termine brand nell'etimologia inglese sta a significare letteralmente bruciare, marchiare a fuoco. Nella fattispecie questo termine veniva adottato in passato per indicare il mezzo utilizzato per marchiare a fuoco il bestiame. Vedremo quindi, in che modo questo nome di cui faremo ampio uso nel corso di questa tesi, sia stato in grado di lasciare, metaforicamente parlando, un segno così importante. L'American Marketing Association definisce il brand come: ”un nome, un termine, un segno, un simbolo, o qualunque altra caratteristica che ha lo scopo di identificare i beni o i servizi di un venditore e di distinguerli da quelli degli altri venditori” (L.Mariano,2007, p.39), il quale riesce a dare un' esaustiva e precisa spiegazione teorica. Menzionando le parole di Richard Branson sul brand , egli si rifà al modello asiatico chiamato Keiretsu, termine che sta a significare una rete di aziende collegate, spiegandone il suo concetto di branding : “costruire dei marchi attorno non ai prodotti, bensì alla fama.” (Branson 1997, p.2). In questa visione, Branson afferma inoltre che i marchi si collegano a “una serie di valori” (Branson, 1997, p.3) piuttosto che a dei singoli prodotti. L'accezione del termine brand data da Daniel M. Jackson tende invece, a focalizzarsi più sulla funzione psico-cognitiva che il brand al giorno d'oggi svolge sugli individui asserendo che “I brands sono la nostra reazione emozionale ai prodotti e ai servizi che vengono offerti e consumati” (Jackson, 2013, p.4). 7
  • 8. Se per Branson i marchi sono legati a una serie di valori, Jackson sostiene a riguardo che “Il valore del brand è dato da noi come clienti e come portatori di interessi.” (Jackson, 2013,p.7) Cap. 2 : Musica e branding: pratiche e sviluppi 2.1 Le origini della musica come veicolo emozionale Illustrando l'ipotesi di Jackson (2013), vedremo in che modo la musica è sempre stata presente all'interno della vita dell'essere umano come mezzo di comunicazione emozionale in grado di influenzare i comportamenti di gruppi sociali ed individui e successivamente veicolare valori e stili di vita. Come vedremo, l'uso della musica come strumento persuasivo atto ad influenzare i comportamenti umani, può sembrare una pratica prettamente moderna, ma affonda le sue radici in un lontano passato. Durante la storia dell'umanità, le persone hanno usato la musica per identificare idee, credenze, gruppi sociali e nazioni. La musica, come scrive Daniel M. Jackson, è “ un fenomeno naturale, un amore unificante, un linguaggio molto più profondo ed emozionale di qualsiasi altro.” (D.Jackson, 2013, trad. it. p.31) Possiamo rintracciare una sorta di forma astratta ed arcaica del branding musicale nel lontano 600 d.c., quando Papa Gregorio I raccolse e codificò tutti i canti religiosi appartenenti alla Chiesa di quel tempo per promulgare e diffondere la fede cattolica. L'uso dei canti gregoriani aveva lo scopo di mantenere saldo il credo verso la religione cristiana tra i fedeli. Jackson fa un equiparazione con i tempi attuali scrivendo: Gli abitanti del 600 d.c. non sedevano in cerchio divertendosi ad ascoltare i canti gregoriani dalle loro cuffie, ma questa musica rappresentava una sorta di mezzo usato dalla Chiesa per trasmettere il dogma verso il suo pubblico (D.Jackson, 2013,trad. it. p.24) A dimostrazione di quanto è stato detto Jackson cita altri esempi come gli Inni Nazionali, considerati “Il metodo standard adottato dalle nazioni, per stimolare il patriottismo, specialmente durante i periodi di guerra” (D.Jackson, trad. it. 2013, p.24) o il ruolo che la musica popolare ha svolto nella società del passato “Trasmettendo storie e folklore alle generazioni piu giovani” (D.Jackson, trad. it. 2013, p.24) Nelle prossime pagine approfondirò attraverso esempi, citazioni e riflessioni personali i vari mutamenti delle filosofie aziendali che hanno portato i grandi marchi a cercare sempre più spunti sopratutto nel mondo della musica, per poter alimentare ed accrescere l'identità del proprio brand. 8
  • 9. 2.2 Sound Branding: il suono veste il brand In questo paragrafo mi soffermerò su quelli che sono alcuni degli aspetti che costituiscono il mondo della pubblicità musicale moderna. Analizzerò il modo in cui un messaggio musicale, sotto forma di logo sonoro, viene veicolato dai grandi marchi attraverso una nuova strategia di marketing chiamata sound branding. Come gia detto in precedenza, l'impiego della musica nella comunicazione, e recentemente nel mondo del brand si basa su un “valore emotivo ed emozionale: colleghiamo ad essa, sensazioni, informazioni, ricordi e storie.” (Vangelisti, 2011) Il sound branding, definito come “L'uso consapevole del suono per creare un'identità del marchio, l'impiego della musica per rafforzare il potere del logo” (Vangelisti) si regge essenzialmente su quei valori. Una delle peculiarità del Sound Branding riguarda la sua particolare struttura: la composizione musicale “si riduce a pochi suoni o addirittura ad un suono soltanto” (Vangelisti, 2011) come nel caso di artisti incaricati di realizzare un suono che rafforzi il potere del logo visivo, e che sia immediatamente riconoscibile e distinguibile da un altro: Rimaniamo colpiti e ancorati non solamente da un logo visivo ma anche da un logo sonoro che possiamo riconoscere all'istante nel momento in cui ascoltiamo la radio, guardiamo la televisione o in una qualsiasi altra occasione. Musicisti come Brian Eno, compongono e studiano il suono più adatto per poter rappresentare e “vestire” al meglio il logo di un brand : Eno è il compositore della nota melodia d'avvio di Windows 95. Una composizione di 3 secondi e un quarto. Da allora Brian Eno ha composto un centinaio di questi piccoli jingle, che sono importantissimi dal punto di vista pubblicitario, perché sono la firma del brand o del Sound Logo. (Tonik, 2012) Secondo Marco Vangelisti, “Il sound branding crea un esperienza profonda nel consumatore e permette al brand di farsi riconoscere, e sopratutto farsi ricordare.” (Vangelisti, 2011) Lasciando per un attimo da parte l' importante componente emozionale notiamo come il Sound Branding sia figlio di una visione moderna derivante da nuove strategie di marketing. Attraverso le parole di Marco Vangelisti notiamo come la sua descrizione dettagliata riguardante i cambiamenti in atto sulla la comunicazione e il marketing, coincida e introduca in maniera calzante i contenuti dei prossimi paragrafi: La comunicazione e il marketing si muovono oramai su una prospettiva non più monotematica, ma ogni campagna fa riferimento a metodologie crossmediali interattive, che si muovono tra l'online e l'offline senza tregua, con strutture olistiche multisensoriali e omnicomprensive che sfruttano tutti gli elementi per farsi ricordare e distinguersi dai competitor. (Vangelisti, 2011) 9
  • 10. Possiamo quindi affermare che un suono, una melodia o un jingle pubblicitario possa stimolarci, quasi a livello subcosciente, ad acquistare, sognare o addirittura indurci a mangiare di più? Uno studio pubblicato in un articolo intitolato “I dieci suoni che creano dipendenza nel mondo” spiega attraverso alcuni esempi, in che modo alcuni suoni riescono a condizionare la nostra vita e i nostri comportamenti: “Quando il suono delle slot machine fu tolto a Las Vegas, le entrate derivanti dal gioco d'azzardo calarono del 24%.” (Fast Company Staff, 2010) Altri esperimenti fatti in alcuni ristoranti mostrano che “quando viene trasmessa una musica lenta (a livello ritmico più lenta del battito cardiaco) siamo portati a mangiare più lentamente e di conseguenza a mangiare di più!” (Fast Company Staff, 2010) Sempre Marco Vangelisti nell'articolo “Sound Branding: i suoni che fissano le emozioni, per sempre”(Vangelisti, 2011) stila una lista dove vengono elencati alcuni dati riguardanti l'efficacia del cosiddetto Sound Branding nel campo aziendale, e non solo: ⁃ Quasi il 100% dei brand di successo ritengono che la musica li rafforzi. ⁃ Il 70% dei brand lavora attivamente sul sonoro e ritiene il suono un elemento centrale nel marketing del futuro. ⁃ L'udito, dopo la vista, è il senso più usato nella brand communication ⁃ 4 aziende su 10 credono di aver già definito un proprio sound specifico, altri utilizzano ancora suoni e musiche secondo le proprie preferenze personali. 2.3 La musica diventa estensione del marchio Quando si parla di music branding intendiamo l'utilizzo della musica da parte di un marchio o di un azienda come strumento in grado di attirare e coinvolgere le persone, veicolando determinati messaggi attraverso le più svariate forme, al fine di trarne un guadagno sia sotto il punto di vista di economico che a livello di immagine. In seguito analizzeremo meglio i motivi, che hanno portato i grandi brand ad avvicinarsi alla musica nelle diverse modalità camminando di pari passo all'evoluzione sociale dei fenomeni musicali. Uno dei passaggi fondamentali di quest'evoluzione la notiamo intorno agli anni 60 quando il potere attrattivo della musica non è più legato solamente alla melodia in sé o al testo delle canzoni, ma a figure che riescono a diventare simboli ed icone di una generazione veicolando determinati valori con cui identifichiamo la musica, generi e stili. Si può rintracciare il primo caso di music branding, in cui un gruppo musicale di successo viene identificato più per alcuni tipi di valori semantici diffusi che per le loro doti musicali, nei Beatles e in special modo in quel fenomeno socio-antropologico chiamato Beatlemania. 10
