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POLITECNICO DI MILANO
Scuola di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale
Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio
MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA
FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI
SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE
Relatore: Prof. Carlo De Michele
Correlatori: Prof.ssa Cristina Jommi, Ing. Francesco Accatino
Elaborato di laurea di Pietro Richelli
Matricola 742704
Anno accademico 2011/2012
MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA
FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI
SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE
La struttura della vegetazione nella tundra è il frutto dell’interazione di una serie di
processi climatici, idrologici ed ecologici connessi con il degrado del permafrost e lo
sviluppo di termocarsismo che questo lavoro intende analizzare. Gli scenari di
cambiamento climatico prevedono che alle alte latitudini l’innalzamento delle temperature
sarà maggiore che altrove. Il permafrost, terreno congelato che caratterizza tali regioni del
pianeta, risente del surriscaldamento climatico ed è soggetto ad un generale processo di
degrado ed assottigliamento. La fusione del permafrost e il conseguente ispessimento dello
strato attivo causano una serie di fenomeni geomorfologici che alterano la topografia e
l’idrologia dei terreni in superficie. Il più comune di questi consiste in una serie di
superfici irregolari, depressioni e calanchi causati dal cedimento differenziale del terreno e
va sotto il nome di termocarsismo. La tundra, bioma caratterizzante le regioni dove è
presente il permafrost, risente dei cambiamenti climatici sia direttamente attraverso
l’innalzamento della temperatura, sia indirettamente per l’azione su microtopografia del
terreno e l’alterazione della distribuzione di acqua e nutrienti. Sono presenti osservazioni
in letteratura che documentano mutamenti nella composizione della vegetazione: si tratta
spesso di sviluppi della biomassa di muschi e licheni a scapito di quella delle piante
vascolari. L’obiettivo di questo lavoro è modellare il complesso sistema descritto sopra
focalizzandosi sull’impatto del termocarsismo sull’idrologia del terreno e sul rapporto tra
essa e la distribuzione spaziale della vegetazione. Il modello, implementato con NetLogo, è
stato poi simulato su un orizzonte temporale di 20 anni e con diversi tassi di degrado del
permafrost in linea con quelli previsti dai rapporti dell’IPCC, e poi confrontato
qualitativamente con dei dati di vegetazione osservati a Healy, sito dell’Alaska centro-
meridionale. Da tale confronto è emerso come solo con velocità di degrado del permafrost
ottimistiche dal punto di vista dei cambiamenti climatici (2 cm/anno), si ha una lieve
manifestazione del fenomeno termocarsico e una accettabile variazione della struttura
dell’ecosistema. Con tassi di degrado del permafrost maggiore (3.5 - 5 cm/anno) sono
presenti estese caratteristiche termocarsiche e ampi mutamenti nella composizione di
specie vegetali.
Parole chiave: permafrost, termocarsismo, vegetazione della tundra
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio il professor De Michele e l’ingegner Accatino per la cura con cui hanno seguito
il mio lavoro e la professoressa Jommi per il suo prezioso aiuto.
Un grazie particolare va ai miei nonni Alberto e Valeria, che con affetto ed entusiasmo mi
hanno sempre sostenuto negli studi.
1
INDICE
1. INTRODUZIONE………………………………………………….……………pag. 2
2. IL PERMAFROST……………………………………………………………….pag.3
2.1. CARATTERISTICHE E OCCORRENZA…………………………….pag. 3
2.2. RISPOSTA DEL PERMAFROST AI CAMBIAMENTI
CLIMATICI………………………………………………………………...pag. 5
2.3. THERMOKARST E ALTRI FENOMENI CONNESSI CON IL
DEGRADO DEL PERMAFROST………………………………………....pag. 7
3. LA TUNDRA………………..………………………………………..…………pag. 9
3.1. CARATTERISTICHE DELLA TUNDRA……………………....……pag. 9
3.2. CONSEGUENZE DEL TERMOCARSISMO
SULLA VEGETAZIONE………………..……………….…......………...pag. 10
4. MODELLAZIONE MATEMATICA E IMPLEMENTAZIONE
NUMERICA……………………………………………………………………....pag. 11
4.1. DESCRIZIONE DEL MODELLO…………………………..............pag. 12
4.2. UTILIZZO DI NETLOGO PER L’IMPLEMENTAZIONE………...pag. 15
5. CASO DI STUDIO……………………………………………………………pag. 16
6. SIMULAZIONI……………………………………………………………….pag. 18
7. CONCLUSIONI………………………………………………………………pag. 21
8. BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………...pag. 23
2
1. INTRODUZIONE
Gli scenari di cambiamento climatico prevedono che alle alte latitudini l’innalzamento
delle temperature sarà maggiore che altrove (Houghton et al, 1996). Queste previsioni
sono già supportate da evidenze sperimentali negli ultimi venticinque anni (Serreze et
al, 2000), alle quali sono affiancate osservazioni sull’aumento della temperatura
superficiale del terreno e di quella del permafrost, che sta subendo un generale processo
di degrado.
La fusione del permafrost e il conseguente inspessimento dello strato attivo (active
layer) causano una serie di fenomeni geomorfologici che alterano la topografia e
l’idrologia della tundra, il più noto di questi va sotto il nome di termocarsismo
(thermokarst).
Inoltre il permafrost è ricco di metano e i suoli artici costituiscono una delle maggiori
riserve di carbonio del pianeta custodendo circa 455 Gt dell’elemento, il 14% di quello
globale (Anisimov & Reneva, 2006). L’attenzione della comunità scientifica si sta
pertanto focalizzando sulla pericolosità del degrado del permafrost e il rilascio di gas
climalteranti in atmosfera, che contribuiscono ulteriormente al surriscaldamento
globale, fungendo così da feedback positivo ai mutamenti climatici.
La tundra è il bioma proprio delle zone caratterizzate dalla presenza di permafrost. La
sua composizione ecosistemica, la biomassa vegetale presente e la sua produttività sono
quindi influenzate dai mutamenti climatici sia in modo diretto con l’innalzamento della
temperatura atmosferica e di quella del terreno, sia in modo indiretto per l’azione sulla
microtopografia del terreno e sulla distribuzione dell’acqua nel suolo. Alcune zone
soggette a subsidenza sono caratterizzate da una maggiore umidità del terreno poiché
tende a ridursi la distanza tra superficie e quota media della falda, altre,
topograficamente più elevate, sono più secche. Questo ha un evidente impatto sulla
distribuzione spaziale della vegetazione poiché essa è fortemente influenzata dalla
disponibilità idrica del suolo. Le relazioni che legano vegetazione, permafrost e
termocarsismo dipendono quindi dall’interazione di processi climatici, idrologici ed
ecologici.
L’obiettivo di questo lavoro è modellare le dinamiche che caratterizzano l’ecosistema in
rapporto alla fusione del permafrost, analizzando in un primo momento le relazioni che
intercorrono tra degrado del permafrost, termocarsismo e mutamento della struttura
3
idrologica del terreno. In un secondo momento sarà studiato un modello semplificato di
distribuzione della vegetazione a partire dall’idrologia del terreno.
L’ultimo passo del lavoro è l’implementazione del modello con NetLogo, che renderà
possibile una simulazione del sistema e il confronto qualitativo dei valori ottenuti con
quelli osservati nel caso di studio di Healy nell’Alaska centro-meridionale, relativi a tre
siti adiacenti con crescente grado di sviluppo dei fenomeni termocarsici.
2. IL PERMAFROST
In questo capitolo verranno introdotte il le principali caratteristiche e problematiche
relative al fenomeno del permafrost. Il Permafrost, o permagelo, è definito come terreno
o roccia con temperature inferiori a 0° C per almeno due inverni consecutivi e l'estate
tra essi compresa (Andersland & Orlando, 2004). L’umidità sotto forma di acqua o
ghiaccio, anche se non sempre presente, è il fattore determinante di tutti i processi
geomorfologici che caratterizzano il permafrost e che in parte verranno trattati
successivamente.
2.1. CARATTERISTICHE E OCCORRENZA
La maggior parte del permafrost esistente oggi si è formata durante le ere glaciali ed è
resistito a più caldi periodi come l’Olocene (10.000 anni fa). Permafrost relativamente
meno profondo si è invece formato nella seconda parte dell’Olocene (6.000 anni fa) e
un’altra parte durante la Piccola età glaciale (dai 400 ai 150 anni fa).
Complessivamente si calcola che il permafrost ricopra il 20% delle terre emerse e il
25% di quelle dell’emisfero settentrionale (Zhang et al, 2000). Geograficamente è
diviso in due zone dall’arbitrario confine dell’isoterma -5°C della temperatura media
annua al suolo: permafrost continuo e permafrost discontinuo. Il primo é profondo
alcune centinaia di metri, il secondo solo alcune decine e occupa tra il 30% e l’80%
della zona considerata. A sud dell’isoterma -1°C si trovano alcune aree dove sono
presenti zone ristrette di terreno gelato: qui il permafrost viene chiamato sporadico
(Figura [1]).
L’esistenza del permafrost dipende dagli scambi di calore tra la terra è l’atmosfera
sovrastante e quindi sostanzialmente dalla temperatura media annua. Solitamente la
temperatura superficiale del terreno non è uguale a quella dell’aria ma dai 2°C ai 4°C
più alta, tuttavia il suo regime presenta forti analogie con il regime termico dell’aria e
4
Figura [1]: mappa del permafrost presente nell’emisfero settentrionale (IPA, International Permafrost Association).
con le sue variazioni stagionali e giornaliere. Le variazioni giornaliere, per la loro breve
durata e intensità, si fanno sentire solo in prossimità della superficie, mentre quelle
stagionali influenzano la temperatura anche di strati profondi alcuni metri. Ad una certa
profondità, compresa tra i 10 e i 25 m, la temperatura smette di risentire dell’influenza
climatica e inizia ad aumentare con la profondità secondo il gradiente geotermico locale
che varia da 1°C/22m a 1°C/160 m, fino a che non risale sopra gli 0°C segnando la
base del permafrost (Figura [2]).
Lo strato attivo (active layer) è la parte superficiale del terreno soggetta al cambiamento
stagionale di fase dell’acqua da liquido a solido. Il suo spessore varia da 30-50 cm alle
latitudini più alte sino a 1-3 m (fino a un massimo di 5 m) nelle zone con permafrost
discontinuo e sporadico ed è sede di tutte le attività ecologiche, idrologiche e
geomorfologiche. La sua consistenza molle e fangosa gli è valsa il nome di “mollisol”
poiché l’acqua non percola attraverso il terreno congelato ma rimane negli strati
superficiali dando la possibilità alle piante di crescere nella breve estate, nonostante le
scarse precipitazioni.
5
Figura [2]: profilo di temperatura del terreno, con evidenziate le oscillazioni stagionali e i diversi strati (Andersland
& Orlando, 2004).
