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Prof.ssa Roberta Paltrinieri – Corso di Sociologia della Partecipazione, Scuola di Scienze Politiche
Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo
di
Valentina Gasperini – valentina.gasperini4@studio.unibo.it – marzo 2016
Abstract.........................................................................................................................................................................................pag.1
Il processo partecipativo.....................................................................................................................................................pag.2
Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo.............pag.6
Conclusione...............................................................................................................................................................................pag.11
Bibliografia................................................................................................................................................................................pag.12
Abstract
Questa trattazione, indicata anche per una divulgazione non accademica, vuole essere una
riflessione argomentata sull'importanza di includere un sociologo professionista nella progettazione
e realizzazione di un processo partecipativo. Inizialmente si inquadra il processo partecipativo
all'interno di un’analisi sulle forme di democrazia, per capire a quali bisogni risponde e quali
opportunità riserva, e per chiarire la complessità sociale e politica entro la quale si realizza.
Successivamente, la trattazione si concentra sul ruolo del sociologo. Attraverso un’analisi critica si
vuole suggerire che i metodi e gli strumenti della ricerca sociale, così come una preparazione
accademica in ambito sociologico, sono insostituibili per centrare gli obiettivi di eguaglianza,
inclusività e trasparenza di un processo partecipativo. Non solo, sono fondamentali per promuovere
un’alta qualità discorsiva tra gli attori sociali coinvolti, e per manipolare consapevolmente il loro
grado di empowerment. Nello specifico si passano in rassegna i diversi ruoli del sociologo
all'interno del processo partecipativo, ricorrendo alla suddivisione in tipologie operata da Héloïse
Nez, e si amplia l'analisi dell'operatività del sociologo mettendo a fuoco l'approccio metodologico
della ricerca-azione.
1
Il processo partecipativo
Per capire le ragioni che possono muovere al coinvolgimento di un sociologo nell'ambito di un
processo partecipativo, occorre passare in rassegna gli obiettivi, le caratteristiche e le necessità
salienti di tale processo, che andremo qui ora a riepilogare.
Con una premessa: come emergerà dalla trattazione, non esiste una forma univoca, un modello
prefabbricato, o meglio “predisegnato”, di processo partecipativo. Lo si evince dalla sua stessa
definizione: è un percorso di discussione organizzata e strutturata, pertinente ad un progetto da
realizzare, o ad una norma amministrativa futura, strettamente in relazione al territorio in cui il
processo partecipativo stesso si realizza.
Esso si rivolge a tre categorie di agenti territoriali: gli individui (tenendo bene a mente che non tutti
gli individui di un territorio sono cittadini), gli agenti (individuali o collettivi, sono importanti per la
loro possibilità di mobilitare risorse) e le autorità (ovvero coloro che rappresentano un potere
decisionale, sia esso legislativo, esecutivo o giudiziario).
Il processo partecipativo serve non solo a raggiungere una decisione mediata e condivisa su un
progetto o una nuova norma, ma anche a mettere in comunicazione attori sociali e istituzioni in un
contesto di ascolto circolare dove le differenze di ruolo e partecipazione vengono calmierate.
Questo mettere in relazione gli attori di un territorio dovrebbe essere uno degli outcome auspicabili
anche dalla pubblica amministrazione1 e non solo dai cittadini, che nei processi partecipati cessano
di essere meramente informati ed ascoltati per diventare soggetti di cooperazione ed empowerment.
Non solo, ulteriori obiettivi/outcome desiderabili del processo partecipativo sono: la produzione di
empowerment individuale e collettivo, la generazione di capitale sociale, l'evoluzione di nuovi
modelli di sviluppo sociale, l'aumento della fiducia collettiva, la facilitazione dei legami sociali,
l'arricchimento del capitale cognitivo condiviso su un territorio, la lotta all'esclusione sociale, la
valorizzazione delle competenze specifiche di un territorio, la realizzazione del principio di
sussidiarietà, e la promozione del principio della trasparenza in ambito pubblico.
Il processo partecipativo (che d'ora in avanti verrà qui indicato con PP) in Italia è proposto
generalmente dalle Assemblee elettive e dalle Giunte locali o regionali. Si avvale di una figura-
chiave, il Tecnico di Garanzia, che è colui che approva, coordina e supervisiona il PP.
Questo si inserisce tra le forme di coinvolgimento dei cittadini tipiche delle democrazie cosiddette
deliberative e partecipative, o, in altri casi, tipiche di quelle democrazie che, ibridandosi e
sperimentando, propongono forme deliberative e partecipative di relazione e prassi politica.
1 Tra i provvedimenti più consistenti in questo senso, si veda l'art.18, co.4 della Costituzione Italiana in materia di
sussidiarietà, e la legge 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso
ai documenti amministrativi”.
2
Nell'ambito delle teorie sulle forme di democrazia, quella partecipativa precede storicamente quella
deliberativa, anche se gli autori si dividono tra chi le separa nettamente e chi invece considera “la
teoria deliberativa della democrazia come la continuazione e il compimento della teoria
partecipativa della democrazia”2.
Dunque, volgendo uno sguardo agli albori del PP, vediamo che la teoria della democrazia
partecipativa affonda le sue radici concettuali nelle lotte dei movimenti sociali di fine XIX secolo,
rappresentando dunque la prima critica al modello della democrazia liberale. Questa, a differenza
della partecipativa, ha al centro la competizione e la responsabilità elettorale per realizzare
l'autonomia individuale dei cittadini, suo obiettivo primario. Per declinare l'autonomia individuale,
la democrazia liberale si serve del potere giudiziario, che riconosce agli individui i loro diritti. Ma
come è nata la democrazia liberale? Per trovare una risposta, si prenda il modello disegnato da
Dahl, che vede la democrazia nascere a partire da due dimensioni: il diritto di opposizione, dal
quale scaturisce la liberalizzazione, cioè la concessione di diritti di opposizione, e il diritto di
inclusione, che si vede pienamente realizzato nella partecipazione estesa alla maggior parte dei
cittadini.3 Alcuni Paesi, uscendo dai regimi delle egemonie chiuse, si sono mossi dalla
liberalizzazione alla partecipazione (dando luogo alle prime oligarchie competitive), altri hanno
seguito il movimento contrario (portando alle egemonie includenti)4. Questa breve
contestualizzazione storica serve a chiarire come si è arrivati oggi, a più di duemila anni dalla
nascita della democrazia, a teorizzare il PP e a discuterne nelle arene politiche e civili, dai tavoli
della Commissione Europea al Comune di Bologna, per citarne uno.
I movimenti sociali di fine Ottocento hanno gettato le basi per la democrazia deliberativa-
partecipativa, mettendo sotto lo sguardo dei legislatori e dell'opinione pubblica l'esigenza di
maggiore rappresentatività dei cittadini e di un più attento ascolto alle istanze delle minoranze,
scardinando la centralità della funzione di delega e costruendo il concetto di partecipazione, nella
sua teorizzazione e nella messa in pratica5.
La democrazia esclusivamente deliberativa, teorizzata dopo quella partecipativa, nasce per ridare
centralità alla funzione politica del discorso (cioè ascolto e parola), dunque per ridare vigore alla
funzione di delibera, uno dei tratti caratteristici delle democrazie liberali che viene contestato da
quelle partecipative. La deliberazione in questo caso si deve basare, con le parole di Habermas, “su
flussi orizzontali di comunicazione, molteplici produttori di contenuti, ampie occasioni di
interattività, confronto sulla base di argomentazioni raziocinanti e propensione all'ascolto
2 Gbikpi B., (2005), “Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità?”
Stato e Mercato / n. 73, aprile.
3 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag. 27
4 Dahl include un terzo tipo di movimento, quello cioè dall'egemonia chiusa alla poliarchia, che avviene quando
liberalizzazione e inclusione vengono realizzate simultaneamente.
