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a.a. 2013/2014 
Processi di innovazione culturale 
Il recupero della socialità di quartiere con la Social Street di Via Fondazza 
Elena Colli 
INSEGNAMENTO: PROCESSI DI INNOVAZIONE CULTURALE 
DOCENTE: CARMEN LECCARDI 
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SOCIOLOGIA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
SOMMARIO 
Sommario .......................................................................................................................................................... 1 
1 Introduzione .............................................................................................................................................. 2 
1.1 Innovazione culturale: definizioni e teorie ........................................................................................ 2 
1.2 Innovazione e senso comune: la centralità della vita quotidiana ..................................................... 4 
2 Ripercorrere l'innovazione culturale attraverso la Social Street ............................................................... 5 
2.1 Metodologia per lo studio di caso ..................................................................................................... 5 
2.2 La Social Street di Via Fondazza: dal virtuale, al reale, al virtuoso .................................................... 6 
2.3 Ridefinizione e riproduzione del quotidiano in Via Fondazza ......................................................... 12 
2.4 Affinità e divergenze con altre esperienze in una cornice storica .................................................. 16 
2.4.1 Modernizzazione e movimenti collettivi ................................................................................. 16 
2.4.2 Associazioni dei famigliari delle vittime di stragi ..................................................................... 18 
3 Conclusioni .............................................................................................................................................. 20 
4 Bibliografia ............................................................................................................................................... 21 
5 Appendice ................................................................................................................................................ 23 
5.1 Locandina utilizzata dal fondatore per la pubblicizzazione del gruppo .......................................... 23 
5.2 Locandina della mostra fotografica: I volti di Via Fondazza ............................................................ 24
1 INTRODUZIONE 
Affrontare il tema dell’innovazione attraverso la lente degli aspetti culturali, significa analizzare l’origine ed i meccanismi dei processi innovativi, mettendo in luce il ruolo giocato dalla produzione di nuovi quadri concettuali e schemi interpretativi, capaci di rompere il senso comune e di ridefinire la realtà sociale. 
Indagare sugli agenti e le motivazioni che stanno alla base dell’innescamento di questi processi, però, non è affatto facile: l’innovazione spesso non è voluta, e più di quanto non si ammetta, non è addirittura oggetto di possibili volontà. L’innovazione è tale solo se gli attori competenti sono in grado di riconoscerla, per cui sarebbe più corretto dire che essa è un costrutto di intelligenze (Donolo e Fichera, 1988). Il compito di queste pratiche di innovazione (in particolar modo di inclinazione culturale) non è infatti tanto offrire soluzioni a un problema, quanto di acuire l’intelligenza pratica dell’attore in relazione a contesti specifici, spesso relativi alla vita quotidiana, e dare vita a pratiche in cui si rifletta la cultura di una comunità di attori e l’intelligenza di ciascuno di loro. 
1.1 INNOVAZIONE CULTURALE: DEFINIZIONI E TEORIE 
L’innovazione riguarda un mutamento della forma della routine quotidiana, e del significato che vi viene attribuito da parte degli attori sociali. Questo mutamento comporta una ridefinizione delle rappresentazioni della realtà, delle identità, e delle forme dell’agire. La capacità di un sistema sociale di produrre innovazione è dunque legata ad elementi culturali, nonché ai modi di interpretazione della realtà. 
Ma quali sono le definizioni teoriche proposte dall’universo sociologico? Verranno qui esposte alcune delle principali definizioni provenienti dalle più autorevoli voci del mondo accademico, adatte ad inquadrare il concetto di innovazione all’interno della cornice culturale sulla quale proponiamo di focalizzarci. 
Come prima definizione di stampo generale si può considerare quella proposta da Gallino, che definisce l’innovazione culturale come “introduzione, in uno specifico contesto, di una nuova tecnica” (Gallino, 1978). 
Un’altra proposta di tipo più approfondito viene da Donolo (Donolo e Fichera, 1988), che parla dell’innovazione come di un processo di apprendimento, dove emergono nuovi stili di conoscenza che consentono, più che la soluzione di precedenti problemi, la messa a tema di nuove questioni. Questa seconda definizione si avvicina squisitamente all’approccio qui utilizzato, secondo il quale l’attenzione va ai processi attraverso i quali vengono alla luce nuove forme di concettualizzazione. 
Come terza definizione generale verrà infine considerata quella di Donolo e Fichera (1988) che trovano nell’innovazione “l’espressione di un incremento di razionalità nelle forme dell’azione”, dove questo incremento di razionalità è sia sociale sia politico, e vi gioca un ruolo centrale la dimensione culturale: questo è infatti l’elemento che permette di distinguere l’innovazione dalla mera riforma.
A fianco di queste tre definizioni generali stanno poi altri autori che si sono occupati di innovazione in riferimento a contesti specifici: nel campo dell’economia imprenditoriale è certamente di spicco il contributo di Joseph Schumpeter. Secondo l’economista austriaco, l’innovazione si prefigura come uno strumento chiave per la crescita economica, incarnata nella figura dell’imprenditore eroico schumpeteriano, che tramite l’introduzione di nuovi schemi organizzativi o produttivi crea una nuova e fortunata combinazione di risorse che gli permette di godere, fintanto che l’innovazione non è completamente diffusa, dello status di monopolio. Gershuny cerca di andare ancora più a fondo nelle connessioni tra economia e sociologia, definendo l’innovazione come un “mutamento nel modo di provvedere ai bisogni indotto dalla crescita economica” (Gershuny, 1993). In ultimo, interessante per il caso studio che verrà affrontato è il punto di vista proposto da Tuomi in Networks of Innovation (2002). È interessante perché quello a cui l’autore si riferisce è in particolare l’innovazione legata ad Internet, dal momento che la rete è diventata ormai una tecnologia chiave presente in diverse aree della nostra vita quotidiana. L’innovazione per Tuomi è qualcosa che va oltre il solo impatto economico, ma bensì include un’importante processo sociale e cognitivo che fa sì che cambino le pratiche sociali, e si avvii la creazione di una comunità di pratiche. In particolar modo l’autore fa riferimento ai nuovi sistemi di collaborazione open source, la cui evoluzione ha visto una crescente centralità dell’utente rispetto allo strumento stesso: basti pensare a piattaforme come Linux, sviluppate da social community auto- organizzate e completamente informali. Da sempre innovazione e tecnologia sono strettamente legate tra loro, ma nell’era digitale subentrano tecnologie che sono oggetto di interpretazione e riappropriazione da parte degli attori nel contesto delle loro pratiche: è l’utente che inventa il prodotto, modellando lo strumento tecnico sulla base dei propri bisogni, trasformando il protagonista dell’innovazione dall’inventore eroico all’utente eroico. 
Nell’innovazione sociale le dimensioni tecnologiche, istituzionali, politiche e culturali appaiono strettamente interconnesse. Come potenziali sorgenti di innovazione la letteratura suggerisce: 
1) Società civile: l’insieme di relazioni associative, culturali, economiche e sociali che intercorrono nelle società moderne tra i cittadini (reticolo distinto e talvolta contrapposto allo Stato e alla società politica) 
2) Movimenti collettivi: i movimenti sociali che nascono come espressione di un conflitto sociale, portatori di un’azione collettiva tesa a provocare una rottura dei limiti di compatibilità del sistema nel quale questa azione si situa. 
Alla luce di queste definizioni concettuali e approfondimenti teorici si può dunque dire che l’innovazione culturale è un processo sociale, fortemente legato ai processi di interazione, comunicazione e interpretazione, al cui interno la componente cognitiva risulta centrale: per questo è importante analizzare i modi e le forme della conoscenza legati al sapere quotidiano, proprio a partire dal concetto di senso comune, di cui verrà fatto un breve approfondimento nel paragrafo successivo.
1.2 INNOVAZIONE E SENSO COMUNE: LA CENTRALITÀ DELLA VITA QUOTIDIANA 
Le radici di questo lavoro affondano nel campo della sociologia della cultura, intesa come insieme delle pratiche e degli orientamenti di senso mediante cui ogni giorno prende forma la vita sociale: per questo è importante tenere conto che, per il concetto di innovazione qui inteso, la vita quotidiana è una dimensione fondamentale. 
Secondo l’etimologia, l’aggettivo quotidiano deriva dal latino cotidie, ovvero “di ogni giorno”. Ciò che avviene e si ripete ogni giorno è ordinario, banale quando non volgare o noioso: con questi significati il termine è entrato nell’uso comune di diverse lingue europee agli inizi dell’Ottocento, per poi trasformarsi in luogo della realizzazione dei desideri e misura della qualità della vita a partire dalla seconda metà del Novecento (Jedlowski, 1986). Il quotidiano è innanzitutto un tempo, o meglio una forma, della temporalità vissuta: il tempo della ripetizione, dell’abitudine e della routine, di ciò che ritorna e che, proprio per questo suo ritornare ciclicamente, genera un’aura di familiarità attorno ai suoi contenuti tale da farli sfuggire per lo più all’attenzione. È l’ambito in cui si produce l’ordine simbolico che regola le interazioni, attraverso il quale è possibile comprendere i processi di costruzione sociale della realtà (Jedlowski e Leccardi, 2003). Ed è proprio da queste interazioni che nascono quelle pratiche quotidiane che poi entrano a far parte della routine, dando alle relazioni sociali un ruolo certamente centrale in questo processo. 
Per usare le parole di Peter e Brigitte Berger, tra i più noti esponenti della corrente della sociologia fenomenologica statunitense, la vita quotidiana è “il tessuto di abitudini familiari all’interno delle quali noi agiamo e alle quali noi pensiamo per la maggior parte del nostro tempo. Questo settore dell’esperienza è per noi il più reale: è il nostro habitat usuale e ordinario” (Berger e Berger, 1995). Posta in questi termini, la vita quotidiana è un concetto. Esso intende la vita umana nei suoi aspetti specificamente ripetitivi e si inscrive in una costellazione di concetti collegati: abitudine, routine, familiarità, istituzione, socializzazione e via dicendo, e in quanto dimensione ricorrente, rinvia ad orizzonti di senso che ci sono familiari. 
Un altro modo di intendere la vita quotidiana è considerarla un’area di ricerca. In questa accezione, essa corrisponde grosso modo a ciò che gli storici chiamano cultura materiale (Braudel, 1967): l’insieme degli ambienti, delle pratiche, delle relazioni e degli universi di senso al cui interno i soggetti trascorrono la maggior parte del proprio tempo, secondo le fasi del loro percorso biografico, in una data società e in un periodo storico determinato. Così intesa la vita quotidiana comprende modalità abitative e abitudini alimentari, routine lavorative e trasporti, relazioni in famiglia e relazioni con gli sconosciuti che si incontrano per strada, consumi e tempo libero, cura del corpo e letture… un elenco virtualmente infinito, anche se non indeterminato. 
Ed è proprio nel contesto della vita quotidiana che nasce il concetto di senso comune, definibile come lo stile cognitivo e il modo di pensare proprio della vita di tutti i giorni, lo sfondo entro il quale si colloca l’esperienza
personale (Jedlowski, 1994). Il senso comune è l’ovvio per eccellenza, il regno del non problematico, del famigliare. Dalla concettualizzazione sociologica proposta da Jedlowski, il senso comune è formulato come “un insieme di assunzioni presenti nella vita in comune, intese implicitamente dai soggetti che vi fanno riferimento come assunzioni universalmente riconosciute”, appunto come “quello che tutti sanno”, come recita il titolo della pubblicazione dell’autore. In questo insieme di assunzioni condivise, non sempre troviamo un’argomentazione razionale. Anzi, si tratta più spesso di credenze, in cui gioca una parte fondamentale il processo con cui questa “scontatezza” delle assunzioni viene difesa, partendo dalle evidenze di tutti i giorni. 
Introducendo questo concetto, è possibile andare ancora più a fondo nella comprensione del processo di innovazione culturale, perché quello che accade, sul piano cognitivo, corrisponde precisamente ad una rimessa in discussione del senso comune: ad una sospensione, in altri termini, dell’atteggiamento che dà per scontati i contenuti e le forme della realtà. Ne derivano in questo modo apertura all’incertezza, ma anche alla creatività. Quest’ultima è un tema certamente ricorrente nelle pratiche di innovazione, che di fatto rispecchia l’attenzione e l’interesse generale che la circondano da ormai cinquant’anni. L’affermazione e diffusione della creatività come sinonimo di talentuoso, inventivo, fantasioso, produttivo è infatti molto presente nelle realtà dell’innovazione culturale o sociale. Sullo sfondo di questo exploit stanno le grandi trasformazioni della società e della cultura: in sistemi statici e chiusi non si pone in modo così pressante il problema del cambiamento. Ma più la situazione è mobile e aperta, più la società si muove in un ambiente mutevole, ed è sollecitata a cambiare, più diventano essenziali le capacità di adattamento e la flessibilità (Melucci, 1994). 
2 RIPERCORRERE L'INNOVAZIONE CULTURALE ATTRAVERSO LA SOCIAL STREET 
2.1 METODOLOGIA PER LO STUDIO DI CASO 
Per indagare la realtà della Social Street di Via Fondazza (Bologna), ho fatto affidamento a due principali fonti di rilevazione empirica: 
1) Partecipazione al convegno “La rete delle Social Street di Bologna si presenta alla città” tenutosi il 22 Marzo 2014 presso il Working Capital Accelerator (WCAP) di Via Oberdan n. 22 a Bologna. 
In questo incontro è stato possibile ascoltare i fondatori della Social Street di Via Fondazza parlare della loro storia e degli sviluppi della Social Street a quasi un anno di distanza dalla nascita del fenomeno. La presentazione è stata accompagnata anche da testimonianze di fondatori di ulteriori Social Street bolognesi nate in seguito emulando l’esempio di Via Fondazza. 
2) Iscrizione al gruppo chiuso di Facebook "Residenti di Via Fondazza - Bologna", previa autorizzazione da parte di una residente amministratrice del gruppo (viene richiesto il numero civico o l’eventuale motivo dell’iscrizione, via chat), grazie al quale è stato possibile esperire in prima persona del fluire
quotidiano di annunci, richieste, saluti e scambi di informazioni ed idee virtuali. Tramite questo strumento ho potuto anche fare un appello per la ricerca di volontari disposti a prestarsi per un’intervista. 
A proposito di quest’ultima è necessario specificare che ho voluto utilizzare una tecnica mista che fondesse le caratteristiche salienti di a) intervista discorsiva di gruppo e b) focus group, per poter modellare un tipo di raccolta di documentazione empirica che calzasse con il mio caso e aiutasse a raggiungere al meglio gli obiettivi di ricerca. Il focus group offre uno spazio per indagare come si formano, vengono messi in questione e qualche volta cambiano le opinioni, gli atteggiamenti, i discorsi, le narrazioni, le rappresentazioni. È possibile osservare le dinamiche dell’everyday talk in interaction: “la discussione che crea attinge alle esperienze quotidiane dei partecipanti. Discutendo, […] compiono atti di identificazione e differenziazione, costruiscono diversi “noi”, “voi”, parlano come individui o come rappresentanti di istituzioni. Esprimono punti di vista morali […], i loro corpi contribuiscono attivamente alla comunicazione” (Frisina, 2010). Per questo ho trovato nel focus group un valido alleato per un’indagine sull’innovazione culturale, proprio per la sua capacità di analisi nei temi del senso comune e delle relazioni della vita quotidiana. Non potendo però intavolare una vera e propria discussione attorno a temi di dibattito, che sono il cuore della buona riuscita di un focus group, ho dovuto fonderla con la tecnica dell’intervista discorsiva. Tra le possibili forme dell’intervista discorsiva ho scelto quella di gruppo per poterla più assimilare al modello di focus group, per la registrazione delle interazioni e relazioni tra gli intervistati. Questa seconda tecnica permette di creare narrazioni a partire da poche domande-stimolo proposte dall’intervistatore, che nel caso di questa ricerca ruotavano attorno ai temi della routine quotidiana, la gestione del tempo, l’impatto della social street sulla propria identità (Cardano, 2011). 