2.2. RISPOSTA DEL PERMAFROST AI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Essendo la presenza di permafrost strettamente correlata con il bilancio termico tra
terreno e atmosfera, una variazione della temperatura atmosferica può influenzare le
caratteristiche della distribuzione del permafrost, inoltre i cambiamenti climatici
influenzano il permafrost in modo indiretto agendo su altri fattori come la vegetazione,
la copertura nivale e le caratteristiche del suolo.
Oltre a sporadiche fonti della prima metà del secolo scorso, il controllo delle
temperature del permafrost è iniziato negli anni 50 in Russia, in Tibet negli anni ’60 e
un monitoraggio sistematico di tali temperature è in atto solo dagli anni ’80 i Canada e
dagli anni ’90 in Europa. Salvo alcuni siti canadesi in cui si registrano valori stazionari
o leggeri raffreddamenti, l’andamento delle temperature del permafrost nell’emisfero
settentrionale è in costante aumento, come si può leggere nella tabella sottostante,
6
estratta dal quarto report dell’IPCC, che riporta oltre venti misurazioni in altrettanti siti,
con le relative date ed entità delle variazioni (Tabella [1]).
Tabella[1]: dati di incrementi di temperature del permafrost in diversi luoghi del mondo (IPCC, 2007)
Region Depth
(m)
Period of
records
Permafrost
temperature Change
(°C)
Reference
United States
Northern Alaska
Northern Alaska
Interior of Alaska
~1
20
20
1910s–
1980s
1983–2003
2-4
2-3
0.5-1.5
Lachenbruch and Marshall, 1986
Osterkamp, 2005
Osterkamp, 2005
Canada
Alert, Nunavut 15 1995-2000 0.8 S.L. Smith et al., 2003
Northern Mackenzie
Valley
20-30 1990-2002 0.3-0.8 S.L. Smith et al., 2003
Central Mackenzie
Valley
10-20 1985-2003 0.5 S.L. Smith et al., 2003
Southern Mackenzie
Valley & Southern
Yukon Territory
~20 1985-2003 0 Haeberli and Burn, 2002
Northern Quebec 10 1988-1995 <-1 Allard et al., 1995
Northern Quebec 10 1988-1995 1.0 DesJarlais, 2004
Lake Hazen 2.5 1996-2001 1.0 Broll et al., 2003
Iqaluit, Eastern
Canadian Arctic
5 1993-2000 2.0 S.L. Smith et al., 2005
Russia
East Siberia 1.6-3.2 1960-2002 ~1.3 Walsh et al., 2005
Northern West Siberia 10 1980-1990 0.3-0.7 Pavlov, 1996
Northern European
Russia
6 1973-1992 1.6-2.8 Pavlov, 1996
Northern European
Russia
6 1970-1995 1.2-2.8 Oberman and Mazhitova, 2001
Europe
Juvvasshoe, Southern
Norway
~3 Past 30-40
years
0.5-1.0 Isaksen et al., 2001
Janssonhaugen,
Svalbard
~3 Past 60-80
years
1-2 Isaksen et al., 2001
Murtel-Corvatsch 11.5 1987-2001 1.0 Vonder Muhll et al., 2004
China
Tibetan Plateau 10 1970s-
1990s
0.2-0.5 Zhao et al., 2004
Qinghai-Xizang Highway 3-5 1995-2002 Up to 0.5 Wu and Liu, 2003; Zhao et al.,
2004
Tianshan Mountains 16-20 1973-2002 0.2-0.4 Qiu et al., 2000; Zhao et al.,
2004
Da Hinggan Mountains,
Northeastern China
~2 1978-1991 0.7-1.5 Zhou et al., 1996
7
Ci si riferisce al degrado del permafrost quando si parla di diminuzione dello spessore o
dell’estensione areale dello stesso. Negli ultimi anni sono stati registrati dati che
affermano la migrazione a Nord del confine meridionale del permafrost discontinuo
(Halsey et al, 1995) e in varie zone dell’emisfero Nord si sta verificando un
assottigliamento della sua sezione. Attualmente lo spessore medio del permafrost si
riduce con dei tassi medi che, a seconda degli altri fattori in gioco, variano tra 1cm/anno
a 5cm/anno (IPCC, 2007).
2.3. THERMOKARST E ALTRI FENOMENI CONNESSI AL DEGRADO
DEL PERMAFROST
Le caratteristiche della superficie del terreno sono fortemente influenzate dalle
condizione del permafrost sottostante. Per questo il degrado del permafrost è spesso
reso lampante dall’accentuarsi di alcuni fenomeni geomorfologici superficiali che
fungono da indicatore delle condizioni termiche e fisiche del terreno.
Una serie di superfici irregolari risultanti da una differenziale fusione di ghiaccio
contenuto nel permafrost e dalla relativa subsidenza del terreno va sotto il nome di
termocarsismo (dall’inglese ‘thermokarst’), per l’analogia con gli altopiani carsici,
ricchi di calcare e caratterizzati dagli affossamenti delle doline (Andersland & Orlando,
2004). L’origine del thermokarst può essere ricondotta a cause globali o fenomeni
locali: a scala locale i cambiamenti climatici possono produrre un aumento della
temperatura media annua, portando a estati più calde, mentre localmente può essere
indotto da ciclici mutamenti della vegetazione, da incendi o da attività umane.
Da un punto di vista geomorfologico il thermokarst può essere suddiviso in due
tipologie: degrado laterale del permafrost (backwearing) e degrado del permafrost
dall’alto (downwearing). Il backwearing è largamente dovuto a erosioni fluviali, lacustri
o marine. Spesso accade che durante la primavera le rive dei fiumi in aree caratterizzate
da permafrost siano soggette ad erosione che espone il ghiaccio contenuto nel terreno
alle più elevate temperature e quindi a fusione e collasso, se sono prensenti ice-wedges,
possono svilupparsi anche collinette coniche. Il downwearing dipende invece
prevalentemente dal contenuto di ghiaccio del terreno. Con bassi contenuti di ghiaccio
si ha spesso un terreno pianeggiante con piccole depressioni superficiali. Con alti
contenuti di ghiaccio il processo di subsidenza prosegue e dà luogo a una serie di
8
laghetti (thermokarst lake) connessi talvolta tra loro da brevi corsi d’acqua, dal diametro
che raggiunge i 30 m. Lo sviluppo del thermokarst può essere anche molto intenso e dar
luogo alla formazione di larghi bacini pianeggianti, creando valli termocarsiche (Figura
[3]).
Figura[3] : Laghetti termocarsici a Hudson Bay Lowlands, Manitoba.
Tra gli altri fenomeni osservati in zone caratterizzate dalla presenza di permafrost si
ricordano: ice wedges, pingo e patterned ground.
Gli ice wedges, o cunei di ghiaccio, sono masse di ghiaccio orientate verticalmente, che
si manifestano vicino alla superficie del permafrost (Andersland & Orlando, 2004). Essi
sono più larghi in cima (1-3 m) e più stretti in profondità (1-10 cm). Sono solitamente
presenti al di sotto dell’active layer e non sono visibili dalla superficie, possono
manifestarsi singolarmente ma più spesso sono connessi al suolo da un sistema di ice
wedges polygons che forma sulle superficie geometrie simili a quelle dovute alle crepe
nel fango secco.
9
Pingo è un termine eschimese dell’Artico canadese che indica una collinetta conica
presente su terreni sabbiosi con permafrost, nel cui nucleo si trova del ghiaccio e che
ricordano lontanamente un piccolo vulcano. L’altezza di un pingo è generalmente
compresa tra i 5 e i 30 m (60 m al massimo) e raggiungono diametri che misurano da 30
a 600 m.
I cicli di gelo e disgelo che subisce il terreno danno luogo a movimenti che restano
visibili in superficie o in sezione. L’insieme di questi fenomeni può causare la
formazione di geometrie regolari sul terreno che vanno sotto il nome di patterned
ground ovvero terreni strutturati o figurati. Le geometrie che si incontrano più
frequentemente sono quelle di poligoni, cerchi e strisce. Spesso la vegetazione si allinea
sui bordi e questo enfatizza visivamente il fenomeno.
3. LA TUNDRA E LA SUA VEGETAZIONE
Questo capitolo serve a introdurre le principali caratteristiche e peculiarità della tundra,
bioma che caratterizza le aree dove è presente il permafrost e dove si sviluppa la
vegetazione oggetto di questo lavoro.
3.1. CARATTERISTICHE DELLA TUNDRA
La tundra è un bioma proprio delle regioni subpolari e caratterizzato dalla quasi totale
assenza di specie arboree, in quanto ostacolate dalla brevità delle estati e dalla rigidità
climatica. L’etimologia del termine è il lappone tunturia che significa ‘pianura senza
alberi’. Essa si sviluppa a sud dei ghiacci polari perenni sino alle prime foreste di
conifere della taiga (Figura [4]). La tundra è il bioma che caratterizza le aree in cui è
presente il permafrost. Il clima della tundra è molto rigido e le precipitazioni sono
scarsissime (dai 150 ai 250 mm annui). La vegetazione è composta principalmente da
muschi, licheni e arbusti, le uniche specie arboree (di altezza circa 150 – 200 cm) sono i
salici decidui e le betulle nane.
10
Figura [4]: distribuzione della tundra nel pianeta.
3.3. CONSEGUENZE DEL TERMOCARSISMO SULLA VEGETAZIONE
I cambiamenti climatici sono destinati ad avere un forte impatto sulla composizione
delle specie vegetali e la produttività degli ecosistemi alle alte latitudini. Il
riscaldamento climatico può influenzare comunità vegetali direttamente attraverso la
temperatura e indirettamente, attraverso l'alterazione della disponibilità di acqua e
nutrienti del terreno (Schuur et al, 2007). Il surriscaldamento globale può causare anche
la fusione del permafrost e lo sviluppo del termocarsismo, quando il ghiaccio presente
nel terreno fonde, la superficie topografica è soggetta a subsidenza differenziale che dà
origine alle tipiche caratteristiche termocarsiche: fosse, calanchi e laghetti. Inoltre in
inverno accade che la neve portata dal vento riempia le depressioni termocarsiche,
fungendo da isolante termico e portando ad un feedback positivo che aumenta il degrado
del permafrost.
Il risultato di questa catena di processi è un territorio in cui la micro-topografia è
fortemente alterata e con essa i processi idrologici del terreno.
Le aree caratterizzate dalla presenza di permafrost solitamente presentano limitati tassi
di precipitazioni (dai 150 ai 250 mm annui), nonostante ciò la crescita e lo sviluppo
delle piante sono resi possibili dai ridotti tassi di evapotraspirazione dovuti alle
temperature e dallo strato impermeabile di permafrost che impedisce la percolazione e
garantisce la permanenza di livelli medi di umidità del terreno accettabili anche nei
periodi dell’anno meno piovosi (Yoshikawa & Hinzman, 2003).
