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Orizzonti Nuovi linguaggi
N
uvole intelligenti all’orizzonte.
Il cloud computing — l’utilizzo
evoluto del cloud (nuvola), oggi
generalmente usato per lo sto-
rage, cioè per il semplice stoc-
caggio dei nostri file — muove i suoi primi
passi e in attesa di guadagnare il mercato
delle aziende web oriented, quelle cioè che
utilizzano la rete per fare affari, ha già con-
quistato l’Europa delle istituzioni. L’Unio-
ne europea ha recentemente assegnato al
consorzio Cta (Cloud Team Alliance) un
bando da 14 milioni di euro in quattro anni
per l’erogazione del servizio di cloud com-
puting. Ovvero: le 52 istituzioni e agenzie
europee richiederanno alle quattro società
del consorzio (tutte made in Ue), che ope-
rano in ambito Iaas (Infrastructure as a
service, infrastrutture come servizio), la
disponibilità di server virtuali, storage e
servizi di rete avanzati. Fra i membri della
Cta c’è anche Enter, la prima, e per ora
l’unica, realtà italiana (milanese) a muo-
versi in questo settore.
Che cosa siano esattamente il cloud
computing e la virtualizzazione o come
funziona l’outsourcing dei server è qualco-
sa che sfugge a molti di noi, ignari utenti
finali che sappiamo poco o nulla di proto-
colli e di gestione dati, basta che il tutto
funzioni e sia semplice da usare. In realtà
capirne un po’ di più può essere utile per le
conseguenze inevitabili che la tecnologia,
in questo caso del web, comporta nel
mondo di tutti i giorni, influenza i modelli
di business e il «mercato» delle risorse
umane.
«Ci sentiamo degli innovatori, il cloud
computing è ancora all’inizio — dichiara a
“la Lettura” Ivan Botta, 46 anni, Ceo di En-
ter —, ma ci sentiamo anche in un certo
senso molto soli. Perché a livello di comu-
nicazione, i nostri risultati arrivano sem-
pre con una certa difficoltà al grande pub-
blico». «E dire che l’innovazione tecnolo-
gica oltre alla massimizzazione dell’effi-
cienza comporta anche concetti
filosoficamente affascinanti — aggiunge
Mariano Cunietti, 42 anni, responsabile
tecnico (Cto) della società —, per esempio
la smaterializzazione della “macchina”».
Ora, un server è un computer che, con-
nesso perennemente al web, permette a
un altro computer client di fare alcune co-
se, fra le quali andare a sua volta in rete e
gestire una grande quantità di informazio-
ni. In molti casi i server non sono più ospi-
tati nella sede aziendale — sono costosi in
borare il risultato degli altri e insieme al
proprio lavoro trasformarlo in un modello
di business. Come ha fatto Enter. «Al con-
trario dei grandi colossi, come Amazon, il
primo a sviluppare la tecnologia cloud, o
Ibm e British Telecom che come noi hanno
partecipato al bando Ue, il codice del no-
stro software è pubblico. Significa che pos-
siamo contare su una rete enorme di risor-
se con i notevoli vantaggi che ne derivano.
Senza dimenticare il fatto fondamentale
che il programma è analizzabile da chiun-
que e chiunque può verificare non solo co-
me sia fatto ma anche cosa fa».
Per pura speculazione si potrebbe pen-
sare che l’Unione europea ha deliberato in
loro favore anche perché certa di poter ve-
rificare che i propri dati non potessero es-
sere trattati impropriamente; come acca-
duto per lo scandalo Prism legato ai Big
Data, le intercettazioni a tappeto da parte
dell’Nsa, la National Security Agency statu-
nitense. Ma è solo una supposizione, men-
tre è una certezza che il corretto trattamen-
to della privacy, in un contesto open sour-
ce, sia sempre verificabile. Nel caso del
cloud l’influenza sul mercato del lavoro è
netta: «L’accendere, spegnere o potenziare
un server è cosa che il software fa in auto-
matico, mentre prima, con la sola virtua-
lizzazione, si faceva a mano. Ci pensavano i
sistemisti che ora possono dedicarsi ad al-
tri obiettivi — continua Cunietti —. E non
è detto che in un futuro molto prossimo
anche altre figure professionali possano ri-
valutarsi in tal senso».