Non avendo avuto modo di mettere in pratica il mio progetto di intervista causa restrizione del tempo a disposizione, ho integrato le due principali fonti di rilevazione empirica con l’analisi di documentazione raccolta da terzi (articoli di giornali e riviste specializzate) tra cui un’intervista al fondatore Federico Bastiani condotta da un’operatrice di Societing, accademia di ricerca che ha collaborato alla pubblicazione dell’ormai affermato “Libro Bianco sulla Innovazione Sociale”, tratto dagli studi di Robin Murray e della Young Foundation. 
2.2 LA SOCIAL STREET DI VIA FONDAZZA: DAL VIRTUALE, AL REALE, AL VIRTUOSO 
L’idea della Social Street ha origine dall’esperienza del gruppo di Facebook “Residenti in Via Fondazza – Bologna”, iniziata nel Settembre 2013 nel capoluogo emiliano. L’ideatore del gruppo, un giovane lavoratore e padre di famiglia, Federico Bastiani, aveva un unico obiettivo: far socializzare i vicini di casa al fine di acquisire fiducia reciproca, a partire da un bisogno personale ed elementare che era quello di trovare qualcuno con cui far giocare il figlio piccolo. Risiedendo in Via Fondazza da ormai quattro anni, si era reso
conto che il contatto con gli abitanti della strada non andava mai oltre il “buongiorno”, nonostante fossero persone che facevano parte della sua routine quotidiana, almeno visivamente. Federico ha così deciso, senza alcun investimento in termini di creazione di siti web ufficiali o di prese di posizione istituzionali, di utilizzare lo strumento che ormai la maggioranza delle persone utilizza, Facebook: ha creato il gruppo chiuso “Residenti in via Fondazza” e battezzato amichevolmente i suoi residenti in “fondazziani”. 
L’obiettivo della Social Street è infatti quello di socializzare con i vicini della propria strada di residenza al fine di instaurare un legame, condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale. Per raggiungere questo obiettivo a costi zero, ovvero senza aprire nuovi siti, o piattaforme, la Social Street utilizza la creazione di gruppi chiusi di Facebook (accesso controllato e contenuti visibili esclusivamente agli utenti interni), supportati dall’utilizzo di bacheche reali o volantini cartacei da apporre nella strada di riferimento per chi, per scelta o per impossibilità, non utilizza il celebre social network1. In poco tempo, l’idea di Federico si è diffusa tra i cittadini Bolognesi, che hanno a loro volta creato altre Social Street a partire da altrettanti gruppi Facebook, fino a che il fenomeno non ha catturato l’attenzione dei media conoscendo una vera e propria esplosione: a neppure un anno di distanza, si contano 318 Social Street registrate nel territorio italiano, e un principio di diffusione oltralpe e oltreoceano, con più di venti Social Street in Portogallo, Croazia, Santiago del Cile, addirittura Nuova Zelanda. 
Figura 1. La diffusione delle Social Streets nel mondo. Fonte: http://www.socialstreet.it/social-street-map/ 
1 http://www.socialstreet.it/chi-siamo/
I passi che Federico Bastiani ha percorso per la creazione della Social Street di Via Fondazza, e che sono diventate poi le linee guida proposte per chiunque ne voglia istituire una nel proprio quartiere, sono i seguenti: 
1) Creazione di un gruppo chiuso di Facebook 
Creazione di un gruppo chiuso a partire dal proprio profilo Facebook. Per essere trovati dal motore di ricerca di Facebook è necessario che il nome del gruppo sia nel formato: 
“Residenti in nome via (oppure piazza, quartiere, etc) – nome città – Social Street”. 
Il gruppo è consigliabile sia chiuso per tutelare la privacy delle persone che ne entreranno a far parte. Le impostazioni della privacy possono essere gestite dal fondatore che può decidere o meno se autorizzare tutti i post in automatico o se volerli moderare e autorizzare; ma questa seconda ipotesi è sconsigliata perché lo spirito della Social Street non prevede l’idea del “capo”. Il fondatore è soltanto il moderatore che indirizza le proposte e le idee del gruppo ma non è il leader. Social Street cerca di essere il più democratico possibile, e la condivisione sta alla base di questa esperienza. Ovviamente determinate decisioni devono essere prese in modo snello e veloce, e la condivisione totale rende difficile talvolta ottenere questo risultato. Per questo, viene consigliato di creare una sorta di “consiglio di amministrazione”, un gruppo formato dal creatore del gruppo e da altre quattro o cinque persone. Dato che Facebook è l’elemento fondamentale della Social Street, il fondatore del gruppo chiuso potrà aprire chat private con il “consiglio di amministrazione” per prendere decisioni in tempi brevi. È importante un minimo controllo dei contenuti da parte degli amministratori, che devono permettere che quello sia unicamente un luogo che mette insieme le persone, evitando che emergano cose che possano creare divisioni interne (ad esempio discussioni politiche), o non inerenti allo spirito di Social Street: è possibile che alcuni membri del gruppo entrino per fare pubblicità propria, dunque sarà il fondatore a decidere se quel tipo di pubblicità è spam (e quindi da rimuovere) oppure se è una pubblicità che può essere utile a tutti i membri del gruppo. Nel momento della creazione è possibile che non si conosca assolutamente nessuno della strada e che sia dunque difficile creare un “consiglio di amministrazione”: non è un problema, c’è sempre tempo per formarlo, l’importante è partire. 
2) Pubblicizzare il gruppo 
Una volta creato il gruppo su Facebook lo si pubblicizza con una locandina, servendosi di un semplice foglio A4 nel quale si indica la nascita del gruppo, l’obiettivo della socialità ed il link, per esempio “Residenti in Via Fondazza – Bologna”. A questo punto si fotocopia e diffonde la locandina nei posti più visibili possibili, tenendo conto anche delle regole per l’affissione. Si possono mettere ad esempio nelle buche delle lettere dei condomini, sotto le porte o portoni delle case, illustrando l’idea a qualche attività commerciale della strada che possa esporre la locandina (si trova un esempio della locandina utilizzata per Via Fondazza in Appendice). Non bisogna partire con grandi obiettivi: il
successo della Social Street non si misura in base al numero dei membri del gruppo, anzi, i gruppi più piccoli funzionano meglio grazie ad una maggiore interazione e conoscenza reciproca. Una volta creato e diffuso un primo gruppo si possono iniziare a coinvolgere anche le attività commerciali della strada e a proporre scambi vantaggiosi per entrambe le parti (maggiori sconti per i residenti, più clienti per l’attività commerciale). 
3) Gestione del gruppo 
Il gruppo va alimentato di contenuti ed idee. L’idea è quella che il gruppo si auto-alimenti, ma difficilmente questo avviene nella realtà. Bisogna avere la consapevolezza che verosimilmente agli inizi la curva degli iscritti è in rapida ascesa, ma seguita a ritmi ben più lenti dal numero di persone che appaiono in bacheca, e ancora meno a livello reale sulla strada. Il fondatore o i membri del “consiglio di amministrazione” devono cercare di tenere vivo il gruppo anche con piccole cose. Il gruppo “Residenti di Via Fondazza a Bologna” su Facebook ha creato degli album fotografici per condividere le foto, scambiare oggetti che non si usano più, o ancora ha creato un hashtag della propria strada (#Fondazziani) per condividere e stimolare foto su altri social network (Instagram, Twitter). Le possibilità sono tante, e sono aperte alla creatività dei residenti. È opportuno ricordare che Social Street non deve diventare un lavoro per nessuno, non deve essere un impegno eccessivo, ma un piacere. Facebook consente di interagire con gli altri in qualunque momento, l’importante è condividere con gli altri le proprie esperienze, le proprie necessità, perché la condivisione può portare a sua volta la creazione di “sottogruppi” che hanno affinità. Per esempio per i musicisti e appassionati di musica, Social Street permette di scoprire se nel vicinato esistono altre persone che condividono la stessa passione musicale, offrendogli così l’opportunità di organizzare incontri e collaborazioni sulla base di un sentimento comune. Quando il gruppo si evolve e cresce, coinvolgendo persone che non si conoscono fra loro ma abitano nella stessa strada e che attraverso il gruppo riusciranno a risolvere problematiche o piccole necessità, e magari anche a far nascere amicizie, si potrà dire la Social Street ha avuto successo. 
4) Dal virtuale al reale 
La parte più interessante della Social Street è che nasce sul virtuale, unendo persone che abitano vicine (ma non si conoscono) su una piattaforma Facebook, e che in un secondo momento si sviluppa trasponendo questi contatti dal virtuale al reale. All’interno del gruppo Facebook è possibile creare eventi, un altro potentissimo strumento che permette di conoscere di persona i contatti iscritti al gruppo: non servono spazi pubblici o sale da affittare per ospitare questi eventi, poiché esistono le piazze, i giardini o le case delle persone. Per portare avanti la Social Street infatti non servono investimenti finanziari, serve soltanto un po’ di intraprendenza e la volontà di interagire con i propri vicini di casa.
Figura 2. Fonte: www.socialstreet.it 
Una volta percorsi i passi per la costruzione e lo sviluppo della Social Street, per indagare i meccanismi innescati da questa pratica il passaggio più ovvio è andare ad analizzare che cosa avviene all’interno del suo strumento di base: il gruppo Facebook. Che cosa si fa in questo gruppo? Per prima cosa si scambiano e si condividono informazioni utili per tutti, comunicando in tempo reale per problemi e proposte della vita di tutti i giorni, e soprattutto si condivide la propria esperienza per metterla al servizio degli altri. Alcuni esempi concreti: 
1) Nella strada abitano studenti universitari fuori sede, che appena trasferiti a Bologna non conoscevano nessuno, non sapevano come muoversi nella città, dove trovare la lavanderia a gettoni più vicina, la palestra più economica, e tutti questi interrogativi quotidiani di cui non esiste un ufficio studenti o un sito web di competenza. La risposta ai problemi e alle pratiche quotidiane relative ad un territorio specifico, infatti, possono essere trovate solo in chi le vive ogni giorno, e che condivide le tue stesse esigenze: in questo sta la potenzialità del vicinato. Nel gruppo è quindi possibile chiedere aiuto per le necessità di base di chi si è appena trasferito, e trovare la giusta dose di accoglienza e spirito collaborativo. 
2) Via Fondazza per i passanti è una strada normale, nulla di più di moltissime altre vie porticate bolognesi. All’interno esibisce però bellissimi balconi e terrazzi con magnifiche vedute, sui quali è stato appositamente creato un album sul gruppo Facebook per condividere fotografie con le parti più segrete della strada, come per condividere un quotidiano che appartiene solo ai residenti, da custodire e curare, e nel quale identificarsi e riconoscersi in quanto tesoro godibile solo dai residenti. 
3) Nell’ottica del recupero, è stato creato un album fotografico per “scambiare e/o vendere oggetti usati”, spesso dimenticati nelle cantine, quando invece possono essere utili ad altre persone. Condividere questi oggetti con il vicinato permette una maggiore probabilità di visibilità e scambio concreto rispetto alle piattaforme online come Ebay che richiedono registrazioni, percentuali, fiducia verso sconosciuti, trasporti (e quindi inquinamento).
4) Recupero alimentare. Un altro frequente dilemma quotidiano è lo spreco alimentare, che a causa di errate valutazioni quantitative di acquisto, intolleranze alimentari diagnosticate, o semplicemente accumulo di cibo in scadenza prima di partire per una vacanza o per un trasloco, costringe spesso a buttare via cibo ancora commestibile. Avendo costruito un rapporto di fiducia con il vicinato, si può semplicemente pubblicare dei post nel gruppo dove si invitano le persone a scambiarsi o donare il cibo in eccesso evitando sprechi e cogliendo anche l’opportunità di aiutare le persone in difficoltà nel proprio vicinato. 
5) Aiuto concreto. Può capitare che serva aiuto per un trasloco, l’imbiancatura di una stanza, lo spostamento di un mobile. Sempre con un semplice post si può verificare se ci sono volontari disposti ad offrire il loro aiuto. Anche nel caso di scarsi preavvisi, ci si può stupire di quante persone necessitino proprio in quel momento di una pausa dal lavoro domestico, o che semplicemente abbiano voglia di rendersi utili in cambio di quattro chiacchiere. 
6) Organizzare compleanni di strada per condividere con gli altri (anche persone che non si conosce) un evento particolare che può essere un compleanno ma anche qualsiasi altra occasione semplicemente con la volontà di condividere una festa, e creare un’occasione di scambio e socialità. 
7) Organizzare eventi mensili dove le persone del gruppo possono incontrarsi fisicamente, uscendo dal virtuale. I luoghi per gli incontri vengono da sé, riappropriandosi dello spazio offerto dalla propria strada: le piazze, i cortili, le case, gli esercizi commerciali presenti nella via. 
Figura 3. Fonte: www.socialstreet.it 
Le possibilità di condivisione sono infinite ed è il gruppo stesso ad alimentare nuove proposte: non è una funzione che spetta al “leader”, ma sono tutti i residenti nel puro spirito della democrazia partecipativa. Nella condivisione non devono esserci finalità di lucro ma solo finalità sociali. “Social street non porta avanti nessuna visione politica, religiosa, ideologica di alcun tipo, raggruppa le persone con l’unico criterio della
vicinanza fra residenti nell’area”2. Tra i tipi di innovazione sociale proposti da Pestoff (1998), Social Street si inserisce certamente nella terza categoria: “terzo settore in relazione stabile con le amministrazioni, orientato alla produzione di beni e servizi pubblici, favorendo la transizione da welfare state a welfare society3”. 
È un progetto che appare ambizioso e talvolta venato nostalgismo, con quel malinconico richiamo alle comunità del passato che ricorda tanto la “gemeinschaft” di Tönnies: «La città non crea più occasioni di socialità. Penso ad esempio ai paesini di cinquanta anni fa, dove magari la domenica mattina ci si riuniva per andare a Messa, era un momento di socialità. Oggi queste cose non ci sono più e quindi in questo caso Facebook mi ha aiutato tantissimo» spiega il fondatore Federico Bastiani all’intervistatore di Societing4. Ma il richiamo al passato è in realtà intelligentemente combinato con i vantaggi e gli strumenti dell’oggi, per non rimanere fine a se stesso: «La solidarietà e l’aiuto reciproco sono cose che vengono col tempo. Pensa che la signora Carla, settantacinque anni, ha aperto un profilo Facebook solo ed esclusivamente per entrare nel gruppo di via Fondazza, perché le sembrava di essere tornata indietro nel tempo». 
2.3 RIDEFINIZIONE E RIPRODUZIONE DEL QUOTIDIANO IN VIA FONDAZZA 
Come abbiamo visto dopo questo paragrafo di presentazione, nella Social Street non si tratta di creare un’associazione o una struttura. Si tratta di stimolare un cambiamento dei propri orizzonti di senso, una ridefinizione delle proprio modo di abitare e di vivere un quartiere, per fare in modo che nasca di sua spontanea volontà un gruppo collaborativo di persone capace, se ingranate le giuste marce, di auto- alimentarsi e di instaurare relazioni sulla base della fiducia per favorire gli scambi, progettare eventi e incoraggiare la solidarietà. In poche parole, quello che Social Street produce, in modo parzialmente involontario, è innovazione culturale. Ma passare da uno scambio di informazioni sui bisogni di tutti i giorni ad uno scambio finalizzato a un nuovo modo di concepire l’economia e la propria vita in relazione, con la finalità di modificare l’esistente, non è un passo scontato né semplice. 