11
Il profilo di umidità del terreno dipende dalla posizione della falda ed è crescente con la
profondità. L’umidità del terreno nella zona radicale è quindi condizionata dalla
distanza tra la zona saturale e la superficie topografica.
L’effetto principale del termocarsismo sull’idrologia del territorio è quindi quello di
modificare la micro-topografia del terreno causando un sostanziale mutamento nei
pattern di umidità. Le aree delle nuove depressioni possono accumulare umidità avendo
la falda vicina alla superficie, mentre altre zone più elevate possono diventare più
secche rispetto a prima.
La quantità d’acqua contenuta nello strato attivo è la variabile più importante per
analizzare e capire la maggior parte dei processi ecologici in atto.
Nonostante il permafrost impedisca la percolazione, il contenuto d’acqua resta sempre il
fattore chiave nella crescita delle piante nella tundra e i diversi gruppi funzionali
tendono a preferire aree caratterizzate da diverse umidità del terreno.
Nelle zone più elevate si è registrata un’alta mortalità di muschi mentre le specie
arbustive, e tutte quelle vascolari in generale, hanno incrementato lì la loro biomassa
(Osterkamp et al, 2009) in quanto le radici più ampie permettono di raggiungere l’acqua
anche se più profonda. I muschi invece si stabiliscono in zone più umide, nelle
depressioni termocarsiche e, quando presenti, sulle rive di laghetti sostituendo spesso la
presenza di piante erbacee. I licheni prediligono contenuti d’acqua intermedi e la loro
biomassa nei casi di studio non registra grandi mutamenti assoluti, ma qualitativamente
si è spostata di luogo per mantenersi sopra un terreno dal contenuto d’acqua migliore.
4. MODELLAZIONE MATEMATICA E IMPLEMENTAZIONE
NUMERICA
Nel descrivere con un semplice modello spazialmente distribuito le relazioni dinamiche
presenti nel sistema descritto nei precedenti paragrafi si sono separate le due
componenti principali: è stato sviluppato un modello di scioglimento del permafrost e
termocarsismo al quale è stato successivamente sovrapposto un modello di distribuzione
della vegetazione.
Il dominio spaziale è quadrato, con lato di 100 m diviso in una griglia regolare
composta da celle di lato 2m* 2m , il passo temporale adottato è annuale.
12
4.1. DESCRIZIONE DEL MODELLO
Inizialmente sono state modellate dinamicamente le caratteristiche del permafrost e del
thermokarst. Lo strato di permafrost si degrada con tassi medi annui indicati dai rapporti
dell’IPCC e ciò causa l’ispessimento dello strato attivo e la subsidenza del terreno che
dipende dalla distribuzione di contenuto di ghiaccio nel permafrost. Nel modello sono
state utilizzate alcune relazioni che legano la deformazione del terreno soggetto al
degrado del permafrost (e quindi la subsidenza della quota topografica) al contenuto di
ghiaccio. Le due variabili sono strettamente correlate poiché è il passaggio di fase
dell’acqua dallo stato solido a quello liquido a determinare il cedimento strutturale del
terreno, accentuato da una diminuzione di volume dovuta alla differenza delle densità di
ghiaccio e acqua. Sono state utilizzate delle relazioni sperimentali trovate in letteratura
(Andersland & Orlando, 2004) per determinare il cedimento in funzione del contenuto
di ghiaccio del terreno, se esso è inferiore a una certa soglia non si ha subsidenza, ma
solo un ispessimento dello strato attivo.
In questa fase si è considerato che non variasse l’altezza della falda, poiché sono
trascurabili le sue oscillazioni dovute al degrado del permafrost rispetto alle variazioni
stagionali dovute a precipitazioni ed evapotraspirazione. Per questa ragione e poiché
l’obiettivo finale era dare una misura dei valori medi annuali dell’umidità ai fini della
vegetazione e non quello di analizzare un dettagliato bilancio idrologico si è scelto di
trattare il livello della falda come una costante del sistema.
L’approccio adottato nella prima parte è stato quello di dotare ogni cella del dominio di
alcune variabili caratteristiche:
pf = spessore dello strato di permafrost [m]
al = spessore dello strato attivo (active layer) [m]
gl = somma degli spessori di permafrost e strato attivo (ground level) [m]
ic = contenuto di ghiaccio del permafrost (ice content) [m3
/m3
]
Altre variabili utilizzate sono invece globali e hanno il medesimo valore per tutti i
patches:
tr = tasso annuo di degrado del permafrost (thawing rate) [m/yr]
wl = altezza della falda (water level) [m]
13
Ad ogni passo temporale le variabili delle singole celle sono aggiornate come segue:
ts = cedimento dovuto alla fusione del permafrost (thaw settlement) [-]
le variabili contraddistinte dagli apici ij indicano che sono variabili riferite alla singola cella
Figura [5]: grafico del cedimento del terreno in funzione del contenuto idrico del terreno ghiacciato, valori ricavati
sperimentalmente per alcuni suoli nella Mackenzie Valley, Canada (Andersland & Orlando, 2004).
Il fenomeno descritto dalla prima parte del modello incide sulla micro-topografia del
territorio e questo causa dei mutamenti nella distribuzione dell’acqua nel terreno che è
ciò che interessa nella seconda parte riguardante la vegetazione.
Essendo il passo temporale del modello di un anno, ci si prefigge di descrivere
l’andamento medio annuo del contenuto d’acqua del terreno nella zona più superficiale,
(quella che interessa alle specie vegetali) e si è supposto che essa vari linearmente con
la distanza tra quota topografica e la quota della falda.
m = contenuto medio annuo d’acqua nel terreno nella zona superficiale (moisture) [m3
/m3
]
gl = quota del terreno (ground level) [m]
wl = quota della falda (water level) [m]
La distribuzione di umidità del terreno è stata quindi discretizzata in quattro classi
descriventi altrettanti valori medi annui: Low, Medium, High, Very High
14
A questa semplice descrizione dell’idrologia del terreno é stato sovrapposto un modello
statico per descrivere la distribuzione della vegetazione. La vegetazione della tundra in
esame è stata suddivisa in tre macro-gruppi funzionali: muschi, licheni e piante
vascolari.
Con queste classi è stata costruita una matrice, dove si trovano i gruppi funzionali nelle
colonne e le classi di umidità del terreno nelle righe. Ogni elemento rappresenta
l’affinità che il gruppo funzionale ha per quel determinato tipo di terreno, quindi la
quantità di biomassa potenzialmente presente per unità di area.
low medium high very high
mosses 0 3 6 10
lichens 0 5 5 0
vascular 8 1 0 0
Tabella [2]: Gli elementi della tabella contengono le unità di biomassa per unità di superficie che ogni patch con il
contenuto d’acqua indicato in colonna genera in superficie.
Data questa matrice e la configurazione del terreno con le sue proprietà (quota
topografica e contenuto d’acqua) il modello calcola con una relazione lineare la
biomassa per ogni gruppo funzionale una volta raggiunto l’equilibrio tra vegetazione e
ambiente, riportando oltre alla biomassa totale sull’intero dominio, anche la sua
distribuzione spaziale.
Ba = biomassa del gruppo funzionale a [kg]
Ab= area occupata dalla classe di umidità b [m2
]
eab= coefficiente del il gruppo funzionale a, della classe di umidità b [kg/m2
]
La principale approssimazione concettuale del modello è proprio quella di non
considerare la dinamica delle piante, in quanto essa è diversa da quella del permafrost e
soprattutto in quanto i diversi gruppi funzionali hanno diversi tempi di sviluppo, ma,
una volta data una configurazione del terreno, presupporre uno stato di equilibrio tra
essa e la vegetazione.
15
4.2. L’UTILIZZO DI NETLOGO PER L’IMPLEMENTAZIONE
Per l’implementazione numerica del modello è stata usata la versione 5.0 di NetLogo,
una piattaforma di modellazione open-source compatibile con Windows, Mac e Linux.
La caratteristica principale di NetLogo è il suo dominio quadrato contenente una griglia
di patches (agenti fissi) sulla quale si muovono i turtles (agenti mobili). Questa
peculiarità lo ha reso particolarmente adatto a rappresentare il lavoro: è stato modellato
il terreno come una matrice di patches e ragionando sulla colonna di suolo, assegnando
ad essi vari attributi rappresentanti le sue caratteristiche (spessore di permafrost,
spessore di active layer, umidità del terreno), mentre per la vegetazione si sono utilizzati
i turtles rappresentanti unità di biomassa vegetale.
L’interfaccia grafica permette di inserire controlli come slider, monitor e pulsanti che
sono stati utilizzati per scegliere i tassi di degrado del permafrost, l’altezza della falda,
per vedere la distribuzione del contenuto d’acqua e le caratteristiche della vegetazione.
Tutto ciò ha reso il modello più intuitivo nelle simulazioni, oltre che più agevole
nell’utilizzo e user-friendly (Figura [6]).
Figura[6]: Interfaccia grafica del modello implementato.
16
5. CASO DI STUDIO
Il caso di studio al quale si è fatto riferimento in questo lavoro è quello di un’area
dell’Alaska centro-meridionale (Figura [7]), ai piedi dell’Alaska Range, appena esterna
al Parco Nazionale di Denali e a 15 km dalla cittadina di Healy (63°52’42.1’’N,
149°15’12.9’’W).
Figura [7]: immagine satellitare Google Maps dell’area in esame
In quest’area, situata a 690 m sul livello del mare, è iniziato nel 1985 un sistematico
monitoraggio delle temperature del permafrost con l’insediamento di un osservatorio
scientifico, e da tale data si sta osservando lo sviluppo del fenomeno termocarsico. La
caratteristica unica di questo sito è che il termocarsismo iniziò a svilupparsi dopo
l’insediamento dell’osservatorio e ciò diede la rara opportunità di investigare a fondo le
relazioni tra i processi ecologici e le dinamiche del permafrost. Per studiare gli effetti
indotti sulla vegetazione dal termocarsismo, sono stati individuati tre siti caratterizzati
da diverse intensità di sviluppo del fenomeno: un sito caratterizzato da lieve
termocarsismo (Minimal Thaw Site), uno che presenta forti elementi termocarsici
(Extensive Thaw Site) e un terzo con caratteristiche intermedie (Moderate Thaw Site).
17
Analizzati assieme questi tre siti rappresentano un naturale gradiente per valutare gli
effetti a lungo termine indotti sulle dinamiche ecosistemiche dalla fusione del
permafrost e dal propagarsi del termocarsismo. In tale modo, quest’area riesce
qualitativamente a catturare effetti che sarebbero impossibili da replicare con
manipolazioni sperimentali su piccola scala.
Dal 1985 sono state condotte misurazioni accurate delle temperature di aria, superficie
del terreno e permafrost. Un dato interessante è quello dei profili di temperatura del
permafrost (Figura [8]). Escluso il brusco raffreddamento dal 1985 al 1989, si è
registrato nell’ultimo quindicennio un costante aumento della temperatura, dovuto sia
all’incremento della temperatura atmosferica sia a quello della copertura nivale. Dati
simili sono stati registrati anche in altri siti dell’Alaska (Osterkamp, 2007).
