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DAGLI EDIFICI AI QUARTIERI
           ECOSOSTENIBILI



Regole e strumenti per creare ed orientare il
                 mercato




              Roma, 24 maggio 2011




                Piero Torretta
             Vice Presidente Ance
In un momento in cui gli equilibri del mercato globale sono scossi
dalle turbolenze dei paesi del nord Africa, il problema degli scambi
commerciali per l’approvvigionamento di energia da idrocarburi,
anche in conseguenza del diverso approccio sull’energia da fonte
nucleare (dopo Fukushima), ha assunto una nuova e diversa
dimensione.


Non è solo un aspetto legato alla continuità nel tempo della
fornitura di energia e della sua onerosità, ma soprattutto delle
modalità con cui sono stati gestiti i rapporti tra i paesi produttori
ed il mondo occidentale.


Attenti più a garantire gli interessi degli oligopolisti dell’energia
(molti anche a partecipazione pubblica) e degli oligarchi locali, che
non a consentire una equilibrata distribuzione delle prosperità per
la realizzazione di migliori condizioni di vita della popolazione
locale, nè per gettare le fondamenta di una democrazia profonda e
duratura (ha detto Papa Benedetto XVI “la speculazione finanziaria
senza limiti, produce effetti dannosi anche su cibo, acqua, terra”; “la
globalizzazione non ha portato ad una più equa distribuzione delle
risorse”).


Una responsabilità questa (considerata la ribadita volontà                 di
“esportare la democrazia” che giustifica gli interventi armati riparatori) di
tutti i Governi occidentali, le cui conseguenze non sono solo un alto
costo        dell’energia   (ed     il    rischio     della    discontinuità
dell’approvvigionamento), ma anche le tensioni che, a causa degli




                                                                           1
squilibri sociali, da quei territori si irradiano nei paesi limitrofi e
circostanti (un comportamento non dissimile da quello attuato da alcune
attività con lo sfruttamento del lavoro; solo che avviene lontano e si sa
lontano non è peccato).


In questo contesto l’Italia è particolarmente svantaggiata. Sia per
la sua collocazione geografica che, più di altri, la espone alle spinte
immigratorie da questi paesi. Sia per la sua quasi assoluta
dipendenza nell’approvvigionamento energetico dall’estero, che
incide ancora per l’ 88% sul consumo totale, contro il 60/65% della
media UE.


                                   ****

In questo quadro, si collocano le politiche e le strategie in materia
energetica dell'Unione Europea che, con il Piano Efficienza
Energetica 2011 (sia per ragioni ambientali, sia economiche, sia
sociali), si è posto l'obiettivo di aumentare nei Paesi Membri
l'efficienza energetica del 20% e di raggiungere un risparmio
energetico complessivo del 20% entro il 2020.

Obiettivo a cui il settore immobiliare è chiamato a concorrere con
un 27% nel residenziale e del 30% nel terziario.



Nello specifico del settore edilizio il Piano concentra la sua
attenzione su alcuni obbiettivi:




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 Stimolare le realizzazione di edifici ad alta efficienza
         energetica (passive house entro il 2020 – positive power
         entro il 2050);

     Incentivare il processo di ristrutturazione di edifici
         pubblici e privati;

     promuovere il ruolo esemplare del settore pubblico
         (anche mediante un obiettivo vincolante).

La centralità del settore delle costruzioni è rimarcata anche dal
Piano d’Azione Nazionale per l'efficienza energetica presentato
nel 2007 (Piano Bersani: l’ultimo elaborato dal nostro paese) che, per il
2016, attribuiva (non si sa su quali calcoli e contando su quali
strumenti) al settore residenziale una quota di risparmio energetico
di 57.000 GWh/anno (di cui 42.000 GWh/anno per gli usi termici e
15.000 per gli usi elettrici), mentre a tutta l’industria ne attribuiva
solo 21.500 ed ai trasporti 23.000 (un obiettivo ormai difficile da
raggiungere rilevato che nei 4 anni trascorsi il settore residenziale, grazie
quasi solo al 55%, ha risparmiato non più del 10% dell’obiettivo).

Piano che, secondo la Legge "Sviluppo” del ministro Scajola del
luglio 2009 (tante leggi ma poco sviluppo) avrebbe dovuto essere
riformulato entro il 31 dicembre dello stesso anno, ma che
purtroppo ad oggi, ad eccezione della moratoria sul
nucleare, non ha ancora visto la luce.




                                                                           3
QUADRO NORMATIVO

Piani, progetti, impegni, annunci sono nel nostro paese fatti di
ordinaria quotidianità.

Il tempo    però corre ed i dati economici di questi giorni sulla
diversa velocità di ripresa dalla crisi dei Paesi Europei (con la
Germania ed i Paesi del Nord con tassi di crescita sopra il 4% mentre
l’Italia fatica a raggiungere l’1% e solo le entrate fiscali crescono ad un
tasso nordico del 4.6%) attestano che occorre cambiare passo e
dagli annunci passare alle azioni.

Non è solo un problema di risorse, anche se “senza soldi non si
cantano messe”.

E’ un problema Paese, dove il concetto di tempo è più riflessivo
che attivo, dove la centralità e l’autoreferenzialità del sistema
pubblico nelle sue funzioni sia regolatorie, sia realizzative,
condizionano il passo e la marcia di tutto il sistema economico e
sociale.

Un aspetto questo evidente nella materia che ci interessa del
risparmio e della efficienza energetica.

Alla accresciuta sensibilità al problema ha infatti corrisposto negli
ultimi 10 anni una intensa attività normativa.

                                  ****

La   Direttiva      2002/91/CE,        sulla   prestazione     energetica
nell'edilizia (che – a riprova del diverso concetto del “tempo degli altri”
dal 1° febbraio 2012 sarà sostituita dalla 2010/31/UE, approvata lo




                                                                         4
scorso anno dal Consiglio Europeo), ha rappresentato il punto di
partenza del quadro normativo Europeo e Nazionale.

Con la Direttiva 91/2002 sono stati individuati una serie di
strumenti che gli Stati membri avrebbero dovuto adottare
come:

- delineare un quadro generale delle metodologie di
  calcolo dei consumi;

- curare la diffusione della certificazione energetica;

- promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili;

- curare l’informazione degli utilizzatori.



L'Italia ha recepito la Direttiva con il D.Lgs 192 del
settembre del 2005 (tre anni dopo la pubblicazione della Direttiva)
delegando il Ministero dello Sviluppo Economico per la
definizione delle modalità attuative.

Nel 2006, cambiato il Governo, anziché promulgare i decreti
attuativi previsti dal D.Lgs 192, è stato approvato il D.Lgs 311 con
cui sono stati apportate modifiche al 192, ridefinite le deleghe al
Ministero dello Sviluppo Economico e definiti nuovi tempi per i
decreti attuativi.

Deleghe che ancora oggi, dopo 5 anni,        non sono però state
ancora completamente attuate (il tempo è sempre una variabile
indipendente).




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Infatti, mentre solo a metà del 2009 (dopo circa 4 anni dal
D.Lgs 192/05 e 7 anni dalla Direttiva 91/2002) sono stati emanati i
decreti attuativi sui criteri di calcolo dei consumi e le linee guida
nazionali per la certificazione energetica, ancora nulla è stato
definito sui requisiti professionali ed i criteri di indipendenza dei
certificatori energetici (elemento essenziale per la “governance”
dell’efficienza energetica degli edifici).

Un ritardo che ha giustificato, in virtù della competenza
concorrente del titolo V, il protagonismo legislativo delle Regioni e
che, in spregio alla raccomandazione della Commissione di
“delineare un quadro generale”, ha creato sul territorio nazionale
un quadro applicativo a “macchia di leopardo”, con differenze e
contraddizioni tra le regole nei diversi territori regionali (sia nei
metodi di calcolo, sia nelle modalità di classificazione, sia nella gestione
dei certificatori abilitati).

Una situazione che (soprattutto in alcune Regioni), ha gratificato la
politica e la burocrazia in una corsa al protagonismo
legislativo ed ai premi di merito, (la stessa miopia dei manager
che rincorrono i risultati a breve termine per le stock option) ma non ha
certo contribuito alla chiarezza ed alla corretta informazione, sia
degli operatori economici, sia degli utenti consumatori.

Una situazione che non ha certo stimolato investimenti ed
innovazioni di prodotto, che è una delle ragioni del diverso
passo del tasso di crescita del nostro paese rispetto alle economie
dei paesi del Nord Europa (una situazione che, di converso spiega la
centralità della normativa DIN nel mercato tedesco!).