  • 11. La Beatlemania viene definita come una vera e propria devozione e ammirazione da parte dei fan verso il gruppo inglese la quale toccò il suo apice il 7 febbraio 1964 quando i Beatles giunsero per la prima volta in America. Questa data fu rinominata come la “British Invasion” , poiché oltre ad aver catturato l'attenzione degli adolescenti americani con le loro canzoni, i quattro musicisti di Liverpool partecipando ad uno show televisivo americano focalizzarono su di loro tutto l'interesse del pubblico statunitense. “Lo show televisivo in quella serata, stabilì il record di visione e di audience della storia della TV fino a quel momento, con 73 milioni di telespettatori stimati.” (Benvenuti, 2014) Una delle cause che ha scatenato quello che è stato ribattezzato da alcuni cronisti dell'epoca “l'evento culturale più importante nell'America del dopoguerra.” (Benvenuti, 2014), è strettamente legata a quelle dinamiche accennate precedentemente: il messaggio comunicato dai Beatles attraverso il loro stile e inevitabilmente con i loro testi, rispondeva a i desideri e alle esigenze della generazione americana di quegli anni. I gruppi musicali ed la loro carica emotiva entrano quindi prepotentemente nella società moderna diventandone così una parte essenziale. I grandi marchi intuiscono subito quest'enorme potenziale, ed iniziano ad elevare il concetto di branding ad un livello superiore, rafforzando la loro identità attraverso il coinvolgimento della musica nelle loro strategie di vendita. E' qui che avviene il passaggio da un certo tipo branding legato solamente a suoni e melodie, al Music Branding che interviene operando su piu fronti. Intorno alla seconda metà degli anni Novanta molte aziende tra cui la Nike e Tommy Hilfiger iniziano a mettere in pratica ciò che precedentemente si era solamente accennato: affiggere il proprio marchio non più solo sui prodotti fisici, ma raggiungendo anche mondi fin'ora inesplorati come quello della cultura e delle arti, musica inclusa. Come spiega Naomi Klein : Per queste aziende il branding non era solo questione di aggiungere valore a un prodotto. Si trattava di assorbire spunti culturali e iconografici che i marchi potevano riflettere sulla cultura come proprie “estensioni. (Klein, 2000 p. 51) 2.4 Marchi e star della musica si fondono in un unica entità L'espansione messa in atto da parte dei grandi brand, non riflette piu i tratti di un marketing del passato, caratterizzato anche dalle tradizionali sponsorizzazioni in cui “ un azienda da' del denaro a favore di un iniziativa per vedere in cambio il proprio logo su uno striscione o in un programma” (Klein, 2000, p.46) Nuove forme e nuove pratiche di inclusione prendono vita negli anni Ottanta, in cui vengono stretti molti accordi tra famosi esponenti della scena musicale e grandi marchi: da Eric Clapton che canta per pubblicizzare un nota azienda di birra fino ad arrivare a Ray Charles in veste di testimonial per la Coca Cola. Il punto di svolta arriva nel momento in cui lo stilista Tommy Hilfiger decise che “l'energia 11
  • 12. del rock e del rap sarebbe diventata l'essenza del suo marchio” (Klein, 2000) finanziando l'interno concerto dei Rolling Stones. Ciò rappresenta l'ultima novità in fatto di rock sponsorizzato: la band come estensione del marchio. Tommy Hilfiger riuscì a firmare un contratto per vestire Mick Jagger, cantante e front man del gruppo, insieme a Shery Crow, presentatrice del concerto. Il contratto prevedeva che i due dovessero indossare i modelli della collezione di Tommy Hilfiger denominata intenzionalmente “Rock and Roll Collection”. Naomi Klein commenta e riassume: “Lo spettacolo non era che uno sfondo, una straordinaria esibizione dell'autentica essenza rockettara del marchio Tommy Hilfiger”(Klein,2000,p.51) Dopo aver analizzato uno degli esempi che meglio riflette i mutamenti delle nuove strategie aziendali, notiamo che il brand non si fa più semplice spettatore, come nel caso della pura e semplice sponsorizzazione, ma vuole ritagliarsi un ruolo predominante nel mondo della musica. 3. Music Branding 2.0 : L'identificazione di uno stile non solo musicale 3.1 Musica e grandi marchi un connubio che genera life styles Fin qui ho analizzato i vari aspetti di come alcuni tra i più grandi marchi abbiamo voluto estendere la propria immagine (anche detta nel gergo del marketing, brand identity) utilizzando la musica quale potente mezzo di diffusione e comunicazione. L'incontrollabile e spasmodico attingere a questa apparentemente inesauribile risorsa chiamata “mondo della musica” porta i grandi marchi a scendere in strada, nei centri urbani, cercando di interpretare gusti ed esigenze delle nuove generazioni e successivamente identificare il proprio brand negli usi e costumi che un determinato genere musicale può veicolare nelle persone. Aziende come Nike e Tommy Hilfiger riuscirono ad implementare la loro crescita e i loro guadagni, perlopiù grazie ai giovani ragazzi neri dei centri urbani americani i quali “Interpretavano Nike e Hilfiger nello stile hip hop, nel momento preciso in cui il rap si faceva largo nella cultura dei giovani grazie ad Mtv.” (Klein, 2000, p.32). Saranno proprio l'Hip Hop ed il Rap in questo caso ad essere presi di mira da parte di alcuni tra i più grandi marchi. La spiegazione riguardante la specifica scelta di questi due generi 12
  • 13. musicali viene data Lopiano-Midson e De Luca (1998,p. 37): “Il popolo hip hop è il primo ad accogliere un'etichetta di uno stilista o di un vip, trasformandoli in una moda “altamente concettuale.” 3.1.1 Il caso Adidas e i Run - Dmc A supporto di ciò che si è appena detto, porterò in esame uno dei casi che meglio descrive la scelta da parte di alcune aziende nel voler associare il proprio nome ad una determinata corrente musicale, nello specifico il rap e l' hip hop. Analizzando questo caso vedremo come e che in modo assoldando uno tra i piu grandi gruppi del rap anni '90, i Run Dmc, il brand Adidas sia riuscito attraverso accordi e strategie di marketing ad accrescere la propria immagine e ad aumentare i profitti. Il caso Adidas – Run Dmc ha inizio nel 1986 quando il noto gruppo rap Run Dmc pubblica il singolo di successo chiamato “My Adidas”. La scelta del nome di questa canzone è puramente disinteressato, e slegato da qualsiasi ipotizzabile accordo con l'omonima azienda. Semplicemente era “Un omaggio al loro marchio preferito.”(Klein, 2000, p.102) Successivamente Darryl McDaniels (componente del gruppo), riferendosi alle sue scarpe marchiate Adidas, dichiarerà in un intervista di averle indossate da sempre. I tre artisti di New York erano però seguiti da milioni di ammiratori sia per la loro musica che per il loro particolare look “Orde di fan copiavano il loro stile fatto di medaglioni d'oro, tute da ginnastica bianche e nere (ovviamente dell'Adidas) e scarpe da ginnastica (pure dell'Adidas) portate senza lacci” (Klein, 2000, p.102) Da semplici simpatizzanti del marchio, i Run Dmc diventarono ben presto dei veri e propri testimonial, dal momento in cui Russel Simmons, presidente della Def Jam Records, la casa discografica dei Run Dmc, capì che la pubblicità involontaria fatta dai tre rapper newyorkesi doveva, in qualche modo, essere ripagata. Simmons contattò l'azienda Adidas chiedendo di contribuire alle spese del tour del gruppo. Naomi Klein descrive la risposta da parte dei dirigenti Adidas “Erano scettici riguardo l'associazione della loro azienda alla musica rap, considerata a quei tempi una moda passeggera o peggio ancora un incitamento alla rivolta” (Klein, 2000, p.103). Russel Simmonds tentò di convincere i due dirigenti del grande marchio d'abbigliamento tedesco, invitandoli ad assistere di persona ad un concerto dei Run Dmc. Il giornalista Christopher Vaugh descrive l'evento: Ad un certo punto, mentre il gruppo rap stava eseguendo il pezzo “My Adidas”, uno dei componenti del gruppo gridò: “Ok, tutti insieme scuotete le vostre Adidas!”. Tremila paia di scarpe da ginnastica volarono in aria. I dirigenti Adidas non furono mai così tanto veloci ad afferrare un libretto degli assegni. (Vaugh,1992, p.67) 13