Figura [8]: profili di temperatura nel terreno registrati in diversi anni a Healy (Osterkamp et al, 2009).
Figura[9]: sviluppo delle caratteristiche termocarsiche ricavate da vettorializzazione di immagini aeree (Osterkamp
et al, 2009).
18
L’interpretazione di foto aree effettuate nel 1951 e dal 1981 al 2005 ha evidenziato lo
sviluppo di fenomeni termocarsici: fosse, canali naturali e laghetti termocarsici sono
aumentanti in numero ed estensione, come si può osservare in figura [9].
Per quanto concerne la vegetazione sono state effettuate nei tre diversi siti in esame
nell’estate 2003 delle campagne di misura per determinare la superficie occupata dai
diversi tipi di piante, analizzando dodici quadrati di lato 70 cm per sito e misurando il
contenuto di biomassa vegetale.
Group Species Minimal Thaw
Site [%]
Moderate Thaw
Site [%]
Extensive Thaw
Site [%]
Vascular
Plants
Tussocks 12,20 41,00 49,44
Hydrophilic
sphagnum
21,32 9,04 5,20
Sphagnum fuscum 6,16 9,79 14,93
Sphagnum
magellanicum
23,17 5,49 0,00
Dicranum spp. 21,69 11,62 9,29
Feathermoss 1,60 10,11 0,88
Other moss spp. 3,33 3,23 0,44
Mosses
Total Mosses
77,28 49,28 30,75
Lichens Lichen
10,60 9,47 19,13
Tabella [3]: percentuale di biomassa dei diversi gruppi funzionali e specie vegetali registrate a Healy nei siti
Minimal, Moderate e Extensive.
6. SIMULAZIONI
In questo capitolo si intende simulare il modello, partendo dalla componente dinamica
della fusione del permafrost, il cui passo temporale è annuo, per poi sovrapporvi il
modello di distribuzione della vegetazione. Grazie all’interfaccia di NetLogo sarà
possibile vedere le celle che descrivono il terreno essere soggette a subsidenza e il
formarsi di un laghetto termocarsico (thermokarst lake), e in un secondo momento
materializzarsi la copertura vegetale del suolo colorata dai turtles rappresentanti i
diversi gruppi funzionali.
L’obiettivo sarà poi quello di confrontare i valori ottenuti dal modello con le
osservazioni effettuate a Healy nel 2003. Come già descritto nel paragrafo precedente
nel caso di studio in esame la componente temporale dei mutamenti ecoidrologici è stata
19
valutata confrontando l’abbondanza delle specie vegetali in tre diverse siti adiacenti,
caratterizzati da diversi livelli di sviluppo del fenomeno termocarsico: Minimal Thaw
Site, Moderate Thaw Site, Extensive Thaw Site.
Si svolge la simulazione con le dovute cautele, necessarie poiché si confrontano i
risultati del modello non con dati di vegetazione registrati in tempi diversi, ma con dati
di tre siti adiacenti, caratterizzati da diverse topografie, che differiscono per il livello
raggiunto dal termocarsismo. La simulazione si svolge su un orizzonte temporale di 20
anni, valore scelto in quanto è circa il lasso di tempo trascorso tra l’insediamento
dell’osservatorio a Healy e le prime osservazioni sulla vegetazione.
Il tasso annuo di fusione del permafrost utilizzato in questa fase è inizialmente quello
massimo indicato nel rapporto IPCC, quantificato in 5 cm/anno, poi sono state effettuate
simulazioni con tassi più ottimistici di 3.5 cm/anno e 2 cm/anno.
Tabella [4]: confronto tra dati registrati a Healy e calcolati dal modello con diversi tassi di fusione del permafrost
(tr) e a partire dalla seguente condizione iniziale: Mosses [%] = 20; Lichens [%] = 18 ; Vascular Plants [%] =62.
Come è descritto dalla tabella e coerentemente con l’analisi effettuata nei precedenti
capitoli, all’aumentare del tasso di degrado del permafrost e all’acuirsi dei fenomeni
termocarsici, si ha un aumento generale della biomassa dei muschi, un valore
sostanzialmente stazionario di quella dei licheni e un decremento della biomassa di
specie vascolari.
Osservato [%]
( Healy )
Minimal Moderate Extensive
Calcolato
[%]
tr=2 cm/yr
Calcolato
[%]
tr=3.5
cm/yr
Calcolato
[%]
tr=5
cm/yr
Mosses 32 50 78 30 37 43
Lichens 19 10 10 21 22 23
Vascular 49 41 12 49 41 34
20
Figura [10]: a) condizione iniziale; b) thawing rate = 2 cm /yr , orizzonte temporale =20 anni ;c) thawing rate = 3.5
cm /yr, orizzonte temporale = 20 anni;d) thawing rate = 5 cm /yr, orizzonte temporale = 20 anni;
Nella condizione iniziale [a] la topografia non presenta forti concavità, la vegetazione è
dominata dalle specie vascolari (puntini rossi), e caratterizzata dalla presenza di muschi
e licheni (rappresentati da puntini verdi e viola).
Negli screenshot effettuati con i tre diversi tassi ([b],[c],[d]) si nota nel dominio
quadrato del modello l’accentuarsi del termocarsismo e l’impatto sempre crescente della
fusione del permafrost sulla composizione di specie vegetali.
In [d] si nota la presenza di un ampio lago termocarsico e il dominio di muschi e licheni
sulla composizione ecosistemica, le specie vascolari rimangono presenti solamente nelle
21
zone non depresse confermando le osservazioni qualitative che accennano allo sviluppo
di specie arbustive in alcune aree soggette a thermokarst.
Con un tasso leggermente inferiore (3.5 cm/anno, [c]) si nota il rimpicciolirsi delle
dimensione del laghetto. In [d] non compare alcun thermokarst lake, ma si nota lo
sviluppo di muschi nella depressione termocarsica e una leggera diminuzione della
biomassa di specie vascolari, mentre in figura [c], si hanno caratteristiche della
vegetazione intermedie tra i due tassi di scioglimento.
7. CONCLUSIONI
Lo studio affrontato in questa sede ha voluto analizzare il ruolo della fusione del
permafrost nella distribuzione della vegetazione nella tundra e le dinamiche che
intercorrono tra aspetti ecosistemici e idrologici. L’obiettivo preposto era quello di
modellare tali dinamiche ed implementarle in ambiente NetLogo.
L’analisi di un caso di studio ha permesso di seguire concettualmente in modo
dettagliato tutte le componenti e gli aspetti del sistema che possono essere riassunti
come segue:
• I cambiamenti climatici tendono ad avere una maggiore intensità alle alte
latitudini (Houghton et al, 1996) ed è in queste aree nelle quali si tende a
studiare con maggiore attenzione ed osservare con maggior evidenza gli impatti
di tali cambiamenti sulla struttura ecosistemica.
• L’aumento di temperatura atmosferica non è l’unico modo in cui i cambiamenti
climatici agiscono sugli ecosistemi: dove presente, il permafrost gioca un
importante ruolo nella distribuzione della risorsa idrica ed esso risente
fortemente dei riscaldamento atmosferico, come testimoniano i vari studi sul suo
processo di degrado.
• Lo sviluppo di termocarsismo è uno dei principali modi in cui si manifesta il
degrado del permafrost: esso avviene quando si fonde permafrost ricco di
ghiaccio causando un’alterazione della microtopografia del terreno e alterandone
la struttura idrologica.
• Questa redistribuzione dell’acqua nel terreno e la disomogeneità maggiore della
topografia incidono sulla distribuzione di biomassa vegetale, che è quindi
soggetta ad una serie di processi climatici, idrologici ed ecologici.
22
• I principali aspetti di questo mutamento della struttura vegetale, documentati in
letteratura ed in parte riprodotti dalle simulazioni del modello sono i seguenti:
incremento della biomassa di specie di muschi, nonostante la loro mortalità nelle
zona topograficamente più elevate; decremento della biomassa totale delle
piante vascolari, specialmente quella delle piante erbacee; incremento delle
specie arbustive nelle aree a quote maggiori in seguito a termocarsismo.
• Dalle simulazioni effettuate si è osservato che solamente un tasso di degrado del
permafrost ottimistico in rapporto ai cambiamenti climatici (2 cm/anno) avrebbe
conseguenze ridotte sulla struttura dell’ecosistema. Negli altri casi simulati (3.5
e 5 cm/anno) si nota lo svilupparsi di forti caratteristiche termocarsiche e un
notevole mutamento della struttura dell’ecosistema che passa da essere dominato
dalle specie vascolari, all’esserlo dai muschi.
In fase di analisi e modellazione del sistema le maggiori difficoltà incontrate sono
relative alle relazioni che legano la distribuzione della vegetazione alle caratteristiche
del termocarsismo. L’approccio adottato, che lega la densità di biomassa al contenuto
medio d’acqua del terreno, è parso essere quello più naturale ed intuitivo poiché
coerente con le osservazioni registrate in letteratura (Osterkamp et al, 2009).
Si auspica che vengano sviluppati altri lavori sull’argomento, magari corredati da una
raccolta di dati sulla vegetazione e da un’analisi quantitativa ed approfondita delle
relazioni tra termocarsismo ed ecosistema.
23
8. BIBLIOGRAFIA
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Hoboken, New Jersey, USA.
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  • 1. POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE Relatore: Prof. Carlo De Michele Correlatori: Prof.ssa Cristina Jommi, Ing. Francesco Accatino Elaborato di laurea di Pietro Richelli Matricola 742704 Anno accademico 2011/2012
  • 2. MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE La struttura della vegetazione nella tundra è il frutto dell’interazione di una serie di processi climatici, idrologici ed ecologici connessi con il degrado del permafrost e lo sviluppo di termocarsismo che questo lavoro intende analizzare. Gli scenari di cambiamento climatico prevedono che alle alte latitudini l’innalzamento delle temperature sarà maggiore che altrove. Il permafrost, terreno congelato che caratterizza tali regioni del pianeta, risente del surriscaldamento climatico ed è soggetto ad un generale processo di degrado ed assottigliamento. La fusione del permafrost e il conseguente ispessimento dello strato attivo causano una serie di fenomeni geomorfologici che alterano la topografia e l’idrologia dei terreni in superficie. Il più comune di questi consiste in una serie di superfici irregolari, depressioni e calanchi causati dal cedimento differenziale del terreno e va sotto il nome di termocarsismo. La tundra, bioma caratterizzante le regioni dove è presente il permafrost, risente dei cambiamenti climatici sia direttamente attraverso l’innalzamento della temperatura, sia indirettamente per l’azione su microtopografia del terreno e l’alterazione della distribuzione di acqua e nutrienti. Sono presenti osservazioni in letteratura che documentano mutamenti nella composizione della vegetazione: si tratta spesso di sviluppi della biomassa di muschi e licheni a scapito di quella delle piante vascolari. L’obiettivo di questo lavoro è modellare il complesso sistema descritto sopra focalizzandosi sull’impatto del termocarsismo sull’idrologia del terreno e sul rapporto tra essa e la distribuzione spaziale della vegetazione. Il modello, implementato con NetLogo, è stato poi simulato su un orizzonte temporale di 20 anni e con diversi tassi di degrado del permafrost in linea con quelli previsti dai rapporti dell’IPCC, e poi confrontato qualitativamente con dei dati di vegetazione osservati a Healy, sito dell’Alaska centro- meridionale. Da tale confronto è emerso come solo con velocità di degrado del permafrost ottimistiche dal punto di vista dei cambiamenti climatici (2 cm/anno), si ha una lieve manifestazione del fenomeno termocarsico e una accettabile variazione della struttura dell’ecosistema. Con tassi di degrado del permafrost maggiore (3.5 - 5 cm/anno) sono presenti estese caratteristiche termocarsiche e ampi mutamenti nella composizione di specie vegetali. Parole chiave: permafrost, termocarsismo, vegetazione della tundra
  • 3. RINGRAZIAMENTI Ringrazio il professor De Michele e l’ingegner Accatino per la cura con cui hanno seguito il mio lavoro e la professoressa Jommi per il suo prezioso aiuto. Un grazie particolare va ai miei nonni Alberto e Valeria, che con affetto ed entusiasmo mi hanno sempre sostenuto negli studi.