5 Si pensi ad esempio ai movimenti operai e a quelli delle suffragette.
3
reciproco.”6
I teorici della democrazia che muovono da quella deliberativa a quella deliberativa-partecipativa
pongono le subculture e il conflitto, anche tra pubblici diversi, al centro dell'analisi e della
discussione. Essi infatti vedono nella sfera pubblica una forte eterogeneità con la quale bisogna
saper comunicare, pena l'esclusione di alcune subculture dal dibattito pubblico. Questa può essere
considerata una critica al pensiero di Habermas, che individuava solo i borghesi come facenti parte
della sfera pubblica. Dunque nella prospettiva deliberativa-partecipativa, i diversi pubblici sono le
esemplificazioni dirette delle subculture che animano il territorio, in particolare modo quello
urbano; ognuno di essi si fa portavoce di necessità e istanze diverse, che possono entrare in
conflitto. Il sistema democratico deliberativo-partecipativo viene dunque proposto come modello di
ascolto e risoluzione del conflitto. Dalle considerazioni sulle subculture e sui diversi pubblici, nasce
la critica alla distorsione istituzionale, quel “vizio” per il quale le istituzioni pubbliche tendono a
non considerare come forme di partecipazione e di deliberazione le azioni di comunicazione (in
senso habermasiano) promosse fuori dalle istituzioni stesse. “Fuori” come nel caso dei gruppi
volontari e dei movimenti sociali, dove la deliberazione si realizza ampiamente.
Dunque, la democrazia deliberativa-partecipativa viene posta dai suoi teorici come soluzione
integrativa del fatto sociale del conflitto, sapendo muovere oltre la ricerca del consenso tipica delle
forme di democrazia liberali e deliberative.
A partire soprattutto dagli anni '90, in Europa c'è stata una certa promozione istituzionale della
partecipazione come risorsa di governance, con il diffondersi della cultura politica della
partecipazione (Della Porta, 2011). Questo ha portato allo sviluppo di pratiche di governance e
policy making sia a livello locale che nazionale e sovranazionale, e ad un adeguamento nei sistemi
normativi. Si pensi ad esempio al libro bianco sulla governance europea7 pubblicato nel 2001 dalla
Commissione Europea, in cui si include tra i principi di base per una buona governance quello della
partecipazione. Ancora, si pensi alla legge regionale n°3/2010 varata in Emilia-Romagna per
promuovere il diritto alla partecipazione attiva dei cittadini nell'elaborazione di politiche regionali e
locali.
La partecipazione viene promossa non solo come strumento per favorire la legittimazione
immediata dei rappresentanti politici ma anche per sollecitare l'inclusione, per favorire la presa in
carico della cosa pubblica da parte dei cittadini, per aumentare la consapevolezza sul suo
funzionamento. Secondo Pateman, e Della Porta che lo riprende, “Una cittadinanza attiva,
6 Della Porta, (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.83
7 Governance europea - Un libro bianco, COM(2001) 428 def. - Gazzetta ufficiale C 287 del 12.10.2001
4
consapevole e informata aumenterebbe anche l'efficacia e il benessere individuale e collettivo”8.
Come scritto da Della Porta9: “[...] a livello normativo, il concetto di democrazia partecipativa ha
suggerito, con crescente successo, la necessità di far crescere le arene aperte ai cittadini”. La stessa
autrice scrive anche: “Nella ricerca di forme complementari di legittimazione, che permettano loro
di affrontare la sfida di una debole responsabilità elettorale, e l'erosione della legittimazione
attraverso politiche efficienti, le istituzioni stanno sperimentando varie forme di coinvolgimento dei
cittadini nei processi decisionali.”10
Scrive anche Gbikpi11: “La ricerca di modelli di governo più partecipativi è sicuramente una
caratteristica fondamentale delle attuali democrazie moderne.”
Il PP sostanzia l'intento delle amministrazioni di aprire spazi di incontro, discussione e decisione tra
individui, attori e autorità. Cioè tra persone e organizzazioni che vivono lo stesso territorio e che ne
condividono le risorse (o per le quali competono).
In una società crescentemente complessa, la pluralità dei bisogni aumenta e ciò pone alla
democrazia il problema di saper accogliere le minoranze, le voci delle subculture, dei movimenti
sociali, degli esclusi; “semplicemente”, si pone un problema di ascolto di questa pluralità, pena
l'incapacità stessa della democrazia di essere rappresentativa del suo popolo. Si pone altresì il
problema della gestione delle risorse economiche, territoriali e sociali alla luce dell'ascolto delle
necessità delle subculture. Il PP è uno strumento a disposizione di questo ascolto attivo e pubblico.
Allo stesso tempo, anche per i cittadini il PP è un'esortazione a consapevolizzarsi e farsi carico della
cosa pubblica, essendo invitati a rispettare i tre pilastri morali che ispirano la democrazia fin dai
tempi degli antichi greci12: l'isegoria, l'isonomia, la parresia. Cioè a godere di uguale diritto di
parola, uguale partecipazione al potere politico, uguale diritto ad esprimersi “con verità” durante i
dibattiti politici pubblici.
È tenendo a mente specialmente il concetto di parresia, legato a quello di franchezza e sincerità, che
si procede a discutere del ruolo del sociologo nel PP.
8 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.54
9 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.81
10 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.91-92
11 Gbikpi B., (2005), “Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità?”
Stato e Mercato / n. 73, aprile. Pag.1
12 Euripide, Socrate, Platone, Aristotele per citarne alcuni.
5
Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo
Vi è un dato semplice dal quale partire con le considerazioni: il PP è sempre calato in un'arena
sociale pubblica e complessa. Un'arena in cui il sociologo sa intervenire poiché dotato di una
preparazione teorica che gli consente di leggere le relazioni sociali che la costituiscono, e di un set
di competenze pratiche e tecniche che gli permettono di seguire il PP alla luce delle specifiche
caratteristiche del territorio.
Per il buon funzionamento del PP è necessario assicurare eguaglianza, inclusività, trasparenza e
qualità discorsiva, ed essere in grado di manipolare il grado di empowerment dei partecipanti, in
particolar modo dei cittadini. Il sociologo è un professionista in grado di attuare pratiche situate in
accordo con i dati raccolti sia con metodi qualitativi che quantitativi; è anche in grado di osservare
criticamente il contesto e le relazioni che vi si realizzano, ascoltando e suggerendo linee di azione, e
facendo riferimento a casi-studio ed esempi prototipici. Inoltre, il sociologo può espletare una
funzione di garanzia, prevenendo un'eccessiva burocratizzazione del PP (che minerebbe la sua
qualità discorsiva), e monitorare la legalità del processo prestando attenzione ad eventuali accordi di
tipo mafioso.
In più, nello svolgimento di un PP è fondamentale che ci siano dei professionisti capaci di:
• rilevare il profilo della comunità del territorio entro il quale il PP si realizza;
• raggiungere gli attori sociali che lo caratterizzano attraverso pratiche ragionate di
outreach;
• monitorare lo svolgimento del PP anche in accordo con i suoi obiettivi sociali;
• risolvere i conflitti13 (mai eventuali, si potrebbe dire);
• valutare gli outcome, anche sociali, del PP.
Il sociologo può fare questo.
Il sociologo infatti dispone di metodi scientifici e propri degli studi sociologici ed umanistici: si sta
parlando di strumenti qualitativi e quantitativi per capire il contesto del PP, ascoltare gli attori
coinvolti, elaborare la discussione e raggiungere la decisione condivisa. Tra questi strumenti
ricordiamo i sondaggi e i questionari, le interviste individuali e i focus-group, la raccolta
sistematizzata di storie e narrazioni significative. Strumenti che possono aiutare a sviluppare, ad
esempio, laboratori creativi, riunioni di quartiere, tavole rotonde, world-café14 e OST15.