                                                                          6
****

“Per funzionare i mercati hanno bisogno di regole, ma di regole
che funzionino e diano il giusto incentivo all’attività economica. La
regolamentazione intelligente è una regolamentazione di qualità,
ma anche una regolamentazione che non grava le imprese ed i
cittadini di inutili oneri amministrativi ed impone costi di conformità
eccessivi” Rapporto Monti sulla “strategia per il mercato unico”.

Un contesto normativo chiaro, univoco, tempestivo, che
fornisca riferimenti ed indirizzi certi a tutti i soggetti coinvolti è una
condizione imprescindibile per qualsiasi attività economica.

Nessun mercato può funzionare senza regole (“senza regole non
cantano i mercati”) ed i rallentamenti ed i ritardi nella loro
definizione fanno solo il gioco dei furbi, a danno degli operatori
economici corretti e soprattutto a danno dei consumatori e degli
utenti (“l’operar senza regole è il mestiere più difficile e faticoso
del mondo” A. Manzoni).

Per questa ragione, ma soprattutto per renderla impermeabile alla
politica degli interessi, già nel lontano 1985 il Consiglio Europeo ha
definito la strategia del “nuovo approccio” con cui, facendo proprio
il principio della definizione delle norme “dal basso” (dal mercato e
da tutti coloro che ne hanno interesse), ha affidato all’ente Europeo
della normazione tecnica CEN-CENELEC il mandato di disciplinare,
(con la partecipazione di tutti gli enti di normazione nazionali)   tutti gli
aspetti per i quali vi era necessità di “armonizzazione” tra i diversi
paesi membri.




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Le potenzialità della normazione tecnica (nazionale-comunitaria-
internazionale), non è però molto conosciuta nel nostro Paese,
spesso arrocato su posizioni di difesa di particolarismi ed interessi
di parte e di pochi (spesso anche solo delle burocrazie che anziché
strumento di autoregolamentazione del mercato lo vedono come
momento di sottrazione di competenza e di potere).

Quanti politici, quanti burocrati, quanti uomini di associazione,
quanti imprenditori sanno che cos’è il “nuovo approccio”:

Quanti conoscono i documenti della Commissione Europea sulla
Normazione Tecnica e sulle potenzialità dello “standard” per la
definizione dello stato dell’arte, quale punto di confronto per la
concorrenza e punto di partenza per la competitività e
l’innovazione.

In un recente incontro il Segretario Generale dell’ISO, Bob Steel,
ha ricordato come il valore dello “standard” per l’economia
sia superiore a quello dei brevetti; come in una economia
competitiva lo “standard” aumenti il PIL dell’1% e che da uno
studio sui benefici della normazione è risultato che lo “standard”
garantisce il 50% delle vendite ed il 20% dei margini
operativi nelle attività che vi fanno riferimento.

Dati e valutazioni confermate nello stesso incontro da Giorgio
Squinzi (MAPEI) che ha affermato come le “regole” sono, al pari
della concorrenza e di un burocrazia efficiente, elemento
fondante della competitività, che la concorrenza sul prezzo ha
il respiro breve e che la norma e lo “standard” servono a
definire la “competizione della intelligenza”.




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Indicazioni e suggerimenti di cui tener conto se si vuole che la
“norma” sia uno strumento al servizio del mercato, della
competitività e del merito, così come sia strumento per la
definizione della soddisfazione delle aspettative dei consumatori e
non solo strumento di repressione degli adempimenti e di
risoluzione delle frustrazioni e delle delusioni.

                                 ****

Nello specifico del “risparmio ed efficienza energetica degli edifici”
(elementi centrali della “edilizia sostenibile”) l’Europa, molto più dei
Paesi membri, non solo gli ha dedicato una puntuale attività
normativa (sia legislativa che normativa) ma, per la sua
potenzialità a generare elevata occupazione (numericamente e
professionalmente)   ed    a   soddisfare    un     reale   bisogno   del
consumatore, lo ha classificato tra i 6 Lead Market dei
prossimi anni.

Una occasione purtroppo sino ad oggi poco o male praticata nel
nostro Paese considerato che, oltre ai ritardi ed alle contraddizioni
del quadro normativo (certificazione si, certificazione no; 55% si, 55%
no; incentivi sulle nuove costruzioni mai attuate), ancora non si ha
notizia del Piano straordinario per l’efficienza energetica che, in
attuazione alla legge 99/2009 avrebbe dovuto definire misure per
incentivare la realizzazione di nuova “edilizia sostenibile” a
rilevante risparmio energetico (gli incentivi dello scorso anno non
possono essere giudicati uno strumento efficace) e la riqualificazione
degli edifici esistenti (27 milioni di alloggi di cui più dei 2/3 con un
pessimo rendimento energetico ed una media dei consumi di 180




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kWh/mq anno per i quali - pur con tutte le titubanze del Ministro
dell’Economia - opera oggi l’incentivo del 55%).

Una situazione diversa da quella di molti altri paesi (ultima la Francia
con la legge Grenelle), che coerentemente con la politica dei “lead
market” hanno definito stimoli ed incentivi per la ripresa degli
investimenti nel settore edilizio.


STRATEGIA "EUROPA 2020" E CRESCITA SOSTENIBILE

La     Strategia "Europa 2020" dell'Unione europea si basa su
alcuni assunti:

- Sviluppare       un'economia       basata    sulla   conoscenza     e
     sull'innovazione (crescita intelligente);

- Promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle
     risorse, più verde e più competitiva (crescita sostenibile);

- Promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione, che
     favorisca la coesione economica, sociale e territoriale (crescita
     inclusiva).

Il concetto di sviluppo sostenibile si colloca nel più ampio
tema della “Sostenibilità”.

La Sostenibilità, secondo il rapporto Bruntland della Commissione
Ambiente dell’ONU, è “uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni
delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle
generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.




                                                                     10
La Sostenibilità cioè è la Responsabilità di restituire ciò
che si è ricevuto.

E’ questo ciò che congiunge la “Sostenibilità” alla “Responsabilità
Sociale” di cui lo scorso novembre è stata approvata e pubblicata
la norma UNI ISO 26000.

Un documento che rappresenta oggi il punto d'incontro più elevato
delle esigenze del variegato mondo “globale” (dai paesi occidentali, a
quelli   emergenti, a quelli in via di sviluppo), su temi quali: le
convenzioni internazionali sul lavoro; lo sviluppo delle comunità
locali; la crescita demografica; la preservazione delle risorse
naturali; la lotta alla corruzione; la concorrenza leale; i diritti
umani; la tutela ambientale.

Temi molto vari e dal contenuto problematico, considerato il
diverso punto di partenza, sia culturale che di condizioni di vita, dei
soggetti   che   hanno    partecipato   alla   sua   elaborazione   ed
approvazione.

Temi che hanno alla base l’idea che la qualità della vita di un
individuo comprende l’ambiente in cui egli vive, ma pure il livello
delle persone che vivono intorno a lui, i diritti, il sistema delle
regole ed i conseguenti comportamenti.

Aspetti tutti che, se coerentemente praticati (come dimostra la crisi
dei Paesi del Nord Africa), potrebbero costituire un utile
elemento di raccordo e riequilibrio delle situazioni nei
paesi ricchi di risorse energetiche, ma altrettanto povere di
democrazia (“su energia e materie 1° la speculazione è
inaccettabile” Benedetto XVI).




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Tutti temi che trovano la loro implementazione nel concetto di
“sostenibilità” applicato al campo delle costruzioni.

In materia di sostenibilità in edilizia esiste un'intensa attività
normativa, sia a livello internazionale (il Comitato Tecnico ISO TC 59
che elaborato norme quali la ISO 21930; ISO 15392), sia a livello
europeo (Il Comitato Tecnico CEN TC 350).

Lavori a cui il nostro paese partecipa tramite i rappresentanti
nominati dall’UNI e che, con il CEN TC 350, ha visto estendere
l’attenzione a tre diversi ambiti associati alla attività delle
costruzioni: il tema ambientale, il tema economico, il tema
sociale.

Temi cui corrispondono le dimensioni della vivibilità, della
realizzabilità, della equità sociale.

Le costruzioni infatti, nella loro attività, assorbono il 50% dei
materiali consumati nel pianeta; nel loro ciclo di vita consumano il
50% della energia, sono causa di oltre il 40% delle emissioni
climalteranti e producono oltre il 25% dei rifiuti complessivi.