  • 14. Successivamente l'Adidas avrebbe lanciato la sua nuova linea di scarpe Run-Dmc volutamente inspirate all'omonimo gruppo rap. 3.2 Come la musica è stata influenzata dai brand: una riflessione inversa Il branding musicale tocca il punto più alto nel momento in cui musicisti, band e artisti diventano dei veri e propri marchi da mettere sul mercato. L'industria musicale, e le case discografiche in primis, dopo aver notato il vertiginoso aumento di guadagni da parte dei grandi brand commerciali per via degli accordi stretti con il mondo della musica, iniziano a mettersi in gioco ed entrare nel vivo del cosiddetto music branding. Uno dei momenti piu significativi che meglio rappresenta questa tendenza avviene nel 1997, quando il noto gruppo pop, Spice Girls, si colloca al sesto posto nella “Celebrity Power 100” (Klein, 2000), classifica redatta dalla rivista Forbes basata non sulla fama o la ricchezza del marchio, ma sulla sua commercializzazione. Questa classifica diventa emblematica poiché riesce a descrivere la completa fusione tra marchio e branding musicale. Michel J. Wolf sostiene a riguardo: “Marchi e star dell'intrattenimento sono diventati la stessa cosa” (Klein, 2000) Le band, i gruppi e i vari artisti che calcano i palchi di mezzo mondo, iniziano ad essere concepiti come dei veri e propri marchi. Vengono continuamente sottoposti a delle verifiche di mercato in modo da poter rispondere alle esigenze dei consumatori : “I gruppi musicali creati al computer non sono una novità nell'industria musicale”. (Klein, 2000) I sociologi Robert Goldman e Stephen Papson (1996)sollevano un interessante questione volta a portare degli spunti riflessione riguardo il cosiddetto confezionamento e commercializzazione di alcuni generi musicali. Secondo i due sociologi, la maggior parte della cultura giovanile rimane sospesa in quello che chiamano sviluppo arrestato. “Noi non abbiamo, dopotutto l'idea di come sarebbero questi movimenti sociali e culturali come il punk il grunge o l'hip hop se non fossero così ampiamente sfruttati”(R.Goldman,S. Papson, 1996, tr.it., p.43) La considerazione fatta da Goldman e Papson crea un preambolo perfetto a quello che sarà il prossimo paragrafo ed il prossimo capitolo. Nelle prossime pagine tenterò di descrivere come alcuni grandi brand possano al giorno d'oggi nel campo del campo della musica, oltreché trarre profitti, valorizzare e creare delle reali possibilità di crescita culturale: sia sotto il punto di vista della creatività musicale incentrata sull'individuo, che sulla promozione di eventi musicali qualitativi e non convenzionali. 14
  • 15. 3.3 Il brand diventa protagonista nel settore musicale Dopo aver analizzato ed elencato quali sono state le pratiche e le strategie adottate in passato dai grandi brand per poter ottimizzare l'identità del proprio marchio e conseguentemente trarne dei guadagni in termini economici attraverso la musica, vediamo come nel tempo le pratiche e le strategie usate in passato si siano trasformate cambiando forma. Nei precedenti capitoli abbiamo visto in che modo vennero adottate varie strategie come le sponsorizzazioni e la scelta dei testimonial da accostare al proprio marchio, pratiche e soluzioni che nel branding 2.0 vengono oramai declassate e considerate quasi obsolete. Francesco D'Amato descrive tali strategie come: “Accostamenti facili e sicuri per comunicare con un pubblico oggi definiti superficiali dai responsabili di marketing” (D'amato, 2011). Il branding contemporaneo assume una fisionomia diversa rispetto al passato. Si è sempre più protesi più verso nuove forme di implicazione e coinvolgimento da parte dei grandi marchi nel settore della musica. Questo nuova visione porta i grandi marchi a voler instaurare con il proprio target una “relazione più profonda” (D'amato, 2011) un legame diverso che sia maggiormente interattivo e meno distante rispetto a prima. “L'autenticità è diventata la parola chiave nel lessico delle strategie di marketing” (D'amato, 2011). I brand decidono così di voler puntare su dei nuovi valori: uno su tutti è la creatività di musicisti, artisti e dj. Alcuni esempi possono essere: la Polaroid che assume la cantante Lady Gaga in qualità di direttore artistico del noto marchio di fotografia, il dj David Guetta che insieme al marchio Beats, lavora alla progettazione di un particolare paio di cuffie, e la Coca Cola che crea insieme al trio francese dei Daft Punk un edizione speciale chiamata “Daft Coke”. Come evidenziato dagli esempi sopracitati, viene a crearsi un nuovo tipo rapporto: La presenza del logo in un prodotto, o del puro e semplice testimonial che figura in uno sport pubblicitario viene considerata una pratica superata, che lascia spazio a nuove forme di collaborazione tra i due soggetti. Lo step successivo che porta il grande marchio all'interno della scena musicale, usando la l'estro e la fantasia di alcuni artisti selezionati e successivamente eletti ad ambasciatori del marchio, viene compiuto “abilitandoli”: ovvero mettendo a loro disposizione tutti i mezzi necessari affinché possano esprimere le proprie capacità e le loro doti artistiche e creative. Come afferma Francesco D'Amato nel suo articolo: “Produrre, supportare i musicisti, trasformarsi in modo sempre più completo in player musicale anziché semplice sponsor.” (D'amato, 2011) La parola player usata dal giornalista sintetizza questa nuova tendenza da parte dei brand nei confronti del mondo della musica, il quale diventa parte attiva di questa scena attraverso progettazioni di festival, attività di talent scouting o semplicemente supportando l'estro e le creazioni di giovani artisti emergenti. Navigando nel web troviamo molti esempi di brand, che pur apparentemente non sembrano 15
  • 16. essere connessi con l'ambiente musicale, hanno scelto di aderire a questa nuova tendenza addentrandovi: la Toyota, nota azienda di automobili, decise di coinvolgere nelle proprie strategie di marketing la musica creando un nuovo marchio denominato “Scion”. Nello specifico la Toyota attraverso Scion, decise di produrre album, video e tour di venti artisti selezionati. Sempre D'Amato nel suo articolo commenta la vicenda: “Qui non si tratta della trasformazione della Toyota in un'etichetta musicale, ma dell'intervento nel settore musicale di un player con un differente modello di business” (D'amato, 2011) Un altro esempio, simile è quello della compagnia di telecomunicazioni O2. In questo caso il brand non punta più a coinvolgere gli artisti ma si rivolge direttamente al pubblico che assiste ad uno spettacolo. L'azienda O2 mira ad implementare, attraverso degli eventi particolari, l'esperienza di uno spettacolo dal vivo permettendo di stare a contatto con gli artisti che si esibiscono. L'ultimo esempio rappresenta un tipo particolare di coinvolgimento da parte di un marchio a favore della creatività espressa non più da artisti famosi e blasonati, ma bensì da giovani artisti promettenti. Secondo D'Amato questo tipo di iniziativa “si colloca a metà tra il talent contest e il crowdsourcing”. (D'amato, 2011) In questo caso la ditta di alcoolici Smirnoff, sosteneva la creazione di canzoni o la reinterpretazioni di contenuti musicali (remix) dati da un rapper canadese attraverso un mixer digitale on line . 4. Case history sulla Red Bull Music Academy Nei precedenti capitoli, specie nell'ultimo paragrafo, abbiamo visto in che modo l'attenzione dei grandi brand sia ricaduta da tempo, su nuove forme e nuove strategie di mercato. Mettere al centro dell'attenzione valori come la creatività di artisti affermati o di nuovi talenti, accostandoli sempre ad una marca, sono diventate delle prerogative essenziali dei grandi marchi per poter attuare nuove forme di branding sempre più coinvolgenti e sempre più remunerative. Giunti all'ultimo capitolo di questa mia tesi, porterò in esame il caso di un azienda la quale a mio avviso, non solo rappresenta al meglio questa nuova tendenza, ma riesce a differenziarsi dalle altre prefiggendosi l'obbiettivo di sviluppare la creatività e il talento di giovani artisti in campo musicale dove in seguito spiegherò meglio e nel dettaglio. L'azienda in questione si chiama Red Bull ma il progetto collaterale, fondato nel 1998, prende il nome di Red Bull Music Academy: una serie itinerante di corsi, seminari musicali (detti anche workshop) e festival. Aprendo il sito internet di Red Bull Music Academy si può notare una scritta presente nella home page che descrive in breve l'essenza di questo brand: “Una piattaforma per coloro che vogliono fare la differenza nel panorama musicale di oggi." Ogni anno Red Bull Music Academy seleziona due gruppi di 30 partecipanti provenienti da tutte le parti del mondo. Si può partecipare alla selezione compilando un modulo di domanda, chiamato Application, disponibile sul sito della Red Bull Music Academy. 16