La cosa più stupefacente è stata il successo e la diffusione istantanea dell’idea di Federico Bastiani: una volta sparsa la voce di quello che stava accadendo in Via Fondazza, grazie all’attenzione dei media, ne è conseguita un’esplosione di richieste da parte di cittadini di Bologna e di tutta Italia: tutti volevano (e ancora oggi vogliono, basta verificare andando a scorrere i commenti presenti a centinaia nel sito web di Social Street Italia) la propria Social Street, quasi come espressione di un disperato bisogno represso da tempo, ignaro di essere condiviso da così tante persone, e che trova ora nell’idea di Federico uno spiraglio di speranza. 
2 www.socialstreet.it 
3 Pestoff, V. (1998). Beyond the market and state: social enterprises and civil democracy in a welfare society. 
4 Intervista disponibile all’indirizzo: http://www.societing.org/2013/12/social-street-intervista-federico-bastiani- bologna-social-innovation/
Affinché questo esperimento possa funzionare, e incidere sulla società e sulla qualità della vita di ognuno, sono necessari alcuni ingredienti, rilevabili dall’esperienza di Via Fondazza: 
- Il desiderio di incontrarsi 
- La voglia di cambiare il modo di abitare la propria vita 
- La necessità di ricreare il senso di fiducia nella comunità 
- La messa in gioco della propria creatività con lo scopo di combattere l’indifferenza 
A supporto di questo stanno le testimonianze raccolte: “Abbiamo un sogno noi di Via Fondazza… anzi, avevamo, perché dopo un anno questo sogno si sta realizzando! Allora ci stiamo preparando alla nostra festa di compleanno, e lo facciamo nello spirito Social Street partecipando tutti con quello che possiamo. […] Sempre nel nostro spirito, tutte le attività saranno gratuite. Alcune le stiamo finalizzando, altre per ora solo pensate… Ma la cosa più importante è che vorremmo che questo fosse veramente un momento di condivisione. […] Facciamo vedere cosa si può fare senza sponsor e senza grandi organizzazioni alle spalle, ma semplicemente col desiderio di condividere”. O ancora, commenti sulla pagina di Social Street Italia: “Ma posso entrare nel gruppo anche se sto in Piazza Carducci? Da quando non ci sono più i negozi di alimentari dove si facevano le chiacchiere con tutti e si sapeva tutto di tutti (come mi manca la lattaia Wanda!) ora non so neanche chi vive accanto a me”. 
I residenti di Via Fondazza iscritti alla Social Street sono attualmente 940, e il gruppo risulta essere, a un anno di distanza dalla sua creazione, molto attivo e ricco di post giornalieri con richieste e proposte di ogni tipo: 
- Problemi comuni della gestione della vita domestica (raccolta differenziata, bollette, traslochi, animali domestici, orari o numeri di telefono di negozi, organizzazione feste di compleanno) di cui si può delineare anche una composizione di genere abbastanza omogenea: non sono solo donne a chiedere aiuto per i bambini o per le faccende domestiche, molto spesso sono anche i papà; 
- Richiesta di eventuali capacità e competenze specifiche rintracciabili nel vicinato per assistenza e consulenza informatica, artistica, meccanica e così via; 
- Segnalazioni o richieste relative alla sicurezza: furto di biciclette, portafogli rinvenuti in strada, segnalazioni di rumori/movimenti sospetti; 
- Annunci per la ricerca/messa a disposizione di proprietà immobiliari (stanze, appartamenti), cibo, oggetti 
Solo per citare i più frequenti. Osservando la numerosità dei post sul gruppo ci si rende conto di quanti siano i bisogni quotidiani che troverebbero risposta in una semplice richiesta al vicino. Ma ancora più interessante, al di là delle esigenze pratiche quotidiane, è la ricchezza di idee e proposte di eventi che nascono spontaneamente all’interno del gruppo. Certamente non tutti i 940 iscritti partecipano attivamente alle iniziative proposte al di fuori del gruppo virtuale; esiste un gruppo più coeso, di cui certamente fanno parte i
fondatori e il “consiglio di amministrazione”, che traspone più di frequente le relazioni dal virtuale al reale, ed è composto spesso da coppie e famiglie, da quelle più giovani (intorno ai 30 anni) fino ai residenti di mezza età, spesso con figli piccoli al seguito, su cui si scambiano consigli e aiuti. Il feeling creatosi lungo l’arco delle attività del primo anno di Social Street si può percepire dal clima informale e scherzoso presente tra i più attivi “social streeters”, che dichiarano più volte di aver trovato grazie alla Social Street delle importanti amicizie laddove, fino a poco tempo prima, vedevano solo volti sconosciuti. La messa in rete di Via Fondazza ha permesso a queste persone, oltre che di conoscersi e di lavorare insieme su un progetto comune, di acquisire la capacità di dar vita ad idee ed incontri in pochi minuti tramite Facebook, dai cui eventi traspare tutto l’entusiasmo e l’autorealizzazione dei residenti nelle proposte e nella fulminea capacità di organizzazione. Gli eventi organizzati vanno da veri e propri incontri di quartiere legati ad attività messe in atto per la comunità, a semplici ritrovi tra amici: e sono proprio questi ultimi che ci interessano in questa sede, perché sono quelli più frequenti e che vedono l’entusiasmo maggiore. Pic-nic estivi in giardino per combattere il caldo, serate di racconti in terrazza con cibo portato da casa da ognuno, una cena insieme all’inaugurazione di una nuova pizzeria di quartiere, a piccoli gruppi. "La cosa principale è stare insieme: sorseggiamo un caffè, ci raccontiamo storie. Conoscere le storie dei propri vicini di casa è davvero una cosa nuova per tutti” afferma un residente. Come accennato nel paragrafo precedente, è possibile, comprensibile e naturale il formarsi di gruppi e sottogruppi sulla base di passioni comuni: la musica, l’impegno nel sociale e nella beneficenza, il calcio per citarne alcuni, hanno permesso a molti residenti di scoprirsi simili e collaborare, facendo nascere amicizie profonde per le quali ringraziano sempre Social Street. Ma non da meno sono le attività legate a grandi eventi di quartiere: per citare i più importanti che Via Fondazza è stata orgogliosa di ospitare: 
- Serata di “Musica fra Oriente ed Occidente” nella chiesa-auditorium di Santa Cristina della Fondazza: gli artisti della Social Street applauditi da 300 persone alla fine del primo concerto che ha visto protagonisti i musicisti residenti nella via. 
- La Grande Fondazza: serata di racconti, in cui sono stati coinvolti i tanti anziani residenti non presenti nella piattaforma virtuale per una ricostruzione e una riscoperta evocativa di Via Fondazza e della sua storia, tramite i racconti e gli aneddoti del passato. 
- I volti di Via Fondazza: mostra fotografica con lo scopo di creare una memoria storica della via perché non rimanga solo “la via dove visse il noto pittore Giorgio Morandi”, ma anche quella dove persone “comuni” hanno dato vita a un progetto, la Social Street, che non può esistere senza i sogni e la determinazione dei suoi abitanti (se ne può trovare la locandina nell’Appendice). 
- Mummy Cinema: grazie all’idea di una “fondazziana”, ciclo di appuntamenti in accordo con il Cinema Odeon di Bologna per proiezioni “baby friendly”, in cui le mamme (ed i papà) con neonati fra gli 0 e 18 mesi hanno la possibilità di godere di una proiezione riservata ad orari agevolati (al mattino) e di portare i propri bambini
entrando in sala con le carrozzine, allattando e sorvegliando i bambini in tranquillità con l’aiuto di luci soffuse e audio ribassato. 
Figura 4. Locandina dell'iniziativa "Mummy Cinema". Fonte: https://www.facebook.com/MummyCinema 
Sicuramente si riscopre l’importanza strategica del capitale sociale, non solo per tessere nuove amicizie e legami, ma per risolvere problemi a volte decisivi come la ricerca di una casa, di una stanza, di un lavoro. Si è imparato a non avere il timore di chiedere, come afferma un residente: “dall’esperienza Social Street ho imparato che è più facile dare che chiedere… Ho deciso che per me è il momento di iniziare a chiedere”, e sulla bacheca di Facebook c’è spazio anche per la bellezza del quotidiano: un semplice benvenuto al nuovo iscritto, i complimenti ad una residente che suona il piano e viene udita dai vicini che la intimano a continuare, addirittura la “dichiarazione d’amore” di un abitante folgorato dalla bellezza di una passante. La rivoluzione del quotidiano: “Ci si inizia a salutare per strada, perché si riconosce la foto… “; “Io abito a bologna da 25 anni, sono di Ferrara… e di fatto non mi sono sentito mai così tanto bolognese quanto questi ultimi 6 mesi: il mio territorio ora lo riconosco, faccio parte di una comunità di persone quindi questo è il mio luogo. Questa cosa mi ha fatto sentire parte di questa città”. Oppure iniziative come Mummy Cinema che permettono ai neogenitori di non dover rinunciare ad andare al cinema e a dedicare un po’ di tempo per sé, come dichiara una mamma “fondazziana”: "È una bella idea perchè adesso con il bimbo piccolo non riusciamo più a fare uscite serali… fuori con i nostri amici. In questo modo invece possiamo continuare a uscire... La nostra vita si è un po' ribaltata come orari, invece che uscire alla sera usciamo la mattina, oppure usciamo a pranzo, ma possiamo continuare a fare le cose come prima" e la fondatrice stessa dell’idea: "Prima di diventare mamma andavo al cinema anche due volte a settimana. Quando è nato mio figlio ******, due anni fa, andare al cinema era diventato più complicato. Mio marito e la mia famiglia erano lontani e mio figlio non ama molto stare con le baby sitter... e quindi andare al cinema era per me praticamente impossibile. Grazie a Social
Street ho avuto modo di conoscere il proprietario del cinema Odeon [...] e così è nata l'iniziativa Mummy Cinema". 
Si possono cogliere alcuni segni di un cambiamento graduale dell’ovvio e del senso comune sedimentati nel tempo, anche nei riguardi della politica: “Anche la politica ci sta guardando con interesse, sembra che voglia supportare la cittadinanza attiva. Ci sono persone, nel comune di Bologna, con le quali ci stiamo confrontando, che stanno tentando di modificare i regolamenti per potersi interfacciare meglio con questo tipo di realtà. Secondo me la politica si è resa conto che ha sbagliato tutto ed ha preso atto che un cambiamento concreto sia necessario. Ora si è un po’ arresa, chiedendo l’intervento delle persone comuni per cercare insieme delle soluzioni. Mi ha fatto molto piacere questo approccio positivo della politica nei confronti del nostro gruppo. Sarei contento se la politica “prendesse esempio” da questa operatività per cambiare se stessa, non per strumentalizzarla». Testimonianze a dimostrazione del fatto che non sempre la diffidenza a prescindere verso la politica ha una base razionale; basta un avvicinamento a quello che è la politica in piccola scala, la politica di tutti i giorni, di quartiere, per modificare le idee precostruite che erano entrate a far parte dell’ovvio e del dato per scontato, e per cambiare il proprio approccio verso la politica e molti altri aspetti della vita quotidiana. Un altro luogo comune che Social Street ha contribuito ad abbattere è la futilità del social network Facebook, quale prodotto di una modernità alienata, o un modo come un altro per perdere tempo. Social Street ha permesso di dare un’altra faccia a questa piattaforma, con lo stupore e il ripensamento di molti utenti, ex-utenti, nuovi utenti. Federico Bastiani esplicita il paradosso che si è creato in Via Fondazza: “Abbiamo invertito il paradigma: Facebook è nato per mettere in contatto persone lontane tra loro; noi lo abbiamo pensato per connettere persone che abitano a 10 metri di distanza”. Il social network è certamente un punto di partenza, ci sono persone che si convincono ad iscriversi solo per partecipare a Social Street, altre che partecipano pur non avendolo: è uno strumento fondamentale ma non necessario, che gli amministratori del gruppo si impegnano a gestire e pubblicizzare alla luce di un utilizzo, per così dire, “corretto”. È la banalità del quotidiano, la vera rivoluzione di Social Street: “La stampa spesso ci chiede, a distanza di venti giorni: ‘Allora, avete progettato cose nuove? Cosa avete fatto?’ …Bè noi continuiamo a trovarci, a fare aperitivi… noi ci occupiamo di quelli che gli esperti chiamano beni relazionali, e sono questi che portano la felicità alle persone!”. 
2.4 AFFINITÀ E DIVERGENZE CON ALTRE ESPERIENZE IN UNA CORNICE STORICA 
2.4.1 Modernizzazione e movimenti collettivi 
Alla fine degli anni ’50/inizio anni ’60, l’Italia conobbe una fase di boom economico che la trasformò, nel giro di pochissimi anni, una società industriale. Il processo di industrializzazione andò di pari passo con altrettanto ampi processi di urbanizzazione. Questi processi vennero accompagnati da un’imponente trasformazione della vita materiale e dei consumi, che segnò il passaggio da una società in cui molti dei bisogni primari non
venivano soddisfatti a una società in cui almeno una grande maggioranza della popolazione italiana aveva superato la soglia minima del benessere (Ginsborg, 1998). L’avvento di elettrodomestici, tv e automobile cambiò in modo rapido e inarrestabile la vita quotidiana di famiglie che, per altri versi, cominciavano ad abbandonare le forme tradizionali configurandosi sempre di più come famiglie nucleari. Le tecnologie via via disponibili si posero al servizio di un modo di vita mobile e al tempo stesso centrato sulla casa, per il quale Raymond Williams (1974) ha coniato il termine di privatizzazione mobile in cui i nuovi consumi, sono consumi sempre più privati. 
Nel contesto degli anni a cavallo del ’68, l’orientamento marxista che si diffonde nella sociologia dei primi anni ’70 mette in crisi (anche se solo parzialmente) il paradigma della modernizzazione, criticandone gli aspetti che hanno a che fare con gli sviluppi del capitalismo e per la logica della razionalità strumentale che le è propria. Nasce dunque una prima fase di movimenti, che affondava le sue radici nel situazionismo, negli echi della controcultura americana e in una radicalizzazione dei contenuti della subcultura giovanile che si era affermata lungo tutti gli anni ’60: le sue prime manifestazioni non hanno solo l’obiettivo di cambiare la scuola, ma anche e soprattutto quello di porre le basi per nuove forme di socialità e di costume alternative. “La natura utopica del ’68 stette nella critica della separazione tra politica e vita quotidiana, tra individuale e collettivo, tra pubblico e privato” (Passerini, 1997). Non è molto distante da ciò che oggi Social Street vuole riproporre in piccola scala: l’allontanamento dalla pura logica della razionalità unilateralmente strumentale, l’importanza della socialità come motore collettivo, e la centralità strategica di ciò che sta in mezzo tra la nostra immagine pubblica e quella privata. Il tutto accentuato dal procedere del processo di modernizzazione e urbanizzazione che ha reso la dimensione domestica e dell’abitare, un elemento centrale (ma sottovalutato) della vita quotidiana attuale. Di certo Social Street non condivide con i movimenti del ’68 l’attivismo politico tumultuoso caratteristico di quel tempo storico: la politica è una dimensione che tende ad essere allontanata con diffidenza e guardata con sospetto più che con rabbia. 