Negli edifici i cittadini inoltre investono buona parte delle loro
disponibilità patrimoniali, trascorrono più del 90% del loro tempo e
gli incidenti domestici sono causa della maggior quantità di
infortuni invalidanti e di decessi (oltre 8.000 ogni anno, 1.5 volte quelli
stradali, oltre 6 volte quelli sul lavoro).

Ragione per cui lo scorso anno Ance Lombardia e Lega Ambiente
hanno dedicato uno studio alle “Città sostenibili”.




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Uno studio da cui è emerso un decalogo che si pone l’obiettivo di
“stimolare la ricostruzione delle città riqualificando, riutilizzando e
sostituendo il vecchio, densificando gli spazi urbani, sfruttando le
aree dismesse, addensando in corrispondenza dei nodi".

Temi su cui siamo tutti d’accordo, ma per i quali le “buone azioni”
sono ancora molto distanti dalle “buone intenzioni”.

Nel nostro paese infatti non servono case solo per il futuro, ma per
il presente (considerato il gap tra l’aumento del bisogno - rappresentato
dai nuovi nuclei familiari - e l'offerta di nuove case). Un dato
incomprensibile se si misura con il problema dell’invenduto e del
crollo della domanda residenziale che sta affossando il mercato
residenziale.

Nel nostro paese non servono solo infrastrutture avveniristiche,
servono interventi per riportare ad un livello di vivibilità accettabile
il patrimonio esistente ed il territorio nel suo complesso (cosa
succederebbe se il concetto di “dolo emergente” della sentenza Thissen
fosse applicato ai Sindaci che non riparano i buchi nelle strade a causa
del patto di stabilità).

Il controsenso delle politiche di oggi è che, il nostro Paese, come
tutta la UE, ha bisogno di un costruito di qualità (case, infrastrutture
ambiente) per gli obiettivi della sostenibilità (ambientale, economica,
sociale) e della competitività.

Un bisogno in cui il settore delle costruzioni può essere non solo
volano e stimolo alla ripresa economica ma, in quanto settore al
centro di un interscambio di conoscenze, può rappresentare un
pilastro nelle grandi sfide sia per il risparmio energetico, sia per la




                                                                      13
produzione di energia rinnovabile, sia per l’uso dell’acqua, sia per
la salute pubblica e l’invecchiamento della popolazione.

Temi tutti che devono però essere disciplinati nei loro “standard” di
riferimento per costruire un parametro certo di valutazione e
confronto concorrenziale ed evitare dispersione di risorse ed
energie, come purtroppo sta avvenendo con il proliferare di sistemi
e metodi di valutazione e certificazione della “sostenibilità edilizia”
tra di loro disgiunti ed autonomi ("una Babele di certificazioni
energetiche con una gran confusione tra i diversi standard e tra i diversi
protocolli” titolava il Sole 24 ore del 7 maggio) .

Un sistema che contraddice le indicazioni del “rapporto Monti”
sulla   necessità    di   una     “legislazione       intelligente”,   di   una
“regolamentazione di qualità che non gravi su cittadini ed imprese
di inutili oneri e costi di conformità eccessivi”.

Un sistema che non può basarsi su un concetto astratto o
autodefinito dai certificatori, ma che deve rientrare nel “sistema di
garanzia della qualità” per cui qualsiasi certificazione di prodotto o
di processo deve trovare riferimento in una norma tecnica
condivisa (elaborata, approvata, pubblicata dagli enti di formazione
riconosciuti – uno per ogni paese ed uno per                  tutta l’Europa),
essere certificato da ente terzo accreditato per quella funzione ed
attività dall’ente unico di accreditamento nazionale.


LE ENERGIE RINNOVABILI

Il D.Lgs 192/05, in attuazione alla Direttiva 91/2002, prevedeva
oltre alle attenzioni sull'efficienza energetica dell'immobile, anche




                                                                             14
indicazioni riguardanti la produzione di energia termica ed elettrica
da fonte rinnovabile.

Tale aspetto, se si esclude la pantomina ideologica del KW di
energia elettrica da fonte rinnovabile per alloggio, previsto nella
Finanziaria del 2007 (mai entrato in vigore), non è stato mai
disciplinato nel dettaglio e pertanto è rimasto inattuato (se non per i
primi 4 mesi del 2011, ed anche questo e tipico della incapacità del
Paese di gestire in modo razionale ed organico il quadro delle regole)

Con il D.Lgs 28/2011 del 3 marzo 2011 sulle fonti rinnovabili, il
legislatore ha colmato tali mancanze introducendo una serie di
misure che, da maggio 2012, riguarderanno sia la produzione di
energia termica (riscaldamento, raffrescamento, acqua calda sanitaria)
sia l’energia elettrica.

Gli impegni introdotti crescono con una gradualità dal 2012 al 2017
e sono proporzionali ai fabbisogni di energia termica calcolati per
l'edificio, mentre per quanto riguarda la parte elettrica, sono
rapportati alla superficie in pianta dell'edificio stesso.

Altri sono gli aspetti interessanti e condivisibili del D.Lgs 28/2011
tra cui il riallineamento entro 180 giorni ai valori previsti dal
decreto nazionale di eventuali norme regionali e comunali in
materia di fonti rinnovabili in edilizia; il bonus volumetrico del 5%
nel caso di interventi che assicurino una copertura dei consumi in
misura superiore di almeno il 30% rispetto ai valori minimi
obbligatori.

Complessivamente quindi il D.Lgs 28/2011 è un provvedimento
coerente, attuabile, condivisibile, purtroppo definito dopo




                                                                         15
9 anni dalla Direttiva 91/2002 che lo individuava tra le
priorità.

Ed il tempo, nella effervescenza tecnologica del mercato, ha una
importanza fondamentale.


LE AZIONI DA INTRAPRENDERE

La centralità degli immobili nel perseguimento degli obiettivi di
efficienza energetica e di sviluppo delle fonti rinnovabili impongono
una azione coordinata che incida sia sulle nuove costruzioni che sul
patrimonio edilizio esistente pubblico e privato.

Una azione che si basi su strumenti regolatori tempestivi, chiari ed
applicati in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, oltre a
sistemi efficaci di incentivazione.

Vediamo alcuni esempi

Certificazione energetica

La certificazione energetica degli edifici secondo la direttiva
91/2002 è lo strumento per facilitare la diffusione della cultura
della efficienza e del risparmio energetico negli utilizzatori. Uno
strumento per creare un mercato consapevole e virtuoso nel quale
l’utilizzatore sia capace di comprendere il valore delle migliori
realizzazioni (la scelta consapevole della Direttiva 91/2002).

Il D.Lgs 192/05 coerentemente prevedeva l’obbligo di dotare
l`edificio dell’ attestato di certificazione energetica e, sia per i
nuovi edifici, sia per quelli esistenti sottoposti ad integrale
ristrutturazione,   l’obbligo   della    consegna     dell`attestato   di




                                                                       16
certificazione energetica (pena la sanzione amministrativa tra 5.000 e
30.000 euro).

L'importanza del certificato energetico è stata ribadito nella nuova
Direttiva 31/2010 UE che prevede, oltre alla consegna agli
acquirenti ed agli affittuari, che la classificazione energetica sia
anche riportata nelle pubblicità immobiliari, perché il consumatore
possa compiere “una scelta consapevole”.

Il legislatore nazionale invece, dopo l’iniziale prescrizione del D.Lgs
192/05 ha prima eliminato e poi convertito l'obbligo di allegare il
certificato al contratto, in obbligo di dotare l'immobile del
certificato, indebolendone così l'efficacia.

L'Ance ha sempre sostenuto la necessità di ripristinare gli originari
obblighi e, per facilitarne l’accesso e la divulgazione, ha proposto di
riportare il certificato energetico nella documentazione catastale
(proposta condivisa dalle Commissioni Parlamentari ma che ha trovato il
Governo contrario per ragioni di onerosità!).

Il D.Lgs 28/2011 sulle fonti rinnovabili con l’obbligo dal 1 gennaio
2012 di riportare l`indice di prestazione energetica negli annunci
commerciali, ha in parte posto rimedio a tale anomalia.

Ma l’aspetto più problematico della certificazione, ai fini
della sua efficacia per la conoscenza del consumatore, è
però il sistema di accreditamento dei certificatori, che è
affidato ad albi regionali gestiti da soggetti diversi (di emanazione e
controllo regionale) in spregio alla norma generale dell’ente unico di
accreditamento (ACCREDIA) per la certificazione e la vigilanza del
mercato




                                                                    17
Non vi è infatti alcuna ragione per cui elementi parziali del
prodotto edilizio (quali sono i “componenti” che lo costituiscono) ed
il “processo produttivo in qualità” delle imprese di costruzione
debbano      essere     certificati,    da    enti   terzi    accreditati
dall’organismo       unico     di   accreditamento         (ACCREDIA),
mentre la risultanza di tali prodotti tra loro combinati nel processo
produttivo al fine della prestazione del prodotto “risultante”, (come
nel caso del rendimento energetico), possa essere certificato da
un sistema diffuso e variegato di soggetti che difficilmente
saprà garantire il consumatore ed il produttore rispetto alle
caratteristiche del prodotto offerto sul mercato.