13 A proposito di conflitto, è interessante l'episodio riportato a pagina 21 in Avventure urbane. Progettare la città con
gli abitanti di Sclavi M., Eléuthera, Milano, 2002
14 World-café: un metodo ideato per facilitare la discussione, improntato in particolare per stimolare la creatività e la
conoscenza reciproca. I partecipanti, almeno 12, si muovono piuttosto rapidamente all'interno di gruppi, per un
massimo di circa 4 ore, in un ambiente che è stato predisposto per risultare informale, con tavoli e tavolini sparsi, e
materiali per prendere annotazioni.
15 OST: Open Space Technology. È la metodologia per creare gruppi di lavoro e riunioni ideata da Harrison Owen,
utilizzata durante i PP perché facilita la discussione e la presa di decisioni. Si realizza grazie ad un facilitatore che
6
Evidenziamo che proprio per i suddetti motivi sarebbe importante includere il sociologo fin dalla
fase di disegno del PP, inserendolo nello staff del processo sin dalla sua fase di attivazione16.
Infine, il sociologo è formato per riconoscere ed operare con le rappresentazioni individuali e
collettive. Queste rappresentazioni sono fortemente in gioco durante il PP: di cosa si sta parlando se
non di sviscerare le rappresentazioni di “come dovrebbe essere la cosa pubblica”, così da poterle
orientare verso una rappresentazione collettiva e condivisa? Le rappresentazioni prendono forma a
partire dall'immaginario, che si nutre di simboli e segni significativi: il sociologo li sa riconoscere,
sapendo operare con il linguaggio verbale e visivo. Facciamo un esempio. Il PP si apre con una fase
conoscitiva, ad esempio realizzando dei focus-group con i partecipanti. Il sociologo sa che da essi
emergono tendenzialmente posizioni stereotipiche, e in base a questo può suggerire di approfondire
la tematica in successive occasioni di confronto, come durante un world-café.
Per capire dove si può inserire un sociologo, quali forme di contributo può apportare alla buona
riuscita del PP, si prende in considerazione la suddivisione operata da Héloïse Nez17. La ricercatrice
declina il ruolo del sociologo in cinque tipologie, specificamente relative al lavoro nel PP:
• il sociologo dialogatore. È colui che inizia il dialogo e il processo di apprendimento
nell'arena pubblica. Corrisponde alla definizione di “sociologo pubblico organico” data da
Burawoy18. Egli differenzia tra sociologo pubblico tradizionale e sociologo pubblico
organico: il primo è colui che comunica la propria opinione critica su una questione pubblica
attraverso i media, o esponendosi apertamente in altre occasioni; il secondo è colui che si
espone lavorando, poiché attivo nell'arena pubblica con un’azione visibile, locale,
consistente e spesso radicata nell'ambito pubblico delle subculture presenti su un territorio.
Come scrisse l'autore: “We have spent a century building professional knowledge,
translating common sense into science, so that now, we are more than ready to embark on a
systematic back-translation, taking knowledge back to those from whom it came, making
public issues out of private, and thus regenerating sociology's moral fiber”19.
conduce la discussione. L'ambiente in cui si realizza la OST deve essere appositamente disegnato: diversi tavoli
rotondi ai quali i partecipanti possono sedere, spazi tra i tavoli sufficientemente ampi per agevolare gli spostamenti
dagli uni agli altri, un'area per fare pausa, un muro dotato di pannello o lavagna per appuntare idee e punti di
evoluzione della discussione.
16 Nella fase di attivazione l'ente territoriale titolare del PP emette un atto amministrativo che legittima il PP, alla luce
di requisiti tecnici indispensabili: l'individuazione di un referente del PP, la nomina dei progettisti e dello staff,
l'approvazione delle fasi del PP, dei soggetti da coinvolgere, dei metodi e degli obiettivi nonché delle tempistiche,
l'accordo sui costi preventivati.
17 Nez H., (2012), “For a public sociology on participatory democracy. Reflexive feedback on research conducted in
an association.” Revista internacional de sociologìa (RIS) / Special issue on methodological challenges in
participation research, Vol.70, EXTRA 2, 185-208, Dicembre.
18 Burawoy M., (2005), “For Public Sociology.” American Sociological Review 70/1:4-28.
19 Burawoy, M., (2005), “For Public Sociology.” American Sociological Review 70/1:4-28. Pag. 2
7
• il sociologo organizzatore. Crea il processo per gli attori in modo che sia possibile per loro
osservare e interpretare la loro realtà. L'autrice vi include il sociologo che utilizza
l'approccio metodologico della ricerca-azione, di cui parleremo più approfonditamente nel
seguito di questa trattazione.
• il sociologo “praticante”. Partecipa all'azione come professionista coinvolto con le autorità
pubbliche, più che come esperto esterno da consultare. Il suo ruolo è attivo nell'azione; può,
ad esempio, incaricarsi di responsabilità all'interno dell'amministrazione locale. Fanno parte
di questa tipologia i ricercatori che sperimentano con metodi innovativi come le giurie dei
cittadini e le votazioni deliberative.
• il sociologo esperto. Meno coinvolto nell'azione, è colui che consiglia gli attori guidato dalle
loro richieste. È un coinvolgimento meno esteso rispetto al caso del sociologo “praticante”. I
suoi interventi sono più mirati e occasionali con le istituzioni pubbliche, per dare
suggerimenti sulle policy partecipative o per proporre una loro valutazione.
Per quanto riguarda la scelta dell'attributo “esperto”, l'autrice sostiene di averlo scelto per
enfatizzare la dimensione della competenza tipica della ricerca sociale. Questa
puntualizzazione assicura un accesso privilegiato sul campo e una migliore conoscenza delle
opinioni degli attori attraverso la moltiplicazione delle discussioni al di fuori delle situazioni
ufficiali di intervista. Comunque, in quanto commissionato da uno o più attori del PP, il
sociologo esperto corre il rischio di essere strumentalizzato e di perdere conseguentemente
la credibilità nei confronti degli altri partecipanti.
• il sociologo “compagno di percorso”. È colui che, schierandosi con un atteggiamento
militante da attivista, fa endorsement al PP con contributi critici, al fine di facilitare
l'accesso degli attori al PP e di incrementare l'azione dei partecipanti. Corre però il rischio di
intaccare la propria reputazione agli occhi degli attori schierati diversamente.
Quindi, si fa spazio l'idea di un sociologo come un professionista multidimensionale per capacità di
raccolta ed elaborazione di dati, e di coinvolgimento e coordinazione degli attori.
Per entrare nello specifico della tesi che qui si sostiene, la necessità di un sociologo operante nel PP,
si prenderà in considerazione un metodo proprio della sociologia e particolarmente indicato per
essere utilizzato nel PP: la ricerca-azione20.
Per capire cos'è la ricerca-azione si pensi ad un metodo che prevede la commistione in
contemporanea di pratiche di ricerca sociologica e di azione nel contesto di indagine: in questo
20 In questo caso il processo partecipativo che ha fornito una base importante per sviluppare la trattazione è l'esempio
bolognese denominato “I cantieri della sostenibilità”, discusso e approfondito durante le lezioni del corso in
Sociologia della partecipazione.
8
caso, il contesto è il PP, calato a sua volta come detto in un'arena sociale pubblica e complessa.
La ricerca-azione è un metodo dinamico, né induttivo né deduttivo ma abduttivo, nel quale la
ricerca si foraggia di dati e informazioni nuove, rilevate durante l'azione. È quindi un metodo non
lineare ma circolare, che rinnova e amplia le tesi di partenza con l'apporto di nuovi dati, in un
movimento di ricerca capace di farsi carico delle informazioni che emergono dall'azione. L'obiettivo
della ricerca-azione calata nel PP non è solo quello di produrre un'analisi sociologica ma anche di
promuovere l'azione auto-riflessiva tra gli attori, mentre li si supporta nel migliorare la loro
organizzazione e comunicazione all'interno e all'esterno del PP.