  • 4. 1 INDICE 1. INTRODUZIONE………………………………………………….……………pag. 2 2. IL PERMAFROST……………………………………………………………….pag.3 2.1. CARATTERISTICHE E OCCORRENZA…………………………….pag. 3 2.2. RISPOSTA DEL PERMAFROST AI CAMBIAMENTI CLIMATICI………………………………………………………………...pag. 5 2.3. THERMOKARST E ALTRI FENOMENI CONNESSI CON IL DEGRADO DEL PERMAFROST………………………………………....pag. 7 3. LA TUNDRA………………..………………………………………..…………pag. 9 3.1. CARATTERISTICHE DELLA TUNDRA……………………....……pag. 9 3.2. CONSEGUENZE DEL TERMOCARSISMO SULLA VEGETAZIONE………………..……………….…......………...pag. 10 4. MODELLAZIONE MATEMATICA E IMPLEMENTAZIONE NUMERICA……………………………………………………………………....pag. 11 4.1. DESCRIZIONE DEL MODELLO…………………………..............pag. 12 4.2. UTILIZZO DI NETLOGO PER L’IMPLEMENTAZIONE………...pag. 15 5. CASO DI STUDIO……………………………………………………………pag. 16 6. SIMULAZIONI……………………………………………………………….pag. 18 7. CONCLUSIONI………………………………………………………………pag. 21 8. BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………...pag. 23
  • 5. 2 1. INTRODUZIONE Gli scenari di cambiamento climatico prevedono che alle alte latitudini l’innalzamento delle temperature sarà maggiore che altrove (Houghton et al, 1996). Queste previsioni sono già supportate da evidenze sperimentali negli ultimi venticinque anni (Serreze et al, 2000), alle quali sono affiancate osservazioni sull’aumento della temperatura superficiale del terreno e di quella del permafrost, che sta subendo un generale processo di degrado. La fusione del permafrost e il conseguente inspessimento dello strato attivo (active layer) causano una serie di fenomeni geomorfologici che alterano la topografia e l’idrologia della tundra, il più noto di questi va sotto il nome di termocarsismo (thermokarst). Inoltre il permafrost è ricco di metano e i suoli artici costituiscono una delle maggiori riserve di carbonio del pianeta custodendo circa 455 Gt dell’elemento, il 14% di quello globale (Anisimov & Reneva, 2006). L’attenzione della comunità scientifica si sta pertanto focalizzando sulla pericolosità del degrado del permafrost e il rilascio di gas climalteranti in atmosfera, che contribuiscono ulteriormente al surriscaldamento globale, fungendo così da feedback positivo ai mutamenti climatici. La tundra è il bioma proprio delle zone caratterizzate dalla presenza di permafrost. La sua composizione ecosistemica, la biomassa vegetale presente e la sua produttività sono quindi influenzate dai mutamenti climatici sia in modo diretto con l’innalzamento della temperatura atmosferica e di quella del terreno, sia in modo indiretto per l’azione sulla microtopografia del terreno e sulla distribuzione dell’acqua nel suolo. Alcune zone soggette a subsidenza sono caratterizzate da una maggiore umidità del terreno poiché tende a ridursi la distanza tra superficie e quota media della falda, altre, topograficamente più elevate, sono più secche. Questo ha un evidente impatto sulla distribuzione spaziale della vegetazione poiché essa è fortemente influenzata dalla disponibilità idrica del suolo. Le relazioni che legano vegetazione, permafrost e termocarsismo dipendono quindi dall’interazione di processi climatici, idrologici ed ecologici. L’obiettivo di questo lavoro è modellare le dinamiche che caratterizzano l’ecosistema in rapporto alla fusione del permafrost, analizzando in un primo momento le relazioni che intercorrono tra degrado del permafrost, termocarsismo e mutamento della struttura
  • 6. 3 idrologica del terreno. In un secondo momento sarà studiato un modello semplificato di distribuzione della vegetazione a partire dall’idrologia del terreno. L’ultimo passo del lavoro è l’implementazione del modello con NetLogo, che renderà possibile una simulazione del sistema e il confronto qualitativo dei valori ottenuti con quelli osservati nel caso di studio di Healy nell’Alaska centro-meridionale, relativi a tre siti adiacenti con crescente grado di sviluppo dei fenomeni termocarsici. 2. IL PERMAFROST In questo capitolo verranno introdotte il le principali caratteristiche e problematiche relative al fenomeno del permafrost. Il Permafrost, o permagelo, è definito come terreno o roccia con temperature inferiori a 0° C per almeno due inverni consecutivi e l'estate tra essi compresa (Andersland & Orlando, 2004). L’umidità sotto forma di acqua o ghiaccio, anche se non sempre presente, è il fattore determinante di tutti i processi geomorfologici che caratterizzano il permafrost e che in parte verranno trattati successivamente. 2.1. CARATTERISTICHE E OCCORRENZA La maggior parte del permafrost esistente oggi si è formata durante le ere glaciali ed è resistito a più caldi periodi come l’Olocene (10.000 anni fa). Permafrost relativamente meno profondo si è invece formato nella seconda parte dell’Olocene (6.000 anni fa) e un’altra parte durante la Piccola età glaciale (dai 400 ai 150 anni fa). Complessivamente si calcola che il permafrost ricopra il 20% delle terre emerse e il 25% di quelle dell’emisfero settentrionale (Zhang et al, 2000). Geograficamente è diviso in due zone dall’arbitrario confine dell’isoterma -5°C della temperatura media annua al suolo: permafrost continuo e permafrost discontinuo. Il primo é profondo alcune centinaia di metri, il secondo solo alcune decine e occupa tra il 30% e l’80% della zona considerata. A sud dell’isoterma -1°C si trovano alcune aree dove sono presenti zone ristrette di terreno gelato: qui il permafrost viene chiamato sporadico (Figura [1]). L’esistenza del permafrost dipende dagli scambi di calore tra la terra è l’atmosfera sovrastante e quindi sostanzialmente dalla temperatura media annua. Solitamente la temperatura superficiale del terreno non è uguale a quella dell’aria ma dai 2°C ai 4°C più alta, tuttavia il suo regime presenta forti analogie con il regime termico dell’aria e
  • 7. 4 Figura [1]: mappa del permafrost presente nell’emisfero settentrionale (IPA, International Permafrost Association). con le sue variazioni stagionali e giornaliere. Le variazioni giornaliere, per la loro breve durata e intensità, si fanno sentire solo in prossimità della superficie, mentre quelle stagionali influenzano la temperatura anche di strati profondi alcuni metri. Ad una certa profondità, compresa tra i 10 e i 25 m, la temperatura smette di risentire dell’influenza climatica e inizia ad aumentare con la profondità secondo il gradiente geotermico locale che varia da 1°C/22m a 1°C/160 m, fino a che non risale sopra gli 0°C segnando la base del permafrost (Figura [2]). Lo strato attivo (active layer) è la parte superficiale del terreno soggetta al cambiamento stagionale di fase dell’acqua da liquido a solido. Il suo spessore varia da 30-50 cm alle latitudini più alte sino a 1-3 m (fino a un massimo di 5 m) nelle zone con permafrost discontinuo e sporadico ed è sede di tutte le attività ecologiche, idrologiche e geomorfologiche. La sua consistenza molle e fangosa gli è valsa il nome di “mollisol” poiché l’acqua non percola attraverso il terreno congelato ma rimane negli strati superficiali dando la possibilità alle piante di crescere nella breve estate, nonostante le scarse precipitazioni.