  • 17. L'Academy si rivolge in special modo a produttori, cantanti dj's o strumentisti di qualsiasi genere musicale. I partecipanti si ritrovano in una nuova città dove ogni anno per due settimane, partecipano a sessioni di registrazione, conferenze tenute da personaggi di spicco della scena musicale a livello mondiale come ad esempio Philip Glass ed Erika Badu, collaborando e ed esibendosi nei migliori club e auditorium della città ospitante. La prima edizione della Red Bull Music Academy si svolse nel 1998 a Berlino passando successivamente per Cape Town, San Paolo, Barcellona, Londra, Toronto e New York. Lo scorso anno in occasione del quindicesimo anno di attività, la Red Bull Music Academy ha realizzato un film girato negli studi di registrazione di New York, dove si cerca di spiegare attraverso le testimonianze di grandi artisti cosa significa vivere facendo musica. Quest'anno la Red Bull Music Academy si terrà, per la durata di cinque settimane, a Tokyo. Dopo aver passato in rassegna quelle che sono le peculiarità sommarie dell'Academy, nelle prossime pagine cercherò di analizzare da vicino in che modo la Red Bull Music Academy differisce così profondamente dalle altre aziende o marchi attraverso i suoi intenti ed obiettivi che puntano ad elevare e supportare abilità e capacità della persona. Tra le molte informazioni che vengono fornite sul sito internet di Red Bull Music Academy, nei punti in cui si spiega brevemente a che tipo di persone l'Academy si rivolge, noto come l'azienda voglia porre l'accento più su prerogative e condizioni legate ad una propensione collaborativa volta a creare una vera e propria sinergia tra i partecipanti, che non a competenze e nozioni in ambito musicale. “Per partecipare a questo viaggio, non hai bisogno di saper comporre una composizione musicale con un Juno 60 o altre complicatissime cose. Quello che cerchiamo è la passione di imparare e condividere l'entusiasmo per la musica aldilà dei generi e una vera mentalità aperta.” (Red Bull Music Academy F.a.q.) I componenti di questa “giuria” che andrà a valutare le applications, ovvero le richieste dei partecipanti, fanno parte di un gruppo di produttori di musica, proprietari di etichette discografiche, giornalisti musicali di caratura internazionale. Uno dei punti cardine su cui ruota tutta la filosofia aziendale di Red Bull Music Academy, che la rende a mio avviso un caso particolare e diverso da tutti gli altri brand che in passato hanno tentato di intraprendere un cammino simile, è un sistema basato sulla totale assenza di competizione: “Non ci sono distinzioni per paese di provenienza o genere musicale, non ci sono vincitori né vinti - semplicemente un gruppo di persone che pensiamo possano ben interagire per più di due settimane.” (Red Bull Music Academy F.a.q.) e speculazione artistica intorno alle creazioni dei partecipanti: “Red Bull non ha generalmente alcun interesse ad utilizzare la musica creata presso l'Academy senno per le questioni legate all' Academy, e non ottiene i diritti d'autore per qualsiasi tipo di lavoro. La creatività è l'unica moneta qui. La musica è ciò che viviamo e rappresentiamo.”(Red Bull Music Academy F.a.q.) L'Academy tende a differenziarsi poiché si muove in una direzione diversa rispetto a ciò a cui siamo abituati a vedere e a conoscere, discostandosi da logiche e format come i talent show. “Non si tratta di farsi 'scoprire' da una casa discografica o imparare a 'rendere' nel 17
  • 18. settore.”(Red Bull Music Academy F.a.q.) Oltre al suo evento principale La Red Bull Music Academy è riuscita negli anni a portare la sua identità di marchio in giro per il mondo, partecipando e collaborando attivamente al fianco di festival musicali di alto livello come Sonar, Mutek, Movement di Detroit e il Montreux Jazz Festival. Il carattere versatile, insito nell'identità di questo brand, porta la Red Bull Music Academy ad operare anche su progetti di vasta scala: durante tutto l'anno vengono organizzate in varie parti del mondo, attività come seminari di musica, detti anche workshop, fino a organizzare delle mini Academies della durata di più giorni. Red Bull Music Academy dispone inoltre di una propria web radio dove è possibile trovare ed ascoltare migliaia di interviste, djset, documentari, registrazioni dal vivo dei migliori festival di musica. 4.1 Intervista a Damir Ivic di Red Bull Music Academy Dopo aver esaminato, attraverso del materiale trovato on line sul sito Red Bull Music Academy, in che modo si struttura questa azienda e dopo aver analizzato quali sono gli intenti e gli scopi, ci serviremo delle parole di chi con la Red Bull Music Academy collabora direttamente. Nelle prossime pagine, seguirà un' intervista realizzata da me assieme a Damir Ivic, referente italiano per la Red Bull Music Academy in cui si parlerà più approfonditamente del suo percorso lavorativo con Red Bull Music Academy, dei valori su cui si fonda l'azienda tedesca, le sue peculiarità e caratteristiche, il modo di operare sulla scena musicale italiana ed estera, e diversi interessanti spunti di riflessioni sul futuro di quest'unione tra grandi brand e musica. Damir Ivic oltreché essere un giornalista musicale ed esperto a trecentosessanta gradi di tutto ciò che ruota intorno ad un evento in musica (comunicazione,produzione,organizzazione), firma di varie testate come il Mucchio, è anche il referente ufficiale per la Red Bull Music Academy in Italia. Nello specifico il suo ruolo è quello di fare da interfaccia tra la scena musicale italiana e l'azienda Red Bull, individuando “attori“ e situazioni stimolanti e coerenti con lo spirito Red Bull Music Academy presenti sul territorio italiano. In seguito spiegheremo nel dettaglio, attraverso le sue parole. Nell'intervista presente nelle prossime righe, ho deciso di abbreviare il mio nome con la lettera A ed il nome di Damir Ivic con al lettera D, in modo da facilitare la lettura. L'intervista è stata registrata con uno smartphone in data 20/9/2014 presso un bar di Bologna. 18
  • 19. A: Ciao Damir! Bentrovato! Innanzitutto grazie mille per avermi concesso la possibilità di intervistarti. D: Figurati! Spero che ciò ti sia d'aiuto per completare la tesi che stai facendo. A: Bene, iniziamo! Partiamo con una piccola presentazione: chi sei, qual'è stato background musicale, quand'è stato il tuo primo approccio con il mondo dell'elettronica e della club cultura? D: Il mio background musicale fa abbastanza sorridere perché la musica che ho ascoltato da piccolo è quella di cui non ho praticamente mai scritto ovvero il jazz. Grazie a mio padre sono cresciuto in mezzo al jazz. Ero un piccolo “disadatto” che comprava dischi della Ecm, delle cose del tutto inappropriate per un teenager. I miei ascolti sono sempre stati vari ma intorno agli anni 80 mi è arrivato di rimbalzo quello che musicalmente stava succedendo in Inghilterra: mi ricordo la prima volta che ho sentito il primo disco dei “808 – Ninety” mi ha cambiato la vita. C'era molte cose della club culture che m'interessavano ma i miei ascolti sono sempre stati molto vari. A: Parliamo del tuo lavoro come giornalista musicale: come e quando hai iniziato? Come si è sviluppata la tua carriera? Ci sono stati dei momenti più o meno positivi? D: Ho sempre sperato di fare il giornalista, ma mi sono ritrovato a fare il giornalista musicale un po per caso perché avevo scritto degli articoli di cronaca in realtà per un giornale veronese, e nel momento in cui avevo iniziato a scrivere degli articoli l'editore aveva deciso di chiudere le pubblicazioni. Sembrava già un segno del destino. Negli anni 90 poi c'è stato un momento bizzarro in cui il rap italiano era nato ed era diventato molto interessante, ed io me ne interessavo in modo abbastanza atipico poiché mi interessava molto come fenomeno pur non facendone strettamente parte, però sono arrivato a conoscere diverse persone della scena hip-hop veronese, essendo io originario di Verona con genitori serbo-croati, ci siamo conosciuti e dopo poco stavo già facendo una programma radio con loro come conduttore . Poi hanno commissionato un libro sul dj del gruppo a cui ruotavo, lui aveva smistato la pratica a me poiché io mi occupavo delle cose riguardanti le cose da scrivere, ho fatto un articolo per una rivista di culto per la scena hip-hop italiana, l'articolo inspiegabilmente piacque, sono andato a Milano, ho passato tre ore a spiegare loro che questo articolo non faceva al caso loro perché non ero un purista hip-hop. A: Cercavi addirittura di distanziarti. D: Esatto! Tre ore passate a dire che io non facevo al caso loro. A: Mentre loro invece volevano te come giornalista. 19