Un sistema che corre il rischio di trasformare la “certificazione
energetica” (come purtroppo molte situazioni di “bad certification”) da
strumento per la qualificazione del mercato ad onere ed
adempimento formale.

Ance da sempre sottolinea tale contraddizione e suggerisce di
definire le competenze e le abilitazioni dei certificatori con
riferimento alla complessità ed alla qualità del prodotto.

Per tale ragione Ance ritiene che per la certificazione dei beni
classificati in classi di alto rendimento energetico (classe A+ e A),
l’abilitazione sia riconosciuta da soggetti (organismi di certificazione,
liberi professionisti) accreditati per tale attività dall’ente unico
nazionale secondo procedure univoche, certe e verificabili, mentre
la certificazione di prodotti di classe inferiore (sia per le nuove
costruzioni sia per l’esistente), possa essere attestata da certificatori
abilitati da corsi professionali ed iscritti ad albi regionali.




                                                                       18
NUOVI EDIFICI AD ALTE PRESTAZIONI ENERGETICHE

Un edificio ad alto rendimento energetico è un prodotto
tecnicamente più complesso e più costoso nella sua realizzazione
perché richiede migliori e più selezionati componenti, migliori e più
selezionate professionalità, ma garantisce una maggior durabilità
del prodotto, un minor costo di manutenzione, minori consumi e
minor costo di gestione.

Per ridurre l'aggravio di costi per gli utenti e quindi stimolare la
realizzazione di edifici ad alte prestazioni energetiche, sono
opportuni specifici incentivi per sostenere l'acquisto di nuovi
immobili ad alta prestazione.

Una possibile soluzione (venuta meno la previsione dell’incentivo del
50% degli extra costi previsto nella finanziaria 2007 e mai resa attuativa
– poi ci si chiede la ragione delle difficoltà del mercato immobiliare) è
l'introduzione di una detrazione del 55% a favore dell'acquirente
(da applicare in misura forfettaria, su un importo pari al 25% del prezzo
di vendita) per l’acquisto di nuove costruzioni in Classe A, con la
condizione che venga ceduto in permuta un immobile “usato” che
a sua volta (entro 10 anni dall’acquisto) sia ristrutturato (anche con
demolizione e ricostruzione con aumento volumetrico) nel rispetto delle
previsioni di legge.


SISTEMI DI INCENTIVAZIONE PER IL PATRIMONIO EDILIZIO
ESISTENTE

Come già detto, quasi il 40% del consumo finale di energia è
assorbito da case, uffici pubblici e privati, negozi e altri edifici.




                                                                        19
Il potenziale di risparmio energetico non ancora sfruttato è ampio,
ma il tasso di rinnovo degli edifici è tuttavia troppo basso.

Il Programma UE "Green Building" indica riduzioni efficaci dal
punto di vista dei costi fino all'80%, con una riduzione dei consumi
della metà o di tre quarti nel caso della riqualificazione energetica
di edifici esistenti



È quindi necessario eliminare gli ostacoli ed incentivare una
efficace riqualificazione energetica degli edifici esistenti (non
escludendo di abbinare alle politiche incentivanti, politiche di vincolo ed
obbligo).

Le detrazioni fiscali del 55% hanno permesso di avviare un
processo di riqualificazione energetica, ma nei primi tre anni
applicazione, a fronte di ingenti investimenti, ha raggiunto solo il
10% dell'obiettivo di risparmio energetico fissato dal Piano
d'Azione nazionale al 2016.

La proiezione al 2020 dell'andamento dei risparmi di energia
primaria e del costo medio del singolo intervento, ottenuti dalle
elaborazioni dei dati ENEA sulle detrazioni fiscali del 55% per gli
anni   2007-2009       e   conseguiti   da   ciascun    intervento,   pari
rispettivamente a 0,007 GWh/anno e 12.600 €, permetterebbe di
conseguire un risparmio energetico complessivo pari a 22.523
GWh/anno.

Tale scenario corrisponde a raggiungere circa il 53% dell'obiettivo
fissato dal Piano d'Azione Nazionale (PAN) per il 2016, con un
investimento di circa 32 miliardi di euro.




                                                                        20
E' pertanto indispensabile:


- mantenere nel tempo la detrazione fiscale del 55%,
    puntando però a migliorarne l’impatto e la funzionalità verso
    interventi che assicurino un effettivo conseguimento di risparmio
    energetico;


- confermare a regime, per l’acquisto di abitazioni ristrutturate
    cedute da imprese, il 36% se i fabbricati sono stati oggetto di
    ristrutturazione edilizia e riconoscere l’agevolazione in caso di
    demolizione e ricostruzione non fedele.




SETTORE PUBBLICO: L'ESEMPIO DA SEGUIRE

Un esempio di grande stimolo anche per gli interventi di risparmio
energetico       sul    patrimonio        privato     potrebbe        derivare       dagli
interventi sul patrimonio pubblico, considerata                                 la    sua
dimensione e le sue caratteristiche strutturali.

Gli edifici di proprietà pubblica o occupati da servizi pubblici
rappresentano circa il 12% per superficie del patrimonio edilizio
dell'UE161.

In ambito italiano, presupponendo di intervenire su tutto il
patrimonio immobiliare pubblico con destinazione residenziale

1
  Ecorys, Ecofys and BioIntelligence (2010): Study to Support the Impact Assessment for
the EU Energy Saving Action Plan. La stima è basata sull'ipotesi di 5 m² di edifici
pubblici per cittadino, risultando in una superficie al suolo totale degli edifici pubblici
nell'UE pari a 2,5 miliardi di m² (esclusi gli alloggi sociali). La superficie al suolo
complessiva è di 21 miliardi di m².




                                                                                        21
(1.350.000 alloggi), il contributo all’obiettivo del PAN al 2016,
potrebbe essere di circa 10.000 GWh/anno, ovvero il 23% del
risparmio totale, con un investimento pari a circa 17 miliardi di
euro.

È   quindi       fondamentale   riservare   una     maggiore    attenzione
all'efficienza energetica nel settore pubblico. Attenzione che si
focalizzi sul rinnovo di edifici pubblici e incoraggi un'elevata
prestazione nelle città.

E' pertanto auspicabile prevedere un sistema di appalti pubblici che
dia l'esempio all’innovazione di prodotto e di processo ed avvii un
programma di riqualificazione energetica degli edifici.

Secondo il Piano di efficienza energetica 2011, per conseguire gli
obiettivi stabiliti nel Piano 20/20/20 e nella Direttiva 2010/31/CE
sulla prestazione energetica nell'edilizia, sarebbe opportuno che le
autorità pubbliche raddoppiassero almeno l'attuale tasso di
rinnovo,     portando      ciascun   edificio   a    migliori   prestazioni
energetiche.


LA FORMAZIONE DEL SETTORE

La transizione verso tecnologie efficienti sotto il profilo energetico
richiede     nuove     competenze     e     programmi     di    formazione
professionale che tengano conto delle nuove esigenze nel settore
dell'edilizia.




                                                                        22
Secondo      una    valutazione    dell'iniziativa    (programma     "Energia
intelligente-Europa"2). relativa alla formazione e qualificazione della
manodopera edile nel campo dell'efficienza energetica e delle
energie rinnovabili, attualmente i lavoratori qualificati sono circa
1,1 milioni, mentre per il 2015 si stima che ne saranno necessari
2,5 milioni.

E' quindi necessario:

- rafforzare le competenze di tutti gli operatori nel settore
    dell'edilizia (architetti, ingegneri, artigiani, tecnici e installatori)
    per favorire una manodopera qualificata;

- elaborare strategie per soddisfare e promuovere programmi di
    formazione efficaci.

Il D. Lgs 28/2011 sulle fonti rinnovabili ha previsto una qualifica
specifica con relativi corsi di formazione per gli installatori di
impianti alimentati da fonti rinnovabili.

Sarebbe     necessario      estendere    questo      obbligo   di   qualifica
specializzata anche agli altri operatori che non lavorano sulla parte
impiantistica ma sull'involucro dell'edificio.