  • 8. 5 Figura [2]: profilo di temperatura del terreno, con evidenziate le oscillazioni stagionali e i diversi strati (Andersland & Orlando, 2004). 2.2. RISPOSTA DEL PERMAFROST AI CAMBIAMENTI CLIMATICI Essendo la presenza di permafrost strettamente correlata con il bilancio termico tra terreno e atmosfera, una variazione della temperatura atmosferica può influenzare le caratteristiche della distribuzione del permafrost, inoltre i cambiamenti climatici influenzano il permafrost in modo indiretto agendo su altri fattori come la vegetazione, la copertura nivale e le caratteristiche del suolo. Oltre a sporadiche fonti della prima metà del secolo scorso, il controllo delle temperature del permafrost è iniziato negli anni 50 in Russia, in Tibet negli anni ’60 e un monitoraggio sistematico di tali temperature è in atto solo dagli anni ’80 i Canada e dagli anni ’90 in Europa. Salvo alcuni siti canadesi in cui si registrano valori stazionari o leggeri raffreddamenti, l’andamento delle temperature del permafrost nell’emisfero settentrionale è in costante aumento, come si può leggere nella tabella sottostante,
  • 9. 6 estratta dal quarto report dell’IPCC, che riporta oltre venti misurazioni in altrettanti siti, con le relative date ed entità delle variazioni (Tabella [1]). Tabella[1]: dati di incrementi di temperature del permafrost in diversi luoghi del mondo (IPCC, 2007) Region Depth (m) Period of records Permafrost temperature Change (°C) Reference United States Northern Alaska Northern Alaska Interior of Alaska ~1 20 20 1910s– 1980s 1983–2003 2-4 2-3 0.5-1.5 Lachenbruch and Marshall, 1986 Osterkamp, 2005 Osterkamp, 2005 Canada Alert, Nunavut 15 1995-2000 0.8 S.L. Smith et al., 2003 Northern Mackenzie Valley 20-30 1990-2002 0.3-0.8 S.L. Smith et al., 2003 Central Mackenzie Valley 10-20 1985-2003 0.5 S.L. Smith et al., 2003 Southern Mackenzie Valley & Southern Yukon Territory ~20 1985-2003 0 Haeberli and Burn, 2002 Northern Quebec 10 1988-1995 <-1 Allard et al., 1995 Northern Quebec 10 1988-1995 1.0 DesJarlais, 2004 Lake Hazen 2.5 1996-2001 1.0 Broll et al., 2003 Iqaluit, Eastern Canadian Arctic 5 1993-2000 2.0 S.L. Smith et al., 2005 Russia East Siberia 1.6-3.2 1960-2002 ~1.3 Walsh et al., 2005 Northern West Siberia 10 1980-1990 0.3-0.7 Pavlov, 1996 Northern European Russia 6 1973-1992 1.6-2.8 Pavlov, 1996 Northern European Russia 6 1970-1995 1.2-2.8 Oberman and Mazhitova, 2001 Europe Juvvasshoe, Southern Norway ~3 Past 30-40 years 0.5-1.0 Isaksen et al., 2001 Janssonhaugen, Svalbard ~3 Past 60-80 years 1-2 Isaksen et al., 2001 Murtel-Corvatsch 11.5 1987-2001 1.0 Vonder Muhll et al., 2004 China Tibetan Plateau 10 1970s- 1990s 0.2-0.5 Zhao et al., 2004 Qinghai-Xizang Highway 3-5 1995-2002 Up to 0.5 Wu and Liu, 2003; Zhao et al., 2004 Tianshan Mountains 16-20 1973-2002 0.2-0.4 Qiu et al., 2000; Zhao et al., 2004 Da Hinggan Mountains, Northeastern China ~2 1978-1991 0.7-1.5 Zhou et al., 1996
  • 10. 7 Ci si riferisce al degrado del permafrost quando si parla di diminuzione dello spessore o dell’estensione areale dello stesso. Negli ultimi anni sono stati registrati dati che affermano la migrazione a Nord del confine meridionale del permafrost discontinuo (Halsey et al, 1995) e in varie zone dell’emisfero Nord si sta verificando un assottigliamento della sua sezione. Attualmente lo spessore medio del permafrost si riduce con dei tassi medi che, a seconda degli altri fattori in gioco, variano tra 1cm/anno a 5cm/anno (IPCC, 2007). 2.3. THERMOKARST E ALTRI FENOMENI CONNESSI AL DEGRADO DEL PERMAFROST Le caratteristiche della superficie del terreno sono fortemente influenzate dalle condizione del permafrost sottostante. Per questo il degrado del permafrost è spesso reso lampante dall’accentuarsi di alcuni fenomeni geomorfologici superficiali che fungono da indicatore delle condizioni termiche e fisiche del terreno. Una serie di superfici irregolari risultanti da una differenziale fusione di ghiaccio contenuto nel permafrost e dalla relativa subsidenza del terreno va sotto il nome di termocarsismo (dall’inglese ‘thermokarst’), per l’analogia con gli altopiani carsici, ricchi di calcare e caratterizzati dagli affossamenti delle doline (Andersland & Orlando, 2004). L’origine del thermokarst può essere ricondotta a cause globali o fenomeni locali: a scala locale i cambiamenti climatici possono produrre un aumento della temperatura media annua, portando a estati più calde, mentre localmente può essere indotto da ciclici mutamenti della vegetazione, da incendi o da attività umane. Da un punto di vista geomorfologico il thermokarst può essere suddiviso in due tipologie: degrado laterale del permafrost (backwearing) e degrado del permafrost dall’alto (downwearing). Il backwearing è largamente dovuto a erosioni fluviali, lacustri o marine. Spesso accade che durante la primavera le rive dei fiumi in aree caratterizzate da permafrost siano soggette ad erosione che espone il ghiaccio contenuto nel terreno alle più elevate temperature e quindi a fusione e collasso, se sono prensenti ice-wedges, possono svilupparsi anche collinette coniche. Il downwearing dipende invece prevalentemente dal contenuto di ghiaccio del terreno. Con bassi contenuti di ghiaccio si ha spesso un terreno pianeggiante con piccole depressioni superficiali. Con alti contenuti di ghiaccio il processo di subsidenza prosegue e dà luogo a una serie di
  • 11. 8 laghetti (thermokarst lake) connessi talvolta tra loro da brevi corsi d’acqua, dal diametro che raggiunge i 30 m. Lo sviluppo del thermokarst può essere anche molto intenso e dar luogo alla formazione di larghi bacini pianeggianti, creando valli termocarsiche (Figura [3]). Figura[3] : Laghetti termocarsici a Hudson Bay Lowlands, Manitoba. Tra gli altri fenomeni osservati in zone caratterizzate dalla presenza di permafrost si ricordano: ice wedges, pingo e patterned ground. Gli ice wedges, o cunei di ghiaccio, sono masse di ghiaccio orientate verticalmente, che si manifestano vicino alla superficie del permafrost (Andersland & Orlando, 2004). Essi sono più larghi in cima (1-3 m) e più stretti in profondità (1-10 cm). Sono solitamente presenti al di sotto dell’active layer e non sono visibili dalla superficie, possono manifestarsi singolarmente ma più spesso sono connessi al suolo da un sistema di ice wedges polygons che forma sulle superficie geometrie simili a quelle dovute alle crepe nel fango secco.
  • 12. 9 Pingo è un termine eschimese dell’Artico canadese che indica una collinetta conica presente su terreni sabbiosi con permafrost, nel cui nucleo si trova del ghiaccio e che ricordano lontanamente un piccolo vulcano. L’altezza di un pingo è generalmente compresa tra i 5 e i 30 m (60 m al massimo) e raggiungono diametri che misurano da 30 a 600 m. I cicli di gelo e disgelo che subisce il terreno danno luogo a movimenti che restano visibili in superficie o in sezione. L’insieme di questi fenomeni può causare la formazione di geometrie regolari sul terreno che vanno sotto il nome di patterned ground ovvero terreni strutturati o figurati. Le geometrie che si incontrano più frequentemente sono quelle di poligoni, cerchi e strisce. Spesso la vegetazione si allinea sui bordi e questo enfatizza visivamente il fenomeno. 3. LA TUNDRA E LA SUA VEGETAZIONE Questo capitolo serve a introdurre le principali caratteristiche e peculiarità della tundra, bioma che caratterizza le aree dove è presente il permafrost e dove si sviluppa la vegetazione oggetto di questo lavoro. 3.1. CARATTERISTICHE DELLA TUNDRA La tundra è un bioma proprio delle regioni subpolari e caratterizzato dalla quasi totale assenza di specie arboree, in quanto ostacolate dalla brevità delle estati e dalla rigidità climatica. L’etimologia del termine è il lappone tunturia che significa ‘pianura senza alberi’. Essa si sviluppa a sud dei ghiacci polari perenni sino alle prime foreste di conifere della taiga (Figura [4]). La tundra è il bioma che caratterizza le aree in cui è presente il permafrost. Il clima della tundra è molto rigido e le precipitazioni sono scarsissime (dai 150 ai 250 mm annui). La vegetazione è composta principalmente da muschi, licheni e arbusti, le uniche specie arboree (di altezza circa 150 – 200 cm) sono i salici decidui e le betulle nane.
  • 13. 10 Figura [4]: distribuzione della tundra nel pianeta. 3.3. CONSEGUENZE DEL TERMOCARSISMO SULLA VEGETAZIONE I cambiamenti climatici sono destinati ad avere un forte impatto sulla composizione delle specie vegetali e la produttività degli ecosistemi alle alte latitudini. Il riscaldamento climatico può influenzare comunità vegetali direttamente attraverso la temperatura e indirettamente, attraverso l'alterazione della disponibilità di acqua e nutrienti del terreno (Schuur et al, 2007). Il surriscaldamento globale può causare anche la fusione del permafrost e lo sviluppo del termocarsismo, quando il ghiaccio presente nel terreno fonde, la superficie topografica è soggetta a subsidenza differenziale che dà origine alle tipiche caratteristiche termocarsiche: fosse, calanchi e laghetti. Inoltre in inverno accade che la neve portata dal vento riempia le depressioni termocarsiche, fungendo da isolante termico e portando ad un feedback positivo che aumenta il degrado del permafrost. Il risultato di questa catena di processi è un territorio in cui la micro-topografia è fortemente alterata e con essa i processi idrologici del terreno. Le aree caratterizzate dalla presenza di permafrost solitamente presentano limitati tassi di precipitazioni (dai 150 ai 250 mm annui), nonostante ciò la crescita e lo sviluppo delle piante sono resi possibili dai ridotti tassi di evapotraspirazione dovuti alle temperature e dallo strato impermeabile di permafrost che impedisce la percolazione e garantisce la permanenza di livelli medi di umidità del terreno accettabili anche nei periodi dell’anno meno piovosi (Yoshikawa & Hinzman, 2003).
  • 14. 11 Il profilo di umidità del terreno dipende dalla posizione della falda ed è crescente con la profondità. L’umidità del terreno nella zona radicale è quindi condizionata dalla distanza tra la zona saturale e la superficie topografica. L’effetto principale del termocarsismo sull’idrologia del territorio è quindi quello di modificare la micro-topografia del terreno causando un sostanziale mutamento nei pattern di umidità. Le aree delle nuove depressioni possono accumulare umidità avendo la falda vicina alla superficie, mentre altre zone più elevate possono diventare più secche rispetto a prima. La quantità d’acqua contenuta nello strato attivo è la variabile più importante per analizzare e capire la maggior parte dei processi ecologici in atto. Nonostante il permafrost impedisca la percolazione, il contenuto d’acqua resta sempre il fattore chiave nella crescita delle piante nella tundra e i diversi gruppi funzionali tendono a preferire aree caratterizzate da diverse umidità del terreno. Nelle zone più elevate si è registrata un’alta mortalità di muschi mentre le specie arbustive, e tutte quelle vascolari in generale, hanno incrementato lì la loro biomassa (Osterkamp et al, 2009) in quanto le radici più ampie permettono di raggiungere l’acqua anche se più profonda. I muschi invece si stabiliscono in zone più umide, nelle depressioni termocarsiche e, quando presenti, sulle rive di laghetti sostituendo spesso la presenza di piante erbacee. I licheni prediligono contenuti d’acqua intermedi e la loro biomassa nei casi di studio non registra grandi mutamenti assoluti, ma qualitativamente si è spostata di luogo per mantenersi sopra un terreno dal contenuto d’acqua migliore. 4. MODELLAZIONE MATEMATICA E IMPLEMENTAZIONE NUMERICA Nel descrivere con un semplice modello spazialmente distribuito le relazioni dinamiche presenti nel sistema descritto nei precedenti paragrafi si sono separate le due componenti principali: è stato sviluppato un modello di scioglimento del permafrost e termocarsismo al quale è stato successivamente sovrapposto un modello di distribuzione della vegetazione. Il dominio spaziale è quadrato, con lato di 100 m diviso in una griglia regolare composta da celle di lato 2m* 2m , il passo temporale adottato è annuale.