  • 20. D: Si! Alla fine hanno vinto loro e così inizia a scrivere. Erano comunque altri tempi dove quando iniziavi a scrivere per un giornale musicale c'era un compenso mentre adesso non è più così perché le vendite sono crollate e la torta si è ristretta di parecchio. Ad esempio Rumore (Ndr. Magazine musicale) che era il mio mensile preferito, quando io ho iniziato a scrivere di musica su Aelle vendeva fra le 15.000 le 20.000 copie mensili, in questo momento proprio come gli altri giornali musicali si è arrivati ad un massimo di 4.000 copie mensili. All'epoca ho potuto credere che scrivendo di musica mi sarei potuto mantenere. Faccio fatica a ricordare il momento in cui ho pensato davvero che questo poteva diventare il mio lavoro. Ma ad un certo punto è successo scrivevo su Aelle, poi hanno chiuso ok, ma poi hanno aperto un altro giornale, altri giornali ancora mi hanno chiamato e all'improvviso mi sono ritrovato a Milano come giornalista musicale free lance. Dopodiché piano piano c'era una crisi dell'editoria che stava diventando sempre più micidiale, ed ho avuto boh, forse la fortuna un minimo d'intuito nel capire che non ci si poteva mantenere di sola scrittura e giornalistica musicale A: Così hai iniziato a guardarti un po intorno. E l'incontro con la Red Bull? D: Si, ho iniziato a guardarmi un po attorno e sono successe un po di cose. Sono stato contattato da Red Bull nel 2002, ma solo in qualità di giornalista musicale. Un aneddoto molto divertente fu quando mi avevano contattato nel 2001, perché volevano mandarmi alla Red Bull Music Academy di New York: avevano comprato i biglietti, ed io col mio biglietto in mano, tutto emozionato di andare a New York. Sai ero ancora molto giovane non solo lavorativamente, peccato che dovevo partire per New York il 14 Settembre 2001 e tre giorni prima era giusto successo qualcosa. A: Che sfortuna! E quindi? Quindi niente più New York, niente Academy, però se non altro sono rimasto simpatico alle persone che allora si occupavano del reparto marketing culture di Red Bull e quando poi l'Academy si è svolta a Roma nel 2004 si sono ricordati di me, mi hanno richiamato, e mi hanno chiesto di occuparmi del sito italiano di Red Bull, dove il mio compito era quello di fare una specie di riassunto in italiano di quello che veniva postato dal sito ufficiale dell'Academy. A: Ed è da li che hai iniziato ad essere l'interfaccia italiana per Red Bull. D: Non specificatamente, poiché in quel momento l'interfaccia vera a e propria dell'Academy era Alioscia Biseglia dei Casino Royale. I Casino Royale sono sempre stati attenti a quello che succedeva nel clubbing inglese e quindi era il tipo di attitudine che andava bene all'Academy. Ah una cosa molto importante, adesso tutti conoscono l'Academy ed è particolarmente conosciuta nella scena odierna, ma devi tenere conto che in quegli anni 20
  • 21. li, invece la conoscevano in pochissimi. A: Era come una sorta di entità che si è allargata e scoperta poi negli anni? D: O non si capiva cos'era, o era il solito marchio che tenta di fare delle cose con la musica, e quindi era difficile provare a spiegare di cosa si trattasse. Comunque, nel 2004 inizio a scrivere, va molto bene questo rapporto di lavoro e già l'anno successivo entro a far parte della squadra degli esterni culture marketing. Io insieme ad Alioscia Biseglia eravamo un po' i punti di riferimento. Li c'è stato un lavoro lungo anni, si sono succeduti anche altre persone all'interno del culture marketing di Red Bull. Devo dire che la cosa che mi fa anche molto sorridere, è che si sono alternate le persone, anche in altri dipartimenti se ne sono aggiunte altre ecc. e io sono pur da esterno, come una memoria storica dell'azienda sulle cose di musica e sopratutto sulle cose dell'Academy. Magari anche per disperazione, ma quando arrivavano delle nuove persone sapevano che mi ero occupato di certe cose quindi chiamavano me. A: Si sono sempre fidati di te e delle tue conoscenze? D: La cosa buona è che il mio profilo professionale negli anni è migliorato, sono diventato abbastanza un punto di riferimento dell'elettronica, sono diventato la prima firma di tutta la musica elettronica del Mucchio, uno degli storici giornali di musica italiana. Diciamo che questo ruolo mi dava anche un po di credibilità. E fra le linee guida dell'Academy, le varie linee guida che la Red Bull Music Academy devono seguire, quando si tratta di Academy dovete trovare dei cosiddetti Mr X: delle persone che non facciamo parte dell'azienda ma che siano molto credibili all'interno della scena. Stiamo parlando di come va organizzato il lavoro dell'Academy nelle varie nazioni. Perché l'Academy non so se questo l'hai affrontato, ed è bene spiegarlo subito: l'Academy non è stata tecnicamente fondata dalla Red Bull. L'Academy è stata creata da un agenzia tedesca che si chiama Yadastar che aveva sottoposto quest'idea ad un dirigente Red Bull. L'azienda Red Bull si è innamorata del progetto Academy e contrariamente a quello che fanno tutti gli altri marchi nella musica, lo ha finanziato a lungo termine e sopratutto il mandato a Yadastar è sempre stato: “Fregatevene della quantità quello che conta è la qualità.” “Quello che mi piace del progetto che mi avete presentato” sono le parole parafrasate di Dietrich Mateschitz il fondatore di Red Bull, “E' che una cosa che viene fatto esclusivamente per soddisfare quelli che sono i veri appassionati di musica. Quelli che comunicano il concetto di realtà di vera dedizione, persone che sono credibili.” A: Tutto ciò sfugge a qualsiasi tipo di moda passeggera o genere. Un progetto profondamente attaccato alla musica no? 21
  • 22. D: E' un progetto che sopratutto nei primi anni, quando era ancora poco conosciuto, era la classica cosa che piaceva molto ai giornalisti musicali. A: Ad una sorta di élite della musica? D: Esatto, e non era una cosa che ti aiutava a radunare più persone all'interno di una serata. Assolutamente. Quando c'è stato il grande momento dell'esplosione della minimal-techno in Italia, quello era il genere musicale meno rappresentato e meno amato all'interno dell'Academy. Sono stati portati avanti degli artisti che non erano nel loro periodo migliore, non radunavo grandi persone quando facevano le serate e quindi è stato un modo di ragionare molto atipico. Anche all'interno dell'azienda, ti parlo di Red Bull Italia perché è la realtà che conosco, c'erano gli altri dipartimenti che chiaramente non sapevano niente di musica, dicevano: “ Vabè noi dobbiamo vendere lattine nei locali.. cosa possiamo fare nelle serate dance? Ah si c'è l'Academy che si occupa di musica elettronica!” E quindi chiedevano di fare delle serate Academy sopratutto prima, ora questo problema non c'è più perché le cose son cambiate, ma prima quando l'Academy era sconosciuta, fare una serata Academy significava fare un nome molto bello, che sarebbe costato moltissimo rispetto alle persone che portava. E quindi il locale non sarebbe stato contento, perché avrebbe pagato tanto un artista che avrebbe radunato cento persone e lasciato il locale mezzo vuoto. A: Quindi era qualcosa che andava contro qualsiasi logica commerciale? D: Esattamente! Questo è stato un investimento a lungo termine, e deve esserlo, perché nel mecenatismo da parte delle aziende, io non ci credo. Non esiste azienda che faccia da mecenate. Esistono le fondazioni, esistono i proprietari, le singole persone ma un azienda deve pensare al profitto. E' una forma molto intelligente di investimento perché a furia di fare queste cose palesemente non commerciali, la credibilità dell'Academy è diventata enorme. Io credo e non credo di sbagliarmi, che non esista un progetto legata alla musica da parte di un brand, con questo tasso di credibilità forse neanche con questa anzianità. A: Credibilità, lungimiranza e controtendenza possono essere le parole chiave. D: La cosa che non viene sempre detta è che l'Academy non è un classico marchio. Perché la cosa abituale che tu fai ad una serata, chiami uno sponsor, lo sponsor arriva li e ti mette il marchio. L'Academy proprio secondo precise guide lines che arrivano dalla sede centrale di Red Bull mette invece becco nei contenuti, se tu vuoi il marchio Academy avrai i soldi, perché giustamente da' dei soldi, però vuole controllare quello che è il contenuto. A: Proprio come nella serata che abbiamo fatto noi di Harmonized (ndr. Organizzazione di eventi riguardante la musica elettronica) con Theo Parrish nella serata Red Bull Music Academy. 22