Da un punto di vista gnoseologico, che dà profonde indicazioni tecnico-pratiche, il metodo della
ricerca-azione nel PP può essere inteso come un'osservazione partecipata dove il contributo dei
cittadini nell'azione pubblica è considerato epistemologico. I cittadini sono cioè considerati
individui dotati di consapevolezza, capaci di autoriflessioni, in grado di fornire contributi di senso
validi come informazioni per la ricerca sociale.
Questo assunto mette in discussione le concezioni elitarie delle democrazie non partecipative
(democrazia liberale in primis), per le quali i cittadini non posseggono le competenze adeguate ad
occuparsi in prima persona, valutando e decidendo, della cosa pubblica.
Durante il PP, tutti gli attori sociali sono considerati in grado di comprendere le informazioni
condivise e di rielaborarle in proposte operative da restituire alla comunità interessata: cittadini
compresi, dotati di expertise quanto gli altri attori in gioco.
Si intende qui sottolineare questo punto: il sociologo che supporta, si potrebbe dire che
“arricchisce”, il PP con l'approccio della ricerca-azione considera che anche i non-professionisti
possono produrre sapere scientifico. Sapere che il sociologo può raccogliere, monitorare e restituire
secondo le traduzioni del caso, in un processo dialogico orizzontale.
Si può dire che grazie all'intervento di un sociologo, l'istituzione che propone il PP ha un
professionista che monitora e orienta consapevolmente i partecipanti, che possono contare su di una
figura capace di dotare tutti di empowerment. Specularmente, la comunità scientifica (e non solo)
può arricchirsi di nuove elaborazioni frutto di una vera e propria ricerca. Un rapporto win-win.
PP e ricerca-azione: in quale comunità si cala il PP e quali informazioni sono in gioco?
Il PP è un processo dinamico calato in un'arena di rapporti sociali in cui le istituzioni della società
politica comunicano con quelle della società civile e con i suoi cittadini. Attraverso il metodo della
ricerca-azione il sociologo può collaborare al PP riuscendo a consapevolizzare sulla propria realtà
sia chi afferisce alla società politica che a quella civile. A partire da questa consapevolezza, che
riguarda sé e gli altri, il sociologo sa orientare l'agire comune all'interno del PP puntando non solo
9
all'obiettivo progettuale ma anche aumentando la qualità dei rapporti di comunità, favorendo lo
sviluppo del capitale sociale territoriale. La ricerca-azione è congeniale al PP non solo perché
suggerisce metodi scientifici di raccolta dati (citati precedentemente: interviste, questionari...) ma
anche perché permette di condividere questi dati, cioè informazioni, con la comunità, mentre il PP è
in atto: quindi le informazioni sono sempre rielaborate, potendo portare a nuovi sviluppi ed
aumentando la tensione propositiva e consapevole verso l'obiettivo deliberativo del processo. Questi
dati non sono solo di tipo socio-demografico sui componenti della comunità ma sono caratteristiche
territoriali, percezioni sulla qualità dei servizi e delle relazioni, annotazioni sui conflitti presenti sul
territorio, indicazioni di miglioramenti strutturali e relazionali tra istituzioni pubbliche e private e
cittadini...
Infine, la condivisione di informazioni mentre il PP è in atto consente il reale trasferimento di
conoscenza da un sito politico ristretto ed elitario ad uno più ampio afferente ad una parte della
comunità dei cittadini. E questo trasferimento di conoscenza, che riprendendo Foucault è un
trasferimento di potere, va coordinato e seguito da un sociologo professionista, che si suppone
dotato di una profonda consapevolezza dei legami e dei ruoli in campo, e delle varie esigenze delle
parti in gioco nel PP.
Finora si è sostenuto che il contributo di un sociologo a un processo partecipativo è unico, e in un
certo senso vantaggioso per chi indìce il processo, perché ne favorisce la “buona qualità” lavorando
per l'eguaglianza e l'inclusività dei partecipanti, e per la trasparenza del processo.
Vi è però una questione saliente che qui si vuole brevemente dibattere e che riguarda l'obiettività del
sociologo coinvolto in un PP21. Il sociologo deve rispettare il principio dell'obiettività sia per non
operare in maniera tendenziosa e strumentale, sia per preservare la coerenza interna e la legalità del
processo da pressioni di tipo politico.
Un sociologo è anzitutto un cittadino, con opinioni politiche e un comportamento pubblico e sociale
orientato secondo personali valori ideologici e teoretici. Non è solo una questione di aderenza alle
proprie “pre-nozioni”, cui fa riferimento Durkheim, o appunto ai “valori” personali di Weber: in
gioco c'è un vero e proprio conflitto tra il processo di ricerca e azione nell'arena pubblica e la natura
delle spinte motivazionali all'agire pubblico, natura che si può in parte definire militante. Conflitto
che il sociologo deve necessariamente risolvere, garantendo l'obiettività della propria azione
durante il processo e anche alla sua conclusione. Occorre, in primis, che egli mantenga trasparenti i
rapporti che intrattiene con i vari attori sociali.
Quando si trova ad operare in un contesto pubblico, il sociologo deve rispondere dei risultati al
21 Specialmente se impegnato in una ricerca-azione, l'obiettività deve essere un punto fermo tanto quanto l'autonomia
nella ricerca, al fine di garantire la legittimità scientifica della ricerca stessa.
10
committente, generalmente un'istituzione pubblica. Questi risultati devono coincidere con gli
obiettivi del PP e non con altri obiettivi politici, né del sociologo né dei committenti. Può però
capitare che, dalla fitta rete di rapporti e interessi in gioco in cui il sociologo si trova ad operare,
nasca il conflitto tra la responsabilità professionale sulla buona riuscita del processo e la coercizione
a rispondere a richieste di tipo politico. Anche in questo caso è necessario, per garantire l'obiettività,
stabilire una distanza critica tra sé e chi esercita pressioni, così da poter adottare un approccio
globale alle pratiche partecipative. Inoltre bisogna saper gestire un ascolto selettivo, dunque saper
riconoscere quando i committenti o altri attori sociali ostacolano o strumentalizzano il dibattito,
limitando di fatto il potere decisionale dei partecipanti al processo.
Conclusione
Il processo partecipativo è un percorso di consultazione organizzata e strutturata, avente possibilità
di delibera, inerente un progetto da realizzare o una norma amministrativa futura, strettamente in
relazione al territorio in cui il processo si realizza. Viene proposto, generalmente dalle
amministrazioni locali, per ascoltare le opinioni degli attori sociali e può essere condotto fino alla
delibera di una decisione vincolante. In un'epoca in cui la rappresentanza politica sembra aver perso
il contatto con i cittadini, e la fiducia negli organi politici sembra venire sempre meno, il PP si
propone come strumento di governance capace di integrare l'azione di comunicazione, latu sensu, e
di decisione.
In questo ambito, la figura professionale del sociologo è centrale non tanto per la mera realizzazione
del processo quanto per la sua buona riuscita, se con questa intendiamo il raggiungimento di tutti gli
obiettivi anche quelli sociali, che possono avere come outcome, ad esempio, l'inclusione degli
emarginati, l'accrescimento del capitale sociale del territorio e la messa a punto di nuovi modelli di
sviluppo locale. In particolare, si è visto che il sociologo può collaborare al processo sia come
facilitatore/organizzatore, sia come ricercatore. L'approccio metodologico della ricerca-azione
infatti è particolarmente congeniale al PP perché assicura un continuo e profondo ascolto degli
attori sociali, nonché il rinnovamento delle informazioni a disposizione di chi conduce il processo,
con il vantaggio inoltre di far avanzare la ricerca nell'ambito delle scienze sociali.
11
Bibliografia
Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna.
Burawoy M., (2005), “For Public Sociology.” American Sociological Review 70/1:4-28.
Gbikpi B., (2005), “Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili
continuità?” Stato e Mercato / n. 73, aprile.