L’impatto del ’68 sulla vita quotidiana è stato notevole, e molto di ciò che si è realizzato nel costume italiano negli anni a venire non sarebbe pienamente comprensibile senza considerare all’ondata di conseguenze che il ’68 ha avuto sulle coscienze, gli stili di vita e le aspettative di gran parte degli italiani. Nell’Italia più o meno tradizionale degli anni precedenti, il senso della vita si fondava su un’etica del lavoro, del risparmio, del sacrificio e dell’impegno a crescere i figli. La situazione ora si fa più aperta: alla propria esistenza ciascuno impara a poter chiedere qualcosa di più e allo spalancarsi di nuove possibilità. Per certi versi si tratta del passaggio da una situazione caratterizzata da bisogni materiali ad una in cui predominano bisogni “postmaterialisti”. 
Nelle società tardo capitalistiche i conflitti non riguardano più le sole risorse economiche, ma investono “rapporti sociali, simboli, identità e bisogni individuali” (Melucci, 1982). I conflitti si spostano verso la difesa e la rivendicazione di identità contro apparati fondati sulla razionalità strumentale, utilizzando gli strumenti
di partecipazione e di azione diretta. E in questo contesto non si può non citare il ruolo delle donne all’interno dei movimenti: ci si associa intorno a problemi che incidono sulla vita quotidiana, la travolgono, sconvolgono la sfera di cui da sempre la donna è responsabile. Il processo di presa di coscienza delle donne è avvenuto in un contesto in cui era più facile confrontarsi con altri, far circolare esperienze, trovare affinità. Un contesto che è andato perdendosi e che Social Street prova oggi a recuperare partendo proprio dal vicinato e dal quartiere, per far alzare gli sguardi e ritrovare complicità. L’esperienza personale e concreta del singolo acquista senso e articolazione quando ci si accorge di partecipare in situazioni condivise, a sentimenti comuni. Non è un caso che proprio oggi nascano queste iniziative: nasce con loro il bisogno di correggere le modalità della vita sociale, il bisogno di modificare una socialità insoddisfacente del proprio tempo. Negli anni ’70 anche le femministe hanno cominciato a frequentarsi nelle case private, instaurando una modalità di relazione che era appartenuta a tempi precedenti ai loro. Questa è stata, allora, una novità che aveva origini antiche ma che rispondeva al bisogno di confronto proprio di quegli anni, ed è per questo che è dilagata spontaneamente (Spirola e L. Milani, 2014). Più tardi negli anni ’90, a Mestre le “Vicine di Casa” hanno iniziato un percorso simile a Via Fondazza, con una simile voglia di confronto e desiderio di migliorare le proprie vite in relazione, consapevoli però che i loro gesti erano politici, mentre come abbiamo accennato poco prima, i residenti bolognesi ci tengono a precisare che prescindono da qualsiasi partito o ideale politico e fanno in modo che la politica stia al di fuori dai loro incontri. Piuttosto che correre questo rischio, rinunciano alla consapevolezza che il loro è un agire del tutto politico. Eppure la politica c’è, ed è quella politica del quotidiano che semplicemente esercitano implicitamente con le loro idee e il loro agire: la cura delle relazioni di vicinato, la scelta di quale cibo consumare e con chi condividerlo, la valorizzazione delle capacità e della creatività di ognuno, l’attenzione alla redistribuzione delle risorse, il rispetto per l’ambiente. Alla domanda su quale fosse la forza di Social Street, un residente risponde: “Che è una street, un ambito in cui le persone si riconoscono a prescindere da qualsiasi altro tipo di appartenenza: età, ideologia, provenienza, religione… Abbiamo dato un nuovo ambito di riconoscimento. Ci riconosciamo come “fondazziani” e in questo modo le persone spesso dimenticano le altre cose che le dividono…”. 
2.4.2 Associazioni dei famigliari delle vittime di stragi 
Per proseguire con le affinità e le divergenze che Social Street presenta rispetto ad altre esperienze, sarà interessante ora proseguire inserendo questo caso nel contesto degli sviluppi dell’associazionismo nel territorio italiano. Rispetto a quanto appena detto, relativo ai movimenti del ’68 e più in particolare al femminismo, l’attivismo degli anni più recenti ha infatti la caratteristica di insistere, in tutti i sensi, sul sociale, allontanandosi dalla politica come quadro di riferimento ossessivo. L’innovazione è legata, come già si accennava nel paragrafo precedente, al rifiuto della contrapposizione tra pubblico e privato, tra affetti familiari privati e cittadinanza, simbolo della dimensione pubblica. L’associazionismo di questo tipo, che inizia a nascere negli anni ’80, vuole contare, pensare, e raggiungere scopi collettivi, senza un rifiuto ideologico della politica, ma mettendola da parte: “la politica è altro, è altrove” (Turnaturi e Donolo, 1988).
In particolare in questo campo ci riferiremo a quella serie di associazioni che sono nate in seguito ad eventi e situazioni spiacevoli (strage di Bologna, omicidi perpetrati dalla mafia, abuso di droga) e che vedono i famigliari delle vittime unirsi nel nome di una causa comune. La forza di queste associazioni è la valorizzazione dei legami affettivi: se ne fanno una risorsa in funzione di una presenza pubblicamente rilevante, mostrando che farsi sentire è possibile se gli attori concepiscono se stessi come cittadini. Attivandosi per il proprio caso personale si dà voce a diritti dimenticati, amplificando e generalizzando esigenze che sono di molti, anzi fondamentali per il legame sociale, andando a ribaltare gli assunti dei noti “familismi amorali” di Banfield (1967) e trasformando in positivo e proattivo quello che dal punto di vista di Turnaturi e Donolo sono invece “familismi morali”. Il momento innovativo sta nella messa in moto di affinità, solidarietà, re-identificazioni, relazioni sociali che sembravano sommerse. Anche in questo senso Social Street si trova a compiere un’azione simile, scoprendo i bisogni reali e potenziali che ognuno dei residenti ha, ma che da tempo sono rimasti sommersi da un modo di abitare fine a se stesso e recintato al proprio nucleo famigliare. Una volta aperto questo recinto si scopre invece di condividere affinità ed esigenze con il vicinato, e che messe insieme possono diventare una forza “pubblica” in grado di cambiare le cose e migliorare la vita pubblica e privata. 
Per fare un esempio che condivide con la Social Street lo stesso sfondo territoriale, è opportuno citare l’associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna avvenuta il 2 Agosto 1980. Sicuramente il gruppo di residenti di Via Fondazza non ha tratto la sua origine e le sue motivazioni dal dolore e dal dramma quali sono la perdita di un famigliare. Ma tra le affinità spicca lo stesso timore di essere strumentalizzati dalle forze politiche, e analogamente, la volontà di proclamare la propria autonomia rispetto al politico, visto come estraneo e corrotto. Un’autonomia che non nega pregiudizialmente rapporti con la politica e con l’amministrazione pubblica, ma che non attende legittimazioni, né benevolenza spontanea. Queste due esperienze condividono anche la stessa nascita spontanea, senza deleghe, di certo aiutata dal terreno fertile di una città come Bologna, caratterizzata da un privato sensibile al sociale e da istituzioni che ne tengono conto. Uno sviluppo autonomo e autoriprodotto, che mette in moto nuove forme di consapevolezza civica e favorisce modalità di apprendimento sociale tra i partecipanti e nuove esperienze di relazione con la sfera pubblica. 
Considerando quindi il delinearsi in questa direzione del più recente associazionismo, si può dire che esso (inclusa la Social Street) si inserisce in un’area intermedia che mostra una propria modalità di collegamento tra sociale e politico, un proprio movimento verso il politico, ma che rivendica una propria autonomia e non tollera di essere usata e fagocitata politicamente. Ma ancora più in particolare per la Social Street, ci si può riferire ad essa come un caso di cosiddetto privato-sociale, dimensione che assume la presenza di legami sociali o solidarietà prepolitiche le quali, per proprie risorse interne di motivazione e legittimazione, siano in grado si supplire e di correggere la sfera pubblica. Afferma un residente: “Noi ci teniamo al mantenimento dello spazio pubblico, la cura del verde, la pulizia dei muri… ma non è lo scopo per cui siamo nate. Siamo nate per l’integrazione delle persone”. Il privato-sociale è infatti per la maggior parte rappresentato dalle realtà
centrate sulla famiglia e la socializzazione primaria, il vicinato o le comunità. Ma non lo si può considerare limitato a un mondo autonomo e indiscriminato, perché non può nascere senza il pubblico, cioè senza il maturare di una sua forma pubblica, che in questo caso corrisponde all’uscita dal virtuale, che determina la vera e propria nascita della Social Street. 
3 CONCLUSIONI 
In conclusione, come può contribuire l’esperienza della Social Street di Via Fondazza ad una teoria dell’innovazione culturale? Innanzitutto, riconsiderando le definizioni generali proposte nel paragrafo teorico, possiamo trovare riscontri concreti in ciò che la letteratura offre al riguardo dei processi di innovazione culturale: Social Street risponde sia alla definizione di Gallino, proponendosi come “nuova tecnica” di risoluzione ad un problema, ovvero la mancanza di socialità di quartiere; sia si configura come il processo di apprendimento descritto da Donolo: dalla rinnovata socialità scaturiscono nuove questioni prima sommerse: ambientalismo, integrazione, senso civico, nonostante lo scopo primario fosse semplicemente quello di conoscere i volti e le storie di chi abita vicino. L’innovazione culturale infatti risponde a logiche sperimentali, esterne ad un sistema di regole rigide o di razionalità calcolata: Via Fondazza mostra, con il suo continuo fiorire di iniziative ed eventi spontanei, gli effetti perversi di un’idea che è andata molto oltre alle aspettative degli stessi fondatori: “La cosa che più di tutte ci ha meravigliato, è che ci dicevamo che dureremo al massimo un mese… invece la grande attenzione della stampa, delle istituzioni ma anche dell’università, il mondo mediatico. Fondazza come un laboratorio privilegiato per osservare certi fenomeni”. È esattamente quello che Rullani definisce “atto esplorativo”, contrapposto alla conservazione dell’esistente (Ardrizzo, 2002), riconducibile ad una forma di sperimentazione sociale (addirittura “laboratorio”) per esplorare lo spazio di possibilità del sociale attraverso la mobilitazione di più persone. 
Social Street è anche la dimostrazione che l’innovazione culturale, come quella sociale, non è frutto di saperi esperti (il mondo accademico e della ricerca come incubatore esclusivo di innovazione), ma piuttosto il frutto di una costellazione di azioni ordinarie, legate appunto alla vita quotidiana. Semplicemente risponde a due correnti tipiche della cultura dell’innovazione, saggiamente intrecciate: 
- Valorizzazione del nuovo, tramite una corretta ed equilibrata relazione con la modernità (uso della tecnologia e dei social network sfruttandone il potenziale comunicativo e organizzativo) 
- Capacità di apprendere dal passato, guardando all’esperienza e alla memoria come a sorgenti di significato e arricchimento collettivo. 
I residenti di Via Fondazza sono riusciti a combinare in modo equilibrato questi due aspetti, modulando la relazione fra conservazione e innovazione. Sono semplicemente partiti dall’esistente per rielaborarlo e ridefinirlo in vista di un risultato da raggiungere, a piccoli passi, fino addirittura a sperare vederlo realizzarsi,
un giorno, in larga scala: “Pensa se l'Italia diventasse una grande Social Street…” (Federico Bastiani). Come detto in precedenza, di certo ha aiutato il contesto di Bologna, una città ricca di coesione sociale e associazionismo, dove privato e pubblico tendono a collaborare in modo fluido. Eppure il diffondersi del fenomeno in tutto il territorio italiano (e addirittura estero) dimostra che non esiste un unico modello di Social Street, e che ogni quartiere, ogni strada, può essere capace di modellarlo e ridefinirlo in base alla propria esperienza, alla propria storia, al proprio quotidiano. 
In generale, si conferma l’importanza del ruolo delle interazioni sociali nella formazione e nella stabilizzazione nel tempo di una serie di pratiche. Social Street non sarebbe mai nata senza la reale trasposizione nella strada di tutti i contatti e le interconnessioni prodotte con il social network Facebook: è dal continuo alimentarsi a vicenda di virtuale e reale che le dimensioni della vita quotidiana sono diventate condivisibili all’interno del gruppo. In questo ragionamento, le parole di un operatore di WCAP calzano perfettamente: Via Fondazza ed i suoi residenti sono riusciti ad innescare, nel loro piccolo, un processo di “accelerazione di fiducia”. 
4 BIBLIOGRAFIA 
Ardrizzo, G. (a cura di) (2002), Ragioni di confine. Percorsi dell’innovazione, Bologna, Il Mulino. 
Banfield, E. C. (1967). The moral basis of a backward society. 
Berger, P. L., & Berger, B. (1995). Sociologia: la dimensione sociale della vita quotidiana. D. Bonato (Ed.). Società Editrice Il Mulino. 
Braudel, F. (1967). Civilisation matérielle et capitalisme: XVe-XVIIIe siècle. Paris: Armand Colin. 
Cardano, M. (2011). La ricerca qualitativa. Il Mulino. 
Frisina, A. (2010). Focus group. Una guida pratica. Il Mulino. 
Gallino, L. (1978). Dizionario di sociologia. Unione Tipografico-Editrice Torinese. 
Gershuny, J. I., Sivini, G., & Floriani, S. (1993). L'innovazione sociale: tempo, produzione e consumi. Rubbettino. 
Ginsborg, P. (1998). L'Italia del tempo presente: famiglia, società civile, Stato, 1980-1996 (Vol. 499). Einaudi (IT). 
Donolo, C., & Fichera, F. (1988) Teorie e culture dell’innovazione, in Id. (a cura di), Le vie dell’innovazione. Forme e limiti della razionalità politica, Milano, Feltrinelli, pp. 213-236. 
Jedlowski, P. (1986). Il tempo dell'esperienza: studi sul concetto di vita quotidiana. Franco Angeli.
Jedlowski, P. (1994) Quello che tutti sanno. Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rassegna Italiana di Sociologia, XXXV/1, pp. 49-77. 
Jedlowski, P. (2003) Senso comune, esperienza e innovazione sociale, in Fogli nella valigia. Sociologia, cultura, vita quotidiana, Bologna, il Mulino, pp. 57-68. 
Jedlowski, P. e Leccardi, C. (2003) Sociologia della vita quotidiana. Il Mulino, Bologna. 
Melucci, A. (1982). L'invenzione del presente. Il mulino. 
Melucci, A. (1994). Creatività: miti, discorsi, processi. Feltrinelli Editore. Passerini L., (1997).” Il ‘68”, in I luoghi della memoria. Personaggi e date dell'Italia unita (Vol. 642), a cura di Isnenghi, M., Laterza. 
Spirola V., e Milani L., (2014) “Social Street: network, tradizione e politica” in Via Dogana,n. 108, Marzo 2014. Rivista mensile di pratica politica, Libreria delle Donne di Milano. 
Turnaturi, G., & Donolo, C. (1988). Familismi morali. Le vie dell’innovazione. Forme e limiti della razionalità politica. Feltrinelli, Milano. 
Williams, R. (2000). Televisione tecnologia e forma culturale: e altri scritti sulla tv. E. Menduni (Ed.). Editori Riuniti.