  • 23. D: Esattamente. Abbiamo discusso, abbiamo tentato di capire quali erano i nomi giusti, non poteva essere un nome qualsiasi, doveva essere un nome che rientrava nel macrocosmo Red Bull Music Academy. A: Un'altra domanda che approfondisce ciò di cui stiamo parlando: in che modo secondo te Red Bull si differenzia concretamente dagli altri brand? D: Hanno ragionato su due binari. O facevano delle cose che puntavano alla massima quantità di persone raggiunte, per loro era importante avere il cosiddetto “reach”, ovvero raggiungere tante persone: l'operazione di marketing da manuale. Oppure hanno visto che questa roba di Red Bull non era così suicida, anzi. Ad un certo punto diventava un investimento che restava costante ma la credibilità che ottenevi era sempre più grande e in qualche modo si rifletteva anche sul marchio ed è per questo che Red Bull è diventato sinonimo di energy drink all'interno della club culture. Hanno visto che questa cosa funzionava ed hanno iniziato a fare delle brutte copie, scopiazzando, ma la differenza sai qual'è? Red Bull ha portato avanti l'Academy per un sacco di anni anche quando non importava a nessuno, gli altri marchi dopo due anni si stufavano. Dicevano “Eh abbiamo fatto questo sito, non lo fila nessuno e abbiamo fatto quest'operazione però non abbiamo avuto abbastanza feedback da parte dei consumatori”. A: Diciamo che forse volevano raggiungere quel traguardo che Red Bull s'è guadagnato negli anni,attraverso quelle parole chiave di cui parlavamo prima, come l'investimento a lungo termine. Forse non avevano capito che se uno vuole fare un tipo di discorso impostato sopratutto sulla qualità, per ottenere dei buoni risultati , ci vuole del tempo. D: Esattamente, i risultati immediati non arrivano se punti sulla qualità, il risultato immediato non è mai quello che speri. Io sono sempre più convinto di questo. Devi costruire il terreno per rendere fruttifera la qualità ed è comunque un lavoro che porta via degli anni. Infatti adesso l'Academy è un marchio forte, ti racconto l'esperienza degli ultimi anni e delle serate Fuori Classe (Ndr. Serie di eventi in cui si esibiscono oltre a grandi artisti alcuni partecipanti italiani delle precedenti edizioni Red Bull Music Academy). E' un progetto molto interessante perché la prima volta che l'abbiamo presentato, era la prima volta che il reparto del Culture collaborava con quelli del reparto Vendite, quindi due reparti che solitamente non si parlavano fra di loro, perché le vendite giustamente riguardano l'andare nei bar, vendere lattine, trova gli accordi commerciali ecc. mentre quelli del Culture erano la poesia, la qualità ecc. S'è trovato il modo di combinare le due cose, però all'inizio è stato difficile. Per primo spiegare internamente all'azienda cos'è l'Academy, che non era la serata dance: non è che arrivava il dj dell'Academy e tutti erano contenti. Le persone che sono in linea con l'Academy hanno bisogno di un pubblico che sia un minimo particolare, un minimo esperto, un minimo ricercato. Non tantissimo ma un minimo. 23
  • 24. A: Quindi c'è anche un' aspetto legato non solo alla quantità dei partecipanti ma anche e sopratutto alla qualità delle persone che assistono alle serate Red Bull Music Academy. Viene fuori una sorta di selezione non credi? D: E' una cosa che viene in automatico, perché quando proponi un certo tipo di musica la selezione viene da se. Esattamente come quando si è fatto One Festival powered by Red Bull Music Academy al Cocoricò, la gente è stata molto diversa rispetto ai sabati normali del locale. A: Ritornando un attimo al legame tra te e Red Bull, nello specifico qual'è il tuo ruolo all'interno dell'Academy? D: Il mio ruolo essendo un supposto conoscitore di musica nonché uno che frequenta la scena, quindi conosce i locali che tipo di profilo hanno che tipo di pubblico hanno, è valutare che le proposte musicali fatte insieme ai locali, rientrino in quello che è lo spirito musicale dell'Academy. Il mio ruolo è questo. La cosa buona è che dentro un azienda ci sono persone, e c'è una struttura che ha avuto l'umiltà di capire “Io non posso essere un super esperto di musica chiamo un esperto di musica di cui mi fido”. A: Dopo aver descritto la struttura del marchio, voglio chiederti: che tipo di contributo Red Bull Music Academy può offrire, o ha già offerto, alla scena musicale odierna? D: Per anni è stato una delle poche strutture che in vari modi o direttamente o indirettamente o tramite le varie sedi nazionali di Red Bull, che organizzavo eventi Academy, ha offerto delle date ad artisti di qualità. C'erano alcuni artisti che non avevano bisogno di Red Bull: Carl Craig non aveva di certo bisogno di Red Bull. Altri artisti, non sto a dirti quali perché non è elegante, comunque sia sai fare una data ogni due mesi gli consentiva di andare avanti. Poi, il fatto di insistere e di portare avanti questo tipo di linea musicale è stato importante per mettere un certo tipo di club-culture sulla mappa,un certo tipo di club culture qualitativa dal punto di vista musicale sulla mappa. Ma non è stato solo questo. Non è che Red Bull adesso ha portato la qualità della musica, no. A: Anche perché come ho sottolineato precedentemente nella descrizione riguardante la Red Bull Music Academy, una delle prerogative è senz'altro quella di non identificarsi come un talent show o format analoghi. Approfondiamo questo aspetto. Perché e in che modo si differenzia? D: E' molto semplice. Quello che dico sempre, uno dei miei compiti è anche girare per varie realtà italiane e spiegare cos'è l'Academy. Conoscendola bene, vado in giro e parlo con promoter, potenziali applicant dell'Academy, dj producer in gamba e tento di spiegare cos'è. Ed una delle prime cose che dico non è un talent show, non si vince nulla, non si vincono 24
  • 25. soldi, non si vincono contratti discografici, non si vince esposizione mediatica, al massimo il tuo nome inizia a circolare quando bisogna fare delle serate Academy magari ti chiamano, ma non è una regola,è assolutamente casuale. E in questo è completamente diverso da un talent, non c'è nessun traguardo concreto finale. Quello che viene offerto sono quindici giorni e sta ai selezionati saper sfruttare questi quindici giorni. Sono quindici giorni in cui sei a stretto contatto con un grandissimo numero di personaggi incredibili della musica e lì se vai sul sito li trovi. Però sta a te che sei stato selezionato, saperla sfruttare. Red Bull non ti darà nulla. Alla fine di questa esperienza l'unica cosa che ti da dal momento in cui sei selezionato, ti paga il viaggio, ti paga il vitto e l'alloggio durante le due settimane di permanenza all'Academy. Tolto questo, finita l'Academy, Red Bull non ti darà niente. A: Ti da dei mezzi per poterti ispirare. D: Ti da essenzialmente quello. Poi certo mette su gli studi di registrazione, hai tutta una tecnica a tua disposizione, ma è l'ispirazione. L'esempio che faccio sempre, nella prima Academy che ho visto nel 2004 a Roma, uno dei lecture era Bernard Purdie, uno degli storici batteristi di James Brown. Divertentissimo da ascoltare, ma appena finita la lecture, lui è andato negli studi, c'era una batteria e dice “Dai ragazzi venite, campionatemi! Di che tipo di riff hai bisogno?” eseguiva un break di batteria e faceva “Dai campiona!” e un ragazzo poteva costruire una sua traccia col campionamento in diretta fatto apposta per lui dal batterista di James Brown. Questo è l'esempio perfetto per dire cos'è l'Academy. A: Damir, immagina ora di spiegare in poche parole ad una persona che non ha mai sentito parlare di Red Bull Music Academy, in cosa consiste. D: Una università temporanea della musica dove arrivano i più grandi docenti mondiali. Inizialmente una cosa molto legata alla club culture, le prime edizioni erano così, mentre oramai è diventato un affare musicale a trecentosessanta gradi. Anzi i dj sono diventati rarissimi fra i selezionati. Vogliono producer, vogliono cantanti, vogliono strumentisti. Sta virando sempre più verso la musica a trecentosessanta gradi. A: Dunque si sta allargando sempre di più D: Magari sempre con l'approccio di uno che è prima di tutto appassionato di club culture, però appassionato nel profondo: quindi la storia, il funk, il soul, il jazz. Non è il programma televisivo “Top Dj”. E' l'opposto. L'Academy non crea in nessun modo persone famose e anche in questo è un operazione di un brand che è radicalmente diversa a altre operazioni simili da parte di brand. A: Come si struttura l'application, ovvero la candidatura che un probabile partecipante invia alla Red Bull Music Academy? 25