Supponiamo che nel momento di picco,
il mio sito di e-commerce voglia modifica-
re l’investimento pubblicitario online che
si acquista tramite un’applicazione, per
esempio su Google AdWords, e supponia-
mo che possa essere il software in cloud a
decidere in base al traffico che rileva e atti-
vare l’app relativa. «In questo caso, il lavoro
del marketing sarebbe svolto dal program-
ma», conclude Botta. Non temano gli
esperti del settore, la possibilità di una
perfetta sostituzione macchina-uomo in
ambito lavorativo di cui si parla spesso (an-
che sulle pagine de «la Lettura») non è so-
stenuta da chi sviluppa il cloud. «La tecno-
logia è solo un supporto — chiosa Cunietti
—, senza il contributo e la gestione umana
può diventare anche dannosa. Parafrasan-
do una citazione del comico Arthur Bloch,
direi che errare è umano, ma per incasina-
re davvero tutto ci vuole un computer».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nuvole(intelligenti)sull’Europa
le not pets, bestiame non cuccioli, è il mot-
to bandiera del cloud computing.
La «smaterializzazione del server» la-
scia spazio all’evoluzione della mente, o
delle menti. «Il nostro prodotto, Enter
Cloud Suite, è fatto di ricerca — continua
Botta —, non siamo dei semplici rivendi-
tori di un servizio. Facciamo parte di Open-
Stack, una delle più grandi comunità di
programmatori open source del mondo.
Più di 35 mila partecipanti, ognuno contri-
buisce con il suo apporto per rendere il
software cloud sempre più perfettibile».
Non ci sono licenze, solo righe di codice
free. Ognuno è libero di riprendere o ela-
i
Arriva la traduzione in latino dell’enciclica
ecologica e finalmente uno può vedere come si
dice in quella lingua che «il riscaldamento ha
affetti sul ciclo del carbonio»: calefactio cyclum
afficit carbonii. I latinisti del Vaticano non temono
né lo «scioglimento dei ghiacci polari» —
glacierum liquatio; né «l’inquinamento prodotto
dall’anidrite carbonica» — contaminatio quam
dioxydum carbonicum facit. Ma come facevamo
a discutere di questi argomenti fino all’altro ieri?
Lo scioglimento dei ghiacci? Glacierum liquatio
{Due parole in croce
di Luigi Accattoli
SfideUnconsorziopartecipatodaunasocietàmilanesehavintol’appaltopergestireiBigDatadell’Unione.Battendoanchel’Ibm
termini di manutenzione e consumi (han-
no bisogno di ambienti condizionati, per
non surriscaldarsi) — ma sono in affitto
presso i provider di servizi internet che in
outsourcing si preoccupano di erogare, at-
traverso la propria infrastruttura, il servi-
zio necessario. E questo è un primo passo.
«Il secondo è la virtualizzazione — conti-
nua Cunietti —. Fino alla fine degli anni
Novanta esisteva un rapporto 1:1 fra softwa-
re e hardware, cioè fra il sistema operativo
o server logico e la scatola che lo ospitava,
il server fisico. Nei primi anni Duemila, la
parte logica, il software, è diventata più so-
fisticata, al punto da riuscire a “creare”, a
sua volta, una pluralità di altre unità logi-
che». Cioè, se prima serviva una macchina
intera per ospitare un solo server, ora sulla
stessa macchina se ne possono installare
molti, con una notevole ottimizzazione di
consumi e di costi sia per il provider sia per
il cliente.
E il cloud computing? «È il passo ancora
successivo. Il software cloud orchestra, go-
verna questa pluralità di server virtuali,
creandoli, spostandoli, ridimensionandoli
o spegnendoli in base al reale utilizzo, e lo
fa in maniera automatica». Quindi, se per
esempio io ho un sito di e-commerce basa-
to su un’infrastruttura server cloud, que-
st’ultima, in autonomia, regolerà la «po-
tenza» necessaria a mantenere il sito attivo
in base al traffico reale. Se di notte il sito ri-
ceverà poche visite, avrà bisogno di poca
«potenza», se in determinate ore registre-
rà dei picchi, allora la aumenterà. Io, pro-
prietario del sito e cliente di un service
provider, pagherò in base al consumo ef-
fettivo. «Internet, al contrario di quel che
si crede, è un’entità estremamente fisica,
tangibile — riprende Botta —, e richiede
infrastrutture, cavi, macchine potenti che
si traducono in costo, se si pensa all’inve-
stimento necessario e alla manutenzione».