5 APPENDICE 
5.1 LOCANDINA UTILIZZATA DAL FONDATORE PER LA PUBBLICIZZAZIONE DEL GRUPPO
5.2 LOCANDINA DELLA MOSTRA FOTOGRAFICA: I VOLTI DI VIA FONDAZZA

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Processi di innovazione culturale: il recupero della socialità di quartiere con la Social Street

  • 1. a.a. 2013/2014 Processi di innovazione culturale Il recupero della socialità di quartiere con la Social Street di Via Fondazza Elena Colli INSEGNAMENTO: PROCESSI DI INNOVAZIONE CULTURALE DOCENTE: CARMEN LECCARDI CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SOCIOLOGIA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
  • 2. SOMMARIO Sommario .......................................................................................................................................................... 1 1 Introduzione .............................................................................................................................................. 2 1.1 Innovazione culturale: definizioni e teorie ........................................................................................ 2 1.2 Innovazione e senso comune: la centralità della vita quotidiana ..................................................... 4 2 Ripercorrere l'innovazione culturale attraverso la Social Street ............................................................... 5 2.1 Metodologia per lo studio di caso ..................................................................................................... 5 2.2 La Social Street di Via Fondazza: dal virtuale, al reale, al virtuoso .................................................... 6 2.3 Ridefinizione e riproduzione del quotidiano in Via Fondazza ......................................................... 12 2.4 Affinità e divergenze con altre esperienze in una cornice storica .................................................. 16 2.4.1 Modernizzazione e movimenti collettivi ................................................................................. 16 2.4.2 Associazioni dei famigliari delle vittime di stragi ..................................................................... 18 3 Conclusioni .............................................................................................................................................. 20 4 Bibliografia ............................................................................................................................................... 21 5 Appendice ................................................................................................................................................ 23 5.1 Locandina utilizzata dal fondatore per la pubblicizzazione del gruppo .......................................... 23 5.2 Locandina della mostra fotografica: I volti di Via Fondazza ............................................................ 24
  • 3. 1 INTRODUZIONE Affrontare il tema dell’innovazione attraverso la lente degli aspetti culturali, significa analizzare l’origine ed i meccanismi dei processi innovativi, mettendo in luce il ruolo giocato dalla produzione di nuovi quadri concettuali e schemi interpretativi, capaci di rompere il senso comune e di ridefinire la realtà sociale. Indagare sugli agenti e le motivazioni che stanno alla base dell’innescamento di questi processi, però, non è affatto facile: l’innovazione spesso non è voluta, e più di quanto non si ammetta, non è addirittura oggetto di possibili volontà. L’innovazione è tale solo se gli attori competenti sono in grado di riconoscerla, per cui sarebbe più corretto dire che essa è un costrutto di intelligenze (Donolo e Fichera, 1988). Il compito di queste pratiche di innovazione (in particolar modo di inclinazione culturale) non è infatti tanto offrire soluzioni a un problema, quanto di acuire l’intelligenza pratica dell’attore in relazione a contesti specifici, spesso relativi alla vita quotidiana, e dare vita a pratiche in cui si rifletta la cultura di una comunità di attori e l’intelligenza di ciascuno di loro. 1.1 INNOVAZIONE CULTURALE: DEFINIZIONI E TEORIE L’innovazione riguarda un mutamento della forma della routine quotidiana, e del significato che vi viene attribuito da parte degli attori sociali. Questo mutamento comporta una ridefinizione delle rappresentazioni della realtà, delle identità, e delle forme dell’agire. La capacità di un sistema sociale di produrre innovazione è dunque legata ad elementi culturali, nonché ai modi di interpretazione della realtà. Ma quali sono le definizioni teoriche proposte dall’universo sociologico? Verranno qui esposte alcune delle principali definizioni provenienti dalle più autorevoli voci del mondo accademico, adatte ad inquadrare il concetto di innovazione all’interno della cornice culturale sulla quale proponiamo di focalizzarci. Come prima definizione di stampo generale si può considerare quella proposta da Gallino, che definisce l’innovazione culturale come “introduzione, in uno specifico contesto, di una nuova tecnica” (Gallino, 1978). Un’altra proposta di tipo più approfondito viene da Donolo (Donolo e Fichera, 1988), che parla dell’innovazione come di un processo di apprendimento, dove emergono nuovi stili di conoscenza che consentono, più che la soluzione di precedenti problemi, la messa a tema di nuove questioni. Questa seconda definizione si avvicina squisitamente all’approccio qui utilizzato, secondo il quale l’attenzione va ai processi attraverso i quali vengono alla luce nuove forme di concettualizzazione. Come terza definizione generale verrà infine considerata quella di Donolo e Fichera (1988) che trovano nell’innovazione “l’espressione di un incremento di razionalità nelle forme dell’azione”, dove questo incremento di razionalità è sia sociale sia politico, e vi gioca un ruolo centrale la dimensione culturale: questo è infatti l’elemento che permette di distinguere l’innovazione dalla mera riforma.
  • 4. A fianco di queste tre definizioni generali stanno poi altri autori che si sono occupati di innovazione in riferimento a contesti specifici: nel campo dell’economia imprenditoriale è certamente di spicco il contributo di Joseph Schumpeter. Secondo l’economista austriaco, l’innovazione si prefigura come uno strumento chiave per la crescita economica, incarnata nella figura dell’imprenditore eroico schumpeteriano, che tramite l’introduzione di nuovi schemi organizzativi o produttivi crea una nuova e fortunata combinazione di risorse che gli permette di godere, fintanto che l’innovazione non è completamente diffusa, dello status di monopolio. Gershuny cerca di andare ancora più a fondo nelle connessioni tra economia e sociologia, definendo l’innovazione come un “mutamento nel modo di provvedere ai bisogni indotto dalla crescita economica” (Gershuny, 1993). In ultimo, interessante per il caso studio che verrà affrontato è il punto di vista proposto da Tuomi in Networks of Innovation (2002). È interessante perché quello a cui l’autore si riferisce è in particolare l’innovazione legata ad Internet, dal momento che la rete è diventata ormai una tecnologia chiave presente in diverse aree della nostra vita quotidiana. L’innovazione per Tuomi è qualcosa che va oltre il solo impatto economico, ma bensì include un’importante processo sociale e cognitivo che fa sì che cambino le pratiche sociali, e si avvii la creazione di una comunità di pratiche. In particolar modo l’autore fa riferimento ai nuovi sistemi di collaborazione open source, la cui evoluzione ha visto una crescente centralità dell’utente rispetto allo strumento stesso: basti pensare a piattaforme come Linux, sviluppate da social community auto- organizzate e completamente informali. Da sempre innovazione e tecnologia sono strettamente legate tra loro, ma nell’era digitale subentrano tecnologie che sono oggetto di interpretazione e riappropriazione da parte degli attori nel contesto delle loro pratiche: è l’utente che inventa il prodotto, modellando lo strumento tecnico sulla base dei propri bisogni, trasformando il protagonista dell’innovazione dall’inventore eroico all’utente eroico. Nell’innovazione sociale le dimensioni tecnologiche, istituzionali, politiche e culturali appaiono strettamente interconnesse. Come potenziali sorgenti di innovazione la letteratura suggerisce: 1) Società civile: l’insieme di relazioni associative, culturali, economiche e sociali che intercorrono nelle società moderne tra i cittadini (reticolo distinto e talvolta contrapposto allo Stato e alla società politica) 2) Movimenti collettivi: i movimenti sociali che nascono come espressione di un conflitto sociale, portatori di un’azione collettiva tesa a provocare una rottura dei limiti di compatibilità del sistema nel quale questa azione si situa. Alla luce di queste definizioni concettuali e approfondimenti teorici si può dunque dire che l’innovazione culturale è un processo sociale, fortemente legato ai processi di interazione, comunicazione e interpretazione, al cui interno la componente cognitiva risulta centrale: per questo è importante analizzare i modi e le forme della conoscenza legati al sapere quotidiano, proprio a partire dal concetto di senso comune, di cui verrà fatto un breve approfondimento nel paragrafo successivo.
  • 5. 1.2 INNOVAZIONE E SENSO COMUNE: LA CENTRALITÀ DELLA VITA QUOTIDIANA Le radici di questo lavoro affondano nel campo della sociologia della cultura, intesa come insieme delle pratiche e degli orientamenti di senso mediante cui ogni giorno prende forma la vita sociale: per questo è importante tenere conto che, per il concetto di innovazione qui inteso, la vita quotidiana è una dimensione fondamentale. Secondo l’etimologia, l’aggettivo quotidiano deriva dal latino cotidie, ovvero “di ogni giorno”. Ciò che avviene e si ripete ogni giorno è ordinario, banale quando non volgare o noioso: con questi significati il termine è entrato nell’uso comune di diverse lingue europee agli inizi dell’Ottocento, per poi trasformarsi in luogo della realizzazione dei desideri e misura della qualità della vita a partire dalla seconda metà del Novecento (Jedlowski, 1986). Il quotidiano è innanzitutto un tempo, o meglio una forma, della temporalità vissuta: il tempo della ripetizione, dell’abitudine e della routine, di ciò che ritorna e che, proprio per questo suo ritornare ciclicamente, genera un’aura di familiarità attorno ai suoi contenuti tale da farli sfuggire per lo più all’attenzione. È l’ambito in cui si produce l’ordine simbolico che regola le interazioni, attraverso il quale è possibile comprendere i processi di costruzione sociale della realtà (Jedlowski e Leccardi, 2003). Ed è proprio da queste interazioni che nascono quelle pratiche quotidiane che poi entrano a far parte della routine, dando alle relazioni sociali un ruolo certamente centrale in questo processo. Per usare le parole di Peter e Brigitte Berger, tra i più noti esponenti della corrente della sociologia fenomenologica statunitense, la vita quotidiana è “il tessuto di abitudini familiari all’interno delle quali noi agiamo e alle quali noi pensiamo per la maggior parte del nostro tempo. Questo settore dell’esperienza è per noi il più reale: è il nostro habitat usuale e ordinario” (Berger e Berger, 1995). Posta in questi termini, la vita quotidiana è un concetto. Esso intende la vita umana nei suoi aspetti specificamente ripetitivi e si inscrive in una costellazione di concetti collegati: abitudine, routine, familiarità, istituzione, socializzazione e via dicendo, e in quanto dimensione ricorrente, rinvia ad orizzonti di senso che ci sono familiari. Un altro modo di intendere la vita quotidiana è considerarla un’area di ricerca. In questa accezione, essa corrisponde grosso modo a ciò che gli storici chiamano cultura materiale (Braudel, 1967): l’insieme degli ambienti, delle pratiche, delle relazioni e degli universi di senso al cui interno i soggetti trascorrono la maggior parte del proprio tempo, secondo le fasi del loro percorso biografico, in una data società e in un periodo storico determinato. Così intesa la vita quotidiana comprende modalità abitative e abitudini alimentari, routine lavorative e trasporti, relazioni in famiglia e relazioni con gli sconosciuti che si incontrano per strada, consumi e tempo libero, cura del corpo e letture… un elenco virtualmente infinito, anche se non indeterminato. Ed è proprio nel contesto della vita quotidiana che nasce il concetto di senso comune, definibile come lo stile cognitivo e il modo di pensare proprio della vita di tutti i giorni, lo sfondo entro il quale si colloca l’esperienza
  • 6. personale (Jedlowski, 1994). Il senso comune è l’ovvio per eccellenza, il regno del non problematico, del famigliare. Dalla concettualizzazione sociologica proposta da Jedlowski, il senso comune è formulato come “un insieme di assunzioni presenti nella vita in comune, intese implicitamente dai soggetti che vi fanno riferimento come assunzioni universalmente riconosciute”, appunto come “quello che tutti sanno”, come recita il titolo della pubblicazione dell’autore. In questo insieme di assunzioni condivise, non sempre troviamo un’argomentazione razionale. Anzi, si tratta più spesso di credenze, in cui gioca una parte fondamentale il processo con cui questa “scontatezza” delle assunzioni viene difesa, partendo dalle evidenze di tutti i giorni. Introducendo questo concetto, è possibile andare ancora più a fondo nella comprensione del processo di innovazione culturale, perché quello che accade, sul piano cognitivo, corrisponde precisamente ad una rimessa in discussione del senso comune: ad una sospensione, in altri termini, dell’atteggiamento che dà per scontati i contenuti e le forme della realtà. Ne derivano in questo modo apertura all’incertezza, ma anche alla creatività. Quest’ultima è un tema certamente ricorrente nelle pratiche di innovazione, che di fatto rispecchia l’attenzione e l’interesse generale che la circondano da ormai cinquant’anni. L’affermazione e diffusione della creatività come sinonimo di talentuoso, inventivo, fantasioso, produttivo è infatti molto presente nelle realtà dell’innovazione culturale o sociale. Sullo sfondo di questo exploit stanno le grandi trasformazioni della società e della cultura: in sistemi statici e chiusi non si pone in modo così pressante il problema del cambiamento. Ma più la situazione è mobile e aperta, più la società si muove in un ambiente mutevole, ed è sollecitata a cambiare, più diventano essenziali le capacità di adattamento e la flessibilità (Melucci, 1994). 2 RIPERCORRERE L'INNOVAZIONE CULTURALE ATTRAVERSO LA SOCIAL STREET 2.1 METODOLOGIA PER LO STUDIO DI CASO Per indagare la realtà della Social Street di Via Fondazza (Bologna), ho fatto affidamento a due principali fonti di rilevazione empirica: 1) Partecipazione al convegno “La rete delle Social Street di Bologna si presenta alla città” tenutosi il 22 Marzo 2014 presso il Working Capital Accelerator (WCAP) di Via Oberdan n. 22 a Bologna. In questo incontro è stato possibile ascoltare i fondatori della Social Street di Via Fondazza parlare della loro storia e degli sviluppi della Social Street a quasi un anno di distanza dalla nascita del fenomeno. La presentazione è stata accompagnata anche da testimonianze di fondatori di ulteriori Social Street bolognesi nate in seguito emulando l’esempio di Via Fondazza. 2) Iscrizione al gruppo chiuso di Facebook "Residenti di Via Fondazza - Bologna", previa autorizzazione da parte di una residente amministratrice del gruppo (viene richiesto il numero civico o l’eventuale motivo dell’iscrizione, via chat), grazie al quale è stato possibile esperire in prima persona del fluire