  • 26. D: Un pdf di quindici pagine, con delle domande che sembrano essere tirate fuori dal test per fare il militare. Domande molto bizzarre come: “Se vieni invitato a cena dai genitori del tuo fidanzato, quale disco porti in regalo?” Quindi ecco delle domande molto bislacche, perché vogliono proprio indagare una persona a trecentosessanta gradi. Ed anche lì entra in gioco il concetto di qualità che non è solo quanto sei bravo, ma quanto sei aperto quanto puoi ricavare da un esperienza come l'Academy. Devi essere uno estroverso, devi essere un tipo creativo non solo nella musica, devi dimostrare di essere sveglio, di saper parlare bene l'inglese. Queste application vengono valutate da un team di esperti in Germania, e poi vengono selezionati sessanta ragazzi in tutto e poi vengono stilati dei report specifici nazione per nazione. A l'Italia una cosa che viene riconosciuta è che negli ultimi sei o sette anni è molto cresciuta la qualità media dell'application: scritte meglio,fatte da persone che amano molto più musica di qualità. All'inizio arrivavano molte application di gente che, appunto vedeva l'Academy come un modo per diventare famosi, come nel classico stereotipo del dj tech-house che utilizza la Red Bull per diventare famoso. E invece per dire, quando la dubstep aveva iniziato ad essere rilevante per i veri esperti di club culture, in Italia arrivavano application da parte di persone , dove quasi nessuno nominava la dubstep fra le musiche interessanti, e questo loro ce lo indicavano come un problema. Ci dicevano “Non avete cercato abbastanza bene. Dovete trovare delle persone che facciano l'application, che abbiano più qualità sotto questo punto di vista”. Il mio compito è questo è andare in giro per l'Italia a scovare ragazzi che abbiano la testa giusta, per finire dentro l'Academy. Uno che ascolta solo Cocoon che pensa solo ad un certo tipo di club culture di clubbing ecc. non è la persona adatta. A: Avrai sicuramente partecipato ad una delle tante Academy in giro per il mondo.. D: Si ho partecipato ad un'Academy, chiaramente non da ragazzo selezionato ma come osservatore e giornalista. Anzi un po come giornalista un po come interno di Red Bull, e quindi stavo solo un paio di giorni dentro l'Academy perché tutti i visitatori che siano stampa, che sia rappresentati delle varie Red Bull nazionali, stanno tendenzialmente due o tre giorni non di più. Sono stato a Roma nel 2004, a Seattle nel 2007, Londra nel 2010, e New York nel 2013. A: Ecco, prova a spiegare cosa si prova vedendo di persona quest'evento e come ci si sente essere all'interno di un progetto così particolare in quei giorni? D: E' molto divertente perché all'inizio, arrivi quando sono i primi giorni del term, la cosa che salta più all'occhio è la “nerditudine” delle persone. Sai, arrivano da tutte le parti del mondo, sono anche un po spaesati, impauriti. E sono persone per quanto un minimo estrose, sono dei musicisti quindi abituati a rimanere concentrati sui monitor con il loro strumento. Se invece arrivi gli ultimi giorni del term il ghiaccio è completamente sciolto, vedi che si sono create delle amicizie e collaborazioni molto forti fra i ragazzi e fra gli insegnanti e i 26
  • 27. ragazzi. E' una cosa sempre molto orizzontale. Quando ci sono le lectures ok, si c'è l'intervistato che è il musicista famoso, c'è un intervistatore che è uno dell'Academy e arrivano tutti dai migliori giornali musicali non solo tedeschi, però vengono incoraggiate le domande da parte del pubblico, da parte dei ragazzi presenti. E' sempre una cosa che vuole essere molto molto orizzontale. A: Ok, dopo aver parlato e discusso riguardo le specifiche parti e di come si struttura l'Academy, vorrei ora porti delle domande un po' più ampie. Cosa ne pensi del ruolo dei grandi brand all'interno della musica? D: Purtroppo sono diventati fondamentali. Nel momento in cui le persone si sono abituate a pensare la musica come un bene da ottenere gratuitamente, vengono a mancare delle forme di introito. E i brand sono gli unici che riescono a soddisfarle. E' la stessa cosa che sta accadendo nell'informazione: su internet abbiamo le notizie gratis, ma i siti gratis come si reggono in piedi? Finché ci sono le inserzioni. Quindi il brand diventa quasi editore sotto certi punti di vista, e lo trovo un corto circuito molto pericoloso che a me non piace, mi adeguo perché non posso fare altrimenti ma come giornalista, e come persona che osserva i fenomeni culturali è una cosa che personalmente non apprezzo e la trovo molto molto pericolosa. E anche diseducativa perché la musica secondo me ha un valore e se una cosa ha un valore si paga. Direi che è un male necessario che però può essere svolto bene. A: Nel terzo capitolo della mia tesi cito una riflessione da parte di due sociologici, Goldman e Papson, in cui riferendosi alla cultura giovanile, asseriscono che movimenti sociali e culturali come il punk o l'hip-hop non sarebbero quello che sono se non fossero stati così sfruttati. Cosa ne pensi del confezionamento musicale da parte dei brand o delle cosiddette major? D: Per come è strutturata la nostra società qualsiasi movimento artistico se vuole sopravvivere deve essere “sfruttato”. O almeno deve interagire con i marchi. Ben venga se c'è qualcuno che riesce a farne a meno, però è diventato sempre più difficile, quasi impossibile. A: Quali saranno secondo te nel futuro i nuovi sviluppi di questo sodalizio tra musica e grandi marchi ? D: Se continua ad esserci questo tipo di rapporto, ed io parlo contro i miei interessi,la speranza è che i grandi marchi capiscano l'importanza della qualità e della competenza. Che non abbiano la presunzione, di poter decidere loro cos'è figo e cosa no. Purtroppo succede spesso che un direttore marketing che vuole operare nel campo della club culture per il fatto che a lui piace un determinato tipo di serata, per lui quello è il massimo della qualità. E' una percezione che è completamente distorta. Io vedo che negli investimenti dei marchi, sopratutto nel campo della club culture, spesso sono imprecisi rispetto a quelle che 27
  • 28. sono le finalità dell'investimento. Non dico sbagliate, però vogliono ottenere un certo tipo di cose e secondo il mio umilissimo parere, certe volte dovrebbero investire in modo diverso e fidarsi meno di se stessi, e più di persone che operano in quel settore. A: Giungiamo alla fine di questa intervista domandandoti se la Red Bull Music Academy può rappresentare una forma di music branding sostenibile? Ovvero che sia in grado di mantenere in equilibrio il rispetto ed il valore artistico per la musica, e gli attributi insiti nel brand. D: Per adesso si. Per me è difficile dirlo, perché vado in giro parlo dell'Academy ne parlo bene, ma è veramente così. Però ci metto la mia faccia nel parlare bene di una cosa che ha un marchio dietro, ed è molto molto rischioso. D'altro canto se non ci credessi, se non avessi toccato con mano, non lo farei. Perché uno dei pochi patrimoni che io ho, è la credibilità. Esattamente come uno dei patrimoni che ha l'Academy è la credibilità, vale anche per me come singolo, quindi per ora ci troviamo bene anche per questo. Poi se l'Academy cambia, magari cambierò anch'io e diventeremo entrambi avidi e penseremo solo al successo oppure si separeranno le strade. A: Benissimo. Damir grazie davvero per avermi concesso quest'intervista. D: Figurati! E' stato un piacere! 28