  • 15. 12 4.1. DESCRIZIONE DEL MODELLO Inizialmente sono state modellate dinamicamente le caratteristiche del permafrost e del thermokarst. Lo strato di permafrost si degrada con tassi medi annui indicati dai rapporti dell’IPCC e ciò causa l’ispessimento dello strato attivo e la subsidenza del terreno che dipende dalla distribuzione di contenuto di ghiaccio nel permafrost. Nel modello sono state utilizzate alcune relazioni che legano la deformazione del terreno soggetto al degrado del permafrost (e quindi la subsidenza della quota topografica) al contenuto di ghiaccio. Le due variabili sono strettamente correlate poiché è il passaggio di fase dell’acqua dallo stato solido a quello liquido a determinare il cedimento strutturale del terreno, accentuato da una diminuzione di volume dovuta alla differenza delle densità di ghiaccio e acqua. Sono state utilizzate delle relazioni sperimentali trovate in letteratura (Andersland & Orlando, 2004) per determinare il cedimento in funzione del contenuto di ghiaccio del terreno, se esso è inferiore a una certa soglia non si ha subsidenza, ma solo un ispessimento dello strato attivo. In questa fase si è considerato che non variasse l’altezza della falda, poiché sono trascurabili le sue oscillazioni dovute al degrado del permafrost rispetto alle variazioni stagionali dovute a precipitazioni ed evapotraspirazione. Per questa ragione e poiché l’obiettivo finale era dare una misura dei valori medi annuali dell’umidità ai fini della vegetazione e non quello di analizzare un dettagliato bilancio idrologico si è scelto di trattare il livello della falda come una costante del sistema. L’approccio adottato nella prima parte è stato quello di dotare ogni cella del dominio di alcune variabili caratteristiche: pf = spessore dello strato di permafrost [m] al = spessore dello strato attivo (active layer) [m] gl = somma degli spessori di permafrost e strato attivo (ground level) [m] ic = contenuto di ghiaccio del permafrost (ice content) [m3 /m3 ] Altre variabili utilizzate sono invece globali e hanno il medesimo valore per tutti i patches: tr = tasso annuo di degrado del permafrost (thawing rate) [m/yr] wl = altezza della falda (water level) [m]
  • 16. 13 Ad ogni passo temporale le variabili delle singole celle sono aggiornate come segue: ts = cedimento dovuto alla fusione del permafrost (thaw settlement) [-] le variabili contraddistinte dagli apici ij indicano che sono variabili riferite alla singola cella Figura [5]: grafico del cedimento del terreno in funzione del contenuto idrico del terreno ghiacciato, valori ricavati sperimentalmente per alcuni suoli nella Mackenzie Valley, Canada (Andersland & Orlando, 2004). Il fenomeno descritto dalla prima parte del modello incide sulla micro-topografia del territorio e questo causa dei mutamenti nella distribuzione dell’acqua nel terreno che è ciò che interessa nella seconda parte riguardante la vegetazione. Essendo il passo temporale del modello di un anno, ci si prefigge di descrivere l’andamento medio annuo del contenuto d’acqua del terreno nella zona più superficiale, (quella che interessa alle specie vegetali) e si è supposto che essa vari linearmente con la distanza tra quota topografica e la quota della falda. m = contenuto medio annuo d’acqua nel terreno nella zona superficiale (moisture) [m3 /m3 ] gl = quota del terreno (ground level) [m] wl = quota della falda (water level) [m] La distribuzione di umidità del terreno è stata quindi discretizzata in quattro classi descriventi altrettanti valori medi annui: Low, Medium, High, Very High
  • 17. 14 A questa semplice descrizione dell’idrologia del terreno é stato sovrapposto un modello statico per descrivere la distribuzione della vegetazione. La vegetazione della tundra in esame è stata suddivisa in tre macro-gruppi funzionali: muschi, licheni e piante vascolari. Con queste classi è stata costruita una matrice, dove si trovano i gruppi funzionali nelle colonne e le classi di umidità del terreno nelle righe. Ogni elemento rappresenta l’affinità che il gruppo funzionale ha per quel determinato tipo di terreno, quindi la quantità di biomassa potenzialmente presente per unità di area. low medium high very high mosses 0 3 6 10 lichens 0 5 5 0 vascular 8 1 0 0 Tabella [2]: Gli elementi della tabella contengono le unità di biomassa per unità di superficie che ogni patch con il contenuto d’acqua indicato in colonna genera in superficie. Data questa matrice e la configurazione del terreno con le sue proprietà (quota topografica e contenuto d’acqua) il modello calcola con una relazione lineare la biomassa per ogni gruppo funzionale una volta raggiunto l’equilibrio tra vegetazione e ambiente, riportando oltre alla biomassa totale sull’intero dominio, anche la sua distribuzione spaziale. Ba = biomassa del gruppo funzionale a [kg] Ab= area occupata dalla classe di umidità b [m2 ] eab= coefficiente del il gruppo funzionale a, della classe di umidità b [kg/m2 ] La principale approssimazione concettuale del modello è proprio quella di non considerare la dinamica delle piante, in quanto essa è diversa da quella del permafrost e soprattutto in quanto i diversi gruppi funzionali hanno diversi tempi di sviluppo, ma, una volta data una configurazione del terreno, presupporre uno stato di equilibrio tra essa e la vegetazione.
  • 18. 15 4.2. L’UTILIZZO DI NETLOGO PER L’IMPLEMENTAZIONE Per l’implementazione numerica del modello è stata usata la versione 5.0 di NetLogo, una piattaforma di modellazione open-source compatibile con Windows, Mac e Linux. La caratteristica principale di NetLogo è il suo dominio quadrato contenente una griglia di patches (agenti fissi) sulla quale si muovono i turtles (agenti mobili). Questa peculiarità lo ha reso particolarmente adatto a rappresentare il lavoro: è stato modellato il terreno come una matrice di patches e ragionando sulla colonna di suolo, assegnando ad essi vari attributi rappresentanti le sue caratteristiche (spessore di permafrost, spessore di active layer, umidità del terreno), mentre per la vegetazione si sono utilizzati i turtles rappresentanti unità di biomassa vegetale. L’interfaccia grafica permette di inserire controlli come slider, monitor e pulsanti che sono stati utilizzati per scegliere i tassi di degrado del permafrost, l’altezza della falda, per vedere la distribuzione del contenuto d’acqua e le caratteristiche della vegetazione. Tutto ciò ha reso il modello più intuitivo nelle simulazioni, oltre che più agevole nell’utilizzo e user-friendly (Figura [6]). Figura[6]: Interfaccia grafica del modello implementato.
  • 19. 16 5. CASO DI STUDIO Il caso di studio al quale si è fatto riferimento in questo lavoro è quello di un’area dell’Alaska centro-meridionale (Figura [7]), ai piedi dell’Alaska Range, appena esterna al Parco Nazionale di Denali e a 15 km dalla cittadina di Healy (63°52’42.1’’N, 149°15’12.9’’W). Figura [7]: immagine satellitare Google Maps dell’area in esame In quest’area, situata a 690 m sul livello del mare, è iniziato nel 1985 un sistematico monitoraggio delle temperature del permafrost con l’insediamento di un osservatorio scientifico, e da tale data si sta osservando lo sviluppo del fenomeno termocarsico. La caratteristica unica di questo sito è che il termocarsismo iniziò a svilupparsi dopo l’insediamento dell’osservatorio e ciò diede la rara opportunità di investigare a fondo le relazioni tra i processi ecologici e le dinamiche del permafrost. Per studiare gli effetti indotti sulla vegetazione dal termocarsismo, sono stati individuati tre siti caratterizzati da diverse intensità di sviluppo del fenomeno: un sito caratterizzato da lieve termocarsismo (Minimal Thaw Site), uno che presenta forti elementi termocarsici (Extensive Thaw Site) e un terzo con caratteristiche intermedie (Moderate Thaw Site).
  • 20. 17 Analizzati assieme questi tre siti rappresentano un naturale gradiente per valutare gli effetti a lungo termine indotti sulle dinamiche ecosistemiche dalla fusione del permafrost e dal propagarsi del termocarsismo. In tale modo, quest’area riesce qualitativamente a catturare effetti che sarebbero impossibili da replicare con manipolazioni sperimentali su piccola scala. Dal 1985 sono state condotte misurazioni accurate delle temperature di aria, superficie del terreno e permafrost. Un dato interessante è quello dei profili di temperatura del permafrost (Figura [8]). Escluso il brusco raffreddamento dal 1985 al 1989, si è registrato nell’ultimo quindicennio un costante aumento della temperatura, dovuto sia all’incremento della temperatura atmosferica sia a quello della copertura nivale. Dati simili sono stati registrati anche in altri siti dell’Alaska (Osterkamp, 2007). Figura [8]: profili di temperatura nel terreno registrati in diversi anni a Healy (Osterkamp et al, 2009). Figura[9]: sviluppo delle caratteristiche termocarsiche ricavate da vettorializzazione di immagini aeree (Osterkamp et al, 2009).