E' una carenza che la stessa Commissione europea ha rilevato,
tanto da prevedere il finanziamento di un apposito progetto di
ricerca.

Una attività che, in un mercato sempre più attento alle
caratteristiche    ed      alle   performance        dei   beni,    potrebbe


2
 Ecorys, Ecofys and BioIntelligence (2010): Study to Support the Impact
Assessment for the EU Energy Saving Action Plan, pag. 34.




                                                                          23
rappresentare un vero progetto di qualificazione delle imprese,
indirizzato più alle garanzie del prodotto (da cui derivano le utilità ed i
vantaggi   del   consumatore)   più che ai requisiti soggettivi e
patrimoniali.

Una strategia che si sta dimostrando vincente per i competitor del
mercato che offrono un prodotto base (infissi, impianti, prefabbricati,
pannelli fotovoltaici, ecc.) ed offrono i servizi costruttivi come
elemento integrativo e complementare.




                                                                        24

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  • 1. DAGLI EDIFICI AI QUARTIERI ECOSOSTENIBILI Regole e strumenti per creare ed orientare il mercato Roma, 24 maggio 2011 Piero Torretta Vice Presidente Ance
  • 2. In un momento in cui gli equilibri del mercato globale sono scossi dalle turbolenze dei paesi del nord Africa, il problema degli scambi commerciali per l’approvvigionamento di energia da idrocarburi, anche in conseguenza del diverso approccio sull’energia da fonte nucleare (dopo Fukushima), ha assunto una nuova e diversa dimensione. Non è solo un aspetto legato alla continuità nel tempo della fornitura di energia e della sua onerosità, ma soprattutto delle modalità con cui sono stati gestiti i rapporti tra i paesi produttori ed il mondo occidentale. Attenti più a garantire gli interessi degli oligopolisti dell’energia (molti anche a partecipazione pubblica) e degli oligarchi locali, che non a consentire una equilibrata distribuzione delle prosperità per la realizzazione di migliori condizioni di vita della popolazione locale, nè per gettare le fondamenta di una democrazia profonda e duratura (ha detto Papa Benedetto XVI “la speculazione finanziaria senza limiti, produce effetti dannosi anche su cibo, acqua, terra”; “la globalizzazione non ha portato ad una più equa distribuzione delle risorse”). Una responsabilità questa (considerata la ribadita volontà di “esportare la democrazia” che giustifica gli interventi armati riparatori) di tutti i Governi occidentali, le cui conseguenze non sono solo un alto costo dell’energia (ed il rischio della discontinuità dell’approvvigionamento), ma anche le tensioni che, a causa degli 1
  • 3. squilibri sociali, da quei territori si irradiano nei paesi limitrofi e circostanti (un comportamento non dissimile da quello attuato da alcune attività con lo sfruttamento del lavoro; solo che avviene lontano e si sa lontano non è peccato). In questo contesto l’Italia è particolarmente svantaggiata. Sia per la sua collocazione geografica che, più di altri, la espone alle spinte immigratorie da questi paesi. Sia per la sua quasi assoluta dipendenza nell’approvvigionamento energetico dall’estero, che incide ancora per l’ 88% sul consumo totale, contro il 60/65% della media UE. **** In questo quadro, si collocano le politiche e le strategie in materia energetica dell'Unione Europea che, con il Piano Efficienza Energetica 2011 (sia per ragioni ambientali, sia economiche, sia sociali), si è posto l'obiettivo di aumentare nei Paesi Membri l'efficienza energetica del 20% e di raggiungere un risparmio energetico complessivo del 20% entro il 2020. Obiettivo a cui il settore immobiliare è chiamato a concorrere con un 27% nel residenziale e del 30% nel terziario. Nello specifico del settore edilizio il Piano concentra la sua attenzione su alcuni obbiettivi: 2
  • 4.  Stimolare le realizzazione di edifici ad alta efficienza energetica (passive house entro il 2020 – positive power entro il 2050);  Incentivare il processo di ristrutturazione di edifici pubblici e privati;  promuovere il ruolo esemplare del settore pubblico (anche mediante un obiettivo vincolante). La centralità del settore delle costruzioni è rimarcata anche dal Piano d’Azione Nazionale per l'efficienza energetica presentato nel 2007 (Piano Bersani: l’ultimo elaborato dal nostro paese) che, per il 2016, attribuiva (non si sa su quali calcoli e contando su quali strumenti) al settore residenziale una quota di risparmio energetico di 57.000 GWh/anno (di cui 42.000 GWh/anno per gli usi termici e 15.000 per gli usi elettrici), mentre a tutta l’industria ne attribuiva solo 21.500 ed ai trasporti 23.000 (un obiettivo ormai difficile da raggiungere rilevato che nei 4 anni trascorsi il settore residenziale, grazie quasi solo al 55%, ha risparmiato non più del 10% dell’obiettivo). Piano che, secondo la Legge "Sviluppo” del ministro Scajola del luglio 2009 (tante leggi ma poco sviluppo) avrebbe dovuto essere riformulato entro il 31 dicembre dello stesso anno, ma che purtroppo ad oggi, ad eccezione della moratoria sul nucleare, non ha ancora visto la luce. 3
  • 5. QUADRO NORMATIVO Piani, progetti, impegni, annunci sono nel nostro paese fatti di ordinaria quotidianità. Il tempo però corre ed i dati economici di questi giorni sulla diversa velocità di ripresa dalla crisi dei Paesi Europei (con la Germania ed i Paesi del Nord con tassi di crescita sopra il 4% mentre l’Italia fatica a raggiungere l’1% e solo le entrate fiscali crescono ad un tasso nordico del 4.6%) attestano che occorre cambiare passo e dagli annunci passare alle azioni. Non è solo un problema di risorse, anche se “senza soldi non si cantano messe”. E’ un problema Paese, dove il concetto di tempo è più riflessivo che attivo, dove la centralità e l’autoreferenzialità del sistema pubblico nelle sue funzioni sia regolatorie, sia realizzative, condizionano il passo e la marcia di tutto il sistema economico e sociale. Un aspetto questo evidente nella materia che ci interessa del risparmio e della efficienza energetica. Alla accresciuta sensibilità al problema ha infatti corrisposto negli ultimi 10 anni una intensa attività normativa. **** La Direttiva 2002/91/CE, sulla prestazione energetica nell'edilizia (che – a riprova del diverso concetto del “tempo degli altri” dal 1° febbraio 2012 sarà sostituita dalla 2010/31/UE, approvata lo 4
  • 6. scorso anno dal Consiglio Europeo), ha rappresentato il punto di partenza del quadro normativo Europeo e Nazionale. Con la Direttiva 91/2002 sono stati individuati una serie di strumenti che gli Stati membri avrebbero dovuto adottare come: - delineare un quadro generale delle metodologie di calcolo dei consumi; - curare la diffusione della certificazione energetica; - promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili; - curare l’informazione degli utilizzatori. L'Italia ha recepito la Direttiva con il D.Lgs 192 del settembre del 2005 (tre anni dopo la pubblicazione della Direttiva) delegando il Ministero dello Sviluppo Economico per la definizione delle modalità attuative. Nel 2006, cambiato il Governo, anziché promulgare i decreti attuativi previsti dal D.Lgs 192, è stato approvato il D.Lgs 311 con cui sono stati apportate modifiche al 192, ridefinite le deleghe al Ministero dello Sviluppo Economico e definiti nuovi tempi per i decreti attuativi. Deleghe che ancora oggi, dopo 5 anni, non sono però state ancora completamente attuate (il tempo è sempre una variabile indipendente). 5
  • 7. Infatti, mentre solo a metà del 2009 (dopo circa 4 anni dal D.Lgs 192/05 e 7 anni dalla Direttiva 91/2002) sono stati emanati i decreti attuativi sui criteri di calcolo dei consumi e le linee guida nazionali per la certificazione energetica, ancora nulla è stato definito sui requisiti professionali ed i criteri di indipendenza dei certificatori energetici (elemento essenziale per la “governance” dell’efficienza energetica degli edifici). Un ritardo che ha giustificato, in virtù della competenza concorrente del titolo V, il protagonismo legislativo delle Regioni e che, in spregio alla raccomandazione della Commissione di “delineare un quadro generale”, ha creato sul territorio nazionale un quadro applicativo a “macchia di leopardo”, con differenze e contraddizioni tra le regole nei diversi territori regionali (sia nei metodi di calcolo, sia nelle modalità di classificazione, sia nella gestione dei certificatori abilitati). Una situazione che (soprattutto in alcune Regioni), ha gratificato la politica e la burocrazia in una corsa al protagonismo legislativo ed ai premi di merito, (la stessa miopia dei manager che rincorrono i risultati a breve termine per le stock option) ma non ha certo contribuito alla chiarezza ed alla corretta informazione, sia degli operatori economici, sia degli utenti consumatori. Una situazione che non ha certo stimolato investimenti ed innovazioni di prodotto, che è una delle ragioni del diverso passo del tasso di crescita del nostro paese rispetto alle economie dei paesi del Nord Europa (una situazione che, di converso spiega la centralità della normativa DIN nel mercato tedesco!). 6