  • 29. 5. Conclusioni L'obiettivo della mia ricerca è stato quello di elaborare una sorta di excursus, seppur breve, di quello che è stata la connessione tra il mondo della musica e quello del marchio e del brand, partendo da delle forme arcaiche di music branding fino ad arrivare ad un nuovo tipo di presenza da parte del marchio nel campo della musica. Per arrivare a ciò mi sono servito di testi non del tutto accademici e di varia natura, i quali spaziano da materie economiche fino ad arrivare a quelle prettamente più sociologiche. Attingendo a diverse fonti sono riuscito a rielaborare e a creare sotto forma di tesi, una sorta di sintesi degli aspetti e degli sviluppi del music branding. Partendo dalle origini e dai primi usi della musica quale potente mezzo in grado di veicolare emozioni, arrivo a toccare aspetti importanti quali la pubblicità e il ruolo del suono all'interno di essa. Il punto di incontro tra marchio e musica viene spiegato a metà del secondo capitolo dove attraverso riflessioni e vari esempi, esamino in che modo le grandi aziende, intuendo il forte potere emozionale della musica, iniziano a scandagliare quei mondi fin ora mai esplorati come quello musicale. L'uso della musica, come mezzo e strumento di vendita portano i due mondi ad una vera e propria fusione, dove la parola artista musicale e il nome marchio diventano sinonimi. Si arriva perciò ad un punto di svolta in cui i brand parlano e comunicano attraverso nuovi linguaggi. Se un tempo il grande marchio, adottava strategie di marketing alquanto distaccate, ora il brand “scende in campo” adottando pratiche più inclusive. Il brand diventa il vero protagonista della scena musicale, veicolando attraverso valori quali la creatività e l'estro di giovani artisti il proprio brand identity. Sono dunque gli artisti e la loro musica gli attuali ambasciatori del marchio 2.0. L'esempio di Red Bull Music Academy rappresenta all'interno di questa tesi un punto di rottura tra un tipo di branding incentrato sull'interattività musicale ma con uno sguardo rivolto al mero profitto economico, ed una forma di music branding, da me definita, sostenibile. L'attività svolta dalla Red Bull Music Academy,negli anni passati e nel presente, viene posta nel mio elaborato come il risultato di un cammino evolutivo nella storia del legame che intercorre tra musica e grandi marchi. Attraverso le varie fonti di cui mi sono servito per spiegare al meglio di cosa trattasse la mia tesi e le parole di Damir Ivic, nell'intervista, giungo alla considerazione secondo cui al giorno d'oggi è davvero difficile escludere o non considerare questo vicendevole rapporto di coesistenza tra musica e grandi brand. Ciò non vuol dire che non si possano instaurare delle forme alternative in grado di salvaguardare la qualità e la purezza di un arte come la musica, portandole ad uno stato di mercificazione. Anzi. Il modello Red Bull Music Academy si avvicina a mio modesto avviso, ad una forma etica di branding musicale. 29
  • 30. Il voler costituire un marchio, i cui valori fondanti sono la diffusione del talento artistico, la promozione e divulgazione di una visione musicale che si distanzia da logiche commerciali, in qualche modo apre la strada ad un percorso culturalmente produttivo in cui una convivenza equa ed equilibrata tra band e brand è possibile. 30
  • 31. 5.1 Ringraziamenti Durante il bel mezzo di una cena per i festeggiamenti di una laurea , mentre stavo mangiando insieme a dei miei amici accadde un fatto che ricordo ancora. Il padre di un mio amico fece cadere la mia giacca a terra, la raccolse me la diede in mano ed io, lo ringraziai per ben tre volte. Un mio amico che era seduto difronte a me, vedendo la scena, mi fece “Guarda che non c'è bisogno che ringrazi così tante volte!”. Ecco questo fatto, per me alquanto insolito, nei giorni e nelle settimane successive mi fece pensare. Molto. Ora, vi chiederete come mai vi stia raccontando questo aneddoto, che ai molti può sembrare un fatto alquanto banale. Il perchè risiede nel fatto, che giunto al (vocabolo alquanto riduttivo per tutto quello che ha significato per me) sento il bisogno di voler ringraziare tutte quelle persone, nell'arco di questi quattro anni a Bologna, hanno contribuito a formare la mia persona, sotto moltissimi punti di vista. Tralasciando il fatto che dimenticherò di menzionare sicuramente qualcuno (e me ne scuso anticipatamente) ringrazio: La mia famiglia. Mia madre per il costante supporto, l'affetto e l'amore incondizionato che solo una persona come lei può dare. Mio padre, per avermi insegnato che quando davvero si vuole una cosa, basta guardarsi le mani. Le stesse mani con cui in passato si è affrontato mille sfide di cui molte sono state vinte. Mio fratello, per insegnarmi giorno dopo giorno che la vita è un continuo punto di vista, e cambia prospettiva e forma a seconda di cui la si guarda. Ringrazio mia Zia,mio Zio mio cugino Niccolò,i miei Nonni per tutto il sentimento e l'affetto ricevuto in tutti i miei anni di vita. Ringrazio Alessio colui che definirlo semplicemente un amico sarebbe davvero troppo poco. Una persona con cui ho condiviso ed imparato molto, moltissimo. Spero davvero di continuare a farlo. Ringrazio Minzi per la gioia e la spensieratezza che con il suo aura (non sempre :) ) positiva ha reso Aldini 3 il posto piu' bello della terra. Ringrazio, inoltre il mio amico Giacomo, poiché la buona riuscita di questa tesi non sarebbe stata tale senza di lui. Ringrazio i miei fratelli maggiori, Alessandro e Carlo. A loro devo tanto, molto.Sotto molti punti di vista. Forse non glie lo dico abbastanza ma spero capiranno. Ringrazio i miei “colleghi di lavoro” del Whp ma che sono prima di tutto amici. In particolare Enrico essersi fatto negli anni carico dei miei gialli pomeriggi domenicali, riuscendo a risollevarmi anche solo grazie ad un risotto ai porri. Ringrazio Damir Ivic per essersi reso disponibile a contribuire nella realizzazione della parte finale sulla Red Bull Music Academy. Ah! Dimenticavo! Ringrazio inoltre la mia professoressa del liceo per avermi detto che sarei stato un fiasco totale nel proseguo dei miei studi e che con buona probabilità non ce l'avrei mai fatta. A volte anche i cosiddetti grandi sbagliano. Ringrazio tutte le persone che ho incontrato e conosciuto nei club di mezza Bologna (elencarli o quanto meno provare a farlo sarebbe pura follia) tra cui Edo, il mio padre acquisito, che tanto m'ha insegnato durante le più pazze e folli situazioni passate insieme. Se ho deciso di incentrare il mio ultimo lavoro universitario, sul mondo della musica è sicuramente grazie a continue influenze (musicalmente parlando) che ho ricevuto in questi anni, frequentando posti che per me (fortunatamente o meno) era una seconda casa. 31
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  • 33. 6. Bibliografia • Richard Branson, (1997), Business Magazine • Daniel Jackson (2013), Hit Brands: How music builds value for the world's smartest brands, Palgrave MacMillan, New York • Naomi Klein (2000), No Logo, Baldini & Castoldi • Lopiano-Midsom,J.: J. De Luca, Street Trends 1998 • Lupton E., J.Abbott Miller, Design Writing Research: writing on Graphic Design , Kiosk,New York 1996 • L.Mariano (2007), Brand Imagination: le nuove frontiere della marca • Goldman R.,S.Papson, (1996) Sign Wars: The cluttered Landscape of Advertising • Christopher Vaugh, (1992), Simmon's Rush for Profits, Black enterprise Sitografia • Giuliano Benvenuti, (2014) Lo sbarco dei beatles in America: 50 anni di beatlemania, http://it.amolamusica.com/news/flashback/lo-sbarco-dei-beatles-in-america-la- conquista-di-50-anni-fa/ (data ultimo accesso: 12 Settembre 2014) • Francesco D'Amato, (2011) Brand e Neomecenatismo: i nuovi player del settore musicale http://francescodamato.typepad.com/nuova-industria-musicale/musica-e-brand/ (data ultimo accesso: 26 Settembre 2014) • Fast Company Staff, (2010) The 10 most addictive sounds in the world, http://www.fastcompany.com/1555211/10-most-addictive-sounds-world (data ultimo accesso: 3 Settembre 2014) • Red Bull Music Academy Faq, http://www.redbullmusicacademy.com/academy#FAQ • Tonik, (2012), Sound Branding: il “marchio sonoro” per il vostro brand, http://www.welovecreativity.it/sound-branding-il-marchio-sonoro-per-il-vostro- brand/ (data ultimo accesso: 5 Settembre 2014) • Marco Vangelisti, (2011), Sound Branding i suoni che fissano le emozioni per sempre, http://vangelistimarketing.com/2011/12/30/sound-branding-i-suoni-che-fissano-le- 33
  • 34. emozioni-per-sempre/ (data ultimo accesso: 10 Settembre 2014) 34