  • 7. quotidiano di annunci, richieste, saluti e scambi di informazioni ed idee virtuali. Tramite questo strumento ho potuto anche fare un appello per la ricerca di volontari disposti a prestarsi per un’intervista. A proposito di quest’ultima è necessario specificare che ho voluto utilizzare una tecnica mista che fondesse le caratteristiche salienti di a) intervista discorsiva di gruppo e b) focus group, per poter modellare un tipo di raccolta di documentazione empirica che calzasse con il mio caso e aiutasse a raggiungere al meglio gli obiettivi di ricerca. Il focus group offre uno spazio per indagare come si formano, vengono messi in questione e qualche volta cambiano le opinioni, gli atteggiamenti, i discorsi, le narrazioni, le rappresentazioni. È possibile osservare le dinamiche dell’everyday talk in interaction: “la discussione che crea attinge alle esperienze quotidiane dei partecipanti. Discutendo, […] compiono atti di identificazione e differenziazione, costruiscono diversi “noi”, “voi”, parlano come individui o come rappresentanti di istituzioni. Esprimono punti di vista morali […], i loro corpi contribuiscono attivamente alla comunicazione” (Frisina, 2010). Per questo ho trovato nel focus group un valido alleato per un’indagine sull’innovazione culturale, proprio per la sua capacità di analisi nei temi del senso comune e delle relazioni della vita quotidiana. Non potendo però intavolare una vera e propria discussione attorno a temi di dibattito, che sono il cuore della buona riuscita di un focus group, ho dovuto fonderla con la tecnica dell’intervista discorsiva. Tra le possibili forme dell’intervista discorsiva ho scelto quella di gruppo per poterla più assimilare al modello di focus group, per la registrazione delle interazioni e relazioni tra gli intervistati. Questa seconda tecnica permette di creare narrazioni a partire da poche domande-stimolo proposte dall’intervistatore, che nel caso di questa ricerca ruotavano attorno ai temi della routine quotidiana, la gestione del tempo, l’impatto della social street sulla propria identità (Cardano, 2011). Non avendo avuto modo di mettere in pratica il mio progetto di intervista causa restrizione del tempo a disposizione, ho integrato le due principali fonti di rilevazione empirica con l’analisi di documentazione raccolta da terzi (articoli di giornali e riviste specializzate) tra cui un’intervista al fondatore Federico Bastiani condotta da un’operatrice di Societing, accademia di ricerca che ha collaborato alla pubblicazione dell’ormai affermato “Libro Bianco sulla Innovazione Sociale”, tratto dagli studi di Robin Murray e della Young Foundation. 2.2 LA SOCIAL STREET DI VIA FONDAZZA: DAL VIRTUALE, AL REALE, AL VIRTUOSO L’idea della Social Street ha origine dall’esperienza del gruppo di Facebook “Residenti in Via Fondazza – Bologna”, iniziata nel Settembre 2013 nel capoluogo emiliano. L’ideatore del gruppo, un giovane lavoratore e padre di famiglia, Federico Bastiani, aveva un unico obiettivo: far socializzare i vicini di casa al fine di acquisire fiducia reciproca, a partire da un bisogno personale ed elementare che era quello di trovare qualcuno con cui far giocare il figlio piccolo. Risiedendo in Via Fondazza da ormai quattro anni, si era reso
  • 8. conto che il contatto con gli abitanti della strada non andava mai oltre il “buongiorno”, nonostante fossero persone che facevano parte della sua routine quotidiana, almeno visivamente. Federico ha così deciso, senza alcun investimento in termini di creazione di siti web ufficiali o di prese di posizione istituzionali, di utilizzare lo strumento che ormai la maggioranza delle persone utilizza, Facebook: ha creato il gruppo chiuso “Residenti in via Fondazza” e battezzato amichevolmente i suoi residenti in “fondazziani”. L’obiettivo della Social Street è infatti quello di socializzare con i vicini della propria strada di residenza al fine di instaurare un legame, condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale. Per raggiungere questo obiettivo a costi zero, ovvero senza aprire nuovi siti, o piattaforme, la Social Street utilizza la creazione di gruppi chiusi di Facebook (accesso controllato e contenuti visibili esclusivamente agli utenti interni), supportati dall’utilizzo di bacheche reali o volantini cartacei da apporre nella strada di riferimento per chi, per scelta o per impossibilità, non utilizza il celebre social network1. In poco tempo, l’idea di Federico si è diffusa tra i cittadini Bolognesi, che hanno a loro volta creato altre Social Street a partire da altrettanti gruppi Facebook, fino a che il fenomeno non ha catturato l’attenzione dei media conoscendo una vera e propria esplosione: a neppure un anno di distanza, si contano 318 Social Street registrate nel territorio italiano, e un principio di diffusione oltralpe e oltreoceano, con più di venti Social Street in Portogallo, Croazia, Santiago del Cile, addirittura Nuova Zelanda. Figura 1. La diffusione delle Social Streets nel mondo. Fonte: http://www.socialstreet.it/social-street-map/ 1 http://www.socialstreet.it/chi-siamo/
  • 9. I passi che Federico Bastiani ha percorso per la creazione della Social Street di Via Fondazza, e che sono diventate poi le linee guida proposte per chiunque ne voglia istituire una nel proprio quartiere, sono i seguenti: 1) Creazione di un gruppo chiuso di Facebook Creazione di un gruppo chiuso a partire dal proprio profilo Facebook. Per essere trovati dal motore di ricerca di Facebook è necessario che il nome del gruppo sia nel formato: “Residenti in nome via (oppure piazza, quartiere, etc) – nome città – Social Street”. Il gruppo è consigliabile sia chiuso per tutelare la privacy delle persone che ne entreranno a far parte. Le impostazioni della privacy possono essere gestite dal fondatore che può decidere o meno se autorizzare tutti i post in automatico o se volerli moderare e autorizzare; ma questa seconda ipotesi è sconsigliata perché lo spirito della Social Street non prevede l’idea del “capo”. Il fondatore è soltanto il moderatore che indirizza le proposte e le idee del gruppo ma non è il leader. Social Street cerca di essere il più democratico possibile, e la condivisione sta alla base di questa esperienza. Ovviamente determinate decisioni devono essere prese in modo snello e veloce, e la condivisione totale rende difficile talvolta ottenere questo risultato. Per questo, viene consigliato di creare una sorta di “consiglio di amministrazione”, un gruppo formato dal creatore del gruppo e da altre quattro o cinque persone. Dato che Facebook è l’elemento fondamentale della Social Street, il fondatore del gruppo chiuso potrà aprire chat private con il “consiglio di amministrazione” per prendere decisioni in tempi brevi. È importante un minimo controllo dei contenuti da parte degli amministratori, che devono permettere che quello sia unicamente un luogo che mette insieme le persone, evitando che emergano cose che possano creare divisioni interne (ad esempio discussioni politiche), o non inerenti allo spirito di Social Street: è possibile che alcuni membri del gruppo entrino per fare pubblicità propria, dunque sarà il fondatore a decidere se quel tipo di pubblicità è spam (e quindi da rimuovere) oppure se è una pubblicità che può essere utile a tutti i membri del gruppo. Nel momento della creazione è possibile che non si conosca assolutamente nessuno della strada e che sia dunque difficile creare un “consiglio di amministrazione”: non è un problema, c’è sempre tempo per formarlo, l’importante è partire. 2) Pubblicizzare il gruppo Una volta creato il gruppo su Facebook lo si pubblicizza con una locandina, servendosi di un semplice foglio A4 nel quale si indica la nascita del gruppo, l’obiettivo della socialità ed il link, per esempio “Residenti in Via Fondazza – Bologna”. A questo punto si fotocopia e diffonde la locandina nei posti più visibili possibili, tenendo conto anche delle regole per l’affissione. Si possono mettere ad esempio nelle buche delle lettere dei condomini, sotto le porte o portoni delle case, illustrando l’idea a qualche attività commerciale della strada che possa esporre la locandina (si trova un esempio della locandina utilizzata per Via Fondazza in Appendice). Non bisogna partire con grandi obiettivi: il
  • 10. successo della Social Street non si misura in base al numero dei membri del gruppo, anzi, i gruppi più piccoli funzionano meglio grazie ad una maggiore interazione e conoscenza reciproca. Una volta creato e diffuso un primo gruppo si possono iniziare a coinvolgere anche le attività commerciali della strada e a proporre scambi vantaggiosi per entrambe le parti (maggiori sconti per i residenti, più clienti per l’attività commerciale). 3) Gestione del gruppo Il gruppo va alimentato di contenuti ed idee. L’idea è quella che il gruppo si auto-alimenti, ma difficilmente questo avviene nella realtà. Bisogna avere la consapevolezza che verosimilmente agli inizi la curva degli iscritti è in rapida ascesa, ma seguita a ritmi ben più lenti dal numero di persone che appaiono in bacheca, e ancora meno a livello reale sulla strada. Il fondatore o i membri del “consiglio di amministrazione” devono cercare di tenere vivo il gruppo anche con piccole cose. Il gruppo “Residenti di Via Fondazza a Bologna” su Facebook ha creato degli album fotografici per condividere le foto, scambiare oggetti che non si usano più, o ancora ha creato un hashtag della propria strada (#Fondazziani) per condividere e stimolare foto su altri social network (Instagram, Twitter). Le possibilità sono tante, e sono aperte alla creatività dei residenti. È opportuno ricordare che Social Street non deve diventare un lavoro per nessuno, non deve essere un impegno eccessivo, ma un piacere. Facebook consente di interagire con gli altri in qualunque momento, l’importante è condividere con gli altri le proprie esperienze, le proprie necessità, perché la condivisione può portare a sua volta la creazione di “sottogruppi” che hanno affinità. Per esempio per i musicisti e appassionati di musica, Social Street permette di scoprire se nel vicinato esistono altre persone che condividono la stessa passione musicale, offrendogli così l’opportunità di organizzare incontri e collaborazioni sulla base di un sentimento comune. Quando il gruppo si evolve e cresce, coinvolgendo persone che non si conoscono fra loro ma abitano nella stessa strada e che attraverso il gruppo riusciranno a risolvere problematiche o piccole necessità, e magari anche a far nascere amicizie, si potrà dire la Social Street ha avuto successo. 4) Dal virtuale al reale La parte più interessante della Social Street è che nasce sul virtuale, unendo persone che abitano vicine (ma non si conoscono) su una piattaforma Facebook, e che in un secondo momento si sviluppa trasponendo questi contatti dal virtuale al reale. All’interno del gruppo Facebook è possibile creare eventi, un altro potentissimo strumento che permette di conoscere di persona i contatti iscritti al gruppo: non servono spazi pubblici o sale da affittare per ospitare questi eventi, poiché esistono le piazze, i giardini o le case delle persone. Per portare avanti la Social Street infatti non servono investimenti finanziari, serve soltanto un po’ di intraprendenza e la volontà di interagire con i propri vicini di casa.
  • 11. Figura 2. Fonte: www.socialstreet.it Una volta percorsi i passi per la costruzione e lo sviluppo della Social Street, per indagare i meccanismi innescati da questa pratica il passaggio più ovvio è andare ad analizzare che cosa avviene all’interno del suo strumento di base: il gruppo Facebook. Che cosa si fa in questo gruppo? Per prima cosa si scambiano e si condividono informazioni utili per tutti, comunicando in tempo reale per problemi e proposte della vita di tutti i giorni, e soprattutto si condivide la propria esperienza per metterla al servizio degli altri. Alcuni esempi concreti: 1) Nella strada abitano studenti universitari fuori sede, che appena trasferiti a Bologna non conoscevano nessuno, non sapevano come muoversi nella città, dove trovare la lavanderia a gettoni più vicina, la palestra più economica, e tutti questi interrogativi quotidiani di cui non esiste un ufficio studenti o un sito web di competenza. La risposta ai problemi e alle pratiche quotidiane relative ad un territorio specifico, infatti, possono essere trovate solo in chi le vive ogni giorno, e che condivide le tue stesse esigenze: in questo sta la potenzialità del vicinato. Nel gruppo è quindi possibile chiedere aiuto per le necessità di base di chi si è appena trasferito, e trovare la giusta dose di accoglienza e spirito collaborativo. 2) Via Fondazza per i passanti è una strada normale, nulla di più di moltissime altre vie porticate bolognesi. All’interno esibisce però bellissimi balconi e terrazzi con magnifiche vedute, sui quali è stato appositamente creato un album sul gruppo Facebook per condividere fotografie con le parti più segrete della strada, come per condividere un quotidiano che appartiene solo ai residenti, da custodire e curare, e nel quale identificarsi e riconoscersi in quanto tesoro godibile solo dai residenti. 3) Nell’ottica del recupero, è stato creato un album fotografico per “scambiare e/o vendere oggetti usati”, spesso dimenticati nelle cantine, quando invece possono essere utili ad altre persone. Condividere questi oggetti con il vicinato permette una maggiore probabilità di visibilità e scambio concreto rispetto alle piattaforme online come Ebay che richiedono registrazioni, percentuali, fiducia verso sconosciuti, trasporti (e quindi inquinamento).