  • 8. **** “Per funzionare i mercati hanno bisogno di regole, ma di regole che funzionino e diano il giusto incentivo all’attività economica. La regolamentazione intelligente è una regolamentazione di qualità, ma anche una regolamentazione che non grava le imprese ed i cittadini di inutili oneri amministrativi ed impone costi di conformità eccessivi” Rapporto Monti sulla “strategia per il mercato unico”. Un contesto normativo chiaro, univoco, tempestivo, che fornisca riferimenti ed indirizzi certi a tutti i soggetti coinvolti è una condizione imprescindibile per qualsiasi attività economica. Nessun mercato può funzionare senza regole (“senza regole non cantano i mercati”) ed i rallentamenti ed i ritardi nella loro definizione fanno solo il gioco dei furbi, a danno degli operatori economici corretti e soprattutto a danno dei consumatori e degli utenti (“l’operar senza regole è il mestiere più difficile e faticoso del mondo” A. Manzoni). Per questa ragione, ma soprattutto per renderla impermeabile alla politica degli interessi, già nel lontano 1985 il Consiglio Europeo ha definito la strategia del “nuovo approccio” con cui, facendo proprio il principio della definizione delle norme “dal basso” (dal mercato e da tutti coloro che ne hanno interesse), ha affidato all’ente Europeo della normazione tecnica CEN-CENELEC il mandato di disciplinare, (con la partecipazione di tutti gli enti di normazione nazionali) tutti gli aspetti per i quali vi era necessità di “armonizzazione” tra i diversi paesi membri. 7
  • 9. Le potenzialità della normazione tecnica (nazionale-comunitaria- internazionale), non è però molto conosciuta nel nostro Paese, spesso arrocato su posizioni di difesa di particolarismi ed interessi di parte e di pochi (spesso anche solo delle burocrazie che anziché strumento di autoregolamentazione del mercato lo vedono come momento di sottrazione di competenza e di potere). Quanti politici, quanti burocrati, quanti uomini di associazione, quanti imprenditori sanno che cos’è il “nuovo approccio”: Quanti conoscono i documenti della Commissione Europea sulla Normazione Tecnica e sulle potenzialità dello “standard” per la definizione dello stato dell’arte, quale punto di confronto per la concorrenza e punto di partenza per la competitività e l’innovazione. In un recente incontro il Segretario Generale dell’ISO, Bob Steel, ha ricordato come il valore dello “standard” per l’economia sia superiore a quello dei brevetti; come in una economia competitiva lo “standard” aumenti il PIL dell’1% e che da uno studio sui benefici della normazione è risultato che lo “standard” garantisce il 50% delle vendite ed il 20% dei margini operativi nelle attività che vi fanno riferimento. Dati e valutazioni confermate nello stesso incontro da Giorgio Squinzi (MAPEI) che ha affermato come le “regole” sono, al pari della concorrenza e di un burocrazia efficiente, elemento fondante della competitività, che la concorrenza sul prezzo ha il respiro breve e che la norma e lo “standard” servono a definire la “competizione della intelligenza”. 8
  • 10. Indicazioni e suggerimenti di cui tener conto se si vuole che la “norma” sia uno strumento al servizio del mercato, della competitività e del merito, così come sia strumento per la definizione della soddisfazione delle aspettative dei consumatori e non solo strumento di repressione degli adempimenti e di risoluzione delle frustrazioni e delle delusioni. **** Nello specifico del “risparmio ed efficienza energetica degli edifici” (elementi centrali della “edilizia sostenibile”) l’Europa, molto più dei Paesi membri, non solo gli ha dedicato una puntuale attività normativa (sia legislativa che normativa) ma, per la sua potenzialità a generare elevata occupazione (numericamente e professionalmente) ed a soddisfare un reale bisogno del consumatore, lo ha classificato tra i 6 Lead Market dei prossimi anni. Una occasione purtroppo sino ad oggi poco o male praticata nel nostro Paese considerato che, oltre ai ritardi ed alle contraddizioni del quadro normativo (certificazione si, certificazione no; 55% si, 55% no; incentivi sulle nuove costruzioni mai attuate), ancora non si ha notizia del Piano straordinario per l’efficienza energetica che, in attuazione alla legge 99/2009 avrebbe dovuto definire misure per incentivare la realizzazione di nuova “edilizia sostenibile” a rilevante risparmio energetico (gli incentivi dello scorso anno non possono essere giudicati uno strumento efficace) e la riqualificazione degli edifici esistenti (27 milioni di alloggi di cui più dei 2/3 con un pessimo rendimento energetico ed una media dei consumi di 180 9
  • 11. kWh/mq anno per i quali - pur con tutte le titubanze del Ministro dell’Economia - opera oggi l’incentivo del 55%). Una situazione diversa da quella di molti altri paesi (ultima la Francia con la legge Grenelle), che coerentemente con la politica dei “lead market” hanno definito stimoli ed incentivi per la ripresa degli investimenti nel settore edilizio. STRATEGIA "EUROPA 2020" E CRESCITA SOSTENIBILE La Strategia "Europa 2020" dell'Unione europea si basa su alcuni assunti: - Sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione (crescita intelligente); - Promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva (crescita sostenibile); - Promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale (crescita inclusiva). Il concetto di sviluppo sostenibile si colloca nel più ampio tema della “Sostenibilità”. La Sostenibilità, secondo il rapporto Bruntland della Commissione Ambiente dell’ONU, è “uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. 10
  • 12. La Sostenibilità cioè è la Responsabilità di restituire ciò che si è ricevuto. E’ questo ciò che congiunge la “Sostenibilità” alla “Responsabilità Sociale” di cui lo scorso novembre è stata approvata e pubblicata la norma UNI ISO 26000. Un documento che rappresenta oggi il punto d'incontro più elevato delle esigenze del variegato mondo “globale” (dai paesi occidentali, a quelli emergenti, a quelli in via di sviluppo), su temi quali: le convenzioni internazionali sul lavoro; lo sviluppo delle comunità locali; la crescita demografica; la preservazione delle risorse naturali; la lotta alla corruzione; la concorrenza leale; i diritti umani; la tutela ambientale. Temi molto vari e dal contenuto problematico, considerato il diverso punto di partenza, sia culturale che di condizioni di vita, dei soggetti che hanno partecipato alla sua elaborazione ed approvazione. Temi che hanno alla base l’idea che la qualità della vita di un individuo comprende l’ambiente in cui egli vive, ma pure il livello delle persone che vivono intorno a lui, i diritti, il sistema delle regole ed i conseguenti comportamenti. Aspetti tutti che, se coerentemente praticati (come dimostra la crisi dei Paesi del Nord Africa), potrebbero costituire un utile elemento di raccordo e riequilibrio delle situazioni nei paesi ricchi di risorse energetiche, ma altrettanto povere di democrazia (“su energia e materie 1° la speculazione è inaccettabile” Benedetto XVI). 11
  • 13. Tutti temi che trovano la loro implementazione nel concetto di “sostenibilità” applicato al campo delle costruzioni. In materia di sostenibilità in edilizia esiste un'intensa attività normativa, sia a livello internazionale (il Comitato Tecnico ISO TC 59 che elaborato norme quali la ISO 21930; ISO 15392), sia a livello europeo (Il Comitato Tecnico CEN TC 350). Lavori a cui il nostro paese partecipa tramite i rappresentanti nominati dall’UNI e che, con il CEN TC 350, ha visto estendere l’attenzione a tre diversi ambiti associati alla attività delle costruzioni: il tema ambientale, il tema economico, il tema sociale. Temi cui corrispondono le dimensioni della vivibilità, della realizzabilità, della equità sociale. Le costruzioni infatti, nella loro attività, assorbono il 50% dei materiali consumati nel pianeta; nel loro ciclo di vita consumano il 50% della energia, sono causa di oltre il 40% delle emissioni climalteranti e producono oltre il 25% dei rifiuti complessivi. Negli edifici i cittadini inoltre investono buona parte delle loro disponibilità patrimoniali, trascorrono più del 90% del loro tempo e gli incidenti domestici sono causa della maggior quantità di infortuni invalidanti e di decessi (oltre 8.000 ogni anno, 1.5 volte quelli stradali, oltre 6 volte quelli sul lavoro). Ragione per cui lo scorso anno Ance Lombardia e Lega Ambiente hanno dedicato uno studio alle “Città sostenibili”. 12