Nez H., (2012), “For a public sociology on participatory democracy. Reflexive feedback on
research conducted in an association.” Revista internacional de sociologìa (RIS) / Special issue
on methodological challenges in participation research, Vol.70, EXTRA 2, 185-208, Dicembre.
Sclavi M., (2002), Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti, Eléuthera, Milano.
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Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo

  • 1. Prof.ssa Roberta Paltrinieri – Corso di Sociologia della Partecipazione, Scuola di Scienze Politiche Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo di Valentina Gasperini – valentina.gasperini4@studio.unibo.it – marzo 2016 Abstract.........................................................................................................................................................................................pag.1 Il processo partecipativo.....................................................................................................................................................pag.2 Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo.............pag.6 Conclusione...............................................................................................................................................................................pag.11 Bibliografia................................................................................................................................................................................pag.12 Abstract Questa trattazione, indicata anche per una divulgazione non accademica, vuole essere una riflessione argomentata sull'importanza di includere un sociologo professionista nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo. Inizialmente si inquadra il processo partecipativo all'interno di un’analisi sulle forme di democrazia, per capire a quali bisogni risponde e quali opportunità riserva, e per chiarire la complessità sociale e politica entro la quale si realizza. Successivamente, la trattazione si concentra sul ruolo del sociologo. Attraverso un’analisi critica si vuole suggerire che i metodi e gli strumenti della ricerca sociale, così come una preparazione accademica in ambito sociologico, sono insostituibili per centrare gli obiettivi di eguaglianza, inclusività e trasparenza di un processo partecipativo. Non solo, sono fondamentali per promuovere un’alta qualità discorsiva tra gli attori sociali coinvolti, e per manipolare consapevolmente il loro grado di empowerment. Nello specifico si passano in rassegna i diversi ruoli del sociologo all'interno del processo partecipativo, ricorrendo alla suddivisione in tipologie operata da Héloïse Nez, e si amplia l'analisi dell'operatività del sociologo mettendo a fuoco l'approccio metodologico della ricerca-azione. 1
  • 2. Il processo partecipativo Per capire le ragioni che possono muovere al coinvolgimento di un sociologo nell'ambito di un processo partecipativo, occorre passare in rassegna gli obiettivi, le caratteristiche e le necessità salienti di tale processo, che andremo qui ora a riepilogare. Con una premessa: come emergerà dalla trattazione, non esiste una forma univoca, un modello prefabbricato, o meglio “predisegnato”, di processo partecipativo. Lo si evince dalla sua stessa definizione: è un percorso di discussione organizzata e strutturata, pertinente ad un progetto da realizzare, o ad una norma amministrativa futura, strettamente in relazione al territorio in cui il processo partecipativo stesso si realizza. Esso si rivolge a tre categorie di agenti territoriali: gli individui (tenendo bene a mente che non tutti gli individui di un territorio sono cittadini), gli agenti (individuali o collettivi, sono importanti per la loro possibilità di mobilitare risorse) e le autorità (ovvero coloro che rappresentano un potere decisionale, sia esso legislativo, esecutivo o giudiziario). Il processo partecipativo serve non solo a raggiungere una decisione mediata e condivisa su un progetto o una nuova norma, ma anche a mettere in comunicazione attori sociali e istituzioni in un contesto di ascolto circolare dove le differenze di ruolo e partecipazione vengono calmierate. Questo mettere in relazione gli attori di un territorio dovrebbe essere uno degli outcome auspicabili anche dalla pubblica amministrazione1 e non solo dai cittadini, che nei processi partecipati cessano di essere meramente informati ed ascoltati per diventare soggetti di cooperazione ed empowerment. Non solo, ulteriori obiettivi/outcome desiderabili del processo partecipativo sono: la produzione di empowerment individuale e collettivo, la generazione di capitale sociale, l'evoluzione di nuovi modelli di sviluppo sociale, l'aumento della fiducia collettiva, la facilitazione dei legami sociali, l'arricchimento del capitale cognitivo condiviso su un territorio, la lotta all'esclusione sociale, la valorizzazione delle competenze specifiche di un territorio, la realizzazione del principio di sussidiarietà, e la promozione del principio della trasparenza in ambito pubblico. Il processo partecipativo (che d'ora in avanti verrà qui indicato con PP) in Italia è proposto generalmente dalle Assemblee elettive e dalle Giunte locali o regionali. Si avvale di una figura- chiave, il Tecnico di Garanzia, che è colui che approva, coordina e supervisiona il PP. Questo si inserisce tra le forme di coinvolgimento dei cittadini tipiche delle democrazie cosiddette deliberative e partecipative, o, in altri casi, tipiche di quelle democrazie che, ibridandosi e sperimentando, propongono forme deliberative e partecipative di relazione e prassi politica. 1 Tra i provvedimenti più consistenti in questo senso, si veda l'art.18, co.4 della Costituzione Italiana in materia di sussidiarietà, e la legge 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. 2
  • 3. Nell'ambito delle teorie sulle forme di democrazia, quella partecipativa precede storicamente quella deliberativa, anche se gli autori si dividono tra chi le separa nettamente e chi invece considera “la teoria deliberativa della democrazia come la continuazione e il compimento della teoria partecipativa della democrazia”2. Dunque, volgendo uno sguardo agli albori del PP, vediamo che la teoria della democrazia partecipativa affonda le sue radici concettuali nelle lotte dei movimenti sociali di fine XIX secolo, rappresentando dunque la prima critica al modello della democrazia liberale. Questa, a differenza della partecipativa, ha al centro la competizione e la responsabilità elettorale per realizzare l'autonomia individuale dei cittadini, suo obiettivo primario. Per declinare l'autonomia individuale, la democrazia liberale si serve del potere giudiziario, che riconosce agli individui i loro diritti. Ma come è nata la democrazia liberale? Per trovare una risposta, si prenda il modello disegnato da Dahl, che vede la democrazia nascere a partire da due dimensioni: il diritto di opposizione, dal quale scaturisce la liberalizzazione, cioè la concessione di diritti di opposizione, e il diritto di inclusione, che si vede pienamente realizzato nella partecipazione estesa alla maggior parte dei cittadini.3 Alcuni Paesi, uscendo dai regimi delle egemonie chiuse, si sono mossi dalla liberalizzazione alla partecipazione (dando luogo alle prime oligarchie competitive), altri hanno seguito il movimento contrario (portando alle egemonie includenti)4. Questa breve contestualizzazione storica serve a chiarire come si è arrivati oggi, a più di duemila anni dalla nascita della democrazia, a teorizzare il PP e a discuterne nelle arene politiche e civili, dai tavoli della Commissione Europea al Comune di Bologna, per citarne uno. I movimenti sociali di fine Ottocento hanno gettato le basi per la democrazia deliberativa- partecipativa, mettendo sotto lo sguardo dei legislatori e dell'opinione pubblica l'esigenza di maggiore rappresentatività dei cittadini e di un più attento ascolto alle istanze delle minoranze, scardinando la centralità della funzione di delega e costruendo il concetto di partecipazione, nella sua teorizzazione e nella messa in pratica5. La democrazia esclusivamente deliberativa, teorizzata dopo quella partecipativa, nasce per ridare centralità alla funzione politica del discorso (cioè ascolto e parola), dunque per ridare vigore alla funzione di delibera, uno dei tratti caratteristici delle democrazie liberali che viene contestato da quelle partecipative. La deliberazione in questo caso si deve basare, con le parole di Habermas, “su flussi orizzontali di comunicazione, molteplici produttori di contenuti, ampie occasioni di interattività, confronto sulla base di argomentazioni raziocinanti e propensione all'ascolto 2 Gbikpi B., (2005), “Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità?” Stato e Mercato / n. 73, aprile. 3 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag. 27 4 Dahl include un terzo tipo di movimento, quello cioè dall'egemonia chiusa alla poliarchia, che avviene quando liberalizzazione e inclusione vengono realizzate simultaneamente. 5 Si pensi ad esempio ai movimenti operai e a quelli delle suffragette. 3