  • 12. 4) Recupero alimentare. Un altro frequente dilemma quotidiano è lo spreco alimentare, che a causa di errate valutazioni quantitative di acquisto, intolleranze alimentari diagnosticate, o semplicemente accumulo di cibo in scadenza prima di partire per una vacanza o per un trasloco, costringe spesso a buttare via cibo ancora commestibile. Avendo costruito un rapporto di fiducia con il vicinato, si può semplicemente pubblicare dei post nel gruppo dove si invitano le persone a scambiarsi o donare il cibo in eccesso evitando sprechi e cogliendo anche l’opportunità di aiutare le persone in difficoltà nel proprio vicinato. 5) Aiuto concreto. Può capitare che serva aiuto per un trasloco, l’imbiancatura di una stanza, lo spostamento di un mobile. Sempre con un semplice post si può verificare se ci sono volontari disposti ad offrire il loro aiuto. Anche nel caso di scarsi preavvisi, ci si può stupire di quante persone necessitino proprio in quel momento di una pausa dal lavoro domestico, o che semplicemente abbiano voglia di rendersi utili in cambio di quattro chiacchiere. 6) Organizzare compleanni di strada per condividere con gli altri (anche persone che non si conosce) un evento particolare che può essere un compleanno ma anche qualsiasi altra occasione semplicemente con la volontà di condividere una festa, e creare un’occasione di scambio e socialità. 7) Organizzare eventi mensili dove le persone del gruppo possono incontrarsi fisicamente, uscendo dal virtuale. I luoghi per gli incontri vengono da sé, riappropriandosi dello spazio offerto dalla propria strada: le piazze, i cortili, le case, gli esercizi commerciali presenti nella via. Figura 3. Fonte: www.socialstreet.it Le possibilità di condivisione sono infinite ed è il gruppo stesso ad alimentare nuove proposte: non è una funzione che spetta al “leader”, ma sono tutti i residenti nel puro spirito della democrazia partecipativa. Nella condivisione non devono esserci finalità di lucro ma solo finalità sociali. “Social street non porta avanti nessuna visione politica, religiosa, ideologica di alcun tipo, raggruppa le persone con l’unico criterio della
  • 13. vicinanza fra residenti nell’area”2. Tra i tipi di innovazione sociale proposti da Pestoff (1998), Social Street si inserisce certamente nella terza categoria: “terzo settore in relazione stabile con le amministrazioni, orientato alla produzione di beni e servizi pubblici, favorendo la transizione da welfare state a welfare society3”. È un progetto che appare ambizioso e talvolta venato nostalgismo, con quel malinconico richiamo alle comunità del passato che ricorda tanto la “gemeinschaft” di Tönnies: «La città non crea più occasioni di socialità. Penso ad esempio ai paesini di cinquanta anni fa, dove magari la domenica mattina ci si riuniva per andare a Messa, era un momento di socialità. Oggi queste cose non ci sono più e quindi in questo caso Facebook mi ha aiutato tantissimo» spiega il fondatore Federico Bastiani all’intervistatore di Societing4. Ma il richiamo al passato è in realtà intelligentemente combinato con i vantaggi e gli strumenti dell’oggi, per non rimanere fine a se stesso: «La solidarietà e l’aiuto reciproco sono cose che vengono col tempo. Pensa che la signora Carla, settantacinque anni, ha aperto un profilo Facebook solo ed esclusivamente per entrare nel gruppo di via Fondazza, perché le sembrava di essere tornata indietro nel tempo». 2.3 RIDEFINIZIONE E RIPRODUZIONE DEL QUOTIDIANO IN VIA FONDAZZA Come abbiamo visto dopo questo paragrafo di presentazione, nella Social Street non si tratta di creare un’associazione o una struttura. Si tratta di stimolare un cambiamento dei propri orizzonti di senso, una ridefinizione delle proprio modo di abitare e di vivere un quartiere, per fare in modo che nasca di sua spontanea volontà un gruppo collaborativo di persone capace, se ingranate le giuste marce, di auto- alimentarsi e di instaurare relazioni sulla base della fiducia per favorire gli scambi, progettare eventi e incoraggiare la solidarietà. In poche parole, quello che Social Street produce, in modo parzialmente involontario, è innovazione culturale. Ma passare da uno scambio di informazioni sui bisogni di tutti i giorni ad uno scambio finalizzato a un nuovo modo di concepire l’economia e la propria vita in relazione, con la finalità di modificare l’esistente, non è un passo scontato né semplice. La cosa più stupefacente è stata il successo e la diffusione istantanea dell’idea di Federico Bastiani: una volta sparsa la voce di quello che stava accadendo in Via Fondazza, grazie all’attenzione dei media, ne è conseguita un’esplosione di richieste da parte di cittadini di Bologna e di tutta Italia: tutti volevano (e ancora oggi vogliono, basta verificare andando a scorrere i commenti presenti a centinaia nel sito web di Social Street Italia) la propria Social Street, quasi come espressione di un disperato bisogno represso da tempo, ignaro di essere condiviso da così tante persone, e che trova ora nell’idea di Federico uno spiraglio di speranza. 2 www.socialstreet.it 3 Pestoff, V. (1998). Beyond the market and state: social enterprises and civil democracy in a welfare society. 4 Intervista disponibile all’indirizzo: http://www.societing.org/2013/12/social-street-intervista-federico-bastiani- bologna-social-innovation/
  • 14. Affinché questo esperimento possa funzionare, e incidere sulla società e sulla qualità della vita di ognuno, sono necessari alcuni ingredienti, rilevabili dall’esperienza di Via Fondazza: - Il desiderio di incontrarsi - La voglia di cambiare il modo di abitare la propria vita - La necessità di ricreare il senso di fiducia nella comunità - La messa in gioco della propria creatività con lo scopo di combattere l’indifferenza A supporto di questo stanno le testimonianze raccolte: “Abbiamo un sogno noi di Via Fondazza… anzi, avevamo, perché dopo un anno questo sogno si sta realizzando! Allora ci stiamo preparando alla nostra festa di compleanno, e lo facciamo nello spirito Social Street partecipando tutti con quello che possiamo. […] Sempre nel nostro spirito, tutte le attività saranno gratuite. Alcune le stiamo finalizzando, altre per ora solo pensate… Ma la cosa più importante è che vorremmo che questo fosse veramente un momento di condivisione. […] Facciamo vedere cosa si può fare senza sponsor e senza grandi organizzazioni alle spalle, ma semplicemente col desiderio di condividere”. O ancora, commenti sulla pagina di Social Street Italia: “Ma posso entrare nel gruppo anche se sto in Piazza Carducci? Da quando non ci sono più i negozi di alimentari dove si facevano le chiacchiere con tutti e si sapeva tutto di tutti (come mi manca la lattaia Wanda!) ora non so neanche chi vive accanto a me”. I residenti di Via Fondazza iscritti alla Social Street sono attualmente 940, e il gruppo risulta essere, a un anno di distanza dalla sua creazione, molto attivo e ricco di post giornalieri con richieste e proposte di ogni tipo: - Problemi comuni della gestione della vita domestica (raccolta differenziata, bollette, traslochi, animali domestici, orari o numeri di telefono di negozi, organizzazione feste di compleanno) di cui si può delineare anche una composizione di genere abbastanza omogenea: non sono solo donne a chiedere aiuto per i bambini o per le faccende domestiche, molto spesso sono anche i papà; - Richiesta di eventuali capacità e competenze specifiche rintracciabili nel vicinato per assistenza e consulenza informatica, artistica, meccanica e così via; - Segnalazioni o richieste relative alla sicurezza: furto di biciclette, portafogli rinvenuti in strada, segnalazioni di rumori/movimenti sospetti; - Annunci per la ricerca/messa a disposizione di proprietà immobiliari (stanze, appartamenti), cibo, oggetti Solo per citare i più frequenti. Osservando la numerosità dei post sul gruppo ci si rende conto di quanti siano i bisogni quotidiani che troverebbero risposta in una semplice richiesta al vicino. Ma ancora più interessante, al di là delle esigenze pratiche quotidiane, è la ricchezza di idee e proposte di eventi che nascono spontaneamente all’interno del gruppo. Certamente non tutti i 940 iscritti partecipano attivamente alle iniziative proposte al di fuori del gruppo virtuale; esiste un gruppo più coeso, di cui certamente fanno parte i
  • 15. fondatori e il “consiglio di amministrazione”, che traspone più di frequente le relazioni dal virtuale al reale, ed è composto spesso da coppie e famiglie, da quelle più giovani (intorno ai 30 anni) fino ai residenti di mezza età, spesso con figli piccoli al seguito, su cui si scambiano consigli e aiuti. Il feeling creatosi lungo l’arco delle attività del primo anno di Social Street si può percepire dal clima informale e scherzoso presente tra i più attivi “social streeters”, che dichiarano più volte di aver trovato grazie alla Social Street delle importanti amicizie laddove, fino a poco tempo prima, vedevano solo volti sconosciuti. La messa in rete di Via Fondazza ha permesso a queste persone, oltre che di conoscersi e di lavorare insieme su un progetto comune, di acquisire la capacità di dar vita ad idee ed incontri in pochi minuti tramite Facebook, dai cui eventi traspare tutto l’entusiasmo e l’autorealizzazione dei residenti nelle proposte e nella fulminea capacità di organizzazione. Gli eventi organizzati vanno da veri e propri incontri di quartiere legati ad attività messe in atto per la comunità, a semplici ritrovi tra amici: e sono proprio questi ultimi che ci interessano in questa sede, perché sono quelli più frequenti e che vedono l’entusiasmo maggiore. Pic-nic estivi in giardino per combattere il caldo, serate di racconti in terrazza con cibo portato da casa da ognuno, una cena insieme all’inaugurazione di una nuova pizzeria di quartiere, a piccoli gruppi. "La cosa principale è stare insieme: sorseggiamo un caffè, ci raccontiamo storie. Conoscere le storie dei propri vicini di casa è davvero una cosa nuova per tutti” afferma un residente. Come accennato nel paragrafo precedente, è possibile, comprensibile e naturale il formarsi di gruppi e sottogruppi sulla base di passioni comuni: la musica, l’impegno nel sociale e nella beneficenza, il calcio per citarne alcuni, hanno permesso a molti residenti di scoprirsi simili e collaborare, facendo nascere amicizie profonde per le quali ringraziano sempre Social Street. Ma non da meno sono le attività legate a grandi eventi di quartiere: per citare i più importanti che Via Fondazza è stata orgogliosa di ospitare: - Serata di “Musica fra Oriente ed Occidente” nella chiesa-auditorium di Santa Cristina della Fondazza: gli artisti della Social Street applauditi da 300 persone alla fine del primo concerto che ha visto protagonisti i musicisti residenti nella via. - La Grande Fondazza: serata di racconti, in cui sono stati coinvolti i tanti anziani residenti non presenti nella piattaforma virtuale per una ricostruzione e una riscoperta evocativa di Via Fondazza e della sua storia, tramite i racconti e gli aneddoti del passato. - I volti di Via Fondazza: mostra fotografica con lo scopo di creare una memoria storica della via perché non rimanga solo “la via dove visse il noto pittore Giorgio Morandi”, ma anche quella dove persone “comuni” hanno dato vita a un progetto, la Social Street, che non può esistere senza i sogni e la determinazione dei suoi abitanti (se ne può trovare la locandina nell’Appendice). - Mummy Cinema: grazie all’idea di una “fondazziana”, ciclo di appuntamenti in accordo con il Cinema Odeon di Bologna per proiezioni “baby friendly”, in cui le mamme (ed i papà) con neonati fra gli 0 e 18 mesi hanno la possibilità di godere di una proiezione riservata ad orari agevolati (al mattino) e di portare i propri bambini
  • 16. entrando in sala con le carrozzine, allattando e sorvegliando i bambini in tranquillità con l’aiuto di luci soffuse e audio ribassato. Figura 4. Locandina dell'iniziativa "Mummy Cinema". Fonte: https://www.facebook.com/MummyCinema Sicuramente si riscopre l’importanza strategica del capitale sociale, non solo per tessere nuove amicizie e legami, ma per risolvere problemi a volte decisivi come la ricerca di una casa, di una stanza, di un lavoro. Si è imparato a non avere il timore di chiedere, come afferma un residente: “dall’esperienza Social Street ho imparato che è più facile dare che chiedere… Ho deciso che per me è il momento di iniziare a chiedere”, e sulla bacheca di Facebook c’è spazio anche per la bellezza del quotidiano: un semplice benvenuto al nuovo iscritto, i complimenti ad una residente che suona il piano e viene udita dai vicini che la intimano a continuare, addirittura la “dichiarazione d’amore” di un abitante folgorato dalla bellezza di una passante. La rivoluzione del quotidiano: “Ci si inizia a salutare per strada, perché si riconosce la foto… “; “Io abito a bologna da 25 anni, sono di Ferrara… e di fatto non mi sono sentito mai così tanto bolognese quanto questi ultimi 6 mesi: il mio territorio ora lo riconosco, faccio parte di una comunità di persone quindi questo è il mio luogo. Questa cosa mi ha fatto sentire parte di questa città”. Oppure iniziative come Mummy Cinema che permettono ai neogenitori di non dover rinunciare ad andare al cinema e a dedicare un po’ di tempo per sé, come dichiara una mamma “fondazziana”: "È una bella idea perchè adesso con il bimbo piccolo non riusciamo più a fare uscite serali… fuori con i nostri amici. In questo modo invece possiamo continuare a uscire... La nostra vita si è un po' ribaltata come orari, invece che uscire alla sera usciamo la mattina, oppure usciamo a pranzo, ma possiamo continuare a fare le cose come prima" e la fondatrice stessa dell’idea: "Prima di diventare mamma andavo al cinema anche due volte a settimana. Quando è nato mio figlio ******, due anni fa, andare al cinema era diventato più complicato. Mio marito e la mia famiglia erano lontani e mio figlio non ama molto stare con le baby sitter... e quindi andare al cinema era per me praticamente impossibile. Grazie a Social
  • 17. Street ho avuto modo di conoscere il proprietario del cinema Odeon [...] e così è nata l'iniziativa Mummy Cinema". Si possono cogliere alcuni segni di un cambiamento graduale dell’ovvio e del senso comune sedimentati nel tempo, anche nei riguardi della politica: “Anche la politica ci sta guardando con interesse, sembra che voglia supportare la cittadinanza attiva. Ci sono persone, nel comune di Bologna, con le quali ci stiamo confrontando, che stanno tentando di modificare i regolamenti per potersi interfacciare meglio con questo tipo di realtà. Secondo me la politica si è resa conto che ha sbagliato tutto ed ha preso atto che un cambiamento concreto sia necessario. Ora si è un po’ arresa, chiedendo l’intervento delle persone comuni per cercare insieme delle soluzioni. Mi ha fatto molto piacere questo approccio positivo della politica nei confronti del nostro gruppo. Sarei contento se la politica “prendesse esempio” da questa operatività per cambiare se stessa, non per strumentalizzarla». Testimonianze a dimostrazione del fatto che non sempre la diffidenza a prescindere verso la politica ha una base razionale; basta un avvicinamento a quello che è la politica in piccola scala, la politica di tutti i giorni, di quartiere, per modificare le idee precostruite che erano entrate a far parte dell’ovvio e del dato per scontato, e per cambiare il proprio approccio verso la politica e molti altri aspetti della vita quotidiana. Un altro luogo comune che Social Street ha contribuito ad abbattere è la futilità del social network Facebook, quale prodotto di una modernità alienata, o un modo come un altro per perdere tempo. Social Street ha permesso di dare un’altra faccia a questa piattaforma, con lo stupore e il ripensamento di molti utenti, ex-utenti, nuovi utenti. Federico Bastiani esplicita il paradosso che si è creato in Via Fondazza: “Abbiamo invertito il paradigma: Facebook è nato per mettere in contatto persone lontane tra loro; noi lo abbiamo pensato per connettere persone che abitano a 10 metri di distanza”. Il social network è certamente un punto di partenza, ci sono persone che si convincono ad iscriversi solo per partecipare a Social Street, altre che partecipano pur non avendolo: è uno strumento fondamentale ma non necessario, che gli amministratori del gruppo si impegnano a gestire e pubblicizzare alla luce di un utilizzo, per così dire, “corretto”. È la banalità del quotidiano, la vera rivoluzione di Social Street: “La stampa spesso ci chiede, a distanza di venti giorni: ‘Allora, avete progettato cose nuove? Cosa avete fatto?’ …Bè noi continuiamo a trovarci, a fare aperitivi… noi ci occupiamo di quelli che gli esperti chiamano beni relazionali, e sono questi che portano la felicità alle persone!”. 2.4 AFFINITÀ E DIVERGENZE CON ALTRE ESPERIENZE IN UNA CORNICE STORICA 2.4.1 Modernizzazione e movimenti collettivi Alla fine degli anni ’50/inizio anni ’60, l’Italia conobbe una fase di boom economico che la trasformò, nel giro di pochissimi anni, una società industriale. Il processo di industrializzazione andò di pari passo con altrettanto ampi processi di urbanizzazione. Questi processi vennero accompagnati da un’imponente trasformazione della vita materiale e dei consumi, che segnò il passaggio da una società in cui molti dei bisogni primari non
