4. di Aristotele (278b, 12 – 297b,3) “ Nella prima accezione parliamo del cielo, la sostanza dell’estrema orbita del Tutto, ovvero il corpo naturale che si trova nell’orbita onnicomprensiva; siamo soliti infatti chiamare per eccellenza “cielo” il luogo estremo più elevato, nel quale diciamo anche avere la sua sede quanto v’è di divino. In un secondo senso, diciamo ‘cielo’ il corpo immediatamente contiguo all’estrema orbita del Tutto, nel quale si trovano la luna, il sole e alcuni degli astri (più precisamente, i pianeti); anche questi infatti noi diciamo che sono nel cielo.
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6. Poiché dunque ‘cielo’ si dice in questi tre sensi, la totalità di quanto è abbracciato dall’estrema orbita è di necessità formata da tutta quanta la sostanza corporea naturale e sensibile, perché fuori dal cielo non v’è, né è possibile che venga ad essere, alcun corpo. Se infatti fuori dall’ultima orbita vi fosse un corpo naturale, esso rientrerebbe di necessità o fra i corpi semplici o fra quelli composti, e la sua condizione sarebbe o secondo natura o contro natura. Ma esso non potrebbe essere nessuno dei corpi semplici; infatti s’è dimostrato che ciò che si muove in circolo non può mutar di luogo.
7. Ma non potrebbe essere neppure il corpo che si allontana dal centro, o quello che resta sotto a tutti. Non vi sarebbero secondo natura, perché altri sono i luoghi propri ad essi; e, se vi si trovano contro il proprio essere, il luogo esterno verrà a essere secondo natura per un altro corpo; ciò infatti che è contro natura per uno, è necessariamente secondo natura per un altro.
8. Ma abbiamo visto che non c’è nessun altro corpo oltre a questi. Non è possibile dunque che alcun corpo semplice si trovi fuori dal cielo. Ma se non è un corpo semplice, non è neppure uno composto, perché è necessario che dove c’è il composto vi siano anche i semplici.
9. E neppure è possibile che venga mai a trovarcisi: vi sarà infatti o secondo natura o contro natura, e sarà o semplice o composto. Cosicché ritornerà daccapo il medesimo discorso: perché non differisce in nulla che si ricerchi se è o se può venire ad essere.
10. È evidente dunque da quanto esposto che al di fuori del cielo non c’è, né è ammissibile che venga ad essere, alcuna mole corporea; il mondo nella sua totalità è dunque formato di tutta la materia propria ad esso: perché materia di esso abbiamo visto essere il corpo naturale sensibile. Cosicché né ora vi sono più cieli, né vi furono, nè è ammissibile che abbiano mai a sorgere: questo cielo è uno, e solo e perfetto.
11. È insieme evidente anche che fuori del cielo non c’è né luogo, né vuoto, né tempo. In ogni luogo infatti può sempre trovarsi un corpo; vuoto poi dicono essere ciò in cui non si trova presente un corpo, ma può venire a trovarsi; tempo infine è il numero del movimento, e non c’è movimento dove non c’è un corpo naturale. Ma si è dimostrato che fuori del cielo non c’è e né può venire ad esserci un corpo. È evidente dunque che fuori del cielo non c’è neppure luogo, nè vuoto, né tempo.
12. Perciò gli enti di lassù non son fatti per essere nel luogo, nè li fa invecchiare il tempo, nè si da alcun mutamento in nessuno degli enti posti al di là dell’orbita più esterna, ma, inalterabili e sottratti ad ogni affezione, trascorrono essi tutta l’eternità [aion] in una vita che di tutte è la migliore e la più bastante a se medesima. Anche questo nome di Aion si direbbe pronunciato dagli antichi quasi per divina ispirazione: si dice infatti aion di ciascuno l’ultimo termine che circoscrive il tempo di ogni singola vita, al di fuori del quale non c’è più nulla secondo natura .
13. Parimenti, anche il termine perfetto di tutto il cielo, che contiene e abbraccia la totalità del tempo e l’infinità di esso, anche questo si dice aion, e prende questo nome da aiei enai [essere sempre], immortale e divino.
14. È di lassù che dipende, per gli uni più manifestamente, per gli altri meno visibilmente, anche l’essere e la vita di quant’altro esiste. Ed anche, come nelle trattazioni a carattere generale e divulgativo intorno alle cose divine, viene spesso in evidenza nel ragionamento che sempre il principio divino primo e supremo è di necessità sottratto ad ogni mutamento; ciò che, stando così, attesta la verità di quanto abbiamo detto. Non c’è infatti un altro ente ad esso superiore che possa imprimergli il movimento – questo infatti sarebbe più divino di esso –, né ha in sé nulla di vile, né è in difetto di alcuno dei beni ad esso propri.
15. È conforme alla ragione che il primo cielo si muove di un moto incessante: tutti i corpi, infatti cessano di muoversi una volta pervenuti nel luogo ad essi proprio, mentre per il corpo circolare uno e il medesimo è il luogo donde il moto inizia ed in cui ha fine.”
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18. La fisica studia Le sostanze in Movimento (percepibili con i sensi) La seconda scienza Teoretica Teoria del movimento sostanziale qualitativo locale quantitativo Circolare (sostanze immutabili, ingenerabili, Incorruttibili) Dal centro del Mondo verso L’alto Dall’ alto verso Il centro del mondo etere Quattro Elementi: acqua, Aria, terra, fuoco
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20. Il tempo Mentre per Aristotele lo spazio è finito in estensione - ma continuo e quindi divisibile all'infinito - il tempo che è un numero (il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il dopo) è infinito almeno potenzialmente - questo vuol dire che si può aggiungere un unità a quella già conteggiata. Aristotele pensa che il movimento sia eterno - in particolare quello della stelle fisse. Senza entrare nel merito della sua dimostrazione, si può dire che il tempo compare come una proprietà del movimento, il suo essere misurabile, cioè numerabile, non solo nel senso di colui che conta ma anche nel senso di ciò che rende numerabile il movimento - misuriamo intervalli di tempo i cui confini sono il prima e il dopo - calcati sui concetti spaziali di avanti-dietro. Per Aristotele il movimento è un continuum - e il tempo è una misura che appartiene simultaneamente a tutti i movimenti misurabili - v'è un solo tempo che appartiene a tutti i movimenti del cosmo. L'infinito potenziale del tempo si esplora tanto verso il passato quanto verso il futuro. Questo è un punto in cui lo scarto da Platone è notevole. Per Platone vi era un inizio del mondo, l'atto ordinatore del demiurgo che crea il tempo; Aristotele è un anti creazionista, egli pensa certo che il mondo sia intriso di divino, mosso dal motore immobile invisibile, ma questa struttura del cosmo è eterna. Aristotele comincia nel IV libro della Fisica la sua disamina del tempo con un paradosso; il tempo non esiste: il passato perché non c'è più, il futuro perché non c'è ancora, il presente ( nyn ) non è nel tempo perché esso separa ciò che è passato da ciò che è futuro. Non sembra che Aristotele abbia sciolto esplicitamente il paradosso, sembrerebbe un'interpretazione secondo cui il passato e il futuro non esistono perché non sono qui, non sono presenti, per Heidegger on è unwesend , avere presenza. L'istante come il punto è potenziale, la divisione si arresta, il conto si ferma. Non v'è quindi passato e futuro, ma neanche intervalli di tempo perché essi consistono di passato e futuro, e neanche movimento perché esso si svolge in un intervallo di tempo, né l'istante perché esso è attualizzazione del movimento.