  • 4. reciproco.”6 I teorici della democrazia che muovono da quella deliberativa a quella deliberativa-partecipativa pongono le subculture e il conflitto, anche tra pubblici diversi, al centro dell'analisi e della discussione. Essi infatti vedono nella sfera pubblica una forte eterogeneità con la quale bisogna saper comunicare, pena l'esclusione di alcune subculture dal dibattito pubblico. Questa può essere considerata una critica al pensiero di Habermas, che individuava solo i borghesi come facenti parte della sfera pubblica. Dunque nella prospettiva deliberativa-partecipativa, i diversi pubblici sono le esemplificazioni dirette delle subculture che animano il territorio, in particolare modo quello urbano; ognuno di essi si fa portavoce di necessità e istanze diverse, che possono entrare in conflitto. Il sistema democratico deliberativo-partecipativo viene dunque proposto come modello di ascolto e risoluzione del conflitto. Dalle considerazioni sulle subculture e sui diversi pubblici, nasce la critica alla distorsione istituzionale, quel “vizio” per il quale le istituzioni pubbliche tendono a non considerare come forme di partecipazione e di deliberazione le azioni di comunicazione (in senso habermasiano) promosse fuori dalle istituzioni stesse. “Fuori” come nel caso dei gruppi volontari e dei movimenti sociali, dove la deliberazione si realizza ampiamente. Dunque, la democrazia deliberativa-partecipativa viene posta dai suoi teorici come soluzione integrativa del fatto sociale del conflitto, sapendo muovere oltre la ricerca del consenso tipica delle forme di democrazia liberali e deliberative. A partire soprattutto dagli anni '90, in Europa c'è stata una certa promozione istituzionale della partecipazione come risorsa di governance, con il diffondersi della cultura politica della partecipazione (Della Porta, 2011). Questo ha portato allo sviluppo di pratiche di governance e policy making sia a livello locale che nazionale e sovranazionale, e ad un adeguamento nei sistemi normativi. Si pensi ad esempio al libro bianco sulla governance europea7 pubblicato nel 2001 dalla Commissione Europea, in cui si include tra i principi di base per una buona governance quello della partecipazione. Ancora, si pensi alla legge regionale n°3/2010 varata in Emilia-Romagna per promuovere il diritto alla partecipazione attiva dei cittadini nell'elaborazione di politiche regionali e locali. La partecipazione viene promossa non solo come strumento per favorire la legittimazione immediata dei rappresentanti politici ma anche per sollecitare l'inclusione, per favorire la presa in carico della cosa pubblica da parte dei cittadini, per aumentare la consapevolezza sul suo funzionamento. Secondo Pateman, e Della Porta che lo riprende, “Una cittadinanza attiva, 6 Della Porta, (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.83 7 Governance europea - Un libro bianco, COM(2001) 428 def. - Gazzetta ufficiale C 287 del 12.10.2001 4
  • 5. consapevole e informata aumenterebbe anche l'efficacia e il benessere individuale e collettivo”8. Come scritto da Della Porta9: “[...] a livello normativo, il concetto di democrazia partecipativa ha suggerito, con crescente successo, la necessità di far crescere le arene aperte ai cittadini”. La stessa autrice scrive anche: “Nella ricerca di forme complementari di legittimazione, che permettano loro di affrontare la sfida di una debole responsabilità elettorale, e l'erosione della legittimazione attraverso politiche efficienti, le istituzioni stanno sperimentando varie forme di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali.”10 Scrive anche Gbikpi11: “La ricerca di modelli di governo più partecipativi è sicuramente una caratteristica fondamentale delle attuali democrazie moderne.” Il PP sostanzia l'intento delle amministrazioni di aprire spazi di incontro, discussione e decisione tra individui, attori e autorità. Cioè tra persone e organizzazioni che vivono lo stesso territorio e che ne condividono le risorse (o per le quali competono). In una società crescentemente complessa, la pluralità dei bisogni aumenta e ciò pone alla democrazia il problema di saper accogliere le minoranze, le voci delle subculture, dei movimenti sociali, degli esclusi; “semplicemente”, si pone un problema di ascolto di questa pluralità, pena l'incapacità stessa della democrazia di essere rappresentativa del suo popolo. Si pone altresì il problema della gestione delle risorse economiche, territoriali e sociali alla luce dell'ascolto delle necessità delle subculture. Il PP è uno strumento a disposizione di questo ascolto attivo e pubblico. Allo stesso tempo, anche per i cittadini il PP è un'esortazione a consapevolizzarsi e farsi carico della cosa pubblica, essendo invitati a rispettare i tre pilastri morali che ispirano la democrazia fin dai tempi degli antichi greci12: l'isegoria, l'isonomia, la parresia. Cioè a godere di uguale diritto di parola, uguale partecipazione al potere politico, uguale diritto ad esprimersi “con verità” durante i dibattiti politici pubblici. È tenendo a mente specialmente il concetto di parresia, legato a quello di franchezza e sincerità, che si procede a discutere del ruolo del sociologo nel PP. 8 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.54 9 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.81 10 Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Pag.91-92 11 Gbikpi B., (2005), “Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità?” Stato e Mercato / n. 73, aprile. Pag.1 12 Euripide, Socrate, Platone, Aristotele per citarne alcuni. 5
  • 6. Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo Vi è un dato semplice dal quale partire con le considerazioni: il PP è sempre calato in un'arena sociale pubblica e complessa. Un'arena in cui il sociologo sa intervenire poiché dotato di una preparazione teorica che gli consente di leggere le relazioni sociali che la costituiscono, e di un set di competenze pratiche e tecniche che gli permettono di seguire il PP alla luce delle specifiche caratteristiche del territorio. Per il buon funzionamento del PP è necessario assicurare eguaglianza, inclusività, trasparenza e qualità discorsiva, ed essere in grado di manipolare il grado di empowerment dei partecipanti, in particolar modo dei cittadini. Il sociologo è un professionista in grado di attuare pratiche situate in accordo con i dati raccolti sia con metodi qualitativi che quantitativi; è anche in grado di osservare criticamente il contesto e le relazioni che vi si realizzano, ascoltando e suggerendo linee di azione, e facendo riferimento a casi-studio ed esempi prototipici. Inoltre, il sociologo può espletare una funzione di garanzia, prevenendo un'eccessiva burocratizzazione del PP (che minerebbe la sua qualità discorsiva), e monitorare la legalità del processo prestando attenzione ad eventuali accordi di tipo mafioso. In più, nello svolgimento di un PP è fondamentale che ci siano dei professionisti capaci di: • rilevare il profilo della comunità del territorio entro il quale il PP si realizza; • raggiungere gli attori sociali che lo caratterizzano attraverso pratiche ragionate di outreach; • monitorare lo svolgimento del PP anche in accordo con i suoi obiettivi sociali; • risolvere i conflitti13 (mai eventuali, si potrebbe dire); • valutare gli outcome, anche sociali, del PP. Il sociologo può fare questo. Il sociologo infatti dispone di metodi scientifici e propri degli studi sociologici ed umanistici: si sta parlando di strumenti qualitativi e quantitativi per capire il contesto del PP, ascoltare gli attori coinvolti, elaborare la discussione e raggiungere la decisione condivisa. Tra questi strumenti ricordiamo i sondaggi e i questionari, le interviste individuali e i focus-group, la raccolta sistematizzata di storie e narrazioni significative. Strumenti che possono aiutare a sviluppare, ad esempio, laboratori creativi, riunioni di quartiere, tavole rotonde, world-café14 e OST15. 13 A proposito di conflitto, è interessante l'episodio riportato a pagina 21 in Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti di Sclavi M., Eléuthera, Milano, 2002 14 World-café: un metodo ideato per facilitare la discussione, improntato in particolare per stimolare la creatività e la conoscenza reciproca. I partecipanti, almeno 12, si muovono piuttosto rapidamente all'interno di gruppi, per un massimo di circa 4 ore, in un ambiente che è stato predisposto per risultare informale, con tavoli e tavolini sparsi, e materiali per prendere annotazioni. 15 OST: Open Space Technology. È la metodologia per creare gruppi di lavoro e riunioni ideata da Harrison Owen, utilizzata durante i PP perché facilita la discussione e la presa di decisioni. Si realizza grazie ad un facilitatore che 6