  • 18. venivano soddisfatti a una società in cui almeno una grande maggioranza della popolazione italiana aveva superato la soglia minima del benessere (Ginsborg, 1998). L’avvento di elettrodomestici, tv e automobile cambiò in modo rapido e inarrestabile la vita quotidiana di famiglie che, per altri versi, cominciavano ad abbandonare le forme tradizionali configurandosi sempre di più come famiglie nucleari. Le tecnologie via via disponibili si posero al servizio di un modo di vita mobile e al tempo stesso centrato sulla casa, per il quale Raymond Williams (1974) ha coniato il termine di privatizzazione mobile in cui i nuovi consumi, sono consumi sempre più privati. Nel contesto degli anni a cavallo del ’68, l’orientamento marxista che si diffonde nella sociologia dei primi anni ’70 mette in crisi (anche se solo parzialmente) il paradigma della modernizzazione, criticandone gli aspetti che hanno a che fare con gli sviluppi del capitalismo e per la logica della razionalità strumentale che le è propria. Nasce dunque una prima fase di movimenti, che affondava le sue radici nel situazionismo, negli echi della controcultura americana e in una radicalizzazione dei contenuti della subcultura giovanile che si era affermata lungo tutti gli anni ’60: le sue prime manifestazioni non hanno solo l’obiettivo di cambiare la scuola, ma anche e soprattutto quello di porre le basi per nuove forme di socialità e di costume alternative. “La natura utopica del ’68 stette nella critica della separazione tra politica e vita quotidiana, tra individuale e collettivo, tra pubblico e privato” (Passerini, 1997). Non è molto distante da ciò che oggi Social Street vuole riproporre in piccola scala: l’allontanamento dalla pura logica della razionalità unilateralmente strumentale, l’importanza della socialità come motore collettivo, e la centralità strategica di ciò che sta in mezzo tra la nostra immagine pubblica e quella privata. Il tutto accentuato dal procedere del processo di modernizzazione e urbanizzazione che ha reso la dimensione domestica e dell’abitare, un elemento centrale (ma sottovalutato) della vita quotidiana attuale. Di certo Social Street non condivide con i movimenti del ’68 l’attivismo politico tumultuoso caratteristico di quel tempo storico: la politica è una dimensione che tende ad essere allontanata con diffidenza e guardata con sospetto più che con rabbia. L’impatto del ’68 sulla vita quotidiana è stato notevole, e molto di ciò che si è realizzato nel costume italiano negli anni a venire non sarebbe pienamente comprensibile senza considerare all’ondata di conseguenze che il ’68 ha avuto sulle coscienze, gli stili di vita e le aspettative di gran parte degli italiani. Nell’Italia più o meno tradizionale degli anni precedenti, il senso della vita si fondava su un’etica del lavoro, del risparmio, del sacrificio e dell’impegno a crescere i figli. La situazione ora si fa più aperta: alla propria esistenza ciascuno impara a poter chiedere qualcosa di più e allo spalancarsi di nuove possibilità. Per certi versi si tratta del passaggio da una situazione caratterizzata da bisogni materiali ad una in cui predominano bisogni “postmaterialisti”. Nelle società tardo capitalistiche i conflitti non riguardano più le sole risorse economiche, ma investono “rapporti sociali, simboli, identità e bisogni individuali” (Melucci, 1982). I conflitti si spostano verso la difesa e la rivendicazione di identità contro apparati fondati sulla razionalità strumentale, utilizzando gli strumenti
  • 19. di partecipazione e di azione diretta. E in questo contesto non si può non citare il ruolo delle donne all’interno dei movimenti: ci si associa intorno a problemi che incidono sulla vita quotidiana, la travolgono, sconvolgono la sfera di cui da sempre la donna è responsabile. Il processo di presa di coscienza delle donne è avvenuto in un contesto in cui era più facile confrontarsi con altri, far circolare esperienze, trovare affinità. Un contesto che è andato perdendosi e che Social Street prova oggi a recuperare partendo proprio dal vicinato e dal quartiere, per far alzare gli sguardi e ritrovare complicità. L’esperienza personale e concreta del singolo acquista senso e articolazione quando ci si accorge di partecipare in situazioni condivise, a sentimenti comuni. Non è un caso che proprio oggi nascano queste iniziative: nasce con loro il bisogno di correggere le modalità della vita sociale, il bisogno di modificare una socialità insoddisfacente del proprio tempo. Negli anni ’70 anche le femministe hanno cominciato a frequentarsi nelle case private, instaurando una modalità di relazione che era appartenuta a tempi precedenti ai loro. Questa è stata, allora, una novità che aveva origini antiche ma che rispondeva al bisogno di confronto proprio di quegli anni, ed è per questo che è dilagata spontaneamente (Spirola e L. Milani, 2014). Più tardi negli anni ’90, a Mestre le “Vicine di Casa” hanno iniziato un percorso simile a Via Fondazza, con una simile voglia di confronto e desiderio di migliorare le proprie vite in relazione, consapevoli però che i loro gesti erano politici, mentre come abbiamo accennato poco prima, i residenti bolognesi ci tengono a precisare che prescindono da qualsiasi partito o ideale politico e fanno in modo che la politica stia al di fuori dai loro incontri. Piuttosto che correre questo rischio, rinunciano alla consapevolezza che il loro è un agire del tutto politico. Eppure la politica c’è, ed è quella politica del quotidiano che semplicemente esercitano implicitamente con le loro idee e il loro agire: la cura delle relazioni di vicinato, la scelta di quale cibo consumare e con chi condividerlo, la valorizzazione delle capacità e della creatività di ognuno, l’attenzione alla redistribuzione delle risorse, il rispetto per l’ambiente. Alla domanda su quale fosse la forza di Social Street, un residente risponde: “Che è una street, un ambito in cui le persone si riconoscono a prescindere da qualsiasi altro tipo di appartenenza: età, ideologia, provenienza, religione… Abbiamo dato un nuovo ambito di riconoscimento. Ci riconosciamo come “fondazziani” e in questo modo le persone spesso dimenticano le altre cose che le dividono…”. 2.4.2 Associazioni dei famigliari delle vittime di stragi Per proseguire con le affinità e le divergenze che Social Street presenta rispetto ad altre esperienze, sarà interessante ora proseguire inserendo questo caso nel contesto degli sviluppi dell’associazionismo nel territorio italiano. Rispetto a quanto appena detto, relativo ai movimenti del ’68 e più in particolare al femminismo, l’attivismo degli anni più recenti ha infatti la caratteristica di insistere, in tutti i sensi, sul sociale, allontanandosi dalla politica come quadro di riferimento ossessivo. L’innovazione è legata, come già si accennava nel paragrafo precedente, al rifiuto della contrapposizione tra pubblico e privato, tra affetti familiari privati e cittadinanza, simbolo della dimensione pubblica. L’associazionismo di questo tipo, che inizia a nascere negli anni ’80, vuole contare, pensare, e raggiungere scopi collettivi, senza un rifiuto ideologico della politica, ma mettendola da parte: “la politica è altro, è altrove” (Turnaturi e Donolo, 1988).
  • 20. In particolare in questo campo ci riferiremo a quella serie di associazioni che sono nate in seguito ad eventi e situazioni spiacevoli (strage di Bologna, omicidi perpetrati dalla mafia, abuso di droga) e che vedono i famigliari delle vittime unirsi nel nome di una causa comune. La forza di queste associazioni è la valorizzazione dei legami affettivi: se ne fanno una risorsa in funzione di una presenza pubblicamente rilevante, mostrando che farsi sentire è possibile se gli attori concepiscono se stessi come cittadini. Attivandosi per il proprio caso personale si dà voce a diritti dimenticati, amplificando e generalizzando esigenze che sono di molti, anzi fondamentali per il legame sociale, andando a ribaltare gli assunti dei noti “familismi amorali” di Banfield (1967) e trasformando in positivo e proattivo quello che dal punto di vista di Turnaturi e Donolo sono invece “familismi morali”. Il momento innovativo sta nella messa in moto di affinità, solidarietà, re-identificazioni, relazioni sociali che sembravano sommerse. Anche in questo senso Social Street si trova a compiere un’azione simile, scoprendo i bisogni reali e potenziali che ognuno dei residenti ha, ma che da tempo sono rimasti sommersi da un modo di abitare fine a se stesso e recintato al proprio nucleo famigliare. Una volta aperto questo recinto si scopre invece di condividere affinità ed esigenze con il vicinato, e che messe insieme possono diventare una forza “pubblica” in grado di cambiare le cose e migliorare la vita pubblica e privata. Per fare un esempio che condivide con la Social Street lo stesso sfondo territoriale, è opportuno citare l’associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna avvenuta il 2 Agosto 1980. Sicuramente il gruppo di residenti di Via Fondazza non ha tratto la sua origine e le sue motivazioni dal dolore e dal dramma quali sono la perdita di un famigliare. Ma tra le affinità spicca lo stesso timore di essere strumentalizzati dalle forze politiche, e analogamente, la volontà di proclamare la propria autonomia rispetto al politico, visto come estraneo e corrotto. Un’autonomia che non nega pregiudizialmente rapporti con la politica e con l’amministrazione pubblica, ma che non attende legittimazioni, né benevolenza spontanea. Queste due esperienze condividono anche la stessa nascita spontanea, senza deleghe, di certo aiutata dal terreno fertile di una città come Bologna, caratterizzata da un privato sensibile al sociale e da istituzioni che ne tengono conto. Uno sviluppo autonomo e autoriprodotto, che mette in moto nuove forme di consapevolezza civica e favorisce modalità di apprendimento sociale tra i partecipanti e nuove esperienze di relazione con la sfera pubblica. Considerando quindi il delinearsi in questa direzione del più recente associazionismo, si può dire che esso (inclusa la Social Street) si inserisce in un’area intermedia che mostra una propria modalità di collegamento tra sociale e politico, un proprio movimento verso il politico, ma che rivendica una propria autonomia e non tollera di essere usata e fagocitata politicamente. Ma ancora più in particolare per la Social Street, ci si può riferire ad essa come un caso di cosiddetto privato-sociale, dimensione che assume la presenza di legami sociali o solidarietà prepolitiche le quali, per proprie risorse interne di motivazione e legittimazione, siano in grado si supplire e di correggere la sfera pubblica. Afferma un residente: “Noi ci teniamo al mantenimento dello spazio pubblico, la cura del verde, la pulizia dei muri… ma non è lo scopo per cui siamo nate. Siamo nate per l’integrazione delle persone”. Il privato-sociale è infatti per la maggior parte rappresentato dalle realtà
  • 21. centrate sulla famiglia e la socializzazione primaria, il vicinato o le comunità. Ma non lo si può considerare limitato a un mondo autonomo e indiscriminato, perché non può nascere senza il pubblico, cioè senza il maturare di una sua forma pubblica, che in questo caso corrisponde all’uscita dal virtuale, che determina la vera e propria nascita della Social Street. 3 CONCLUSIONI In conclusione, come può contribuire l’esperienza della Social Street di Via Fondazza ad una teoria dell’innovazione culturale? Innanzitutto, riconsiderando le definizioni generali proposte nel paragrafo teorico, possiamo trovare riscontri concreti in ciò che la letteratura offre al riguardo dei processi di innovazione culturale: Social Street risponde sia alla definizione di Gallino, proponendosi come “nuova tecnica” di risoluzione ad un problema, ovvero la mancanza di socialità di quartiere; sia si configura come il processo di apprendimento descritto da Donolo: dalla rinnovata socialità scaturiscono nuove questioni prima sommerse: ambientalismo, integrazione, senso civico, nonostante lo scopo primario fosse semplicemente quello di conoscere i volti e le storie di chi abita vicino. L’innovazione culturale infatti risponde a logiche sperimentali, esterne ad un sistema di regole rigide o di razionalità calcolata: Via Fondazza mostra, con il suo continuo fiorire di iniziative ed eventi spontanei, gli effetti perversi di un’idea che è andata molto oltre alle aspettative degli stessi fondatori: “La cosa che più di tutte ci ha meravigliato, è che ci dicevamo che dureremo al massimo un mese… invece la grande attenzione della stampa, delle istituzioni ma anche dell’università, il mondo mediatico. Fondazza come un laboratorio privilegiato per osservare certi fenomeni”. È esattamente quello che Rullani definisce “atto esplorativo”, contrapposto alla conservazione dell’esistente (Ardrizzo, 2002), riconducibile ad una forma di sperimentazione sociale (addirittura “laboratorio”) per esplorare lo spazio di possibilità del sociale attraverso la mobilitazione di più persone. Social Street è anche la dimostrazione che l’innovazione culturale, come quella sociale, non è frutto di saperi esperti (il mondo accademico e della ricerca come incubatore esclusivo di innovazione), ma piuttosto il frutto di una costellazione di azioni ordinarie, legate appunto alla vita quotidiana. Semplicemente risponde a due correnti tipiche della cultura dell’innovazione, saggiamente intrecciate: - Valorizzazione del nuovo, tramite una corretta ed equilibrata relazione con la modernità (uso della tecnologia e dei social network sfruttandone il potenziale comunicativo e organizzativo) - Capacità di apprendere dal passato, guardando all’esperienza e alla memoria come a sorgenti di significato e arricchimento collettivo. I residenti di Via Fondazza sono riusciti a combinare in modo equilibrato questi due aspetti, modulando la relazione fra conservazione e innovazione. Sono semplicemente partiti dall’esistente per rielaborarlo e ridefinirlo in vista di un risultato da raggiungere, a piccoli passi, fino addirittura a sperare vederlo realizzarsi,
  • 22. un giorno, in larga scala: “Pensa se l'Italia diventasse una grande Social Street…” (Federico Bastiani). Come detto in precedenza, di certo ha aiutato il contesto di Bologna, una città ricca di coesione sociale e associazionismo, dove privato e pubblico tendono a collaborare in modo fluido. Eppure il diffondersi del fenomeno in tutto il territorio italiano (e addirittura estero) dimostra che non esiste un unico modello di Social Street, e che ogni quartiere, ogni strada, può essere capace di modellarlo e ridefinirlo in base alla propria esperienza, alla propria storia, al proprio quotidiano. In generale, si conferma l’importanza del ruolo delle interazioni sociali nella formazione e nella stabilizzazione nel tempo di una serie di pratiche. Social Street non sarebbe mai nata senza la reale trasposizione nella strada di tutti i contatti e le interconnessioni prodotte con il social network Facebook: è dal continuo alimentarsi a vicenda di virtuale e reale che le dimensioni della vita quotidiana sono diventate condivisibili all’interno del gruppo. In questo ragionamento, le parole di un operatore di WCAP calzano perfettamente: Via Fondazza ed i suoi residenti sono riusciti ad innescare, nel loro piccolo, un processo di “accelerazione di fiducia”. 4 BIBLIOGRAFIA Ardrizzo, G. (a cura di) (2002), Ragioni di confine. Percorsi dell’innovazione, Bologna, Il Mulino. Banfield, E. C. (1967). The moral basis of a backward society. Berger, P. L., & Berger, B. (1995). Sociologia: la dimensione sociale della vita quotidiana. D. Bonato (Ed.). Società Editrice Il Mulino. Braudel, F. (1967). Civilisation matérielle et capitalisme: XVe-XVIIIe siècle. Paris: Armand Colin. Cardano, M. (2011). La ricerca qualitativa. Il Mulino. Frisina, A. (2010). Focus group. Una guida pratica. Il Mulino. Gallino, L. (1978). Dizionario di sociologia. Unione Tipografico-Editrice Torinese. Gershuny, J. I., Sivini, G., & Floriani, S. (1993). L'innovazione sociale: tempo, produzione e consumi. Rubbettino. Ginsborg, P. (1998). L'Italia del tempo presente: famiglia, società civile, Stato, 1980-1996 (Vol. 499). Einaudi (IT). Donolo, C., & Fichera, F. (1988) Teorie e culture dell’innovazione, in Id. (a cura di), Le vie dell’innovazione. Forme e limiti della razionalità politica, Milano, Feltrinelli, pp. 213-236. Jedlowski, P. (1986). Il tempo dell'esperienza: studi sul concetto di vita quotidiana. Franco Angeli.
  • 23. Jedlowski, P. (1994) Quello che tutti sanno. Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rassegna Italiana di Sociologia, XXXV/1, pp. 49-77. Jedlowski, P. (2003) Senso comune, esperienza e innovazione sociale, in Fogli nella valigia. Sociologia, cultura, vita quotidiana, Bologna, il Mulino, pp. 57-68. Jedlowski, P. e Leccardi, C. (2003) Sociologia della vita quotidiana. Il Mulino, Bologna. Melucci, A. (1982). L'invenzione del presente. Il mulino. Melucci, A. (1994). Creatività: miti, discorsi, processi. Feltrinelli Editore. Passerini L., (1997).” Il ‘68”, in I luoghi della memoria. Personaggi e date dell'Italia unita (Vol. 642), a cura di Isnenghi, M., Laterza. Spirola V., e Milani L., (2014) “Social Street: network, tradizione e politica” in Via Dogana,n. 108, Marzo 2014. Rivista mensile di pratica politica, Libreria delle Donne di Milano. Turnaturi, G., & Donolo, C. (1988). Familismi morali. Le vie dell’innovazione. Forme e limiti della razionalità politica. Feltrinelli, Milano. Williams, R. (2000). Televisione tecnologia e forma culturale: e altri scritti sulla tv. E. Menduni (Ed.). Editori Riuniti.
  • 24. 5 APPENDICE 5.1 LOCANDINA UTILIZZATA DAL FONDATORE PER LA PUBBLICIZZAZIONE DEL GRUPPO
  • 25. 5.2 LOCANDINA DELLA MOSTRA FOTOGRAFICA: I VOLTI DI VIA FONDAZZA