  • 21. 18 L’interpretazione di foto aree effettuate nel 1951 e dal 1981 al 2005 ha evidenziato lo sviluppo di fenomeni termocarsici: fosse, canali naturali e laghetti termocarsici sono aumentanti in numero ed estensione, come si può osservare in figura [9]. Per quanto concerne la vegetazione sono state effettuate nei tre diversi siti in esame nell’estate 2003 delle campagne di misura per determinare la superficie occupata dai diversi tipi di piante, analizzando dodici quadrati di lato 70 cm per sito e misurando il contenuto di biomassa vegetale. Group Species Minimal Thaw Site [%] Moderate Thaw Site [%] Extensive Thaw Site [%] Vascular Plants Tussocks 12,20 41,00 49,44 Hydrophilic sphagnum 21,32 9,04 5,20 Sphagnum fuscum 6,16 9,79 14,93 Sphagnum magellanicum 23,17 5,49 0,00 Dicranum spp. 21,69 11,62 9,29 Feathermoss 1,60 10,11 0,88 Other moss spp. 3,33 3,23 0,44 Mosses Total Mosses 77,28 49,28 30,75 Lichens Lichen 10,60 9,47 19,13 Tabella [3]: percentuale di biomassa dei diversi gruppi funzionali e specie vegetali registrate a Healy nei siti Minimal, Moderate e Extensive. 6. SIMULAZIONI In questo capitolo si intende simulare il modello, partendo dalla componente dinamica della fusione del permafrost, il cui passo temporale è annuo, per poi sovrapporvi il modello di distribuzione della vegetazione. Grazie all’interfaccia di NetLogo sarà possibile vedere le celle che descrivono il terreno essere soggette a subsidenza e il formarsi di un laghetto termocarsico (thermokarst lake), e in un secondo momento materializzarsi la copertura vegetale del suolo colorata dai turtles rappresentanti i diversi gruppi funzionali. L’obiettivo sarà poi quello di confrontare i valori ottenuti dal modello con le osservazioni effettuate a Healy nel 2003. Come già descritto nel paragrafo precedente nel caso di studio in esame la componente temporale dei mutamenti ecoidrologici è stata
  • 22. 19 valutata confrontando l’abbondanza delle specie vegetali in tre diverse siti adiacenti, caratterizzati da diversi livelli di sviluppo del fenomeno termocarsico: Minimal Thaw Site, Moderate Thaw Site, Extensive Thaw Site. Si svolge la simulazione con le dovute cautele, necessarie poiché si confrontano i risultati del modello non con dati di vegetazione registrati in tempi diversi, ma con dati di tre siti adiacenti, caratterizzati da diverse topografie, che differiscono per il livello raggiunto dal termocarsismo. La simulazione si svolge su un orizzonte temporale di 20 anni, valore scelto in quanto è circa il lasso di tempo trascorso tra l’insediamento dell’osservatorio a Healy e le prime osservazioni sulla vegetazione. Il tasso annuo di fusione del permafrost utilizzato in questa fase è inizialmente quello massimo indicato nel rapporto IPCC, quantificato in 5 cm/anno, poi sono state effettuate simulazioni con tassi più ottimistici di 3.5 cm/anno e 2 cm/anno. Tabella [4]: confronto tra dati registrati a Healy e calcolati dal modello con diversi tassi di fusione del permafrost (tr) e a partire dalla seguente condizione iniziale: Mosses [%] = 20; Lichens [%] = 18 ; Vascular Plants [%] =62. Come è descritto dalla tabella e coerentemente con l’analisi effettuata nei precedenti capitoli, all’aumentare del tasso di degrado del permafrost e all’acuirsi dei fenomeni termocarsici, si ha un aumento generale della biomassa dei muschi, un valore sostanzialmente stazionario di quella dei licheni e un decremento della biomassa di specie vascolari. Osservato [%] ( Healy ) Minimal Moderate Extensive Calcolato [%] tr=2 cm/yr Calcolato [%] tr=3.5 cm/yr Calcolato [%] tr=5 cm/yr Mosses 32 50 78 30 37 43 Lichens 19 10 10 21 22 23 Vascular 49 41 12 49 41 34
  • 23. 20 Figura [10]: a) condizione iniziale; b) thawing rate = 2 cm /yr , orizzonte temporale =20 anni ;c) thawing rate = 3.5 cm /yr, orizzonte temporale = 20 anni;d) thawing rate = 5 cm /yr, orizzonte temporale = 20 anni; Nella condizione iniziale [a] la topografia non presenta forti concavità, la vegetazione è dominata dalle specie vascolari (puntini rossi), e caratterizzata dalla presenza di muschi e licheni (rappresentati da puntini verdi e viola). Negli screenshot effettuati con i tre diversi tassi ([b],[c],[d]) si nota nel dominio quadrato del modello l’accentuarsi del termocarsismo e l’impatto sempre crescente della fusione del permafrost sulla composizione di specie vegetali. In [d] si nota la presenza di un ampio lago termocarsico e il dominio di muschi e licheni sulla composizione ecosistemica, le specie vascolari rimangono presenti solamente nelle
  • 24. 21 zone non depresse confermando le osservazioni qualitative che accennano allo sviluppo di specie arbustive in alcune aree soggette a thermokarst. Con un tasso leggermente inferiore (3.5 cm/anno, [c]) si nota il rimpicciolirsi delle dimensione del laghetto. In [d] non compare alcun thermokarst lake, ma si nota lo sviluppo di muschi nella depressione termocarsica e una leggera diminuzione della biomassa di specie vascolari, mentre in figura [c], si hanno caratteristiche della vegetazione intermedie tra i due tassi di scioglimento. 7. CONCLUSIONI Lo studio affrontato in questa sede ha voluto analizzare il ruolo della fusione del permafrost nella distribuzione della vegetazione nella tundra e le dinamiche che intercorrono tra aspetti ecosistemici e idrologici. L’obiettivo preposto era quello di modellare tali dinamiche ed implementarle in ambiente NetLogo. L’analisi di un caso di studio ha permesso di seguire concettualmente in modo dettagliato tutte le componenti e gli aspetti del sistema che possono essere riassunti come segue: • I cambiamenti climatici tendono ad avere una maggiore intensità alle alte latitudini (Houghton et al, 1996) ed è in queste aree nelle quali si tende a studiare con maggiore attenzione ed osservare con maggior evidenza gli impatti di tali cambiamenti sulla struttura ecosistemica. • L’aumento di temperatura atmosferica non è l’unico modo in cui i cambiamenti climatici agiscono sugli ecosistemi: dove presente, il permafrost gioca un importante ruolo nella distribuzione della risorsa idrica ed esso risente fortemente dei riscaldamento atmosferico, come testimoniano i vari studi sul suo processo di degrado. • Lo sviluppo di termocarsismo è uno dei principali modi in cui si manifesta il degrado del permafrost: esso avviene quando si fonde permafrost ricco di ghiaccio causando un’alterazione della microtopografia del terreno e alterandone la struttura idrologica. • Questa redistribuzione dell’acqua nel terreno e la disomogeneità maggiore della topografia incidono sulla distribuzione di biomassa vegetale, che è quindi soggetta ad una serie di processi climatici, idrologici ed ecologici.
  • 25. 22 • I principali aspetti di questo mutamento della struttura vegetale, documentati in letteratura ed in parte riprodotti dalle simulazioni del modello sono i seguenti: incremento della biomassa di specie di muschi, nonostante la loro mortalità nelle zona topograficamente più elevate; decremento della biomassa totale delle piante vascolari, specialmente quella delle piante erbacee; incremento delle specie arbustive nelle aree a quote maggiori in seguito a termocarsismo. • Dalle simulazioni effettuate si è osservato che solamente un tasso di degrado del permafrost ottimistico in rapporto ai cambiamenti climatici (2 cm/anno) avrebbe conseguenze ridotte sulla struttura dell’ecosistema. Negli altri casi simulati (3.5 e 5 cm/anno) si nota lo svilupparsi di forti caratteristiche termocarsiche e un notevole mutamento della struttura dell’ecosistema che passa da essere dominato dalle specie vascolari, all’esserlo dai muschi. In fase di analisi e modellazione del sistema le maggiori difficoltà incontrate sono relative alle relazioni che legano la distribuzione della vegetazione alle caratteristiche del termocarsismo. L’approccio adottato, che lega la densità di biomassa al contenuto medio d’acqua del terreno, è parso essere quello più naturale ed intuitivo poiché coerente con le osservazioni registrate in letteratura (Osterkamp et al, 2009). Si auspica che vengano sviluppati altri lavori sull’argomento, magari corredati da una raccolta di dati sulla vegetazione e da un’analisi quantitativa ed approfondita delle relazioni tra termocarsismo ed ecosistema.
  • 26. 23 8. BIBLIOGRAFIA Andersland, Orlando B. , 2004, Frozen ground engineering, John Wiley & Sons, Inc. Hoboken, New Jersey, USA. Anisimov O.A., Reneva S.A., 2006,Permafrost and changing climate: the Russian perspective Ambio 35 169–75 Daanen, R.P., T. Ingeman-Nielsen, S.S. Marchenko, V.E. Romanovsky, N. Foged, M. Stendel, J.H. Christensen and K. Hornbech-Svensen, 2011, Permafrost degradation risk zone assessment using simulation models. The Cryosphere Disc. 5, 1043-1056, doi: 10.5194/tcd-5-1043-2011. Epstein H.E. , 2004, Detecting changes in arctic tundra plant communities in response to warming over decadal time scales Glob. Change Biol. 10 1325–34 Giordano A.,1999, Pedologia, UTET, Torino. Halsey L.A., Vitt D.H. , Zoltai S.C., 1995, Disequilibrium response of permafrost in boreal continental western Canada to climate change, Climate Change, 30, 57-73 Hillel D., 1998, Environmental soil physics, Academic press, San Diego, USA IPCC, 2001, Climate change 2001: the scientific basis. contri- butions of working Group I to the third assessment report of the intergovernmental panel on climate change, Cambridge: Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA. IPCC, 2007, Observations: Changes in Snow, Ice and Frozen Ground. In: Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA. Jorgenson M.T., Racine C.H., Walters J.C., Osterkamp T.E. 2001, Permafrost degradation and ecological changes associated with a warming climate in central Alaska. Climate Change. 48: 551–579. Jorgenson M.T., Shur Y.L., Pullman E.R.,2006, Abrupt increase in permafrost degradation in Arctic Alaska. Geophysical Research Letters 33: L02503. DOI: 10.1029/2005GL024960.
  • 27. 24 Lloyd A.H., Yoshikawa K., Fastie C.L., Hinzman L., Fraver M., 2003, Effects of permafrost degradation on woody vegetation at arctic treeline on the Seward Peninsula, Alaska. Permafrost Periglacial Processes 14:93–101. Mazhitova G.G., Kaverin, D.A., 2007, Thaw depth dynamics and soil surface subsidence at A circumpolar active layer monitoring (CALM) site, the european north of Russia. Earth Cryosphere, Vol. XI, No. 4, pp. 20-30. Osterkamp T.E., Jorgenson M. T., Schuur E. A. G., Shur Y.L., Kanevskiy V., Vogel J. G. and Tumskoy V. E. ,2009, Physical and Ecological Changes Associated with Warming Permafrost and Thermokarst in Interior Alaska, Permafrost and Periglacial Processes 20: 235–256 (2009), DOI: 10.1002/ppp.656 Osterkamp T.E., Romanovsky V.E. ,1999, Evidence for warming and thawing of discontinuous permafrost in Alaska. Permafrost and Periglacial Processes, 10, 17–37. Romanovsky V.,Osterkamp T., 1997, Thawing of the active layer on the coastal plain of the alaskan arctic, Permafrost and Periglacial Processes, 8, 1–22. Schuur E.A.G., Crummer K.G., Vogel J.G., 2007, Plant species composition and productivity following permafrost thaw and thermokarst in Alaskan tundra, Ecosystems 10 280–292. Serreze M.C., Walsh J.E., Chapin F.S., Osterkamp T., Dyurgerov M., Romanovsky V., Oechel W.C., Morison J., Zhang T., Barry R.G.., 2000, Observational evidence of recent change in the northern high-latitude environment, Climate Change 46:159–207. Yoshikawa K., Hinzman L.D., 2003, Shrinking thermokarst ponds and groundwater dynamics in discontinuous permafrost near Council, Alaska, Permafrost and Periglacial Processes, 14(2): 151-160. Zhang T., Heginbottom J.A., Barry R.G. , Brown J., 2000, Further statistics of the distribution of permafrost and ground ice in the northern hemisphere, Polar Geogr. 24 126–31