  • 7. Evidenziamo che proprio per i suddetti motivi sarebbe importante includere il sociologo fin dalla fase di disegno del PP, inserendolo nello staff del processo sin dalla sua fase di attivazione16. Infine, il sociologo è formato per riconoscere ed operare con le rappresentazioni individuali e collettive. Queste rappresentazioni sono fortemente in gioco durante il PP: di cosa si sta parlando se non di sviscerare le rappresentazioni di “come dovrebbe essere la cosa pubblica”, così da poterle orientare verso una rappresentazione collettiva e condivisa? Le rappresentazioni prendono forma a partire dall'immaginario, che si nutre di simboli e segni significativi: il sociologo li sa riconoscere, sapendo operare con il linguaggio verbale e visivo. Facciamo un esempio. Il PP si apre con una fase conoscitiva, ad esempio realizzando dei focus-group con i partecipanti. Il sociologo sa che da essi emergono tendenzialmente posizioni stereotipiche, e in base a questo può suggerire di approfondire la tematica in successive occasioni di confronto, come durante un world-café. Per capire dove si può inserire un sociologo, quali forme di contributo può apportare alla buona riuscita del PP, si prende in considerazione la suddivisione operata da Héloïse Nez17. La ricercatrice declina il ruolo del sociologo in cinque tipologie, specificamente relative al lavoro nel PP: • il sociologo dialogatore. È colui che inizia il dialogo e il processo di apprendimento nell'arena pubblica. Corrisponde alla definizione di “sociologo pubblico organico” data da Burawoy18. Egli differenzia tra sociologo pubblico tradizionale e sociologo pubblico organico: il primo è colui che comunica la propria opinione critica su una questione pubblica attraverso i media, o esponendosi apertamente in altre occasioni; il secondo è colui che si espone lavorando, poiché attivo nell'arena pubblica con un’azione visibile, locale, consistente e spesso radicata nell'ambito pubblico delle subculture presenti su un territorio. Come scrisse l'autore: “We have spent a century building professional knowledge, translating common sense into science, so that now, we are more than ready to embark on a systematic back-translation, taking knowledge back to those from whom it came, making public issues out of private, and thus regenerating sociology's moral fiber”19. conduce la discussione. L'ambiente in cui si realizza la OST deve essere appositamente disegnato: diversi tavoli rotondi ai quali i partecipanti possono sedere, spazi tra i tavoli sufficientemente ampi per agevolare gli spostamenti dagli uni agli altri, un'area per fare pausa, un muro dotato di pannello o lavagna per appuntare idee e punti di evoluzione della discussione. 16 Nella fase di attivazione l'ente territoriale titolare del PP emette un atto amministrativo che legittima il PP, alla luce di requisiti tecnici indispensabili: l'individuazione di un referente del PP, la nomina dei progettisti e dello staff, l'approvazione delle fasi del PP, dei soggetti da coinvolgere, dei metodi e degli obiettivi nonché delle tempistiche, l'accordo sui costi preventivati. 17 Nez H., (2012), “For a public sociology on participatory democracy. Reflexive feedback on research conducted in an association.” Revista internacional de sociologìa (RIS) / Special issue on methodological challenges in participation research, Vol.70, EXTRA 2, 185-208, Dicembre. 18 Burawoy M., (2005), “For Public Sociology.” American Sociological Review 70/1:4-28. 19 Burawoy, M., (2005), “For Public Sociology.” American Sociological Review 70/1:4-28. Pag. 2 7
  • 8. • il sociologo organizzatore. Crea il processo per gli attori in modo che sia possibile per loro osservare e interpretare la loro realtà. L'autrice vi include il sociologo che utilizza l'approccio metodologico della ricerca-azione, di cui parleremo più approfonditamente nel seguito di questa trattazione. • il sociologo “praticante”. Partecipa all'azione come professionista coinvolto con le autorità pubbliche, più che come esperto esterno da consultare. Il suo ruolo è attivo nell'azione; può, ad esempio, incaricarsi di responsabilità all'interno dell'amministrazione locale. Fanno parte di questa tipologia i ricercatori che sperimentano con metodi innovativi come le giurie dei cittadini e le votazioni deliberative. • il sociologo esperto. Meno coinvolto nell'azione, è colui che consiglia gli attori guidato dalle loro richieste. È un coinvolgimento meno esteso rispetto al caso del sociologo “praticante”. I suoi interventi sono più mirati e occasionali con le istituzioni pubbliche, per dare suggerimenti sulle policy partecipative o per proporre una loro valutazione. Per quanto riguarda la scelta dell'attributo “esperto”, l'autrice sostiene di averlo scelto per enfatizzare la dimensione della competenza tipica della ricerca sociale. Questa puntualizzazione assicura un accesso privilegiato sul campo e una migliore conoscenza delle opinioni degli attori attraverso la moltiplicazione delle discussioni al di fuori delle situazioni ufficiali di intervista. Comunque, in quanto commissionato da uno o più attori del PP, il sociologo esperto corre il rischio di essere strumentalizzato e di perdere conseguentemente la credibilità nei confronti degli altri partecipanti. • il sociologo “compagno di percorso”. È colui che, schierandosi con un atteggiamento militante da attivista, fa endorsement al PP con contributi critici, al fine di facilitare l'accesso degli attori al PP e di incrementare l'azione dei partecipanti. Corre però il rischio di intaccare la propria reputazione agli occhi degli attori schierati diversamente. Quindi, si fa spazio l'idea di un sociologo come un professionista multidimensionale per capacità di raccolta ed elaborazione di dati, e di coinvolgimento e coordinazione degli attori. Per entrare nello specifico della tesi che qui si sostiene, la necessità di un sociologo operante nel PP, si prenderà in considerazione un metodo proprio della sociologia e particolarmente indicato per essere utilizzato nel PP: la ricerca-azione20. Per capire cos'è la ricerca-azione si pensi ad un metodo che prevede la commistione in contemporanea di pratiche di ricerca sociologica e di azione nel contesto di indagine: in questo 20 In questo caso il processo partecipativo che ha fornito una base importante per sviluppare la trattazione è l'esempio bolognese denominato “I cantieri della sostenibilità”, discusso e approfondito durante le lezioni del corso in Sociologia della partecipazione. 8