  • 14. Uno studio da cui è emerso un decalogo che si pone l’obiettivo di “stimolare la ricostruzione delle città riqualificando, riutilizzando e sostituendo il vecchio, densificando gli spazi urbani, sfruttando le aree dismesse, addensando in corrispondenza dei nodi". Temi su cui siamo tutti d’accordo, ma per i quali le “buone azioni” sono ancora molto distanti dalle “buone intenzioni”. Nel nostro paese infatti non servono case solo per il futuro, ma per il presente (considerato il gap tra l’aumento del bisogno - rappresentato dai nuovi nuclei familiari - e l'offerta di nuove case). Un dato incomprensibile se si misura con il problema dell’invenduto e del crollo della domanda residenziale che sta affossando il mercato residenziale. Nel nostro paese non servono solo infrastrutture avveniristiche, servono interventi per riportare ad un livello di vivibilità accettabile il patrimonio esistente ed il territorio nel suo complesso (cosa succederebbe se il concetto di “dolo emergente” della sentenza Thissen fosse applicato ai Sindaci che non riparano i buchi nelle strade a causa del patto di stabilità). Il controsenso delle politiche di oggi è che, il nostro Paese, come tutta la UE, ha bisogno di un costruito di qualità (case, infrastrutture ambiente) per gli obiettivi della sostenibilità (ambientale, economica, sociale) e della competitività. Un bisogno in cui il settore delle costruzioni può essere non solo volano e stimolo alla ripresa economica ma, in quanto settore al centro di un interscambio di conoscenze, può rappresentare un pilastro nelle grandi sfide sia per il risparmio energetico, sia per la 13
  • 15. produzione di energia rinnovabile, sia per l’uso dell’acqua, sia per la salute pubblica e l’invecchiamento della popolazione. Temi tutti che devono però essere disciplinati nei loro “standard” di riferimento per costruire un parametro certo di valutazione e confronto concorrenziale ed evitare dispersione di risorse ed energie, come purtroppo sta avvenendo con il proliferare di sistemi e metodi di valutazione e certificazione della “sostenibilità edilizia” tra di loro disgiunti ed autonomi ("una Babele di certificazioni energetiche con una gran confusione tra i diversi standard e tra i diversi protocolli” titolava il Sole 24 ore del 7 maggio) . Un sistema che contraddice le indicazioni del “rapporto Monti” sulla necessità di una “legislazione intelligente”, di una “regolamentazione di qualità che non gravi su cittadini ed imprese di inutili oneri e costi di conformità eccessivi”. Un sistema che non può basarsi su un concetto astratto o autodefinito dai certificatori, ma che deve rientrare nel “sistema di garanzia della qualità” per cui qualsiasi certificazione di prodotto o di processo deve trovare riferimento in una norma tecnica condivisa (elaborata, approvata, pubblicata dagli enti di formazione riconosciuti – uno per ogni paese ed uno per tutta l’Europa), essere certificato da ente terzo accreditato per quella funzione ed attività dall’ente unico di accreditamento nazionale. LE ENERGIE RINNOVABILI Il D.Lgs 192/05, in attuazione alla Direttiva 91/2002, prevedeva oltre alle attenzioni sull'efficienza energetica dell'immobile, anche 14
  • 16. indicazioni riguardanti la produzione di energia termica ed elettrica da fonte rinnovabile. Tale aspetto, se si esclude la pantomina ideologica del KW di energia elettrica da fonte rinnovabile per alloggio, previsto nella Finanziaria del 2007 (mai entrato in vigore), non è stato mai disciplinato nel dettaglio e pertanto è rimasto inattuato (se non per i primi 4 mesi del 2011, ed anche questo e tipico della incapacità del Paese di gestire in modo razionale ed organico il quadro delle regole) Con il D.Lgs 28/2011 del 3 marzo 2011 sulle fonti rinnovabili, il legislatore ha colmato tali mancanze introducendo una serie di misure che, da maggio 2012, riguarderanno sia la produzione di energia termica (riscaldamento, raffrescamento, acqua calda sanitaria) sia l’energia elettrica. Gli impegni introdotti crescono con una gradualità dal 2012 al 2017 e sono proporzionali ai fabbisogni di energia termica calcolati per l'edificio, mentre per quanto riguarda la parte elettrica, sono rapportati alla superficie in pianta dell'edificio stesso. Altri sono gli aspetti interessanti e condivisibili del D.Lgs 28/2011 tra cui il riallineamento entro 180 giorni ai valori previsti dal decreto nazionale di eventuali norme regionali e comunali in materia di fonti rinnovabili in edilizia; il bonus volumetrico del 5% nel caso di interventi che assicurino una copertura dei consumi in misura superiore di almeno il 30% rispetto ai valori minimi obbligatori. Complessivamente quindi il D.Lgs 28/2011 è un provvedimento coerente, attuabile, condivisibile, purtroppo definito dopo 15
  • 17. 9 anni dalla Direttiva 91/2002 che lo individuava tra le priorità. Ed il tempo, nella effervescenza tecnologica del mercato, ha una importanza fondamentale. LE AZIONI DA INTRAPRENDERE La centralità degli immobili nel perseguimento degli obiettivi di efficienza energetica e di sviluppo delle fonti rinnovabili impongono una azione coordinata che incida sia sulle nuove costruzioni che sul patrimonio edilizio esistente pubblico e privato. Una azione che si basi su strumenti regolatori tempestivi, chiari ed applicati in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, oltre a sistemi efficaci di incentivazione. Vediamo alcuni esempi Certificazione energetica La certificazione energetica degli edifici secondo la direttiva 91/2002 è lo strumento per facilitare la diffusione della cultura della efficienza e del risparmio energetico negli utilizzatori. Uno strumento per creare un mercato consapevole e virtuoso nel quale l’utilizzatore sia capace di comprendere il valore delle migliori realizzazioni (la scelta consapevole della Direttiva 91/2002). Il D.Lgs 192/05 coerentemente prevedeva l’obbligo di dotare l`edificio dell’ attestato di certificazione energetica e, sia per i nuovi edifici, sia per quelli esistenti sottoposti ad integrale ristrutturazione, l’obbligo della consegna dell`attestato di 16
  • 18. certificazione energetica (pena la sanzione amministrativa tra 5.000 e 30.000 euro). L'importanza del certificato energetico è stata ribadito nella nuova Direttiva 31/2010 UE che prevede, oltre alla consegna agli acquirenti ed agli affittuari, che la classificazione energetica sia anche riportata nelle pubblicità immobiliari, perché il consumatore possa compiere “una scelta consapevole”. Il legislatore nazionale invece, dopo l’iniziale prescrizione del D.Lgs 192/05 ha prima eliminato e poi convertito l'obbligo di allegare il certificato al contratto, in obbligo di dotare l'immobile del certificato, indebolendone così l'efficacia. L'Ance ha sempre sostenuto la necessità di ripristinare gli originari obblighi e, per facilitarne l’accesso e la divulgazione, ha proposto di riportare il certificato energetico nella documentazione catastale (proposta condivisa dalle Commissioni Parlamentari ma che ha trovato il Governo contrario per ragioni di onerosità!). Il D.Lgs 28/2011 sulle fonti rinnovabili con l’obbligo dal 1 gennaio 2012 di riportare l`indice di prestazione energetica negli annunci commerciali, ha in parte posto rimedio a tale anomalia. Ma l’aspetto più problematico della certificazione, ai fini della sua efficacia per la conoscenza del consumatore, è però il sistema di accreditamento dei certificatori, che è affidato ad albi regionali gestiti da soggetti diversi (di emanazione e controllo regionale) in spregio alla norma generale dell’ente unico di accreditamento (ACCREDIA) per la certificazione e la vigilanza del mercato 17