Quello che sta succedendo ora è che
questa fisicità si sta gradualmente ridu-
cendo, «quello che offriamo — continua
Cunietti — è un utilizzo sempre minore
della “macchina” a favore del software».
Software is eating the world, dicono gli
smanettoni, il software si mangerà il mon-
do: «I server fisici diventano sempre più
ferraglia indistinta, o commodity, perché
ciò che conta sono i programmi che ospi-
tano — chiarisce Cunietti —. La macchina
non è più assegnata univocamente a un
cliente e chiamata con nomignoli persona-
li, come si fa con un gatto o un cane». Catt-
Qui sotto: foto di gruppo di Enter nella sede
milanese. In basso, da sinistra: Ivan Botta e
Mariano Cunietti. A sinistra: una elaborazione del
cloud computing realizzata da Pierpaolo Barresi
durante una conferenza (www.thisisyobi.com)
di ALESSANDRA SANTANGELO
La commessa
Il bando Ue «DIGIT Cloud I»
è stato appena vinto
dal consorzio Cta
(Cloud Team Alliance,
www.cloudteamalliance.com)
composto dall’italiana Enter,
dalla francese Numergy,
dalla spagnola Gigas e da
Portugal Telecom. Ha battuto
grandi player come Ibm,
British Telecom, Atos
e Accenture. Il consorzio,
attraverso le proprie
infrastrutture dislocate
sul territorio, utilizzerà
proprio la piattaforma
italiana Enter Cloud Suite
(www.entercloudsuite.com),
il software di archiviazione
risultato dalla collaborazione
open source con OpenStack
(www.openstack.org)
La società
Ivan Botta (46 anni)
e Mariano Cunietti (42)
sono rispettivamente
l’amministratore delegato
(Ceo) e il responsabile
tecnico (Cto) di Enter
(www.enter.it). La sede
milanese si sviluppa su oltre
1.500 metri quadrati, dove,
oltre ai membri della società
(35 in sede), trovano spazio
anche realtà aziendali
(e professionali) diverse,
nella logica di coworking
(www.coworkinglogin.it).
Enter investe anche
in start up come Wemake
(www.wemake.cc), un
laboratorio di arti & mestieri
tecnologico (stampanti 3D,
taglio laser, Arduino)
e Produzioni dal Basso
(www.produzionidalbasso.
com), prima piattaforma
di crowdfunding italiana
L’open source delle «cose»
Non solo software,
la modalità collaborativa
e free dell’open source si
applica anche all’hardware:
nella sede di Enter
si lavora al RuggedPod
(http://ruggedpod.qyshare.
com), un server che può
essere installato in esterno,
al riparo da sole e pioggia,
e può ospitare fino a otto
computer collegati
a una piattaforma
di cloud computing. Il cubo in
alluminio viene riempito con
olio organico dielettrico (ed
ecologico) che grazie a una
pompa di ricircolo sposta, per
convezione, il calore verso le
pareti. Il rivestimento «a nido
d’ape» (brevettato) consente
di dissipare grandi quantità
di calore senza l’ausilio di
condizionatori, come invece
avviene in tutti i datacenter
(le «stanze» dove
alloggiano i server fisici),
consentendo un risparmio
del 30-40% nel consumo
di corrente complessivo
L’evoluzione della spam
I finti ascolti
intasano Spotify
N
ata come flusso di mail
truffaldine, la spam ha
accompagnato gran parte della
storia di internet. Con lo sbocciare di
servizi come Spotify, che permettono
di ascoltare in streaming la musica,
queste comunicazioni malefiche si
sono evolute per adattarsi al nuovo
ambiente. Il sito paga agli artisti da
0,001 a 0,007 dollari per «stream»,
singolo ascolto di una traccia: la
«truffa» verte sul generare ascolti dal
nulla. È la forma «classica» di spam in
Spotify: una serie di bot creano finti
artisti che sviluppano finti brani in
grado di simulare ascolti veri. Ci sono
anche metodi più rozzi, come caricare
negli archivi del servizio tracce piene
di rumore bianco presentandole come
hit di successo; oppure inserire delle
cover mal riuscite di brani famosi
sperando nell’effetto-traino del titolo.
Tra la click fraud (truffa dei link) e la
rincorsa agli ascoltatori meno attenti,
Spotify è stata costretta a difendere il
suo modello di business, e ha
promesso di dare battaglia alla spam
musicale. Lo deve agli artisti, ma
soprattutto ai propri utenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di PIETRO MINTO