  • 9. caso, il contesto è il PP, calato a sua volta come detto in un'arena sociale pubblica e complessa. La ricerca-azione è un metodo dinamico, né induttivo né deduttivo ma abduttivo, nel quale la ricerca si foraggia di dati e informazioni nuove, rilevate durante l'azione. È quindi un metodo non lineare ma circolare, che rinnova e amplia le tesi di partenza con l'apporto di nuovi dati, in un movimento di ricerca capace di farsi carico delle informazioni che emergono dall'azione. L'obiettivo della ricerca-azione calata nel PP non è solo quello di produrre un'analisi sociologica ma anche di promuovere l'azione auto-riflessiva tra gli attori, mentre li si supporta nel migliorare la loro organizzazione e comunicazione all'interno e all'esterno del PP. Da un punto di vista gnoseologico, che dà profonde indicazioni tecnico-pratiche, il metodo della ricerca-azione nel PP può essere inteso come un'osservazione partecipata dove il contributo dei cittadini nell'azione pubblica è considerato epistemologico. I cittadini sono cioè considerati individui dotati di consapevolezza, capaci di autoriflessioni, in grado di fornire contributi di senso validi come informazioni per la ricerca sociale. Questo assunto mette in discussione le concezioni elitarie delle democrazie non partecipative (democrazia liberale in primis), per le quali i cittadini non posseggono le competenze adeguate ad occuparsi in prima persona, valutando e decidendo, della cosa pubblica. Durante il PP, tutti gli attori sociali sono considerati in grado di comprendere le informazioni condivise e di rielaborarle in proposte operative da restituire alla comunità interessata: cittadini compresi, dotati di expertise quanto gli altri attori in gioco. Si intende qui sottolineare questo punto: il sociologo che supporta, si potrebbe dire che “arricchisce”, il PP con l'approccio della ricerca-azione considera che anche i non-professionisti possono produrre sapere scientifico. Sapere che il sociologo può raccogliere, monitorare e restituire secondo le traduzioni del caso, in un processo dialogico orizzontale. Si può dire che grazie all'intervento di un sociologo, l'istituzione che propone il PP ha un professionista che monitora e orienta consapevolmente i partecipanti, che possono contare su di una figura capace di dotare tutti di empowerment. Specularmente, la comunità scientifica (e non solo) può arricchirsi di nuove elaborazioni frutto di una vera e propria ricerca. Un rapporto win-win. PP e ricerca-azione: in quale comunità si cala il PP e quali informazioni sono in gioco? Il PP è un processo dinamico calato in un'arena di rapporti sociali in cui le istituzioni della società politica comunicano con quelle della società civile e con i suoi cittadini. Attraverso il metodo della ricerca-azione il sociologo può collaborare al PP riuscendo a consapevolizzare sulla propria realtà sia chi afferisce alla società politica che a quella civile. A partire da questa consapevolezza, che riguarda sé e gli altri, il sociologo sa orientare l'agire comune all'interno del PP puntando non solo 9
  • 10. all'obiettivo progettuale ma anche aumentando la qualità dei rapporti di comunità, favorendo lo sviluppo del capitale sociale territoriale. La ricerca-azione è congeniale al PP non solo perché suggerisce metodi scientifici di raccolta dati (citati precedentemente: interviste, questionari...) ma anche perché permette di condividere questi dati, cioè informazioni, con la comunità, mentre il PP è in atto: quindi le informazioni sono sempre rielaborate, potendo portare a nuovi sviluppi ed aumentando la tensione propositiva e consapevole verso l'obiettivo deliberativo del processo. Questi dati non sono solo di tipo socio-demografico sui componenti della comunità ma sono caratteristiche territoriali, percezioni sulla qualità dei servizi e delle relazioni, annotazioni sui conflitti presenti sul territorio, indicazioni di miglioramenti strutturali e relazionali tra istituzioni pubbliche e private e cittadini... Infine, la condivisione di informazioni mentre il PP è in atto consente il reale trasferimento di conoscenza da un sito politico ristretto ed elitario ad uno più ampio afferente ad una parte della comunità dei cittadini. E questo trasferimento di conoscenza, che riprendendo Foucault è un trasferimento di potere, va coordinato e seguito da un sociologo professionista, che si suppone dotato di una profonda consapevolezza dei legami e dei ruoli in campo, e delle varie esigenze delle parti in gioco nel PP. Finora si è sostenuto che il contributo di un sociologo a un processo partecipativo è unico, e in un certo senso vantaggioso per chi indìce il processo, perché ne favorisce la “buona qualità” lavorando per l'eguaglianza e l'inclusività dei partecipanti, e per la trasparenza del processo. Vi è però una questione saliente che qui si vuole brevemente dibattere e che riguarda l'obiettività del sociologo coinvolto in un PP21. Il sociologo deve rispettare il principio dell'obiettività sia per non operare in maniera tendenziosa e strumentale, sia per preservare la coerenza interna e la legalità del processo da pressioni di tipo politico. Un sociologo è anzitutto un cittadino, con opinioni politiche e un comportamento pubblico e sociale orientato secondo personali valori ideologici e teoretici. Non è solo una questione di aderenza alle proprie “pre-nozioni”, cui fa riferimento Durkheim, o appunto ai “valori” personali di Weber: in gioco c'è un vero e proprio conflitto tra il processo di ricerca e azione nell'arena pubblica e la natura delle spinte motivazionali all'agire pubblico, natura che si può in parte definire militante. Conflitto che il sociologo deve necessariamente risolvere, garantendo l'obiettività della propria azione durante il processo e anche alla sua conclusione. Occorre, in primis, che egli mantenga trasparenti i rapporti che intrattiene con i vari attori sociali. Quando si trova ad operare in un contesto pubblico, il sociologo deve rispondere dei risultati al 21 Specialmente se impegnato in una ricerca-azione, l'obiettività deve essere un punto fermo tanto quanto l'autonomia nella ricerca, al fine di garantire la legittimità scientifica della ricerca stessa. 10
  • 11. committente, generalmente un'istituzione pubblica. Questi risultati devono coincidere con gli obiettivi del PP e non con altri obiettivi politici, né del sociologo né dei committenti. Può però capitare che, dalla fitta rete di rapporti e interessi in gioco in cui il sociologo si trova ad operare, nasca il conflitto tra la responsabilità professionale sulla buona riuscita del processo e la coercizione a rispondere a richieste di tipo politico. Anche in questo caso è necessario, per garantire l'obiettività, stabilire una distanza critica tra sé e chi esercita pressioni, così da poter adottare un approccio globale alle pratiche partecipative. Inoltre bisogna saper gestire un ascolto selettivo, dunque saper riconoscere quando i committenti o altri attori sociali ostacolano o strumentalizzano il dibattito, limitando di fatto il potere decisionale dei partecipanti al processo. Conclusione Il processo partecipativo è un percorso di consultazione organizzata e strutturata, avente possibilità di delibera, inerente un progetto da realizzare o una norma amministrativa futura, strettamente in relazione al territorio in cui il processo si realizza. Viene proposto, generalmente dalle amministrazioni locali, per ascoltare le opinioni degli attori sociali e può essere condotto fino alla delibera di una decisione vincolante. In un'epoca in cui la rappresentanza politica sembra aver perso il contatto con i cittadini, e la fiducia negli organi politici sembra venire sempre meno, il PP si propone come strumento di governance capace di integrare l'azione di comunicazione, latu sensu, e di decisione. In questo ambito, la figura professionale del sociologo è centrale non tanto per la mera realizzazione del processo quanto per la sua buona riuscita, se con questa intendiamo il raggiungimento di tutti gli obiettivi anche quelli sociali, che possono avere come outcome, ad esempio, l'inclusione degli emarginati, l'accrescimento del capitale sociale del territorio e la messa a punto di nuovi modelli di sviluppo locale. In particolare, si è visto che il sociologo può collaborare al processo sia come facilitatore/organizzatore, sia come ricercatore. L'approccio metodologico della ricerca-azione infatti è particolarmente congeniale al PP perché assicura un continuo e profondo ascolto degli attori sociali, nonché il rinnovamento delle informazioni a disposizione di chi conduce il processo, con il vantaggio inoltre di far avanzare la ricerca nell'ambito delle scienze sociali. 11
  • 12. Bibliografia Della Porta D., (2011), Democrazie, Ed. Il Mulino, Bologna. Burawoy M., (2005), “For Public Sociology.” American Sociological Review 70/1:4-28. Gbikpi B., (2005), “Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità?” Stato e Mercato / n. 73, aprile. Nez H., (2012), “For a public sociology on participatory democracy. Reflexive feedback on research conducted in an association.” Revista internacional de sociologìa (RIS) / Special issue on methodological challenges in participation research, Vol.70, EXTRA 2, 185-208, Dicembre. Sclavi M., (2002), Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti, Eléuthera, Milano. 12