  • 19. Non vi è infatti alcuna ragione per cui elementi parziali del prodotto edilizio (quali sono i “componenti” che lo costituiscono) ed il “processo produttivo in qualità” delle imprese di costruzione debbano essere certificati, da enti terzi accreditati dall’organismo unico di accreditamento (ACCREDIA), mentre la risultanza di tali prodotti tra loro combinati nel processo produttivo al fine della prestazione del prodotto “risultante”, (come nel caso del rendimento energetico), possa essere certificato da un sistema diffuso e variegato di soggetti che difficilmente saprà garantire il consumatore ed il produttore rispetto alle caratteristiche del prodotto offerto sul mercato. Un sistema che corre il rischio di trasformare la “certificazione energetica” (come purtroppo molte situazioni di “bad certification”) da strumento per la qualificazione del mercato ad onere ed adempimento formale. Ance da sempre sottolinea tale contraddizione e suggerisce di definire le competenze e le abilitazioni dei certificatori con riferimento alla complessità ed alla qualità del prodotto. Per tale ragione Ance ritiene che per la certificazione dei beni classificati in classi di alto rendimento energetico (classe A+ e A), l’abilitazione sia riconosciuta da soggetti (organismi di certificazione, liberi professionisti) accreditati per tale attività dall’ente unico nazionale secondo procedure univoche, certe e verificabili, mentre la certificazione di prodotti di classe inferiore (sia per le nuove costruzioni sia per l’esistente), possa essere attestata da certificatori abilitati da corsi professionali ed iscritti ad albi regionali. 18
  • 20. NUOVI EDIFICI AD ALTE PRESTAZIONI ENERGETICHE Un edificio ad alto rendimento energetico è un prodotto tecnicamente più complesso e più costoso nella sua realizzazione perché richiede migliori e più selezionati componenti, migliori e più selezionate professionalità, ma garantisce una maggior durabilità del prodotto, un minor costo di manutenzione, minori consumi e minor costo di gestione. Per ridurre l'aggravio di costi per gli utenti e quindi stimolare la realizzazione di edifici ad alte prestazioni energetiche, sono opportuni specifici incentivi per sostenere l'acquisto di nuovi immobili ad alta prestazione. Una possibile soluzione (venuta meno la previsione dell’incentivo del 50% degli extra costi previsto nella finanziaria 2007 e mai resa attuativa – poi ci si chiede la ragione delle difficoltà del mercato immobiliare) è l'introduzione di una detrazione del 55% a favore dell'acquirente (da applicare in misura forfettaria, su un importo pari al 25% del prezzo di vendita) per l’acquisto di nuove costruzioni in Classe A, con la condizione che venga ceduto in permuta un immobile “usato” che a sua volta (entro 10 anni dall’acquisto) sia ristrutturato (anche con demolizione e ricostruzione con aumento volumetrico) nel rispetto delle previsioni di legge. SISTEMI DI INCENTIVAZIONE PER IL PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE Come già detto, quasi il 40% del consumo finale di energia è assorbito da case, uffici pubblici e privati, negozi e altri edifici. 19
  • 21. Il potenziale di risparmio energetico non ancora sfruttato è ampio, ma il tasso di rinnovo degli edifici è tuttavia troppo basso. Il Programma UE "Green Building" indica riduzioni efficaci dal punto di vista dei costi fino all'80%, con una riduzione dei consumi della metà o di tre quarti nel caso della riqualificazione energetica di edifici esistenti È quindi necessario eliminare gli ostacoli ed incentivare una efficace riqualificazione energetica degli edifici esistenti (non escludendo di abbinare alle politiche incentivanti, politiche di vincolo ed obbligo). Le detrazioni fiscali del 55% hanno permesso di avviare un processo di riqualificazione energetica, ma nei primi tre anni applicazione, a fronte di ingenti investimenti, ha raggiunto solo il 10% dell'obiettivo di risparmio energetico fissato dal Piano d'Azione nazionale al 2016. La proiezione al 2020 dell'andamento dei risparmi di energia primaria e del costo medio del singolo intervento, ottenuti dalle elaborazioni dei dati ENEA sulle detrazioni fiscali del 55% per gli anni 2007-2009 e conseguiti da ciascun intervento, pari rispettivamente a 0,007 GWh/anno e 12.600 €, permetterebbe di conseguire un risparmio energetico complessivo pari a 22.523 GWh/anno. Tale scenario corrisponde a raggiungere circa il 53% dell'obiettivo fissato dal Piano d'Azione Nazionale (PAN) per il 2016, con un investimento di circa 32 miliardi di euro. 20
  • 22. E' pertanto indispensabile: - mantenere nel tempo la detrazione fiscale del 55%, puntando però a migliorarne l’impatto e la funzionalità verso interventi che assicurino un effettivo conseguimento di risparmio energetico; - confermare a regime, per l’acquisto di abitazioni ristrutturate cedute da imprese, il 36% se i fabbricati sono stati oggetto di ristrutturazione edilizia e riconoscere l’agevolazione in caso di demolizione e ricostruzione non fedele. SETTORE PUBBLICO: L'ESEMPIO DA SEGUIRE Un esempio di grande stimolo anche per gli interventi di risparmio energetico sul patrimonio privato potrebbe derivare dagli interventi sul patrimonio pubblico, considerata la sua dimensione e le sue caratteristiche strutturali. Gli edifici di proprietà pubblica o occupati da servizi pubblici rappresentano circa il 12% per superficie del patrimonio edilizio dell'UE161. In ambito italiano, presupponendo di intervenire su tutto il patrimonio immobiliare pubblico con destinazione residenziale 1 Ecorys, Ecofys and BioIntelligence (2010): Study to Support the Impact Assessment for the EU Energy Saving Action Plan. La stima è basata sull'ipotesi di 5 m² di edifici pubblici per cittadino, risultando in una superficie al suolo totale degli edifici pubblici nell'UE pari a 2,5 miliardi di m² (esclusi gli alloggi sociali). La superficie al suolo complessiva è di 21 miliardi di m². 21
  • 23. (1.350.000 alloggi), il contributo all’obiettivo del PAN al 2016, potrebbe essere di circa 10.000 GWh/anno, ovvero il 23% del risparmio totale, con un investimento pari a circa 17 miliardi di euro. È quindi fondamentale riservare una maggiore attenzione all'efficienza energetica nel settore pubblico. Attenzione che si focalizzi sul rinnovo di edifici pubblici e incoraggi un'elevata prestazione nelle città. E' pertanto auspicabile prevedere un sistema di appalti pubblici che dia l'esempio all’innovazione di prodotto e di processo ed avvii un programma di riqualificazione energetica degli edifici. Secondo il Piano di efficienza energetica 2011, per conseguire gli obiettivi stabiliti nel Piano 20/20/20 e nella Direttiva 2010/31/CE sulla prestazione energetica nell'edilizia, sarebbe opportuno che le autorità pubbliche raddoppiassero almeno l'attuale tasso di rinnovo, portando ciascun edificio a migliori prestazioni energetiche. LA FORMAZIONE DEL SETTORE La transizione verso tecnologie efficienti sotto il profilo energetico richiede nuove competenze e programmi di formazione professionale che tengano conto delle nuove esigenze nel settore dell'edilizia. 22
  • 24. Secondo una valutazione dell'iniziativa (programma "Energia intelligente-Europa"2). relativa alla formazione e qualificazione della manodopera edile nel campo dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili, attualmente i lavoratori qualificati sono circa 1,1 milioni, mentre per il 2015 si stima che ne saranno necessari 2,5 milioni. E' quindi necessario: - rafforzare le competenze di tutti gli operatori nel settore dell'edilizia (architetti, ingegneri, artigiani, tecnici e installatori) per favorire una manodopera qualificata; - elaborare strategie per soddisfare e promuovere programmi di formazione efficaci. Il D. Lgs 28/2011 sulle fonti rinnovabili ha previsto una qualifica specifica con relativi corsi di formazione per gli installatori di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Sarebbe necessario estendere questo obbligo di qualifica specializzata anche agli altri operatori che non lavorano sulla parte impiantistica ma sull'involucro dell'edificio. E' una carenza che la stessa Commissione europea ha rilevato, tanto da prevedere il finanziamento di un apposito progetto di ricerca. Una attività che, in un mercato sempre più attento alle caratteristiche ed alle performance dei beni, potrebbe 2 Ecorys, Ecofys and BioIntelligence (2010): Study to Support the Impact Assessment for the EU Energy Saving Action Plan, pag. 34. 23
  • 25. rappresentare un vero progetto di qualificazione delle imprese, indirizzato più alle garanzie del prodotto (da cui derivano le utilità ed i vantaggi del consumatore) più che ai requisiti soggettivi e patrimoniali. Una strategia che si sta dimostrando vincente per i competitor del mercato che offrono un prodotto base (infissi, impianti, prefabbricati, pannelli fotovoltaici, ecc.) ed offrono i servizi costruttivi come elemento integrativo e complementare. 24